Cooperativa Migros Ticino
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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 13 agosto 2018
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Società e Territorio L’importanza della resilienza per affrontare le difficoltà della vita
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Verzasca: non solo turismo
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Keystone
La forma scambiata per sostanza di Peter Schiesser Verrebbe voglia di credere che si tratti soltanto di un deprecabile malinteso: come spiegare altrimenti l’eclatante decisione dell’Unione sindacale svizzera e di Travailsuisse di non partecipare ai colloqui che il capo del Dipartimento federale dell’economia pubblica aveva indetto per il 9 agosto con le cerchie economiche, sindacali e i Cantoni? Johann Schneider-Ammann aveva il compito, da parte del Consiglio federale, di valutare assieme a questi partner altre forme di protezione salariale dei lavoratori in Svizzera, più digeribili per l’Unione Europea rispetto a quelle definite nelle misure fiancheggiatrici che regolano la libera circolazione delle persone, fermo restando il principio della protezione dei salari. L’esito dei colloqui era incerto fin dall’inizio. Prima di tutto perché erano nati sotto una cattiva stella: l’esternazione del consigliere federale Cassis secondo cui se non si era disposti a fare compromessi da ambo le parti, in Svizzera sul fronte delle misure fiancheggiatrici, non sarebbe stato possibile concludere l’annoso negoziato su un accordo istituzionale fra la Svizzera e l’UE che cementi i rapporti
bilaterali, aveva immediatamente spinto i sindacati di sinistra sulle barricate. Tuttavia, né Cassis né il Consiglio federale intendono modificare la sostanza (cioè indebolire la protezione dei salari) bensì la forma (trovando altri meccanismi) e così la pensano anche le associazioni economiche. Ma l’Unione sindacale svizzera e Travailsuisse non ci credono e accusano Cassis e Schneider-Ammann di violare la linea rossa tracciata dal Consiglio federale stesso. Quali sono i punti della discordia? Bruxelles critica (da 10 anni) che le imprese dell’UE debbano comunicare con 8 giorni d’anticipo l’invio di dipendenti «distaccati» in Svizzera e che le aziende dell’UE debbano versare una cauzione per coprire eventuali abusi finanziari verso i lavoratori. I sindacati di sinistra non intendono cedere su questi due aspetti, tantomeno vogliono che le misure fiancheggiatrici diventino parte dell’accordo quadro istituzionale con l’UE, perché secondo loro ciò aprirebbe la porta ad un indebolimento delle stesse. Evidentemente, non danno credito alla nuova filosofia (e legge, da maggio) europea che sancisce per i lavoratori distaccati il principio «stesso salario per stesso lavoro», né si fidano del Consiglio federale e dei partner economici. Al punto tale da non
volersi nemmeno presentare ai colloqui, quindi di rifiutare qualsiasi dialogo, senza neppure sapere a quali conclusioni avrebbero portato. Allora, si tratta di un grosso malinteso o piuttosto di una rigidità ideologica, come di solito si trova solo fra gli anti-europeisti a destra? Senz’altro, sconcerta vedere i sindacati di sinistra e con essi il Partito socialista svizzero, europeisti per eccellenza fino a simpatizzare per un’adesione, chiudersi in questo modo quando tocca a loro dover fare delle concessioni. Il fatto è che questa rigidità mette a repentaglio la conclusione dell’accordo istituzionale in tempi brevi e crea il rischio di contromisure da parte europea, ciò che porterebbe ad un progressivo peggioramento delle relazioni bilaterali. Abbiamo forse già dimenticato che l’anno scorso la Commissione europea aveva riconosciuto l’equivalenza della Borsa svizzera solo per quest’anno, in attesa di progressi sostanziali verso un accordo istituzionale? Qualcuno ce lo sta già ricordando da Bruxelles, per cui: vogliamo davvero mettere a rischio questo settore della finanza svizzera e in seguito anche la solidità dei rapporti globali – economici, sociali, nella ricerca, nella formazione... – in nome di una forma scambiata per sostanza?