Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Abitare insieme sostenendosi: tutti i vantaggi delle cooperative
Ambiente e Benessere In Svizzera attualmente sono già oltre quattro milioni le persone che vivono in una Città dell’energia
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 29 maggio 2017
Azione 22 Politica e Economia Viaggiare al seguito di Trump: è un lavoro come un altro ma qualche differenza c’è
Cultura e Spettacoli Alla Triennale di Milano il mondo dell’arte si interroga sulle migrazioni
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L’America cementa le vecchie alleanze
Pace linguistica intatta: Zurigo non cambia rotta
di Peter Schiesser
di Marzio Rigonalli
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Keystone
Non è mai facile capire il Medio Oriente, con i suoi regimi autocratici e le sue monarchie, i suoi fondamentalismi di diverse ispirazioni, quel chimerico califfato. Tantomeno, è facile comprendere come evolvono le società civili sotto la cappa di quei regimi. E da quando sono scoppiate le rivolte arabe sei anni fa, questo compito è ancora più difficile. La tentazione di affidarsi a vecchi cliché è quindi grande ma pericolosa, perché può portare ad alleanze poco lungimiranti. Prendiamo l’Iran, identificato fin dalla presa del potere da parte degli ayatollah 38 anni fa come uno Stato nemico, e l’Arabia Saudita, con cui gli Stati Uniti hanno un’alleanza forgiatasi sul petrolio. Nella sua prima visita all’estero da presidente, in Arabia Saudita e Israele, Donald Trump ha qualificato l’Iran di sponsor del terrorismo. E se l’accordo sul nucleare con il regime iraniano non è forse così in pericolo come la retorica trumpiana lascia credere, molte sanzioni economiche americane contro Teheran resteranno in vigore ancora a lungo, dimostrando che per Washington la Persia resta un Paese oscurantista e autoritario. Ma è proprio così? È vero che gli ayatollah mandano le proprie truppe in Siria a combattere a fianco di Assad (lo fa anche la Russia, ma Trump non dà del terrorista a Putin), che in Libano foraggiano gli hezbollah in funzione anti-israeliana, che in patria impongono da 38 anni il proprio potere anche quando vengono eletti presidenti riformisti come Mohammed Khatami (1997-2005) o perlomeno moderati come Hassan Rohani (dal 2013). Ma identificando la Persia unicamente con gli ayatollah si perde di vista l’evoluzione che la società civile sta compiendo da tempo, la sua crescente fame di modernità e di libertà, di apertura all’Occidente. È un cammino lento, all’interno di una struttura autoritaria tuttora dominata dagli ayatollah, ma che sta portando i suoi frutti. Il presidente Rohani è riuscito a stabilizzare l’economia, nel 2015 ha raggiunto un accordo sul nucleare che ha ridotto le sanzioni e permesso più commerci con l’estero. Ora che è riuscito a farsi rieleggere, una settimana fa, intende trasformarsi da moderato in riformista: ha omaggiato l’ex presidente Khatami nonostante sia vietato pronunciare in pubblico il suo nome, si è impegnato ad aprire il paese e la sua economia, a dare maggiori diritti e libertà alla popolazione. Per le decine di milioni di persone che hanno votato per lui, la retorica anti-iraniana di Trump significa un indiretto aiuto agli ayatollah, che possono continuare a compattare i propri sostenitori contro il Grande Satana, e un mancato riconoscimento delle spinte riformiste che stanno cambiando la società iraniana. Gli Stati Uniti perdono così l’occasione di farsi nuovi alleati. Al contrario, alla monarchia saudita il presidente americano ha portato in dono la promessa di carri armati, armi, elicotteri, navi e un sistema di difesa antimissili per 110 miliardi di dollari, incurante del fatto che una parte di quegli armamenti (in particolare le bombe di precisione, la cui vendita Obama aveva sospeso, pur accordando anch’egli commesse militari per 115 miliardi) verranno impiegati nella guerra che l’Arabia Saudita ha lanciato contro i ribelli Huthi nello Yemen, ma anche contro la popolazione civile, bombardando ospedali e scuole. Trump ha dunque ricompattato l’alleanza con l’Arabia Saudita, benché la sua religione di Stato, il wahabismo, abbia gettato i semi di gruppi terroristici come al Qaeda e lo Stato islamico, e senza preoccuparsi che la poco democratica monarchia saudita tratti con i piedi i diritti umani e la vita degli yemeniti, in contrasto con i valori che l’Occidente predica fin troppo facilmente.
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