Azione 30 del 21 luglio 2025

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edizione

MONDO MIGROS

Pagine 2 / 4 – 5

Alla Biennale di Venezia crisi climatica e IA lasciano poco spazio all’architettura

SOCIETÀ Pagina 3

ATTUALITÀ Pagina 11

Cambiamento di sesso, da Zurigo arriva la proposta di vietare le operazioni sui minori in Svizzera

L’eredità intellettuale di Goffredo Fofi attraversa cinema, politica, editoria e attivismo sociale

CULTURA Pagina 17

Ogni centimetro, una conquista

Imprenditore ittico, naufrago e scrittore grazie a due giochi in solitaria, e a qualche sardina

TEMPO LIBERO Pagina 31

L’inverno sotto l’ombrellone

Riviera romagnola, solita spiaggia, solito bagnino. Quest’anno, però, c’è una novità. «Le do un ombrellone nella zona senza famiglie, così non ci sono bambini, è più tranquillo», la proposta mi sorprende, la Romagna è da sempre meta prediletta delle famiglie spesso con bimbi piccoli. Mi adeguo, ma rimugino. Poi, tra le chiacchiere vacanziere, un conoscente ticinese mi racconta di essere sconcertato perché nel Comune dove è domiciliato non vengono assunti ragazzi per lavori estivi, «vabbè non formare apprendisti – mi dice – ma un Comune senza problemi finanziari (che vanta un moltiplicatore molto basso, ndr.) almeno gli stage potrebbe garantirli ai giovani». Dal soggiorno balneare seguo, infine, sconsolata le vicende de La Soleggiata, invitata a sloggiare dalle Cave di Arzo, troppo rumore, troppo casino. Insomma ammettiamolo, i bambini non ci piacciono e i ragazzi ci disturbano. Fin qui nulla di male, se non fosse che ciclicamente esperti di

statistica, di demografia e di economia ci ricordano che il calo delle nascite è un problema serio, sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista economico.

Lo chiamano «inverno demografico» e in Ticino, ha confermato l’USTAT in questi giorni pubblicando i dati aggiornati del movimento naturale della popolazione, fa proprio freddo. Nel 2024, infatti, il numero dei nati vivi nel nostro cantone è stato il più basso degli ultimi 40 anni (2319 bimbi), il saldo naturale della popolazione è ormai negativo da anni e l’età delle primipare continua a innalzarsi (l’età media in cui una donna fa il primo figlio sfiora i 33 anni).

Delle culle vuote si è occupato anche Dario Campione sul «Corriere del Ticino» di venerdì 11 luglio con un’intervista a Giancarlo Blangiardo, già professore di Demografia all’Università Milano Bicocca. Alcune riflessioni del professore mi paiono particolarmente importanti. Il fatto, ad esempio, che la società non abbia an-

cora compreso sino in fondo che «volere i figli riguarda tutti» e soprattutto l’aspetto strutturale di questo cambiamento: «le poche bambine di qualche anno fa sono le poche mamme di oggi, ma le ancor meno bambine di oggi saranno le pochissime mamme di domani». Un cambiamento culturale, dunque, è ormai urgente. Aiutare le donne nella conciliazione tra lavoro e maternità non è una richiesta campata in aria da alcune femministe un po’ fanatiche ma un’esigenza palese del nostro sistema economico che deve poter contare su una forza lavoro importante e insostituibile come quella femminile. Inoltre prendersi a carico (e a cuore) la crescita, il benessere e la formazione dei nostri bambini e ragazzi deve essere un dovere condiviso da tutti gli adulti (genitori e non), anche perché, in una visione utilitaristica e un po’ semplicistica del futuro di una società di anziani, come quella che saremo, bisogna domandarsi: chi ci curerà e chi pagherà le nostre pensioni?

Ma in questo inverno a suggerirci una nota positiva è l’ex rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta, attuale presidente della Fondazione Bruno Kessler di Trento ripreso anche da Ferruccio De Bortoli in un suo editoriale sul «Corriere della Sera». «La rappresentazione delle nuove generazioni – dice Resta – oscilla spesso tra luoghi comuni e semplificazioni. Il racconto dominante le descrive come disinteressate, passive, perennemente distratte. Ma gli esempi positivi, di studio e impegno, sono tanti, tantissimi, dovrebbero essere più conosciuti e discussi». Intanto gli esperti di demografia avvertono che i tempi necessari per invertire la situazione sono lunghi e il compito è tutt’altro che semplice. Per non scoraggiarci nel frattempo sarebbe opportuno (ri)cominciare a gioire degli schiamazzi vitali e vivaci dei bambini e impegnarci a dare spazio, fiducia e sostegno ai giovani. E poi… speriamo che sia femmina! O maschio, chissà.

Moreno Invernizzi Pagina 27

Samir che ama volare

Mondo Migros ◆ Impiegato nel campo della logistica alla Migros di S. Antonino Samir Limani è da sempre affascinato dall’aviazione e nel suo tempo libero pilota aerei tramite un simulatore che riproduce in modo realistico tutte le fasi di un volo

Con i suoi oltre mille collaboratori Migros Ticino è la maggiore azienda privata del Canton Ticino, e proprio in virtù delle sue dimensioni, può annoverare tra le proprie fila numerosi profili professionali. Le dipendenti e i dipendenti dell’azienda, però, molto spesso hanno delle vite molto strutturate al di fuori del proprio tempo di lavoro. È anche il caso di Samir Limani, classe 1987, impiegato dal 2022 a Sant’Antonino nel campo della logistica, con mansioni di smistamento e commissionamento, che dedica gran parte del proprio tempo libero al volo. Non attraversando i cieli e librandosi sopra le montagne, ma (per ora) seduto comodamente a casa sua. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare una passione molto particolare.

Samir, qual è la tua passione?

Sin da quando ero piccolo, la mia passione è l’aviazione. Già da bambino, ogni volta che vedevo un aereo

in cielo, venivo preso da un senso di meraviglia.

E come si è sviluppata questa fascinazione?

Nel 2004, quando ancora abitavo nel Kosovo, scoprii i simulatori di volo per PC. All’epoca la rete non funzionava benissimo, per cui, a causa della lentezza del pc, i tempi di attesa erano molto lunghi.

Oggi com’è la qualità dei simulatori?

Ora uso un simulatore molto simile a quelli utilizzati dalle scuole di volo per permettere ai nuovi piloti di fare pratica. Esso riesce a riprodurre in modo realistico ogni fase del volo, compresa la gestione di scenari complessi e insoliti.

Con quale frequenza ti dedichi al tuo hobby?

Praticamente tutti i giorni. Ho comprato un PC molto potente e mi sono attrezzato con tutti gli strumenti necessari al volo, come le cuffie, il joystick, leve, flaps, ecc. Entro nel sistema, scelgo una destinazione, faccio un piano di volo, guardo le condizioni meteo e mi collego alla torre di controllo cui si appoggiano anche gli studenti, dove si trova un controllore in carne e ossa.

Esiste una community intorno a questo hobby?

Per ora pratico da solo, ma è un’attività diffusa in tutto il mondo. Ho comunque un nutrito gruppo di fol-

Missione compiuta

Info Migros ◆ Completato con successo il lifting dell’Outlet Migros di Via Cantonale 28 a Grancia

Migros Ticino informa con piacere la propria clientela in merito alla fine della completa rigenerazione della sua filiale luganese. I lavori partiti il 30 giugno scorso sono terminati e dal 15 luglio l’affezionata clientela di questo storico esercizio, composta in gran parte da famiglie e da numerosi avventori del Parco Commerciale Grancia, viene accolta nei gradevoli spazi del rinnovato punto vendita.

L’Outlet Migros di Grancia, con una superficie di vendita di 500 metri quadrati, ha ora un assortimento alimentare e non alimentare ripensato e calibrato, composto da particolari gamme food, anche esotiche e balcaniche, e da una buona scelta di articoli non food, composta da piccoli elettrodomestici, tessili, tele disegno, valigie e diversi altri accessori. La varietà di questo punto vendita va a completa-

re al meglio l’offerta del Supermercato Migros presente nello stesso stabile al Piano -1.

Il rinnovato esercizio, facilmente accessibile e raggiungibile tramite i principali mezzi pubblici e in automobile, dispone di un adiacente parcheggio coperto gratuito, con oltre un centinaio di posti auto a disposizione della clientela del centro commerciale. Per l’occasione verranno proposti i soliti buoni affari e quattro settimane di incredibili offerte. Highlight: dal 21 al 27 luglio un litro di olio extra vergine d’oliva Smeraldo verrà proposto a soli CHF 9.90 e dall’11 al 16 agosto l’impastatrice mixer ohmex potrà essere acquistata per l’ottimo prezzo di CHF 119.

Il responsabile merceologico Giuseppe Mesce e i suoi collaboratori, cordiali e ben preparati, sono pronti a soddisfare i bisogni della clientela con cura e attenzione, in un clima accogliente e famigliare. Il rilancio dell’Outlet Migros di Grancia rafforza e migliora la presenza in Ticino di questo apprezzato formato di vendita, attivo anche in Via Franco Zorzi a Bellinzona e in via Brüsighell 6 a Taverne.

Orari d’apertura

Lunedì - venerdì: 9.00-19.00

Giovedì: 9.00-21.00

Sabato: 9.00-18.30

Tel. 091 821 72 72

lower che supera le 50’000 persone. Quando faccio dei voli particolarmente lunghi, come ad esempio Boston-Londra, faccio delle live su TikTok e interagisco con i miei follower. Non bisogna dimenticare che tutto si svolge in tempo reale, per cui sono viaggi lunghissimi! È divertente, poiché molti sono convinti che sia tutto vero.

Quali emozioni ti dà la simulazione di volo?

Amo il decollo e l’atterraggio, poiché tutto è nelle mie mani. Una volta superata quota 5’000 metri, invece, va in automatico. A volte mi faccio «aiutare» anche in fase di atterraggio attraverso l’ILS (Instrumental Landing System), ad esempio in caso di nebbia. In fase di atterraggio interviene anche il visual approach, e si devono tenere d’occhio le luci della pista.

A questo punto, perché non hai scelto la strada del pilota?

Non ho potuto per motivi economici. In Kosovo non c’erano scuole di volo, e il mio passaporto non mi permetteva di accedere a scuole dello spazio economico europeo. Il mio desiderio più grande, però, è e resta quello di poter frequentare una scuola di aviazione e ottenere la licenza PPL (Private Pilot Licence). Poi, sarebbe fantastico passare alla licenza commerciale ATPL (Airline Transport Pilot Licence). All’inizio avevo paura di essere troppo vecchio, a 37 anni, ma poi ho scoperto che non è così, quindi… chissà!

Un weekend di vacanza... casalinga

Concorso ◆ Vincete due notti al Camping Monte Generoso a Melano

Avete voglia di essere turisti «in casa» per un fine settimana trascorrendo due notti in riva al lago a Melano? E di vivere un’avventura diversa dal solito, quest’estate? Allora questo concorso è per voi! La Ferrovia Monte Generoso, in collaborazione con «Azione», mette in palio una tenda Migros (corredata di materassino e sacco a pelo) per quattro weekend consecutivi nel mese di agosto.

L’appuntamento è per l’8-10, 15-17, 22-24 e 29-31 agosto 2025 nel Camping Monte Generoso di Melano.

Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch (oggetto: Camping Monte Generoso) entro domenica 27 luglio 2025 indicando i vostri dati (nome, indirizzo, contatti) e quale weekend vorreste trascorrere nella splendida cornice del Ceresio, diventando… turisti per un weekend e vivendo un‘esperienza unica! Buona fortuna!

Qui sopra, come appare sullo schermo la simulazione di volo con la strumentazione necessaria perché sia totalmente realistica.
La tenda Migros offre materassino e sacco a pelo.
Appena rinnovato e facilmente accessibile l‘Outlet Migros di Grancia nei suoi 500 metri quadrati offre un ricco assortimento alimentare e non alimentare.
Samir Limani

SOCIETÀ

In spiaggia col treno

Le FFS invitano a rinunciare all’auto e all’aereo per andare al mare e puntano su nuovi collegamenti, relax e rispetto dell’ambiente

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Come si produceva la calce

Tra Ghirone e Campo Blenio sono state recuperate tre fornaci, unite in un percorso didattico fanno rivivere un’attività del passato

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Motori elettrici

La prova della Volvo EX30 Cross Country è l’occasione per fare il punto sulla tecnologia a zero emissioni e sulla guida autonoma

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La crisi climatica lascia poco spazio all’architettura

Biennale di Venezia ◆ La mostra intitolata Intelligens. Natural. Artificial. Collectiv. è aperta fino a novembre

Pubblicare un testo sulla Biennale di Venezia dopo un paio di mesi dall’inaugurazione ha il pregio di liberare chi scrive dall’obbligo di descrivere l’esposizione, e consente di esprimere con maggiore spazio alcune riflessioni.

La parte della Biennale allestita dal curatore Carlo Ratti è concentrata alle Corderie, perché il Padiglione dei Giardini è chiuso per ristrutturazione. La maggior parte dei circa 300 contributi dei 750 esperti invitati (architetti e ingegneri, matematici e scienziati del clima, filosofi e artisti, cuochi e codificatori, scrittori e intagliatori, agricoltori e stilisti) è quindi accumulata tra le colonne dell’edificio cinquecentesco.

Il tema che ha inizialmente ispirato Ratti è quello del riscaldamento globale e della necessità che l’architettura si trasformi per resistere e adattarsi al progressivo mutamento climatico. La prima sala delle Corderie, allestita da Pistoletto, esprime con efficacia la questione, obbligando i visitatori a transitare in un clima di 40°C, e con un’umidità molto elevata.

In uno scritto di presentazione della mostra («Il Sole 24 Ore» del 11.05.25), Ratti aveva sostenuto che «…è ora che l’architettura la smetta di progettare come se la crisi climatica fosse una possibilità ancora da scongiurare e inizi invece ad agire all’interno della crisi stessa». E aggiungeva che non dobbiamo «… soltanto decarbonizzare, ma costruire in modo che città ed edifici sappiano reggere anche in condizioni di forte stress». Non sarebbe la prima volta, per esempio a Londra nel XIX secolo, dopo il colera, gli ingegneri rivoluzionarono le infrastrutture realizzando fognature moderne. O l’esempio recente di Parigi, quando il livello di inquinamento atmosferico ha superato ogni limite, la città ha deciso radicali limiti al traffico, che hanno abbattuto le emissioni. Il clima è un tema drammatico e urgente dell’architettura contemporanea. Se la Biennale veneziana si fosse focalizzata su di esso, avremmo potuto prendere atto che, dopo le edizioni curate da Rem Koolhas e da Alejandro Aravena, finalmente la mostra avrebbe rimesso al centro il progetto di architettura e le sue questioni più urgenti. E invece ha prevalso un altro concetto, condizionato forse dalla biografia del curatore – docente al MIT di Boston e autore di progetti urbanistici basati soprattutto sulla connessione di più competenze – e forse anche dal falso mito, duro a morire, dell’architetto demiurgo, capace di riformare la società. Di fatto, il titolo ufficiale della mostra è Intelligens. Natural. Artificial. Collectiv. e il tema protagonista è diventato l’intelligenza artificiale, che è un altro grande te-

ma del nostro tempo, che interesserà certamente anche l’architettura, come anche tutte le altre attività umane.

Alle Corderie si affronta anche il grande tema dell’Intelligenza artificiale, in un accumulazione di contenuti e installazioni

L’esito è una grande accumulazione di contenuti e di installazioni, stipate nelle Corderie. Ibridazione e multidisciplinarietà, scienza e filosofia, le proiezioni nel futuro, i drammatici squilibri delle risorse nel mondo, il clima, la desertificazione e la povertà assoluta e i mille modi di utilizzare l’intelligenza artificiale per affrontare questi temi hanno occupato lo spazio disponibile, lasciandone assai poco all’architettura.

La mostra fa cadere i perimetri delle discipline e delle competenze, e sembra che l’architetto possa e debba affrontare i grandi temi del nostro tempo praticando sperimentazioni ed elaborando soluzioni che coinvolgono i saperi più diversi.

Invece, nella vita reale, il mestiere dell’architetto e la sua cultura progettuale incidono per una percentuale minima nella determinazione del paesaggio costruito: oggi il vero grande problema di questo mestiere è il rischio dell’irrilevanza sociale e culturale. E il massimo dei paradossi è che il presidente dell’ente Biennale, che a sua volta ha scelto il curatore, è stato nominato da un Governo i cui membri non ritengono affatto rilevante la crisi climatica, né intendono impiegare risorse per affrontare gli squilibri citati.

Ogni installazione viene illustrata da ponderose spiegazioni scritte, ognuna corredata da un riassunto elaborato dall’intelligenza artificiale. L’effetto è che i visitatori fotografano con lo smartphone le scritte esplicative delle installazioni, riproponendosi di leggerle, forse, in seguito.

Per visitare con attenzione tutti i padiglioni della Biennale ci vorrebbe almeno una settimana. Il dubbio che ci assale è se eventi di questa dimensione siano adeguati al nostro tempo e se non sia utile ripensare a eventi dedicati a temi più delimitati.

La rottura dei limiti disciplinari è comunque un fenomeno in atto ed è anche dotato di aspetti interessanti per i suoi esiti culturali, mettendo in crisi convincimenti e prassi consolidate. Ma al grande pubblico, al quale è rivolta la mostra, bisogna esporre le questioni con ordine: ci pare che l’accumulo di informazioni in una sequenza confusa, unita all’esposizione di immagini spettacolari, produca un interesse effimero.

Sono, infine, i padiglioni nazionali a presentare prospettive diverse, soltanto a volte coerenti con il tema generale. Il padiglione svizzero è problematico, soprattutto rispetto allo straordinario successo di quello del 2018. Le curatrici hanno preso atto del fatto che nessun padiglione dei Giardini è stato progettato da una donna architetto e hanno concepito una riprogettazione effimera del padiglione concepito da Alberto Giacometti nel 1952. Utilizzando pannelli di legno, hanno sovrapposto al recinto murato l’architettura radiale del padiglione creato da Lisbeth Sachs per l’esposi-

zione svizzera del 1958 a Zurigo. Gli spazi risultanti tra le due geometrie provocano un certo fastidio nei percorsi, con un effetto forse volutamente provocatorio.

Tra i tanti padiglioni interessanti, segnaliamo ai lettori quello spagnolo e quello austriaco. Il primo interpreta in modo didattico il tema dell’adattamento dell’architettura alle nuove condizioni climatiche, esponendo con ordine materiali e tecniche costruttive, anche ripensando alle culture tradizionali, e i progetti dai quali sono tratti i materiali esposti. Il padiglione austriaco disegnato da Josef Hofmann nel 1934 illustra (con video e foto di Armin Linke) due casi opposti di soluzione della crisi abitativa. Il caso di Vienna, dove la questione viene affrontata e risolta «dall’alto verso il basso», con i poderosi investimenti degli enti pubblici. E quello di Roma, nel quale il fenomeno viene invece affrontato «dal basso», con interventi di recupero e trasformazione di

abbandonati, da parte di comitati e cooperative di abitanti.

immobili
La prima sala dell’esposizione alle Corderie, allestita da Michelangelo Pistoletto, nella quale i condizionatori producono una insopportabile temperatura di 40°, che riscalda il percorso del pubblico introducendo con efficacia il tema del clima.
(A. Caruso)
Alberto Caruso

Perfette per la griglia

Attualità ◆ Le luganighe per grill della Salumi del Pin sono realizzate con ingredienti di prima scelta di origine svizzera

Luganighe per il grill

Con un tenore di grasso inferiore rispetto a quelle convenzionali, caratteristica che evita un eccessivo rilascio di liquidi sulla brace durante la cottura, le luganighe per grill di produzione ticinese regalano un gusto autentico e leggero alle vostre conviviali grigliate estive. Ottenute utilizzando esclusivamente carni selezionate di maiali svizzeri, sono prodotte artigianalmente nel rispetto della tradizione locale dalla Salumi del Pin di Mendrisio, azienda con tre generazioni di storia ed esperienza alle spalle nella lavorazione delle carni. Una volta selezionata e macinata finemente, la carne è addizionata con gli altri ingredienti naturali, nella fattispecie sale – in quantità minima – un delicato mix di spezie esclusivo e del buon vino Merlot ticinese. L’impasto così ottenuto viene lasciato ripo-

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Le luganighe alla griglia dovrebbero essere cotte a fuoco moderato, per la durata di ca. 15 minuti, girandole di tanto in tanto con una pinza in modo che abbiano una cottura uniforme e non si brucino. Se si grigliano intere, non bucare le salsicce, al fine di mantenere i preziosi succhi all’interno ed evitare che il prodotto si secchi. In alternativa, le luganighe possono essere cotte anche tagliate a ventaglio, in questo caso i tempi di preparazione si accorciano leggermente. Azione 31%

sare per qualche tempo affinché tutti gli ingredienti si amalgamino alla perfezione. Infine, si passa alla fase di insacco in budello naturale, alla legatura manuale, all’asciugatura e al confezionamento finale del prodotto.

Specialità ligure per eccellenza

Attualità ◆ Il Pesto di Pra’ dall’aroma autentico è in vendita nel reparto refrigerati della tua Migros

Grazie alle sue caratteristiche uniche consente di condire molte pietanze

Che sia impiegato come condimento per le trofie – la tipica pasta ligure – o per altri formati di pasta, ma anche con gnocchi, ravioli, risotti, oppure quale accompagnamento per carni, pesce, verdure, pizze o ancora spalmato su bruschette e crostini per l’aperitivo, il pesto trasforma ogni pietanza in un tripudio di sapori e profumi, diventando di fatto uno dei condimenti della cucina italiana più amati al mondo. Chi cerca un prodotto tradizionale e di alta qualità, troverà nel Pesto di Pra’ ciò che risponde alle sue esigenze. Elaborato a partire da basilico DOP coltivato a Genova Pra’, luogo d’eccellenza per la sua coltivazione, questo pesto si caratterizza per il suo aroma inconfondibile, frutto di una sapiente lavorazione. Semplice come quello fatto in casa, viene preparato artigianalmente subito dopo la raccolta del basilico nel pieno rispetto delle antiche ricette liguri. È un prodotto fresco, privo di conservanti, che, oltre al componente principe, il basilico genovese DOP, è reso unico da altri sei ingredienti chiave, sapientemente lavorati da esperti dosatori: pinoli e aglio dalle migliori coltivazioni italiane; Pecorino Romano DOP; sale marino grosso italiano; olio extravergine accuratamente selezionato e Parmigiano Reggiano DOP e Grana Padano DOP. Il Pesto di Pra’ è disponibile nella versione classica con aglio, oppure senza, per chi non gradisce o tollera questo ingrediente.

genovese

Freschezza di stagione

Attualità ◆ I filetti di trota in carpione sono una pietanza che rinfresca e delizia il palato. Questa settimana li trovi in offerta speciale alla tua Migros

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Ideale durante la stagione calda, il pesce in carpione è un piatto molto popolare anche nella nostra tradizione culinaria. Se in passato per la sua preparazione si usavano perlopiù pesci comunemente presenti nei nostri laghi, come il luccio, la tinca e il coregone, con il passare degli anni si è passati alla trota d’allevamento, che, oltre ad avere delle carni delicate e leggere, è più facile da reperire e assicura comunque un risultato ben riuscito.

In origine la carpionatura, grazie alla marinatura nell’aceto, era un metodo per la conservazione del cibo nel tempo – carne, verdure o pesce – dal momento che non esistevano i frigoriferi. Oggi invece le pietanze in carpione sono diventate delle vere specialità gourmet che conquistano sempre più buongustai.

Manhattan celebra l’estate dei festival

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Filetti di trota in carpione Prodotti in Ticino, in self-service per 100 g Fr. 2.45 invece di 3.10

La nostra trota in carpione viene preparata in Ticino con perizia da un’azienda specializzata nel campo della gastronomia, il tutto seguendo una ricetta originale e tradizionale. Una volta infarinati e fritti nell’olio, i filetti o le trote intere vengono immerse in una marinata di verdure miste cotte nell’aceto di vino, composta da cipolle, carote, porri, coste e sedano. Una preparazione semplice e genuina, ricca di aromi, perfetta da gustare fredda per deliziarsi con gusto e raffinatezza.

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Quest’anno si va in spiaggia con il treno

Vacanze ◆ Si può davvero rinunciare all’auto o all’aereo per andare al mare? Le FFS ne sono convinte, aumentano i collegamenti e puntano su relax e rispetto dell’ambiente

Da questa estate il mare è più vicino. C’ è una notizia da cogliere: le Ferrovie federali svizzere hanno accorciato le distanze delle località balneari, potenziato e reso più agevoli e rapidi i collegamenti dal Ticino. «In spiaggia con il treno: idee per raggiungere il mare». Suona così, in sintesi, la proposta. Ma davvero è possibile raggiungere litorali, onde e spiagge, mettendosi a bordo di un convoglio? Rinunciare ad auto e aereo? Oppure concepire una vacanza così rappresenta solo una chimera? Abbiamo rivolto questa e molte altre domande – compresi confronti concreti tra le diverse opzioni di viaggio – a Patrick Walser, portavoce FFS per la Regione Sud, come se ci trovassimo nell’indecisione più totale su quale mezzo scegliere e persino a quale meta aspirare. Quali sono, dunque, le proposte?

Tra le destinazioni proposte dalle FFS quest’anno c’è Pisa, raggiungibile con l’EuroCity fino al 28 settembre

«Per i viaggiatori dal Ticino le destinazioni di rilievo sono senz’altro Genova e Sestri Levante, nonché la novità di quest’anno, ovvero Pisa, che fino al 28 settembre è raggiungibile con l’EuroCity. Per il resto della Svizzera vi sono altre destinazioni mediterranee, come Avignone e Marsiglia partendo da Losanna o Ginevra. Cambiando treno a Milano, si può raggiungere tutta la Costa Adriatica a sud di Rimini o addirittura la Sicilia, con il treno notturno Milano-Palermo/Siracusa».

Patrick Walser, quali sono i vantaggi di scegliere il treno? Molteplici. Da un lato si evita di restare fermi nelle lunghe code autostradali, dall’altro si viaggia in totale relax potendosi dedicare ad altro, come leggere un libro, giocare in famiglia o semplicemente riposarsi. Non

Viale dei ciliegi

da ultimo, chi viaggia in treno viaggia in modo rispettoso dell’ambiente.

Come sono stati scelti gli itinerari?

Cosa li rende particolarmente attrattivi per chi parte dalla Svizzera italiana?

Genova è la destinazione marittima più vicina. Il collegamento diretto permette normalmente di viaggiare da Bellinzona in circa 3 ore e mezzo senza cambiare treno. Fino all’inizio di settembre, tuttavia, il viaggio durerà oltre 4 ore a causa di alcuni cantieri. Genova è un punto di partenza ideale per escursioni lungo la costa ligure. Come località balneare, Sestri Levante offre tutto ciò che si desidera: lunghe spiagge sabbiose, attrazioni culturali, delizie culinarie. È perfetta anche per un breve weekend dal Ticino. Senza dimenticare altre tappe: Santa Margherita Ligure/ Portofino, Rapallo e Chiavari, che meritano una visita. Il viaggio più lungo verso Pisa vale decisamente la pena. Anche Venezia merita sempre. Con un cambio a Milano, si possono raggiungere inoltre molte altre destinazioni sulla Costa Adriatica a sud di Rimini.

Che tipo di servizi trovano i viaggiatori a bordo?

I treni EuroCity modello Giruno possiedono tutti i confort del caso. C’è una carrozza famiglia e naturalmente il ristorante di bordo. Su alcune tratte tra Zurigo, il Ticino e Milano, il treno Astoro opera pure con un ristorante, una zona per famiglie e altri servizi.

Quanto incide l’aspetto della sostenibilità in queste proposte?

Dal 1° gennaio 2025, i treni delle FFS circolano con corrente ferroviaria proveniente al 100% da fonti rinnovabili. La ferrovia è sempre stata ecologica: è responsabile solo dello 0,3% delle emissioni di CO₂ prodotte dai trasporti in Svizzera. Per trasportare il 17% di viaggiatori e il

38% di merci, la ferrovia utilizza solo il 5% dell’intera energia consumata in Svizzera per i trasporti terrestri. Ecco alcuni confronti concreti (i tempi di percorrenza in treno sono attualmente più lunghi a causa dei cantieri): Lugano-Pisa: treno: 26,8 kg di CO2 a persona, 7h30 di viaggio (7h20 di lavoro/relax); auto: 70,4 kg di CO2 a persona, circa 4 ore di viaggio. Lugano-Venezia: treno: 19 kg di CO2 a persona, 4h12 di viaggio; auto: 65 kg di CO2 a persona, circa 3,5 ore di viaggio. Lugano-Genova: treno: 16,5 kg di CO2 a persona, 4h34 di viaggio; auto: 41,5 kg di CO2 a persona e tra le 2,5 e le 3 ore di viaggio.

Ci sono offerte promozionali, sconti o formule vantaggiose dedicate a chi sceglie il treno per il mare?

I biglietti Supersaver sono disponibili su diverse tratte, rendendo i viaggi all’estero convenienti e rispettosi del clima. Molte destinazioni possono essere prenotate fino a 6 mesi prima. I prezzi del trasporto internazionale di passeggeri sono simili alle tariffe aeree e variano a seconda della domanda. Ciò significa che di solito è possibile viaggiare a prezzi più convenienti nei giorni meno richiesti, come il martedì o il mercoledì, in orari non di punta o al di fuori della stagione delle vacanze. È consigliabile prenotare in anticipo.

Pensa che questa formula possa diventare una proposta stabile anche oltre l’estate, magari per altri tipi di destinazioni?

Le destinazioni urbane come Milano, Bologna, Parma e Venezia sono generalmente accessibili tutto l’anno. Le FFS studiano ulteriori collegamenti per ogni stagione.

L’avvicinamento del Ticino a Lombardia, Piemonte e Liguria è stato negli scorsi mesi anche al centro della politica, con sinergie e inte-

● Marco Magnone (a.c.)

Misteri d’estate

Piemme Il Battello A Vapore (Da 12 anni)

La collana «Giallo e Nero» del Battello a Vapore pubblica una raccolta di racconti, e fa bene, perché il racconto è oggi un genere letterario troppo poco praticato nell’editoria per ragazzi. Infatti, non è facile, in un numero esiguo di battute, costruire una storia che abbia un intreccio sufficientemente articolato, a maggior ragione se si tratta di gialli o thriller. In questa raccolta troviamo sei racconti, molto diversi tra loro per stile e ambientazione. Gli autori sono Marco Magnone (che è anche il curatore del volume), Sara De Martino, Alessandro Gatti, Loredana Lipperini, Davide Morosinotto, Lucia Perrucci: alcuni sono nomi noti, altri meno, ma tutti sanno creare trame coinvolgenti. Ciò accade sia in narrazioni in prima persona, come il brillante, ironico racconto che apre la raccolta (Tutto bene, Cosmo?, di Magnone), in cui è il diciassettenne Cosmo a portarci con lui, e con il suo amico Ago, dentro una scalcagna-

ta notte metropolitana dove il furto da commettere è dovuto a una folle pensata romantica; sia in narrazioni di impianto più tradizionale e quasi fiabesco: «c’erano una volta tre principesse» è l’incipit del bel contributo di Sara De Martino, appunto Le tre principesse, in cui il topos del delitto nella camera chiusa a chiave viene declinato in un denso mini-fantasy appassionante. Anche in Sodio, di Alessandro Gatti, racconto di impronta politica, c’è un morto in una stanza chiusa dall’interno; mentre ne La collana, di Loredana Lipperini, la ragaz-

se fra il Ticino e le diverse Regioni italiane per sollecitare il completamento di Alptransit a sud. Sarà questo un punto di svolta per migliorare la mobilità sostenibile nella regione transfrontaliera insubrica?

Aumentare i collegamenti ferroviari non può che portare vantaggi ai Cantoni o alle Regioni coinvolte, potenziando la mobilità sostenibile. Detto questo, il tema Alptransit è di natura politica e le FFS si astengono dal prendere posizione in merito.

Rispetto al passato è migliorata l’accessibilità alle destinazioni turistiche mediterranee promossa dalle FFS. Quali sono stati i punti decisivi? Vi sono state intese e con-

certazioni anche con gli altri Stati limitrofi?

Le FFS collaborano con la francese SNCF e con l’italiana Trenitalia. La collaborazione tra Trenitalia e FFS rappresenta un modello di successo. Nel novembre 2024, Trenitalia e le FFS hanno firmato a Milano un contratto per estendere la loro partnership, non solo consolidando la loro collaborazione pluriennale, ma anche approfondendola. Le FFS intendono offrire collegamenti ancora migliori tra la Svizzera e l’Italia, i piani prevedono ulteriori collegamenti con Milano e Venezia e, per la prima volta, connessioni dirette con Firenze e La Spezia/Pisa, già molto apprezzate dai viaggiatori quest’estate.

zina protagonista in qualche modo indaga non solo sulla sparizione di un gioiello, ma anche sulla progressiva sparizione della sua propria infanzia, nel delicato trascolorare verso la stagione dell’adolescenza verso la quale si sta avviando. Il contributo di Davide Morosinotto, E morirono tutti, è un racconto potente e teso ambientato in montagna, nel quale l’autore, da par suo, ci tiene incollati fino alla fine; mentre in una storia decisamente venata di sovrannaturale ci porta il racconto Starless, di Lucia Perrucci, e qui si vira più sul Nero che sul Giallo, per riprendere i due colori che danno il nome alla collana.

Paul Martin, e Illustratori vari Enigmi a tutti i piani. Criminali allo sbaraglio!, Il Castoro (Da 8 anni)

Ancora una proposta colorata di «giallo», e qui il detective è il lettore: diciassette indagini molto ben congegnate dall’autore francese Paul Martin, illustrate ciascuna da un artista diverso, in cui allenare spirito d’osservazione e capacità logiche e

deduttive, in un activity book perfetto per divertirsi da soli, con gli amici o in famiglia, quest’estate o in qualsiasi momento dell’anno. Ciascun enigma ci porta in un ambiente diverso (ad esempio un hotel, la caserma dei pompieri, un’officina, un teatro, un museo…), e in una storia di genere diverso (realistico, fantastico, western…). Ogni volta c’è stato un reato (furto, rapimento, incendio doloso…), i sospettati sono parecchi, tra loro si cela il colpevole, da smascherare prestando bene attenzione alle dichiarazioni di ognuno, e guardando

altrettanto bene la scena del crimine, sia nelle sue parti interne, sia in quelle esterne, visibili ripiegando ogni volta una verso l’altra le grandi pagine, seguendo le linee tratteggiate. In questo albo dal concept originale e molto interessante ci si perde felicemente e accanitamente dentro ogni mistero, inseguendo la soluzione che c’è ma non è mai scontata (neanche per gli adulti!): occorre scoprire chi mente, occorre saper vedere, e saper rispondere alle domande che l’autore ogni volta ci pone. Dov’è la valigia rubata? Ci viene chiesto nel primo enigma, in cui il cantante di un celebre gruppo rock è stato tramortito e derubato al suo rientro in albergo, dove gli unici ospiti erano i musicisti della sua stessa band. In quale camera si trovava ogni membro della band? Chi ha commesso il crimine? Ci sono enigmi più facili, altri più difficili, il grado di difficoltà da 1 a 3 è sempre indicato, le soluzioni sono in fondo al libro, ma vi consiglio di resistere alla tentazione di andare a guardarle arrendendovi subito, perché il divertimento dell’indagine è garantito, e sta tutto nel provare (e riprovare) a fare i detective!

di Letizia
Bolzani

Un percorso racconta quando la calce era fatta «in casa»

Territorio ◆ Tra Ghirone e Campo Blenio sono state recuperate tre fornaci

Elia Stampanoni

Per costruire case e stalle, in passato, si utilizzavano materiali disponibili nelle vicinanze. Nel limite del possibile tutto era di provenienza locale: sassi, pietre e legname principalmente. Per completare l’opera un altro elemento era poi essenziale o comunque utile: la calce.

La calce è un prodotto ottenuto da determinante tipi di rocce e si utilizza come legante per la preparazione di malta, come tinteggio e anche per la disinfezione nelle stalle. Prima dell’avvento di quella industriale, chi voleva costruire e usare la calce doveva ingegnarsi nel reperirla o, spesso, nel fabbricarla. Ed è quanto era in uso anche tra Ghirone e Campo Blenio fin verso il 1950, come dimostrano alcune fornaci rinvenute sul territorio, di cui tre recuperate e valorizzate nell’ambito di un progetto promosso dalla Parrocchia di Ghirone, realizzato tra il 2023 e il 2025.

L’interessante iniziativa, a carattere paesaggistico, storico, culturale e pure turistico, ha permesso di salvare dall’oblio delle importanti testimonianze del passato rurale, come racconta Renzo Giamboni, presidente dell’ente promotore e tra i precursori degli interventi: «Durante le mie passeggiate sul territorio ho sempre notato queste costruzioni ormai abbandonate e dimenticate, finché mi sono detto che sarebbe stato un peccato perderle per sempre e quindi abbiamo studiato un progetto per salvarne alcune». Gli scopi principali, racconta Giamboni, erano essenzialmente tre: recuperare tre fornaci per consegnarle integre alle prossime generazioni, creare un percorso didattico e coinvolgere le scuole della regione. Tre obiettivi raggiunti anche grazie al sostegno dei Comuni di Seravalle, Blenio e Acquarossa, dell’Ente regionale per lo sviluppo Bellinzona e valli, del Dipartimento del territorio e di altri partner, tra cui il Percento culturale di Migros Ticino.

I manufatti sono oggi tornati a splendere nella regione dopo gli interventi di ristrutturazione che, affidati ad artigiani locali, sono stati lunghi e impegnativi, dato lo stato d’abbandono delle fornaci, ridotte a un ammasso di sassi e invase dalla vegetazione. Le strutture, ora consolidate e ricostruite in modalità differenti per osservarne meglio l’interno di alcune, si auspica possano diventare un’attrazione per le scuole, ma anche per un turismo attento a questi aspetti culturali: «Nella regione mancava un percorso tematico e siamo contenti di poterne ora proporre uno anche noi, grazie a queste testimonianze salvate dall’oblio», aggiunge Giamboni. Le fornaci si trovano nelle località di Buttino, Sotto Pinadaigra e Calcarida (su alcune mappe indicato Carcarida), unite lungo un anello pedestre

Città e avventura a zero emissioni

Motori ◆ Ecco la nuova Volvo EX30 Cross Country

Mario Alberto Cucchi

Gli chef lo sanno bene. Un piatto ben riuscito è frutto di una combinazione d’ingredienti di qualità e di tanti tentativi volti ad affinare la ricetta. Il risultato è che a un primo assaggio si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di unico. Ecco una metafora per dire che, nel campo automotive, la nuova Volvo EX30 Cross Country che abbiamo appena provato su strada per Azione è nel suo genere davvero vicina all’eccellenza sia per la tecnologia messa in campo che per le prestazioni. Il modello rappresenta lo stato dell’arte della Casa scandinava e non solo. Ecco perché questa prova è stata l’occasione per fare il punto sulla tecnologia a zero emissioni e sulla guida autonoma.

di circa otto chilometri. Il percorso, inaugurato lo scorso 20 giugno, è accompagnato da tre pannelli didattici dove in sequenza si spiegano i procedimenti utilizzati un tempo per ottenere la calce.

A Buttino, in territorio di Ghirone, s’inizia parlando della roccia necessaria per ottenere la calce, che veniva prelevata nei dintorni e poi utilizzata, a procedimento concluso, anche in diversi rustici ancora presenti in zona. Si tratta di una roccia sedimentaria molto diffusa, costituita essenzialmente da calcite. Le pietre venivano trasportate, con l’aiuto di carri trainati da buoi, nei pressi delle fornaci posizionate vicino a dei fiumi o torrenti per l’acqua e prossime ai boschi per la legna. Le strutture venivano costruite scavando parzialmente il fianco di un pendio, in modo che l’isolamento naturale facilitasse il mantenimento delle alte temperature necessarie alla cottura delle pietre calcaree. Entro l’incavo veniva quindi eretto un muro a secco, generalmente a forma circolare oppure con una sezione a botte.

Spostandoci a Pinadaigra, pure lungo il Brenno, il percorso entra nella fase centrale della produzione della calce, spiegando i vari stadi. La prima, quella del carico, era la più delicata e necessitava la costruzione di una volta di pietre che fosse in grado di sostenere tutto il carico di sassi.

Sotto l’arcata veniva poi acceso il fuoco che doveva rimanere vivo e acceso ininterrottamente per circa una settimana, raggiungendo temperature attorno agli 800-1000 gradi centigradi. Le pietre, raccolte, trasportate e frantumate, cuocevano così lentamente nella fase di calcinazione. Quando la fiamma guadagnava gradualmente gli strati alti, uscendo infine dalla parte superiore della massa depositata, significava che la calcinazione era giunta al termine e si poteva smettere di alimentare il fuoco.

A Calcarida, in territorio di Campo Blenio e nei pressi di un’affluente del fiume d’Orsaira, troviamo la terza fornace e il terzo pannello, con indicazioni sugli ultimi passaggi del procedimento. Un lavoro complesso che richiedeva la presenza ininterrotta del calcinatore, che alloggiava sovente sul posto, sotto una tettoia al riparo da pioggia e sole. Una volta attenuato il fuoco, la calce viva ottenuta doveva ancora essere trasformata e si procedeva annacquandola in una vasca in legno detta «mortaio». Si otteneva così, in seguito a una reazione chimica, una pasta denominata calce spenta che poteva essere depositata nelle vicinanze in apposite fosse scavate nel terreno, dove e si conservava per decenni. Sui tre cartelli si trovano inoltre dei codici QR che rimandano al percorso e ad alcuni filmati sulla produzione della calce.

Un quarto pannello didattico, posto in zona Parco Saracino a Ghirone, è stato realizzato grazie all’attività svolta da una classe delle scuole di Olivone che, nel corso dell’anno scolastico 2024/2025. Gli allievi hanno anche incontrato Franco Scapozza, che in gioventù ha potuto osservare il padre all’opera in una fornace di Aquila e ha condiviso ricordi, aneddoti e vicissitudini. Come si può leggere sul tabellone, il lavoro nelle fornaci non era pericoloso, ma era faticoso e bisognava prestare attenzione. Si usavano diversi attrezzi ormai scomparsi ed erano gli uomini che se ne occupavano, dalle 7 di mattina alle 18.30 di sera con un’ora di pausa. In aggiunta ci sono poi fotografie storiche della Fondazione archivio fotografico Roberto Donetta, così come i disegni dei bambini.

Un mestiere del passato, abbandonato gradualmente tra il 1940 e il 1950 con l’arrivo della calce in sacchi prodotta altrove, ma che rivive grazie a queste testimonianze e alle tracce rimaste e valorizzate sul territorio.

Partiamo proprio da una delle maggiori criticità delle auto elettriche: l’autonomia. Diversi studi hanno dimostrato che l’automobilista 2.0 soffre addirittura di ansia da ricarica. Come dargli torto: sino a ieri alcune auto elettriche avevano anche soli 200 chilometri di autonomia. Oggi alcuni modelli sorpassano di slancio i 600 km ma noi riteniamo che in generale si possano utilizzare senza ansie particolari auto che dichiarino una percorrenza superiore ai 400km. Soprattutto se si tratta di auto compatte come la Volvo EX30 Cross Country che infatti vanta un’autonomia di 427 km a zero emissioni allo scarico. Poi bisogna pensare ai tempi di ricarica. Possono essere lunghi con la presa del box di casa, ma devono essere superveloci se connessi a una colonnina fast charge e questo non è scontato. Dipende infatti dalla capacità del caricatore di bordo che nel caso di questa Volvo è in grado di ricaricare dal 10 all’80% in soli 26 minuti, utilizzando colonnine in corrente continua fino a 175 kW.

Lo abbiamo capito: l’elettrico ben si sposa con la guida autonoma. Va detto, se tutte le auto fossero dotate di ADAS – Advanced Driver Assistance Systems – si eliminerebbero (o quasi) gli incidenti e avremmo un traffico molto più fluido. La dotazione di EX30 Cross Country è quella che

tutte le auto dovrebbero avere: monitoraggio dell’attenzione, frenata automatica con riconoscimento di pedoni e ciclisti. Non manca il cruise control adattivo che permette di seguire l’auto che ci precede, mantenendo la velocità frenando e riaccelerando quando necessario. C’è anche la trazione integrale con ripartizione intelligente della coppia motrice che rende la marcia fluida e migliora la tenuta. Nel caso di questa Volvo le quattro ruote motrici si hanno grazie a due propulsori elettrici alimentati da una batteria da 69 kWh. Uno dedicato alle ruote anteriori e uno a quelle posteriori per una potenza combinata di ben 428 cavalli con una coppia di 543 Nm. Numeri da vera supercar, migliori di molte auto sportive.

Sullo scatto da fermi a cento orari il cronometro si ferma dopo soli 3,7 secondi mentre la velocità massima è di 180 km/h. Ecco emergere con EX30 Cross Country un’altra verità dell’elettrico: una velocità massima elevata non va d’accordo con questo tipo di tecnologia, perché le batterie si scaricherebbero troppo in fretta. Una ripresa brillante, invece, permette di immettersi velocemente e in sicurezza in autostrada senza provocare inutili rallentamenti. Se le automobili devono anche emozionare, certamente uno scatto del genere non lascia indifferenti!

Nelle auto ci vuole anche il design e la ricercatezza nelle soluzioni. «Abbiamo introdotto la nostra prima Cross Country oltre 25 anni fa e questo concetto di vetture resistenti e adatte a tutte le condizioni atmosferiche costituisce il cuore del marchio Volvo», ha spiegato Jim Rowan, CEO di Volvo Cars. «In Svezia affrontiamo inverni rigidi e ci piace approfittare della stagione fredda per esplorare la straordinaria natura che ci circonda. Ecco perché vogliamo offrire a chi acquista la EX30 Cross Country un’esperienza a tutto tondo». Rispetto alla «normale» Volvo EX30, la new entry di Göteborg cambia all’esterno: è più alta da terra di circa 20 mm, ha protezioni sottoscocca aggiuntive, passaruota maggiorati e cerchi specifici da 19” o 18”, abbinabili su richiesta a pneumatici all-terrain. Il design resta tuttavia pulito, lasciando trasparire l’anima outdoor della vettura con dettagli unici, come il rilievo topografico del massiccio svedese del Kebnekaise inciso sul frontale: un omaggio alle origini, ma anche una dichiarazione d’intenti.

Tirando le somme è una crossover compatta a zero emissioni pensata per chi non vuole rinunciare alla mobilità urbana, ma allo stesso tempo cerca un mezzo polivalente, in grado di sconfinare su percorsi sterrati leggeri. Il prezzo? 53’850 Chf con davvero tutto di serie.

alleAccanto terme Leukerbaddi
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Fornace per la produzione di calce in località Buttino. (E. Stampanoni)
La nuova Volvo EX30 Cross Country, un concetrato di tecnologia e design

Le parole dei figli

Dark pattern

«Mamma, la sfida a Brawl Stars la devo fare oggi perché c’è in palio un regalo. Cosa posso vincere? Skin, potenziamenti che ti danno più vita, più danno o abilità extra». Lo ammetto subito: nonostante la mia passione per Le parole dei figli, quando Enea, l’undicenne di famiglia – un talento per la matematica ma un’avversione per i temi di italiano – pronuncia questa frase, mi spazientisco: «Possibile che alla tua età tu non riesca ancora a esprimerti in modo comprensibile?». I suoi occhi sgranati e il nervoso che vedo salirgli rapidamente mi spingono a rivolgermi a ChatGPT, chiedendole in che cosa consiste il videogioco Brawl Stars: «In pratica, è una specie di battaglia in arena: scegli un personaggio (chiamato brawler), ognuno con abilità uniche, e combatti contro altri giocatori in partite veloci da 3 contro 3». La sorpresa arriva poche righe dopo,

Terre Rare

quando l’IA aggiunge: «Il gioco punta sulla raccolta di skin e potenziamenti che danno al brawler più vita, più danno o abilità extra». Che vergogna! In realtà, Enea si è espresso bene, usando i termini propri dei videogiochi, esattamente come fa anche ChatGPT. Sono io l’estranea a questo linguaggio. Le skin sono i vestiti o le versioni alternative dei brawler : non cambiano la forza del personaggio, ma lo fanno sembrare diverso. Più vita vuol dire che il tuo brawler resiste di più agli attacchi degli avversari. Più danno significa che quando attacchi, fai più male agli altri: riesci a batterli con meno colpi. Abilità extra sono nuovi poteri speciali che prima non aveva: uno scudo, una super-velocità, una cura magica. In pratica: il tuo personaggio diventa più forte e più difficile da battere. All’inizio, incapace di capire la termi-

Notizie dall’interno dell’IA

Avrete sentito parlare, nelle scorse settimane, della nuova ondata di licenziamenti decisa da Microsoft, che colpiscono suoi collaboratori attivi nelle sue sedi americane e nel mondo. Il colosso di Redmond ha comunicato l’iniziativa con il solito distacco formale. Si tratta di «cambiamenti necessari per posizionare al meglio la società per il successo». I mercati finanziari hanno reagito positivamente, con un leggero rialzo delle quotazioni, poi stabilizzatosi. Uno «stiamo a vedere», più o meno, che mostra gli investitori fiduciosi: 9000 licenziamenti bastano a tranquillizzarli, pare. La notizia ci tocca relativamente, è una delle molte che si accavallano sui media attorno al «costo», in senso economico ma anche umano, che ha la ricerca nel settore dell’Intelligenza Artificiale. Caso vuole che, uno di quei 9000,… sia un nostro amico.

Una persona in carne ed ossa che conosciamo. Abbiamo provato a chiedergli cosa stia succedendo, come si vede la faccenda da dietro le quinte. «Lavoravo lì da quattro anni, in un settore dell’azienda in cui si fa veramente ricerca, si fanno pubblicazioni di tipo accademico che non hanno necessariamente immediato riscontro nel prodotto. Il mio campo di lavoro era a cavallo tra IA e data science ». Luigi (il nome è fittizio) è finito nelle maglie del nuovo provvedimento. Non sa bene cosa aspettarsi. Se gli si chiede «ti hanno licenziato per colpa dell’IA?» è dubbioso. «È difficile a dirsi con certezza, vista la mancanza di trasparenza, in parte anche dovuta ai tipi di contratti at will tipici degli Stati Uniti, che non richiedono di fornire spiegazioni quando si terminano. Le ragioni “ufficiali” che hanno fornito erano di ristrutturazio-

Approdi e derive

Pensieri canicolari

«Il fuoco è metafora della vita, uno dei princìpi di spiegazione universale. Splende in paradiso. Brucia all’inferno. È dolcezza e tortura. È buono e crudele, è veramente un dio». Sono parole del filosofo Gaston Bachelard che alla riflessione sul fuoco ha dedicato pagine bellissime, intrecciando razionalità e immaginazione, coniugando l’indagine scientifica sul fenomeno del calore, cui ha dedicato studi importanti, con riflessioni sorprendenti attorno al valore simbolico dell’esperienza del fuoco. Nel 1967, nel saggio Psicoanalisi del fuoco, scrive: «La scienza si forma più su una fantasia che su un’esperienza e sono necessarie parecchie esperienze per cancellare le nebbie del sogno». Nelle opere dedicate agli elementi naturali, Bachelard coglie la ricchezza e la complessità del nostro modo di abitare la vita e di comprendere il mondo, non solo attraverso il pensiero ma innanzitutto attraverso l’immaginazione. La fantasticheria è radice feconda

nologia di Enea, mi sfugge completamente ciò che sta dietro alle sue parole: quella sfida a tempo, con il regalo in palio, non è solo una trovata simpatica del gioco. È un esempio di dark pattern. Lo capisco solo settimane dopo, leggendo giovaniemedia.ch, uno degli strumenti principali che la Confederazione mette a disposizione per aiutare genitori e insegnanti ad accompagnare bambini e adolescenti nell’uso sicuro e responsabile dei media digitali: «Se c’è un aspetto dei videogiochi che i genitori dovrebbero assolutamente comprendere, è proprio quello dei meccanismi che contribuiscono al loro fascino». Dark pattern, tradotto letteralmente dall’inglese «schema ingannevole», indica infatti le strategie usate nei videogiochi per spingere il giocatore a compiere azioni che, forse, senza quella pressione,

non avrebbe scelto. Nel caso di Enea, la scadenza imminente e la promessa di una ricompensa creano urgenza e paura di perdersi qualcosa: meccanismi molto potenti, soprattutto per un bambino di 11 anni. Con l’aiuto di giovaniemedia.ch passiamo in rassegna alcune delle trappole più comuni nascoste nei videogiochi. La trappola delle ricompense e le loot box (scatole del bottino) si basano su principi tipici del gioco d’azzardo e sul meccanismo di attrazione delle slot machine: da un lato vengono promessi premi a sorpresa che non sai quando arrivano che ti invogliano a continuare a giocare, dall’altro sei spinto a comprare scatole misteriose senza sapere cosa c’è dentro. Altri contenuti sono pensati per rendere difficile fare una pausa: se non ti connetti ogni giorno, rischi di perdere quanto hai ottenuto. Ostacoli artificiali ti anno-

iano e ti inducono a spendere soldi per avanzare più in fretta. Spendere soldi ti permette anche di diventare più forte più velocemente. Non mancano i pulsanti ingannevoli: il tasto per comprare è grande e visibile, quello per rifiutare nascosto e poco evidente. Il risultato è che i dark pattern sono studiati per allungare il tempo di gioco dei nostri figli, sviluppare dipendenza e colpire anche il portafoglio. «Consiglio per i genitori: se i dark pattern sono già difficili da decifrare per gli adulti, figuriamoci per bambini e adolescenti – sottolinea giovaniemedia.ch –. È allora fondamentale parlarne con i propri figli e spiegare qual è il loro scopo e perché i fornitori di videogiochi li utilizzano. Prendetevi il tempo necessario per familiarizzare con i loro videogiochi preferiti. Giocate insieme e lasciate che vi spieghino cosa li affascina così tanto».

ne dell’azienda, che è una tautologia priva di informazione (come dire “licenziamo persone perché cambiamo il personale”). Si possono fare tante speculazioni sulle motivazioni, e personalmente penso che gli enormi investimenti che hanno fatto sull’IA, in particolare per l’infrastruttura (ad esempio le costosissime GPU, processori che elaborano le immagini grafiche) possano essere uno dei motivi per cui abbiano bisogno di più cash Considera anche che sui licenziamenti c’è totale silenzio da parte di tutti». Ma, visto dall’interno, il settore dell’IA è davvero la gallina dalle uova d’oro? Molti segnalano problemi e difetti ancora evidenti nel meccanismo. «È un discorso molto ampio, ed è difficile spiegarlo in poche parole. L’IA è un nuovo tool, molto potente, che ancora non conosciamo appieno. Ha sicuramente i suoi pregi e i suoi

difetti, e molti degli (enormi) investimenti sono in effetti atti ad esplorare e comprendere meglio questi pregi e difetti. La stessa cosa si può dire della maggior parte delle nuove tecnologie, anche di quelle a cui ora siamo totalmente abituati a diamo per scontate. Per me ha senso che si investa per questa esplorazione: abbiamo bisogno di capire come usare l’IA, ma anche come non usarla. Se ci si può “fidare” dell’IA, è un altro discorso. Sicuramente la tecnologia non è arrivata al punto tale che puoi prendere qualsiasi cosa dica l’IA senza controllarne la correttezza, l’etica, ecc. L’essere umano è ancora necessario. Se verrà mai totalmente rimpiazzato, non lo so, ma al momento questi tool IA sono pensati per essere piuttosto un supporto all’essere umano. Ad esempio Copilot scrive codice ma un ingegnere deve comunque controllare

ed eventualmente aggiustare il codice scritto dall’IA». Luigi con l’IA ci ha lavorato comunque, fino ad oggi, quotidianamente. Che impressione ne ha ricavato? «La usavo (e la uso) massivamente, sia nel lavoro che nella vita privata. Ha di gran lunga migliorato la mia vita in vari aspetti. Ma non la uso alla cieca, non credo a tutto quello che dice senza filtrare le sue risposte criticamente. Anzi, penso che usare queste tecnologie possa anche essere un modo per sviluppare il proprio senso critico e di leadership. Non capita spesso di avere un “servetto” che produce tutto quello che gli chiedi, anche se spesso produce errori. Più che fidarsi dell’IA, tramite l’uso dell’IA puoi imparare a fidarti del tuo senso critico e del tuo istinto, o perlomeno svilupparli». Grazie Luigi. Un abbraccio, e in bocca al lupo.

della nostra umanità perché ci mette in contatto con la realtà dei nostri più intimi vissuti, e sa parlare il linguaggio dell’anima. Bello farsi accompagnare da questo suo sguardo che raccoglie, come in un abbraccio, ragione scientifica e creazione poetica. «Il fuoco è paradiso e inferno, dolcezza e tortura», dice il filosofo. Di questa radicale ambivalenza possiamo fare esperienza in prima persona nel nostro vivere e convivere. Possiamo riconoscere il valore inestimabile del calore umano, o la potenza del cosiddetto fuoco sacro, energia e passione vitale o, ancora, possiamo contemplare la grandiosa bellezza della fiamma olimpica, imperitura metafora della vita. Ma ci tocca convivere anche con inquietanti armi da fuoco e con pericolose teste calde, scongiurando il rischio di inopportune reazioni a caldo. Nei trascorsi giorni di grande calura mi è apparso ancor più chiaro il senso

di questa ambivalenza. L’esperienza del calore esagerato di quelle giornate è diventata così una specie di provocazione che mi ha spinta a ripensare alle rappresentazioni simboliche con cui questo elemento primordiale ha attraversato la nostra civiltà, fin dalle origini mitologiche. Prometeo, un titano figli di Giapeto, ruba il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini e per questo suo gesto ribelle viene incatenato a una rupe e punito atrocemente. In questo celebre mito, che in molteplici versioni ha attraversato tutta la cultura occidentale, il fuoco è simbolo delle potenzialità del genere umano, portatore di luce e di progresso nel divenire dell’umanità. Con il fuoco Prometeo dona agli uomini il potere della tecnica e della conoscenza.

La punizione di Zeus, così apparentemente estranea alla nostra cultura, richiama invece, con sorprendente attualità, quella hybris, quella tracotanza che da sempre alimenta il desiderio

umano di superare i limiti della propria condizione. «Amò i mortali oltre misura», dice Eschilo nel Prometeo incatenato Ispirata al «nulla di troppo» immortalato sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, buona parte della filosofia greca può essere considerata una grandiosa lezione di etica che attraversa i secoli e fonda sul valore del limite la possibilità di orientare l’agire di una vita buona e felice.

In questo contesto etico è interessante la versione del mito che Platone racconta nel Protagora. Poiché gli uomini erano sprovvisti di qualità naturali distribuite agli altri animali, Prometeo rubò la sapienza tecnica di Efesto e di Atena insieme al fuoco, «perché acquisire o impiegare questa tecnica senza il fuoco era impossibile». Ma questo dono non era sufficiente, né per proteggersi dagli altri animali né tantomeno per convivere in armonia. C’era bisogno di un altro dono, erano necessari pudore e

giustizia, ovvero la virtù etico-politica della convivenza, nel rispetto reciproco del limite. Come ben sappiamo, il messaggio degli antichi è stato quasi sempre inascoltato nel corso della storia, e a tutt’oggi la hybris, invincibile tracotanza che spinge gli uomini a superare ogni limite, gode di ottima salute. È così che la dolcezza del fuoco, simbolo del desiderio di conoscenza e dell’intelligenza tecnica, diventa inferno e tortura.

Anche la canicola ha qualcosa da dirci in proposito. Anche lei ci racconta di squilibri e di emergenze climatiche, di surriscaldamento atmosferico e di siccità, di desertificazione e di cementificazione. Il fuoco buono, simbolo del progresso che rende possibile l’espressione della nostra umanità, mostra il suo volto di fuoco crudele, in ostaggio alle forme rinnovate di hybris che continuano ad alimentare il nostro sguardo antropocentrico sulla vita.

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Cambiamento di sesso: «Interventi sui minorenni da vietare»

Svizzera ◆ La consigliera di Stato zurighese Natalie Rickli chiede alla Confederazione di introdurre limiti per tutelare i giovani scatenando reazioni da parte della sinistra e delle associazioni che si muovono in difesa dei diritti delle persone transgender

Il tema è delicato e divisivo: le operazioni chirurgiche per chi è intenzionato a cambiare sesso, e a farlo già da minorenne. Un argomento che in questo mese di luglio è tornato ad animare il dibattito politico e anche scientifico in Svizzera. A riaprire le discussioni ci ha pensato la consigliera di Stato del canton Zurigo Natalie Rickli, che in una conferenza stampa ha sollecitato Berna a vietare questo tipo di operazioni, una misura voluta «per proteggere questi giovani minorenni, visto che si tratta di interventi irreversibili», come ha sottolineato la stessa Rickli. Un divieto nazionale che può essere introdotto solo dalla Confederazione, da qui l’esortazione della ministra zurighese, che nel suo cantone dirige il Dipartimento della sanità dal 2019, dopo essere stata per dodici anni consigliera nazionale a Berna.

Zurigo mira inoltre a una pratica più restrittiva anche per quanto riguarda la somministrazione di bloccanti della pubertà

Rickli è considerata una delle figure di spicco dell’UDC e sul tema in questione ha deciso di intervenire anche perché in questi ultimi anni diversi genitori di bambini e ragazzi transgender si sono rivolti al suo Dipartimento per esprimere le loro perplessità sul modo in cui i loro figli erano stati seguiti a livello medico e psicologico, con cure decise e realizzate «in modo precipitoso», come si legge nel comunicato sul tema pubblicato lo scorso 7 luglio dal Dipartimento della sanità zurighese. Segnalazioni che hanno spinto Rickli e i suoi servizi a voler approfondire la questione. Ed è proprio sulla base di questi accertamenti che Zurigo fa ora pressione sul Governo federale. In questo ambito non si tratta della prima mossa della responsabile della sanità zurighese, che già all’inizio del 2024 era intervenuta chiedendo di limitare il più possibile questo tipo di interventi su minorenni e di farlo solo con il consenso dei genitori. Un primo provvedimento, limitato al solo canton Zurigo, che a detta della stessa Rickli ha già portato ad alcuni risultati, «a tal punto che nel 2024 il numero di questi interventi è diminuito in modo significativo».

Le cifre zurighesi in questo ambito ci dicono che dal 2020 al 2023 il numero totale di questi interventi è praticamente raddoppiato, passando da 67 a 133, mentre per i minorenni c’è

stato un aumento da 8 a 14 operazioni, ma con un calo significativo per quanto riguarda il 2024, anno in cui se ne sono registrate soltanto 4. Da notare che nel canton Zurigo prima del 2020 non c’erano mai stati interventi di riassegnazione del sesso su minorenni. La

I dati ticinesi

In Svizzera nel 2023 – dice l’Ufficio federale di statistica – 556 persone si sono sottoposte ad almeno un intervento di «riassegnazione sessuale» (20 ticinesi, di cui 13 con interventi dal femminile al maschile). Le statistiche non riportano casi di pazienti ticinesi minorenni prima del 2023, mentre risultano tre casi di minori quell’anno (lo dice il CdS rispondendo all’interrogazione n.10.25 del 16 gennaio 2025 Bloccanti della pubertà nei minori, è il momento di limitarne l’uso).

perizia voluta dal Dipartimento della sanità zurighese su questo tema non ha comunque messo in evidenza lacune particolari nella presa a carico di questi pazienti, per Rickli è però necessario introdurre «nuovi standard di qualità». Per questo motivo gli ospedali del suo Cantone che effettuano questi interventi dovranno ora dotarsi di una commissione interdisciplinare di esperti, anche per migliorare la trasparenza e la comunicazione nei confronti delle famiglie. Zurigo mira inoltre a una pratica più restrittiva anche per quanto riguarda la somministrazione di bloccanti della pubertà, farmici utilizzati per rallentare lo sviluppo di alcune caratteristiche sessuali, come lo sviluppo del seno. La presa di posizione della responsabile della sanità zurighese ha subito portato a diverse reazioni. Da quelle soddisfatte del suo partito a quelle molto critiche della sinistra e delle associazioni che si muovono in difesa dei diritti delle persone transgender. È stata promossa anche una

petizione online, che in poco tempo ha già raccolto oltre dodicimila sottoscrizioni. Per il partito socialista le misure previste a Zurigo limitano la libertà di autodeterminazione dei giovani e non tengono conto della sofferenza che pesa su questi giovani in transizione.

«Il quadro normativo e le linee guida attuali –pensa il Governo ticinese –garantiscono un approccio responsabile e sicuro»

Sulla stampa d’Oltralpe ha preso posizione anche la consigliera di Stato vodese Rebecca Ruiz, socialista e alla guida del Dipartimento della sanità del suo cantone. Ruiz ha fatto riferimento ad un recente rapporto pubblicato dalla Commissione nazionale di etica in medicina umana, in cui si affronta anche la questione delle operazioni di riassegnazione del sesso per chi è minorenne. Per questo gruppo

di esperti è «inammissibile» privare una persona, anche se minorenne, di accedere alle cure mediche richieste e necessarie al suo benessere. La decisione che porta ad un intervento chirurgico di questo tipo deve essere presa in modo «partecipativo», coinvolgendo anche il contesto sociale in cui vive il giovane in transizione, nel rispetto comunque della sua capacità di decidere in modo autonomo. Da questo punto di vista il divieto su scala nazionale richiesto dal canton Zurigo non sembra avere molte possibilità di essere accolto, anche se l’UDC si è già detta intenzionata a presentare anche degli atti parlamentari su questo argomento. E qui va detto che diversi altri Paesi, che avevano in passato permesso operazioni trans anche su minorenni, hanno di recente introdotto misure di segno opposto. È il caso di Finlandia, Svezia e Gran Bretagna. Una frenata che nel Regno Unito è legata a filo doppio alle conclusioni a cui è giunto il cosiddetto «Cass-Report», redatto su mandato del Governo britannico dalla pediatra Hillary Cass. Un’analisi ad ampio raggio, durata ben quattro anni, in cui si giunge alla conclusione che le basi scientifiche per questi tipi di interventi sono al momento «fragili». Il Cass-Report sottolinea che per la maggior parte dei giovani minorenni che vivono in una situazione di incongruenza di genere «un percorso medico potrebbe non essere il migliore». Un rapporto che comunque non fa l’unanimità nella comunità scientifica britannica.

Il tema ha avuto di recente dei riverberi anche in Ticino, con il Consiglio di Stato che ha risposto lo scorso 4 giugno ad una interrogazione presentata dal partito del Centro e che chiedeva una moratoria cantonale sia sull’utilizzo dei bloccanti della pubertà, sia sugli interventi chirurgici di transizione su pazienti minorenni. Il Governo ticinese ha bocciato questa proposta e nella sua risposta ha citato anche quanto affermato dal Consiglio federale su questo argomento, in risposta a due interpellanze parlamentari: «Il quadro normativo e le linee guida attuali, costantemente rivisti alla luce delle nuove evidenze scientifiche, garantiscono un approccio responsabile e sicuro». Ora il Governo federale dovrà comunque rispondere alle sollecitazioni del Canton Zurigo, simili del resto a quelle adottate di recente anche dal Canton Berna. Due cantoni di peso e un braccio di ferro in vista con il Consiglio federale, su un tema estremamente delicato.

Roberto Porta
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Quell’America che si avvita su sé stessa

L’analisi ◆ Gli Usa sono precipitati in una profonda crisi di identità mentre lo spettro della terza guerra mondiale si materializza

Non c’è nulla di più importante al mondo, che riguardi l’umanità intera: riusciranno gli Stati Uniti d’America a superare la profonda crisi di identità in cui sono precipitati in questo primo quarto di secolo, oppure no? Nessuno può coltivare certezze in materia. Salvo constatare che indipendentemente dalla risposta – in ogni caso da misurare nel corso di anni, se non decenni – la nostra vita cambierà. Stiamo trattando della massima superpotenza della storia, che ha dominato gli ottant’anni che ci separano dalla Seconda guerra mondiale e le cui difficoltà potrebbero annunciare la vigilia della terza, come intuito da papa Francesco nel suo famoso slogan della «guerra mondiale a pezzi». Eppure si può percepire, almeno in Europa, una certa riluttanza a tematizzare il problema, forse perché troppo grande e gravido di conseguenze per noi, che bene o male siamo parte dell’impero americano. Alla cui ombra abbiamo ricostruito patrie distrutte e – in parte –reputazioni compromesse. E abbiamo goduto di questa lunga pace, mai così protratta nella storia del Vecchio Continente, soprattutto in grazia della copertura americana. Pace che appunto rischiamo di perdere proprio perché a Washington parrebbero stanchi di tenere aperto il cosiddetto «ombrello» strategico (leggi nucleare) che avrebbe scoraggiato qualsiasi avversario dall’attaccare le province originarie del sistema americano.

Sgombriamo subito il campo da un equivoco diffuso. Piaccia o non piaccia la crisi non è dovuta a Trump. Lui ne è la conseguenza. Ed è dalla composita coalizione, già abbastanza lasca, che si richiama al presidente, che deve essere avviata la terapia ricostituente. Una rivoluzione, invero. Per ora non

funziona. Soprattutto perché gli americani soffrono della perdita di un’identità condivisa. Dramma prodotto dalla globalizzazione, intesa come americanizzazione del pianeta, temerariamente avviata a cavallo del cambio di millennio sotto Clinton, riscrivendo parte del copione già schizzato da Reagan. Dunque neoliberismo in economia, sinonimo di mercatismo ovvero arretramento dello Stato e del ruolo pubblico nell’economia, surrogato in buona misura dai privati che usano delle istituzioni a piacimento. Per il bene di tutti, dicono. Sorta di iper-capitalismo mercatocentrico che esalta il ruolo del singolo imprenditore grazie ai cui spiriti animali alla fine tutti vincono e nessuno perde. Allo stesso tempo, dilagano le pratiche aziendali fondate sui princìpi del management, depurati di qualsia-

si considerazione sociale e indifferenti al regime politico, tanto da rendere il modello liberaldemocratico a stelle e strisce irriconoscibile. Ne è nata una spaccatura verticale fra ricchi e ricchissimi e classi medio-basse di razza bianca e cultura protestante/evangelicale. Mentre l’ex superpotenza industriale ha quasi abbandonato la manifattura, delocalizzandola in nome della globalizzazione e della ricerca di manodopera a basso costo. La crisi non è tanto economica quanto culturale. Con l’individualismo assoluto si produce il grado zero della comunità. Della Nazione. Nelle parole della profetessa del neoliberismo applicato, l’ex premier britannica Margaret Thatcher: «La società non esiste». Se ne deduce un peculiare nichilismo, diffuso in tutto l’Occidente, ma prorompente negli States. Accom-

«La fame è un’arma di guerra»

pagnato a fenomeni di depressione, di cui l’uso delle droghe stordenti – fentanyl su tutte – è conseguenza inaggirabile. Un americano su tre è diagnosticato depresso. La malattia diventa strutturale spaccando le famiglie, dove spesso ciascuno conduce vite separate. O rinuncia ad averne una per incompatibilità di cultura di base: solo 4 matrimoni su 100 avvengono fra democratici e repubblicani, o comunque persone afferenti ai due schieramenti, ormai due quasi-Nazioni che non si sopportano. È più facile che ci si mescoli per razza: gli sponsali fra bianchi e neri sono 9 su 100.

Classificare il trumpismo come rozzo «populismo» – termine troppo speso per poter significare qualcosa – non aiuta la diagnosi. Se non ricordandoci che alla radice del successo di Trump che si comporta da monarca

assoluto non avendone i poteri sta mutando la costituzione materiale degli Usa. A forza di tentare cambi di regime in case altrui, gli americani stanno cambiando il proprio prendendo a modello i regimi che si proponevano di liberalizzare. Sicché cresce la rivolta dei «deplorevoli» (copyright Hillary Clinton), degli «hillbillies» (burini) cantati dal vicepresidente Vance, contro le élite liberal.

Non basta accorciare le linee dell’impero, per definizione impossibile su scala globale, per salvare la repubblica. Anzi, le due crisi, interna ed esterna, mescolandosi accelerano il declino. L’ossessione della Cina, unico tema più o meno unificante dei gruppi dirigenti a stelle e strisce, non promette bene. Anzi, estrapolando la tendenza corrente nel tempo prossimo è palese come questa rischi di sfociare davvero in quel conflitto mondiale che sarebbe quasi certamente l’ultimo. Per successiva carenza di umani. Noi europei siamo interessati a evitare che l’America si avviti su sé stessa, scivolando verso l’apocalissi. Da amici, o almeno soci del «numero uno», potremmo fare di più per aiutarci insieme, americani ed europei, a non precipitare verso l’irrimediabile. Ma viviamo tempi di paradossi. Mentre la massima potenza militare del pianeta cerca, con scarso successo, di mediare fra i combattenti o almeno frenare le guerre, noi europei, più o meno nani militari, giochiamo al riarmo. Naturalmente in ordine sparso. Quando un cancelliere tedesco annuncia di voler riportare il suo Paese, autoproclamato campione di europeismo, alla leadership militare nel Continente e nessuno o quasi ne parla, vuol dire che siamo fuori rotta. Il tempo per raddrizzarla scarseggia.

Striscia di Gaza ◆ Il massacro continua, anche nei centri di distribuzione di aiuti, mentre l’Europa decide di non sanzionare Israele

Angela Nocioni

A Gaza, sotto le bombe, ci sono anche persone volontarie che rischiano la vita per portare aiuti concreti ai palestinesi intrappolati. Alcune di loro operano per Gazzella Onlus, un’associazione senza scopo di lucro che da anni si occupa di assistenza, cura e riabilitazione dei bambini palestinesi feriti da armi da guerra nella Striscia. «La situazione a Gaza non è mai stata così grave. Dall’inizio della guerra sono stati uccisi quasi 18’000 bambini: una media di 28 al giorno. È come se ogni giorno morisse un’intera classe». A riferirlo è Rosalia Bollen, portavoce dell’Unicef attiva sul campo. Settimana scorsa sono arrivate testimonianze dirette, con video agghiaccianti, del bombardamento israeliano del punto fisso di distribuzione dell’acqua nel campo profughi di Nuseirat dove Gazzella Onlus opera. «L’associazione distribuisce acqua lì tutti i giorni – dicono i volontari – oltre alla distribuzione che avviene con camion cisterna e con trasporto trainato da animali. Un volontario che si occupava della distribuzione è stato ucciso assieme a una decina di persone (molti bambini) che erano in fila per prendere l’acqua. Tanti i feriti. È stato ucciso anche il fratello di una delle volontarie che fanno il pane: si trovava nei paraggi per caso. Non ci

sarà distribuzione né di pane né di acqua. Speriamo di riprendere presto».

Alcuni dei volontari sono usciti dalla Striscia e tentano di trovare vie per organizzare sostegno dal Libano. Altri sono rimasti, si sentono nel mirino dell’esercito israeliano e parlano solo a patto che non compaia il loro nome. Descrivono l’inferno.

Anna T. racconta: «Gli aiuti sono una trappola. Israele ha imposto un sistema che è una macchina mortale. I palestinesi lo sanno ma l’alternati-

va è morire di fame e di sete. Possono resistere un po’, ma alla fine si devono arrendere alla catena di distribuzione degli aiuti. La macchina stritolatrice si chiama Gaza humanitarian foundation. Funziona così: i siti attualmente funzionanti per la distribuzione degli aiuti, capillarmente controllati da Israele, sono soltanto quattro e sono sotto le armi puntate dell’esercito israeliano. Gli affamati palestinesi – perché tutta la popolazione civile è ridotta alla fame, che è un’arma di

guerra – devono andare fin lì, devono camminare per ore, più morti che vivi, per arrivare in uno di questi quattro posti altamente militarizzati, con un unico varco per entrare. Tutti sembrano vacche magre in fila per il macello e, mentre cerchi cibo per i tuoi bambini, ti possono sparare e infatti i militari israeliani sparano». Fonti confermano che in questi luoghi altamente militarizzati, non evitabili per chi non vuol lasciarsi morire di fame, l’esercito israeliano ha ucciso bambini e ragazzi. Sparano durante la distribuzione di misere razioni di cibo e acqua. Intanto a Gaza non esiste assistenza sanitaria. Manca tutto. Quindi molti muoiono perché restano a terra e perdono sangue. Nessuno può intervenire per evitare che muoiano dissanguati. E chi sopravvive? Chi ce la fa? Racconta un altro volontario R.: «Senza acqua potabile e senza combustibile non funziona niente in emergenza. Chi ce la fa ad avere qualcosa sta con gli altri tra pietre e macerie, tra tutto quel che vedete anche voi perché le immagini da qui sono uscite e voi le vedete, sta dentro questa distruzione cercando di mettere in bocca una piccola cosa, se l’ha trovata, per non morire di fame». Intanto la politica temporeggia.

È di martedì 15 luglio la notizia che i Paesi membri dell’Unione europea hanno deciso di non sanzionare Israele, in una riunione dei ministri degli affari esteri. Riuniti un’ultima volta prima delle vacanze estive a Bruxelles, i 27 ministri dovevano prendere posizione sul seguito da dare al rapporto presentato dalla capa della diplomazia europea, Kaja Kallas, sul mancato rispetto da parte dello Stato ebraico dell’accordo di associazione con l’Ue. Dovevano rispondere all’affermazione chiarissima fatta nel documento: «Ci sono indicazioni secondo cui Israele non avrebbe rispettato i suoi obblighi in materia di diritti umani», e l’articolo 2 dell’accordo prevede esplicitamente che quegli obblighi vanno rispettati. Tuttavia gli Stati dell’Unione si sono rifiutati, per il momento, di approvare alcune delle 10 misure di sanzioni possibili elencate da Kallas durante la riunione. Queste sanzioni vanno da una sospensione dell’accordo di associazione a misure più mirate, come un embargo contro i prodotti provenienti dalle colonie ebraiche della Cisgiordania o la sospensione della partecipazione di Israele ad alcuni programmi europei. Niente, è stato deciso di non fare niente. Intanto i massacri di civili continuano.

Attese nel campo profughi di Nuseirat. (Keystone) Keystone

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Come risollevarsi dal pantano?

Regno Unito ◆ Il Governo non ha mantenuto le promesse, l’economia va male e la prima cancelliera della storia del Paese – Rachel Reeves – si è mostrata sconfortata. Da dove si può ripartire

Si può diventare potenti piangendo in mondovisione? La domanda è più che mai attuale, dopo che Rachel Reeves, prima cancelliera della storia del Regno Unito, ha trattenuto a fatica un paio di lacrime e un tremolio del labbro in Parlamento e, con questa immagine di esasperazione, ha scatenato sui mercati un momento panico che non si vedeva dai tempi delle sconsiderate uscite della ex premier Liz Truss: sul momento la sterlina ha perso quota e i bond sono saliti, meno che ai tempi della finanziaria più pazza del mondo dell’autunno del 2022 ma comunque abbastanza da risvegliarne il fantasma. Solo in un primo momento, però.

Il Governo ha dalla sua di essere stato risparmiato dai dazi trumpiani, che nel caso di Londra si sono fermati a un mite 10%

Tutto è infatti tornato alla norma una volta ottenuta la garanzia, che il suo capo Keir Starmer non aveva voluto inizialmente dire – da qui le lacrime, anche se ufficialmente c’era un problema personale precedente – che sarà lei, con il suo rigore fiscale e la sua impermeabilità al populismo, a curare anche in futuro i conti pubblici di un Regno Unito molto in crisi. E dopo lo choc iniziale, nelle ultime settimane è stato tutto un fiorire di commenti incoraggianti sulla grande stampa finanziaria, da «The Economist» al «FT» alle newsletter degli analisti.

Le lacrime le hanno dato uno spazio politico che prima non aveva: era donna, era seria, era preparata, faceva tutto quello che le diceva il boss e, se qualcosa andava male, si prendeva la colpa. Ora non è più così. Quella di Reeves è una parabola

Fra i Libri

piuttosto singolare, perché quel giorno alla Camera il Governo, quello sì davvero singhiozzante, di Starmer stava per festeggiare un anno ed era alle prese con l’ennesima inversione di rotta su una misura necessaria dal punto di vista dei conti pubblici ma altamente impopolare, ossia il taglio dei sussidi per i disabili, su cui rischiava una ribellione enorme della sua pur larga maggioranza. Per questo ha sacrificato i tagli da 6 miliardi previsti da Reeves e necessari non solo per sanare le finanze, ma anche per rispettare le stringenti regole di bilancio che il Governo, nella sua lontana luna di miele con gli elettori, si era dato, nella speranza che una crescita vigorosa compensasse tutto. All’epoca Reeves amava descriversi come la «cancelliera di ferro», inflessibile davanti ai vincoli, che hanno però finito con lo stritolare il campo d’azione del Governo e costringerlo ad un primo aumento di tasse da 40 miliardi di sterline nell’ultima manovra. Solo con qualche bizantinismo si è evitato che questo aumento riguardasse i «working people» che, si era promesso nel manifesto elettorale, sarebbero stati risparmiati ad ogni costo. Ma la crescita non c’è stata: ad aprile e maggio il Pil è sceso rispettivamente dello 0,3% e dello 0,1%, l’inflazione è ancora alle stelle al 3,6% e appare difficile che in questo contesto la Bank of England abbassi i tassi. Il deficit è al 5,7% e il debito al 94%.

Insomma, il Governo non sta mantenendo le promesse e soprattutto, come notato da ogni possibile commentatore in occasione del primo anniversario della vittoria di Starmer, il premier si è mostrato singolarmente privo di qualunque scaltrezza politica o capacità di vendere le sue decisioni: la retorica del sacrificio gli ha preso la mano in maniera eccessiva nei primi mesi del

mandato e su quasi tutto è stato costretto, per mancanza di convinzione, a fare un passo indietro. Questo è valso per i conti pubblici come per l’immigrazione, mentre in politica estera si è mostrato molto più fermo e convincente. In questo la rigida Reeves non è stata d’aiuto, essendo anche lei una comunicatrice spigolosa tutta presa a dare un’immagine intransigente. Solo che questa intransigenza è stata sistematicamente sbriciolata dalla necessità di andare incontro alle richieste politiche di deputati che, in buona parte, non hanno capito di essere in Parlamento proprio grazie alla promessa di essere responsabili, diversi dal Labour di Jeremy Corbyn, che intanto si sta muovendo per fondare un nuovo partito, e dalla staffetta dei premier Tories – Cameron, May, Johnson, Truss, Sunak – che hanno portato il Paese alla Brexit e al disastro. La performance di Reeves non ha conquistato i cuori, ma i mercati non hanno cuore: a loro interessa soprattutto che l’enorme debito pubblico britannico non sia nelle mani di un cancelliere dalla spesa facile. Non solo, la stabilità è un valore in sé, al di là che protegga una performance brillantissima o appena accettabile. Più che le lacrime, a far paura è stato il fatto che nel momento in cui cedeva al ricatto della sua maggioranza su un tema importante, certo, ma drammaticamente privo di copertura finanziaria, Starmer abbia messo in dubbio il futuro di Reeves, lasciando aperte le porte all’ipotesi di una sostituzione con qualcuno di più lassista oppure di una figura responsabile ma con una maggiore capacità di persuasione. Questo non è avvenuto e tutte le ultime mosse della cancelliera, compreso la richiesta ai regolatori di dare più ossigeno alle imprese, con meno esigenze di burocrazia e meno vincoli, sono

stati accolti con una certa benevolenza. Ora l’appuntamento è in autunno, quando la cancelliera svelerà se ricorrere o meno a un eventuale aumento delle tasse per i lavoratori, sulla cui definizione al momento è in corso un dibattito surreale, e rischiando di penalizzare ancora gli investimenti.

In autunno la cancelliera dello Scacchiere svelerà se ricorrere o meno a un eventuale aumento delle tasse per i lavoratori

Non ha molto spazio di manovra, soprattutto per scelte sbagliate fatte inizialmente, ma magari entro allora il suo disegno complessivo sarà più chiaro, così come quello del Governo Starmer, che in questi tempi ha fatto sentire il suo peso sospendendo alcuni deputati ribelli per evitare di finire troppo in balia dei suoi, come avvenuto in passato. Il Governo ha dalla sua di essere stato risparmiato dai dazi trumpiani, che nel caso di Londra si sono fermati a un mite 10%, meno devastante rispetto a quelli verso Bruxelles. Inoltre, come sottolinea «The Economist», il Regno Unito nel suo insieme è un Paese in cui gli asset sono al momento a basso costo e dove impiegare un esperto di tecnologia ha costi più vicini all’India che al Texas. Sulla base di questa nuova dimensione, può cercare di tirarsi su dalla palude in cui è finita. Con una cancelliera che ha subito una misoginia atroce, con i Tories che l’hanno soprannominata «Rachel della contabilità» come fosse una segretaria qualunque, ma che ora, grazie a due lacrime, potrebbe aver acquisito una voce, e con quella voce dice «smettete di chiedermi cose impossibili e lasciatemi lavorare».

Alfredo Venturi, Trenta Febbraio, cronache della primavera perduta, Edizioni Il Viandante, 2024. Cominciato negli anni Novanta, è ormai un trend accettato e apprezzato: gli storici che diventano romanzieri storici. Lo fanno ora con parallelismi insensati (si pensi a Fatherland, 1992, di Robert Harris, che descrive quella che è oggi l’Unione europea come il Terzo Reich) ora con risultati molto apprezzabili (si pensi a Medioevo Globale, 2023, di Franco Cardini e Marina Montesano). Su questa strada si è incamminato anche Alfredo Venturi, collaboratore di «Azione» e, prima di questo, corrispondente dalla Germania per il «Corriere della Sera». Autore di numerosi saggi storici, e quindi ben noto anche ai cultori di questo genere, Venturi ha seguito quel tracciato letterario che da Robert Harris arriva fino a Franco Cardini e Marina Montesano. Il risultato del suo ultimo sforzo è quindi un romanzo storico e autobiografico, all’incrocio tra cronaca e passato, tra realtà e finzione, scritto per raccontare il dramma del cambiamento climatico. Si parte dal titolo, che include una data inventata eppure in sintonia con quanto sta accadendo: l’autodistruzione del genere umano. Il libro immagina infatti che finisca l’inverno ma non arrivi più la primavera e che il mondo si fermi al trenta febbraio. Alla ritirata del generale inverno non subentra la rinascita della natura con il rifiorire «di erbe e di gemme, la disillusione è forte. La pioggerellina di marzo non ha fatto che irrorare terreni privi di vita». Alfredo Venturi si unisce quindi al grido dall’allarme di molti (come Greta Thunberg, che appare nel romanzo) dà il suo contributo alla segnalazione della catastrofe ambientale che stiamo vivendo attraverso l’uso della fiction. Questo gli consente di citare produzioni artistiche ispirate alla primavera (Botticelli, Vivaldi, Leopardi) volte a sottolineare per contrasto ciò che stiamo perdendo. Infatti, davanti al mancato arrivo della bella stagione, se ne cerca il ricordo nella musica, nella pittura e nella letteratura.

Durante le sue permanenze all’estero, come corrispondente o come viaggiatore, Alfredo Venturi ha assistito all’esondazione del Reno a Bonn e all’alluvione della Somalia del 197374, così come a un opposto fenomeno: la grande siccità in Senegal. Sono le maledizioni parallele, l’acqua e il fuoco, esperienze biografiche che vengono rivissute dai vari personaggi di fantasia (scrittori, giornalisti e scienziati) che popolano il libro e un pianeta aggredito da catastrofi ecologiche e da guerre. Franco, uno dei personaggi del romanzo, dice infatti: «Come se non bastassero le difficoltà del mondo, sono poi arrivate la pandemia da Covid 19 e la guerra in Ucraina, con le ripercussioni di quella tragedia storica sui fabbisogni energetici. E così l’emergenza climatica è passata in secondo piano». È finita per noi? Non è detto. Il racconto di questa dimensione distopica si riallaccia alla storia contemporanea: dalle prime fosche previsioni del secondo dopoguerra al Summit della Terra di Rio de Janeiro del 1992, fino ad arrivare al protocollo di Kyoto del 1997 per la riduzione delle emissioni e all’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, eventi che impegnano i Governi a darsi da fare. Tutto questo lascia un sia pur tenue barlume di speranza. Sarà fatto tutto il necessario per recuperare la primavera perduta?

Cristina Marconi
Simboli londinesi. Il Regno Unito è uscito dall'Unione europea il 31 gennaio 2020. (Georg Langbehn/Pixabay)
di Paolo A. Dossena

APERTURA STRAORDINARIA

10:00 alle 18:00

* escluso Centro Serfontana che rimane chiuso.

Non accendete quello schermo! Con il documentario Chain Reactions, il ginevrino Philippe racconta il film di Hooper e l’eredità inquieta dell’horror americano

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Il condannato a morte secondo Hugo Nelle pagine dei suoi romanzi, nei disegni e nelle battaglie pubbliche del grande scrittore si trovano giustizia politica, martirio e memoria

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Il romanzo della receptionist Ariella Un simpatico campionario di ambizioni malriposte, gelosie da corridoio e giudizi taglienti serviti con il caffè della mattina

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L’umile passo del critico sempre in viaggio

Eredità intellettuale ◆ Dalle inchieste sociali alle riviste indipendenti, Goffredo Fofi ha attraversato decenni di cultura italiana con uno sguardo libero e militante, costruendo ponti tra cinema, letteratura, politica e periferie

Goffredo Fofi è stato, nella cultura italiana, un personaggio unico. Per generosità, spirito critico, attivismo. È nato a Gubbio il 13 aprile 1937 ed è morto l’11 luglio scorso lasciandosi alle spalle decine di orfani: non figli naturali, ma figli ideali, si potrebbe dire discepoli abbagliati dal maestro burbero e generoso (maestro con l’iniziale minuscola), dal suo carisma indubbio, dal pensiero disobbediente e dalla pratica instancabile, dalla sua utopia pragmatica.

Fofi è nato in una famiglia contadina socialista: il padre aggiustava biciclette, ma il lavoro lo costrinse a emigrare presto in Germania, da cui dovette fuggire minacciato dal nazismo. La violenza nazista irruppe nel suo paese, dove i tedeschi, per rappresaglia, uccisero quaranta persone. Bambino, Goffredo fu portato dai genitori alle Fosse Ardeatine per vedere le file di bare scoperte dei trucidati e il pianto dei familiari. Fu lì che nacque, precocissima, la sua sensibilità politica, accompagnata da un persistente senso di angoscia e di nevrosi.

Rimase subito folgorato dalle figure di cattolici che si prodigavano per i poveri e per gli ultimi (tra i primi, padre Turoldo). Nelle sale cinematografiche di Gubbio, Fofi si innamorò di Anna Magnani, di Macario, di Totò, soprattutto: in anni maturi sarebbe stato lui il primo a rivendicarne il genio (L’uomo e la maschera, del 1972, scritto con Franca Faldini, la moglie del principe de Curtis, è un ritratto straordinario dell’attore). Il cinema è il primo amore di Fofi, insieme con il Sud. A 14 anni legge Cristo si è fermato a Eboli e a 17 sfogliando la rivista «Cinema nuovo» di Aristarco scopre le fotografie di Enzo Sellerio dedicate al lavoro di Danilo Dolci in Sicilia, alla sua battaglia contro la fame, il potere mafioso, l’analfabetismo. Dunque, dopo il diploma di maestro, parte, raggiunge Dolci a Partinico e si affianca a lui nell’organizzazione degli «scioperi al rovescio» con i disoccupati, «poveri cristi della banda Giuliano che uscivano dal carcere». Ne guadagna un foglio di via come persona non gradita. Andrà in Calabria a lavorare nelle scuole delle periferie e negli ospedali psichiatrici infantili. La sua vita si indirizza verso l’impegno, a Roma e poi a Torino conosce Ada Gobetti, Parri, Bobbio, Salvemini, Venturi, soprattutto Aldo Capitini, il filosofo cattolico della non violenza che rimarrà suo amico e faro ideale per sempre.

A Torino si interessa al mondo dell’emigrazione operaia meridionale grazie a un grande intellettuale socialista come Raniero Panzieri. L’inchiesta che ne scrive nel 1963 è uno dei più clamorosi casi editoria-

li: perché viene rifiutata dall’Einaudi per motivi politici, provocando una frattura all’interno della casa editrice con successive cacciate di redattori. Contro quel libro si esprimono persone che stima come maestri (gli stessi Bobbio e Venturi, oltre a Italo Calvino e a Giulio Bollati). L’inchiesta verrà pubblicata due anni dopo da Feltrinelli.

Goffredo Fofi ha saputo dare voce a outsider, giovani autori, esperienze marginali e visioni controcorrente

È inevitabile, ricordando Fofi, evocare nomi e nomi di figure che ha incontrato e conosciuto, con cui ha collaborato e polemizzato, che ha amato. A cominciare da Elsa Morante, sua madrina «rabdomante zingaresca». Sono gli anni in cui si avvicina alla rivista della nuova sinistra, fondata a Piacenza nel 1962 da Piergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi, con Franco Fortini nume tutelare. Sarà la sua palestra di critico controcorrente e a volte spietato.

Delle riviste Fofi sarà un mago senza confronti, un autentico Deus ex machina, capace di inventare spazi di dibattito autentico che accolgono critica sociale, letteraria, cinematografica, teatrale, politica, inchieste, reportage, racconti, poesie, fotografia, fumetto, arte in un’armonia editoriale quasi miracolosa: «Ombre rosse», «Linea d’ombra», «La Terra vista dalla Luna», «Lo straniero», «Gli asini». Sono luoghi aperti alla contaminazione, che ospitano i grandi vecchi trascurati, le esperienze eterodosse (Living Theatre, Carmelo bene, Schifano…) e i giovani esordienti che Goffredo scopre e non di rado abbandona quando li vede diventare autori di successo. Tutto perdonava Fofi, tranne l’ambizione e la furbizia. La lista degli «adepti», dei compagni di strada, dei sodali è interminabile e transgenerazionale: da Stefano Benni ad Alessandro Baricco, da Fabrizia Ramondino a Roberto Saviano, da Anna Maria Ortese ad Alessandro Leogrande. I suoi amici, poi, non si contano: da Romano Bilenchi a Ermanno Olmi. E nella grafica, nel teatro, nel cinema, nel volontariato, nell’associazionismo sociale ha sem-

pre uno sguardo lungo, internazionale (che utilizza anche come consulente editoriale e direttore di collane), grazie a una ricerca instancabile che non lo tiene mai fermo… Fofi è stato l’intellettuale più camminante del secondo Novecento, con il suo bastone (portato anche un po’ per vezzo) e la barba piena da frate minore, i sandali, la fiera pratica vegetariana. Ovvio che un tipo del genere non poteva piacere alla sinistra istituzionale (con cui dibatteva aspramente) né, tanto meno, al cinismo di destra, che derideva l’attivista pronto a litigare quasi con tutti i mostri sacri e insieme impegnato a fondare nel quartiere Montesanto, a Napoli, una «mensa proletaria per bambini» battendosi sul campo contro il lavoro minorile (anche quando era legato all’alta moda). Nel cinema bisognerebbe citare almeno gli interventi (non sempre morbidi) su Pasolini, e quelli su Sordi, su Marlon Brando, su Jerry Lewis, su Fellini (stroncato e poi rivalutato). A Parigi, dove soggiornò giovanissimo con la sua famiglia, cominciò a frequentare i cineclub del Quartiere Latino e a conoscere la Nouvelle Vague,

oltre a seguire i seminari di Barthes e Foucault uscendone più annoiato che frastornato. Fu lì che cominciò a lavorare nella redazione della rivista «Positif», dove portò la passione per la commedia e per il western all’italiana. Nessuna puzza intellettualistica sotto il naso: Fofi viaggiava instancabilmente (per lo più in treno) dal Nord al Sud, così come passeggiava dall’alto al basso dentro ogni cultura (avanspettacolo, canzonetta e fantascienza compresi), sempre circondato da amici e mai in solitudine. Ogni volta che lo incontravi, sempre pronto a elogiarti o a rimproverarti qualcosa, aveva nomi e mondi, per lo più sconosciuti, da consigliare e altrettanti, ben conosciuti, da sconsigliare. Aderiva e partecipava a tutto ciò che era periferia silenziosa, impegnata e seria. Ricordo la sua stima per la nostra rivista ticinese «Idra» che ancora negli ultimi anni, quando ormai era estinta da tempo, continuava a citare per aver pubblicato Agota Kristof e intervistato il suo amico Bellocchio. Stravedeva per gli amici tagliati fuori dal mainstream. Bobbio lo definiva giustamente un pessimista scontento di esserlo.

Goffredo Fofi in
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Le forme del cinema horror americano

Cultura popolare ◆ Alexandre O. Philippe, regista svizzero trapiantato negli USA, sta girando il mondo con il suo nuovo documentario incentrato sul classico Non aprite quella porta

Ginevrino di nascita, americano d’adozione, Alexandre O. Philippe si interessa da anni alla cultura popolare statunitense e in particolare alle sue espressioni cinematografiche. Sull’argomento ha realizzato documentari come The People vs. George Lucas (2009), su come i fan di Star Wars hanno pesantemente attaccato il creatore della saga a partire dagli anni Novanta, e Lynch / Oz (2022), su come la versione cinematografica de Il mago di Oz del 1939 abbia influito sull’immaginario di David Lynch. E poi c’è tutto un filone dedicato all’horror: Doc of the Dead (2014), sulla popolarità crescente degli zombie negli ultimi anni; 78/52 (2017), che analizza Psycho concentrandosi esclusivamente sulla scena della doccia; Memory: The Origins of Alien (2019), sui miti e le opere d’arte che hanno ispirato l’estetica raccapricciante di Alien di Ridley Scott; e Leap of Faith (2019), praticamente un monologo di William Friedkin sul suo lungometraggio più celebre, L’esorcista Ogni volta uno sguardo diverso, inedito sui temi trattati, con l’intenzione di essere divulgativo senza che i film siano percepiti come delle lezioni universitarie o simili. Il tutto con un approccio molto personale, anche nel caso di lavori su commissione come il nuovo Chain Reactions (2024), con il quale è stato chiesto a Philippe di realizzare un film che celebrasse i cin-

quant’anni di Non aprite quella porta Un’opera divisa in cinque parti, con altrettanti ospiti che commentano a loro modo il lungometraggio di Tobe Hooper: il comico Patton Oswalt, il regista Takashi Miike, la giornalista e storica del cinema Alexandra Heller-Nicholas, lo scrittore horror Stephen King e la regista Karyn Kusama. Opinioni diverse, alcune con aneddoti su Hooper (King lo conosceva personalmente), accomunate dalla sensazione, rimasta inalterata nel corso degli anni, che si stesse vedendo qualcosa di proibito, di sporco, di spudoratamente ripugnante (e questo anche vedendo singole scene isolate dal contesto del film completo).

Ogni epoca ha il proprio incubo collettivo e il cinema popolare è il luogo dove quel terrore si manifesta con più forza

Un’esperienza condivisa dallo stesso Philippe che, presentando il documentario, ha spiegato che la prima volta che ha visto Non aprite quella porta è stato in VHS, negli Stati Uniti, con la qualità scadente della cassetta che aumentava l’effetto sgradevole del racconto di alcuni giovani che finiscono tra le grinfie di una famiglia di psicopatici in Texas: «È stata la prima volta che io,

patito di horror sin dall’infanzia, ho dovuto interrompere la visione e riprenderla dopo un attimo di respiro», dice il cineasta. Presentato in anteprima mondiale alla Mostra di Venezia lo scorso settembre, il film ha vinto lì il premio come miglior documentario sul cinema, e da allora fa il giro dei festival, compreso quello di Karlovy Vary dove Philippe è ospite fisso e da alcuni anni cura una sezione all’interno della quale, oltre al suo film, ne vengono presentati altri due-tre legati all’argomento di turno. In questo caso, l’ori-

Cosa tenere e cosa no

ginale di Hooper e uno degli emuli citati da Oswalt, la commedia belga Il cameraman e l’assassino (1992), un finto documentario dove una troupe cinematografica segue e immortala le gesta di un serial killer. Brillante, spassoso e disturbante, forse l’espressione migliore del desiderio di riprendere la poetica di Tobe Hooper senza scimmiottarla direttamente come hanno fatto i vari seguiti e remake, più interessati al sangue e alla satira sociopolitica estremamente spicciola (il capitolo più recente, uscito su Netflix nel 2022, contiene una scena dove l’assas-

sino Leatherface fa a pezzi dei giovani mentre questi lo stanno filmando con una miriade di smartphone). Questo perché la visione di Hooper è inimitabile, figlia di un momento preciso che non può essere replicato: secondo Philippe, Non aprite quella porta, girato in un periodo in cui la società americana era abbastanza in declino, tra le dimissioni di Richard Nixon per lo scandalo Watergate e la guerra in Vietnam che volgeva al termine, è il più grande horror del suo decennio di riferimento, spinto da una furia che si manifesta sotto forma di qualcosa di volutamente «brutto» e malsano sul piano visivo. Una furia simile ma diversa si è fatta strada in tempi recenti, con pellicole come Scappa – Get Out (2017), che affronta di petto la questione del razzismo con un filtro fantascientifico molto inquietante, o Immaculate (2024), a suo modo legata alle battaglie per i diritti delle donne in materia di controllo del proprio corpo. Ma non siamo ancora arrivati al punto decisivo, sostiene Philippe: «Credo che adesso, con Trump di nuovo al potere, sia il momento di un film con lo stesso impatto fortissimo che ebbe Non aprite quella porta. Entro quattro-cinque anni mi sa che lo vedremo». Certo, se avrà la stessa carica viscerale sarà forse il caso di avvisare i deboli di stomaco: non entrate in quella sala…

Letteratura ◆ Torna la lode del riassunto curata da Umberto Eco più di quaranta anni or sono, con esempi d’autore

Stefano Vassere

Della benemerita casa editrice Henry Beyle di Milano, della sensibilità del suo patron, l’eroico Vincenzo Campo, e della sua socia, l’attentissima Francesca Romana Boncompagni, si è detto e detto, e ancora diremo. Contenuti legati a libri e lettura; vestiti grafici e materiali sopraffini; colophon come elenchi di magia artigianale, con caratteri e corpi, carta, cuciture, sovraccoperte; e poi cura della coerenza delle collane; prezzi tutto sommato sopportabili; difficoltà per il lettore della profanazione dell’intonso; taglio dello stesso come confortante prova dell’avvenuta lettura. Tutto il bene del mondo librario. Ora, in questo bel contesto ritroviamo a più di quaranta anni dalla prima uscita sull’«Espresso», un saggio di Umberto Eco dedicato al riassunto, con esempi di estreme asciugature di grandi opere classiche in pochi paragrafi, due o tre al massimo. I classici sono Dante, Ariosto, Defoe, Goethe, Stendhal (che è lui, Henry Beyle), Manzoni, Dickens, Flaubert, Hugo, Dostoevskij, Proust, Joyce. I traduttori lo stesso Eco, poi Giovanni

Mariotti, Malerba, Calvino, Ruggero Guarini, Attilio Bertolucci, Piero Chiara, Giovanni Giudici, Arbasino, Cesare Garboli, Moravia, Raboni. Nel testo introduttivo, il curatore ci dice dell’utilità del riassunto per chi lo legge e per chi lo redige, e che è soprattutto per quest’ultimo che la particolare tecnica diventa una virtù; sapere che cosa tenere e che cosa lasciare non è abilità di tutti, e si acquisisce con l’esercizio continuo. Dunque, se il compito è facile per Arbasino, «la Biblioteca ha colpito ancora. Dopo Don Chisciotte sul campo dell’avventura cavalleresca, la nuova vittima della iperlettura sconsiderata si chiama Emma Bovary, nella sfera dell’evasione romantica e velleitaria dalle miserie senza splendori del quotidiano trantran», l’impresa è tutta in salita per l’esercizio di Umberto Eco sull’Ulisse di Joyce: «i fatti del romanzo non contano per quel che sono, ma in quanto appaiono e si concatenano nel monologo mentale dei protagonisti». Il riassunto è un «atto critico» di selezione, che ci dice molto sull’opera e moltissimo sull’autore

(del riassunto). Spesso il risultato sorprende appunto perché si è tentati di trovare nel testo proprio quest’ultimo e relativamente di frequente emer-

ge decisa l’ironia. Giovanni Mariotti conclude il testo dantesco come in una guida turistica: «la Trinità merita una deviazione»; il Robinson di Cal-

vino «fa tutto da sé: reinventa l’agricoltura; fa il vasaio; si veste di pellicce». Nel David Copperfied ridotto di Giovanni Giudici, «Dora è un po’ fatua e Dickens la fa provvidamente morire per sostituirla con l’altra, moglie-angelo».

Ancora, il catalogo delle edizioni Henry Beyle è ormai maturo e permette incursioni e itinerari trasversali ora facilmente individuabili; tra questi la collaborazione con Tullio Pericoli, di tutti i disegnatori d’Italia forse quello più avvicinabile al tema del libro e dei suoi simboli. Qui ce ne sono sei, tutti evocativi di milieux librari fortemente estetizzanti ed evocativi; come se si potesse parlare del disegno come riassunto del mondo. Anche qui, quello delle scelte editoriali è un ambiente retto da virtù, dove –come si dice – tout se tient. Insomma, novanta pagine di meraviglia libraria.

Bibliografia

Elogio del riassunto, a cura di Umberto Eco, disegni di Tullio Pericoli, Milano, Henry Beyle, 2025.

Nel segno dell’impiccato

Tesoro nascosto ◆ Victor Hugo, John Brown e la battaglia per l’abolizione della pena di morte

romanzi e appelli pubblici

Siamo in Place des Vosges, probabilmente la più bella piazza di Parigi. Trentasei edifici simmetrici sui quattro lati, in pietra e mattoni, con abbaini e portici. Al centro, file di alberi e panchine. In un silenzio d’oro. Almeno fino a qualche decennio fa, quando sono arrivati in massa i turisti «mordi e fuggi» che scendono a frotte dai pullman.

Qui si possono fare tre cose. Leggere il giornale seduti in panchina sotto gli alberi fra i bimbi che giocano con la sabbia e le mamme con i passeggini che ciacolano fra loro; pranzare a L’Ambroise, una delle eccellenze culinarie che fino a qualche anno fa aveva come chef Bernard Pacaud, il meno mediatico dei cuochi e, infine, visitare la Maison de Victor Hugo.

Qui lo scrittore ha vissuto dal 1832 al 1848 al secondo piano dell’Hôtel de Rohan-Guéménée. Hugo aveva trent’anni ed era sposato con Adèle Foucher dalla quale ha avuto quattro figli. La sua notorietà era già grande: aveva già scritto Notre-Dame de Paris (1831) e L’ultimo giorno di un condannato a morte (Le dernier Jour d’un condamné, 1829). Certo, non era ancora il monumento letterario che oggi conosciamo, ma già allora il suo nome rimbalzava tra i salotti e le redazioni. Nel 1841 è diventato membro de l’Académie française e dal 1833 ha iniziato la sua relazione con Juliette Drouet che lo seguirà anche in esilio e la cui relazione durerà cinquant’anni.

Nell’appartamento di 280 metri quadrati sono presenti mobili, oggetti, dipinti, disegni, manoscritti provenienti dalle varie case abitate prima, durante e dopo l’esilio. Nella sua vita Hugo realizza circa 3500 disegni dei quali 700 sono conservati alla Maison de Victor Hugo. Due di questi ritraggono un impiccato al patibolo (spesso indicati come Ecce ed Ecce Lex), opere potentemente simboliche e politicamente cariche, che Hugo teneva addirittura appese nella sua stanza e nel suo studio.

Victor Hugo con i suoi disegni e i suoi romanzi, e John Brown attraverso la sua storia, trasformano l’impiccato in un emblema che supera il delitto e interroga la società

La battaglia di Hugo contro la pena di morte dura tutta la vita. Inizia con Bug-Jargal (La rivolta dei negri a San Domingo) per seguire con Han d’Islande del 1823 e con un libro interamente dedicato alla pena di morte, ovvero il già citato Ultimo giorno di un condannato a morte. Ma il tema è ripreso molte volte in tutti i suoi libri. Come quello dell’impiccato che ritroviamo ne L’uomo che ride (L’Homme qui rit) del 1869. Ne riparleremo.

Per ora soffermiamoci sul caso di John Charles Tapner, un impiegato dei Royal Engineers a Fort George che vive a St Martin’s. A Guernesey, un’isola di 40mila persone, il 18 ottobre 1854 viene assassinata Elizabeth Saujon e la sua casa data alle fiamme. Viene subito accusato Tapner attraverso una serie di prove indiziarie e di strani testimoni. Durante il processo si scopre che Tapner ha un’a-

mante, che vive proprio in casa di Elizabeth, un dettaglio che trasformò un processo già fragile in una tragedia annunciata, con il peso del moralismo a schiacciare ogni possibilità di grazia.

Hugo, che in quel periodo vive in esilio proprio nell’isola di Guernesey, prende a cuore la sorte del condannato e chiede che non venga giustiziato in un accalorato appello alla clemenza. Scrive agli abitanti di Guernesey: «…per me questo assassino non è più un assassino, questo piromane non è più un piromane, questo ladro non è più un ladro; è un essere tremante che sta per morire. La sfortuna lo fa fratello mio. Lo difendo».

Tapner alla fine viene impiccato il 10 febbraio 1854.

«Sì, che l’America lo sappia e ci pensi: c’è qualcosa di più spaventoso di Caino che uccide Abele, è Washington che uccide Spartaco»

In quest’occasione realizza quattro disegni di un uomo impiccato dei quali, come detto, due sono conservati al Museo. In un clima plumbeo, l’impiccato diventa maschera tragica di un dramma terrificante e solitario.

Di altra statura è John Brown il controverso liberatore di schiavi: con lui l’immagine dell’impiccato smette di essere solo un simbolo di colpa o pena, diventando quella del martire politico e spirituale. Nasce nel 1800 nel Connecticut da una famiglia povera ma ricca di venti figli. Fa diversi lavori. Nel 1855 guida nel Kansas la spedizione di Pottawatomie durante la quale assieme ai suoi compagni uccide cinque sostenitori della schiavitù. Il 16 ottobre 1859 assieme a 21 uomini assalta l’armeria di Harper’s Ferry per procurarsi dei fucili. L’armeria viene assediata dalle truppe federali e la «banda» decimata. Brown è fra i pochi superstiti. Il suo processo inizia il 20 ottobre 1859. Accusato di cospirazione con gli schiavi a scopo insurrezionale, tradimento contro lo Stato e assassinio viene condannato a morte il 2 dicembre.

Proprio quel giorno Henry David Thoreau davanti ai suoi concittadini a Concorde dice: «Non c’è più il vecchio Brown, c’è un angelo di luce». Sempre il 2 dicembre Hugo scrive una petizione ai giornali di tutto il mondo nella quale perora la causa della misericordia. Scrive: «Il carnefice di Brown… non sarebbe né il procuratore, né il giudice, né il governatore, né il piccolo Stato della Virginia. Sarebbe, e fa rabbrividire solo pensarlo e dirlo, la grande Repubblica americana tutta intera… Sì, che l’America lo sappia e ci pensi: c’è qualcosa di più spaventoso di Caino che uccide Abele, è Washington che uccide Spartaco».

E a noi torna in mente una citazione da L’ultimo giorno di un condannato a morte : «Noleggiavano tavoli, sedie, impalcature, carrette. Tutto rigurgitava di spettatori. Dei venditori di sangue umano gridavano a squarciagola. “Chi vuole dei posti?”. La rabbia contro la folla m’è salita dentro. Avrei voluto gridare: “Chi vuole il mio?”».

L’8 dicembre Hugo scopre che l’esecuzione è già avvenuta. Sull’onda dell’emozione disegna un impiccato su modello di quelli del 1854. Lo intitola Crux Nova. L’incisore e cognato Paul Chenay gli chiede di poterne eseguire una stampa. Il 19 aprile, Hugo riceve la bozza. «Siete un mago, gli dice, fate tutto quello che volete». Ma sotto la stampa viene scritto «PRO CHRISTO – SICUT CHRISTUS», 2 dicembre 1859. Sfortunatamente il 2 dicembre è la data del colpo di Stato di Napoleone III che ha provocato l’esilio di Hugo. Il ministro dell’interno manda una squadra di polizia alla stamperia Drouart e tutte le copie vengono distrutte, tranne una. Glory, glory, hallelujah! Glory, glory, hallelujah! Glory, glory, hallelujah! His soul is marching on!

Ne L’uomo che ride del 1869 Hugo dedica nove pagine alla descrizione dell’incontro fra il fanciullo e l’impiccato. Il vento, le catene, il catrame, i corvi in una battaglia fra la morte e la notte. Per raccontare di quella «cosa che era stato un uomo e che era ciò che non è più».

Dove Maison de Victor Hugo, Parigi www.maisonsvictorhugo.paris.fr

Ecce, Victor Hugo, 1854, inchiostro bruno, carboncino, gauache, su carta beige, cm 41,6x35.
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Battibecchi

Mendrisio, stanza 404: confessioni di una receptionist

Arrivo a Mendrisio. Trovo il mio albergo.

«Buongiorno signor Mozzi», dice la receptionist Ariella – il nome è scritto sul badge –, prima ancora che io mi presenti.

«Buongiorno», dico. «Ci siamo già visti?».

«Di persona no», dice Ariella. «Ma la seguo da anni sui social».

«Ah», dico.

«Il suo profilo Facebook è molto istruttivo», dice Ariella, «per noi che aspiriamo a pubblicare un romanzo».

«Lei ha scritto un romanzo?», dico.

«Gliel’ho anche mandato, nel 2017», dice Ariella.

«E?», dico.

«Lei mi ha risposto sei mesi dopo», dice Ariella, «dicendomi che le era parso molto brutto».

«Spero di non averla offesa», dico.

«Per carità», dice Ariella, «qui in albergo ne vediamo di tutti i colori».

«Posso immaginare», dico. «Purtroppo il mio lavoro consiste proprio nell’essere schietto».

Pop Cult

«E noi apprezziamo la schiettezza, non si preoccupi», dice Ariella. Anche la mia collega del pomeriggio, la receptionist Mara, le ha mandato un romanzo. Nel 2018».

«Oibò. Anche quello “molto brutto”?», dico.

«“Tremendo”, credo che le abbia scritto», dice Ariella.

«C’è una sottile differenza», dico. «La più fortunata è stata la cameriera ai piani Serena», dice Ariella. «Le ha mandato un memoir nel 2022».

«Qualcosa sulla pandemia, suppongo», dico.

«Già», dice Ariella. «Lei si è limitato a rispondere che gli editori non vogliono saperne di memoir sulla pandemia». «È vero», dico.

«Peccato», dice Ariella, «perché il barman della sera, Roberto, ne ha scritto uno che secondo me è proprio bello.

Però non ha osato mandarglielo».

«Avete tutti l’abitudine di leggervi reciprocamente?», dico.

«Certamente», dice Ariella. «Tutti. Tranne il cuoco Olindo».

«È geloso di quello che scrive?», dico.

«Se la tira un sacco», dice Ariella, «perché ha frequentato un corso di scrittura on line con Tarcisio Brondi».

«Non lo conosco», dico.

«È uno che fa corsi di scrittura on line», dice Ariella.

«Ho capito», dico. «Ma non ho mai sentito parlare di lui».

«Brondi invece conosce benissimo lei», dice Ariella.

«Come lo sa?», dico.

«Ho seguito una sua lezione on line gratuita promozionale», dice Ariella. «E?», dico.

«Brondi ha detto che lei è il più delinquente truffatore che si aggiri nell’infame mondo dell’editoria italiana», dice Ariella.

«Carino», dico.

«Ma non si preoccupi», dice Ariella, «un po’ di rivalità tra persone che competono sullo stesso mercato non può fare male».

«Non ne dubito», dico.

«D’altra parte», dice Ariella, «non è che lei, affermando di non aver mai

sentito nominare Brondi, cosa impossibile visto che Brondi è famosissimo nel mondo dei corsi di scrittura on line, sia meno sprezzante nei suoi confronti».

«Il mio non è un giudizio sprezzante», dico. «È un’ammissione d’ignoranza».

«Sarà», dice Ariella. «Comunque, ecco: la sua camera è la 404, quarto piano, a sinistra quando esce dall’ascensore. La colazione è dalle sette alle dieci.

Dovrà lasciare libera la camera entro le undici».

«Ho un treno alle nove», dico.

«Allora farà probabilmente in tempo a conoscere la cameriera ai piani Rosalia», dice Ariella.

«Ha scritto un romanzo anche lei?», dico.

«Una saga fantasy in tre volumi», dice Ariella.

«Io non mi occupo di fantasy», dico. «Gliel’ho detto», dice Ariella. «Ma lei è una testarda».

«Cercherò di spiegarglielo», dico.

«Una volta che abbiamo avuto ospite un famoso agente letterario», dice

Festival Open Air e truffe online, l’inganno dell’apparenza

Come ogni anno, l’arrivo dell’estate inaugura anche la stagione dei cosiddetti Festival Open Air: eventi musicali di grandissimo richiamo che, nati direttamente dall’alone di leggenda sviluppatosi attorno agli storici raduni live di Woodstock e dell’isola di Wight, rappresentano oggi appuntamenti imperdibili per la maggior parte dei giovani di qualsiasi nazione, Svizzera inclusa. Infatti, nonostante le dimensioni apparentemente ridotte del territorio elvetico, il nostro Paese può vantare un’offerta di tutto rispetto nell’ambito dei festival estivi – come dimostrato dal celebre Openair Frauenfeld, in programma ogni luglio nella città del Canton Turgovia. Così, nonostante le difficoltà organizzative (e le polemiche legate all’impatto ecologico e ai problemi di viabilità) che ogni evento di tale portata da sempre implica, i molti effetti po-

sitivi che un festival di alto livello può avere sull’economia locale restano una spinta più che valida alla creazione di simili occasioni di aggregazione. Ma cosa succede quando l’allettante opportunità di un facile guadagno si combina con una certa ingenuità da parte del pubblico pagante, dando vita a truffe di proporzioni epiche? È quanto avvenuto alcune settimane fa con il misterioso Elysia Festival, presentato sul web come un imperdibile evento live della durata di cinque giorni, da svolgersi in agosto al Letzigrund di Zurigo con la partecipazione di ospiti del calibro di The Weeknd e Bruno Mars (e la sponsorizzazione, tra gli altri, di marchi come Coca-Cola e Red Bull). Peccato che l’ormai svanito sito web dedicato all’Open Air apparisse quantomeno sospetto (si veda l’uso piuttosto maldestro della lingua svizzero-tede-

Il lungo ritorno di Sitti Maani

Veniva dalla Mesopotamia, la terra tra i due fiumi sacri, culla della nostra cultura. Assira di padre caldeo e madre armena, cristiana, Sitti Maani Juwayri (in italiano Gioerida), era nata a Mardin, in Georgia, e cresciuta a Baghdad. Il suo nome rimanda alla sapienza e alla nobiltà. Ha attraversato continenti, oceani e deserti – eppure non li ha visti. Arrivò a Roma in segreto, nella carrozza del maestro di casa di suo marito, Pietro della Valle, in un’afosa notte di luglio del 1626. Fu nascosta nelle stanze del palazzo di lui, sulla via Papale, ora corso Vittorio, in attesa del suo arrivo da Terracina. Ma da tempo non era più viva. Pietro Della Valle, ribattezzatosi il Pellegrino – il Marco Polo del Seicento e il primo viaggiatore nel senso moderno – non la vedeva dal 30 dicembre 1621. Quel giorno Sitti Maani, stremata

dalla malaria e ormai in agonia, aveva chiesto di lasciare la tenda e stendersi sulla nuda terra, accanto a Pietro, «per venirmi a morire a lato, dalla parte del mio cuore». Erano bloccati nel deserto della Caramania dall’inizio di dicembre, accampati nella piana sotto il castello di Minah, sperduto avamposto sulle rive del golfo di Hormuz. Dovevano prendere una nave per l’India, ma la guerra fra portoghesi e spagnoli da una parte e persiani e inglesi dall’altra non permetteva il passaggio dello stretto. Le paludi erano infestate di zanzare. Si ammalarono tutti, ma lei di più. Per la febbre aveva abortito il loro primo figlio. Il feto, un maschio di quattro mesi, non era «lungo più di mezzo palmo, ma del tutto formato». Sitti Maani esalò l’ultimo respiro tenendogli la mano, con gli occhi a lui rivolti. Aveva ventitré anni. Pietro ne

sca), e che nessuno, a partire dai vertici dell’amministrazione zurighese in giù, avesse mai sentito parlare dell’evento in questione.

Un episodio che, secondo molti commentatori, ricorda quello del famigerato Fyre Festival, programmato per l’aprile 2017 nell’isola di Great Exuma, nelle Bahamas, e che, proprio come Elysia, avrebbe dovuto vedere avvicendarsi sul palco ospiti di caratura internazionale – per poi rivelarsi uno specchietto per le allodole, visto che, una volta giunti sul posto, gli spettatori non avrebbero trovato altro che un caotico camping a buon mercato, senza nemmeno l’ombra di una star musicale.

Fortunatamente, nel caso dell’Elysia Festival, la scoperta della truffa è avvenuta ben prima dell’arrivo sul posto degli ospiti paganti – anche se si può dire che il danno fosse ormai fatto:

chiunque abbia acquistato biglietti per l’Open Air non avrà infatti molte possibilità di rivedere il denaro investito, se non tramite richieste di rimborso presso le società emittenti delle proprie carte di credito. In effetti, questo caso sembra riaprire vecchie ferite, su tutte quella relativa alla terza edizione dell’ambizioso Vibiscum festival di Vevey, che, proprio l’anno scorso, venne annullato all’ultimo momento senza che le migliaia di ignari compratori venissero mai rimborsate.

Del resto, appare chiaro come, in un certo senso, tali problematiche rispecchino la struttura della nostra società odierna, in cui il passaggio della maggior parte delle attività di compravendita dal negozio alle eteree piattaforme del web ha reso fin troppo semplice la promozione di beni o servizi che, in realtà, neppure esistono. E se le denunce di truffe online sono

Ariella, «Rosalia lo ha legato nudo a una sedia e gli ha raccontato tutti i tre volumi della saga».

«Santi numi!», dico. «E com’è andata a finire?».

«Ci ha messo mezza giornata», dice Ariella. «Lui è stato contentissimo e le ha proposto di sposarla».

«Ma la cosa non è andata a buon fine, mi par di capire», dico.

«Rosalia non sopporterebbe mai di essere pubblicata solo perché è la moglie di un famoso agente letterario», dice Ariella.

«Mi pare giusto», dico.

«È una questione di dignità», dice Ariella.

«Senz’altro», dico.

«Oh, ma quasi mi dimenticavo», dice Ariella. «Il direttore dell’albergo, Saverio, mi ha detto di chiederle se può farle compagnia a colazione, domattina».

«Niente in contrario», dico.

«Allora gli do conferma», dice Ariella. «Ma stia attento, sarà un osso duro. Saverio scrive poesie».

ormai all’ordine del giorno – quasi a ricordarci come il nostro mondo «virtuale», basato su acquisti immediati e pagamenti digitali, presenti più di qualche rischio per chi non è avvezzo alle insidie dell’e-commerce – l’avvento dell’IA, ormai alla portata di tutti, ha ulteriormente peggiorato la situazione (come dimostrato dalle immagini palesemente «costruite ad arte» presenti sul sito dell’Elysia Festival). In altre parole, in un’epoca in cui la tecnologia può ammantare di falsa legittimità qualsiasi impresa fraudolenta, forse l’unico gesto di ribellione possibile è rappresentato da una sana diffidenza nei confronti di qualsiasi cosa non sia immediatamente verificabile secondo i nostri canoni di un tempo: così da non dimenticare come, oggi più che mai, sia necessario impedire che l’apparenza continui a vincere sulla sostanza.

fu devastato, perché l’amata era ormai il senso stesso della sua vita. Non poteva separarsi da lei, né abbandonarla in quella pianura malefica, in un sepolcro che sarebbe stato profanato dagli infedeli. Dopo l’India, dovevano tornare a Roma insieme. Pure Sitti Maani lo desiderava: perché solo il ritorno avrebbe coronato le peregrinazioni del suo Ulisse. Pietro avrebbe voluto imbalsamarla, ma non aveva strumenti adatti né conosceva la tecnica degli Egizi per estrarre gli organi interni (solo il cuore, che gli fu offerto «condito» in una coppa). La avvolse nelle bende, la ricoprì di canfora indiana, la chiuse in un involucro di tela cerata a sua volta stretto in pelli di animali, fece fabbricare 190 chiodi, la sigillò in una cassa di legno, e la portò con sé nel prosieguo del viaggio, su barche e tartane, a dorso di mulo, di cavallo, di cammello, insieme al-

le curiosità, ai codici, alle erbe rare, ai cimeli archeologici e alle mummie del tempo dei faraoni prese nei dintorni del Cairo (intendeva donarle all’amico Athanasius Kircher).

Sitti Maani morta lo seguì in India, gli fu accanto per anni, mentre esplorava quel paese misterioso, e tornò con lui nella penisola arabica. Insieme, in piena estate, attraversarono il deserto infuocato fra Bassora e Aleppo, affrontarono i predoni e i gabellieri. Salirono su un vascello per Cipro, e poi per Malta, e infine per Napoli. E solo alle porte di Roma Pietro l’affidò al suo maestro di casa. Non voleva ancora far sapere di aver portato con sé la salma della moglie straniera. La corte, la città, gli amici non erano pronti. La sera stessa del suo ritorno, Pietro convocò le donne di casa, la figlia illegittima Silvia (lasciata a Roma quan-

do nel 1614 si era avventurato nel mondo), la fidata cugina Laura Caetani, che aveva difeso le sue proprietà quando parenti e banchieri volevano usurparle considerandolo morto (non dava da tempo sue notizie), e schiodò la cassa della sposa. Il macabro rito, vertice dello spirito barocco, fu l’atto estremo del loro amore. Della testa e del bel viso di Sitti Maani Gioerida restava solo il teschio. Pietro non volle rompere il resto della sindone. Richiuse la cassa, la sigillò in un ulteriore sarcofago di piombo, e il giorno dopo, senza cerimonia, la accompagnò lui stesso nella tomba, nella basilica dell’Ara Coeli, sul Campidoglio, dove la famiglia della Valle era titolare della cappella di San Paolo: lì giacevano gli antenati, e ora anche Sitti Maani faceva parte della famiglia. Lì lo avrebbe aspettato, per risorgere insieme dalle ceneri. (…continua)

Xenia
di Melania Mazzucco
di Benedicta Froelich
di Giulio Mozzi

GUSTO

Pura bontà con le ciliegie

Succose, dolci e inconfondibilmente rosse: che si tratti di torte, composte o pancake, le ciliegie sono le indiscutibili star dell’estate. Lasciatevi conquistare da questi piccoli e deliziosi frutti

Torta di ciliegie con mandorle

Pasticceria dolce

Ingredienti per ca. 12 pezzi

Nota bene: per 1 teglia per torte di 24 × 32 cm

burro e farina per la teglia

500 g di ciliegie

½ limone

150 g di burro, morbido

140 g di zucchero

1 presa di sale

1½ cucchiaini di pasta di vaniglia

3 uova

250 g di farina bianca

2 cucchiaini di lievito in polvere

1 dl di latte

40 g di mandorle a scaglie

1. Ungi la teglia con il burro e spolverala con un po’ di farina. Snocciola le ciliegie.

2. Scalda il forno statico a 180 °C (calore superiore e inferiore).

Grattugia finemente la scorza del limone e spremilo. Sbatti burro, scorza di limone, zucchero, sale e pasta di vaniglia per ca. 2 minuti con lo sbattitore elettrico, finché la massa diventa morbida e più chiara.

3. Aggiungi un uovo per volta e 2 cucchiai di succo di limone, sempre continuando a sbattere con lo sbattitore elettrico.

4. Mescola la farina con il lievito in polvere. Aggiungi all’impasto un po’ per volta alternando con il latte. Continua a sbattere a velocità bassa, ma solo finché tutto è ben amalgamato.

5. Versa l’impasto nella teglia per torte e livella. Distribuisci le ciliegie sull’impasto e cospargi con le mandorle a scaglie. Cuoci nella metà inferiore del forno per ca. 35 minuti. Fai la prova cottura. Sforna e lascia raffreddare.

Gugelhopf al cioccolato bianco e alle ciliegie

La ciliegina sulla torta di questo gugelhopf al cioccolato bianco è proprio l’impasto ricco di ciliegie che regalano al dolce una nota squisitamente fresca.

Gratin di pane alle ciliegie

Il gratin di pane alle ciliegie è un dolce che piace a grandi e piccoli ed è ideale per un brunch, un party o semplicemente per soddisfare la voglia di dolce.

Composta di ciliegie

Una ricetta semplice e veloce per la composta di ciliegie. Basta cuocere le ciliegie, versarle nei vasetti e gustarle a colazione o come dessert.

Ricetta
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GUSTO

Ciliegie

Pancake

alle ciliegie

Dessert

Clafoutis di ciliegie

Dessert originario della regione francese del Limousin, che onora la stagione delle ciliegie, preparato con pasta, uova, zucchero vanigliato, crema e frutta.

Piccola guida alle ciliegie

Piccole, tonde, dolci: le ciliegie sono tra i frutti più amati dell’estate. Alcuni consigli e curiosità su queste rosse delizie

Come snocciolare le ciliegie?

Se non avete uno snocciolatore, una cannuccia in acciaio e una bottiglia in PET possono essere d’aiuto. Posizionate la ciliegia sull’apertura della bottiglia e spingete la cannuccia lungo il picciolo. Il nocciolo cadrà nella bottiglia.

Il nocciolo rimane nello stomaco per anni?

È un mito. Nelle persone in buona salute, il nocciolo passa dallo stomaco all’intestino senza essere digerito e viene eliminato in modo naturale.

stanza che si trasforma in acido cianidrico tossico nel corpo. Questa sostanza si libera solo se si rompono i noccioli. Quelli che vengono ingeriti sono generalmente inoffensivi fintanto che restano interi.

Come utilizzare i noccioli di ciliegia?

Ingredienti per ca. 8 pezzi

2 uova

2 dl di latte

1 cucchiaino di lievito in polvere

3 cucchiai di zucchero

150 g di farina

150 g di ciliegie rosse o nere

3 cucchiai di burro zucchero a velo

1. Separate i tuorli dagli albumi. Lavorate i tuorli con il latte, il lievito e lo zucchero. Unite la farina setacciata e mescolate fino a ottenere una pastella chiara. Montate gli albumi a neve ferma e incorporateli lentamente alla pastella.

2. Dimezzate le ciliegie e snocciolatele. Mettete da parte alcune ciliegie e unite il resto alla pastella. Fate sciogliere un po’ di burro in una padella antiaderente. Versate 3-4 cucchiai di pastella e dorate il pancake a fuoco medio ca. 1 minuto per lato. Procedete allo stesso modo con il resto della pastella. Servite i pancake con le ciliegie messe da parte e spolverizzateli di zucchero a velo.

Cosa differenzia le ciliegie dolci dalle amarene?

Le ciliegie dolci hanno una polpa dolce e zuccherata. Sono ideali come spuntino o dessert. Le amarene sono più piccole, acidule e resistenti alla cottura. Con esse solitamente vengono preparate composte e marmellate e si prestano bene per la pasticceria.

Come conservare le ciliegie?

Le ciliegie rimangono fresche fino a tre giorni nel frigorifero. Non togliere i piccioli né lavarle prima del consumo. Staccare i piccioli provoca delle piccole ferite alla polpa che fanno deperire più velocemente il frutto.

Perché le ciliegie scoppiano quando piove?

Quando piove, i frutti si impregnano d’acqua attraverso la buccia. La pressione all’interno aumenta e la ciliegia può scoppiare se la pressione è troppo forte.

I noccioli di ciliegia sono nocivi?

I noccioli contengono una so-

È sufficiente riempire un pezzo di stoffa con dei noccioli puliti ed essiccati per creare un cuscino, da utilizzare caldo o freddo secondo il bisogno. I noccioli si cuociono per 10 minuti al fine di eliminare i residui di frutta. Successivamente, vengono essiccati per un’ora nel forno a 90 gradi per evitare che ammuffiscano.

Ciliegie e mal di pancia?

Per molto tempo si è creduto che non si dovessero consumare le ciliegie insieme all’acqua. Questa credenza era dovuta al fatto che in passato spesso l’acqua era piena di germi che portavano a problemi gastro-intestinali. Questo rischio oggi non esiste più. È tuttavia possibile avere problemi intestinali se si mangiano troppe ciliegie, in caso di sensibilità al fruttosio e al sorbitolo, uno zucchero-alcol contenuto delle ciliegie.

Piccolo aiuto
Ciliegie
PREZZO BASSO
Ricetta

I mutevoli colori delle ortensie

Varietà antiche e nuove selezioni arricchiscono con sfumature di rosa e azzurro molti giardini e terrazzi, dalla pianura fino alla montagna

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Un contorno adatto a ogni occasione

Per una semplice ricetta estiva, verdure alla griglia con quark alle erbe è un contorno leggero e aromatico decisamente ottimo con carne e pesce

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Il filo teso di una sfida verticale

Così si affronta il mare in solitaria

Scatole di sardine, velieri alla deriva e naufragi danno vita a due giochi che insegnano a non prosciugare idee né riserve di pesce

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Adrenalina ◆ Filippo Sala, 23 anni, primo ticinese nel Team Spedizioni del CAS, racconta la conquista della parete nord della Punta Pioda in Val Bondasca

La sua è una passione di famiglia. I primi passi in montagna li ha infatti mossi seguendo le orme di nonno Luciano, sulle montagne della «sua» Verzasca. Passo dopo passo, però, quelli di Filippo Sala si sono fatti sempre più verticali, fino a divenire vere e proprie scalate. Al punto da diventare uno dei più esperti alpinisti ticinesi. Basti pensare che il 23enne di Agarone è stato il primo ticinese a entrare nel Team Spedizioni del Club alpino svizzero. L’ultima sua grande impresa l’ha portato nella Val Bondasca, una valle laterale della Bregaglia: «Adoro quel luogo perché per me è la massima espressione della natura pura e semplice, al riparo dalle “folle” di arrampicatori, proprio come piace a me» racconta Filippo Sala. «Lì ci sono il Pizzo Badile, il Cengalo e il Gruppo delle Sciore. Ci sono andato la prima volta tre anni fa per domare il Pizzo Badile, assieme ad altri due “colleghi”, subito dopo Natale, per scalarne la parete nordovest, passando per il Gran Diedro. L’anno seguente, sempre nel medesimo periodo, ci sono tornato con Marc Jenny e Olivier Kolly per affrontare la via Cassin, sulla parete nordest, forse la più difficile di tutte da domare in inverno, quando la liscissima parete si ricopre di placche ghiacciate».

Il bivacco in parete nel gelo notturno è un’esperienza incredibile che trasforma la sfida in una prova di resistenza

A inizio marzo di quest’anno eccolo nuovamente prendere la via della Val Bondasca, stavolta in compagnia di Roger Schäli e Silvan Schüpbach, che, volendo fare un paragone, nell’alpinismo sono nomi e volti noti al pari di Messi e Ronaldo in quello del calcio. «Stavolta però la meta era un’altra, benché sempre nel Gruppo delle Sciore: la Punta Pioda, che mi intrigava particolarmente e che a detta di Silvan era l’ultima parete nord delle Alpi ancora da scalare. Lo stesso Silvan ci aveva provato più volte, senza però riuscirci».

La “missione” comincia il 5 marzo, con l’avvicinamento al campo base. «Per me quello è sempre il momento più delicato di un’ascesa. Perché è a quel punto che davanti a te si staglia in tutta la sua maestosità la parete che stai per affrontare, e dentro di te affiorano anche tutte le domande, le paure e i dubbi… E così è andata anche quel mercoledì di inizio marzo: dopo tre ore di marcia, sono arrivato in capanna che ero spossato da tutti quei pensieri. In parete, poi, la concentrazione è massima, per cui non hai tempo per pensare o altro: ogni movimento

È questa la via Cassin, sulla parete nordest, «forse la più difficile di tutte da domare in inverno, quando la liscissima parete si ricopre di placche ghiacciate».

dev’essere ponderato fino all’ultimo, perché il margine d’errore, se ce n’è, è minimo».

Parete, in questo caso, particolarmente difficile per scalare la quale ci vuole una certa organizzazione preparatoria: «È un lavoro di squadra. Dato che saremmo rimasti in parete per più giorni, abbiamo suddiviso gli incarichi e stabilito una rotazione. Il primo ad affrontare la scalata sono stato io, con Silvan che doveva assicurarmi, mentre Roger era addetto al materiale e al bivacco per la prima notte. Fin da subito è stata un’arrampicata tosta, con diversi passaggi dove non basta

più l’“arrampicata libera” ed è richiesto un uso attivo dei sistemi di protezione (chiodi a fessura e quant’altro), che dunque non hanno più solo una funzione di sicurezza in caso di caduta, ma servono per avanzare in parete. In quei punti l’arrampicata è più lenta e delicata. Di conseguenza, al termine della prima giornata, quando siamo tornati al campo base dopo aver fissato le corde sul primo tratto di parete, aprendo quattro “tiri” di corda (tre io e uno Silvan), ero davvero spossato». Condizioni che non hanno risparmiato problemi: «Già l’indomani ci siamo subito trovati confrontati con

un primo serio problema: davanti a noi, dopo una cengia di neve, si stagliava una lastra di roccia liscissima, senza fessure. Roger ha allora provato una traversa, impiegandoci qualcosa come sei ore. Superato questo ostacolo, un vero e proprio passaggio chiave che ci ha permesso di continuare per questa via, ho rilevato la testa della cordata per l’ultimo tiro della giornata, prima di raggiungere il bivacco, in parete, preparato da Silvan: dormire in parete è un’esperienza unica, anche se al mattino è dura lasciare il tepore del sacco a pelo per riprendere l’attrezzatura, scarponi compresi, che sono rimasti all’addiaccio: per le prime tre ore di arrampicata ti ritrovi i piedi!». Ma di sfida in sfida il percorso verso la vetta è stato inarrestabile: «Per cominciare quest’altra giornata alla grande, la montagna ci ha rimesso subito alle corde: sopra le nostre teste si stagliava una sottilissima lama di roccia che a me, già il solo guardarla, incuteva un certo timore. Sembrava solo appoggiata al resto della parete, pronta a staccarsi alla minima pressione… Io ero dell’avviso di aggirarla sulla sinistra. Silvan, però, dopo aver fissato quella lama e averne valutata la consistenza, si è deciso per provare a scalarla dal suo interno. Un’idea folle, ma alla fine è riuscito a convincerci. Non nascondo che, mentre lui apriva questo tratto, io – che stavo sotto di lui (e sotto la lastra) per assicurarlo –ho trattenuto il fiato per quasi tutto il tempo! Superata anche questa sfida, la scalata è proseguita per un altro tratto particolarmente impegnativo fino al successivo bivacco: ogni tiro era una conquista. Una volta superato anche quello, sapevamo che il grosso era alle ormai spalle, e questo pensiero ci ha dato la forza per andare avanti». Il resto è storia breve: «Ad aprire la via, l’ultimo giorno, sono stato ancora io. Eravamo stanchi, ma a quel punto c’era una sola cosa da fare: andare avanti. Metro dopo metro, centimetro dopo centimetro. Fino alla vetta, che abbiamo raggiunto verso mezzogiorno. Lassù abbiamo festeggiato, ma nemmeno troppo, perché di lì a poco il tempo sarebbe cambiato, per cui abbiamo iniziato quasi subito le calate e siamo tornati sui nostri passi». Un’avventura pazzesca: «Dentro di me, il ricordo che serbo di quell’impresa, ribattezzata “Luci e Tenebre”, rappresenta la più grande avventura della mia carriera… in verticale. Emozioni intense, che rivivo nella loro interezza quando ripenso a quei quattro giorni, anche perché, quando sei in parete, non hai tempo per gustartele. Anzi, spesso in quei frangenti è più probabile che ti affiori la domanda “chi me l’ha fatto fare?”. La risposta la trovi solo quando rimetti piede a terra».

Un universo di colori in continua espansione

Mondoverde ◆ Le ortensie: dall’affascinante storia del nome ai segreti per coltivarle, passando per le varietà più resistenti

Di alcune piante sembra che non se ne abbia mai abbastanza, perché con la loro fioritura ogni vaso, aiuola e giardino diventano più belli. È il caso delle ortensie, Hydrangea, conosciute da tutti, facilissime da coltivare, che ogni anno accrescono le loro varietà con nuovi ibridi che vivaisti infaticabili continuano a creare, regalandoci sfumature sempre più belle e generose.

A giustificazione della differenza tra il nome botanico e quello volgare vi sono molte leggende, tutte legate a storie d’amore. Due ricercatori di piante, Philibert Commerson e Antoine de Bougainville, partirono dalla Francia nel 1766 per un viaggio intorno al mondo alla ricerca di nuove piante. Sbarcati in Cina, scoprirono le Hydrangea. Poi la fantasia prende il volo: c’è chi racconta che Commerson trovò anche l’amore, oltre alle piante, innamorandosi di Hortense Lapeaute, moglie di un importante astronomo; storia che venne ostacolata, sebbene continui a durare nel nome della donna che Commerson utilizzò per ribattezzare la pianta più bella da lui scoperta. Un’altra versione riporta invece l’incontro con Hortensia de Nassau, figlia del principe Nassau, che lo accompagnò durante una spedizione botanica. In ogni caso, oggi i cataloghi dei collezionisti sono vere opere d’arte grazie alla palette di colori che offrono questi fiori.

I nuovi esemplari che compaio-

no di anno in anno sono specie legati alla macrophylla, l’ortensia per eccellenza, presente in ogni giardino semi ombroso, che cresce placida con i suoi fiori blu o rosa. Giunta in Europa, ha incontrato subito i gusti dei giardinieri più importanti grazie alle sue minime esigenze: poco sole, una vigorosa potatura a fine inverno, acqua e fertilizzante in primavera. Le ortensie, come quasi tutti sanno, risentono molto del pH del terreno: con suoli acidi avremo fiori blu, per sfumare al rosa servono invece suoli alcalini o neutri. Solo le varietà bianche rimangono imperturbabili al terreno, sfumando quasi impercettibilmente verso un bianco rosato.

Così, come piccoli alchimisti, è possibile somministrare sali di ferro, torba, terra di faggio, aghi e cortecce di pino per creare sfumature più intense di rosa fino ai blu più accesi. Un trucco: essendo le nostre acque di irrigazione ricche di calcio e quindi in grado di eliminare l’acidità del terreno, si può aggiungere un cucchiaio di aceto ogni 5 litri d’acqua.

Tra le più nuove collezioni troviamo il gruppo «You & Me», creato in Giappone, con piante adatte anche alla coltivazione in vaso come «Desireè» con contrasti rosa e celeste, «Forever» blu mare e rosa, e «Romance» di un blu molto scuro e un fuxia sgargiante. Dai fiori con toni del rosso carico troviamo «Magical Ruby Tuesday», varietà mol-

to generosa, alta fino a un metro, con ottima durata anche come fiore reciso. Deve il suo nome alla canzone dei Rolling Stones del 1967, in omaggio a una groupie dell’epoca. Per chi predilige colori intensi, ecco la serie Hydrangea macrophylla «Black Diamonds», selezionata in Germania, con varietà come la teller «Dark Angel Purple», dai fiori bronzei rigati di bianco che cambiano colore con il passare delle settimane.

In vaso è preferibile coltivare varietà più compatte, come «Black Knight», alta 60 cm, con fiori viola lampone mescolati con strisce nere, da abbinare alla candida «Double France», anch’essa alta solo 60-70 cm. Tra le più

www.freepik.com

robuste, l’azzurra «Hopcorn», alta fino a 130 cm, ideale da piantumare davanti a un vecchio muro, magari ricoperto di edera.

Per chi invece ha un giardino esposto al sole, esistono le ortensie paniculate. Molto vigorose, si presentano come arbusti a foglia caduca, ricchissimi di fiori a forma di lunghe pannocchie da giugno fino all’autunno. Con portamento di cespugli ordinati, compatti, con steli eretti e robusti, hanno attirato negli ultimi anni l’attenzione di molti ibridatori. Chiamate anche ortensie di montagna per via della loro resistenza fino a 2000 metri di altitudine, sopportano senza problemi il gelo, fino a – 20°C. La larghezza si aggira tra i 50

cm e i 2 metri, quindi al momento della piantagione va predisposto uno spazio adeguato. Amanti di terreni fertili e ben drenati, assumono un aspetto rigoglioso se il terriccio risulta leggermente acido. Richiedono una concimazione primaverile con un prodotto per acidofile, mentre la potatura invernale si esegue eliminando i rami più vecchi e accorciando la chioma. Tra tutte, la più semplice da reperire è «Limelight», con fiori verde lime che diventano bianchi e poi rosati. Una caratteristica delle ortensie è proprio questa: subire una piacevolissima evoluzione cromatica nel corso delle settimane, con gradazioni dal bianco al porpora, lilla, arancione fino al vinaccia in pieno autunno. Ne sono esempio «Pink Diamond» e «Pinky-Winky» dal magnifico aspetto bicolore, «Vanille Fraise» dal color fragola e «Fraise Melba» che vira al rosso carminio, con chioma ampia fino a 3 metri.

Per chi preferisce dimensioni più contenute, esistono varietà nane come «Bobo», «Polestar», «Little Fresco», «Coussine Petite Flori», «Little Hottie», ideali per la coltivazione in vaso o mastelli, magari da alternare con varietà più alte come «Confetti», dal rosa confetto dei fiori.

Che siano macrophylla o paniculate, le ortensie rimangono protagoniste indiscusse di giardini e terrazzi, capaci di affascinare e stupire stagione dopo stagione.

Suggerimento
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Ricetta della settimana - Verdure alla griglia

Ingredienti

Ingredienti per 4 persone

Verdure alla griglia

400 g di melanzane

400 g di zucchine

2 mazzetti di cipollotti

1 peperone giallo

1 peperone rosso

6 champignon grandi olio d’oliva sale

Quark alle erbe

½ mazzetto di prezzemolo

½ mazzetto d’erba cipollina

1 rametto di timo

250 g di quark semigrasso

1 spicchio d’aglio

2 c d’olio d’oliva

¾ di cucchiaino di sale pepe

Preparazione

Verdure alla griglia

1. Tagliate le melanzane e le zucchine per il lungo a fette spesse circa 1 cm. Dimezzate per il lungo i cipollotti grossi e lasciate interi quelli sottili. Levate i semini ai peperoni e tagliateli a pezzi grossolanamente. Dimezzate i champignon in senso orizzontale.

2. Spennellate verdure e funghi con un po’ d’olio e sala leggermente.

3. Rosolate un po’ per volta a fuoco medio sul grill o in una bistecchiera per 4-7 minuti da ogni lato.

Quark alle erbe

1. Tritate finemente il prezzemolo, l’erba cipollina e il timo.

2. Versate il quark in una piccola ciotola e spremeteci l’aglio.

3. Aggiungete le erbe e l’olio d’oliva, poi mescolate. Condite con sale e pepe.

4. Disponete le verdure alla griglia su un piatto da portata e servite con il quark alle erbe.

Preparazione: circa 40 minuti

Per porzione: circa 12 g di proteine, 12 g di grassi,

19 g di carboidrati, 250 kcal

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Come ho fatto naufragio su un’isola deserta

Colpo critico ◆ Conservas e Venerdì sono due dei giochi solitari tra i più intriganti che mescolano gestione di risorse naturali, principi economici, storytelling e sfide individuali

Sarebbe lungo da spiegare come sono finito a vendere pesce in scatola sulle coste spagnole. La faccio breve: ho comprato una barca, che si chiama El Dorado, e sono uscito alla ricerca di sardine, cozze e capesante. Naturalmente non mi limitavo alla pesca, ma curavo ogni parte della filiera di produzione: dall’inscatolamento del pesce fino alla vendita al dettaglio e alla pubblicità.

Dalla prima sardina all’ultima idea, così ho imparato a non esaurire né le riserve di pesce né quelle di storie

Con il tempo ho provato ad allargare il giro d’affari. Mi sono iscritto alla Cofradía de pescadores, la corporazione locale, e ho comprato una seconda barca, il Camarón de la Isla. Tutto ciò comportava delle spese, quindi mi sono inventato una nuova ricetta per poter alzare il prezzo del pesce in scatola. Avevo già messo gli occhi su un terzo peschereccio: ero indeciso fra la Carpa Diem, che costava poco ma richiedeva una certa manutenzione, e il ¿Te parece bonito?, un mezzo meno capiente ma più sicuro. Per gestire il lavoro dei pescatori e quello degli inscatolatori, senza parlare dei venditori, dovevo tenere alta la produzione.

È stato questo a fregarmi. A un certo punto le barche hanno cominciato a tornare con un carico sempre più ridotto. Che cosa stava succedendo? Un vecchio giù al porto mi ha aperto gli occhi. «¡Tu eres un tonto!» mi ha detto. «Hai pescato troppo». Mi ero dimenticato che bisogna curare la fauna ittica e dare ai pesci il tempo di riprodursi. Altrimenti la riserva si esaurisce.

Come avrete capito, ho perso la mia prima partita di Conservas (Salt & Pepper Games, 2024, nella foto). E anche la mia seconda… ma riproverò! Conservas, creato da Scott Almes e magnificamente illustrato da Jorge Tabanera Redondo, è pensato per un solo giocatore. La sfida prevede un ciclo di dodici partite da una ventina di minuti, che seguono i mesi dell’anno. Con il passare del tempo cambiano le esigenze: all’inizio c’è una varietà di specie limitata, in primavera bisogna rinnovare i magazzini, durante l’alta stagione occorre diversificare l’offerta, sempre cercando di mantenere una relazione equilibrata con l’ecosistema marino.

Il sistema di Conservas è basato sul cosiddetto bag building : per simulare la pesca il giocatore estrae alcune tessere da un sacchetto, secondo vari criteri, poi valuta che cosa farne e come investire i guadagni. Al di là della meccanica, il bello sta nella si-

Giochi e passatempi

Cruciverba

«Pronto sono Mara, un’agente di telefonia. Le piacerebbe cambiare compagnia?» «Sì, mi piacerebbe» «Con chi sta attualmente?» Scopri la risposta leggendo a soluzione ultimata le lettere evidenziate.

(Frase: 3, 3, 6, 1, 3, 7)

ORIZZONTALI

1. Può essere inossidabile

6. Il proprio è … proprio

10. Nome femminile

11. Avvilito, triste

12. Le iniziali del regista Lattuada

14. Sono pari in campo

15. Preposizione articolata francese

16. All’inizio delle olimpiadi

17. Popolo nomade

19. Concepito con la mente

22. Evita la ripetizione

24. Penisola del mare Adriatico

26. Vivono ad Addis Abeba

28. Le spezza una faticaccia

31. Provoca l’etilismo

33. L’Oriente

34. Sono pari nel grado

36. È vicina a Chieti

37. In piena luce

39. Dire senza consonanti

40. Combinazione al lotto

42. Era sul trono iraniano

44. Personaggio fiabesco

45. Prive di energia

VERTICALI

1. Focosi sostenitori… 2. Così finiscono i bisticci

3. Infiamma senza combustione

4. Comodi, spaziosi

5. Due vocali

6. Un possessivo

7. Fu l’ultimo dei giganti

8. Un possessivo

9. Uno dei Sette Nani

11. Carne inglese

13. Parola di plauso

mulazione delle stagioni che passano mentre cambia la luce sul mare. Si ha l’impressione di avere davvero lasciato tutto per un colpo di testa ritrovandosi alla guida di una piccola, scalcagnata azienda alimentare.

Dopo avere portato la mia ditta al fallimento, non mi restava che prendere il mare. Avevo bisogno di riflettere e si sa che «acqua e meditazione sono sposate per sempre», come dice il saggio Ishmael in Moby Dick. Del resto, «quasi ogni ragazzo sano e robusto, che abbia dentro in sé uno spirito sano e robusto prima o poi am-

mattisce dalla voglia di mettersi in mare» (Herman Melville, Moby Dick, 1851, Adelphi, 1994). Benché non sia più un «ragazzo sano e robusto», ho deciso di prendere il largo e, per essere fedele alla tradizione dei buoni romanzi d’avventura, ho fatto naufragio al largo di un’isola deserta. Visto che abbiamo parlato di un gioco pensato per una sola persona, come non citare un classico del genere? Freitag (2F-Spiele, 2011) è un piccolo gioiello di Friedemann Friese (in italiano: Venerdì, Uplay, 2013), per partite di un quarto d’ora. In manie-

ra simile a Conservas, la sfida consiste nell’amministrare le proprie risorse senza fare il passo più lungo della gamba. Cambia però lo scenario: in questo caso il giocatore indossa i panni di Robinson Crusoe che deve ingegnarsi per sopravvivere. Come accade nel romanzo di Daniel Defoe, si tratta di una solitudine temporanea: presto arriveranno cannibali e pirati a movimentare la vita del naufrago. La meccanica è quella del deck building : si parte con un piccolo mazzo di carte al quale si aggiungono altre carte utili oppure pericolose; bisogna perciò valutare quali rischi correre e creare un mazzo efficiente, prima di affrontare la lotta contro i filibustieri. Nello spazio di un pomeriggio ho comprato un peschereccio e creato un’azienda, mi sono imbarcato su un veliero e sono sopravvissuto su un’isola deserta (sì, sono riuscito a vincere almeno una partita a Venerdì). Alla fine mi sembra di avere imparato qualcosa non solo come giocatore, ma anche come scrittore. Quando raccontiamo un storia, infatti, può capitare che perdiamo la rotta. L’importante è resistere, senza cadere nella tentazione di sfruttare troppo la fauna ittica delle nostre idee. E soprattutto, quando occorre, non esitiamo a prendere il largo: dietro ogni naufragio ci sono nuove terre e nuove isole da scoprire.

i 3 numeri corretti da inserire

caselle

15. Il desiderio del poeta

18. Si tenta di raggiungerla

20. In seguito

21. Dipartimento della Francia settentrionale

23. Città lombarda

25. Figurano nelle carte da gioco

27. Un colore

29. Sede dell’Areopago

30. Collisione

32. Famoso Laurenti della Tv

35. Il «lo» tedesco

38. Due volte nel brindisi

41. Nel tronco e nella radice 42. Centro di Boston 43. Le iniziali del

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

Soluzione della settimana precedente DISTESA ERBOSA – Il parco più

I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

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Settimana Migros Approfittane e gusta

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Tutti i gelati con la foca e affini su stecco prodotti surgelati, disponibili in diverse varietà, (escl. articoli spacchettati), 12 pezzi, 684 ml, per es. Vaniglia, 3.65 invece di 7.30, (100 ml = 0.53)

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Migros Ticino
Migros Ticino
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Il gusto dell’estate

riescono particolarmente

bene sul fuoco, poiché la carne rimane succulenta. Basta insaporire la carne con sale, pepe e timo esco, grigliare a fuoco medio per circa 15 minuti, girando di tanto in tanto. Se il tempo è brutto, sono perfette anche al forno. Consiglio: servire con del burro alle erbe fatto in casa.

3.95

5.25

2.90

8.45 Rivella

conf. da 6
Snacketti Zweifel
Shells, Bacon Strips
conf. da 2

Pesce e frutti di mare

Delizie rosa dal mare

23%

Pesce fresco Anna's Best in vaschetta per la cottura al forno filetto di salmone al limone e coriandolo ASC, filetto di merluzzo con pistacchi MSC e filetto di salmone selvatico con aneto MSC, per es. filetto di salmone ASC, d'allevamento, Norvegia, 400 g, 9.95 invece di 12.95, in self-service, (100 g = 2.49)

Gamberi per la griglia, conditi con olio d'oliva e aglio

20%

2.80

invece di 3.50

Gambas al ajillo Grill mi, ASC in vaschetta per grill, d'allevamento, Vietnam, per 100 g, in self-service

20%

10.50

invece di 13.25

Filetti di salmone con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, 4 pezzi, 500 g, in self-service, (100 g = 2.10)

33%

Pacific Prawns ASC o frutti di mare misti, Costa prodotto

in conf. speciale, per es. Pacific Prawns, ASC, 800 g, 19.80 invece di 29.60, (100 g = 2.48)

surgelato,

Stelle cremose in diretta

4.60 Rosette di formaggio Tête de Moine, AOP

120 g, (100 g = 3.83)

3.40 Tartare alle erbe aromatiche e all'aglio

150 g, (100 g = 2.27)

3.20 Mozzarella grattugiata M-Classic

250 g, (100 g = 1.28)

2.40 invece di 3.–

Le Gruyère surchoix Migros Bio, AOP circa 200 g, per 100 g, prodotto confezionato 20%

1.75

Formaggella ticinese 1/4 grassa per 100 g 16%

invece di 2.10

2.05

Gottardo Caseificio per 100 g, prodotto confezionato 16%

invece di 2.45

1.90

Grana Padano DOP pezzo da ca. 700/800 g, per 100 g, confezionato 15%

invece di 2.25

Migros Ticino

20%

Snack al latte refrigerati Kinder

Fetta al Latte, Pinguì, Choco fresh e Maxi King (articoli singoli esclusi), per es. Fetta al Latte, 5 pezzi, 140 g, 1.28 invece di 1.60, (100 g = 0.91)

a partire da 2 pezzi 20%

Fagottini di spelta alle pere Migros Bio, bastoncini alle nocciole o pasticcini alle pere, Petit Bonheur per es. fagottini di spelta alle pere Migros Bio, 3 pezzi, 225 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 1.24)

Berliner con ripieno di crema in conf. speciale, 4 pezzi, 400 g, (100 g = 1.25) 28%

5.–

invece di 7.–

conf. da 2 20%

4.70

invece di 5.90 Le Gruyère grattugiato AOP

2 x 130 g, (100 g = 1.81)

7.35 invece di 8.70 Mezza panna Valflora in bomboletta spray, IP-SUISSE 2 x 250 ml, (100 ml = 1.47)

Migros Ticino
a partire da 2 pezzi

5.–

invece di 7.50 Rösti Original M-Classic 3 x 500 g, (100 g = 0.33)

1.55

conf. da 4

1.85 di riduzione

13.95

invece di 15.80 Il Burro 4 x 250 g, (100 g = 1.40)

Panino del 1° agosto 100 g, prodotto confezionato

20%

9.95

invece di 12.60

Salmone selvatico Sockeye M-Classic, MSC pesca, Pacifi co nordorientale, 280 g, in self-service, (100 g = 3.55)

21%

1.20

invece di 1.55

Emmentaler dolce (Emmi Fromagerie escluso), circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato

3.50 Millefoglie del 1° agosto

2 pezzi, 200 g, prodotto confezionato

5.95

invece di 6.95

Carne secca dei Grigioni IGP Svizzera, 100 g, in self-service 14%

Tutte le trecce precotte per es. treccia al burro M-Classic, IP-SUISSE, 550 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 0.51) 20%

conf. da 2 20%

7.90

invece di 9.90

Prosciutto paesano Tradition Svizzera, 2 x 150 g, (100 g = 2.63)

conf. da 4 20%

Yogurt LC1 Immunity Nestlé disponibili in diverse varietà, per es. arancia sanguigna e zenzero, 4 x 150 g, 3.50 invece di 4.40, (100 g = 0.58)

conf. da 2 20%

Kellogg's disponibili in diverse varietà, per es. Special K Classic, 2 x 600 g, 9.50 invece di 11.90, (100 g = 0.79)

Tutti i cereali e i semi, Migros Bio (articoli Alnatura esclusi), per es. fiocchi d'avena svizzeri, fini, 400 g, 1.44 invece di 1.80, (100 g = 0.36) a partire da 2 pezzi 20%

Pratici quando lo stomaco brontola

conf. da 2 22%

Snack e menù asiatici, Anna's Best

Mini Chicken Spring Rolls, Momos Beef o Chicken Teriyaki con riso, per es. Mini Chicken Spring Rolls, 2 x 300 g, 10.80 invece di 13.90, (100 g = 1.80)

conf. da 2 40%

6.95

invece di 11.60

A base di vegetaliproteine

Tortelloni Anna's Best, refrigerati tricolore al basilico o ricotta & spinaci, 2 x 500 g, (100 g = 0.70)

conf. da 6 22% Planted. disponibili in diverse varietà, per es. al naturale, 175 g, 4.76 invece di 5.95, (100 g = 2.72) 20%

Fette di ananas Sun Queen 6 x 140 g o 3 x 340 g, per es. 6 x 140 g, 6.– invece di 7.70, (100 g = 0.71)

16.50

invece di 22.–

Mini pizze Piccolinis Buitoni prodotto surgelato, in confezione speciale, al prosciutto o alla mozzarella, 40 pezzi, 1,2 kg, (100 g = 1.38) 25%

a partire da 2 pezzi 20%

Sofficini M-Classic prodotto surgelato, disponibili in diverse varietà, per es. sofficini al formaggio, 8 pezzi, 480 g, 4.24 invece di 5.30, (100 g = 0.88)

Spicchi di mango o noci di anacardi, Sun Queen

2 x 200 g, per es. spicchi di mango, 7.– invece di 8.80, (100 g = 1.75) conf. da 2 20%

Placano la sete! Bevande

e

conf. da 2 20%

Kellogg's disponibili in diverse varietà, per es. Trésor Choco Nut, 2 x 620 g, 11.10 invece di 13.90, (100 g = 0.90)

Matcha Alnatura tè verde finemente macinato dal Giappone, 30 g, (100 g = 43.00)

conf. da 10 43%

Capri Sun

Multivitamin, Multivitamin Zero, Monster o Mystic Dragon, 10 x 200 ml, (100 ml = 0.14)

Tutti i tè Cold Brew per es. Ice Tea al limone, 10 bustine, 3.16 invece di 3.95, (100 g = 10.53) a partire da 2 pezzi 20% 2.80 invece di 4.95

Tutto l'assortimento Focus Water disponibili in diverse varietà, 500 ml, per es. Active, 1.68 invece di 2.10, (100 ml = 0.34) a partire da 2 pezzi 20%

Acqua minerale Aproz disponibile in diverse varietà, 6 x 1,5 litri e 6 x 1 litro, per es. frizzante, 6 x 1,5 litri, 3.20 invece di 6.40, (100 ml = 0.04) a partire da 2 pezzi 50%

Bontà che rinfresca e dolcezza che scalda il cuore

–.50 di riduzione

Tutti i biscotti in rotolo M-Classic e Migros Bio per es. biscotti Rädli, 210 g, 1.70 invece di 2.20, (100 g = 0.81)

a partire da 2 pezzi 20%

Tutte le tavolette di cioccolato Lindt per es. al latte finissimo, 100 g, 2.88 invece di 3.60

a partire da 2 pezzi 25%

conf. da 3 32%

5.95 invece di 8.85

Petit Beurre M-Classic Chocolat au Lait o Chocolat Noir, 3 x 150 g, (100 g = 1.32)

Coaties e Crunchy Clouds, Frey (confezioni grandi e multiple escluse), per es. brezel salati Coaties Crispy, 100 g, 2.36 invece di 2.95, (100 g = 2.36) 20%

Tutti i ghiaccioli prodotti surgelati (art. spacchettati esclusi), per es. ghiacciolo su stecco Cowboy, vegano, 12 x 48 ml, 4.46 invece di 5.95, (100 ml = 0.77)

Settimana prossima è il 1° agosto

Palline di cioccolato al latte Frey per il 1° agosto in conf. speciale, 1 kg 50%

13.–invece di 26.–

3.95

Choco Kiss Villars 4 x 30 g, (100 g = 3.29)

Bellezza che si

Per la bellezza di viso e corpo

1.95

Prodotti per la cura del viso e del corpo Nivea e Nivea Men incl. Baby (prodotti Sun, confezioni da viaggio, set regalo e conf. multiple escluse), per es. siero antimacchie Luminous 630, 30 ml, 24.71 invece di 32.95, (10 ml = 8.24) a partire da 2 pezzi

Prodotti per la cura del viso o del corpo o creme multiuso, Nivea (prodotti solari, per la doccia e per la cura delle mani esclusi), per es. struccante per occhi per trucco resistente all'acqua, 2 x 125 ml, 8.90 invece di 11.90, (100 ml = 3.56)

Fazzoletti e salviettine cosmetiche Linsoft, FSC® per es. in scatola quadrata, 3 x 90 pezzi, 5.50 invece di 6.90

2.45 Scatole quadrate di fazzoletti Kleenex Disney, FSC® disponibili in diversi motivi, 48

l'assortimento Manhattan per es. mascara waterproof Volcano, il pezzo, 7.63 invece di 10.90

Classic Linsoft, FSC® in conf. speciale, 42 x 10 pezzi

Per chi ha buon fiuto

per capi delicati Yvette per es. Wool & Silk, 2 x 2 litri, (1 l = 4.75)

Tutti i detersivi Elan (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Spring Time, in conf. di ricarica, 2 litri, 6.48 invece di 12.95, (1 l = 3.24)

Tutto l'assortimento Potz per es. decalcificante istantaneo, 1 litro, 4.64 invece di 5.80

Carta per uso domestico Twist Classic, Deluxe o Recycling, in conf. speciali, per es. Classic, FSC®, 12 rotoli, 10.90 invece di 15.60 30%

Tutti i pannolini Pampers (confezioni multiple escluse), per es. Premium Protection, tg. 1, 24 pezzi, 6.53 invece di 9.75, (1 pz. = 0.27)

Detersivo per lavastoviglie e a mano per stoviglie, Nature Clean (confezioni multiple escluse), per es. detersivo a mano per stoviglie al limone, 500 ml, 2.36 invece di 2.95, (100 ml = 0.47) a partire da 2 pezzi

invece di 109.95

a contatto digitale Koenig il pezzo

invece di 19.95

Rose nobili Fairtrade disponibili in diversi colori, mazzo da 9, lunghezza dello stelo 60 cm, il mazzo

di 9.95 Phalaenopsis, 2 steli disponibile in diversi colori, Ø 12 cm, il vaso 20%

Prezzi imbattibili del weekend

30%

3.45

invece di 4.95

2.95

5.10

invece di 9.–

Pomodori pelati triturati Longobardi

6 x 400 g, (100 g = 0.21), offerta valida dal 24.7 al 27.7.2025

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