Azione 14 del 3 aprile 2018

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 3 aprile 2018

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Società e Territorio Come si ripara un cuore spezzato? Intervista allo psicologo Guy Winch

Ambiente e Benessere Il dottor Andrea Saporito viceprimario di anestesia all’ORBV spiega le caratteristiche di questa specialità medica che ha attraversato un’evoluzione enorme

Politica e Economia Due libri rilanciano il grande dibattito fra pessimismo e ottimismo

Cultura e Spettacoli A Losanna un’indagine artistica sul corpo e un omaggio a Ernst Kolb

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Guerra commerciale o svolta pragmatica?

La mano della donna sulla pietra

di Peter Schiesser

di Roberta Nicolò

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Annick Romanski

Come interpretare le prime schermaglie di una guerra commerciale degli Stati Uniti contro i paesi che vantano verso di loro un surplus commerciale, a cominciare dalla Cina? Sarà una vera guerra, con un crescendo di azioni e ritorsioni di stampo protezionistico, oppure prevarrà un razionale pragmatismo da ambo le parti? Poiché oggi Stati Uniti e Cina rappresentano entità completamente diverse rispetto a 30 anni fa, consideriamo prima di tutto gli «attori» in campo. Sul fronte occidentale abbiamo la nazione che ha definito gli assetti economici e commerciali mondiali attraverso una rete di scambi e di istituzioni internazionali, ha impresso un’impronta liberista alla globalizzazione, è stata garante di una pax che ha costituito fino a ieri la certezza di una qualche forma di stabilità mondiale, ha un enorme impatto culturale ed emotivo sull’immaginario collettivo di tutti i popoli del mondo, oltre ad essere comunque anche l’esempio della democrazia occidentale per eccellenza. Oggi questa nazione ha come presidente una persona che non si identifica in nessuno di questi principi, con una limitata visione dell’economia, che crede di poter concludere l’affare migliore a tu per tu con il suo interlocutore, minacciando guerre, muri, dazi e limiti alle importazioni. Tuttavia, Donald Trump viene spesso frenato dalle istituzioni americane, che aggiustano il tiro fino a far rispettare il diritto superiore. Abbiamo quindi un presidente frustrato che vuole dimostrare ai suoi elettori di saper mettere in riga i nemici esterni dell’America, quelli che le negano la sua grandezza. Sul fronte orientale abbiamo un presidente reduce dall’incoronazione definitiva, e come tale a vita: una personalità lucida, carismatica, decisa, intelligente, con una visione precisa del futuro della Cina, di cui si conosce la forte volontà di controllo assoluto sullo Stato, sul Partito comunista e sui cittadini. Deng Xiao Ping, il grande riformatore dell’economia cinese della fine degli anni Novanta, aveva ottenuto che il presidente e il primo ministro non potessero governare per più di dieci anni: aver ottenuto la cancellazione di questa clausola dimostra l’enorme potere di Xi Jinping. Allo stesso tempo, in particolare per le questioni economiche, il presidente cinese si attornia di persone altamente qualificate, formatesi in Occidente. Consapevole del fatto che la Cina è tuttora un paese in via di trasformazione da un ordinamento economico e finanziario comunista a uno capitalista, Xi ha designato quale suo consigliere economico Liu He, uno dei più quotati economisti della Cina, con studi e lunghi soggiorni anche negli Stati Uniti, e a governatore della banca centrale Yi Gang, pupillo del governatore attuale, che porta con sé, oltre a numerose esperienze in Cina, anche le conoscenze acquisite durante gli studi e i soggiorni negli Stati Uniti. Spetterà a Yi Gang l’enorme sfida di incrementare una politica monetaria e creditizia che si basi sulle regole del mercato e non delle necessità clientelari che oggi legano le banche ai funzionari del partito e alle imprese pubbliche (sovraindebitate). Allo stesso tempo, la Cina vuole tornare ad essere la potenza leader del mondo e per raggiungere i suoi scopi, attraverso faraonici progetti come la nuova Via della Seta («One belt one road»), non si fa scrupolo di usare la forza del suo peso economico, per rafforzare quello politico. Il presidente americano non ha torto a lamentarsi della Cina, almeno laddove si riferisce alle pratiche scorrette adottate dai cinesi, che vanno dal furto di diritti d’autore, agli ostacoli posti alle società straniere nel fare affari in Cina, all’obbligo per le aziende occidentali di cedere il know how tecnologico. Tuttavia, annunciando unilateralmente delle misure protezionistiche, Trump non può che scatenare una reazione altrettanto vigorosa da parte di Xi Jinping. Inoltre, decidendo di non far ricorso alla World Trade Organization, adottando al contrario una strategia di negoziati bilaterali, il presidente discredita quell’organizzazione mondiale che gli Stati Uniti avevano fortemente voluto e attraverso la quale si intendeva ancorare la Cina alle regole del commercio e del capitalismo mondiale. Le condizioni per una guerra commerciale su larga scala – che, come l’esperienza ha fin qui dimostrato, vedrebbe alla fine tutti perdenti – sono quindi presenti e acuite da una confusione politica e ideologica del tutto nuova. Su entrambi i fronti ci sono però ancora numerose forze che si oppongono a una visione schematica e che non credono nell’utilità di uno scontro fra titani. In fondo la Cina dipende dal resto del mondo tanto quanto gli Stati Uniti. Correggere gli squilibri deve essere possibile anche senza passare per la distruzione degli equilibri. La Cina degli ultimi due secoli non ha molta esperienza in questo, l’Occidente può eventualmente essere d’aiuto nello stimolare le forze riformiste, ma solo con un’autorità morale, politica e istituzionale, non con l’arroganza del più forte.

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