Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXX 20 febbraio 2017
Azione 08 Società e Territorio Giuditta Pasotto ci racconta il successo di GenGle, il social network per genitori single
Ms alle hopping pagi ne 4 1-46
Ambiente e Benessere La dietista Pamela Beltrametti ci accompagna attraverso quello che lei stessa definisce «un mestiere che non manca di gusto»
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Politica e Economia L’invito al presidente americano per una visita di Stato in Gran Bretagna scatena le proteste
Cultura e Spettacoli Al Masi di Lugano un dialogo tra Meret Oppenheim e artisti suoi contemporanei
pagine 9
pagina 2
pagina 24
pagina 33
di Benedikt Vogel pagine 12-13
B. Vogel
Un progetto futuristico in Ticino
Trump e le nebbie mediorientali di Peter Schiesser Un altro tabù incrinato: Donald Trump prende le distanze dal modello «due Stati» per una soluzione del conflitto israelo-palestinese perseguito da Bill Clinton e da tutti i suoi successori. In occasione della visita a Washington del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il presidente statunitense ha dichiarato di poter convivere sia con il modello dei due Stati, sia con quello di uno Stato unico, come preferiranno israeliani e palestinesi, purché si giunga ad un accordo di pace, che Trump afferma di voler cercare. Che cosa significa questa frase apparentemente innocua? I palestinesi hanno risposto subito: l’unica soluzione possibile è di avere due Stati, poiché vivere in uno Stato unico con gli israeliani equivarrebbe ad essere cittadini di serie B (come già accade ai quasi due milioni di arabi che vivono dentro i confini di Israele, se non peggio). Chi segue gli affari mediorientali è convinto che l’unica via percorribile sia la creazione di uno Stato palestinese e che con il tempo anche l’Amministrazione Trump giungerà a questa conclusione. Lo stesso Bibi Netanyahu sostiene il modello «due Stati», benché in modo molto
tiepido; lo Stato unico rafforzerebbe politicamente, a suo discapito, i suoi alleati di governo dell’estrema destra che sognano tuttora una Grande Israele, con Gaza e la Cisgiordania. O forse la frase di Trump è solo un modo per spingere i palestinesi al tavolo dei negoziati sotto la minaccia del bastone? Potremo capirlo quando si concretizzerà il piano di pace americano cui Trump ha fatto allusione. Ma esistono le condizioni per una soluzione definitiva del conflitto fra israeliani e palestinesi, oggi? Di Netanyahu si dice che non ami il rischio e che negli oltre sette anni al governo non ha presentato alcuna visione su cui modellare i rapporti fra israeliani e palestinesi: qualsiasi iniziativa di pace può costargli voti, sposare la causa dei nazionalisti ebraici provocherebbe una terza Intifada (ben più feroce di quella in corso da mesi a fuoco lento, con singoli palestinesi che accoltellano o investono civili ebrei) – meglio quindi lo statu quo, con un’autonomia limitata ai Territori palestinesi. Se Obama aveva detto che lo statu quo è insostenibile, la sua pragmatica Segretaria di Stato di allora Hillary Clinton aveva puntualizzato che, sì, lo statu quo è insostenibile sul lungo periodo, ma che può essere ancora sostenibile per anni o decenni. In effetti, le posizioni fra le due parti sono più
distanti oggi di vent’anni fa, periodo durante il quale Israele non ha cessato di costruire insediamenti ebraici in Cisgiordania, l’Autorità palestinese orfana di Arafat ha governato in modo corrotto la Cisgiordania, mentre Hamas ha esercitato il suo pugno di ferro sulla Striscia di Gaza (e con Yahya Sinwar ha nominato suo leader una settimana fa un estremista e nemico giurato di Israele). Inoltre, Israele ha meno bisogno di un tempo di una pace definitiva con i palestinesi. Se nei decenni seguiti alla sua creazione, nel 1948, si è trovato attorniato da Stati arabi che ne perseguivano esplicitamente la distruzione, ora il quadro in Medio Oriente è profondamente cambiato. Egitto e Giordania hanno da tempo firmato una pace e la rispettano, l’acerrimo nemico siriano è imploso, l’Iraq non sta molto meglio, mentre nel caos seguito alla fallita Primavera araba le monarchie sunnite, capitanate dall’Arabia Saudita, hanno trovato in Israele un alleato naturale contro l’Iran nel contesto del rinnovato scontro fra musulmani sunniti e sciiti, come pure contro i fondamentalismi sunniti (Isis, al Qaeda ed altre formazioni minori). Considerati questi fatti, parlare di modello di uno o due Stati resta un discorso accademico: nessuna delle due vie è oggi percorribile.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Società e Territorio Figli adolescenti La psicologa Piera Malagola spiega ai genitori come comunicare senza litigare pagina 3
In Val Rovana Alla scoperta di Faido, il villaggio abbandonato che resiste alle intemperie e all’avanzata del bosco
La spesa per bambini Al Serfontana arriva «Mini Migros», il parco giochi fatto come un supermercato
pagina 4
Le donne e la divisa Sono più di mille le donne incorporate nell’esercito svizzero, abbiamo incontrato una giovane recluta
Comunicare senza litigare
Adolescenza Un’età difficile in cui il rapporto genitori-figli è messo a dura prova. I consigli della psicologa
e psicoterapeuta Piera Malagola Elisabetta Oppo
pagina 5
pagina 6
La community dei GenGle Famiglie monoparentali Il primo social
network italiano dedicato ai genitori single arriva anche in Svizzera
L’adolescenza rappresenta un periodo di sfide importanti per i genitori, che può portare a un lungo braccio di ferro con i figli. È, infatti, la fase in cui i ragazzi costruiscono la propria identità e sentono il bisogno di maggiore autonomia. Necessità che si manifesta con sentimenti contrastanti, a volte i figli sembrano incredibilmente scontrosi, altre insicuri e infantili, con un forte bisogno d’affetto. Ecco perché, da genitori, vale la pena soffermarsi a riflettere per cercare di uscire «indenni» da difficili situazioni quotidiane, e trovare un nuovo «linguaggio» per comunicare con i figli. Abbiamo intervistato la psicologa e psicoterapeuta Piera Malagola. Dottoressa Malagola, spesso quando si parla di adolescenza, ci si riferisce a una prima e una seconda adolescenza, che distinzione si può fare tra le due fasi?
Alessandra Ostini Sutto Sono molti oggigiorno i genitori single che in seguito a una separazione si ritrovano ad affrontare una nuova condizione, a volte inaspettata o non condivisa. Uomini e donne che si trovano da soli di fronte ai figli, con cui organizzare e intraprendere una nuova vita e cercare un nuovo equilibrio. Nonostante la diffusione del modello di famiglia monoparentale, il genitore single può ancora riscontrare difficoltà, per esempio a conservare i rapporti sociali o ad instaurarne di nuovi. Con inevitabili ripercussioni sul benessere dei figli. «In un momento in cui mi sentivo veramente persa, fragile e vulnerabile e mi sembrava che le persone intorno a me fossero tutte felicemente sposate, ho ideato GenGle, il primo social network in Italia dedicato ai genitori single, che dalla metà di marzo sarà presente pure in Svizzera», afferma la fiorentina Giuditta Pasotto, mamma single di due bambini di 5 e 10 anni e a sua volta figlia di genitori separati. Una bella intuizione nata da un bisogno soggettivo: «Il bisogno di supporto e condivisione è immenso quando si affrontano situazioni così difficili; proprio per questa ragione la prima missione del sito è quella di accogliere chi necessita di confrontarsi con persone con un vissuto analogo al proprio, per ripartire». E GenGle vuole proprio essere il motore di questa nuova partenza. Il nome del sito è una sorta di neologismo per denominare i «genitori single», siano essi separati, divorziati o vedovi. I «gengle» – come un po’ tutti – hanno bisogno di un posto sicuro dove incontrare persone positive con interessi comuni. Lo scopo della piattaforma è quindi quello di creare una rete di aiuto reciproco, all’interno della quale unire le forze, sostenersi nei momenti di difficoltà, condividere il tempo libero in compagnia dei propri figli o ancora ricevere idee e consigli e scambiarsi opinioni ed esperienze.
Iscriversi è gratuito, semplice e veloce: l’unico requisito è quello di essere un genitore single. Una volta completata l’iscrizione, su www.gengle.it l’utente può aderire alle proposte altrui (selezionabili in base al luogo e alla tipologia di attività) o farne delle proprie, creando così la propria rete di amicizie. «Il sito è stato pensato per essere il più elementare e intuitivo possibile e le proposte possono essere le più disparate: un raduno, una cena in pizzeria, una gita al mare o un pomeriggio alle giostre», spiega l’ideatrice e amministratrice di GenGle, che lavora come fotografa e web designer. La bacheca della propria regione è lo spazio per lo scambio dell’usato e la ricerca del lavoro. Il sito presenta poi le sezioni «Vacanze», «Consulenti», che aiuta a trovare professionisti della propria regione, per esempio per un consulto legale o un supporto psicologico e «Convenzioni», dove aziende, strutture o negozi propongono offerte a tariffe agevolate per i membri della community. Nel concetto di «rete» risiede uno degli elementi chiave del successo: «Se all’inizio per avere o scambiare informazioni i genitori si rivolgevano direttamente a me, con il passare del tempo e il crescere del gruppo, qualcuno tra di loro ha capito che poteva avere un ruolo attivo nel progetto», commenta Giuditta Pasotto, «ed è così che oggi siamo diventati una “community”, all’interno della quale l’apporto del singolo è fondamentale per la crescita della rete di supporto». Segnalare se si svolge un lavoro che può tornare utile a qualcuno, condividere il link di una ricerca di impiego o l’annuncio di un appartamento sono piccoli gesti che possono avere un grande impatto sulla vita di qualcuno. «Scambiare i vestiti che i nostri figli non mettono più è un modo di risparmiare e socializzare, mentre segnalare un’occasione per incontrarsi può risultare un ottimo
In genere si parla di una prima adolescenza dagli 11 ai 14 anni e una seconda adolescenza dai 14 ai 18. La prima adolescenza è caratterizzata dai cambiamenti del corpo, della mente, da mutamenti più fisici. Avviene un forte bombardamento ormonale che causa scombussolamenti emotivi e caratteriali. Mentre nella seconda adolescenza c’è la costruzione di una propria autonomia. Si ha un allontanamento dalle figure parentali, è più un distacco psicologico, e l’adolescente inizia a identificarsi come persona. Anche nella preadolescenza si ha un’evoluzione di intelligenza a livello di pensiero, ma è solo intorno ai 14-15 anni che i ragazzi iniziano ad avere una maggiore sensazione del proprio io e delle proprie caratteristiche, è per questo che cercano una differenziazione più stabile. L’adolescenza è in generale uno dei periodi in cui il rapporto tra genitori e figli è messo più a dura prova. Perché? Che cosa accade nella mente del ragazzo?
Nella mente del ragazzo c’è proprio un’evoluzione totalmente nuova, si Giuditta Pasotto, mamma single di due figli, è l’ideatrice di GenGle.
modo per condividere le spese e divertirsi in compagnia», continua l’imprenditrice. In una società dominata dall’individualismo, questa piattaforma ha trovato la formula vincente ponendo le persone al centro e riuscendo a far emergere la volontà di mettersi in gioco, condividere esperienze reali e collaborare. «Il fatto di puntare tutto sul reale, pur essendo un social, è un altro degli elementi del successo di GenGle», afferma la mamma in carriera, «amo dire che GenGle è uno strumento virtuale per un sostegno reale: il web è solo uno strumento, che porta gli utenti a vedersi, condividere esperienze e creare legami reali». Creato nel settembre del 2015, il social per genitori single conta oggi oltre 29 mila utenti. «Attualmente – dice Giuditta Pasotto – il rating di crescita degli iscritti è di circa 5-600 al mese, e questo senza che io abbia mai fatto pubblicità. Il target è molto ampio: genitori single molto giovani con figli piccoli, ma anche nonni con figli grandi che si sono separati dopo tanti anni di matrimonio. In un primo tempo ad aderire erano soprattutto le donne, ma
ora gli uomini costituiscono il 40%; l’estrazione sociale è eterogenea». Ma in che modo influisce GenGle sulla vita dei suoi utenti? «A titolo personale, posso dire che ora i miei bambini riescono a parlare tranquillamente della loro situazione, che abbiamo sempre qualcosa da fare nei weekend e che io non ho più paura di fare le cose da sola», afferma la «madre» di GenGle. Per tutti questi motivi, GenGle sta ottenendo un buon riscontro, e non solo in Italia. «Abbiamo iscritti da tutte le parti del mondo e, ovviamente, dalla vicina Svizzera – precisa Giuditta Pasotto – si tratta di italiani che vivono nel vostro Paese e si iscrivono perché quando tornano in patria per le vacanze si sentono isolati. Oltre ai parenti, non possono più contare sulle amicizie di un tempo. Grazie a GenGle possono mettersi in contatto con persone della loro città d’origine per condividere delle attività o partecipare ad eventi». Non possono però fare la stessa cosa nella loro città di residenza, perché al momento questo servizio è offerto da GenGle solo per l’Italia. Ma la situazione sta per cambiare: «Dal 15 marzo GenGle arriverà in Europa, e quindi
anche in Svizzera. Non sarà, per ora, tradotto, in quanto inizialmente dedicato agli italiani che vivono all’estero. Successivamente è però nostra intenzione trovare dei validi professionisti del posto disposti a collaborare con noi per le nostre sezioni specifiche», spiega l’intraprendente mamma single, che a dicembre ha pubblicato, con Tommaso Sacchini, Genitori Single – Manuale di sopravvivenza per avere una relazione serena con i figli e con l’ex (Giunti editore). A fine mese uscirà, inoltre, l’app di GenGle, che renderà i servizi fruibili direttamente su smartphone o tablet. Grazie a questo sito web, che aiuta chi ha un bambino, ma non un partner, a sentirsi meno solo, Giuditta Pasotto ha vinto un concorso regionale come miglior progetto per il sociale. «Ma il riconoscimento più grande sono i miei iscritti, quando mi mandano email di ringraziamento o quando mi seguono in qualche iniziativa folle. Vuole sapere l’ultima? ho invitato tutti i “gengle” d’Italia a dormire a casa dei “gengle” fiorentini, e ha funzionato: un weekend a costo zero cui ha partecipato gente persino dal Belgio», conclude Giuditta Pasotto.
presenta la possibilità di iniziare a contemplare contemporaneamente più variabili e più ipotesi. Mentre un bambino ha un pensiero che lavora più sulle esperienze concrete in modo lineare, nella mente di un adolescente iniziano a formularsi varie ipotesi astratte, una rete di pensieri che lo portano a immaginare le sue azioni future. Compaiono le domande su se stesso, «chi sono io e cosa farò…», c’è uno sviluppo di pensiero che va in tante direzioni, ciò comporta anche l’essere più polemico e curioso nei confronti della realtà. Il preadolescente prende in modo un po’ meno critico la realtà che lo circonda, mentre l’adolescente acquisisce un proprio modo di pensare e inizia a non dipendere da tutto ciò che i genitori dicono.
L’atteggiamento degli adolescenti, che spesso i genitori vivono come una provocazione, è quindi qualcosa di fisiologico?
Diciamo che nell’adolescenza è normalità quella che in altri momenti della vita può essere considerata patologia. Squilibrio, esplosione emotiva, contrasti più forti, che sono tipici in questa fase, sarebbero considerati patologici in una persona più matura. Il periodo dell’adolescenza può essere associato a un concetto di felicità e spensieratezza più nella mente degli adulti che nella concretezza della vita dei ragazzi. I ragazzi hanno bisogno di sperimentare, di sentirsi autonomi; necessità che si manifesta spesso nell’opporsi a ciò che dice l’adulto, con tutte le difficoltà e i contrasti che questo comporta.
Quali sono gli errori più frequenti che commettono i genitori quando si rapportano con i figli adolescenti?
Spesso di fronte a un ragazzo che chiaramente ha ancora poche idee e poca consapevolezza, piuttosto che mantenersi in una posizione di osservatori, più difficile ma più corretta, gli adulti tentano di dare delle indicazioni, cercano di fare in modo di orientare il ragazzo verso quelle che sono considerate delle scelte equilibrate da parte dei genitori. Si parla eccessivamente, si
intervenga per evitare che i ragazzi facciano delle scelte davvero inappropriate. Come fare, in questo caso, ad avere una corretta comunicazione con i figli?
Il genitore dovrebbe controllare l’emotività e predisporsi all’ascolto. (Marka)
danno consigli non richiesti, andando contro quella che è invece la naturale evoluzione. Il ragazzo cerca di differenziarsi, questa cosa desta preoccupazione nei genitori che cercano invece di mantenere la situazione sotto controllo. Non è facile per i genitori entrare in relazione con un figlio che si vede cambiare in modo molto importante. Il tentativo è quindi quello di riportarlo al ragazzo che noi conoscevamo. Cosa molto pericolosa perché non si può impedire a un adolescente di crescere.
Quali possono essere le conseguenze se un genitore persiste in questo atteggiamento?
Il ragazzo fallisce il suo compito evolutivo! Si iperadatta a una mentalità adulta invece che sperimentarne una propria… abbiamo un adolescente che ragiona come un quarantenne. Salta una fase importante e invece di conformarsi al gruppo dei coetanei, che è la fase iniziale più importante dell’adolescenza, resta vincolato ai valori genitoriali per cui si perde questa fase che resta un «periodo mancato». Ecco perché spesso si vedono dei quarantenni che si comportano come degli adolescenti. Per questo è importante
che ogni età sia rispettata in quelle che sono le sue caratteristiche.
Il genitore deve quindi prendere atto della crescita del figlio e trovare un nuovo modo di comunicare: quale?
Concedere tutto quello che è sensato concedere a dei ragazzi che fanno delle piccole esperienze. Non bisogna stare troppo addosso ai propri figli: dare loro la sensazione di poter fare in autonomia, spesso mette i ragazzi in una situazione di maggiore tranquillità, di fare le loro piccole esperienze e vivere le loro piccole trasgressioni. Se invece ci sono troppe chiusure, i ragazzi hanno troppi divieti, ci sono troppi scontri inutili, la situazione può diventare più pericolosa. Gli adulti dovrebbero avere la capacità di controllare la loro parte emotiva, se ci si lascia sopraffare dalle emozioni si va fuori strada. Il genitore dovrebbe essere più predisposto ad ascoltare anziché fare interventi non richiesti. È una fase in cui si dovrebbero evitare critiche e manifestare un’apertura mentale verso le novità e i cambiamenti dei figli. Potrebbero anche esserci dei casi in cui è necessario che un genitore
Non si può evitare di intervenire se c’è un pericolo importante, perché c’è una responsabilità genitoriale alla quale non si può venire meno. Ci può essere il momento in cui il ragazzo supera i limiti, in questo caso è importante che il genitore mantenga il controllo e una posizione gerarchica chiara, con un atteggiamento fermo e deciso. È più semplice mantenere una posizione coerente se si è in grado di riuscire a essere morbidi su altre cose. Le situazioni su cui intervenire se si lavora bene sono veramente poche. Se invece vengono fatte troppe critiche inutili, al modo di essere, alla moralità, alle ideologie che possono riguardare sistemi di valori differenti e l’adolescente viene profondamente ferito nel suo modo di pensare, diventa più pericoloso, perché difficilmente un adolescente ascolterà i suoi genitori se si sente attaccato su tutta la linea. Quindi, poter essere morbidi su tante cose per poter essere fermi sulle cose importanti. Quando si ha un rapporto difficile con un figlio adolescente, come fare a capire se è opportuno consultare uno specialista?
È il momento di rivolgersi a uno specialista quando le cose si mantengono uguali senza cambiamenti positivi per troppo tempo. Se un genitore vede che la situazione inizia ad andare male e non migliora per un mese, per due mesi, e c’è troppa tensione è meglio chiedere un consiglio a uno specialista per sapere come comportarsi, come intervenire in una situazione problematica. È sempre importante che siano i genitori in primis a farlo, non mandare il figlio, perché a volte si può risolvere la situazione lavorando bene con i genitori. Basta una sorta di supervisione per vedere come certi momenti critici siano semplicemente una fase di passaggio che si evolve in una situazione più positiva.
Una tribù in tacchi a spillo
Libri L’antropologa Wednesday Martin studia con ironia il complesso ecosistema delle mamme dell’Upper East Side Laura Di Corcia Quanta distanza intercorre fra la 5. Avenue e la giungla? Fra una madre che porta a spasso il suo piccolo in carrozzina su un tacco 12, con i capelli perfettamente in piega e una borsa da settemila dollari sulla spalla, e una mamma scimpanzé? Nel suo libro dissacrante, divertente, intelligente, brillante e originale Wednesday Martin, antropologa nata in una città di provincia e poi trasferitasi nella Grande Mela per questioni di opportunità lavorative, ci racconta con sorprendente onestà del suo lento e graduale adattamento alle logiche ferree nel complesso ecosistema delle madri dell’Upper East Side, uno dei quartieri più ricchi di Manhattan. Tutto inizia dalla gravidanza e dagli interrogativi che la stessa pone a chi la sta attraversando: dove far crescere mio figlio? Per avvicinarsi ai suoceri e
per fare in modo che il nascituro abbia accesso alle migliori scuole pubbliche, Wednesday e il marito decidono di andare a vivere in una delle zone più esclusive della città, a pochi pas-
si da Central Park. In questo modo la studiosa si trova calata in un contesto nuovo, dominato da logiche ferree e in un certo senso spietate: leggendo Nella giungla di Park Avenue (Bookme) scopriamo che prendere appartamento lì richiede una serie di riti e passaggi complessi: che ci sono palazzi, in quel quartiere, dove i condomini pretendono di avere accesso alle informazioni più private della nuova famiglia in arrivo, compreso il conto corrente. Che iscrivere il proprio figlio alla scuola materna non è semplice, perché le scuole sono poche, i bambini – anche se privilegiati – tanti, e tutte le mamme tentano di assicurare alla propria prole un percorso scolastico privilegiato partendo proprio dall’asilo, perché sarà la direttrice della materna a raccomandare il bambino a quella delle scuole elementari e così via fino all’Università, lungo un iter che va previsto sin dall’inizio, stabilendo ove possibi-
le anche il mese di nascita, da non lasciare al caso perché quelli nati nella seconda metà dell’anno partono già svantaggiati. Che le altre mamme, sin dall’inizio, ti ignoreranno perché non hanno nessuna voglia di aprirti le porte del cerchio magico del privilegio. Che in fondo questa situazione privilegiata è frutto di continue strategie e di una ricerca esasperante della perfezione fisica, visto che gli uomini sono pochi e le donne – bellissime – molte. In fondo, guardandole veramente, queste donne sposate ai più grandi magnati dell’industria e della finanza fanno pena. Spesso, come racconta la studiosa, sono tradite dai mariti; non hanno una loro entrata fissa, sono dipendenti dall’uomo in tutto e per tutto. Le loro identità, fragili, sono attaccate a doppio filo al loro ruolo di mogli e madri perfette. Stordite dall’alcol e dagli ansiolitici, estenuate da ore di palestra e da diete per mantenere il fisico
asciuttissimo anche dopo due, tre gravidanze, queste donne non sono lontane dalle mamme scimpanzé, che nella giungla lottano con tutte le forze per scalare la gerarchia e assicurare una stabilità a sé stesse e ai propri cuccioli. Per essere ammessi nel quartiere più ricco di una delle città più ricche al mondo, bisogna vivere così, in bilico fra un botox e una crisi di nervi, con i tacchi a spillo otto ore al giorno (tanto c’è il dottore che fa la punturina per non sentire male), sudando in palestra, sempre truccate e ben pettinate, attente ad ogni minimo dettaglio. La pena? L’esclusione sociale. La studiosa è molto brava a fare un’analisi antropologica del gruppo, scoprendone sulla propria pelle le regole, le brutture e alla fine anche l’umanità e la solidarietà che sotto la scorza, gratta gratta, ci sono sempre; quello che ci tace, e che invece vorremmo sapere, è come crescono i bambini in un ambiente del genere.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Società e Territorio Figli adolescenti La psicologa Piera Malagola spiega ai genitori come comunicare senza litigare pagina 3
In Val Rovana Alla scoperta di Faido, il villaggio abbandonato che resiste alle intemperie e all’avanzata del bosco
La spesa per bambini Al Serfontana arriva «Mini Migros», il parco giochi fatto come un supermercato
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Le donne e la divisa Sono più di mille le donne incorporate nell’esercito svizzero, abbiamo incontrato una giovane recluta
Comunicare senza litigare
Adolescenza Un’età difficile in cui il rapporto genitori-figli è messo a dura prova. I consigli della psicologa
e psicoterapeuta Piera Malagola Elisabetta Oppo
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La community dei GenGle Famiglie monoparentali Il primo social
network italiano dedicato ai genitori single arriva anche in Svizzera
L’adolescenza rappresenta un periodo di sfide importanti per i genitori, che può portare a un lungo braccio di ferro con i figli. È, infatti, la fase in cui i ragazzi costruiscono la propria identità e sentono il bisogno di maggiore autonomia. Necessità che si manifesta con sentimenti contrastanti, a volte i figli sembrano incredibilmente scontrosi, altre insicuri e infantili, con un forte bisogno d’affetto. Ecco perché, da genitori, vale la pena soffermarsi a riflettere per cercare di uscire «indenni» da difficili situazioni quotidiane, e trovare un nuovo «linguaggio» per comunicare con i figli. Abbiamo intervistato la psicologa e psicoterapeuta Piera Malagola. Dottoressa Malagola, spesso quando si parla di adolescenza, ci si riferisce a una prima e una seconda adolescenza, che distinzione si può fare tra le due fasi?
Alessandra Ostini Sutto Sono molti oggigiorno i genitori single che in seguito a una separazione si ritrovano ad affrontare una nuova condizione, a volte inaspettata o non condivisa. Uomini e donne che si trovano da soli di fronte ai figli, con cui organizzare e intraprendere una nuova vita e cercare un nuovo equilibrio. Nonostante la diffusione del modello di famiglia monoparentale, il genitore single può ancora riscontrare difficoltà, per esempio a conservare i rapporti sociali o ad instaurarne di nuovi. Con inevitabili ripercussioni sul benessere dei figli. «In un momento in cui mi sentivo veramente persa, fragile e vulnerabile e mi sembrava che le persone intorno a me fossero tutte felicemente sposate, ho ideato GenGle, il primo social network in Italia dedicato ai genitori single, che dalla metà di marzo sarà presente pure in Svizzera», afferma la fiorentina Giuditta Pasotto, mamma single di due bambini di 5 e 10 anni e a sua volta figlia di genitori separati. Una bella intuizione nata da un bisogno soggettivo: «Il bisogno di supporto e condivisione è immenso quando si affrontano situazioni così difficili; proprio per questa ragione la prima missione del sito è quella di accogliere chi necessita di confrontarsi con persone con un vissuto analogo al proprio, per ripartire». E GenGle vuole proprio essere il motore di questa nuova partenza. Il nome del sito è una sorta di neologismo per denominare i «genitori single», siano essi separati, divorziati o vedovi. I «gengle» – come un po’ tutti – hanno bisogno di un posto sicuro dove incontrare persone positive con interessi comuni. Lo scopo della piattaforma è quindi quello di creare una rete di aiuto reciproco, all’interno della quale unire le forze, sostenersi nei momenti di difficoltà, condividere il tempo libero in compagnia dei propri figli o ancora ricevere idee e consigli e scambiarsi opinioni ed esperienze.
Iscriversi è gratuito, semplice e veloce: l’unico requisito è quello di essere un genitore single. Una volta completata l’iscrizione, su www.gengle.it l’utente può aderire alle proposte altrui (selezionabili in base al luogo e alla tipologia di attività) o farne delle proprie, creando così la propria rete di amicizie. «Il sito è stato pensato per essere il più elementare e intuitivo possibile e le proposte possono essere le più disparate: un raduno, una cena in pizzeria, una gita al mare o un pomeriggio alle giostre», spiega l’ideatrice e amministratrice di GenGle, che lavora come fotografa e web designer. La bacheca della propria regione è lo spazio per lo scambio dell’usato e la ricerca del lavoro. Il sito presenta poi le sezioni «Vacanze», «Consulenti», che aiuta a trovare professionisti della propria regione, per esempio per un consulto legale o un supporto psicologico e «Convenzioni», dove aziende, strutture o negozi propongono offerte a tariffe agevolate per i membri della community. Nel concetto di «rete» risiede uno degli elementi chiave del successo: «Se all’inizio per avere o scambiare informazioni i genitori si rivolgevano direttamente a me, con il passare del tempo e il crescere del gruppo, qualcuno tra di loro ha capito che poteva avere un ruolo attivo nel progetto», commenta Giuditta Pasotto, «ed è così che oggi siamo diventati una “community”, all’interno della quale l’apporto del singolo è fondamentale per la crescita della rete di supporto». Segnalare se si svolge un lavoro che può tornare utile a qualcuno, condividere il link di una ricerca di impiego o l’annuncio di un appartamento sono piccoli gesti che possono avere un grande impatto sulla vita di qualcuno. «Scambiare i vestiti che i nostri figli non mettono più è un modo di risparmiare e socializzare, mentre segnalare un’occasione per incontrarsi può risultare un ottimo
In genere si parla di una prima adolescenza dagli 11 ai 14 anni e una seconda adolescenza dai 14 ai 18. La prima adolescenza è caratterizzata dai cambiamenti del corpo, della mente, da mutamenti più fisici. Avviene un forte bombardamento ormonale che causa scombussolamenti emotivi e caratteriali. Mentre nella seconda adolescenza c’è la costruzione di una propria autonomia. Si ha un allontanamento dalle figure parentali, è più un distacco psicologico, e l’adolescente inizia a identificarsi come persona. Anche nella preadolescenza si ha un’evoluzione di intelligenza a livello di pensiero, ma è solo intorno ai 14-15 anni che i ragazzi iniziano ad avere una maggiore sensazione del proprio io e delle proprie caratteristiche, è per questo che cercano una differenziazione più stabile. L’adolescenza è in generale uno dei periodi in cui il rapporto tra genitori e figli è messo più a dura prova. Perché? Che cosa accade nella mente del ragazzo?
Nella mente del ragazzo c’è proprio un’evoluzione totalmente nuova, si Giuditta Pasotto, mamma single di due figli, è l’ideatrice di GenGle.
modo per condividere le spese e divertirsi in compagnia», continua l’imprenditrice. In una società dominata dall’individualismo, questa piattaforma ha trovato la formula vincente ponendo le persone al centro e riuscendo a far emergere la volontà di mettersi in gioco, condividere esperienze reali e collaborare. «Il fatto di puntare tutto sul reale, pur essendo un social, è un altro degli elementi del successo di GenGle», afferma la mamma in carriera, «amo dire che GenGle è uno strumento virtuale per un sostegno reale: il web è solo uno strumento, che porta gli utenti a vedersi, condividere esperienze e creare legami reali». Creato nel settembre del 2015, il social per genitori single conta oggi oltre 29 mila utenti. «Attualmente – dice Giuditta Pasotto – il rating di crescita degli iscritti è di circa 5-600 al mese, e questo senza che io abbia mai fatto pubblicità. Il target è molto ampio: genitori single molto giovani con figli piccoli, ma anche nonni con figli grandi che si sono separati dopo tanti anni di matrimonio. In un primo tempo ad aderire erano soprattutto le donne, ma
ora gli uomini costituiscono il 40%; l’estrazione sociale è eterogenea». Ma in che modo influisce GenGle sulla vita dei suoi utenti? «A titolo personale, posso dire che ora i miei bambini riescono a parlare tranquillamente della loro situazione, che abbiamo sempre qualcosa da fare nei weekend e che io non ho più paura di fare le cose da sola», afferma la «madre» di GenGle. Per tutti questi motivi, GenGle sta ottenendo un buon riscontro, e non solo in Italia. «Abbiamo iscritti da tutte le parti del mondo e, ovviamente, dalla vicina Svizzera – precisa Giuditta Pasotto – si tratta di italiani che vivono nel vostro Paese e si iscrivono perché quando tornano in patria per le vacanze si sentono isolati. Oltre ai parenti, non possono più contare sulle amicizie di un tempo. Grazie a GenGle possono mettersi in contatto con persone della loro città d’origine per condividere delle attività o partecipare ad eventi». Non possono però fare la stessa cosa nella loro città di residenza, perché al momento questo servizio è offerto da GenGle solo per l’Italia. Ma la situazione sta per cambiare: «Dal 15 marzo GenGle arriverà in Europa, e quindi
anche in Svizzera. Non sarà, per ora, tradotto, in quanto inizialmente dedicato agli italiani che vivono all’estero. Successivamente è però nostra intenzione trovare dei validi professionisti del posto disposti a collaborare con noi per le nostre sezioni specifiche», spiega l’intraprendente mamma single, che a dicembre ha pubblicato, con Tommaso Sacchini, Genitori Single – Manuale di sopravvivenza per avere una relazione serena con i figli e con l’ex (Giunti editore). A fine mese uscirà, inoltre, l’app di GenGle, che renderà i servizi fruibili direttamente su smartphone o tablet. Grazie a questo sito web, che aiuta chi ha un bambino, ma non un partner, a sentirsi meno solo, Giuditta Pasotto ha vinto un concorso regionale come miglior progetto per il sociale. «Ma il riconoscimento più grande sono i miei iscritti, quando mi mandano email di ringraziamento o quando mi seguono in qualche iniziativa folle. Vuole sapere l’ultima? ho invitato tutti i “gengle” d’Italia a dormire a casa dei “gengle” fiorentini, e ha funzionato: un weekend a costo zero cui ha partecipato gente persino dal Belgio», conclude Giuditta Pasotto.
presenta la possibilità di iniziare a contemplare contemporaneamente più variabili e più ipotesi. Mentre un bambino ha un pensiero che lavora più sulle esperienze concrete in modo lineare, nella mente di un adolescente iniziano a formularsi varie ipotesi astratte, una rete di pensieri che lo portano a immaginare le sue azioni future. Compaiono le domande su se stesso, «chi sono io e cosa farò…», c’è uno sviluppo di pensiero che va in tante direzioni, ciò comporta anche l’essere più polemico e curioso nei confronti della realtà. Il preadolescente prende in modo un po’ meno critico la realtà che lo circonda, mentre l’adolescente acquisisce un proprio modo di pensare e inizia a non dipendere da tutto ciò che i genitori dicono.
L’atteggiamento degli adolescenti, che spesso i genitori vivono come una provocazione, è quindi qualcosa di fisiologico?
Diciamo che nell’adolescenza è normalità quella che in altri momenti della vita può essere considerata patologia. Squilibrio, esplosione emotiva, contrasti più forti, che sono tipici in questa fase, sarebbero considerati patologici in una persona più matura. Il periodo dell’adolescenza può essere associato a un concetto di felicità e spensieratezza più nella mente degli adulti che nella concretezza della vita dei ragazzi. I ragazzi hanno bisogno di sperimentare, di sentirsi autonomi; necessità che si manifesta spesso nell’opporsi a ciò che dice l’adulto, con tutte le difficoltà e i contrasti che questo comporta.
Quali sono gli errori più frequenti che commettono i genitori quando si rapportano con i figli adolescenti?
Spesso di fronte a un ragazzo che chiaramente ha ancora poche idee e poca consapevolezza, piuttosto che mantenersi in una posizione di osservatori, più difficile ma più corretta, gli adulti tentano di dare delle indicazioni, cercano di fare in modo di orientare il ragazzo verso quelle che sono considerate delle scelte equilibrate da parte dei genitori. Si parla eccessivamente, si
intervenga per evitare che i ragazzi facciano delle scelte davvero inappropriate. Come fare, in questo caso, ad avere una corretta comunicazione con i figli?
Il genitore dovrebbe controllare l’emotività e predisporsi all’ascolto. (Marka)
danno consigli non richiesti, andando contro quella che è invece la naturale evoluzione. Il ragazzo cerca di differenziarsi, questa cosa desta preoccupazione nei genitori che cercano invece di mantenere la situazione sotto controllo. Non è facile per i genitori entrare in relazione con un figlio che si vede cambiare in modo molto importante. Il tentativo è quindi quello di riportarlo al ragazzo che noi conoscevamo. Cosa molto pericolosa perché non si può impedire a un adolescente di crescere.
Quali possono essere le conseguenze se un genitore persiste in questo atteggiamento?
Il ragazzo fallisce il suo compito evolutivo! Si iperadatta a una mentalità adulta invece che sperimentarne una propria… abbiamo un adolescente che ragiona come un quarantenne. Salta una fase importante e invece di conformarsi al gruppo dei coetanei, che è la fase iniziale più importante dell’adolescenza, resta vincolato ai valori genitoriali per cui si perde questa fase che resta un «periodo mancato». Ecco perché spesso si vedono dei quarantenni che si comportano come degli adolescenti. Per questo è importante
che ogni età sia rispettata in quelle che sono le sue caratteristiche.
Il genitore deve quindi prendere atto della crescita del figlio e trovare un nuovo modo di comunicare: quale?
Concedere tutto quello che è sensato concedere a dei ragazzi che fanno delle piccole esperienze. Non bisogna stare troppo addosso ai propri figli: dare loro la sensazione di poter fare in autonomia, spesso mette i ragazzi in una situazione di maggiore tranquillità, di fare le loro piccole esperienze e vivere le loro piccole trasgressioni. Se invece ci sono troppe chiusure, i ragazzi hanno troppi divieti, ci sono troppi scontri inutili, la situazione può diventare più pericolosa. Gli adulti dovrebbero avere la capacità di controllare la loro parte emotiva, se ci si lascia sopraffare dalle emozioni si va fuori strada. Il genitore dovrebbe essere più predisposto ad ascoltare anziché fare interventi non richiesti. È una fase in cui si dovrebbero evitare critiche e manifestare un’apertura mentale verso le novità e i cambiamenti dei figli. Potrebbero anche esserci dei casi in cui è necessario che un genitore
Non si può evitare di intervenire se c’è un pericolo importante, perché c’è una responsabilità genitoriale alla quale non si può venire meno. Ci può essere il momento in cui il ragazzo supera i limiti, in questo caso è importante che il genitore mantenga il controllo e una posizione gerarchica chiara, con un atteggiamento fermo e deciso. È più semplice mantenere una posizione coerente se si è in grado di riuscire a essere morbidi su altre cose. Le situazioni su cui intervenire se si lavora bene sono veramente poche. Se invece vengono fatte troppe critiche inutili, al modo di essere, alla moralità, alle ideologie che possono riguardare sistemi di valori differenti e l’adolescente viene profondamente ferito nel suo modo di pensare, diventa più pericoloso, perché difficilmente un adolescente ascolterà i suoi genitori se si sente attaccato su tutta la linea. Quindi, poter essere morbidi su tante cose per poter essere fermi sulle cose importanti. Quando si ha un rapporto difficile con un figlio adolescente, come fare a capire se è opportuno consultare uno specialista?
È il momento di rivolgersi a uno specialista quando le cose si mantengono uguali senza cambiamenti positivi per troppo tempo. Se un genitore vede che la situazione inizia ad andare male e non migliora per un mese, per due mesi, e c’è troppa tensione è meglio chiedere un consiglio a uno specialista per sapere come comportarsi, come intervenire in una situazione problematica. È sempre importante che siano i genitori in primis a farlo, non mandare il figlio, perché a volte si può risolvere la situazione lavorando bene con i genitori. Basta una sorta di supervisione per vedere come certi momenti critici siano semplicemente una fase di passaggio che si evolve in una situazione più positiva.
Una tribù in tacchi a spillo
Libri L’antropologa Wednesday Martin studia con ironia il complesso ecosistema delle mamme dell’Upper East Side Laura Di Corcia Quanta distanza intercorre fra la 5. Avenue e la giungla? Fra una madre che porta a spasso il suo piccolo in carrozzina su un tacco 12, con i capelli perfettamente in piega e una borsa da settemila dollari sulla spalla, e una mamma scimpanzé? Nel suo libro dissacrante, divertente, intelligente, brillante e originale Wednesday Martin, antropologa nata in una città di provincia e poi trasferitasi nella Grande Mela per questioni di opportunità lavorative, ci racconta con sorprendente onestà del suo lento e graduale adattamento alle logiche ferree nel complesso ecosistema delle madri dell’Upper East Side, uno dei quartieri più ricchi di Manhattan. Tutto inizia dalla gravidanza e dagli interrogativi che la stessa pone a chi la sta attraversando: dove far crescere mio figlio? Per avvicinarsi ai suoceri e
per fare in modo che il nascituro abbia accesso alle migliori scuole pubbliche, Wednesday e il marito decidono di andare a vivere in una delle zone più esclusive della città, a pochi pas-
si da Central Park. In questo modo la studiosa si trova calata in un contesto nuovo, dominato da logiche ferree e in un certo senso spietate: leggendo Nella giungla di Park Avenue (Bookme) scopriamo che prendere appartamento lì richiede una serie di riti e passaggi complessi: che ci sono palazzi, in quel quartiere, dove i condomini pretendono di avere accesso alle informazioni più private della nuova famiglia in arrivo, compreso il conto corrente. Che iscrivere il proprio figlio alla scuola materna non è semplice, perché le scuole sono poche, i bambini – anche se privilegiati – tanti, e tutte le mamme tentano di assicurare alla propria prole un percorso scolastico privilegiato partendo proprio dall’asilo, perché sarà la direttrice della materna a raccomandare il bambino a quella delle scuole elementari e così via fino all’Università, lungo un iter che va previsto sin dall’inizio, stabilendo ove possibi-
le anche il mese di nascita, da non lasciare al caso perché quelli nati nella seconda metà dell’anno partono già svantaggiati. Che le altre mamme, sin dall’inizio, ti ignoreranno perché non hanno nessuna voglia di aprirti le porte del cerchio magico del privilegio. Che in fondo questa situazione privilegiata è frutto di continue strategie e di una ricerca esasperante della perfezione fisica, visto che gli uomini sono pochi e le donne – bellissime – molte. In fondo, guardandole veramente, queste donne sposate ai più grandi magnati dell’industria e della finanza fanno pena. Spesso, come racconta la studiosa, sono tradite dai mariti; non hanno una loro entrata fissa, sono dipendenti dall’uomo in tutto e per tutto. Le loro identità, fragili, sono attaccate a doppio filo al loro ruolo di mogli e madri perfette. Stordite dall’alcol e dagli ansiolitici, estenuate da ore di palestra e da diete per mantenere il fisico
asciuttissimo anche dopo due, tre gravidanze, queste donne non sono lontane dalle mamme scimpanzé, che nella giungla lottano con tutte le forze per scalare la gerarchia e assicurare una stabilità a sé stesse e ai propri cuccioli. Per essere ammessi nel quartiere più ricco di una delle città più ricche al mondo, bisogna vivere così, in bilico fra un botox e una crisi di nervi, con i tacchi a spillo otto ore al giorno (tanto c’è il dottore che fa la punturina per non sentire male), sudando in palestra, sempre truccate e ben pettinate, attente ad ogni minimo dettaglio. La pena? L’esclusione sociale. La studiosa è molto brava a fare un’analisi antropologica del gruppo, scoprendone sulla propria pelle le regole, le brutture e alla fine anche l’umanità e la solidarietà che sotto la scorza, gratta gratta, ci sono sempre; quello che ci tace, e che invece vorremmo sapere, è come crescono i bambini in un ambiente del genere.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Società e Territorio
Di terrazzi e di fantasmi
Val Rovana Di fronte a Linescio e ai suoi terrazzamenti un paese fantasma si nasconde tra le fronde del fitto bosco
Elia Stampanoni Linescio è il primo villaggio della Val Rovana, lo si raggiunge superando i 220 metri di dislivello che lo separano da Cevio. L’approccio è faticoso, ma subito i terrazzamenti recuperati sui ripidi pendii danno fiato e invogliano la sosta, facendo volgere lo sguardo all’insù. Si tratta complessivamente di 25 chilometri di muretti, opere recuperate nell’ambito del progetto «Linescio, villaggio terrazzato» e che hanno ridato luce e visibilità a un territorio tipico del passato rurale. Circa 27mila metri cubi di pietre furono accatastate con cura per creare degli indispensabili terreni: qui si coltivavano cereali, patate, ortaggi e anche qualche pianta di vite. Superfici strappate al bosco e alla montagna selvaggia che sfamavano le circa 300 persone che a metà dell’800 ancora abitavano il paese della Val Rovana, a 664 metri di altitudine. Il pendio terrazzato oggi è utilizzato per produrre fieno e foraggio, erba che cresce al sole che qui splende da primavera a ottobre, per poi scomparire quasi interamente in inverno, per almeno due mesi. Di fronte a Linescio, il sole splende ancora meno, ma anche qui la popolazione trovò terre e superfici adatte alla sopravvivenza. Scendendo verso valle in prossimità della chiesa di Linescio, presto si raggiunge un piccolo ma solido ponticello in sasso che permette di scavalcare il fiume Rovana. Il manufatto, datato 1700, immette in un sentiero che indica la frazione di Faido
Alcuni edifici del nucleo del villaggio abbandonato di Faido. (E. Stampanoni)
e, dopo una ripida scalinata coperta di muschio, in poco tempo si raggiungono le prime case, diroccate, i primi muretti e i primi terrazzamenti. Risalendo a quota 700 metri sul livello del mare, come dal nulla sbuca Faido, un paese fantasma, come l’ha definito Daniel Bilenko nel suo programma «soggetti smarriti» (edizione del 19 giugno 2016, RSI ReteUno). In dialetto locale è anche chiamato Faid o Faïd, ma sulle carte e sui cartelli ap-
pare la dicitura Faido. Sul posto non un paio di case abbandonate, ma un intero villaggio, sorto sul sentiero che da Linescio conduce più giù, a Cevio, sul lato destro della valle. All’imbocco pure una cappella, restaurata nel 2011, mentre all’interno del villaggio, distribuito lungo il cammino, una serie di costruzioni: stalle e cascine, ma soprattutto abitazioni, delle case imponenti, costruite anche su due o tre piani con sassi e legno. L’acqua, segnale di vita,
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scorre a due passi in un riale e si fa sentire in sottofondo, mentre per il resto regna il silenzio. Anche qui i terreni sono in forte pendenza, ricoperti oggi dal bosco che avanzando ha soppiantato prati e pascoli. Come a Linescio, per creare dei pianori adatti alla coltivazione furono costruiti dei terrazzamenti, muri ancora integri e disposti attorno al paese, dove trovano pure spazio dei rudimenti di quelle che potevano es-
sere delle cantine. Nelle vicinanze resistono anche alcune radure, così come diversi castagni maestosi, molto probabilmente tra le fonti più importanti per il sostentamento della popolazione. Nel cuore del villaggio, quasi intatta, troviamo di fatto anche una grà (il metato), un piccolo stabile a due piani dove la gente del posto essicava le castagne per superare i lunghi inverni. Al pian terreno si accendeva il fuoco, al piano superiore le castagne, disposte accuratamente sulla graticola. Si può quindi immaginare Faido come un villaggio autosufficiente, ricco e rigoglioso, ma abbandonato a un certo punto della sua storia, si presume attorno al 1800. Non sembrano esserci documenti o ulteriori informazioni su Faido, forse trascurato come altri luoghi simili per motivi di mobilità, di sussistenza, per epidemie o forse anche per catastrofi naturali. Oggi rimangono solo tanti sassi, tante pietre messe l’una sull’altra con cura e ingegno a formare un nucleo, in parte compatto. Costruzioni che hanno resistito all’abbandono, alle intemperie e all’avanzata del bosco. Su alcuni edifici c’è pure un cartello «in vendita», come a dare speranza per una seconda vita. Per ora ad ammirarlo solamente alcune capre al pascolo che nelle vecchie stalle ancora trovano rifugio, oppure i passanti che forse increduli si faranno domande su questo paese fantasma, di fronte a Linescio con suoi terrazzamenti come punto d’unione.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Società e Territorio
M Il più grande «negozietto» della Svizzera arriva in Ticino
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Mini Migros Da oggi al 4 marzo
al Centro Shopping Serfontana: unica tappa al sud delle Alpi Il più famoso «gioco-negozio» itinerante della Confederazione è approdato nell’ampia Mall del noto centro commerciale momò. Tutti i bambini dai 4 ai 12 anni avranno la possibilità di divertirsi in piena sicurezza giocando al «negozietto» di Migros. Questo classico e intramontabile gioco non teme certo il confronto con i giochi elettronici basati sulla virtualità, proprio perché non è mai stato così reale. Nella Mini Migros i bambini si immergono nel loro mondo e possono interpretare a scelta il ruolo di collaboratore della filiale, di cliente o di addetto alla logistica. All’entrata tutti i bambini ricevono una carta Cumulus da gioco con foto e un proprio portafoglio con soldi finti Lilibiggs. Secondo le loro preferenze possono mettere in ordine i prodotti, andare in giro con il carrello o utilizzare la cassa. È quindi un’imperdibile occasione per poter giocare liberamente. L’assortimento esposto comprende un centinaio di prodotti tipici delle industrie Migros. Negli scaffali saranno presenti articoli in formato da gioco di Blévita, acqua minerale Aproz o Riso-
letto. Articoli freschi come mele, insalata o pane sono invece rappresentati con imitazioni in plastica. La mini Migros non è un doposcuola: i genitori sono responsabili per i propri figli e viene chiesto loro di rimanere all’esterno dell’area di gioco nell’apposito spazio adeguatamente allestito. Le pareti della mini filiale sono trasparenti su tre lati. Sarà così possibile osservare i piccoli ospiti mentre giocano. Gli unici adulti nel negozio hanno esperienza in campo pedagogico e assumono il ruolo di «collaboratore del servizio clienti» e di «responsabile di filiale». Per permettere ai molti interessati di divertirsi in condizioni ideali, il tempo di gioco è limitato a 30 minuti. La seconda settimana di presenza di Mini Migros al Serfontana coincide con le vacanze scolastiche di carnevale; ciò permetterà certamente di approfittare più volte dell’originale intrattenimento.
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Parliamo del tonno ad esempio: il tonno particolarmente fresco è una vera prelibatezza. La sua compatta carne rossa è adatta a molti tipi di preparazione, soprattutto ai ferri. I condimenti ideali sono pepe, limone ed erbe aromatiche. Povero di lische, il filetto di tonno si mangia anche crudo: in molte varianti di sushi e sashimi o nel Ceviche peruano. In quest’ultimo piatto, il pesce crudo viene «cotto» semplicemente con l’aggiunta di succo di limone. La popolarità del tonno come pesce commestibile lo rende però sempre più raro nei mari. Oltre al Tonno bianco, al Tonno pinna nera, al Tonno rosso, che sono le varietà più minacciate, esistono il Tonno pinne gialle e il Tonno bonito: questi ultimi sono catturati all’amo, un metodo di pesca promosso dalle organizzazioni ambientaliste come Greenpeace. Le scatole di «tonno rosa» vendute alla Migros contengono bonito. Tutte queste informazioni, oltre a gustose ricette, suggerimenti e trucchi
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Società e Territorio
Donne in divisa
Esercito Le donne incorporate nell’esercito svizzero sono più di mille, 27 provengono dal Ticino
Eliana Bernasconi In una Svizzera accerchiata dalle potenze dell’Asse, mentre la Germania sta occupando tutta l’Europa e niente lascia presagire la sua sconfitta, il 25 luglio del 1940 dal prato del Grütli il Generale Henry Guisan, comandante in capo dell’armata svizzera parla all’esercito e ai suoi concittadini, il mondo intero ascolta la sua voce che non trema. Guisan ha ideato la dottrina militare del «Ridotto nazionale», che prevede il ripiegamento strategico dell’esercito all’interno dell’arco alpino in caso di invasione, e fra le direttive che emana vi è quella del servizio militare femminile. Per la prima volta la mobilitazione riguarda anche le donne, cui si chiede di essere attive in campo militare.
Le ragazze che scelgono di svolgere il servizio militare sono spinte da una grande motivazione Attualmente sono 1117 le donne incorporate nell’esercito svizzero. Le italofone sono 31 e 27 provengono dal Ticino. Vi sono alcune donne attive come professioniste, ad esempio la Signora Brigadiere Germaine Seewer è capo del Personale dell’esercito, ricoprendo una funzione di alto ufficiale superiore. In una società globalizzata, dove novità e stimoli si sprecano, cerchiamo di comprendere quale richiamo eserciti oggi in una ragazza la possibilità di servire la patria, far parte del suo esercito. Per la donna il servizio militare è volontario, recita l’articolo 59 della Costituzione. Sono circa 200 le giovani che a ogni chiamata si annunciano per la scuola reclute. Dopo essere accettate firmano il loro consenso. Da questo momento in poi il fatto di essere donna non la differenzierà in alcun modo. Opportunità e obblighi sono identici in tutto e per tutto. La scuola reclute (SR) dura 18 o 21 settimane, a seconda dell’Arma, ed è suddivisa in 3 fasi (istruzione di base generale, istruzione di base alla funzione, istruzione di reparto). I militi proseguono poi il servizio nei corsi di ripetizione fino all’età di 30-35 anni. Se invece hanno scelto la cosiddetta «ferma continua», cioè la possibilità di svolgere tutto il loro servizio in una volta sola, prestano un totale di 300 giorni di servizio, al termine del quale vengono prosciolti. I sottufficiali superiori e gli ufficiali terminano a 36 anni, per gli
ufficiali superiori ci sono disposizioni particolari. Ci spiega tutto questo il Colonnello Tiziano Scolari, comandante delle Scuole sanitarie 42 che hanno sede ad Airolo. «L’interesse che le ragazze hanno per il servizio militare è molto marcato» ci spiega «hanno una grande motivazione, sono forti fisicamente e sotto il profilo intellettuale. La maggior parte di loro è studente. La ragazza è talvolta più determinata e tenace nel raggiungere gli obiettivi che si è posta, sa quello che vuole e dove vuole arrivare. Forse ciò è dovuto al fatto che prestare servizio è il prodotto di una scelta e non di un obbligo. La maggior parte delle donne che passano da noi ha già un obiettivo ben preciso, come entrare in un corpo di polizia o nelle guardie di confine, e la scuola reclute le favorisce sia sul piano fisico che disciplinare. Le esperienze che ho fatto finora con queste ragazze sono molto positive. C’è anche un desiderio di andare oltre, di avanzare come quadro, cioè fare la scuola ufficiali, diventare tenente. Volendo possono diventare comandanti di compagnia». «Anche oggi – continua Scolari – chi ha fatto il militare è apprezzato e possiede un valore aggiunto dato da molteplici esperienze di vita nell’ambito della condotta in generale. Sa fissare delle priorità, sa istruire e gestire lo stress». Le reclute che prestano servizio presso le scuole sanitarie provengono da tutte le regioni della Svizzera. Le prime nove settimane di scuola reclute si svolgono sulla Piazza d’Armi federale di Airolo. In questo periodo le reclute apprendono le basi del servizio sanitario, i primi soccorsi, il tiro militare ed altre nozioni fondamentali. A questa fase fa seguito un periodo di 4 settimane di stage presso ospedali, case anziani o altri istituti di cura civili. L’ultima parte di scuola reclute, infine, è incentrata sull’istruzione pratica specifica al servizio sanitario militare. È durante quest’ultima fase di formazione, presso uno stazionamento esterno, nel comune di Bodio, che incontriamo una soldatessa della compagnia 2, unità trilingue nella quale sono incorporate le donne attualmente in servizio. L’esercito svizzero è stato da sempre multiculturale e multilinguistico ed oggi ha assunto anche una connotazione multietnica. La ventiquattrenne Luisa Portocarrero ha infatti origini colombiane, uno sguardo diretto, vigile e attento, il sorriso pronto. «Mia madre ha sposato uno svizzero e io mi sento svizzera sotto tutti i punti di vista», spiega con entusiasmo, «sono arrivata qui a 11 anni e ho pochi ricordi
Luisa Portocarrero ha 24 anni, in questi mesi sta portando a termine la ferma continua.
del periodo precedente. Ho frequentato la scuola di Commercio a Locarno, dopo di che ho fatto un anno e mezzo di scuola superiore e altri lavori, ma già da prima volevo fare il militare, ed ora mi si è presentata l’occasione». Cosa impara qui? «Tante cose che potrò applicare, come la disciplina e il lavoro di squadra, insegnamenti che mi saranno utili più tardi e che potrò mettere in pratica anche in un lavoro futuro». Secondo lei quali qualità deve avere qui una ragazza? Chiediamo anco-
ra. «Deve essere in ottima forma fisica e interessata a tutto quanto succede, deve imparare a trattare con gli uomini in modo diverso da quello che si fa nella vita di tutti i giorni, perché la maggior parte dei miei compagni sono uomini». E con loro come si trova? «In passato ho lavorato con le donne ed era un po’ diverso, anche se sinceramente non ho mai avuto nessun problema con gli uomini. Lavorando con loro ho imparato ad avere pazienza, loro parlano di cose da uomini, io – donna – devo integrarmi in qualche modo.
capacità di moderare bene lo scambio così che i contributi si tramutino in un valore aggiunto per tutti. Il «Guardian», da sempre modello d’eccellenza del giornalismo partecipativo, confrontato con gli stessi dilemmi, per comprendere meglio il fenomeno ha svolto una ricerca «The dark side of Guardians comments». E, analizzando i 70 milioni di commenti raccolti tra il 2008 e il 2016, ha scoperto che quelli bloccati, perché non rispettosi delle linee guida stabilite per partecipare alla conversazione, sono solo il 2%. Al di là dei risultati, ciò che qui è rilevante, è l’intento che ha mosso il «Guardian»: capire come meglio gestire la varietà, la specificità e la mole dei commenti senza limitare, ridurre, semplificare, la possibilità di dialogo e di confronto. Riflettendo su questo, in trasmissione, il collega Enrico Bianda
di Rete Due ha parlato della necessità dei giornalisti di oggi di saper gestire la complessità. Un concetto sul quale sono tornata a riflettere perché credo sia cruciale e non solo pensando al giornalismo. La complessità non è solo in Rete ma in ogni sfumatura della nostra vita professionale, sociale, politica e privata, anzi, direi che la complessità è la cifra del nostro tempo. Complessità in termini di molteplicità di opportunità, innovazioni, cambiamenti, scenari e attori politici, questioni sociali e ambientali, strumenti e linguaggi di comunicazione con cui ci confrontiamo. Comprendere a fondo questa complessità è la prima sfida che siamo chiamati a cogliere. Purtroppo, guardando agli ultimi fatti di attualità e di cronaca politica, sia nel nostro piccolo sia su scala internazio-
Ho imparato molto sotto questo punto di vista». Per esempio? «In un campo dove ci sono tanti uomini, per avere un rapporto alla pari, bisogna avere un carattere forte per non farsi prevaricare». Chiediamo cosa pensa di fare quando terminerà. «Adesso sono in ferma continua, cioè svolgo tutto il mio servizio militare in una volta sola, fino ad aprile. Per il futuro ho tante idee, ad esempio vorrei fare la guardia di frontiera, la scuola di polizia o altre attività legate alla sicurezza. In ciò che sto facendo ora vedo solo aspetti positivi».
La società connessa di Natascha Fioretti Viva la complessità del nostro tempo Qualche giorno fa a Modem su Rete Uno, insieme ad altri colleghi, abbiamo discusso la notizia della «Neue Zürcher Zeitung» di voler restringere i commenti dei lettori ad un selezionato numero di articoli. Il motivo, secondo Oliver Fuchs, responsabile del social media team, sta nel voler dare un taglio ai troppi commenti violenti, sessisti ed offensivi che ledono la qualità della conversazione online. A guardare i 971 commenti, un numero record per la testata zurighese, raccolti dall’articolo online in cui si annuncia la svolta, si direbbe piuttosto che la NZZ vanti una base di lettori molto attenti, responsabili, capaci di fare analisi e critiche costruttive. Che sia davvero la scelta giusta? Che il motivo siano davvero i messaggi of-
fensivi e non, piuttosto, la difficoltà a gestire la mole di commenti che una testata come la NZZ riceve? Quando Oliver Fuchs in un’intervista alla SRF ha detto «dobbiamo riflettere su quello che possiamo permetterci», ho subito pensato alle risorse in termini di tempo, competenza e personale. Non è facile moderare i commenti online agli articoli, ci vogliono delle policy precise che regolino la convivenza della comunità, una curation attenta e qualitativa, una moderazione dinamica e puntuale. Per questo, probabilmente, la scelta della NZZ segue una tendenza già avviata da altre testate come il «New York Times» e la «Süddeutsche Zeitung». Alla base c’è l’idea di concentrarsi solo su alcuni temi ritenuti cruciali e di particolare interesse pubblico con lo scopo di migliorare l’attenzione, la qualità del discorso e la
nale, mi sembra che già su questo punto facciamo acqua. Mi sembra che in generale il nostro sforzo di comprensione, di conoscenza e di apertura sia minimo mentre è diffusa la tendenza a semplificare ogni cosa fino a renderla sterile, innocua, compiacente, propedeutica all’idea imperante di una vita perfetta, semplice, felice. Del concetto di Bauman «La felicità è risolvere problemi, non anestetizzarsi», abbiamo capito ben poco, continuiamo, infatti, ad essere bravi nell’anestetizzarci, nel chiudere gli occhi dinanzi a ciò che è scomodo, fastidioso, difficile. Alziamo il tappeto e con un colpo di scopa cacciamo tutto sotto e se non ci sta allora riduciamo, scomponiamo e snaturiamo finché il senso non ha più senso. Viva la complessità, impariamo dal «Guardian».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni A Carnevale, giù la maschera A Carnevale, si sa, si indossano le maschere. Ci sono molte ragioni a fondamento di questa antica tradizione: mi soffermo su di una che, a mio avviso, dà da pensare. Nel Medioevo il Carnevale era chiamato, per lo più, «festa dei folli»: lo scopo essenziale della festa era ridere, parodiare e irridere le istituzioni – ad esempio, con la nomina del «roi pour rire», il re per burla. In altri termini, ci si liberava del giogo delle norme del comportamento corretto alle quali si era vincolati per il resto dell’anno; si dava libero sfogo alle bevute, al libertinaggio, al turpiloquio; si lasciava erompere quella voglia di trasgressione che tutti provavano e che – si sapeva – sarebbe poi stata fortemente repressa con l’avvento della Quaresima. La maschera favoriva questa sconcertante libertà. Sotto il camuffamento, anche personaggi autorevoli, anche
preti e frati potevano permettersi quel che ordinariamente non era lecito o non compatibile con la carica e la funzione. In termini freudiani, aveva luogo una rimozione delle inibizioni che costituiva una boccata d’ossigeno per rientrare poi, rilassati, nella «norma». Così era un tempo. Ma oggi? Oggi, a detta di alcuni, è Carnevale tutto l’anno. E non solo perché la festa e il divertimento non sono più relegati a una breve pausa annuale, ma perché tante inibizioni e divieti sono caduti al punto che il confine della trasgressione è spinto via fin quasi all’orizzonte. Ma anche la maschera, mi pare, è dilagata al di fuori del carnevale. Non parlo delle maschere carnevalizie del diavolo, di Arlecchino e così via; parlo di quella finzione che nasconde, sotto comportamenti apparentemente ineccepibili e formalità corrette, personalità ben diverse da quelle che vengono esibite pub-
blicamente. Queste cose mi venivano in mente di fronte ai casi di corruzione – anche di funzionari e di autorità – che ultimamente sembrano moltiplicarsi oltre il consueto, quasi che in prossimità del Carnevale le maschere tendano a cadere. Anche il Ticino è stato funestato da queste notizie, che peraltro accomunano tutti gli Stati; e in Italia, poi, circola ormai la battuta: «Il politico che ha le mani pulite, di sicuro ha rubato il sapone». Forse la cosa più sconcertante è che il comportamento disonesto venga anche da alcuni di coloro che, per specifica funzione, predicano l’onestà e la moralità. Dietro la recita moralistica si cela talvolta una realtà ben diversa: pochi giorni fa papa Francesco rendeva noto che c’è corruzione in Vaticano, sia per abusi sessuali che finanziari; ma la cosa era risaputa da tempo per le inchieste giornalistiche di Fittipaldi, Nuzzi, Maltese e altri ancora.
Ripenso a una favola cinese. L’imperatore della Cina temeva che la figlia finisse per sposare un uomo che la facesse soffrire; ordinò perciò ai suoi mandarini di percorrere tutto l’impero, fino a trovare un giovane che avesse il volto della perfetta santità. Il giovane fu portato a corte, i due si sposarono ed ebbero una vita coniugale felice, fatta d’amore e di rispetto reciproco. Poi il marito morì. Mentre veniva avvolto nel sudario, un cortigiano notò sulla tempia del defunto l’orlo di una sottilissima maschera d’oro che gli copriva il volto. Gridando d’indignazione, strappò la maschera dal volto; e allora, tra lo stupore e l’ammirazione dei presenti, si vide che la faccia svelata aveva i lineamenti assolutamente identici a quelli della maschera. È questa la realtà che si vorrebbe: che l’identità della persona fosse identica a quella esibita in pubblico. È pur vero che una
simile trasparenza non è sempre possibile: la vita civile impone che tutti, secondo le circostanze, indossiamo talvolta una maschera – ma questo non significa ancora mentire, né fingere d’essere tutt’altro di quel che si è. La maschera diviene menzogna quando fa da paravento a propositi disonesti. Ma la favola cinese ha forse anche un ulteriore significato: occorre forgiare il carattere con una lunga disciplina, iniziando dall’infanzia e poi per tutta la vita; occorre contenere fin da bambini il comportamento dentro una struttura solida, affinché quel che si forma dentro e quel che appare di fuori finiscano per corrispondere. Questa era la saggezza degli antichi: un medico come Galeno insegnava che se non si correggono gli eccessi del carattere quando si è ancora bambini, dopo è troppo tardi per rimediare. E allora si ricorre alla maschera.
La referenza, il bar dei bar, l’asticella è posta in alto. Sono stati all’altezza, anzi. Inoltre è Zumsteg, grazie alle amicizie del suo periodo parigino, il nesso tra Giacometti e questo posto che prima era un salon-coiffeur. Sopra le spalle del barman lo shaker d’argento riluccica e risuona nitido. Il mormorio dei cubetti di ghiaccio s’interseca al rumore filtrato e attutito del traffico sulla Rämistrasse. L’acustica qui è nevosa, soprattutto per via della combinazione tra il manto in mogano e i panni soffici verde gioco. C’è poi un’altra nevosità, visiva. La luce delle cinque meno un quarto dopo la metà di febbraio, entra docile e lenitiva, attraverso i drappeggi a nuvola. Davanti ai quali, scende una lunghissima catena in bronzo che regge una sfera di luce dentro una specie di nido tormentato. O una Corona di spine come ha intitolato Giacometti questo paio di luci bislacche. Dieci altre sfere si ritrovano distribuite nelle due amate lampade arboree con i piedi ben saldi sul bancone. L’alabastro
di Volterra, scelto apposta per le sfere, produce altra luce lattea come quella provocata dalle tende color avorio. Faccio merenda con gin fizz e mandorle salate. La coppia di avvinazzati eleganti è sparita, una nuova di giovani inglesi si è appena seduta al tavolino sotto il Mirò. Ci sono quattro tavolini in faccia al lungo bancone a elle, costeggiato da dodici sgabelli sempre in marocchino verde. Della stessa pelle sono imbottite le poltroncine con lo schienale a semicerchio che si accordano ai tavolini in marmo rosso venato di bianco. Se si guarda sotto, la gamba bronzea, neanche a dirlo, mostra ancora lo zampino di Diego Giacometti. Alle mie spalle un giocatore di baseball in china sta per battere la palla, opera dell’eversivo Raymond Pettibon di Tucson, classe 1957. Vado matto per l’autoscontro polare dei cubetti nel bicchiere che ora incontra il miglior suono stradale possibile, quello del tram. Sopra il Rauschenberg la verticalità dei listelli di mogano ricorda
lo slancio dei musi dei motoscafi Riva. Perdipiù lì accanto nasce il primo dei due movimentati volumi – uno nasconde il condotto dell’aria, l’altro è dovuto a una stanza sopra – ad angolo curvo che accentuano la sensazione nautica. Alle due estremità del bancone sono ora appollaiati due habitué. Due gufi sono da scoprire alla base di due delle quattro ultime lampade bronzee con il paralume da club londinese. Il Klee non è evidente, ma neanche così nascosto: una delicatissima litografia del 1923 dai toni rosa-grigio con un funambolo. Il Ladykiller eccolo finalmente, per la tipa inglese accanto. È stato inventato qui nel 1984 da Peter Roth, barman storico ora in pensione che vinse i campionati del mondo ad Amburgo con questo cocktail. Gin, Cointreau, Apricot brandy, succo della passione, succo d’ananas. Più che gli ingredienti mi sembra degna di nota la guarnizione: una rosa fatta con scorza d’arancia, ciliegina infilata al centro, mentre la menta mima le foglie.
A due passi di Oliver Scharpf Il bar della Kronenhalle a Zurigo Ci sono stato solo una sera, diversi anni fa, ma ho ancora negli occhi le due lampade in bronzo di Diego Giacometti (1902-1985) sul bancone di mogano lucido. Ricordo anche un nonsoché di ovattato come quando scende la neve o sei su una nave da crociera. Né ho scordato il nome del più famoso cocktail inventato lì: Ladykiller. L’orario ideale è «al pomeriggio, quando il bar è mezzo vuoto» rivela il suo stesso creatore, Robert Haussmann, architetto d’interni e designer zurighese classe 1931. E così a Zurigo, verso l’ora del tè, spingo la pesante porta in legno del bar della Kronenhalle (410 m). Già la maniglia in bronzo con su una corona sghemba la dice lunga: è la prima impronta di Diego Giacometti. Una bussola d’ingresso introduce poi intelligentemente nel locale tutto rivestito di mogano. I listelli gli conferiscono qualcosa di navale. Mi siedo su un divanetto in pelle tipo chesterfield color verde biliardo. Il verde è prolungato con parecchio panno alle
pareti dove sono appesi alcuni quadri. Alle mie spalle, nell’angolo destro all’entrata, una coppia di una certa età beve vino bianco sotto a un Picasso. Ordino un gin fizz. Un bel Rauschenberg verde e oro qui davanti, nell’angolo sinistro dell’ingresso, s’intona a meraviglia con questo luogo impareggiabile nato nel 1965. Bar senza tempo dove anche il committente ha fatto la sua parte. È Gustav Zumsteg (1915-2005), figlio di Hulda Zumsteg, leggendaria patronne del mitico ristorante Kronenhalle (1924) qui accanto, dove ancora vigila ritratta da Varlin. Nonché collezionista d’arte e mercante di seta esclusiva; all’epoca era a capo della gloriosa Abraham dalla quale si rifornivano Cristobal Balenciaga, Givenchy, e Yves Saint Laurent. Del resto, al primo appuntamento per discutere un po’ il progetto del bar, Gustav Zumsteg porta lo stesso libro portato da Haussmann con un segnalibro alla stessa pagina: sulla foto c’è l’American bar (1908) di Loos a Vienna.
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Ambiente e Benessere La lotta biologica Quando l’uomo scoprì che alcuni insetti venivano distrutti da altri insetti pagina 10
Energia nella roccia Realizzato un impianto pilota di stoccaggio con aria compressa nel cunicolo fra Pollegio e Loderio
Quando è troppo, è troppo Barcellona, Copenhagen, Venezia…: sta per finire l’era del turismo di massa?
In Ecuador con Hotelplan Viaggio di gruppo per i lettori di «Azione» nella più bella capitale andina del Sud America
pagine 12-13
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La dietista Pamela Beltrametti. (Stefano Spinelli)
Un mestiere con gusto
Alimentazione Prevenzione e cura alimentare sono gli ambiti di azione dei dietisti Maria Grazia Buletti «Nulla sarebbe più faticoso che mangiare e bere se Dio, oltre che una necessità, non ne avesse fatto un piacere». Questo pensiero di Voltaire ci permette di portare l’attenzione sulla giornata internazionale dei dietisti (Registered Dietitian Day) che cadrà mercoledì 8 marzo di quest’anno. Tutto ciò, unito all’anniversario (75 anni) dell’Associazione svizzera dietisti e dietiste (Asdd: www.svde-asdd.ch), ci dà spunto per parlare del «gusto» di chi, per mestiere, ha scelto di occuparsi di dietetica. Lo facciamo con l’aiuto della dietista Pamela Beltrametti che ci accompagna attraverso quello che lei stessa definisce «un mestiere che non manca di gusto». Secondo alcuni dati (in riferimento alla popolazione italiana) calcolati per una vita media di 82 anni, passiamo quattro anni della nostra vita a cucinare e sei anni e mezzo a mangiare. Inutile negare l’importanza di un punto di riferimento che ci accompagni attraverso scelte equilibrate e consigli utili, talvolta necessari, perché la nostra alimentazione sia sana, corretta e piacevole. Per meglio comprendere la figura professionale della dietista, chiediamo alla nostra interlocutrice di indicarci innanzitutto gli ambiti in cui essa
è chiamata a prestare la sua opera: «I dietisti lavorano in ambito clinico terapeutico (ospedali, case per anziani, studi medici, cliniche), come pure nell’ambito della prevenzione». Quest’ultimo ambito, importantissimo tassello per la salute, è svolto, ad esempio, «lavorando per la Società svizzera di nutrizione o presso Promozione salute svizzera, o ancora dedicandosi a progetti collegati all’educazione alimentare nelle scuole». Il campo d’azione di questa articolata professione va però anche oltre: «Lavoriamo pure nell’industria alimentare o farmaceutica, nella ricerca e nella formazione; ci occupiamo di ristorazione collettiva (ndr: «Fourchette Verte», mense, case anziani, cliniche) curando la qualità dei menu, in modo da promuovere l’educazione alimentare attraverso la proposta al nostro interlocutore di pasti equilibrati, rispettosi della stagionalità e dei sapori nostrani».
La Nutrizionista Rubrica online Solo nell’edizione online, www. azione.ch, la rubrica mensile dedicata all’alimentazione. La cura Laura Botticelli, dietista ASDD, che risponderà alle domande dei lettori.
Importante l’ambito ospedaliero, nel quale il dietista si occupa di adattare l’alimentazione in funzione dei bisogni del paziente: «Valutiamo il bisogno nutrizionale per poter stilare un piano alimentare personalizzato». Nelle cucine degli ospedali, inoltre, il dietista lavora con la brigata di cucina: «Per adattare le diete ospedaliere o delle collettività. Con le Home Care, infine, questa figura professionale si reca al domicilio del paziente che necessita di alimentazione artificiale». Un ampio ventaglio d’azione che richiede una formazione adeguata ad ogni branca d’azione: «Dal 2014 i dietisti e le dietiste si fregiano del titolo accademico ufficiale Bsc Nutrizione e dietetica (ndr: già dietista dipl. SSS). A questo possiamo aggiungere alcune formazioni estere equivalenti, riconosciute dalla Croce Rossa Svizzera e riunite dal Label Dietista Asdd». Sono tre gli anni di studio, riferisce Pamela Beltrametti, suddivisi per due terzi nella Scuola universitaria professionale e un terzo in moduli pratici: «A tutto questo aggiungiamo il lavoro di Bachelor, a completare l’obiettivo della nostra formazione in nutrizione e dietetica che consta nella cura (terapia dietetica) e nella promozione della salute attraverso l’alimentazione». Una professione, quella del o del-
la dietista, dai molteplici aspetti che ci chiediamo se sia equiparabile a quella dei coach in alimentazione o ai nutrizionisti: «Il Label protetto di Dietista Asdd (registrato nel Swissreg) si fa garante, attraverso l’Associazione svizzera dei dietisti diplomati, della conformità legale secondo le disposizioni dell’articolo 50a OAMal di cui solo i membri Asdd possono fregiarsi». La nostra interlocutrice spiega come, grazie a ciò, medici, datori di lavoro, autorità e pazienti abbiano gli strumenti per contestualizzare la formazione del professionista: «I membri Asdd si impegnano altresì a rispettare il codice deontologico e quello di etica professionale, assicurando la qualità del lavoro, come convenuto con Santésuisse che esige una formazione certificata continua e costante». È dunque importante sapere che non ci si può rivolgere a improvvisati o sedicenti dietisti, perché si tratta di una professione dalle molteplici peculiarità: «Una nostra particolarità è legata al consiglio nutrizionale e dietetico che deve essere fondato scientificamente e conforme alle raccomandazioni nutrizionali e dietetiche nazionali e internazionali». Pamela Beltrametti mette dunque in guardia: «Un dietista si riconosce perché non propone diete restrittive, né diete alla moda non supportate da studi scientifici, e non vende prodotti per di-
magrire o curare malattie», aggiungendo che attualmente in Ticino operano 52 dietisti e dietiste riconosciuti. Una professione tutta rivolta al futuro: «Il sesto Rapporto sull’alimentazione in Svizzera evidenzia una messa in pratica delle raccomandazioni nutrizionali limitata: da una parte si assumono, ad esempio, insufficienti quantità di verdura o di frutta, dall’altra si assume una quantità eccessiva di energia». La Beltrametti afferma che si parla tanto di cibo, ricette, ingredienti, «ma l’accesso a un’alimentazione corretta ed equilibrata è condizionato da conoscenze individuali, fattori sociali e geografici». La sfida della professione, conclude, «sarà di inserirsi in questo contesto assai complesso, restando al passo con le conoscenze scientifiche in veloce evoluzione, senza però perdere di vista l’importanza di proporre consigli individualizzati per rimanere vicini al singolo interlocutore o alla collettività, sulla base di una relazione di collaborazione reciproca». Insomma, un proverbio cinese dice: «Mangiare è uno dei quattro scopi della vita… quali siano gli altri tre, nessuno lo ha mai saputo». Possiamo però sapere a chi rivolgerci qualora dovessimo, o desiderassimo, curare al meglio la nostra alimentazione.
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Ambiente e Benessere
Insetto contro insetto Biodiversità Una lotta biologica da cui l’uomo ha imparato ad approfittarne
Alessandro Focarile Da quando l’uomo ha scoperto i vegetali (cereali e legumi) per la propria alimentazione, ha dovuto contenderli agli insetti e agli erbivori vertebrati. I quali se ne cibavano già da lungo tempo, cioè da milioni di anni, da quando sono comparse le piante con fiori e si è creata progressivamente un’esplosione della biodiversità vegetale e animale in incessante evoluzione. Negli scavi archeologici fatti a Gerico in Palestina – e dove ha avuto inizio 8000 anni or sono la prima organizzazione dell’agricoltura (al di fuori della Cina, dell’India e dell’Iran) – sono stati trovati anche chicchi di cereali chiaramente rosicchiati dagli insetti coleotteri detti «granivoli», tuttora presenti anche alle nostre latitudini. I primi agricoltori coltivavano anche alcuni cereali, come l’orzo, il miglio, il frumento, l’avena e il farro. Inoltre, anche diversi legumi: fave, ceci, veccie e piselli. Tutti vegetali che producono un seme ricco di proteine e di grassi appetiti dagli insetti granivori. Con il favore di ottimali situazioni climatiche (l’optimum termico si ebbe tra 7000 e 5500 anni da oggi) iniziò lo sviluppo dell’agricoltura nella Mezzaluna Fertile, tra gli odierni fiumi Tigri ed Eufrate. Questi territori erano ricoperti anche da foreste di palme, di bamboo e, sui monti dell’attuale Libano, foreste di cedri. Nei fiumi sguazzavano coccodrilli e numerosi ippopotami. Una fiorente economia agro-pastorale aveva modo di svilupparsi, grazie anche alle sempre più progredite tecniche colturali e il sapiente utilizzo delle acque con l’irrigazione.
La Natura, quando viene razionalmente assecondata, può essere in grado di produrre notevoli benefici sia all’uomo sia alle sue colture L’uomo agricoltore doveva però sopportare anche le periodiche calamità causate da alcuni insetti: cavallette e maggiolini. Le cronache dei secoli andati, a noi più vicini, documentano la gravità di queste cicliche invasioni anche nell’Europa meridionale, che creavano i presupposti per periodiche carestie. E fin dal 1700, gli unici mezzi per difendersi dagli insetti nocivi nelle colture erano limitati all’uso della cosiddetta «miscela bordolese» a base di solfato di rame miscelato con calce viva per proteggere i vigneti, all’irrorazione degli alberi da frutta sui quali tronchi si spargeva calce viva per contrastare un acaro, il famigerato «ragnetto rosso», e ad intrugli a base di ortica per tenere lontane falangi di afidi (pidocchi delle piante) protetti dalle formiche (foto). Gli alberi fruttiferi, gli agrumi in specie, il gelso un tempo coltivato quale alimento per l’allevamento del baco da seta, i castagni: sono tutti vegetali che hanno conosciuto gravi problemi, ai quali si sono aggiunti quelli originati dall’arrivo di specie esotiche di recente introduzione: granoturco, patate, pomodori e tabacco. Merita rilevare che i problemi fitosanitari, creati dagli insetti nocivi alle colture, hanno incidenze dirette e profonde sull’economia Annuncio pubblicitario
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Le formiche curano le loro colonie di afidi. (Böhringer Friedrich)
di un Paese. In Europa, soltanto i vermi Nematodi parassiti per la produzione cerealicola sono responsabili di danni che raggiungono il dieci per cento della produzione. Gli stessi nematodi ingenerano una diminuzione dei raccolti pari al 20-30 per cento nelle colture di agrumi nella regione mediterranea. Inoltre, bisogna considerare che negli USA e in Canada più del 10 per cento della produzione totale di derrate alimentari e di legname è attualmente distrutta ogni anno dai parassiti animali nonostante il sempre più massiccio uso di fitofarmaci di sintesi. Un ottimo affare per le multinazionali del settore. (Acot, 1994). A un certo punto della sua storia, l’uomo, osservando quanto avveniva nei suoi prati, nei suoi frutteti e nei suoi boschi, scoprì che alcuni insetti erano contrastati e distrutti da altri insetti. Ma bisognava giungere in epoca del tutto recente per vedere all’opera i primi specialisti entomologi, pionieri nella lotta «insetto contro insetto». Per esempio, l’entomologo statunitense Charles Valentine Riley (1841-1895), primo professionista con un incarico statale (State entomologist of Missouri). La sua ambizione era di utilizzare degli organismi viventi contro gli organismi nocivi. I primi suoi tentativi di combattere la fillossera della vite, utilizzando un acaro antagonista, non ebbero risultati positivi. Per contro, Riley conobbe uno strepitoso successo, riuscendo a debellare il bruco della bianca farfalla Pieris brassicae, che distruggeva le coltivazioni di cavoli, grazie all’introduzione dall’Europa di una minuscola vespa parassita dei bruchi della farfalla: l’Apanteles. Un altro successo lo ottenne Riley nel 1890, introducendo in California (dall’Australia) una specie di coccinella, il Novius cardinalis, valido antagonista di un emittero coccide che devastava gli agrumeti. Questa coccinella fu successivamente introdotta nel 1905 anche in Italia dal famoso entomologo agrario Filippo Silvestri, con risultati altrettanto brillanti. Una vera guerra dei trent’anni venne intrapresa dal successore di Riley: Leland Ossian Howard (18571954). Questo valente e testardo studioso affrontò e alla fine vinse il problema generato dal bombice dispari (Lymanthria dispar, foto), una farfalla sconosciuta nel Nord America e intro-
Larva di coccinella in cerca di afidi. (Alessandro Focarile)
Il Torymus sinensis (scala 1 millimetro), con l’ovidepositore (freccia). (Paparatti)
Harmonia axyridis, la coccinella venuta dal freddo. (Alessandro Focarile)
Lymanthria dispar, una farfalla il cui bruco può defogliare interi boschi. (Alessandro Focarile)
dotta accidentalmente nel 1869. I virulenti attacchi del suo bruco riducevano i boschi in uno stato pietoso, come se fossero stati percorsi da furiosi incendi. Grazie all’impiego di una vespa parassita dei bruchi, allevata in quantità industriali, il flagello venne lentamente contrastato. Nel 1915, le zone boscose defogliate cominciarono a diminuire. Soltanto nel 1925, Howard potè annunziare che la vittoria contro la limantria era assicurata. In California, dove vaste zone conoscono una monocoltura a base di agrumi, si hanno permanentemente dei problemi nella lotta contro gli insetti defogliatori e succhiatori delle foglie: bruchi e afidi. Per tali ragioni, il livello di guardia deve essere sempre elevato. Circa cento anni or sono, venne introdotta un’altra specie di coccinella, oltre alla già presente Noviüs cardinalis. Si trattava dell’Harmonia axyridis, una specie originaria della Siberia, introdotta in Giappone e da qui in California. Da quanto si ebbe agio di rilevare
nei decenni successivi, questo grazioso coleottero (foto) ha costumi aggressivi ed è molto prolifico. Non solo fa strage di afidi, ma non disdegna di aggredire anche altre specie di coccinelle che si trovano sugli alberi, compromettendo l’azione antagonista di questi validi alleati dell’uomo. Harmonia axyridis ama viaggiare. Ha attraversato tutti gli USA da Ovest fino alle coste atlantiche. È stata importata in Europa negli anni Novanta propagandosi rapidamente, ed è giunta (sempre al volo) fino a Faido in Leventina. Qui è stata osservata nel 2012 con uguali abitudini aggressive, che le hanno consentito di diminuire drasticamente il numero delle coccinelle nostrane. Un risultato non previsto da chi l’aveva importata in Europa. Anni or sono i castagneti del Ticino, di tutta la fascia pedemontana dalla Lombardia al Piemonte, e attraverso tutti gli Appennini fino in Calabria, hanno conosciuto l’indesiderato arrivo di un nuovo parassita, come se non
fossero bastati i precedenti malanni causati dal cancro corticale e dal mal dell’inchiostro. A seguito di un’incauta e non controllata importazione di giovani piante di castagno da parte di un vivaista di Cuneo (Piemonte), l’albero è stato massicciamente attaccato da una minuscola vespa: il cinipide Dryocosmus kuriphilus. Con le sue punture, l’insetto provoca la formazione di galle (malformazioni di origine tumorale) nei germogli, impedendo la costruzione del fiore e quindi della castagna. Non c’è alcuna proporzione tra le dimensioni di un minuscolo insetto grande due millimetri e l’entità del danno che può provocare: migliaia di quintali di castagne perduti! Quale valido antagonista specifico del cinipide Dryocosmus kuriphilus e grazie ai massicci allevamenti attuati presso le Università di Torino e della Tuscia nel Lazio (Viterbo) è stata utilizzata con successo un’altra minuscola vespa, il Torymus sinensis (foto) diffusa nelle regioni orientali originarie del parassita, e precisamente la Cina, il Giappone e la Corea. Il Torimo è stato in grado di frenare e di debellare le infestazioni prodotte dal parassita. Già si è parlato (nel settembre 2016) della prospettiva di un raccolto considerevole di castagne. Una ennesima riprova del fatto che la Natura, qualora sia razionalmente assecondata, è in grado di arrecare notevoli benefici all’uomo e alle sue colture, senza l’impiego di deleteri metodi artificiali, e con esiti imprevedibili nel tempo. Secondo Berlan (2001) sono conosciute attualmente oltre 600 specie di insetti, che si sono rivelate refrattarie all’impiego dei fitofarmaci di sintesi biocidi, creando ceppi geneticamente in grado di metabolizzare i principi attivi di questi fitofarmaci. Prodotti in base alla chimera che più sono tossici e maggiormente sono efficaci, con il risultato di avvelenare progressivamente l’ambiente. Bibliografia
Pascal Acot, Histoire de l’Écologie, Presse Universitaires de France (Paris), 1994, 127 pp. Jean-Pierre Berlan (a cura di), La guerra al vivente. OGM e altre mistificazioni scientifiche, Bollati Boringhieri (Torino), 2001, 138 pp. F.S. Bodenheimer, Précis d’Écologie animale, Payot (Paris), 1955, 315 pp.
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Stoccare energia nella roccia? Progetti futuristici Realizzato da una ditta ticinese un impianto pilota di immagazzinamento di energia con aria
compressa nel cunicolo fra Pollegio e Loderio precedentemente usato per rimuovere i detriti di scavo dell’Alptransit
Benedikt Vogel, per conto dell’UFE L’energia elettrica può essere immagazzinata chimicamente dentro batterie o fisicamente mediante impianti di idropompaggio. Una soluzione ancora poco sperimentata è lo stoccaggio di energia elettrica sotto forma di aria compressa. Un impianto pilota realizzato all’interno di una ex galleria della trasversale del San Gottardo conferma ora la fattibilità di principio di questa tecnica di accumulazione. I promotori della tecnologia sono convinti che i sistemi CAES (Compressed Air Energy Storage), che sfruttano l’aria compressa come mezzo di accumulo dell’energia, forniranno un contributo a medio e lungo termine all’integrazione nell’approvvigionamento energetico dell’energia solare ed eolica prodotta in modo discontinuo. Il granito del San Gottardo è duro ma non impenetrabile. La roccia è attraversata da vene d’acqua e talvolta s’incontrano formazioni rocciose che si sbriciolano come sabbia. Se si vuole immagazzinare aria compressa nel Gottardo occorre quindi verificare prima se la roccia garantisce una tenuta d’aria sufficiente. Ed è esattamente ciò che ha fatto il Dr. Giw Zanganeh dell’azienda ticinese ALACAES SA negli ultimi mesi. L’ingegnere meccanico, laureato al Politecnico federale di Zurigo, ha trascorso diversi mesi con i suoi colleghi ricercatori nel cuore del San Gottardo per studiare la tenuta ermetica della roccia: «Con le nostre misurazioni abbiamo dimostrato che le gallerie del Gottardo hanno una tenuta ermetica sufficiente per consentire lo stoccaggio di aria ad alta pressione», ha spiegato Zanganeh. Una notizia che dà impulso alla visione di un accumulatore di energia elettrica nel granito del
Gottardo: L’energia elettrica prodotta in eccesso, ad esempio con le centrali eoliche e solari, viene convertita in aria compressa e confinata in cavità sotterranee rocciose per poi essere utilizzata, quando necessario, per la produzione di energia elettrica mediante un generatore.
«Non abbiamo osservato perdite d’aria dalla roccia, possiamo concludere che la roccia è in linea di principio adatta per un serbatoio ad aria compressa» L’azienda ALACAES vuole costruire un serbatoio di questo tipo. Per questo motivo, dal 2014 ha allestito una galleria dismessa della Nuova Ferrovia Transalpina (NFTA) a nord di Biasca (TI) per testare l’utilizzo dell’aria compressa come mezzo di accumulo dell’energia. Una sezione della galleria, della lunghezza di 120 m, è stata chiusa alle due estremità con un «tappo di cemento» dello spessore di 5 m. Ciascun tappo presenta una porta in acciaio del peso di 7 t che consente di accedere alla camera a pressione. Le pareti della galleria di roccia sono rivestite di calcestruzzo a proiezione usato comunemente nei tunnel. Nell’autunno 2016 è stata svolta una campagna di misurazione nella galleria NFTA. I ricercatori di ALACAES sono riusciti a immagazzinare l’aria nella roccia a una pressione di 7 bar. «Non abbiamo osservato perdite d’aria dalla roccia, pertanto possiamo concludere che la roccia è in linea di principio
All’ingresso della camera a pressione lunga 120 m si trovano gli apparecchi che trasformano l’energia elettrica in aria compressa. In futuro sarà utilizzato un compressore adiabatico. Adiabatico significa che il calore generato durante la compressione dell’aria non viene ceduto all’ambiente esterno (mediante raffreddamento del compressore), bensì rimane nell’aria compressa. Poiché i compressori adiabatici non sono disponibili per l’impianto pilota, di dimensioni relativamente ridotte, l’aria compressa calda nell’esperimento in Ticino è stata generata con una costruzione ausiliaria: due compressori condensano l’aria esterna portandola gradualmente alla pressione desiderata, infine un riscaldatore la riscalda a 550 °C. L’aria calda compressa viene quindi condotta alla camera a pressione attraverso una tubazione. Il cuore dell’impianto sperimentale si trova nella camera a pressione stessa: si tratta dell’accumulatore termico che assorbe il calore contenuto nell’aria compressa fino a quando il serbatoio è carico (vedere il riquadro di testo 1). L’accumulatore termico è di una semplicità disarmante: una vasca in calcestruzzo lunga 10 m, larga 2 m abbondanti e alta quasi 3 m, completamente riempita con 44 mc di sassi di fiume di circa 2 cm di spessore. L’aria calda compressa attraversa il letto di pietre durante il processo di carica cedendo loro il suo calore. Tanto è semplice il principio dell’accumulatore termico quanto la progettazione e la costruzione sono particolarmente ambiziose. Si è dovuto ottimizzare la forma sul piano termodinamico e meccanico e impiegare all’interno dei mattoni speciali in calcestruzzo che sono resistenti alle alte temperature e alle sollecitazioni meccaniche delle pietre. Quando l’accumulatore è carico, due terzi dell’energia sono qui immagazzinati sotto forma di calore, il terzo rimanente è trattenuto nell’aria compressa. Il processo di carica dura (così come il successivo processo di scarica) fino a 60 ore. La temperatura nella camera a pressione aumenta durante la carica dai 18 °C, che è la temperatura normalmente registrata nella roccia, a 21-23 °C. L’impianto sperimentale, comprensivo di accumulatore termico, è dotato di una rete di circa 150 sensori di misura che durante gli esperimenti registrano temperatura, pressione e altri valori trasmessi fino alla sala controllo all’ingresso della galleria mediante un cavo in fibra ottica. Degli estensimetri superficiali registrano eventuali movimenti conseguenti alla reazione della roccia all’aumento della pressione. Inoltre, all’interno della camera a pressione sono installate 4 telecamere, usate normalmente nella ricerca sottomarina, che sopportano fino a 100 bar di pressione. I «tappi» che chiudono l’accumulatore alle due estremità vengono misurati con speciali sensori di movimento (tachimetri). Con questo impianto sperimentale i ricercatori hanno ora dimostrato che un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa, installato all’interno della roccia, potrebbe funzionare. Ma perché un impianto di questo tipo possa essere davvero usato per immagazzinare l’e-
Un impianto «adiabatico» La sfida Come
generare aria compressa senza rilasciare calore
La porta in acciaio consente l’accesso alla camera di pressione. (ALACAES)
Due compressori che servono, in combinazione con un riscaldatore, a simulare un compressore adiabatico. (ALACAES)
lettricità devono essere ancora superati alcuni ostacoli fondamentali: l’accumulatore dovrebbe essere ingrandito per aumentare la capacità di accumulo (attualmente di 1 MWh) a 100 MWh e oltre. Inoltre, nella camera a pressione devono essere integrati un compressore adiabatico (che trasforma l’energia elettrica in aria compressa durante il processo di carica) e la turbina ad aria compressa (che trasforma l’aria compressa in energia elettrica durante il processo di scarica). È evidente che le gallerie scavate nella roccia non sono ottimali per lo stoccaggio di aria compressa a scopi commerciali. Piuttosto, sarebbe opportuno scavare delle caverne di forma sferica, che sono fisicamente più adatte. Inoltre, è necessario raggiungere pressioni notevolmente più elevate dei 7 bar finora realizzati. Il progetto pilota e di dimostrazione condotto a Biasca con il sostegno dell’UFE ha prodotto risultati impor-
Luciano Serio nella sala di controllo dell’impianto pilota. (B. Vogel)
tanti. Sulla base di queste nuove conoscenze l’azienda ALACAES deciderà ora se affrontare la costruzione di un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa.
Un progetto ticinese per un uso razionale dell’energia
La camera a pressione è rivestita di calcestruzzo a proiezione, ma non è particolarmente ermetizzata. (ALACAES)
adatta per un serbatoio ad aria compressa», ha riassunto così Giw Zanganeh l’esito più importante dell’esperimento. Il team di Zanganeh è riuscito quindi a confermare con misurazioni sperimentali ciò che in precedenza erano solo calcoli teorici. «La montagna non si muove sotto l’effetto dell’aria compressa; non abbiamo osservato spostamenti rilevanti nella roccia».
Per giungere a questa conclusione i ricercatori hanno dovuto faticare molto. Basta uno sguardo al sito dell’esperimento per farsene un’idea. Dalla stazione di Biasca si arriva in pochi minuti in auto all’ingresso della galleria di quasi 3 km, che inizia a circa un chilometro di distanza dal portale NFTA meridionale e che serviva durante i lavori di costruzione per la
rimozione dei detriti di scavo dalla Leventina (Pollegio) alla Valle di Blenio (Loderio) attraverso la montagna. La camera a pressione si trova a 700 m di profondità all’interno della montagna. A tale profondità, la copertura rocciosa è sufficientemente solida da resistere alle pressioni che si formano all’interno della camera a pressione quando è carica.
Il progetto pilota e di dimostrazione ticinese relativo allo sviluppo di un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa è promosso dall’azienda ALACAES con sede a Biasca (TI). ALACAES è detenuta in prevalenza dall’azienda Energy Holding SA (sempre con sede a Biasca), fondata nel 2007, che opera nel settore delle tecnologie solari e dello stoccaggio di energia. La Amberg Engineering AG, società di ingegneria specializzata nella costruzione di gallerie, partecipa in ALACAES con il 20%, l’impresa di progettazione e costruzione Lombardi SA vi partecipa con il 10%. ALACAES è stata fondata nel 2012 con l’obiettivo
di costruire un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa. L’attività principale si è concentrata nel progetto di ricerca nell’ex galleria della NFTA presso Biasca. Il progetto di ricerca è stato incentivato dall’Ufficio federale dell’energia nell’ambito del suo programma P+D e inoltre anche dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica. L’accompagnamento tecnico al progetto è fornito dal Swiss Competence Center in Energy Research (SCCER) – Heat & Electricity Storage (stoccaggio di calore ed elettricità). Il Politecnico federale di Zurigo e la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
(SUPSI) forniscono l’assistenza necessaria per l’analisi dei dati. L’esperimento condotto a Biasca (TI) di un accumulatore ad aria compressa all’interno di una galleria dismessa della NFTA è uno dei progetti pilota, di dimostrazione e faro con i quali l’Ufficio federale dell’energia (UFE) promuove un uso razionale e parsimonioso delle energie e incentiva l’utilizzo delle energie rinnovabili. L’UFE sostiene progetti pilota, di dimostrazione e faro con il 40% dei costi imputabili. Le domande possono essere presentate in ogni momento. www. bfe.admin.ch/cleantech/06561/index. html?lang=it /BV
Francesco Bolgiani, presidente del Consiglio d’Amministrazione di ALACAES, si è così espresso a tale riguardo: «I colloqui con attori internazionali di eccellenza sono in fase avanzata per definire i passi successivi». I promotori calcolano i costi di stoccaggio con un accumulatore commerciale ad aria compressa in 150 EUR/kWh di capacità installata, nettamente inferiori a quelli di una batteria (1000 EUR/ kWh).
Il principio di funzionamento di un accumulatore ad aria compressa è estremamente semplice: l’energia elettrica che si desidera immagazzinare viene impiegata per il funzionamento di un compressore che genera aria compressa che viene racchiusa in un serbatoio in pressione. Quando si vuole scaricare l’accumulatore, l’aria compressa viene inviata a una turbina che aziona quindi un generatore elettrico. I calcoli dimostrano che con un accumulatore a pressione di forma sferica con diametro pari a 46 m è possibile immagazzinare 500 MWh di energia elettrica. Questa quantità di energia è sufficiente per coprire il fabbisogno di elettricità di una città delle dimensioni di Lugano per dodici ore. Un accumulatore di questo tipo avrebbe un tempo di carica/scarica di (almeno) 3-4 ore e un rendimento superiore al 70%. Nella pratica, l’accumulatore ad aria compressa presenta ancora diverse problematiche: la compressione dell’aria (ad es. con una pompa per biciclette) genera calore. Ciò significa che l’elettricità per il funzionamento del compressore non viene trasformata solo in aria compressa ma anche in calore, e in misura addirittura del 60% circa. Per non disperdere inutilmente questa energia termica, all’interno della galleria NFTA viene installato un accumulatore termico che trattiene il calore prodotto in fase di compressione per poi restituirlo in fase di espansione (quando l’accumulatore viene scaricato) per generare energia elettrica. Questo tipo di accumulatore ad aria compressa – per la precisione si dovrebbe parlare di CAES termico – non rilascia pertanto nessun calore al suo esterno durante la carica (compressione dell’aria) e non assorbe nessun calore dall’esterno durante la fase di scarica (decompressione). Questo modo di funzionamento è detto «adiabatico». Gli accumulatori ad aria compressa adiabatici promettono un rendimento fino al 75%. Il primo tentativo di costruzione di un accumulatore ad aria compressa di questo tipo, con una capacità di stoccaggio di 360 MWh, è stato effettuato dalla RWE, un fornitore di energia tedesco, all’interno di una miniera di salgemma dismessa a Staßfurt, nella Germania orientale. Il progetto è stato fermato nella primavera 2015 per mancanza di prospettive di mercato. In tutto il mondo esistono attualmente due accumulatori ad aria compressa. Un impianto risale al 1978 e si trova a Huntorf (Bassa Sassonia) in Germania, il secondo impianto è del 1991 e si trova a McIntosh nello stato dell’Alabama negli USA. Ma nessuno dei due impianti funziona secondo il principio adiabatico in quanto in entrambi i casi, in fase di decompressione, l’aria viene riscaldata bruciando gas naturale. L’impiego di energie fossili per fornire calore abbassa il rendimento al 40% (Huntorf) e risp. 52% (McIntosh), inoltre vengono prodotte emissioni di CO2. / BV
Informazioni
Per saperne di più è possibile rivolgersi a Roland Brüniger (roland. brueniger[at]r-brueniger-ag.ch), responsabile del programma di ricerca Tecnologie ed applicazioni dell’elettricità dell’UFE. Altri articoli specialistici su progetti di ricerca, pilota, di dimostrazione e faro in materia di tecnologie dell’elettricità sono disponibili all’indirizzo: www.bfe.admin.ch/ cleantech/05761/05763/05782/index. html?lang=it
Una vasca di calcestruzzo serve da accumulatore termico. (ALACAES)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Ambiente e Benessere
Ambiente e Benessere
Stoccare energia nella roccia? Progetti futuristici Realizzato da una ditta ticinese un impianto pilota di immagazzinamento di energia con aria
compressa nel cunicolo fra Pollegio e Loderio precedentemente usato per rimuovere i detriti di scavo dell’Alptransit
Benedikt Vogel, per conto dell’UFE L’energia elettrica può essere immagazzinata chimicamente dentro batterie o fisicamente mediante impianti di idropompaggio. Una soluzione ancora poco sperimentata è lo stoccaggio di energia elettrica sotto forma di aria compressa. Un impianto pilota realizzato all’interno di una ex galleria della trasversale del San Gottardo conferma ora la fattibilità di principio di questa tecnica di accumulazione. I promotori della tecnologia sono convinti che i sistemi CAES (Compressed Air Energy Storage), che sfruttano l’aria compressa come mezzo di accumulo dell’energia, forniranno un contributo a medio e lungo termine all’integrazione nell’approvvigionamento energetico dell’energia solare ed eolica prodotta in modo discontinuo. Il granito del San Gottardo è duro ma non impenetrabile. La roccia è attraversata da vene d’acqua e talvolta s’incontrano formazioni rocciose che si sbriciolano come sabbia. Se si vuole immagazzinare aria compressa nel Gottardo occorre quindi verificare prima se la roccia garantisce una tenuta d’aria sufficiente. Ed è esattamente ciò che ha fatto il Dr. Giw Zanganeh dell’azienda ticinese ALACAES SA negli ultimi mesi. L’ingegnere meccanico, laureato al Politecnico federale di Zurigo, ha trascorso diversi mesi con i suoi colleghi ricercatori nel cuore del San Gottardo per studiare la tenuta ermetica della roccia: «Con le nostre misurazioni abbiamo dimostrato che le gallerie del Gottardo hanno una tenuta ermetica sufficiente per consentire lo stoccaggio di aria ad alta pressione», ha spiegato Zanganeh. Una notizia che dà impulso alla visione di un accumulatore di energia elettrica nel granito del
Gottardo: L’energia elettrica prodotta in eccesso, ad esempio con le centrali eoliche e solari, viene convertita in aria compressa e confinata in cavità sotterranee rocciose per poi essere utilizzata, quando necessario, per la produzione di energia elettrica mediante un generatore.
«Non abbiamo osservato perdite d’aria dalla roccia, possiamo concludere che la roccia è in linea di principio adatta per un serbatoio ad aria compressa» L’azienda ALACAES vuole costruire un serbatoio di questo tipo. Per questo motivo, dal 2014 ha allestito una galleria dismessa della Nuova Ferrovia Transalpina (NFTA) a nord di Biasca (TI) per testare l’utilizzo dell’aria compressa come mezzo di accumulo dell’energia. Una sezione della galleria, della lunghezza di 120 m, è stata chiusa alle due estremità con un «tappo di cemento» dello spessore di 5 m. Ciascun tappo presenta una porta in acciaio del peso di 7 t che consente di accedere alla camera a pressione. Le pareti della galleria di roccia sono rivestite di calcestruzzo a proiezione usato comunemente nei tunnel. Nell’autunno 2016 è stata svolta una campagna di misurazione nella galleria NFTA. I ricercatori di ALACAES sono riusciti a immagazzinare l’aria nella roccia a una pressione di 7 bar. «Non abbiamo osservato perdite d’aria dalla roccia, pertanto possiamo concludere che la roccia è in linea di principio
All’ingresso della camera a pressione lunga 120 m si trovano gli apparecchi che trasformano l’energia elettrica in aria compressa. In futuro sarà utilizzato un compressore adiabatico. Adiabatico significa che il calore generato durante la compressione dell’aria non viene ceduto all’ambiente esterno (mediante raffreddamento del compressore), bensì rimane nell’aria compressa. Poiché i compressori adiabatici non sono disponibili per l’impianto pilota, di dimensioni relativamente ridotte, l’aria compressa calda nell’esperimento in Ticino è stata generata con una costruzione ausiliaria: due compressori condensano l’aria esterna portandola gradualmente alla pressione desiderata, infine un riscaldatore la riscalda a 550 °C. L’aria calda compressa viene quindi condotta alla camera a pressione attraverso una tubazione. Il cuore dell’impianto sperimentale si trova nella camera a pressione stessa: si tratta dell’accumulatore termico che assorbe il calore contenuto nell’aria compressa fino a quando il serbatoio è carico (vedere il riquadro di testo 1). L’accumulatore termico è di una semplicità disarmante: una vasca in calcestruzzo lunga 10 m, larga 2 m abbondanti e alta quasi 3 m, completamente riempita con 44 mc di sassi di fiume di circa 2 cm di spessore. L’aria calda compressa attraversa il letto di pietre durante il processo di carica cedendo loro il suo calore. Tanto è semplice il principio dell’accumulatore termico quanto la progettazione e la costruzione sono particolarmente ambiziose. Si è dovuto ottimizzare la forma sul piano termodinamico e meccanico e impiegare all’interno dei mattoni speciali in calcestruzzo che sono resistenti alle alte temperature e alle sollecitazioni meccaniche delle pietre. Quando l’accumulatore è carico, due terzi dell’energia sono qui immagazzinati sotto forma di calore, il terzo rimanente è trattenuto nell’aria compressa. Il processo di carica dura (così come il successivo processo di scarica) fino a 60 ore. La temperatura nella camera a pressione aumenta durante la carica dai 18 °C, che è la temperatura normalmente registrata nella roccia, a 21-23 °C. L’impianto sperimentale, comprensivo di accumulatore termico, è dotato di una rete di circa 150 sensori di misura che durante gli esperimenti registrano temperatura, pressione e altri valori trasmessi fino alla sala controllo all’ingresso della galleria mediante un cavo in fibra ottica. Degli estensimetri superficiali registrano eventuali movimenti conseguenti alla reazione della roccia all’aumento della pressione. Inoltre, all’interno della camera a pressione sono installate 4 telecamere, usate normalmente nella ricerca sottomarina, che sopportano fino a 100 bar di pressione. I «tappi» che chiudono l’accumulatore alle due estremità vengono misurati con speciali sensori di movimento (tachimetri). Con questo impianto sperimentale i ricercatori hanno ora dimostrato che un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa, installato all’interno della roccia, potrebbe funzionare. Ma perché un impianto di questo tipo possa essere davvero usato per immagazzinare l’e-
Un impianto «adiabatico» La sfida Come
generare aria compressa senza rilasciare calore
La porta in acciaio consente l’accesso alla camera di pressione. (ALACAES)
Due compressori che servono, in combinazione con un riscaldatore, a simulare un compressore adiabatico. (ALACAES)
lettricità devono essere ancora superati alcuni ostacoli fondamentali: l’accumulatore dovrebbe essere ingrandito per aumentare la capacità di accumulo (attualmente di 1 MWh) a 100 MWh e oltre. Inoltre, nella camera a pressione devono essere integrati un compressore adiabatico (che trasforma l’energia elettrica in aria compressa durante il processo di carica) e la turbina ad aria compressa (che trasforma l’aria compressa in energia elettrica durante il processo di scarica). È evidente che le gallerie scavate nella roccia non sono ottimali per lo stoccaggio di aria compressa a scopi commerciali. Piuttosto, sarebbe opportuno scavare delle caverne di forma sferica, che sono fisicamente più adatte. Inoltre, è necessario raggiungere pressioni notevolmente più elevate dei 7 bar finora realizzati. Il progetto pilota e di dimostrazione condotto a Biasca con il sostegno dell’UFE ha prodotto risultati impor-
Luciano Serio nella sala di controllo dell’impianto pilota. (B. Vogel)
tanti. Sulla base di queste nuove conoscenze l’azienda ALACAES deciderà ora se affrontare la costruzione di un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa.
Un progetto ticinese per un uso razionale dell’energia
La camera a pressione è rivestita di calcestruzzo a proiezione, ma non è particolarmente ermetizzata. (ALACAES)
adatta per un serbatoio ad aria compressa», ha riassunto così Giw Zanganeh l’esito più importante dell’esperimento. Il team di Zanganeh è riuscito quindi a confermare con misurazioni sperimentali ciò che in precedenza erano solo calcoli teorici. «La montagna non si muove sotto l’effetto dell’aria compressa; non abbiamo osservato spostamenti rilevanti nella roccia».
Per giungere a questa conclusione i ricercatori hanno dovuto faticare molto. Basta uno sguardo al sito dell’esperimento per farsene un’idea. Dalla stazione di Biasca si arriva in pochi minuti in auto all’ingresso della galleria di quasi 3 km, che inizia a circa un chilometro di distanza dal portale NFTA meridionale e che serviva durante i lavori di costruzione per la
rimozione dei detriti di scavo dalla Leventina (Pollegio) alla Valle di Blenio (Loderio) attraverso la montagna. La camera a pressione si trova a 700 m di profondità all’interno della montagna. A tale profondità, la copertura rocciosa è sufficientemente solida da resistere alle pressioni che si formano all’interno della camera a pressione quando è carica.
Il progetto pilota e di dimostrazione ticinese relativo allo sviluppo di un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa è promosso dall’azienda ALACAES con sede a Biasca (TI). ALACAES è detenuta in prevalenza dall’azienda Energy Holding SA (sempre con sede a Biasca), fondata nel 2007, che opera nel settore delle tecnologie solari e dello stoccaggio di energia. La Amberg Engineering AG, società di ingegneria specializzata nella costruzione di gallerie, partecipa in ALACAES con il 20%, l’impresa di progettazione e costruzione Lombardi SA vi partecipa con il 10%. ALACAES è stata fondata nel 2012 con l’obiettivo
di costruire un impianto adiabatico di immagazzinamento di energia con aria compressa. L’attività principale si è concentrata nel progetto di ricerca nell’ex galleria della NFTA presso Biasca. Il progetto di ricerca è stato incentivato dall’Ufficio federale dell’energia nell’ambito del suo programma P+D e inoltre anche dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica. L’accompagnamento tecnico al progetto è fornito dal Swiss Competence Center in Energy Research (SCCER) – Heat & Electricity Storage (stoccaggio di calore ed elettricità). Il Politecnico federale di Zurigo e la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana
(SUPSI) forniscono l’assistenza necessaria per l’analisi dei dati. L’esperimento condotto a Biasca (TI) di un accumulatore ad aria compressa all’interno di una galleria dismessa della NFTA è uno dei progetti pilota, di dimostrazione e faro con i quali l’Ufficio federale dell’energia (UFE) promuove un uso razionale e parsimonioso delle energie e incentiva l’utilizzo delle energie rinnovabili. L’UFE sostiene progetti pilota, di dimostrazione e faro con il 40% dei costi imputabili. Le domande possono essere presentate in ogni momento. www. bfe.admin.ch/cleantech/06561/index. html?lang=it /BV
Francesco Bolgiani, presidente del Consiglio d’Amministrazione di ALACAES, si è così espresso a tale riguardo: «I colloqui con attori internazionali di eccellenza sono in fase avanzata per definire i passi successivi». I promotori calcolano i costi di stoccaggio con un accumulatore commerciale ad aria compressa in 150 EUR/kWh di capacità installata, nettamente inferiori a quelli di una batteria (1000 EUR/ kWh).
Il principio di funzionamento di un accumulatore ad aria compressa è estremamente semplice: l’energia elettrica che si desidera immagazzinare viene impiegata per il funzionamento di un compressore che genera aria compressa che viene racchiusa in un serbatoio in pressione. Quando si vuole scaricare l’accumulatore, l’aria compressa viene inviata a una turbina che aziona quindi un generatore elettrico. I calcoli dimostrano che con un accumulatore a pressione di forma sferica con diametro pari a 46 m è possibile immagazzinare 500 MWh di energia elettrica. Questa quantità di energia è sufficiente per coprire il fabbisogno di elettricità di una città delle dimensioni di Lugano per dodici ore. Un accumulatore di questo tipo avrebbe un tempo di carica/scarica di (almeno) 3-4 ore e un rendimento superiore al 70%. Nella pratica, l’accumulatore ad aria compressa presenta ancora diverse problematiche: la compressione dell’aria (ad es. con una pompa per biciclette) genera calore. Ciò significa che l’elettricità per il funzionamento del compressore non viene trasformata solo in aria compressa ma anche in calore, e in misura addirittura del 60% circa. Per non disperdere inutilmente questa energia termica, all’interno della galleria NFTA viene installato un accumulatore termico che trattiene il calore prodotto in fase di compressione per poi restituirlo in fase di espansione (quando l’accumulatore viene scaricato) per generare energia elettrica. Questo tipo di accumulatore ad aria compressa – per la precisione si dovrebbe parlare di CAES termico – non rilascia pertanto nessun calore al suo esterno durante la carica (compressione dell’aria) e non assorbe nessun calore dall’esterno durante la fase di scarica (decompressione). Questo modo di funzionamento è detto «adiabatico». Gli accumulatori ad aria compressa adiabatici promettono un rendimento fino al 75%. Il primo tentativo di costruzione di un accumulatore ad aria compressa di questo tipo, con una capacità di stoccaggio di 360 MWh, è stato effettuato dalla RWE, un fornitore di energia tedesco, all’interno di una miniera di salgemma dismessa a Staßfurt, nella Germania orientale. Il progetto è stato fermato nella primavera 2015 per mancanza di prospettive di mercato. In tutto il mondo esistono attualmente due accumulatori ad aria compressa. Un impianto risale al 1978 e si trova a Huntorf (Bassa Sassonia) in Germania, il secondo impianto è del 1991 e si trova a McIntosh nello stato dell’Alabama negli USA. Ma nessuno dei due impianti funziona secondo il principio adiabatico in quanto in entrambi i casi, in fase di decompressione, l’aria viene riscaldata bruciando gas naturale. L’impiego di energie fossili per fornire calore abbassa il rendimento al 40% (Huntorf) e risp. 52% (McIntosh), inoltre vengono prodotte emissioni di CO2. / BV
Informazioni
Per saperne di più è possibile rivolgersi a Roland Brüniger (roland. brueniger[at]r-brueniger-ag.ch), responsabile del programma di ricerca Tecnologie ed applicazioni dell’elettricità dell’UFE. Altri articoli specialistici su progetti di ricerca, pilota, di dimostrazione e faro in materia di tecnologie dell’elettricità sono disponibili all’indirizzo: www.bfe.admin.ch/ cleantech/05761/05763/05782/index. html?lang=it
Una vasca di calcestruzzo serve da accumulatore termico. (ALACAES)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Ambiente e Benessere
La fine del turismo?
Viaggiatori d’Occidente Da Barcellona a Copenhagen, verso una nuova idea di accoglienza
Città di Italia, ieri e oggi Bussole I nviti a
letture per viaggiare
Claudio Visentin Due notizie si sono intrecciate sui media nei giorni scorsi. La prima è che Barcellona ha vietato la costruzione di nuovi alberghi nel centro storico. Non sarà neppure possibile ampliare quelli esistenti, o anche solo sostituire quelli chiusi; solo in periferia ci sarà ancora spazio per nuovi progetti. Nessuna sorpresa del resto; era proprio con questo programma anti-turistico che il sindaco Ada Colau si era presentata agli elettori. C’è un prezzo da pagare naturalmente. Prima ancora che la decisione fosse presa, due grandi catene internazionali, Hyatt e Four Seasons, hanno cancellato i progetti già avviati a Barcellona per trasferirli altrove; nel mondo globale c’è sempre qualche città che accoglie a braccia aperte gli investitori. Non è neppure certo che il provvedimento raggiunga il suo scopo, dal momento che gli albergatori potrebbero semplicemente installarsi nelle città vicine, da dove è facile raggiungere Barcellona in treno. Le possibili controindicazioni non sono state considerate perché a Barcellona sanno che non c’è più tempo da perdere. Il turismo di massa avanza senza sosta. Lo scorso anno una città con poco più di un milione e mezzo di abitanti ha accolto trenta milioni di visitatori. Sono numeri simili a quelli di Venezia, dove sempre più residenti abbandonano il centro storico, tanto che tra qualche anno la città lagunare potrebbe trasformarsi in una nuova forma di parco a tema, aperto la mattina e poi chiuso la sera, dopo la partenza dell’ultimo ospite. Anche a Barcellona, in dieci anni, molti abitanti sono fuggiti dal centro. I soldi fanno gola (la città incassa dal turismo venticinque milioni di euro al giorno!) ma i prezzi delle case e gli affitti sono alle stelle per la concorrenza dei turisti. Inoltre nei quartieri più famosi – il Barri Gòtic, la Sagrada Familia, la spiaggia di Barceloneta – la vita quotidiana, specie d’estate, è una serie infinita di notti brave lungo le ramblas, con schiamazzi, oscenità e ubriachi. Sempre più spesso alle finestre vengono esposti cartelli contro i turisti. È la fine di un idillio cominciato nel 1991, alla vigilia dei giochi olimpici che segnarono la grande trasformazione di Barcellona. Allora i turisti erano solo un paio di milioni all’anno, poi il loro numero è cresciuto di quindici volte. Per qualche anno la città fu ammirata, invidiata, imitata per quanto possibile in tutta Europa; poi la disillusione.
«I viaggiatori e gli scrittori in viaggio che hanno rivelato al mondo le città italiane con occhi nuovi e diversi – e che quindi ce le hanno fatte, e ce le fanno, “ritrovare” – appartengono a quel genere di personaggi errabondi per i quali il viaggio è un’avventura intellettuale, una ricerca appassionata, un racconto…»
Barcellona, che conta un milione e mezzo di abitanti, ha accolto nel 2016 trenta milioni di visitatori. (Keystone)
Ed eccoci alla seconda notizia. Copenhagen ha presentato il suo piano turistico per i prossimi tre anni, abbracciando una filosofia completamente diversa: la «fine del turismo». Addio per sempre e senza rimpianti a un’industria turistica fortemente standardizzata, isolata dal contesto, che colonizza alcuni quartieri della città contendendoli ai residenti; addio alle visite canoniche nei luoghi da cartolina; addio allo scambio tra guadagni turistici e qualità della vita. È la fine del turismo come l’abbiamo conosciuto, ma non è la fine del mondo. Cosa viene dopo? Il cambiamento è prima di tutto nel modo di pensare. Può sembrare tutto molto astratto, ma se ragioniamo sempre allo stesso modo, se non mettiamo mai in discussione alcuni principi, arriviamo poi sempre agli stessi risultati e soprattutto commettiamo gli stessi errori. Il nuovo modello sposta l’attenzione dai luoghi alle persone. Si parte dai residenti, dal loro modo di vivere la città nel tempo libero. Dopo tutto, anche i cittadini vanno nei ritrovi, visitano
musei e mostre, insomma non sono poi così diversi dai turisti, salvo che dormono a casa loro e non in albergo. Ad essi si affiancano i visitatori, considerati «cittadini temporanei» per tutto il tempo del loro soggiorno, con precisi diritti e doveri. Al posto della tradizionale separazione tra turisti e locali si favoriscono momenti di contatto, di relazione e di condivisione. Non ogni aspetto dev’essere stabilito in dettaglio: una volta decise le regole del gioco, questo può essere lasciato libero di svolgersi. La gerarchia è meno marcata: l’industria turistica non comanda, tutti hanno voce in capitolo quando si tratta di
Gli antichi tesori di Verdabbio Solo su www.azione.ch, l’itinerario proposto da Romano Venziani lungo il sentiero dei massi cuppellari sopra il villaggio del Grigioni italiano, risalenti all’antichità e al Medioevo.
decidere il futuro della destinazione. Alcuni aspetti concreti di questa nuova strategia? Per cominciare il numero di visitatori e la sua continua crescita cessano di essere un dogma. Più importante è invece lavorare su quali turisti si riesce ad attrarre (per esempio dai nuovi mercati) e sulle ricadute determinate dalla loro presenza. I repeat visitor, ovvero quelli che tornano una seconda volta, magari con motivazioni diverse (svago invece di lavoro), sono particolarmente ricercati, perché non affollano le attrazioni principali che già conoscono; inoltre attraverso i social media possono essere ottimi ambasciatori della città. Soprattutto la qualità dell’esperienza è al centro: il nuovo turista non cerca più la fotografia perfetta da portare a casa, ma un’intima connessione con i luoghi. Troppo ottimismo? Forse, ma è comprensibile. Dopo tutto Copenhagen è la capitale del Paese più felice al mondo, secondo il «World Happiness Report 2016», superando la Svizzera, seconda. La Spagna e Barcellona? Solo al 37° posto…
Tra Le città invisibili immaginate da Italo Calvino vi è Maurilia, dove «il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com’era prima». È in questa chiave di controllata nostalgia che Attilio Brilli ha ripercorso le città italiane attraverso le testimonianze letterarie o artistiche dei grandi viaggiatori del passato. La dimensione del tempo aggiunge profondità al viaggio, gli occhi e le parole di chi ci ha preceduto per quelle stesse vie moltiplicano la nostra capacità di vedere. Questo gioco di sguardi è tanto più efficace in Italia, dove anche una cittadina di medie dimensioni è spesso stata orgogliosa capitale di una signoria o di un principato. Soltanto qui, tutte le forme storiche della città sono in mostra sotto il sole del Mediterraneo. Ci sono le metropoli: Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Palermo. Poi città di medie dimensioni, che conservano l’impronta ortogonale romana o il labirinto medievale dei vicoli: Verona, Siena, Pienza, Arezzo, Ravenna, Perugia, Terni, Viterbo, Lecce. L’impronta più profonda della civiltà italiana si è forse stampata nelle città collinari dell’Italia centrale, un miracolo di equilibrio ed eleganza: San Gimignano, Cortona, Assisi, Orvieto, Spoleto, Gubbio, Urbino… Infine le grandi città di mare: Venezia, Genova, Ancona, Siracusa. Ancora Italia, ma già aperte verso altre lingue, altre civiltà, altri mondi.
Bibliografia
Attili Brilli, Il grande racconto delle città italiane, Il Mulino, 2016, pp. 626, € 50.
Multipli di nove
Giochi matematici Curiosità e magie aritmetiche Ennio Peres Uno dei più semplici giochi di magia matematica, può essere effettuato con le seguenti modalità. 1. Scegliete un numero intero di due cifre (ad esempio: 85). 2. Eseguite la somma delle due cifre (8+5 = 13). 3. Sottraete il numero così ottenuto da quello scelto prima (85-13 = 72). 4. Eseguite la somma delle cifre del valore ottenuto (7+2 = 9). 5. Se il risultato ottenuto è composto da una sola cifra (come nel nostro esempio), terminate il procedimento; altrimenti, eseguite anche la somma delle due cifre del nuovo valore ottenuto. 6. A questo punto, indipendentemente dal numero scelto all’inizio, il risultato finale sarà (sorprendentemente…), comunque: 9.
Questo gioco funziona sempre, perché un qualsiasi numero intero N di due cifre, composto da X decine e Y unità, può essere scritto come: N = 10X+Y. Eseguendo le due operazioni richieste, si ottiene, quindi: N–(X+Y) = 10X+Y–X–Y = 9X. Il risultato è, di conseguenza, sempre un multiplo di 9, indipendentemente dal numero di partenza. Per il noto criterio di divisibilità per 9, infatti, la somma delle cifre di un multiplo di 9 è sempre uguale a 9 (o a un multiplo di 9 di minor valore). Molti giochi di magia matematica si basano su questa nota regola aritmetica, che in genere si impara a scuola acriticamente, ma che può essere dimostrata piuttosto semplicemente, effettuando le seguenti considerazioni. Siccome la moltiplicazione è un’ad-
dizione ripetuta, ogni multiplo di 9, si ottiene addizionando 9 al multiplo precedente, come qui di seguito evidenziato. Nx9 = 9+9+9+…+9 N volte Inoltre, dato che: 9 = 10–1, aggiungere 9 a un determinato numero equivale a: – incrementare di 1 il valore delle sue decine; – decrementare di 1 quello delle sue unità. In linea di massima, quindi, rimane immutata la somma delle due relative cifre (dato che: 1–1 = 0). Sullo stesso principio, si basa la seguente sorprendente curiosità aritmetica. 1. Aprite le mani di fronte a voi.
2. Assegnate mentalmente alle dita i valori da 1 a 10. 3. Immaginate di non ricordare più la «tabellina del 9»; ovvero, l’insieme dei risultati delle moltiplicazioni di 9 per i numeri compresi tra l a 10. 4. Per ricavare uno qualsiasi di questi valori non dovete far altro che piegare il dito corrispondente al numero (compreso tra 1 e 10), per cui volete moltiplicare 9: il risultato sarà miracolosamente scritto sulle vostre mani!... Infatti, la quantità di dita che si verranno a trovare a sinistra del dito piegato, rappresenteranno le decine del risultato desiderato e quelle a destra le rispettive unità. 5. Ad esempio, se volete moltiplicare 9 per 4, dovete piegare il 4° dito. A sinistra del dito piegato ci sono 3 dita, mentre a destra ce ne sono 6; quindi, 3 decine e 6 unità (ovvero: 36). In definitiva: 9x4 = 36.
6. Se, adesso, volete calcolare 9 per 8, con lo stesso procedimento, dovete piegare l’8° dito. In questo caso, infatti, ottenete: 7 dita a sinistra e 2 a destra; quindi: 7 decine e 2 unità (ovvero: 72). In definitiva: 9x8 = 72. Spiegazione del trucco
Per quanto esposto in precedenza, questo metodo funziona perché, procedendo da sinistra verso destra, ogni volta che si piega un nuovo dito, rispetto alla situazione precedente si elimina un’unità e si aggiunge una decina. La seguente tabella dovrebbe chiarire tale affermazione.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Ambiente e Benessere
Budino di semolino al miele di castagno con prugne
Migusto La ricetta della settimana
Dessert Ingredienti per 4 persone: 6,5 dl di latte · 1 presa di sale · 3 cucchiai di miele di castagno · 80 g di semolino di grano duro · 0,8 dl di panna intera · 1 cucchiaio di burro · 400 g di prugne surgelate, scongelate · 4 cucchiai di zucchero · 0,5 dl d’acqua.
migusto.migros.ch/it/ricette
1. Portate a ebollizione il latte con il sale e il miele. Versate il semolino e fatelo
Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
cuocere a fuoco basso per circa 10 minuti mescolando di tanto in tanto finché si addensa. Allontanate la pentola dal fuoco. Lasciate intiepidire il semolino. Montate la panna ben ferma e incorporatela al semolino raffreddato. Sciacquate gli stampi con acqua fredda. Distribuite il semolino negli stampi e livellatelo. Copriteli e metteteli in frigo per circa 2 ore. 2. Nel frattempo, fate fondere il burro in un pentolino. Unite le prugne e lo zucchero e fate stufare brevemente. Bagnate con l’acqua, lasciate sobbollire semicoperto per circa 5 minuti finché il liquido diventa sciropposo. 3. Al momento di servire, staccate i budini di semolino dagli stampi con un coltello. Capovolgeteli sui piatti e a piacere serviteli con le prugne calde o fredde. Preparazione: circa 45 minuti + raffreddamento circa 2 ore. Per persona: circa 6 g di proteine, 10 g di grassi, 31 g di carboidrati,
1000 kJ/240 kcal.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08 22 24
Mosaico ecuadoriano
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Desidero prenotare il viaggio in Ecuador:
(N. 6 - Cina nord orientale)
in collaborazione con «Azione»
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Sud America e del mercato indigeno di Otavalo, con tre giorni13nella natura rigogliosa della foresta Amazzonica. 18 19 Parco Nazionale Poi visita al maestoso del Cotopaxi, e un tragitto a bordo del caratteristico 21 trenino delle Ande, fino a raggiungere via terra la bella città di 23 si viaggia in direzione 24 Cuenca, da dove di Guayaquil attraversando il magnifico Parco Nazionale Cajas.26
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C’è poi la possibilità di estendere 25 il Parco Mail soggiorno per visitare rino delle Isole Galapagos. Un arcipelago che sorge a 27 1000 km dalla costa
Il programma di viaggio Sabato 13 maggio Partenza: Ticino – Milano – Quito Domenica 14 maggio Da Quito a Otavalo Lunedì 15 maggio Visita di Otavalo Martedì 16 maggio Viaggio Cotacachi – Otavalo – Quitsato – Amazzonia Mercoledì 17 maggio Giornata in Amazzonia
Martedì 23 maggio (N. 7 - Le causeGuayaquil le vince chi non le fa) (estensione per le Galapagos*)
Giovedì 18 maggio Viaggio Amazzonia – Puyo – Banos – Chimborazo – Riobamba 1 2 3 4 5 Venerdì 19 maggio Visita di Riobamba 10 Sabato 20 maggio Riobamba – Alausi – Ingapirca – Cuenca Domenica 2112maggio Visita di Cuenca 14 15 Lunedì 22 maggio Cuenca – Parco El Cajas – Guayaquil
Bellinzona
Lugano
Viale Stazione 8a 6500 – Bellinzona T +41 91 820 25 25 bellinzona@hotelplan.ch
Via Pietro Peri 6 6900 – Lugano T +41 91 910 47 27 lugano@hotelplan.ch
Giochi
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R I M E A C I O Telefono T O L e-mail A N T I Sarò accompagnato A P Eda … adulti Località
e … bambini (2-12 anni)
☐ Con Estensione Galapagos.
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VERTICALI 1. Affluente del Danubio 2. Nobili etiopi 3. Le iniziali del musicista Pizzetti 4. Grande uccello dalle lunghe zampe 5. Saluto spagnolo 6. Prima moglie di Giacobbe 7. L’attrice americana Derek 8. Crea tante espressioni 11. Durano millenni 12. Un senso 14. Primo mese del calendario romano 15. Preposizione articolata 16. Più bassi delle colline 17. Un drappo in premio 18. Convalida il documento 20. Dunque, quindi 21. Ricolmo 22. Organi di sostegno
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26. È ripetitivo 26 27. Pronome personale 27 29. Unione Italiana del Lavoro 30. Fiume svizzero 32. Astro al tramonto in salotto (N. 33. 7 - Fuma Le cause le vince chi non le fa)
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Vincitori del concorso Cruciverba 18 su «Azione 06», del 6.2.2017
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Vincitori del concorso Sudoku 23 su «Azione 06», del 6.2.2017 A. Bernardoni, B. Moro
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N. 41 FACILE 6 8 4Schema 5 2 1 3
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F O R 6 Z 5 I G Z9 E9 SRT G I N 4 O2I E R 7ADIFFICILE N O N N. P NM7 RI E4 D1 O S P 9AT O5 MRI O 8 A S I 3 O E N T S E 7OC
(N. 6 - Cina nord orientale) 1
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E E G T R I D I O 8 5 3 C I E R I T I L T Sudoku P R I M O A N. 6 MEDIO A L A T A C E R E O Soluzione: 5 O T N EE 8D R R i 3Anumeri P 6Z 2 Scoprire 7 3 4 Z A corretti da inse- T A N A U caselle S 7O RM36 AC RR I IC rire nelle 8 3 colorate. T PM AA T RE RE I OE
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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ORIZZONTALI 1. Riceve l’oro 5. Un «inizio» figurato 9. Genere musicale degli anni 80 10. Noia, fastidio 12. La precedono a tavola 13. Le iniziali dello scrittore Saba 14. Fu una madre modello 15. Niente per Cicerone 16. Copri costume 17. È di fronte a Buda... 18. Il 38° presidente USA 19. Affollato dai tifosi 21. Un punto di cucito 23. Pronome 24. Dunque, perciò 25. Cavità superiore del cuore 28. Piccola e Media Impresa 29. Incomparabile 30. Le iniziali dell’attore Gassman 31. Le iniziali del regista Avati 32. Spirali di capelli 33. Il dei tali... 34. Sono infiniti nel Creato 35. Gravami
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Prezzi L E C I T A M U S E 11 Prezzo per persona in camera doppia: e ritorno da Guayaquil, in classe * Estensione Galapagos: le isole incantate. A 4056.–. S O L A B per EQuitoN I N in loco 23-26 maggio, itinerario: Guayaquil – CHF economica; tutti i trasferimenti 13 Supplemento camera singola: con bus, in barca e in treno; guida locale Baltra – Cratere Gemelos – Santa Cruz V 515.–I / Spese S diO N O cheDparlaO N in hotel CHF dossier Hotelplan: italiano; sistemazione – Puerto Ayora – Bartolome – Santa 16– Stazione Fe – Seymour – Tortuga Bay CHF 60.–. 3***/4****, in camera doppia con servizi A L Galapagos: A C E C privati; I trattamento Hdi pensione I completa Charles Darwin – Guayaquil. Estensione 17 18 Prezzo a partire da CHF 2900.– per dal secondo giorno al pranzo dell’ultimo; T EdisponibilitàG I O C tasse Oe percentuali N Ddi servizio; O carta regalo persona, su richiesta! SUDOKU PER AZIONE - GENNAIO/FEBBRAIO 2017 19 (Tassa d’ingresso alla Galapagos USD Migros del valore di CHF 50.– a camera. Sul sito web R N O N N I 140N. p.p.5ca.) FACILE www.azione.ch/concorsi 20 21 Lugano La quota non comprende Schema Soluzione » lan telp Ho iz continua il «Qu Via Emilio Bossi 1 I R I D E A La quota comprende Pasti e bevande ove non menzionati; 7 8 2 7 5 9 1 8 4 6 2 3 In palio buoni viaggio 22 23 6900 – Lugano Trasferta in bus all’aeroporto di Milano e facchinaggio; mance ed extra in genere; Giochi per “Azione” Gennaio bis 2017 da 100.– franchi. 1 di2linea da Milano 8 4 3 1 2 6 9 5 8 7 4 T +41 91 913 84 80 ritorno; volo (con scalo) spese agenzia. C I L E F T Stefania Sargentini Buona fortuna! 7 2 1 8 4 6 3 7 2 5 1 9 24 lugano-viabossi@hotelplan.ch E5 S O T3 I C A 6 5 6 8 7 1 3 9 4 2 (N. 5 - Circa sette metri di altezza) A 3 6 1 SUDOKU 9 3 2 4 6 7 PER 5 8 Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba 4 2 7 8 5 9 1 3 6 C 4I R 7A 8N 5O 9 C 3A 6S E e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku 2 7 1 9 3 8 4 6 5 (N. 8 Prima avevo il tre e ora il trentasei) I T E R T E 4A 6 T M 1
«Carlo, non sai cosa mi è successo, ero alla posta e una bellissima ragazza mi guardava con insistenza poi si è avvicinata e mi ha chiesto il numero!...» Scopri il resto della frase leggendo a cruciverba risolto le lettere evidenziate. (Frase: 5, 5, 2, 3, 1, 3, 2, 9)
trimonio naturale dell’umanità, offre l’opportunità di andare alla scoperta della fauna che popola il isole dell’arcipelago.
Cognome
Mercoledì 24 maggio 6 9 Ritorno: Guayaquil –7Milano8– Ticino
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Cruciverba
C E S T I N I A R A N O N M O N R E D I S T O M I L O A S I L E N T E C dell’Ecuador: è un paradiso naturale E S C A L A unico nel mondo e fu d’ispirazione a Charles R ODarwin I per l’elaborazione V O L della Teoria dell’evoluzione della specie. IProtetto dall’UNESCO A R I quale S Pa-A David Torres Costales
Hotelplan Viaggio di gruppo
L’Ecuador è un Paese piccolo ma molto vario (è il quarto Paese al mondo per biodiversità): questo itinerario consente di unire sia gli aspetti paesaggistici che culturali di due regioni molto diverse, il tutto percorrendo brevi distanze e senza bisogno di alcun volo interno. Un viaggio straordinario alla scoperta della più bella capitale andina del
Z T A O R M A
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C E R E O 19 O N E R Ambiente N A Ze Benessere A C R I C Tagliando T diEprenotazione R I E
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L B A V 8 3 I 4O1 91 2V6 O 8 7 3 4 1 5 6 7A 21869 N56 78 I 95 L34 12 P E S T 5 4 7 3 2 1 9 3 6 1 6 5 P 3A 2 L8 9T 7 O 8 7 4 2E 6L93 L2 5A3 7 5 4 1 3 9 8 15 6 4 E 2 9 7 R 9I 8 O C 3O2 7 6A4 G 4 1 9 1I 1 9 T44 5A8 L7 3 6 8 5 9 2 3 1 O 2N4 E6 1R7 8I 5
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Politica e Economia Una visita sgradita L’invito della premier britannica a Trump provoca proteste di piazza e in parlamento pagina 24
La Rocca contesa Dopo il netto No alla Brexit espresso dagli abitanti dell’enclave britannica, la Spagna vorrebbe riappropriarsi di Gibilterra
La sfida delle vendite online Nel medio-lungo termine non è da escludere un effetto di saturazione dovuto alle troppe opportunità
Non più un paradiso fiscale La Svizzera ha ormai un carico fiscale paragonabile a molti paesi europei
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Il presidente Maduro a una commemorazione militare, il 1. febbraio 2017 a Caracas. (Keystone)
L’ombra di Trump e l’ombrello di Putin Venezuela Quale politica adotterà la nuova Amministrazione americana nei confronti del regime di Caracas,
alleato di Cuba? Il presidente USA potrebbe coinvolgere il presidente russo per sbloccare una situazione ferma da anni Angela Nocioni Con Donald Trump alla Casa Bianca, cosa succederà in Venezuela? Se il neopresidente statunitense è determinato a far saltare tutti gli accordi con Cuba presi nella lunga e difficile mediazione tra l’ex Amministrazione Obama e il presidente cubano Raùl Castro, disgelo diplomatico compreso, cosa accadrà nel Venezuela chavista? A Caracas la trattativa tessuta da Washington per scongiurare la guerra aperta tra i chavisti del presidente Maduro e gli antichavisti all’opposizione era, prima del risultato delle presidenziali americane, ottimamente avviata con l’aiuto prezioso della «diplomazia hollywoodiana di Chàvez». Ora che il presidente degli Stati uniti è Trump, difficile immaginare l’attore Sean Penn o il regista Oliver Stone, entrambi appassionati della causa chavista, in missione politica a Caracas per conto, anche se informalmente, della Casa Bianca. L’elezione di Trump sbarra la strada percorsa finora dagli sherpa di Obama, ma non è detto che non ne possa
aprire un’altra. Chissà, per esempio, che Trump non decida di fare un regalo al presidente russo Putin. Se decidesse di offrire un ruolo di triangolatore al suo amico Putin, che a Caracas ha da curare interessi russi pubblici e privati (46 miliardi di dollari già investiti solo nel petrolio, per esempio) e se Putin decidesse di giocarselo per guadagnarsi l’aureola di buon mediatore internazionale, Trump potrebbe anche ritrovarsi a trionfare laddove la molto bene intenzionata diplomazia di Obama ha fallito. Potrebbe ritrovarsi in mano la soluzione per una transazione non violenta verso un equilibrio politico venezuelano post Chàvez. Perché Trump dovrebbe occuparsi di Caracas? Perché alla Casa Bianca la parola Venezuela vuol dire tre cose: petrolio, interessi russi e voti in Florida. Senza sporcarsi le mani Trump potrebbe usare Putin, facendolo contento, e sparigliare le carte. L’unica volta che Trump si è riferito al Venezuela è stato durante un atto di campagna elettorale a Miami. Ne ha parlato come di «un paese bello, vibrante e meraviglioso» in cui vive «un
grande popolo terribilmente ferito dai socialisti». E fin qui, tutto secondo il tradizionale copione del candidato americano alla presidenza che quando parla a Miami non può permettersi nessuna concessione nei confronti di Cuba e del Venezuela senza perdere il prezioso voto della gran parte degli immigrati cubani, ai quali negli ultimi dieci anni si sono aggiunti, in numero crescente, molti venezuelani. I capitali russi in Venezuela sono cresciuti molto discretamente dopo l’arrivo di Chàvez al potere nel 1998. C’è denaro russo ovunque. Dal 2008 esiste un consorzio di imprese petrolifere russe (Rosneft, Lukoil, Gazprom Neft, Tkk-Bp e Surgutneftegaz) per fare affari in Venezuela. Dal 2010 il consorzio ha creato «Petromiranda», una joint venture dal capitale per il 40% russo e per il 60% venezuelano, per utilizzare l’area petrolifera Junin 6. Il consorzio l’ha creato Igor Sechin, ex Kgb, direttore dell’impresa statale russa Rosneft. Spedito da Putin ai funerali di Chàvez insieme a Serguéi Chémezóv, altro veterano del Kgb, direttore della corporazione russa Rostechnologia per l’espor-
tazione della tecnologia militare russa. Interlocutore interessante per Putin, nel dossier venezuelano, potrebbe essere Rex Tillerson, il nuovo Segretario di stato statunitense. Tillerson, prima della chiamata di Trump, era l’amministratore delegato della ExxonMobil. Prima di cambiare assetto, nel 1972, la Exxon era la Standard Oil del New Jersey. A Caracas operava attraverso una filiale locale, la Creole Petroleum Corporation, nazionalizzata nel 1976. Quando, vent’anni dopo, il Venezuela decide la apertura petrolera e permette così il ritorno delle compagnie straniere, torna anche la Standard Oil che nel frattempo è diventata ExxonMobil e punta alla riserva di petrolio più grande del mondo, quella della fascia del fiume Orinoco. Nel 2007 l’allora presidente Hugo Chàvez decide di permettere l’estrazione in Venezuela solo alle compagnie che accettano di formare imprese miste con lo Stato venezuelano, che deve mantenere almeno il 51% del capitale. Accettano tutte le società presenti, tranne la Conoco-Phillips e la ExxonMobile che ricorrono a giudizi
internazionali. Exxon chiede un indennizzo di 10 miliardi di dollari. Ne ottiene uno da un miliardo di dollari. Al di là della retorica da comizio, Caracas non può rompere con gli Usa. Non sopravviverebbe. Petroleo de Venezuela, Pdvsa, l’impresa pubblica del petrolio venezuelano che è proprietaria in terreno statunitense di una grande impresa (ipotecata), la Citgo, e di alcune raffinerie, non può perdere il mercato americano. Anche perché i suoi altri grandi contratti di fornitura non le garantiscono contanti. Le principali forniture venezuelane sono per la Cina, che da anni non dà un dollaro in cambio del petrolio che riceve in virtù di accordi stipulati per vecchie aperture linee di credito ripagate in petrolio futuro. Inoltre, i partner politici dell’era della petrodiplomazia di Hugo Chàvez (Cuba ed altri partner dell’accordo Petrocaribe) ricevono petrolio a prezzi di favore e quindi pagano molto poco e molto tardi. Paradossalmente venti anni di rivoluzione chavista hanno reso il Venezuela molto più dipendente di prima dagli Stati Uniti.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Politica e Economia
Scetticismo britannico
Relazioni Gran Bretagna-USA L’invito di Theresa May a Donald Trump per una visita
di Stato divide i britannici, ma la premier deve trovare un’intesa con il presidente americano se vuole portare il Regno Unito fuori dall’Unione europea nel migliore dei modi Cristina Marconi Danzare sulle uova cercando di dare un’immagine di sicurezza. Da quando Donald Trump è stato eletto alla Casa Bianca, la premier britannica Theresa May non fa altro, perché dal successo di quella danza dipende la possibilità di affrontare da una posizione di relativa forza la missione più difficile della carriera dell’inquilina di Downing Street, ossia portare il Regno Unito fuori dall’Unione europea senza sfasciarlo e senza perdere di vista le elezioni del 2020. Ci sta mettendo una determinazione di ferro, la May, ad evitare di entrare in rotta di collisione con Trump e a trattarlo come se fosse un presidente come tutti gli altri – «a volte gli opposti si attraggono», ha commentato diplomatica prima di incontrarlo – mantenendo le critiche ad un volume bassissimo pur cercando di non dare all’opinione pubblica britannica un’immagine servile e devota, che la danneggerebbe molto. La «special relationship» che da sempre lega il Regno Unito con la Gran Bretagna è più cruciale che mai, perché nonostante tutti i proclami della May sull’intenzione di creare una «Britannia globale», il paese va ad isolarsi dai suoi vicini di casa e ha bisogno urgente di alternative, individuate in una generica idea di «anglosfera». Ma sebbene Trump abbia il vantaggio di non essere dogmatico e di essere entusiasta della Brexit, è anche imprevedibile e, quel che è peggio, avverso a molte di quelle idee che, come il libero commercio, per la May sono vere e proprie urgenze. Il successore di Barack Obama l’ha tenuta sulle spine: non l’ha chiamata subito dopo la vittoria elettorale e ha dato uno spazio sproporzionato all’ex leader di Ukip Nigel Farage, che è stato a lungo una spina nel fianco per gli inquilini di Downing Street, anche se per ora il disturbo si era limitato alla politica interna. Poi si è fatto intervistare da un nemico giurato della May come Michael Gove in una stanza in cui era presente anche il tycoon Rupert Murdoch. Come spiegato da Jonathan Freedland del «Guardian», la premier britannica era nella posizione di chi vuole comprare casa «perché ha già venduto la sua e non sa dove vivere e Trump, l’agente immobiliare, lo sa». Altri fanno presente come agli occhi di un uomo come il nuovo presidente americano le prove di forza abbiano sempre un certo prestigio: cercando di lusingarlo fin dall’inizio, la May si sarebbe dimostrata troppo debole. Ma la politica conservatrice non ha paura di farsi sottovalutare e visto il compito che la storia le ha riservato – essere una politica mainstream non eletta nel suo ruolo che deve gestire le conseguenze di un voto aizzato dal populismo in un contesto globale di crescente populismo – c’è da essere certi che continuerà sulla sua linea di estrema cautela ancora a lungo. La situazione è stata poi parzialmente corretta e a fine
In una Londra già in tensione per la Brexit, l’invito a Donald Trump ha provocato numerose proteste. (Keystone)
gennaio la May è volata a Washington forte di un regalo simbolico come un quaich, una coppa dell’amicizia della tradizione scozzese, e del consiglio che le aveva dato Obama, ossia di creare un legame forte con Trump per cercare di moderarlo. Il problema è che nel fiero Regno Unito ancora scosso dalla Brexit, non tutti sono d’accordo a fare amicizia con Trump. L’invito della May per una visita di Stato con tutti gli onori, giunto molto prima di quello rivolto in passato agli altri leader americani, ha suscitato una pioggia di proteste, a partire da una petizione sul sito del governo per risparmiare alla regina l’imbarazzo di una visita che in pochi giorni ha raccolto 1,8 milioni di firme. La May l’ha respinta formalmente, prendendo atto del «punto di vista forte espresso» ma sottolineando come a Trump verrà esteso «il pieno onore di una visita di Stato» le cui modalità sono ancora in corso di esame. «Non vediamo l’ora di dare il benvenuto al presidente», si legge nella nota. La visita di Stato, che si svolgerà entro l’anno, verrà discussa la settimana prossima in parlamento, dove lo speaker, John Bercow, è finito al centro di un tornado di polemiche per essere venuto meno all’imparzialità richiesta dal suo ruolo dicendo che Trump non dovrà essere invitato a parlare a Westminster per via del suo «razzismo e sessismo». Mentre Bercow deve vedersela con le richieste di dimissioni, la soluzione diplomatica sarebbe quella di fare in modo che la visita avvenga in un periodo in cui il Parlamento non si riunisce,
per evitare le inevitabili proteste che, al di là delle parole di Bercow, non mancherebbero. Per questo l’estate o la metà di settembre, quando inizia il mese di «recess» per le conferenze di partito, potrebbero essere le date più indicate. L’altro aspetto rilevante riguarda il luogo. L’intenzione sarebbe quella di tenere Trump il più possibile lontano da Londra, dove ci sarebbero inevitabili manifestazioni, e facendo leva sui legami del presidente con la Scozia – sua madre era nata lì nel 1912 – si starebbe pensando ad una visita a Balmoral, la residenza scozzese della regina. In queste settimane la stampa britannica si sta interrogando in maniera quasi ossessiva sulla «special relationship» tra il paese e gli Stati Uniti: è ancora viva, ha ancora senso parlarne? L’immagine è stata coniata da Winston Churchill nel 1946, ha raggiunto il
massimo splendore ai tempi di Maggie Thatcher e di Ronald Reagan e ha perso molto smalto quando ha portato Tony Blair a seguire George W. Bush nella disgraziata avventura irachena. «Normalmente mi accorgo molto presto se andrò d’accordo con qualcuno, e con te penso che avremo un buon rapporto», ha detto Trump nel corso della conferenza stampa congiunta a Washington al termine della visita della May, ma come notano gli analisti, al di là delle buone intenzioni con Trump i problemi sono due: da una parte non è una persona in grado di collaborare e di fare gioco di squadra, dall’altra tende a cambiare il suo approccio e il suo umore molto repentinamente. Inoltre, al di là dei sorrisi e delle strette di mano, ci sono due nodi veri. Il primo è il commercio, su cui la May ha bisogno di rassicurazioni, mentre il secondo sono la morbidezza verso la Russia e gli attacchi alla Nato. Al termine della visita negli Stati Uniti, la premier è tornata a casa con una promessa di accordo commerciale da stringere appena il paese avrà lasciato la Ue, nel 2019. I primi passi potrebbero riguardare i costi di roaming, il riconoscimento delle qualifiche professionali, la riduzione della burocrazia e la rimozione di barriere non tariffarie che impediscono l’esportazione di alcuni prodotti agricoli e alimentari britannici. Molto poco, ma un inizio. Tra un’opinione pubblica che vede Trump come il fumo negli occhi e John Bercow che non vuole aprire le porte di Westminster, c’è un’altra persona a non essere troppo convinta della visita: la regina. Da Buckingham Palace è giunto un distante borbottio che non va interpretato come un rifiuto ma più, forse, come un vezzoso modo per non mostrarsi troppo accondiscendente verso un leader che più controverso non si potrebbe. Anche se narrano le cronache che Elisabetta II una volta si sia nascosta tra le siepi di Buckingham Palace per evitare di incontrare il dittatore romeno Nicolae Ceausescu, a palazzo sono passati personaggi come Robert Mugabe, leader discussi di paesi sicuramente meno influenti degli Stati Uniti. Per la ragion di Stato si fa questo e altro, ma sempre mantenendo le dovute distanze.
Un’insolita carovana dell’amore Fotoreportage online Il pianista nomade Marc Vella porta la sua musica in sperduti villaggi del sud del mondo per trasmettere un messaggio di fratellanza e pace. Con il suo pianoforte a coda improvvisa concerti nei luoghi più sperduti del mondo, in 25 anni ha percorso 200mila chilometri e incontrato le popolazioni di 40 paesi. Didier Ruef l’ha incontrato in Etiopia: trovate il suo reportage su www.azione.ch.
Fra i libri di Paolo A. Dossena Manlio Graziani, In Rome we trust, il Mulino, 2016, pp. 243 Quella del metodista George W. Bush è stata in realtà la «prima vera presidenza cattolica» degli Stati Uniti; e Bush è stato «il primo presidente cattolico degli Stati Uniti, di sicuro più del cattolico Kennedy». Come mai? George W. Bush ha adottato il principio della sussidiarietà, si è scelto come precettore padre Neuhaus (prete cattolico ed ex pastore luterano), si è circondato di cattolici conservatori (cui ha assegnato ruoli chiave), ha messo un doppio veto alla legge sulla ricerca sulle cellule staminali, ha promesso obbedienza ai vescovi cattolici ed è quindi un «cattolico latente». Eppure, i non facili rapporti tra la Chiesa di Roma e gli USA, rimasero tesi anche durante la presidenza Bush. Il libro di Manlio Graziani racconta la storia delle relazioni tra Chiesa romana e Stati Uniti partendo dall’inizio. Roma aveva preso posizione contro la rivoluzione francese a causa delle pretese universaliste del nuovo regime di Parigi. Le era tuttavia sfuggito che la stessa pretesa era esplicita anche nella rivoluzione americana. Di questa vocazione universalista statunitense, la Chiesa si accorse solo dopo la prima guerra mondiale, con i 14 punti di Woodrow Wilson, incorporati nei trattati di pace. I rapporti peggiorarono con l’avvento a Washington di Franklin Delano Roosevet, che nel 1933 stabilì relazioni diplomatiche con l’URSS, paese per il quale sembra avere delle simpatie. Altro grave fattore di frizione tra Chiesa cattolica e Stati Uniti: la nascita di Israele. Immediatamente dopo Papa Pio XII pubblica tre encicliche, citando i campi di concentramento per arabi e definendo il sionismo «un novello nazismo». Anche durante la guerra fredda, USA e Vaticano hanno strategie diverse (il secondo assume una posizione critica verso la nascente NATO e più tardi addirittura «terzomondista», opponendosi anche alla guerra in Vietnam). Si tratta anche di un conflitto di civiltà: per Pio XII il materialismo dello stile di vita americano è appena migliore del materialismo teorico sovietico. Finita la guerra fredda, la convergenza tra cattolici e l’America di George W. Bush è annullata dall’invasione statunitense dell’Irak del 2003. La Chiesa si oppone all’invasione fin dal 2002. Le previsioni cattoliche si avverano: dopo la guerra irachena esplode la violenza settaria e i cattolici (che erano un milione e mezzo negli anni Ottanta) sono massacrati. Dopo la guerra del 2003 il loro numero scende a una cifra oscillante tra i 450’000 e i 200’000. Qual è il futuro dei rapporti tra America e cattolici? Forse la risposta è nella demografia. L’effetto combinato dei tassi di natalità, dell’immigrazione e delle conversioni potrebbe portare i cattolici a superare i protestanti nella seconda metà di questo secolo. Questo è uno dei fattori della cattolicizzazione in atto negli Stati Uniti. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Politica e Economia
La Rocca contesa
Gibilterra La Spagna vuole approfittare del massiccio voto contro la Brexit espresso dai cittadini dell’enclave
britannica per ottenere dapprima una condivisione di sovranità e poi il ritorno di Gibilterra alla Spagna, ma Londra si oppone fermamente, anche in virtù della più volte ribadita volontà dei suoi abitanti di restare nel Regno Unito
Alfredo Venturi Si narra che fino a quando sarà popolata di scimmie, Gibilterra continuerà a essere britannica. Al momento la britishness della penisoletta sulla punta meridionale della Spagna, cementata da più di tre secoli di storia, sembra assicurata, visto che secondo l’ultimo censimento i macachi di Barberia registrati nel territorio, l’unica presenza di primati allo stato selvaggio nel continente europeo, sono circa 230, con una densità di 33 esemplari per chilometro quadrato. Forse non sarebbero così tanti se Sir Winston Churchill non avesse preso molto sul serio l’antica leggenda: nel 1944 lo colpì profondamente, arrivando a distrarre il primo ministro dai gravosi impegni della guerra, la notizia che la popolazione scimmiesca di Gibilterra era minacciata di estinzione. Invitò dunque il governatore a provvedere, e lui eseguì l’ordine importando decine di animali dalle montagne dell’Atlante marocchino. Così i macachi continuano a circolare indisturbati, presi di mira dagli obiettivi dei turisti, in quel frammento continentale d’Inghilterra: il mito sembra garantire che sulla Rocca continuerà a sventolare la Union Jack. Eppure qualcosa è cambiato da quando i cittadini di Sua Maestà hanno imboccato la strada tortuosa della Brexit. Contro la maggioranza che ha voluto il leave, l’uscita dall’Unione Europea, gli elettori di alcune parti del Regno Unito, come la Scozia o l’Irlanda del Nord, hanno invece espresso il desiderio di rimanere legati alle istituzioni di Bruxelles. Tanto che in Scozia si rilancia proprio per questo il sogno indipendentista. Ma tocca ai cittadini di Gibilterra il primato assoluto fra i fautori del remain, addirittura il 96 per cento, con una partecipazione al voto dell’84 per cento. Il dato rende manifesta una semplice analisi e un timore assai radicato sotto la Rocca: se la breve linea di confine che separa Gibilterra dall’Andalusia dovesse perdere la permeabilità fin qui assicurata dall’essere una frontiera interna dell’Unione Europea, l’economia del territorio, che vive praticamente di mobilità, andrebbe a rotoli.
Il flusso dei lavoratori verso Gibilterra è di vitale importanza: rappresenta la metà dell’intera forza-lavoro Non a caso all’indomani del voto britannico il governo di Madrid ha messo le mani avanti. Secondo il ministro degli esteri José Manuel Garcia Margallo la Brexit apre uno scenario nuovo, facendo avvicinare il momento in cui la bandiera spagnola sarà issata sulla Rocca. Margallo immagina due tappe: dapprima una condivisione di sovranità fra Spagna e Gran Bretagna quindi, in prospettiva, il ritorno del territorio alla Spagna. Immediata la reazione inglese: ma quale sovranità condivisa, tuona il ministro degli esteri Boris Johnson. Il pirotecnico capo della diplomazia inglese assicura che contro ogni proposta
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Gibilterra vive principalmente di servizi finanziari, turismo e giochi d’azzardo. (Keystone)
di cambiamento dello status di Gibilterra ci sarà una resistenza «implacabile, marmorea, rocciosa». Quanto a Fabian Picardo, che come chief minister gestisce l’autonomia di Gibilterra accanto al governatore Ed Davis che invece rappresenta l’autorità di Londra, auspica una Brexit non proprio hard come l’ha prefigurata la premier Theresa May. Solo così il territorio potrebbe conservare i vantaggi che finora le ha garantito l’appartenenza, con regime speciale, all’Unione Europea. Secondo Picardo il voto massiccio per restare in Europa esprime sì uno speciale attaccamento all’Unione, ma soprattutto il timore delle reazioni spagnole in caso di uscita. Infatti, dice Picardo, ciò che a Londra si chiama «immigrazione incontrollata per noi è un flusso vitale di lavoratori». Si tratta di cittadini spagnoli o di altri Paesi europei che ogni giorno varcano il confine per lavorare nelle imprese della Rocca. Sono circa seimila, metà dell’intera forza-lavoro. Se il flusso dovesse interrompersi, l’economia del territorio sarebbe compromessa. È un’economia che vive di turismo, giochi d’azzardo e scommesse online e soprattutto servizi finanziari, offerti da una pletora di istituti bancari e assicurativi. Da quelle parti si ricorda molto bene ciò che accadde nel 1969, nella fase terminale della dittatura franchista, quando la Spagna bloccò il confine per riaprirlo del tutto soltanto nel 1985, alla vigilia dell’adesione di Madrid alla Comunità economica europea. Le ripercussioni sull’economia furono pesantissime. Nonostante questo precedente il chief minister si dice fiducioso:
«Non posso credere che in pieno Ventunesimo secolo un governo democratico spagnolo possa chiuderci la porta in faccia solo perché la Gran Bretagna esce dall’Unione Europea». Ma secondo Madrid il solo modo per tutelare i vantaggi del territorio, dopo che il Regno Unito avrà lasciato l’Unione, sarà la sovranità condivisa di cui parla il ministro degli esteri Margallo e che Londra sdegnosamente respinge. L’atteggiamento britannico nei confronti del suo gioiellino territoriale, meno di sette chilometri quadrati, si basa sul principio dell’autodeterminazione. La popolazione di Gibilterra, 33mila abitanti, si sente tenacemente britannica. Lo ha dimostrato in un referendum nel 1967, pronunciandosi a schiacciante maggioranza per la permanenza nel Regno Unito. Lo ha confermato nel 2002, quando in un nuovo referendum il 98 per cento dei cittadini respinse la proposta di sovranità condivisa oggi rilanciata dal governo di Madrid. E una volta ancora nel 2013, quando si celebrarono entusiasticamente i tre secoli del legame con la Gran Bretagna. Gibilterra era stata infatti assegnata a Londra nel 1713, nel quadro di quel Trattato di Utrecht che concluse la «Guerra di successione spagnola». Secondo l’interpretazione madrilena a segnare il destino della Rocca fu il carente spirito nazionale di Filippo V, il primo sovrano borbonico di Spagna, il re straniero, che grazie a quel trattato ebbe il riconoscimento internazionale. Pur di regnare incontrastato, accettò di sacrificare Gibilterra. Nella visione di Londra quel pezzetto di continente europeo ha sempre
avuto un profondo significato. La Rocca che si staglia imponente sul mare delle Colonne d’Ercole era una sentinella sulla porta occidentale del Mediterraneo, una base navale e un’arcigna fortezza, simbolo e pilastro fra i tanti della potenza imperiale britannica. Durante la seconda guerra mondiale, Gibilterra fu con Malta e Alessandria uno dei capisaldi della strategia alleata per il contenimento delle forze dell’Asse sul fronte europeo meridionale. Attaccato dalle forze aeree della Francia di Vichy, il porto fu ripetutamente nel mirino dei bombardieri e degli incursori di marina italiani. La rilevanza strategica del luogo era tale da indurre gli stati maggiori dell’Asse a pianificarne l’invasione: ma poiché bisognava passare attraverso il territorio spagnolo Francisco Franco, amico di Roma e Berlino ma risolutamente neutrale, si oppose e non se ne fece nulla. Tutto questo esaltò la fedeltà degli abitanti di Gibilterra alla corona inglese, tanto che nel 1981 fu loro riconosciuta la piena cittadinanza britannica. Non sembra che la discordanza a proposito della permanenza o meno nell’Unione Europea abbia scalfito questo sentimento di fondo. La gente di Gibilterra vuole conservare i vantaggi del patto con l’Unione, a cominciare dalla permeabilità del confine al transito dei lavoratori che risiedono dall’altra parte, ma non per questo intende sottrarsi alla sovranità di Londra. Quanto alla Spagna, vorrebbe includere la questione nel difficile negoziato dell’Unione con il Regno Unito per concordare le modalità del disimpegno. Si vorrebbero condizionare le eventuali conces-
sioni a Londra a un atteggiamento più morbido degli inglesi a proposito di Gibilterra. La manovra di Madrid ha provocato una certa irritazione nelle altre capitali europee: gli spagnoli, si dice nei palazzi di Bruxelles, non possono sfruttare una questione delicata come la Brexit per riaprire una disputa d’altri tempi. Anche perché dal punto di vista degli interessati qualsiasi richiesta di cedimento ai negoziatori britannici andrebbe contro la loro identità di cittadini oltremare del Regno Unito. Del resto chi è senza peccato, ammesso che di questo si tratti, scagli la prima pietra. Che cosa direbbe Madrid se il governo marocchino pretendesse una sovranità condivisa su Ceuta, che sta proprio di fronte a Gibilterra, e Melilla, le due enclave spagnole lungo la costa mediterranea del Paese nordafricano? In realtà Rabat non pensa affatto alla condivisione: la sua è una rivendicazione pura e semplice dei due territori, protetti da munitissime recinzioni e da strisce di terra di nessuno volte a bloccare i migranti africani protesi verso quei frammenti d’Europa sul margine del continente nero. Non è facile ritoccare le suddivisioni lasciate dalla storia. In Africa per esempio la maggior parte dei confini fra gli Stati non fa che riprodurre le antiche frontiere coloniali. Se proprio si vuol parlare di revisionismo geografico, soltanto l’autodeterminazione potrebbe giustificarlo. Ma nel caso di Gibilterra l’applicazione di questo principio non farebbe che perpetuare lo status quo. Senza contare che sulle scoscese pendici della Rocca le scimmie di Barberia fanno buona guardia.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Politica e Economia
Internet: economia e società del déjà-vu Consumi L’espansione commerciale è sottoposta sempre più non solo a rischi di «saturazione» fisiologici,
ma anche tecnologici
nel medio-lungo termine non si può escludere non soltanto un overload (cioè «sovraccarico») informativo, ma anche un vero e proprio «effetto di saturazione» quale logica ed inevitabile conseguenza di 1) un eccesso di possibilità d’acquisto 2) con progressivo disinteresse per le troppe opportunità così «a portata di mano». Se si conviene sul fatto che un simile arricchimento di opportunità d’acquisto rappresenti una grande conquista, nondimeno si deve sottovalutare la sua governance per tempo. Ecco, dunque, essere compito di decisori economico-politici e commerciali prestare attenzione a tutti quei rischi connessi all’impoverimento di quell’opera di ricerca e scoperta, che l’immediata reperibilità può a lungo andare sottrarre.
User di Internet (ogni 100 individui)
trascurato. Allo stesso modo, senza 100 fare opera di marketing al contrario 90 menzionando mode recenti, già si assiNon vi è dubbio che l’economia post80 industriale sia divenuta come la si coste al repentino abbandono di trend che Australia nosce anche grazie all’avvento di nuosolo fino a poco prima facevano ancora 70 Francia ve tecnologie, che hanno permesso di proseliti. Tutto come sempre, forse? A 60 Germania abbattere «muri» temporali, spaziali ben vedere, tali «meteore commerciali» 50 e persino culturali. Non è altrettanto sono frutto non soltanto del carattere Italia 40 un mistero che il commercio tramite intrinsecamente e perennemente pasMembri OCSE seggero delle mode, ma possono forse PC, smartphone, tablet o altri dispo30 Mondo sitivi abbia quasi ovunque fornito un derivare anche dalla battente rapidità, 20 Regno Unito sostanziale contributo alla crescita dei con cui vengono proposte all’attenzio10 Svizzera consumi interni e, di converso, del PIL ne del pubblico innumerevoli «novità» 0 stesso ‒ sebbene, in altrettante circodi lì a pochi clic non più tali. Del resto, 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2020 stanze, possa avere rappresentato un i dati statistici sul numero di fruitori Anni «neo» a discapito dei punti vendita tradi Internet (che è la «spina dorsale» del dizionali. Certamente, l’elogio dell’ecommercio elettronico) parlano chiaro La crescita esponenziale dell’uso di internet nel mondo. (http://data.worldbank.org/ commerce può equivalere (soprattutto con la curva in continua ascesa. Do- indicator/IT.NET.USER.P2) presso il pubblico più giovane) a «sfonmanda cruciale è, quindi, come si posdare una porta aperta», poiché ha persa mantenere alto il livello d’attenzione lare alla nostra quotidianità anziché Così facendo, si creerebbero le premesso di moltiplicare l’accessibilità a del consumatore «tipo» e conciliare ac- proporla in modo «totalizzante» e so- messe per una slow tech-economy, che opportunità di acquisto ampliandone cessibilità immediata di informazione stitutivo di ogni approccio alternativo. contemperi sì il perseguimento del nuoil «panorama d’offerta» con prodotti e piacere della scoperta. Appagare sempre la propria curiosità, vo tramite la tecnologia ma senza estrenuovi, usati, rari, locali, transcontiCome spesso accade in un mon- facendo ricorso all’immancabile clic mismi. Infatti, il «conto» derivante dalla nentali ecc. Tuttavia, poco e nulla si è do sempre più globalizzato, la risposta pre-acquisto sui principali motori di volontà di contenimento dei costi (da finora scritto sui rischi (anch’essi non non è semplice (non potendo prescin- ricerca, è certamente legittimo, ma cui ‒ diciamocela tutta ‒ l’e-commerce da sottovalutare) derivanti da un apdere dal contemperamento di nume- quella «sana» aspettativa ne risente de- ha saputo approfittare a piene mani) poproccio di sviluppo «esclusivista» del rose variabili), ma non esclude un par- cisamente. Di ciò il commercio inter- trebbe essere inaspettatamente «salato» solo canale di vendita online. ziale ridimensionamento del mezzo nazionale dovrebbe prendere coscien- per avere esposto la clientela ad un proDiciamocela tutta: conoscere elettronico, che ‒ molto banalmente ‒ za ‒ spingendo, forse, un po’ meno su cesso di ipersensibilizzazione alla noin anticipo (e con dovizia di detta- Il timore (stavolta più concreto) è che dovrebbe riprendersi il ruolo di «stru- quell’«acceleratore» chiamato marke- vità (con conseguente assestamento dei gli oltre che estrema facilità) tramite l’effetto si riverberi ‒ in special modo, mento» anziché «fine». Senza attingere ting ‒ ed assumersi anche l’impegno di consumi). Il valore della ricerca e scoun clic le caratteristiche principali di nelle società oltremodo digitalizzate ‒ al bagaglio infinito dell’ingenuità, i dotare i consumatori di quelle «istru- perta, che è la quintessenza dello sprone beni o servizi ‒ per non parlare, poi, in stagnazione o persino calo dei con- «padroni» della tecnologia dovrebbe- zioni per l’uso» (a mo’ di bugiardino da a consumare, dovrebbe quindi essere dell’esplorazione di luoghi scono- sumi individuali. Senza volere scadere ro ‒ anche con lungimirante interesse confezione farmaceutica) necessarie riscoperto in chiave moderna, scongiusciuti comodamente seduti ‒ è sicura- nella iettatura, non è da escludere che ‒ tornare a farla concepire in maniera ad usare (ma non abusare alla stregua rando quell’effetto boomerang che tanto mente seducente. Così facendo, però, ciò sia uno scenario potenziale finora esclusivamente strumentale ed ancil- di un medicinale) la tecnologia. improbabile forse non è. Anz I SportXX Angebot I kw 08 I Azione I Italienisch I Zeitung I 289 x 220 mm I DU: 13.02.2017 I Erscheinung: kw 08 Edoardo Beretta
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Politica e Economia
Non siamo più un paradiso fiscale
Fiscalità In Svizzera, il ceto medio e alto dei contribuenti è già sottoposto a tassazioni nella media europea.
La riforma dell’imposizione delle aziende, respinta dal popolo il 12 febbraio 2017, ha risollevato il problema, ma non ha contribuito a mitigarlo
Ignazio Bonoli L’avvicinarsi della votazione federale sulla riforma dell’imposizione delle aziende III ha intensificato il dibattito tra favorevoli e contrari. Il tema fiscale è sempre quello che – a ragione – suscita molte discussioni. Senza voler entrare nel merito delle varie prese di posizione, vogliamo evidenziare qui un aspetto, che può apparire marginale, ma è di notevole importanza nelle votazioni popolari sulla fiscalità in Svizzera. Fin dall’inizio delle discussioni si è rilevato che le aziende che beneficiano oggi di condizioni fiscali particolari danno lavoro a circa 150’000 dipendenti. Queste aziende non avrebbero più avuto i privilegi di cui godono ora, ma avrebbero dovuto accettare una tassazione basata sulle aliquote uguali per tutte. Di conseguenza queste aziende avrebbero pagato di più, mentre altre, oggi non privilegiate, di meno. Lo scopo della riforma era quello di fare in modo che queste aziende non lascino la Svizzera, tra l’altro portando con sé i 150’000 posti di lavoro di cui si diceva e anche l’inevitabile indotto prodotto ora sul posto. L’eventuale scomparsa di questi posti di lavoro e, di conseguenza, del gettito fiscale dei dipendenti, non è un problema trascurabile se aggiunto
all’indotto odierno, comunque difficilmente valutabile in cifre. L’esito della votazione del 12 febbraio non ha risolto il problema, ma ha sicuramente creato nuove incertezze. Il rischio di perdere importanti entrate, soprattutto nei cantoni è rimasto. Perciò il problema, spesso sollevato nella campagna elettorale, di un aggravio della fiscalità sul ceto medio, mentre prima del voto era solo un’ipotesi, i prossimi tempi potranno dirci se sarà una realtà. Lo sentiranno in particolare i cittadini e soprattutto i contribuenti del ceto medio elevato, qualora si dovessero verificare partenze importanti di aziende o di parti di esse nei cantoni che ne ospitano la maggior parte. D’altro canto la pressione fiscale in Svizzera è già di per sé in aumento. Se poi si tiene conto anche della parafiscalità (contributi sociali, casse malati, ma anche – per esempio – tasse sulla circolazione e sui carburanti, per non parlare anche della tassazione della sostanza o della diminuzione delle deduzioni fiscali di vario tipo), siamo ampiamente nella media europea, in particolare per i redditi medioalti. Il ceto medio comincia a sentirlo, dal momento che il fisco incide sulle disponibilità e tende a ridurre o annullare la quota di risparmio. Secondo la più recente indagine del professor Pascal Hinny di Fribur-
Alcuni comuni ginevrini praticano una pressione fiscale fra le più alte in Svizzera. (Keystone)
go, l’aliquota media di imposizione è del 34%. Durante gli ultimi dieci anni è variata tra il 33,7 e il 35%. A che livello venga applicata questa aliquota varia da cantone a cantone, ma in ogni caso per i redditi più elevati. Se poi si aggiungono altri contributi – a questi livelli puramente fiscali – come quelli per l’AVS e le casse malati, entriamo nel novero dei paesi con livelli di tassazione alti.
Il livello di tassazione varia molto da cantone a cantone e anche a livello dei comuni. A Ginevra la tassazione media è il doppio di quella di Zugo. Alcuni comuni del canton Ginevra raggiungono il 46%, mentre il comune zughese di Walchwil applica un’aliquota di imposta del 22,5%. Tra questi due estremi, vi sono differenze anche tra comuni di altri cantoni. Per esempio a Zurigo queste differenze posso-
no raggiungere l’8%. Tuttavia, l’onere fiscale medio totale nei comuni di tutti i cantoni è di circa il 31%. In genere, nei grandi centri, le imposte sono più elevate che nei comuni di periferia. L’onere fiscale effettivo per i redditi maggiori, con l’aggiunta dei contributi parafiscali, nella media dei capoluoghi dei cantoni, raggiunge il 45%. A questo, in alcuni comuni, va aggiunta anche l’imposta parrocchiale, mediamente dell’1%. Nel confronto internazionale la Svizzera si trova quindi in una posizione media, al di sotto di alcuni paesi scandinavi, ma al di sopra di molti paesi europei e a parità con i più grandi, come Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna, e questo senza considerare che in Svizzera va aggiunta l’imposta sulla sostanza e, in alcuni casi, la tassa immobiliare comunale. Per questo si vede che le grandi fortune scelgono spesso il cantone, ma anche il comune più favorevole. La riforma della tassazione delle imprese avrebbe contribuito in parte ad attenuare le differenze, pur lasciando un certo margine di manovra ai cantoni. È comunque evidente che il tema andrà ripreso al più presto, perché l’OCSE e l’UE non attenderanno più che la Svizzera (già in predicato per una «lista nera») sopprima i privilegi fiscali per le aziende estere. Un adeguamento agli standard internazionali è previsto già nel 2019. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Per una strategia personalizzata La consulenza della Banca Migros Sacha Marienberg
Strategie d’investimento per diversi budget a rischio
Il comportamento di molti investitori sui mercati finanziari assomiglia più a una puntata al casinò che all’attuazione di una sensata strategia di investimento. Eppure la gestione del proprio patrimonio è una questione seria, che richiede lucidità e perseveranza.
Sacha Marienberg è responsabile dell’Investment Center di Banca Migros
Chi non vorrebbe avere la dritta giusta sulla borsa, l’azione dal guadagno assicurato, che decolla come un missile? Gli investitori si pavoneggiano volentieri della loro capacità di far fruttare il denaro in borsa. Naturalmente è sbagliato concludere che in questo modo la maggioranza degli investitori diventa ricca. Infatti non è un singolo consiglio sulla borsa che decide se il patrimonio investito aumenterà di valore nel lungo termine. Per il successo di un investimento è decisivo definire una strategia e attenervisi. Alcuni studi hanno dimostrato che il 90% circa dei risultati di un investimento a lungo termine è determinato dalla scelta della giusta allocazione del patrimonio. Sono invece relativamente secondari la selezione dei titoli e il timing. La scelta di singoli titoli presumibilmente promettenti e la ricerca del momento giusto per investire contribuiscono dunque ben poco al successo dell’investimento. Per un’accorta strategia d’investimento è fondamentale determinare l’allocazione ottimale del patrimonio in un’ottica di lungo periodo e distribuire i risparmi tra diverse classi di asset, tra cui obbli-
Con l’aumentare della quota azionaria di una strategia d’investimento salgono anche le aspettative di rendimento e di rischio. Il rendimento (re) indica l’andamento medio annuo. Per quantificare il rischio (ri) si ricorre alla volatilità, che misura la fascia di oscillazione su base annua. (Dati: Banca Migros – La performance passata [2003 al 2016] non è garanzia di risultati futuri)
gazioni e azioni, considerando anche le differenti regioni e valute. Questo modo di procedere è generalmente ragionevole, perché riduce il rischio e rende il deposito più resistente agli shock. Oltre alla diversificazione del patrimonio, per definire la strategia d’investimento è importante il rapporto tra azioni e obbligazioni. Le prime comportano maggiori rischi rispetto alle seconde, ma nel lungo termine hanno
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Un barometro che fa storia Non leggo regolarmente il bollettino del Credito svizzero e così mi era sfuggito il numero 4 dello scorso anno nel quale veniva celebrato il quarantesimo del cosiddetto «barometro delle preoccupazioni» degli svizzeri. Siccome questa pubblicazione è della fine dell’anno sono però ancora in tempo a dedicarle il commento che merita. Il barometro è una lista di problemi che destano l’apprensione della nostra popolazione, ordinati secondo l’importanza del grado di preoccupazione. Come si è già ricordato, questa rilevazione annuale ha compiuto i quarant’anni, il che significa che ha superato, di gran lunga, la durata che raggiungono di solito test di questo genere. È probabile che se invece di indagare sulle preoccupazioni fosse stato chiesto ai ricercatori incaricati dal CS di indagare sulla felicità degli svizzeri l’attenzione dei media per questo tipo di inchiesta si sarebbe presto dissolta. Prestiamo purtroppo
maggiore attenzione ai lati meno positivi e più scuri della vita che a quelli positivi. L’indagine del Credito svizzero è nata nel 1976, ossia nell’anno che ha seguito la maggiore recessione che l’economia svizzera abbia conosciuto, da sempre. È quasi come dire che il barometro delle preoccupazioni è nato, in Svizzera, con la disoccupazione proprio quando la nostra economia usciva da quello che era stato il periodo di maggior crescita della produzione, della popolazione e del benessere della sua storia, ossia un periodo con pochi problemi. Il barometro non ritiene tutte le ragioni di apprensione della popolazione, ma si limita a citare le dieci che, nell’indagine annuale, ottengono il maggior consenso. Con l’andar degli anni la lista delle preoccupazioni maggiori, stabilita dal Credito svizzero, è andata acquistando di notorietà e oggi viene regolarmente citata non solo dai politici, ma anche
da pubblicisti e ricercatori universitari. Si tratta ovviamente solo di una fotografia che riporta la situazione nel momento in cui l’indagine viene effettuata. Le circa mille persone che partecipano all’inchiesta devono, di anno in anno, scegliere tra una lista di temi di attualità che loro viene presentata i 5 che, secondo loro, rappresentano i maggiori problemi della Svizzera. Il ventaglio dei problemi tra i quali i partecipanti all’inchiesta possono scegliere non è quindi infinito. Viene delimitato, penso di anno in anno, dalle persone che si occupano dell’indagine, sulla base di un’analisi dei temi che destano maggiore discussione nei mesi che precedono l’inchiesta. Un minimo di manipolazione dei risultati non si può quindi escludere. A me sembra che l’approccio scelto rappresenti comunque un buon compromesso tra la libera scelta dei temi da parte dei partecipanti e l’esigenza di poter svolgere l’inchiesta
entro termini e con costi accettabili. La sua bontà la si può dedurre dal fatto che, nel corso di questi quarant’anni, il barometro delle preoccupazioni non ha mai trascurato di mettere in evidenza un problema, quando lo stesso era sentito dalla popolazione. I lettori saranno curiosi di sapere quali sono questi problemi e come la lista degli stessi si sia sviluppata nel corso del tempo. La lista dei dieci maggiori problemi degli svizzeri del 1976 è capitanata dalla disoccupazione. A questo proposito bisogna ricordare – per i lettori che nel 1976 ancora non leggevano i giornali – che fino al 1978, in Svizzera, non esisteva una statistica rappresentativa della disoccupazione, semplicemente perché l’assicurazione contro la disoccupazione non era obbligatoria. Fu quindi dal barometro del CS che i politici svizzeri appresero che la disoccupazione era la maggiore preoccupazione della popolazione, non dalla statistica. Al secondo
posto, nel 1976 e, sempre nelle prime posizioni, fino alla fine del secolo, c’era la protezione dell’ambiente. Poi venivano, nell’ordine, l’AVS, il peso delle imposte e l’inflazione (ossia l’aumento dei prezzi). Gli stranieri figuravano invece solo all’ottavo posto delle preoccupazioni degli svizzeri. Quarant’anni dopo, al primo posto continua a figurare la disoccupazione; gli stranieri sono però saliti al secondo posto, mentre al terzo continua ad esserci l’AVS. Nella lista del 2016 figurano poi anche i rifugiati, gli accordi bilaterali con l’UE, la crisi europea e dell’euro e la sicurezza personale, ossia tutti i temi che inghirlandano i programmi dei partiti della vecchia e della nuova destra. I temi della sinistra come la protezione dell’ambiente, l’educazione, la costruzione di alloggi, lo strapotere delle banche sono invece spariti. Dei temi cari ai partiti di sinistra si trova, nell’elenco del 2016, solo la nuova povertà.
ni di elettori, migliaia di iscritti. Il Pd appartiene al popolo, non ai segretari. Non andatevene, venite. Partecipate. Le porte sono aperte, nessuno caccia nessuno. Ma un partito democrati-
co non può andare avanti a colpi di ricatti. Apriamo le sedi dei circoli e discutiamo. E, finalmente, torniamo a parlare di Italia». Ma non è con gli appelli che si risolverà la situazione. Bersani dice che la scissione c’è già stata. È vero: la spaccatura del Pd al referendum non è passata come acqua sul marmo. Bersani, D’Alema, Speranza hanno fiutato il vento e hanno votato No pur di liberarsi di Renzi, alleandosi con gli antisistema. Ma dopo Renzi non torna D’Alema e non arriva Speranza; arrivano appunto gli antisistema. Dopo la scissione, il Pd non sarà più il primo partito; a quel punto Mattarella dovrà dare l’incarico di formare il governo a un esponente della forza di maggioranza relativa; con molte probabilità, i Cinque Stelle. Magari con l’appoggio esterno di Salvini su due semplici punti: linea dura sull’immigrazione, uscita dalla moneta unica. Il punto è che il ritorno al proporzionale rende meno significative le primarie per la scelta del leader; tanto
nessun partito avrà la maggioranza, nessuno vincerà – o perderà – davvero. E per bersaniani e dalemiani meglio prendere il 7% da soli che il 30% con Renzi: avranno pur sempre più seggi in Parlamento. In questo momento, poi, le primarie contro Renzi qualsiasi candidato della sinistra interne le perderebbe. Ma dopo le elezioni quale governo avrà il Paese? Si parla molto di «larghe intese» tra sinistra e Forza Italia; ma sarebbero intese striminzite. Probabilmente le forze europeiste (o meglio non anti-europee) non avranno i seggi per governare. E poi davvero a Berlusconi conviene cercare un accordo dopo il voto con un partito così instabile, anziché ricostruire l’alleanza tradizionale con la Lega? Nel Carroccio c’è una corrente che fa a capo ai presidenti di Lombardia e Veneto, Maroni e Zaia, per riportare Salvini all’ovile berlusconiano. Anche se Berlusconi e Salvini proprio non si sopportano. Quasi come i leader e leaderini del Pd.
o pretestuose. Anche la soluzione delle «zone franche» o «a statuto speciale» scaturiva dal medesimo schema logico. Provvedimenti ch’erano comunque a doppio taglio, come tutti sapevano o intuivano, sia perché determinavano contro-misure analoghe da parte dei paesi partner, sia perché provocavano il rincaro della produzione indigena, penalizzando i ceti popolari. Inoltre il venir meno della concorrenza spegneva l’inventiva dei fabbricanti, che cessavano di investire per migliorare la qualità dei prodotti. Resta da vedere quale futuro avrà invece il protezionismo sociale (e anche intellettuale: insegnanti, ricercatori, scienziati), invocato a gran voce sia a destra che a sinistra. Il dibattito in parlamento sull’applicazione dell’iniziativa del 9 febbraio 2014 ha già mostrato quanto sia difficile quadrare il cerchio senza subire ritorsioni da parte dei paesi dell’Unione europea. Le stesse
aziende elvetiche chiedono di poter prelevare dal mercato continentale la forza-lavoro e le intelligenze di cui hanno bisogno, senza le quali nessuna innovazione è possibile. Si vorrebbe insomma introdurre un setaccio, capace di selezionare gli ingressi in base alle esigenze e all’evoluzione congiunturale, come nell’epoca in cui vigeva il regime dei contingenti. Una soluzione che tuttavia l’Ue respinge per non incoraggiare intendimenti emulativi nella sempre più nervosa famiglia europea. Al presente protezionismo economico e protezionismo sociale camminano ancora disgiunti. Ma già si profilano segnali di una convergenza sotto le bandiere del nazionalismo (o sovranismo). Perché economia e politica prima o poi s’incontrano, creando un corsetto unico insofferente alle regole della democrazia e alla cooperazione internazionale.
In&outlet di Aldo Cazzullo La scissione, poi il baratro La ruota della scissione del partito democratico ha preso a rotolare, e fermarla sarà difficilissimo. Forse impossibile. Il mondo va a destra. In Francia il candidato della Gauche è quarto nei sondaggi, dopo che si sono bruciate le candidature del presidente e del primo ministro. In Spagna i socialisti appoggiano di fatto il partito nato dalle ceneri del franchismo, eredi di coloro che due generazioni fa li mandavano in galera. In Inghilterra i laburisti si sono arroccati a sinistra condannandosi all’irrilevanza. In Germania l’Spd ha avuto una fiammata nei sondaggi, ma tutti pensano che le elezioni le vincerà la Merkel. In Olanda è favorito il leader xenofobo che vuole la fine dell’Europa. In America i democratici hanno subito una sconfitta storica, con Obama che si gode le vacanze e Hillary che si cura le ferite. In Italia tutto il potere va (provvisoriamente) a Orfini, presidente del partito democratico, che gestirà la fase successiva alle dimis-
sioni di Renzi. In queste condizioni, la scissione è da irresponsabili. Ma questo non significa che non ci sarà. Anzi. Dice Renzi che «il Pd è fatto da milio-
Un Matteo Renzi corrucciato si reca alla segreteria del Pd, il 13 febbraio. (Keystone)
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Protezionismo: il canto delle sirene Il protezionismo è sulla cresta dell’onda, suscita applausi, incamera consensi. Perché rassicura, placa le ansie, conferisce un’atmosfera domestica ad un mondo sfuggito di mano, sempre più lontano ed ostile. Chiedere protezione è una reazione istintiva normale, non è una colpa, e tanto meno un peccato. Il che, però, non rende meno problematico il concetto. Protezionismo contro globalizzazione. E in mezzo, quale attore sempre più impaurito, il ceto medio. Il quale, in questi processi, in questi flussi che non controlla, si è ritrovato improvvisamente solo, dentro un ascensore cigolante in continua discesa, con meno lavoro e meno redditi. Al sogno della regolare promozione sociale è subentrata prima la frustrazione e poi il rancore verso le élites economiche e finanziarie che invece, dal nuovo «disordine mondiale», hanno tratto enormi profitti. Ora, un po’ ovunque, sta montando
la ribellione, che presto si tradurrà in voti e in ribaltoni governativi. Ha iniziato l’Inghilterra, con la Brexit, seguita dagli Stati Uniti. Nei prossimi mesi sarà la volta dell’Olanda (marzo), della Francia (aprile-maggio) e, in settembre, della Germania: tre paesi fondatori della Comunità e appartenenti all’Eurozona. La parola d’ordine è: barra a destra, ridiamo il potere al popolo, impicchiamo l’euro, rialziamo le frontiere nazionali e moltiplichiamo gli ostacoli daziari. Nessuno sa dove porteranno davvero questi indirizzi, ma già ora si conoscono i nomi delle prime vittime del nuovo corso, con i funerali celebrati oltre Manica: Adam Smith e David Ricardo, i fondatori della scienza economica moderna, i teorici della concorrenza e del «laissez-faire». La patria del liberalismo è scesa in guerra contro la sua stessa storia di grande potenza commerciale.
E il nostro paese, quale strada ha imboccato (o imboccherà)? Non sicuramente quella del protezionismo economico, che per l’industria avrebbe esiti disastrosi; piace invece il protezionismo sociale, che ha visto le sue quotazioni salire con l’approvazione dell’iniziativa UDC contro l’immigrazione di massa. Merci e capitali possono circolare liberamente, ma non le persone: questa è la tendenza che si sta delineando nella Confederazione, specie nei cantoni di frontiera, le aree più esposte alla pressione esterna. L’alternanza apertura/chiusura è una costante nella storia delle economie nazionali. Ogni paese, in epoche diverse, ha cercato di salvaguardare la propria produzione, soprattutto agricola, erigendo barriere all’importazione, sotto etichette variabili, alcune esplicite (come i dazi e le tariffe), altre mascherate (come norme igieniche particolari)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Cultura e Spettacoli Antigel, antidoto all’inverno Si è conclusa ieri a Ginevra la manifestazione che riunisce le arti in un contenitore innovativo
Isella per Gaudì La rassegna dedicata alla musica contemporanea 900presente mette in scena Il giardino della vita, un’opera originale con libretto del poeta ticinese pagina 35
Ci odieremo per sempre Brendan Alper ha creato una App rivoluzionaria in cui si «assemblano» persone che hanno in comune l’odio per le stesse cose pagina 38
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Scandalo e dialogo
Mostre Meret Oppenheim al Masi
di Lugano
Gianluigi Bellei Due sono le opere feticcio di Meret Oppenheim: Déjeuner en fourrure (Tazza in pelliccia) e Ma gouvernante del 1936. La prima acquistata dal Museum of Modern Art di New York, diretto da Alfred Barr Jr., subito dopo l’esposizione surrealista alla galleria Charles Ratton di Parigi nel 1936, e l’altra, dopo un’esposizione, dal Moderna Museet di Stoccolma, diretto dal mitico Pontus Hultén nel 1967. La tazza diventa subito un’icona del movimento surrealista e non a caso viene esposta nella vetrinetta di Parigi accanto al Portabottiglie di Marcel Duchamp. Opera scandalosa, irriverente, erotico-sovversiva, che unisce sesso e cibo. Magari un sesso godurioso come si sospetta possa essere sotteso quello di accostare alla bocca qualcosa di peloso. Ma gouvernante rappresenta due scarpe tagliate e incollate assieme con, sopra i tacchi a spillo, della carta bianca ritagliata. Sembrano due cosce di pollo; il tutto posto sopra un vassoio d’argento. Se mettiamo assieme cosce e tacchi alti non possiamo far altro che pensare a qualche fantasia sessuale. E così di solito viene spiegata. Per altri è la rivisitazione della storia di San Giovanni Battista. Salomè balla a un banchetto ed Erode per questo vuole assecondare un suo desiderio. Salomè chiede consiglio alla madre Erodiade che vuole la testa di San Giovanni, portata poi su di un piatto d’argento. Ambedue le opere erano presenti, nella retrospettiva dedicata all’artista, al Kunstmuseum di Berna a cura di Therese Bhattacharya-Stettler (vedi «Azione» del 18 luglio 2006). Una mostra degna di tale nome non può fare a meno di esporle. Il Museo d’arte della Svizzera italiana dedica un piano della sua struttura al lavoro della Oppenheim. Il curatore Guido Comis spiega che nonostante la copertina del catalogo porti soltanto il nome dell’artista è nel frontespizio interno che se ne svelano gli intenti. Opere in dialogo. La nostra artista/
musa/modella è quindi raccontata in rapporto, «stretto e controverso», con gli artisti suoi contemporanei. Insomma, per il curatore le precedenti mostre non hanno osato mettere a confronto la Oppenheim con altri artisti ingombranti quali appunto Man Ray, Marcel Duchamp o Max Ernst per non sminuirne la portata. Messa così suona bene, se non si riflette sul fatto che è da anni che questi dialoghi vengono imbastiti, prima dal Museo cantonale e ora dal Masi. Una pratica ricorrente, quindi, che spesso nasconde le fragilità delle esposizioni stesse. Non solo mancano unicamente le due opere feticcio delle quali si parlava all’inizio – citate abbondantemente e ripetutamente anche nei vari interventi presenti nel catalogo della mostra, come una sorta di convitate di pietra – ma, per giunta, la maggioranza dei lavori esposti proviene da semplici collezioni private. Imbarazzante (…). La mostra si snoda fra «possibili rimandi» e relazioni apparenti; «così ci sembra», scrive il curatore, in un rapporto fra cibo e sessualità, corpo e indumenti, travestimenti e identità sessuale. Mescolando contingente e futuro, apparente e realtà. Das Paar della Oppenheim del 1956 (due polacchine che si uniscono per la punta) viene così accostata a Le modéle rouge di René Magritte del 1947 (due scarpe che terminano con altrettanti piedi) a T42 di Mona Hatoum del 1999 (due tazze da tè unite assieme) o a Schuhspanner für Das Paar di Daniel Spoerri del 1958 (due tendiscarpe uniti per la punta). In un’altra sezione troviamo la fotografia Les galets (i ciottoli) di Man Ray del 1933 accanto a Steinfrau (donna di pietra) della Oppenheim dipinta nel 1938. Poi le usuali fotografie scattate da Man Ray negli anni Trenta alla modella Oppenheim, nuda e andrògina, magari sdraiata e vista dal basso a gambe aperte. Scandalosa, sì, ma non così tanto, dato che da decenni circolavano immagini e filmati di sesso esplicito fra gli artisti e non solo.
Erotique voilée, Meret Oppenheim à la presse chez Louis Marcoussis, 1933. (Fondazione Marconi Milano)
Nel 1932 Meret Oppenheim si trasferisce giovanissima a Parigi e qui crea i suoi capolavori: Déjeuner en fourrure viene realizzata quando ha soli ventitré anni. «Un momento di gloria epocale», scrive Bice Curiger in catalogo, che si interrompe con l’avvento della guerra e il suo ritorno a Basilea dove trova «l’invidia degli artisti locali e il sospetto dei puritani». Fino al riconoscimento pubblico con la consegna del Premio d’arte della Città di Basilea nel 1975. Qui, durante il suo discorso, affronta il tema dell’androginìa dicendo: «Come il poeta, l’artista, il genio deve richiamare lo spirituale femminile che ha in sé per poter creare l’opera, così le poetesse, le artiste e le intellettuali devono coinvolgere nella creazione dell’opera lo spirituale maschile che è in loro. Le donne sono quindi muse, che vengono
baciate dal genio così come l’uomo, il genio, è baciato dalle muse». La Oppenheim, musa e infine sciamana – come si definisce nell’autoritratto con tatuaggio del 1980 – apre le porte all’arte del periodo successivo. Soprattutto alla body art per via di quel famoso happening realizzato nel 1959 a Berna, La festa di primavera: un banchetto con sei invitati che si cibano utilizzando solo la bocca, e senza l’aiuto delle mani, direttamente dal corpo nudo di una ragazza sdraiata. Poi la Curiger indica come personaggi affini Robert Gober – presente in mostra con una scarpa rossa di cera colorata – per il suo surrealismo interiore, e Félix González-Torres, con la sua intimità e il senso di «scintillante re-incantamento». Esposizione comunque da vedere, dopo un pellegrinaggio a Carona dove
a Casa Costanza, la villa di famiglia, era solita passare le vacanze durante l’adolescenza e lunghi periodi estivi negli ultimi anni. La nipote Lisa Wenger sostiene che per Meret Parigi era la città che l’ha vista nascere come artista, Basilea quella della formazione, Berna il luogo dove ha vissuto con il marito Wolfgang La Roche e Carona il suo centro «emozionale», dove gli amici venivano a trovarla per star bene e «dormire come un bebè». È sepolta proprio qui, nel locale cimitero. Dove e quando
Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum. Lugano, Masi. A cura di Guido Comis. Fino al 28 maggio 2017. Catalogo Skira, I/E, euro 59. www.masilugano.ch
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Cultura e Spettacoli
Antigel, un festival che incendia l’inverno
Gabbia per tre sorelle e una ninfa
Appuntamenti Dal 27 gennaio al 19 febbraio scorso, a Ginevra è tornata la consueta serie
di incontri culturali di alto livello e lontani dal mainstream Muriel Del Don Antigel, un nome evocativo per un festival che si impone nel freddo inverno ginevrino come uno dei più interessanti e innovativi d’Europa. Incentrato soprattutto sulla musica e le arti della scena, Antigel mostra quanto la Svizzera (in particolare Ginevra) sia culturalmente ricca, aperta e in costante fermento. Lontano anni luce dai cliché che la riducono ad un’appendice snob e austera della sfavillante Zurigo, Ginevra si illumina grazie a Antigel di mille luci colorate. Il festival capitanato dall’eclettico Eric Linder (membro del gruppo Polar ed ex campione di corsa a piedi) e dalla più misteriosa Thuy-San Dinh, si nutre di proposte artistiche uniche e singolari che si trasformano in vero e proprio concime culturale per i comuni ginevrini che ogni anno regalano al festival delle location sorprendenti. Un festival incredibilmente ginevrino quindi, che si vuole però estremamente aperto e in sintonia con il fermento culturale che abita un’Europa in crisi perenne. Antigel rivendica forte e chiaro la propria fiducia nell’arte e nella cultura come vettori di cambiamento. Tutto ciò può sembrare naif o irreale ma fa comunque bene, poiché è anche di questo che abbiamo bisogno: di sogni e di utopie. Qual è la forza segreta di Antigel? Cosa lo differenzia dai suoi innumerevoli concorrenti? Difficile dirlo, impossibile trovare una sola risposta, quello che è certo è che la presa di rischi e la sfacciataggine sono la linfa vitale di un festival che non ha certo «froid aux yeux» (come direbbero i francofoni). La sua particolarità non è solo quella di sfidare le convenzioni di quello che chiamiamo comunemente (e a volte con una punta di sarcasmo) «divertimento», ma anche e soprattutto quella di abbattere le frontiere tra cultura con la «c» maiuscola e underground. Il suo
scopo è principalmente quello di riunire dei pubblici diversi, a volte antitetici al di fuori delle tradizionali sale da spettacolo: amanti di musica classica e sperimentale, uccelli notturni avidi di techno e house o ancora melomani alla ricerca di novità. Quello che conta è la qualità artistica, poco importano il formato o le mode del momento. Come ogni anno Antigel istalla il suo quartier generale danzereccio, festivo e accogliente (chiamato Grand Central) in un luogo emblematico e iper urbano di Ginevra. Quest’anno l’onore è toccato a un’immensa hall delle CFF, in pieno quartiere Pont-Rouge (in fase di pianificazione e costruzione) dove si susseguono serate dj, roller disco e mercatini dedicati ai vinili e al vintage. Niente ferma la creatività del festival ginevrino. La reputazione delle serate al Grand Central si espande ben oltre i confini cantonali, un vero e proprio festival nel festival dominato da uno spirito di apertura incredibilmente rigenerante. La star dell’hip hop underground made in USA Tommy Genesis, la sensualità fredda e austera di Nick Höppning e Virginia del mitico label berlinese Ostgut o ancora la house misteriosa venuta da Chicago di Lil’Louis hanno regalato ad Antigel (in collaborazione con l’inimitabile istituzione ginevrina Motel Campo) serate indimenticabili. La scrittrice e regista francese Virginie Despentes ha incarnato quest’anno l’animo provocante e ribelle della manifestazione. Il risultato è un talk (basato sul romanzo di Louis Calaferte Requiem des innocents) sensuale, ritmato dall’insieme musicale Zero, durante il quale potenza vocale e fisica dominano sovrane. Un’altra grande artista invitata per questa settima edizione è Maguy Marin – figura emblematica della danza contemporanea – che ha stravolto il pubblico del Bâtiment des forces motrices grazie al suo maestoso spetta-
La performance dell’attrice francese Laetitia Dosch. (antigel.ch)
colo Umwelt. Attraverso la pièce Marin ci offre una quotidianità ritualizzata in modo incessante, come in un sogno. Ad accompagnare la sua elegante follia troviamo La Ribot, memorabile performer spagnola che ha scelto Ginevra come patria d’adozione, e che presenta quest’anno (in concomitanza con Le Giornate svizzere della danza contemporanea) Another distinguée, otto nuove pièces che si aggiungono al suo work in progress iniziato nel 1993, intitolato proprio Pièces distinguées. Un black cube inquietante e sensuale accoglie il pubblico accorso al teatro del Grütli per un’esperienza artistica e sensoriale stravolgente. Per quanto riguarda invece gli imperdibili «Made in Antigel», spettacoli creati appositamente per la manifestazione, valgono certamente la scoperta Oceanos, viaggio sonoro che ci culla al ritmo dei suoni marini raccolti da Chris Watson (ex membro dei Cabaret Voltaire), immersi in un bunker di Bernex, e Very Bat Trip I, viaggio poetico nel cuore oscuro del bois de la Bâtie, tra demoni immaginari e personaggi
inquietanti usciti dalla mente di Fabrice Melquiot (teatro Am Stram Gram). La musica è sempre una delle stelle più luminose del firmamento Antigel, e quest’anno propone Forest Swords, con il suo universo sonoro oscuro e ammaliante tra elettronica e drone music, gli indimenticabili Lambchop (e la voce sublime di Kris Wagner) che hanno letteralmente ipnotizzato il pubblico dell’Alhambra grazie a un universo artistico tra sensualità country e modernità elettronica, la potenza vocale che si trasforma in rituale di Patti Smith o ancora il leggendario Kronos Quartet di San Francisco. Per quanto riguarda invece gli ormai storici appuntamenti ai Bains de Cressy, dove si gustano le prestazioni live immersi in una piscina riscaldata, è impossibile non citare il misterioso e potente Alessandro Cortini (compare di Trent Reznor dei Nine Inch Nails) e l’eccentrico show-man australiano Alex Cameron. Un festival controcorrente che rivendica la propria diversità. Ci voleva proprio.
Teatro A ndrea De Rosa e la tragedia di Seneca Giovanni Fattorini
Un momento dello spettacolo portato in scena da De Rosa. (piccoloteatro.org)
tamente dall’Ippolito di Euripide, dove non si fa parola della vicenda di Pasifae, e la passione di Fedra per il figliastro è conseguenza ineluttabile della volontà punitiva di Afrodite, che attraverso di lei intende vendicarsi del tracotante disdegno di Ippolito, che alla dea dell’amore preferisce la casta Artemide. Rappresentare le tragedie di Seneca significa affrontare le difficoltà create da ciò che ha indotto la più parte degli studiosi a ritenere che non fossero scritte per la scena ma per le sale di recitationes. Ciò che crea difficoltà sono i dialoghi spesso sentenziosi, la scarsa o nulla dialetticità del coro, la lunghezza dei monologhi, la staticità dell’azione. Sembra dunque necessario, in vista di
la pièce di debutto di Simon Waldvogel Giorgio Thoeni
La passione proibita di Fedra Seconda moglie di Teseo (re e legislatore di Atene, protagonista di straordinarie imprese), Fedra era figlia di Minosse, re di Creta, e di Pasifae, «la splendente», «che s’imbestiò nelle ’mbestiate schegge», ovvero – parafrasando il mirabile verso dantesco –, che soddisfece il desiderio di copulare con un toro nascondendosi in una vacca di legno. Così racconta il mito di Fedra, nota soprattutto per la sua travolgente e non corrisposta passione per il giovane figlio di Teseo e dell’amazzone Antiope, il bellissimo Ippolito, casto cacciatore, devoto di Artemide e spregiatore delle donne. Ho cominciato ricordando Pasifae e la sua «passione mostruosa» perché nella tragedia di Seneca vengono menzionate a più riprese. Nello smanioso desiderio della regale matrigna, sia la stessa Fedra, sia la nutrice, sia il selvaggio e intransigente Ippolito denunciano, con accenti diversi, una predisposizione ereditaria alle «passioni proibite»: predisposizione che Fedra, a un certo punto, chiama «destino». Nella visione fortemente etica ma non impietosa di Seneca, la follia amorosa (il furor) di Fedra è una pulsione oscura che la ratio, per impotenza della voluntas, non riesce a dominare, e della quale diviene complice. In ciò, la tragedia senecana differisce net-
In scena Convince
una messinscena, manipolare in varia misura il testo. Volendo evidenziare che la passione amorosa non è il prodotto di volontà e potenze esterne, bensì una forza ingovernabile che erompe dall’insondabile profondità dell’individuo, cosa ha deciso di fare il regista Andrea De Rosa? Per ragioni di spazio mi limiterò a segnalarne le scelte che considero di maggior rilievo. 1) Ai monologhi di Ippolito e Fedra con cui si apre la tragedia senecana ha premesso quello dell’Afrodite euripidea, inducendo in tal modo lo spettatore a credere che la passione di Fedra (Laura Marinoni) è frutto della malevolenza di una dea. 2) Ha costruito un epilogo in cui una Venere-Afro-
dite dall’aria vissuta (Anna Coppola, in pantaloni e giacchetta di velluto rosso) abbandona la scena affermando didatticamente che in Seneca non ci sono dei e che gli dei sono dentro di noi. 3) Ha ridotto di molto il ruolo della nutrice che ha sostituito con una ragazza di piacevole aspetto (Tamara Balducci). 4) Ha eliminato il coro assegnando una piccola parte delle sue riflessioni ai personaggi e alle ombre dell’Ade (che in Seneca non esistono). 5) Ha mostrato in modo inequivocabile che Ippolito (Fabrizio Falco) è fisicamente attratto sia dalla ragazza che dalla matrigna e che reprime nevroticamente il proprio desiderio. 6) Ha fatto di Teseo (Luca Lazzareschi) un brutale stupratore della moglie. 7) Ha collocato al centro della scena (firmata da Simone Mannino) un grande cubo di plexiglass: spazio separato e metaforico luogo di costrizione da cui Fedra e Ippolito desiderano fuggire. 8) Ha dispiegato una quantità di effetti luminosi e sonori grazie anche all’uso di numerosi microfoni ad asta. Insomma uno spettacolo per vari aspetti discutibile e complessivamente avvincente. Bravissimi gli attori.
A teatro si vede ciò che si vuol vedere, si capisce ciò che si vuol capire, si applaude ciò che si vuole applaudire, ma quando ci si accorge di assistere a qualcosa di nuovo e originale, ecco che scatta un registro piacevolmente diverso. È quanto abbiamo percepito assistendo al debutto drammaturgico e registico di Simon Waldvogel con Adios, scritto in collaborazione con Matteo Luoni. Lo spettacolo ha recentemente debuttato con successo al Teatro Foce per la Rassegna LuganoInScena, prodotto dal Collettivo Ingwer e ATRé Teatro. Sul palco la scena si presenta come una grande scatola a tre pareti bianche, candide, una «casa di bambola», uno spazio sospeso o la gabbia di uno «zoo di vetro» per «tre sorelle». Dove la parafrasi del titolo di tre capolavori teatrali che mettono la loro centralità sulle donne non è un caso: c’è anche un testo particolarmente amato da Waldvogel, quello di Cechov. Adios è una metafora per sole donne, un addio all’adolescenza, un sogno rivissuto in un non-luogo in cui tre sorelle, Carla, Camilla e Federica, si dicono ciò che vogliono, ciò che passa loro per la testa: dal ricordo di emozioni adolescenziali a istantanee di un’infanzia in cui si alternano momenti tristi e esplosioni di gioia. Su tutto c’è l’amore fra sorelle che si dicono cose che non sono mai state dette. Ma c’è anche la forza del voler dar voce a qualcuno che nella vita non ha potuto parlare (Carla nella realtà ha problemi di linguaggio), uno stato che si trasforma in una sorta di anestesia mentale dove tutto è permesso per liberarsi del passato e affrontare l’età adulta. Con loro vaga una presenza subliminale, ora della madre ora della donna adulta, che silenziosamente attraversa lo specchio scenico, ora lo aggira, ora osserva. I dialoghi delle tre sorelle procedono con discrezione fino a liberarsi in una danza astratta, catartica sulle note di Adios, del poeta-culto londinese Benjamin Clementine che nel refrain ripete: «the decision is mine» (la decisione è mia). Come una didascalia per donne determinate, forti, forse dunque, ma anche il verso capriccioso di tre bambine intrappolate nel gioco delle loro verità. Dialoghi serrati, monologhi brevi, efficaci, in un contesto in cui emerge l’equilibrio di un testo teatrale ben scritto, dai giusti colori drammatici e rimandi autobiografici che vanno a braccetto con la regia di Waldvogel. Una dimensione di semplicità quasi surreale dove c’è spazio per la memoria suscitata da immagini filmate sullo sfondo (Bonasia&Narcisi) con la leggerezza di un battito d’ali di farfalla accanto alla nostalgia di un album di famiglia. Tutto funziona in Adios, un ottimo segnale di freschezza, bravura e professionalità dal testo alla regia, alle intense e brillanti interpretazioni di Federica Carra, Camilla Parini, Camilla Pistorello e Carla Valente.
Dove e quando
Milano, Piccolo Teatro Grassi, fino al 26 febbraio.
La locandina di Adios, presentato al Foce. (luganoinscena.ch)
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Cultura e Spettacoli
Antoni Gaudì tra i suoni e le parole del Giardino della vita
Musica L’intellettuale ticinese Gilberto Isella ci presenta la produzione che andrà in scena
il 26 febbraio per 900presente
Un invito personale a concerto Concorsi
Le proposte del Percento Culturale di Migros Ticino
Zeno Gabaglio «L’anziano Gaudì contempla la spianata dove si erge il Tempio incompiuto della Sagrada Familia, a Barcellona. Presagendo la morte imminente l’architetto si persuade che non potrà portare a termine il capolavoro, emblema della Città celeste. È inoltre convinto, dopo aver ascoltato la voce di un Angelo, che di fronte al mysterium si può solo arretrare». Il quadro narrativo è grosso modo questo anche se – si sa – spesso non sono gli aspetti narrativi elementari a costituire il vero nucleo dell’opera narrativa. «Tramite Gaudì, di cui ho voluto mettere in luce lo straordinario vitalismo, mi sono interrogato sull’incompiutezza di ogni atto creativo e in generale sulla questione dei limiti imposti all’uomo riguardo al creare. Dietro quei limiti si avverte il vuoto e il silenzio, eppure tale silenzio sembra paradossalmente abitato da parole, suoni e immagini virtuali. L’opera del genio, in fondo, non fa che riproporre paradossi del genere».
Le parole di Gilberto Isella saranno accompagnate dalla musica di José María Sánchez-Verdú Eccolo, dunque, il nucleo profondo. E a presentarcelo è lo scrittore Gilberto Isella: sue sono infatti le parole de Il giardino della vita, che assieme alla musica di José María Sánchez-Verdú andranno a comporre una preziosa anteprima, la prossima domenica 26 febbraio alle 17.30 presso il Palazzo dei Congressi di Lugano. Il contesto è quello di 900presente (rassegna so-
Migros Ticino offre ai lettori di «Azione» biglietti gratuiti per le manifestazioni organizzate con il sostegno del Percento culturale (max due biglietti per economia domestica). La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi. Per partecipare è sufficiente inviare martedì 21 febbraio una e-mail all’indirizzo giochi@azione.ch contenente il proprio nome, cognome, indirizzo, nonché il titolo del concerto prescelto. I vincitori saranno estratti a sorte tra tutti partecipanti e riceveranno una conferma via e-mail. Buona fortuna!
Gilberto Isella si è lasciato ispirare da Gaudì.
stenuta fin dagli inizi dal Percento Culturale Migros Ticino e quest’anno giunta alla diciottesima edizione) per una produzione – «“un’azione scenica”, non trovo altre definizioni. Parole e musica qui sono predominanti» – che come al solito vede in prima linea il Conservatorio della Svizzera italiana (con l’Ensemble 900 diretto da Arturo Tamayo e il Coro Clairière diretto da Brunella Clerici), il Settore prosa della RSI con il regista Claudio Laiso e il Teatro d’ombre Controluce di Alberto Jona. «Circa un anno fa Roberto Valtancoli, responsabile di 900presente, mi propose di rielaborare il mio libro poetico Preludio e corrente per Antoni e ne ricavai un libretto teatrale concepito per la musica. L’argomento spagnolo e la fama di Gaudì suscitarono l’interesse del maestro Tamayo e del compositore madrileno Sànchez Verdù». Non si tratta però di una pura e semplice bio-
grafia messa in poesia e musica, perché «ho immaginato il grande architetto negli ultimi giorni di vita – con un flashback sull’infanzia – tentando di entrare nel suo pensiero e assumendomi la responsabilità di ricostruirlo liberamente». Il rapporto con il compositore – relazione spesso delicata, attraverso tutta la storia della musica – come si è invece articolato? «José Maria ha avuto carta bianca. Di lui conoscevo qualche lavoro e ritenevo le sue opzioni stilistiche compatibili con le mie. L’ho reso attento su alcuni capisaldi del testo: assenza di pregiudiziali ideologiche, rifiuto dell’intellettualismo e dell’enfasi». La parola di Gaudì è infatti visionaria «vibrante di emozioni, ma nel contempo profondamente interiorizzata. A volte essa pare perfino trascendere l’io e intrecciarsi con quella dell’Angelo». Con una precisa richiesta per la componente musicale: «l’importan-
te era mantenere l’atmosfera fiabesca dell’insieme, potenziata dalla presenza scenica dei bambini del coro. Ho decifrato per sommi capi la partitura, e penso proprio che il compositore abbia interpretato in modo ammirevole lo spirito dell’opera». Ma a parte il lato strettamente produttivo, qual è il rapporto dello scrittore Isella con la musica? «Sono sempre stato un appassionato di musica, un buon dilettante che ha avuto anche la fortuna di seguire corsi di musicologia durante gli studi a Ginevra. L’universo musicale rappresenta per me un tutto indiviso: mi procura altrettanto piacere ascoltare un notturno di Chopin o un assolo del sassofonista Coltrane». In collaborazione con
Biglietti in palio 900Presente Rassegna di musica contemporanea Do 26 febbraio 2017, ore 17.30 Palacongressi, Lugano Il giardino della vita Ensemble 900 del Conservatorio Direttore Antonio Tamayo, Musiche José María Sánchez-Verdú, testi di Gilberto Isella. Tra Jazz e nuove musiche Rassegna di RETE DUE Gio 23 febbraio 2017, ore 21.00 Studio 2 RSI, Lugano ECM Session 12 FOOD + guest Thomas Strønen; batteria, elettronica; Iain Ballamy: sassofoni, elettronica; Torben Snekkestad: fiati.
Kopatchinskaja, a caccia dell’istinto Incontri A colloquio con la «violinista scalza» di orgini moldave, bernese d’adozione, che lo scorso gennaio
si è esibita alla Scala di Milano
Enrico Parola Hélène Grimaud ha dilatato la fama che il solo talento le avrebbe assicurato grazie agli splendidi occhi di ghiaccio e alla passione per i lupi («La pianista che balla coi lupi» è uno dei titoli più gettonati dalle riviste patinate che le hanno dedicato servizi e articoli). Patricia Kopatchinskaja è invece «la violinista scalza»: la (molto) talentuosa e (altrettanto) estrosa moldava che vive a Berna col marito neurologo e la figlia Alice di cinque anni ama salire sul palco con abiti eleganti, total black o sgargianti, ma rigorosamente senza scarpe. Fu un caso, è diventata un’abitudine irrinunciabile, di certo – assicura – non è un vezzo. «Appena prima di un concerto mi accorsi di aver dimenticato le scarpe in hotel; non potevo tornare a prenderle né chiederle a qualche orchestrale e quindi decisi di suonare scalza. Mi trovai perfettamente a mio agio, provai una sensazione quasi animalesca: mi sentivo più radicata al suolo, più empatica con le vibrazioni create nel legno del palco dal suono». Soprattutto si sentì più sicura: «Prima di esibirmi in pubblico ero talmente nervosa – un po’ lo sono ancora – che talvolta dovevano letteralmente trascinarmi fuori dalla toilette; l’esibirmi scalza è stato terapeutico anche per questo».
Arrivata a 39 anni, ormai a una ventina da quei primi passi mossi sul red carpet del concertismo mondiale, dà a questa sua peculiarità un nuovo senso: «Non salgo su un palco per ripetere la lezioncina come un pappagallo, un concerto è la somma di tanti elementi: le note, la sala, i miei sentimenti e quelli del pubblico; suonare è come preparare una torta: gli ingredienti sono gli stessi, la ricetta non cambia, ma come esattamente uscirà dal forno, più o meno buona, perfetta o un po’ sformata, non lo si può dire in anticipo. E siccome per casa io giro scalza, non mettermi le scarpe ora mi dà anche la sensazione di invitare il pubblico a casa mia, metterlo comodo e preparagli davanti una buona torta». Così è Patricia, un’anticonformista che non ha paura delle sue idee: «Odio i farisei, voglio essere una studentessa per tutta la vita: non mi interessa fare tutto giusto, cerco idee originali, prospettive nuove; ma quando m’accorgo che il pubblico non le capisce ci rimango malissimo, mi sembra di cadere dal ventesimo piano». È già capitato che il pubblico non apprezzasse le sue interpretazioni; d’altronde le sue sono idee forti, non possono lasciare indifferenti, costringono a prendere una posizione; come si suol dire, o le si ama o le si disprezza, senza
mezzi termini. Ad esempio il suo pensiero sull’utilità della bruttezza: «È utile ascoltare talvolta musica non perfetta, non rifinita, non corretta, diciamolo: ascoltare momenti di musica brutta. Si può conoscere la pace senza saper nulla della guerra? Il bianco senza il nero, la salute senza la malattia? Una musica perfetta e uguale a se stessa sarebbe solo un noiosissimo kitsch». È troppo facile vendere i biglietti sfruttando il «fattore B» (così lei chiama Bach, Beethoven, Brahms, Bruckner e Bruch) e gli altri grandi classici, «ma io voglio sperimentare qualcosa di diverso; a chi mi dice che sia da folli rispondo che ogni tanto un po’ di pazzia è forse meglio della piatta normalità». Per questo «ho suonato tutti i brani più famosi, ma il concerto più eccitante, sfidante ed esaltante che abbia mai affrontato è quello composto da Ligeti nel 1992: sembra di entrare in un museo dove sono custoditi e rivisitati dieci secoli di storia musicale». L’ha suonato a gennaio, al suo debutto alla Scala; tanto per cambiare ha stupito tutti, mettendosi a cantare durante la cadenza: «È il momento in cui l’orchestra tace e il solista è libero anche di improvvisare; Ligeti non prescrive il canto ma neppure lo impedisce, quindi mi son detta: vuoi mettere che bello dire che anch’io ho cantato alla Scala? Niente grandi arie, ovvio: ho imitato la
melodia dell’ocarina, presente nell’organico orchestrale per dare un colore tutto suo a questa pagina». Fantasia e libertà: Kopatchinskaja le iniziò a declinare nella sua personalità fin dalla prima giovinezza: «Mamma e papà erano musicisti, suonavano in un gruppo folk e così in casa non esistevano spartiti; iniziò a usarli papà per permettermi di suonare con loro». Il quadretto domestico si trasforma in attività redditizia col trasferimento a Vienna: «Avvenne nel 1990, avevo tredici anni. Era crollato il muro e anche per la Moldavia, che era stata dominata da Romania e Unione Sovietica, si aprì un periodo tormentato; c’era tanta povertà, lì non c’era futuro, diceva mio padre, dovevo suonare e non comporre – la mia grande passione – perché scrivendo musica non si fanno soldi, mi ripeteva il mio insegnante. Andammo a Vienna, io suonavo con papà nei ristoranti e nelle chiese». Da lì alle sale da concerto il passo non fu lungo: «Ma non fui una bambina prodigio: entrai all’Accademia viennese a 17 anni, a 21 vinsi una borsa di studio e andai a Berna, dove vinsi il concorso del Credit Suisse». Da lì la carriera esplose, anche se non secondo i canoni dello star system: «Fin dall’inizio ho evitato i concerti che in quel momento non sentivo nelle mie
Patricia Kopatchinskaja si è esibita anche nell’ambito delle tournée organizzate dal Percento culturale Migros. (Keystone)
corde; quando mi offrirono ad esempio Dvorak e Brahms risposi: non hanno bisogno di me, non voglio disturbare quella musica suonandola». Ci sarebbero state mille ragioni (anche economiche) per accettare «ma la ragione è nemica dell’istinto e io suono seguendo l’istinto perché la musica serve per comunicare ciò che non si può esprimere con la logica e le parole».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Cultura e Spettacoli
Cose detestabili
Affinità elettive Degli amori (anche di quelli più appassionati) ci si dimentica,
dei grandi odî invece no: ecco perché è nata la nuova App di incontri «Hater»
The First Family e il loro fotografo Mostre Alla Fine
Art di Lugano alcuni momenti sereni dei Kennedy
Mariarosa Mancuso «Non è perché vi piacciono le stesse schifezze che vi innamorerete e starete insieme tutta la vita». La pillola di saggezza è in un film d’amore colpevolmente trascurato, se al cinema ci fosse giustizia dovrebbe essere – se non l’Harry ti presento Sally dei nostri tempi – almeno un titolo che tutti ricordano. Invece bisogna raccontarne la trama – ragazzo si innamora di una ragazza che lo considera un amico e basta – e la cronologia scombinata. Solo allora si riesce a strappare un «Sì, l’avevo visto» (sottinteso: «e non mi pareva granché»). Diretto da Mark Webb, intitolato per gli spettatori italofoni (500) giorni insieme – ardita traduzione di 500 Days of Summer, laddove Summer era il nome dell’amata – ha una ragazzina più sveglia della sua età come segretaria galante. È lei a rivelare all’innamoratissimo Joseph Gordon-Levitt la triste – e incontrovertibile – verità. La coincidenza dei gusti non garantisce amore eterno. (Sarà pur venuta anche a voi, davanti a un antipatico che vi dà ragione su ogni cosa, la voglia di cambiare idea per contraddirlo). Forse l’odio funziona meglio. In effetti, ai festival cinematografici si stringono meravigliose amicizie – e si sa che poi da cosa nasce cosa – quando capita di uscire nello stesso momento dallo stesso film. I titoli di testa erano scarsi, la prima scena poco interessante, nella seconda non succedeva nulla… Pazientiamo, finché arriva il momento della rabbia: «no, questo no!». Usciamo, e se qualcuno si alza per lasciare la sala nello stesso momento potrebbe essere la nostra anima gemella. Funziona secondo questo principio «Hater», la nuova app di incontri messa a punto da Brendan Alper. «Condividi quel che odi con le persone che ami» è lo slogan, piuttosto convin-
Giovanni Medolago
Come si diceva un tempo, «Chi disprezza ama». (Keystone)
cente. Si sa che gli amori possono finire, ma un odio – come un divorzio, ce l’ha insegnato Woody Allen – dura una vita intera. Gli amori si dimenticano, di certi brutti libri e brutti film non riusciamo a liberarci (soprattutto quelli che sembrano piacere al resto del mondo, senza eccezione alcuna, tornano sempre fuori e per l’ennesima volta dobbiamo stare su L’attimo fuggente). Ne ricordiamo i dettagli – vale per i libri, per i film, per i fidanzati insopportabili – più di quanto ricordiamo i dettagli delle cose amate. Le domande di «Hater» per saggiare la compatibilità sono piuttosto generiche. Alzi la mano chi potrebbe dire «mi piace Linkedin» (vabbé, tranne gli iscritti che ci tormentano con richieste di entrare nella rete). La domanda su Donald Trump pare ovvia ma forse non lo è: stiamo assistendo a una convergenza di interessi tra gli oppositori della globalizzazione (che la
sinistra fosse retrograda lo sospettavamo da un pezzo). Ne servirebbero altre, più attuali. Per esempio: ti è piaciuto La La Land di Damien Chazelle? Da tempo non si litigava tanto per un film. Invece abbiamo la fila fuori, tutti con il loro tagliandino da turno in salumeria, tutti vogliosi di trovare difetti al film candidato a 14 Oscar. Viene da dire: cosa guardate di solito, se non vi piace un magnifico musical moderno, con due attori strepitosi, una splendida colonna sonora e numeri di ballo originali. Girato da un trentenne, perdipiù. Bisognerebbe inserire domande su temi sensibili come «Ti piace Elena Ferrante?» (mai faremmo coppia con qualcuno che risponde «Sì, un sacco»). «Ti piace Roberto Saviano» è già una domanda un po’ scaduta, e la faccenda della scorta fa sì che uno dica «sì» in automatico, per non sembrare «Franti l’infame che sorrise». Nel libro Cuore di
Edmondo De Amicis, che peraltro piace parecchio a uno scrittore bravo come Abraham B. Yehoshua, districarsi tra i gusti e i disgusti delle persone che ci piacciono è ancora più difficile, prima di scoprirlo avevamo sempre ridacchiato sul libro Cuore. Mettersi insieme in base all’odio condiviso ha un altro vantaggio. Per fare bella figura in fase di corteggiamento spesso capita di accompagnare un film o un libro dalla fatale frase «mi ha cambiato la vita». Il primo consiglio sarebbe scappare via subito per la frase, non importa il titolo del libro o del film (chi si fa cambiare la vita da un libro o da un film quasi mai ne legge o ne vede un secondo). Se restate, perché la frase non vi infastidisce come infastidisce noi, passate subito all’elenco delle cose che non piacciono. L’amore si può fingere. L’odio traspare. Se il corteggiato o la corteggiata mentono, sarà più facile smascherarli.
Belli, glamour, sexy (sebbene all’epoca si potesse appena sussurrarlo), giovani, innamorati, ricchi e potenti: John F. Kennedy e sua moglie Jacqueline Bouvier avevano tutto per diventare prede privilegiate di fotoreporter, operatori televisivi e giornalisti a caccia di scoop. Fu una vera corte dei miracoli quella che si buttò a capofitto sulla coppia più celebre e celebrata del mondo, attirata anche perché JFK – discendente di una famiglia abituata a flirtare col potere – quale politico era al tempo stesso il più giovane e il primo inquilino cattolico che entrava alla Casa Bianca. Era l’epoca in cui alla stampa si affiancava vieppiù prepotentemente la televisione e JFK si dimostrò subito in grado di bucare lo schermo, tant’è che – ma gli storici non sono unanimi – sembra vinse le elezioni del 1960 perché risultò più convincente del suo rivale Richard Nixon nei dibattiti televisivi andati in onda durante la campagna elettorale. Per nostra fortuna, tra chi fu ammesso al 1600 di Pennsylvania Avenue c’erano anche fotografi che amavano profondamente il proprio lavoro e mai avrebbero «rubato» un’immagine alla famiglia del Presidente. Tra questi Mark Shaw, che conosceva Jackie sin
Tra verbi e anglicismi
Editoria Originale introduzione alla linguistica, e alla lingua italiana in particolare,
in un libro di Francesco Sabatini Stefano Vassere «Il cittadino seguace dell’andazzo potrebbe così accorgersi di essersi adeguato nell’uso di un italo-anglismo liquido e di avere, in sostanza, delegato ad altri parlanti, di un altro popolo, l’interpretazione esatta del mondo mediante le parole. Oppure, saprà che ha rifiutato di far parte della comunità in cui vive così com’essa è e che non intende migliorarla». Nella linguistica italiana, Francesco Sabatini è figura importante per almeno tre cose: perché è autorecuratore del Disc, Dizionario italiano Sabatini Coletti, insieme a Vittorio Coletti (il primo dizionario pensato per cartaceo e cd rom insieme); perché è stato presidente dell’Accademia della Crusca; perché (il terzo motivo è noto perlopiù ai linguisti ma non è da meno) è stato il massimo teorico della nozione di «italiano dell’uso medio». Quest’ultimo concetto è importante: a furia di analizzare le varietà dell’italiano, regionali, popolari, gergali, specialistiche ecc. ecc., di botto ci si è resi conto (Sabatini appunto, prima di altri) che ci eravamo scordati di identificare e descrivere l’italiano «normale», quello che sta a metà di tutti i crocevia sociolinguistici, l’italiano standard, quello della nuova norma, l’italiano e basta, insomma.
Il linguista italiano Francesco Sabatini. (youtube)
Ora Sabatini, che ha oggi ottantacinque anni, pubblica questo Lezione di italiano. Non fosse che proprio in questo libro egli dimostra grande vitalità e voglia di spaccare il mondo della linguistica, non fosse che gran parte del libro stesso è percorsa da avanguardie del genere (cognitivismo, neurolinguistica, la sintassi più avanzata, posizioni intelligentissime
Uno degli scatti esposti: la mostra è aperta fino al 24 febbraio. (Mark Shaw)
sull’influsso dell’inglese e molto altro), non fosse infine che tutti gli augurano ancora molti e molti anni da raffinato studioso; non fosse per tutti questi «non fosse», si potrebbe chiamare questo libro una sorta di immaginifico testamento. Che è originale già nella struttura: dieci Dialoghi, alcune Provocazioni, dieci Inviti e una Conclusione, in un incedere rabelaisiano che solo uno studioso-narratore di questo formato può permettersi di padroneggiare. Il lettore, anche specialista, che cerchi di identificare un tracciato classico e prevedibile di questo autentico luna park saggistico si perderà spesso, crederà più e più volte di avere smarrito il cammino; ma poi, come si conviene alla migliore classica fiction letteraria, si ritroverà con la bisaccia piena di nozioni e originalità di vario tipo alla fine del percorso e a Sabatini sarà quindi molto grato. La fabbrica neurologica del linguaggio, le avanguardie della percezione cognitiva, l’origine delle lingue indoeuropee, i canoni classici della letteratura italiana, la necessità dell’analisi testuale accanto a quella grammaticale. Della grammatica, Sabatini percorre i modelli più avanzati e affascinanti, come quello che si deve al geniale francese Lucien Tesnière, il primo (molto prima del padrone della linguistica moderna
Noam Chomsky) a stabilire il ruolo strutturale del verbo come generatore dell’intera trama frasale; secondo Tesnière il verbo è una specie di nucleo originale che, nelle condizioni ideali, esplode letteralmente fuori il soggetto, i complementi e tutto il resto della frase compiuta. È da lì, da interpretazioni quasi simboliche come questa, che, si sa, la linguistica viene ammessa al tavolo delle scienze moderne e con loro inizia a condividere dignità. Francesco Sabatini è sempre stato e continua a essere linguista d’avanguardia e di frontiera. Le pagine sul problema che assilla e costringe ogni lingua naturale al mondo escluso l’inglese hanno ragionamenti formidabili. Chiude il libro il corredo di domande che un parlante moderno dovrebbe sempre porsi di fronte al possibile uso di un anglicismo: «Sei veramente padrone del significato di quel termine?», «Lo sai pronunciare correttamente?», «Lo sai anche scrivere correttamente?», «Sei sicuro che il tuo interlocutore lo comprende?». Se non sai tutto ciò, amico, quell’anglicismo, lascialo perdere! Bibliografia
Francesco Sabatini, Lezione di italiano. Grammatica, storia, buon uso. Milano, Mondadori, 2016.
dagli Anni 50, quando lei era ancora una modella e lui fu inviato a Parigi dalla rivista «Life» a documentare la rivoluzione della haute couture. Autore di un trittico che sembra un omaggio al film Casablanca (nomenomen!), Mark Shaw fa la parte del leone nella mostra allestita alla Photographica Fine Art di Lugano e intitolata La famiglia Kennedy alla Casa Bianca. Divenuto amico di famiglia, Shaw (19211969) ebbe modo di cogliere i Kennedy anche nei momenti (apparentemente?) sereni vissuti dal Presidente e sua moglie lontani dalla Casa Bianca, quando potevano abbandonarsi alla tenerezza giocando con i loro figli Caroline e John John. In particolare Jackie si dimostra una mamma affettuosa e pronta ad assecondare le curiosità dei suoi bimbi. Il nome più illustre presente nella Galleria luganese è tuttavia quello di Cornell Capa, già al seguito di JFK durante la sua campagna elettorale e autore di un ritratto in absentia del Presidente: solo una parte della sua testa si vede dietro la sedia su cui spicca la targa con una data, 20 gennaio 1961, quando Kennedy si trasferì alla Casa Bianca. Di George P. Dumont è l’unica immagine scattata dopo la tragedia di Dallas: all’inaugurazione del museo dedicato ai cimeli del marito, Jacqueline mostra un sorriso che appare attonito e disincantato.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Pregiudizi vittime di pregiudizi Il pregiudizio universale è l’indovinato titolo di un libro pubblicato lo scorso anno dalla casa editrice Laterza. Il sottotitolo lo definisce «un catalogo d’autore di pregiudizi e luoghi comuni». Gli autori coinvolti sono 87, tutti italiani meno uno, il compianto Zygmunt Bauman, impegnato a demolire il luogo comune che afferma: «Non c’è più religione». A lui dobbiamo la migliore definizione del bersaglio del libro: «Il pregiudizio è dogmatico; quelli che li abbracciano rifiutano l’argomentazione e chiudono le orecchie ai giudizi contrari al proprio per paura di dover ammorbidire le loro convinzioni. Quando si trovano davanti a un’idea differente da quella cui sono affezionate, le persone prigioniere di pregiudizi non sottopongono l’affermazione contraria a una verifica, ma – risparmiandosi il fastidio di ascoltare e ancor più di capire – la liquidano sulla base dell’aprioristica infallibilità di quella che per loro è la verità». I pregiudizi sono ordinati per ordine alfabetico, non per nome dell’autore ma per la parola chiave dell’argomento, dall’Abito (che
non fa il monaco) al Web (che uccide le librerie). Il lettore è invitato a un impegnativo braccio di ferro perché, chi più chi meno, siamo tutti affezionati a qualche idea che pensavamo fosse vera e provata prima di sottoporla a questa macchina della verità. Parlo per me, naturalmente. C’è nel libro un unico caso di luogo comune trattato due volte: «Buon sangue non mente». Una prima volta da Alberto Maria Banti, storico, e una seconda da Telmo Pievani, epistemologo. Si sono messi in due ma non mi hanno del tutto convinto. Una prima confutazione si trova in casa: la casa editrice del libro, la Giuseppe Laterza e figli, è nata nel 1886 a Putignano, provincia di Bari. 131 anni di vita e cinque generazioni della stessa famiglia provano che in questo caso il sangue non mente. La storia della musica è ricca di esempi, dalla famiglia Bach a Giacomo Puccini che arriva dopo cinque generazioni di musicisti. È altresì vero che Giuseppe Verdi era figlio di un vinaio; se i suoi due figli non fossero morti in tenera età, forse avrebbero camminato sulle orme
del padre. Nessuno può dirlo. Un caso lampante di continuità nelle generazioni è offerto dal cinema italiano dominato dalle famiglie; sono tante, dai De Sica, ai Gassman, ai Tognazzi, ai Comencini, ai Risi, ai Vanzina (il capostipite si firmava Steno). Con qualche eccezione: Carlo Calenda, figlio di Cristina Comencini, ha preferito fare il ministro dello sviluppo economico. Però, quando era un bambino ha ricoperto il ruolo del protagonista nella versione televisiva di Cuore di De Amicis, diretto da suo nonno Luigi. Proseguendo nella lettura alcune certezze vacillano. Andrea Carandini, nato signore, demolisce l’affermazione «Signori si nasce». Sarà. A me sarebbe piaciuto nascere signore, avrei saputo come fare il baciamano alle signore; non avrei dovuto rinunciare a mangiare certe portate ai pranzi di gala, non sapendo quale era il modo corretto di portare alla bocca le ostriche, l’aragosta o i gamberi nella polpa di avocado; non avrei rubato il pane dal piattino della mia vicina di posto. Molti pregiudizi sono riferiti alle donne e la loro confutazione trova il no-
stro entusiastico consenso. Sebastiano Mauri si dedica all’affermazione: «Dio creò la donna dalla costola dell’uomo» e ci stimola a riflettere su aspetti dati per scontati: «Anche linguisticamente gli uomini sono ben protetti dai gelidi spifferi dell’eguaglianza. Basta un uomo in mezzo a cento donne, per rendere un gruppo maschile: loro sono arrivati, non arrivate». Ricordiamo il tema di uno scolaro di Parma: «Il Signore vide Adamo che era triste e disse: “Facciamolo andare a donne”. Così creò Eva». L’editore ha deciso di escludere dall’elenco i pregiudizi campanilistici poiché, a suo dire, il libro avrebbe assunto dimensioni mostruose. Mi sono permesso di aggiungere, nelle quattro pagine bianche in fondo al volume, i due riferiti al mio campanile, che mi venivano ricordati ogni volta che, in giro per l’Italia, l’accento rivelava la mia origine. Dicevano: «Torinesi falsi e cortesi» e io replicavo: «Sempre meglio che sinceri e maleducati». Per fortuna lo si ascolta sempre meno forse perché la cortesia è diventata un bene prezioso. E pazienza se è accoppiata alla falsità.
Che poi a guardare bene, più che altro è frutto di un’attenzione tesa a non urtare la sensibilità altrui. Il secondo pregiudizio suona: «Torinesi bogia nen» dove la O senza accento si legge U e «bogia nen» letteralmente significa «non ti muovere». È utilizzato per accusarci di essere tetragoni a ogni cambiamento, fedeli alle tradizioni. Benissimo, se il «bogia nen» è l’opposto di voltagabbana, del tifoso che rinnega la squadra del cuore quando perde, del politico che cambia partito per restare in sella. Per ribaltare la qualifica da negativa in positiva è sufficiente ricordarne l’origine: il 19 luglio 1747 al colle dell’Assietta quando il conte di Bricherasio con quel «bogia nen» ordinò ai soldati piemontesi che stavano per scontrarsi con i francesi (10 battaglioni contro 38) di non arretrare di fronte al nemico. Quel «bogia nen» contiene tanti significati, anche la disapprovazione per chi cambia stile di vita e il giudizio positivo per chi «sa stare al suo posto». Il guaio è che nessuno di noi, nella «società liquida» teorizzata da Bauman, sa più quale sia il suo posto.
che triste tornare in città. Per fortuna che arrivano con noi anche le nuove collezioni dell’autunno e dell’inverno, che ci portano per mano alle luminarie natalizie, spesso accese già da ottobre. Insomma, c’è sempre un motivo che fa dell’acquisto quasi un dovere. Come rinnegarlo proprio il giorno dedicato agli innamorati? Infatti non ci sarebbe nulla di particolare, rispetto agli altri suggerimenti per gli acquisti, non fosse che l’ampiezza della tematica «amore» e la trasversalità del simbolo del cuore, che fanno diventare il giorno di San Valentino una festa del peso commerciale poco al di sotto del Natale. Gioielli, biancheria, fiori, solite cose. Però quest’anno ho visto cuori anche nelle farmacie, regalavano rose in un negozio di telefoni, il tabaccaio smerciava baci di cioccolato. Qui si sfiora il sublime, inteso kantianamente come attrazione e paura delle forze della natura: paura della passione, ritenuta pericolosa a tutte le età. Paura
della solitudine, un abisso che non si vuole nemmeno nominare; paura, terrore della dipendenza da altri. Infine, per mettere una fine alle paure, panico esistenziale, perché potrebbe darsi che chi ci ama non ci ami abbastanza, e noi lo sappiamo che nessun amore sarà mai bastevole, abbastanza. Poi attrazione: per il colore rosso, per la forma inequivocabile del simbolico cuore, perché, chissà, potremmo essere o essere stati amati quasi abbastanza. O potrebbe accadere in futuro, chi può impedirci di sognare, di sperare. O forse ci sentiamo di amare, tanto, di certo più di quel che basta. E tutto questo passa davanti agli occhi mentre entriamo in farmacia, ancora l’influenza, non bastano le aspirine. A meno che, tra cuori che sorridono appesi qua e là, l’aspirina non diventi un nuovo pegno d’amore. Dall’anno prossimo, scatole rosse con i cuori, per le aspirine comprate a febbraio. Sarà bieco marketing, ma mette tanta allegria.
elettrodomestico: la lavatrice, per esempio, puoi anche tenerla accesa per 24 ore, ma non è detto che tu stia tutto il giorno fisso davanti all’oblò a guardare il carrello che gira. Così, può succedere di lasciare andare il televisore su Rai Uno per un’intera serata e nottata semplicemente perché ti sei addormentato sul divano, stremato dalla noia, con il telecomando caduto sul tappeto. Tutto fa share, anche il sonno: anzi, più noia, più sonno, più share. Anche un popolo che russa sul divano con il televisore rimasto accesso contribuisce all’auditel. Per fortuna, c’era il dopo Festival, per quelli che, dopo cinque ore di sonno, avevano voglia di continuare a dormire anche sulle chiacchiere meta-sanremesi fino alle tre di notte. Secondo lo psicologo Richard Wiseman, dell’Università dell’Hertfordshire (ma esisterà davvero?), ci sono 8 regole d’oro per un sonno perfetto. Sono elencate nel recente libro Il potere del sonno
(Vallardi), che (3) sconsiglio vivamente a chi voglia risolvere l’insonnia. Basti scorrere solo quattro delle regolette proposte da Wiseman per decidere di lasciar perdere: 1. sforzarsi di sbadigliare, immaginare le palpebre pesanti e le gambe gonfie, fingere con sé stessi di aver avuto una giornata estenuante; 2. usare un paradosso: costringersi a restare svegli sarebbe un modo infallibile per addormentarsi; 3. se vi svegliate nel cuore della notte con il pensiero di una faccenda urgente da svolgere il giorno dopo, prendete un appunto e tornate a dormire. Vi paiono rimedi seri? Legittimo dubitare. In compenso, per chi abbia ricominciato a soffrire di insonnia dopo le benvenute soporifere nottate di Sanremo, c’è sempre la certezza di ricominciare a dormire tra un anno durante la 68esima edizione del Festival. Nel frattempo, magari, provare a prender sonno sfogliando i nuovi «contenuti di spessore» proposti da «Playboy».
Postille filosofiche di Maria Bettetini Scatole a forma di cuore piene di aspirina Senza vergogna, una festa così fragile come San Valentino viene sfruttata da commercianti e organizzatori dei campi più disparati. La crisi non accenna a passare, servono ragioni in più per comprare: dopo l’esplosione natalizia, mentre dal 24 dicembre molti negozi fanno sapere di essere disposti a cominciare i saldi di nascosto per i clienti affezionati, ai primi di gennaio i saldi cominciano la gara a chi salda di più, del cinquanta, settanta, novanta per cento, fino a giungere agli omaggi, se compri una borsa te ne regaliamo un’altra, se acquisti un paio di occhiali, per un franco te ne diamo un altro. Segnali della disperazione che ha preso commercianti piccoli e grandi. E avanti: in gennaio, insieme ai saldi, «la fiera del bianco» spinge a sentire bisogni impellenti, come l’acquisto di lenzuola e tovaglie che infileremo negli armadi cercando di superare quel problema dell’impenetrabilità dei corpi. Poi San Valentino, di cui diremo, e subito dopo
San Faustino, che pensavo indicasse il fausto giorno del mio compleanno e che invece è il patrono dei single, invitati a feste e acquisti su misura. È un attimo e il carnevale è alle porte, dolci, coriandoli, maschere per grandi e piccini. La Quaresima, invece, invitando alla privazione piuttosto che al consumo, non è presa in considerazione dal marketing che ora avrà ben altro per la testa, ossia la festa della donna, con le sue mimose, le serate tra girls, i raffinati spettacoli che, dopo il 1997 di Full Monty, propongono maschi smutandati come serate di famiglia. Undici giorni e abbiamo la festa del papà, cravatte, cioccolatini e liquori (chi ha deciso che siano i regali più desiderati, poi). Nel frattempo fioriscono i ciliegi e le uova di Pasqua, con coniglietti e speciali peluche. Tra l’altro, non vi siete accorti che è già primavera? Buttate, riponete gli abiti scuri e tristi, vestitevi di rosa, azzurro, verdino, riprendete il benedetto shopping che vi ha fatto trascorrere i fine settimana di
gennaio in cerca di occasioni. Mentre dunque siamo, almeno in teoria, re-introdotti nei negozi per rinfrescare il guardaroba, non ci sfugge la vicina festa della mamma, fiorito e dolciastro prodromo dell’estate, che a sua volta ci chiama ad acquistare costumi da bagno, sandali, borse, tutto nei colori solari di agosto, e non importa se siamo ancora a maggio. Certo, basterebbe aspettare fine giugno per ricominciare il giro dei saldi, ma in questi casi spesso ci coglie la sindrome «del nato povero», di chi ha avuto poco o niente e non perde alcuna occasione per afferrare ogni possibilità di avere (e se poi non lo trovassi più?). Tra acquisti impulsivi e saldi partiamo dunque per le vacanze, dove ci raggiungerà l’obbligo di acquistare oggetti, cibi e abiti tipici dei luoghi visitati: l’hanno capito ormai tutti, non c’è frazione per quanto spoglia e priva di fascino che non abbia almeno una sagra, un festival, un mercatino, insomma un’occasione per vendere ai turisti poco accorti. Poi,
Voti d’aria di Paolo Di Stefano La sfida dei «contenuti di spessore» La notizia è questa: «Playboy», il noto mensile erotico americano nato nel 1953 e rivolto al pubblico maschile, ha fatto marcia indietro. Nel marzo 2016 aveva annunciato di rinunciare al nudo in copertina, ma la settimana scorsa ci ha ripensato. Cooper Hefner, figlio venticinquenne del fondatore, ha ammesso l’errore: «Ci riappropriamo della nostra identità, dunque tornano le donne senza veli». Viene invece cancellato il sottotitolo: «Entertainment for men» (intrattenimento per uomini). Datato. Così come, secondo l’editore, è datato il modo di ritrarre le nudità che pure, negli anni Settanta, aveva portato la rivista a vendere quasi sei milioni di copie. In realtà, al netto del buono o del cattivo gusto, era evidente a chiunque, già nel marzo di un anno fa, che rinunciare al nudo per «Playboy» sarebbe stato come per la «Gazzetta dello Sport» rinunciare al calcio e per il «Financial Times» tagliare dalle proprie rubriche la pagina
sui mercati finanziari. Si potrebbe mai immaginare «Novella 2000» senza pettegolezzo, senza fidanzati e amanti segreti che si incontrano, si baciano in Piazza Duomo nell’ora di punta per non farsi scoprire, si prendono e si abbandonano, si perdono e si ritrovano, si intrecciano, si scambiano, si tradiscono, si mandano a quel paese, si ribaciano e si ritradiscono e si rimandano a quel paese? Sarebbe mai pensabile il settimanale «Chi» senza indiscrezioni sugli slip di Valeria Marini? No, non sarebbe pensabile. La sfida di «Playboy», ha proclamato Hefner, è attirare su «contenuti di spessore» (sic!) le nuove generazioni dell’era digitale. Sul significato della formula «contenuti di spessore» ciascuno è ovviamente libero di sbizzarrirsi come vuole, meno lecito discutere il voto al professor Hefner: 2. Del resto, anche la 67esima edizione del Festival di Sanremo (3– di scoraggiamento) ha puntato sui «contenuti di
spessore»: l’appello contro il bullismo, la campagna per i terremotati, la sensibilizzazione verso i malati di Sla, il sostegno agli «eroi di tutti i giorni», vigili del fuoco, soccorritori, crocerossini, operatori della Protezione civile. «Contenuti di spessore» come le polemiche sulla mano di Diletta Leotta che teneva ben aperto lo spacco già in sé vertiginoso di un vestitino senza spessore su un contenuto fisico indubbiamente di spessore? Mescolare i «contenuti di spessore» con quelli senza spessore toglie spessore anche ai contenuti che, in sé, avrebbero spessore. E spesso e volentieri i «contenuti di spessore» rivelano anche la malafede, essendo la più classica e sfacciata delle foglie di fico. Eppure, un boom di ascolti. Ma chi lo dice quanti sono quelli che l’hanno ascoltato davvero, svegli e concentrati? Come diceva Alessandro Bergonzoni (5½) a proposito dell’auditel e dello share, la tv non è diversa da un altro
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Tipici sapori invernali
Flavia Leuenberger
Attualità La verza dei nostri campi apporta gusto e salubrità durante la stagione fredda
1
Come tutti i cavoli, anche la verza è ricca di vitamine C, K, acido folico, fibre e proteine. Il caratteristico aroma è dato dai glucosinolati, sostanze che posseggono anche proprietà antibatteriche. I grassi sono praticamente assenti. In frigorifero, la verza si conserva fino a due settimane. Per preservare il colore anche dopo lessatura, passare le foglie di verza sotto l’acqua fredda.
2
Conosciuta fin dal 16° secolo, la verza ha origini nord-mediterranee. Di questo cavolo si distinguono le varietà precoci, semi-precoci, autunnali e invernali. Le verze invernali possono resistere senza subire particolari danni a temperature fino a – 15°C. Le verze invernali vengono lasciate sul campo e raccolte a seconda del bisogno tra fine ottobre e marzo.
3
Le verze fanno parte della grande famiglia delle Crucifere che comprende, oltre ai diversi cavoli, anche i ravanelli, il crescione, i broccoli, la rucola, il rafano e persino la senape. Caratteristica delle Crucifere è il fiore che porta quattro petali a croce (da qui il nome). Questa famiglia di ortaggi conta ben quattrocento specie differenti.
4
La verza possiede foglie verdi arricciate e può essere consumata sia cotta che cruda. È apprezzata nelle minestre, in insalata, sotto forma di involtini ripieni, oppure come ingrediente indispensabile della «casoeula», piatto tipico invernale a base di vari tagli di maiale e verza, nonché nei pizzoccheri. Il momento ideale per cucinare le verze è quando hanno preso il gelo nei campi perché risultano più dolci, asciutte e tenere rispetto alle varietà precoci.
Luca Belossi, orticoltore a Cadenazzo, è titolare alla quarta generazione dell’omonima azienda agricola a conduzione familiare ed è produttore per Migros Ticino.
«Nella nostra azienda agricola coltiviamo le verze su una superficie di ca. 2 ettari. La produzione annuale si situa sulle 40’000 unità. La maggioranza degli ortaggi viene smerciata sul mercato ticinese. Quella delle verze è una coltura che non richiede particolari cure. Le irrigazioni sono praticamente nulle. Dei trattamenti vengono effettuati solo in caso di attacchi di parassiti. Le piantine sono trapiantate in piena terra nel mese di luglio e già da ottobre si possono raccogliere le prime verdure. La raccolta si protrae successivamente a scaglioni fino a marzo. La verza la consumo regolarmente: nel minestrone, come involtini ripieni di carne oppure nella “casoeula”. Inoltre, sembra che gli impacchi di verza abbiano buone proprietà antinfiammatorie in caso di contusioni, dolori muscolari e mal di schiena».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
42
Idee e acquisti per la settimana
Sostenibilità garantita
Attualità Acquistando pesce fresco alla Migros potete essere certi di consumare specialità ittiche con la coscienza
tranquilla. Il 100 per cento dell’assortimento proviene infatti da fonti sostenibili. Il pesce certificato MSC ne è un esempio
Le quattro varietà di pesce fresco certificate MSC più apprezzate dalla clientela di Migros Ticino sono – in ordine di preferenza – passera, merluzzo, salmone e scorfano. Oltre alle loro carni delicate e nutrienti, i consumatori apprezzano tuttavia anche il fatto che queste prelibatezze ittiche vengano pescate nel rispetto della relativa specie e dell’habitat in cui vivono. MSC è uno dei tre marchi Migros sinonimo di una pesca sostenibile certificata – gli altri sono ASC e Migros Bio – classificati come «consigliati» dalle valutazioni del WWF. L’assortimento viene annualmente verificato in collaborazione con l’organizzazione ambientalista e se delle specie risultano minacciate vengono subito escluse dall’offerta Migros. Migros è stato il primo dettagliante in Svizzera a proporre pesce fresco certificato MSC presso i suoi banchi del pesce. Prediligere questo pesce vuol dire contribuire alla salvaguardia del patrimonio ittico. Gli specialisti del pesce dei supermercati Migros di Serfontana, Lugano, Agno, S. Antonino e Locarno sono a completa disposizione per rispondere alle vostre domande relative ai marchi sostenibili e per consigliarvi al meglio affinché possiate portare in tavola sempre nuovi piaceri gastronomici. www.migros.ch/pesce
MSC (Marine Stewardship Council) è sinonimo di una pesca sostenibile e certificata. Il pesce e i frutti di mare con questo marchio provengono sempre da pesca selvatica. L’MSC contribuisce sostanzialmente a preservare la risorse, ossia i pesci e il loro ambiente, nei mari e negli oceani del pianeta.
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Passera, capesante, scorfano, salmone, merluzzo... Ai banchi del pesce Migros la scelta di pesce certificato MSC è ampia e variegata. (Flavia Leuenberger)
Acquistare online e ritirare in filiale
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online la comodità è di casa Non siete a casa quando il postino consegna il pacco ordinato e non avete tempo per ritirarlo negli orari di punta della Posta oppure al sabato mattina? Con PickMup della Migros tutto questo non è più un problema. Questo servizio offre infatti la possibilità alla clientela Migros di effettuare ordini online in uno dei negozi specializzati – p. es. Micasa, SportXX, Do it + Garden, Digitec, Ex Libris – e di ritirare comodamente la merce direttamente presso la filiale Migros più vicina mentre si effettua la spesa abituale. Il servizio di ritiro è offerto non solo nei principali punti vendita Migros, ma anche in quelli più periferici con assortimento limitato (vedi box). PickMup completa idealmente il già apprezzato e affermato servizio LeShop, il supermercato Migros online di consegna a domicilio. Info e ordinazioni su: www.pickmup.ch
Punti di ritiro PickMup • Migros Arbedo-Castione • Migros Bellinzona • Migros Biasca • Migros Agno • Migros S. Antonino • Migros Crocifisso • Migros Grancia • Migros Locarno • Migros Lugano • Migros Solduno • Migros Mendrisio Sud • Migros Minusio • Migros Serfontana • Migros Pregassona • Migros Taverne
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Idee e acquisti per la settimana
Migusto
Benvenuti nel club
Migusto è la nuova piattaforma di cucina della Migros su Internet. Con istruzioni filmate e brevi animazioni anche i principianti saranno in grado di cavarsela ai fornelli. «Azione» ha gettato uno sguardo dietro le quinte di questa complessa produzione Testo Claudia Schmidt; Foto Tina Sturzenegger
Il nuovo club culinario della Migros funziona su tutti i dispositivi, si tratti di computer, smartphone o tablet.
Azione 10X Punti Cumulus al momento della registrazione su migusto.ch
Come si diventa membri Per potersi iscrivere a Migusto bisogna essere in possesso di una carta Cumulus e di un login Migros. Dopo la registrazione con il login Migros, bisogna solo rispondere a tre domande concernenti la propria abilità in cucina, le preferenze gastronomiche, l’eventuale intolleranza al lattosio o al glutine. Un altro clic del mouse e la registrazione è conclusa. Nell’intervista a pagina 45 leggerete quali sono i vantaggi di far parte del club.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Idee e acquisti per la settimana
Migusto
Dietro le quinte
Per realizzare le ricette, i procedimenti e i video del club culinario Migusto c’è bisogno di una grande equipe di specialisti, davanti e dietro le telecamere. Ogni dettaglio viene curato nei minimi particolari affinché tutto funzioni bene anche a casa
Miriam Benz è responsabile del club culinario Migusto.
Miriam Benz
«Divertimento quotidiano in cucina» Qual è l’idea alla base di Migusto? Migusto è il nuovo club di cucina della Svizzera. Il nucleo è costituito dalla piattaforma Internet migusto.ch, che combina una grande banca dati di ricette, con filmati e glossario, a servizi e reportage quotidiani dal mondo della gastronomia. Con Migusto si tratta innanzitutto di esaltare il divertimento della cucina quotidiana e il piacere per un’alimentazione piena di sapori.
4
Che vantaggi ho diventando membro del club? Oltre ad ispirazioni e ricette, tutti coloro che si registrano gratuitamente come membri del club ottengono anche dei vantaggi: approfittano di esclusive offerte Cumulus o di sconti su prodotti e servizi in tutti i negozi Migros. Inoltre, possono utilizzare alcune funzioni online, come ad esempio creare una raccolta di ricette su Internet o annotare gli ingredienti direttamente nella lista della spesa digitale. Infine, ricevono gratuitamente la nuova rivista che nei prossimi mesi sostituirà «Cucina di stagione».
5 6
1 2
3
1 La squadra delle riprese discute la prossima sequenza filmata. Si tratta di un video di ricette. 2 La realizzatrice della ricetta Anja Steiner prepara una focaccia davanti alla telecamera. 3 La telecamera immortala tutti i passaggi, come ad esempio lo spargimento dell’olio.
4 Prima di girare si stila un copione. La regista Aurelia Schmid sorveglia il corretto susseguirsi delle riprese. 5 Un aspetto importante: all’inizio di ogni scena c’è una lavagna in cui viene riportato di quale sequenza si tratta. 6 Dagli editor di immagini ai professionisti gastronomici, passando per il produttore digitale e gli amministratori fino ai tecnici di studio: l’equipe di Migusto è numerosa e si è preparata con diligenza al lancio del club culinario.
Con quali prodotti si cucina? Su Migusto ci sarà uno stretto legame con l’assortimento Migros. Gli ingredienti delle ricette provengono in linea di massima dal nostro assortimento e si possono copiare nella lista della spesa con un semplice clic del mouse.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Idee e acquisti per la settimana
Migusto
Dietro le quinte
Per realizzare le ricette, i procedimenti e i video del club culinario Migusto c’è bisogno di una grande equipe di specialisti, davanti e dietro le telecamere. Ogni dettaglio viene curato nei minimi particolari affinché tutto funzioni bene anche a casa
Miriam Benz è responsabile del club culinario Migusto.
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«Divertimento quotidiano in cucina» Qual è l’idea alla base di Migusto? Migusto è il nuovo club di cucina della Svizzera. Il nucleo è costituito dalla piattaforma Internet migusto.ch, che combina una grande banca dati di ricette, con filmati e glossario, a servizi e reportage quotidiani dal mondo della gastronomia. Con Migusto si tratta innanzitutto di esaltare il divertimento della cucina quotidiana e il piacere per un’alimentazione piena di sapori.
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Che vantaggi ho diventando membro del club? Oltre ad ispirazioni e ricette, tutti coloro che si registrano gratuitamente come membri del club ottengono anche dei vantaggi: approfittano di esclusive offerte Cumulus o di sconti su prodotti e servizi in tutti i negozi Migros. Inoltre, possono utilizzare alcune funzioni online, come ad esempio creare una raccolta di ricette su Internet o annotare gli ingredienti direttamente nella lista della spesa digitale. Infine, ricevono gratuitamente la nuova rivista che nei prossimi mesi sostituirà «Cucina di stagione».
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1 La squadra delle riprese discute la prossima sequenza filmata. Si tratta di un video di ricette. 2 La realizzatrice della ricetta Anja Steiner prepara una focaccia davanti alla telecamera. 3 La telecamera immortala tutti i passaggi, come ad esempio lo spargimento dell’olio.
4 Prima di girare si stila un copione. La regista Aurelia Schmid sorveglia il corretto susseguirsi delle riprese. 5 Un aspetto importante: all’inizio di ogni scena c’è una lavagna in cui viene riportato di quale sequenza si tratta. 6 Dagli editor di immagini ai professionisti gastronomici, passando per il produttore digitale e gli amministratori fino ai tecnici di studio: l’equipe di Migusto è numerosa e si è preparata con diligenza al lancio del club culinario.
Con quali prodotti si cucina? Su Migusto ci sarà uno stretto legame con l’assortimento Migros. Gli ingredienti delle ricette provengono in linea di massima dal nostro assortimento e si possono copiare nella lista della spesa con un semplice clic del mouse.
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
Avocado maturo garantito Con l’avocado a pezzi surgelato di M-Classic l’ingrediente base del guacamole è sempre a portata di mano.
Consiglio Il pezzetti di avocado surgelati si scongelano al meglio nel frigorifero. Gli avocado contengono molte preziose sostanze nutritive e acidi grassi insaturi. Si utilizzano di preferenza per la preparazione di guacamole, smoothie e insalate. In Sudamerica e Asia questa bacca a forma di pera è anche spesso utilizzata nella cucina dolce. Il suo sapore dolce e neutro si armonizza particolarmente
bene con frutta, miele o cioccolato. MClassic propone come novità del suo assortimento l’avocado a pezzi surgelato ben maturo, ma non troppo. Dopo il raccolto il frutto viene subito tagliato e cosparso con qualche goccia di succo di limone affinché durante lo scongelamento non diventi marrone.
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Filetto di tonno, 2 pezzi pesca, Maldive, in vaschetta, per 100 g
STRATI DI BONTÀ Uno dei tramezzini più famosi è sicuramente il club sandwich, preparato con il pane per toast. La sfiziosa variante di stagione prevede: crauti, pancetta, cipolle e germogli di rafano. Trovi la ricetta su migusto.ch e tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.
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3.80 invece di 4.70
Mango Perù, per es. 2 pezzi, 3.30 invece di 4.80, a partire da 2 pezzi, 30% di riduzione
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Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 21.2 AL 27.2.2017, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
22.40 invece di 28.–
Formaggio fresco Cantadou in conf. da 2 alle erbe, al pepe o al rafano, 2 x 125 g, per es. alle erbe
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6.90 invece di 9.90 Asparagi verdi Messico/USA, mazzo da 1 kg
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2.30 invece di 2.90 öv nostrán (uova nostrane allevamento al suolo) Ticino, conf. da 6 pezzi, 53 g+
Formaggella ticinese 1/2 grassa prodotta in Ticino, a libero servizio, per 100 g
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a partire da 2 pezzi
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11.90 invece di 19.90 Tulipani M-Classic, mazzo da 30 disponibili in diversi colori, per es. gialli
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20% Prodotti Cornatur in conf. da 2 per es. sminuzzato di quorn, 2 x 230 g, 8.80 invece di 11.–
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Red Bull in conf. da 12, 12 x 250 ml, standard e sugarfree, per es. standard, 14.85 invece di 20.40 25% Fette d’ananas Sun Queen in conf. da 6, 6 x 140 g, 4.90 invece di 6.30 20%
Tagliuzzato di pollo Optigal, Svizzera, in conf. da 3 x 222 g, 666 g, 15.– invece di 22.60 33%
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Paletta e scopino con manico lungo Knox offerta valida fino al 6.3.2017
Snacketti Zweifel in conf. da 2, per es. paprika shells, 2 x 75 g, 3.10 invece di 3.90 20% Grissini torinesi e crocchini al rosmarino Roberto in conf. da 2, per es. grissini torinesi, 2 x 250 g, 3.90 invece di 4.90 20%
Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 10, UTZ, Giandor e Tourist, per es. Giandor, 10 x 100 g, 13.50 invece di 22.50 40% Miele di fiori cristallizzato, 1 kg, 8.90 Hit Pizza Margherita M-Classic in conf. da 3, surgelata, 3 x 275 g, 3.50 invece di 7.05 50% Soft Cake all’arancia o al lampone in conf. da 3, per es. all’arancia, 3 x 150 g, 3.20 invece di 4.80 3 per 2
a partire da 2 pezzi
Tutte le salse di soia Kikkoman, per es. 500 ml, 4.45 invece di 5.60 20%
Creme per le mani I am, Nivea e Garnier in conf. da 2, per es. balsamo per mani e unghie I am, 2 x 100 ml, 4.40 invece di 5.60 20% ** Cura dei capelli e styling Syoss e Taft in conf. da 2, per es. spray per capelli Taft Ultra, 2 x 250 ml, 5.75 invece di 7.20 20% ** Tutte le creme per le mani (pH balance, Bellena, confezioni multiple e confezioni da viaggio escluse), per es. Nivea Intensive Care, 100 ml, 2.80 invece di 3.50 20% **
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Near Food/Non Food
Ciabattine M-Classic TerraSuisse, 3 pezzi, 300 g, 2.55 invece di 3.20 20%
Tutto l’assortimento pH balance (confezioni multiple e confezioni da viaggio escluse), a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione, offerta valida fino al 6.3.2017
Bouquet di rose e fresie Fiona, disponibile in diversi colori, il mazzo, per es. giallo-arancione, 12.90 Hit
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Panini rustici Pain Création, 85 g, 1.10 invece di 1.40 20%
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Squisitezza indiana vegana con ceci.
6.50 Anna’s Best Vegi Coconut Indian Curry 400 g
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2.20 Les Adorables Vamande Frey, UTZ 100 g
Con Maispops leggermente salati.
5.90 Maispops Crunchy Clouds Frey, UTZ 150 g
Cioccolato marmo rizzato con delizio si lamponi.
4.30 Tavolette di cioccolato Frey Unlimited, UTZ cioccolato bianco con lamponi e cioccolato al latte e fondente con noci, per es. cioccolato bianco con lamponi, 90 g
Cioccolato al latte ce di con pezzetti di no . pecan e caramello
2.70 Tavoletta di cioccolato Noix de Pécan Frey Suprême, UTZ 100 g
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8.20 Palline Noir Frey Adoro, UTZ 200 g
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
60
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
61
Idee e acquisti per la settimana
Conoscenze
Altre star super(food)
Superfood
Avanti a tutta forza
Le mandorle forniscono pregiate vitamine e sali minerali. Questi semi sono pure una buona fonte di proteine.
I cosiddetti superfood come quinoa, curcuma o bacche di goji sono un concentrato di pregiate sostanze che agiscono positivamente sulla nostra salute. Un’esatta definizione scientifica a tal proposito però non esiste
Consiglio: le mandorle permettono di variare i piatti piccanti. M-Classic Mandorle 200 g Fr. 3.–
Testo Sonja Leissing; Foto Yves Roth; Styling Mirjam Käser
Anche la curcuma è considerata un superfood.
I semi di canapa sono ricchi di fibre alimentari e pregiate proteine vegetali. Contribuiscono a fornire minerali, vitamine e acidi grassi insaturi essenziali.
Consiglio: soprattutto nei curry la curcuma in polvere è insostituibile per conferire il caratteristico colore. Migros Bio Max Havelaar Curcuma macinata 30 g Fr. 1.35
Il cavolo piuma fornisce in abbondanza vitamine, sostanze vegetali secondarie e fibre alimentari. Inoltre esso contiene calcio e potassio. Consiglio: il sapore del cavolo piuma è dolce quando prende un po’ di gelo. Si prepara come gli spinaci.
Consiglio: i semi sono ottimi nel müesli. Migros Bio Semi di Canapa decorticati 200 g Fr. 5.60
Tra le verdure indigene cosiddette superfood si contano, accanto al cavolo piuma, anche le altre varietà di cavolo, come pure spinaci, coste e crescione. Le sostanze in esse contenute proteggono le cellule e sostengono il sistema immunitario. Anche ortaggi a radice come le carote con il pigmento vegetale betacarotene e il topinambur con le sue pregiate sostanze quali potassio e ferro, sono delle vere super star. Il ferro è un’importante componente dell’emoglobina, un colorante rosso, e contribuisce a ridurre il senso di fatica. Nei legumi come lenticchie, ceci, piselli gialli o fagioli secchi si nascondono, oltre alle proteine, una grande quantità di fibre e sali minerali. Nella frutta giocano un ruolo importante bacche come mirtilli, lamponi, ribes e more. Noci e semi Che si tratti di semi di lino, semi di girasole o gherigli di noci; con i loro pregiati acidi grassi sono degli importanti fornitori di energia.
I broccoli contengono vitamina C, betacarotene (provitamina A) e acido folico. Consiglio: affinché le sostanze si preservino al meglio, bollire i broccoli solo leggermente. In confronto al riso la quinoa contiene il doppio di proteine ed è pertanto interessante non solo per vegani e vegetariani. Consiglio: questi semi degli Inca sono senza glutine e sono ottimi in insalata o come contorno. Migros Bio aha! Quinoa bianca 400 g Fr. 4.95
Consiglio Impuls
Verdi e croccanti sostanze nutritive
In Tibet le bacche di Goji sono chiamate anche bacche della fortuna. Sono ricche di fibre alimentari e sono una buona fonte di calcio e ferro. Consiglio: dopo essere state ammorbidite nell’acqua, si utilizzano come l’uva sultanina. Goji Bacche 100 g Fr. 6.50*
Lo zucchero naturale del cavolo viene trasformato attraverso la fermentazione in acido lattico. Consiglio: i crauti sono ideali come farcitura della focaccia alsaziana. Migros Bio Crauti cotti 500 g Fr. 2.90
Avete già provato i germogli? Forniscono vitamine, minerali e fibre. Maggiori informazioni su: migros-impuls.ch
Con un tenore del 15 per cento, l’avocado ha il più alto contenuto di grassi acidi insaturi naturali tra tutti i frutti. In aggiunta esso contiene vitamina B6, nonché utili fibre alimentari. Consiglio: gli avocado arricchiscono le insalate, sono ottimi in purea spalmati sul pane o nelle zuppe.
*Nelle maggiori filiali
IMpuls è la nuova iniziativa della Migros in favore della salute.
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Conoscenze
Altre star super(food)
Superfood
Avanti a tutta forza
Le mandorle forniscono pregiate vitamine e sali minerali. Questi semi sono pure una buona fonte di proteine.
I cosiddetti superfood come quinoa, curcuma o bacche di goji sono un concentrato di pregiate sostanze che agiscono positivamente sulla nostra salute. Un’esatta definizione scientifica a tal proposito però non esiste
Consiglio: le mandorle permettono di variare i piatti piccanti. M-Classic Mandorle 200 g Fr. 3.–
Testo Sonja Leissing; Foto Yves Roth; Styling Mirjam Käser
Anche la curcuma è considerata un superfood.
I semi di canapa sono ricchi di fibre alimentari e pregiate proteine vegetali. Contribuiscono a fornire minerali, vitamine e acidi grassi insaturi essenziali.
Consiglio: soprattutto nei curry la curcuma in polvere è insostituibile per conferire il caratteristico colore. Migros Bio Max Havelaar Curcuma macinata 30 g Fr. 1.35
Il cavolo piuma fornisce in abbondanza vitamine, sostanze vegetali secondarie e fibre alimentari. Inoltre esso contiene calcio e potassio. Consiglio: il sapore del cavolo piuma è dolce quando prende un po’ di gelo. Si prepara come gli spinaci.
Consiglio: i semi sono ottimi nel müesli. Migros Bio Semi di Canapa decorticati 200 g Fr. 5.60
Tra le verdure indigene cosiddette superfood si contano, accanto al cavolo piuma, anche le altre varietà di cavolo, come pure spinaci, coste e crescione. Le sostanze in esse contenute proteggono le cellule e sostengono il sistema immunitario. Anche ortaggi a radice come le carote con il pigmento vegetale betacarotene e il topinambur con le sue pregiate sostanze quali potassio e ferro, sono delle vere super star. Il ferro è un’importante componente dell’emoglobina, un colorante rosso, e contribuisce a ridurre il senso di fatica. Nei legumi come lenticchie, ceci, piselli gialli o fagioli secchi si nascondono, oltre alle proteine, una grande quantità di fibre e sali minerali. Nella frutta giocano un ruolo importante bacche come mirtilli, lamponi, ribes e more. Noci e semi Che si tratti di semi di lino, semi di girasole o gherigli di noci; con i loro pregiati acidi grassi sono degli importanti fornitori di energia.
I broccoli contengono vitamina C, betacarotene (provitamina A) e acido folico. Consiglio: affinché le sostanze si preservino al meglio, bollire i broccoli solo leggermente. In confronto al riso la quinoa contiene il doppio di proteine ed è pertanto interessante non solo per vegani e vegetariani. Consiglio: questi semi degli Inca sono senza glutine e sono ottimi in insalata o come contorno. Migros Bio aha! Quinoa bianca 400 g Fr. 4.95
Consiglio Impuls
Verdi e croccanti sostanze nutritive
In Tibet le bacche di Goji sono chiamate anche bacche della fortuna. Sono ricche di fibre alimentari e sono una buona fonte di calcio e ferro. Consiglio: dopo essere state ammorbidite nell’acqua, si utilizzano come l’uva sultanina. Goji Bacche 100 g Fr. 6.50*
Lo zucchero naturale del cavolo viene trasformato attraverso la fermentazione in acido lattico. Consiglio: i crauti sono ideali come farcitura della focaccia alsaziana. Migros Bio Crauti cotti 500 g Fr. 2.90
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Con un tenore del 15 per cento, l’avocado ha il più alto contenuto di grassi acidi insaturi naturali tra tutti i frutti. In aggiunta esso contiene vitamina B6, nonché utili fibre alimentari. Consiglio: gli avocado arricchiscono le insalate, sono ottimi in purea spalmati sul pane o nelle zuppe.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 20 febbraio 2017 • N. 08
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Idee e acquisti per la settimana
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Il video della spesa gratis Win Win: www.migros.ch/ winwin
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Un carrello da riempire gratuitamente: ha dieci minuti di tempo per girare tra gli scaffali di una filiale Migros e mettere nel carrello tutti i prodotti che riesce a farci stare.
La Famiglia Cougoureux e il suo carrello stipato di prodotti Migros, per un valore complessivo di 2065.40 franchi.
Françoise (50 anni) e Gilles (50 anni) con la figlia Cécile (12 anni)
«Non avevamo mai vinto» dice rallegrandosi Gilles, ingegnere elettronico e Françoise, farmacista, a proposto della loro vincita. La spesa-lampo di dieci minuti l’hanno pianificata con cura: «per noi era chiaro: volevamo comprare cose che piacessero alle nostre figlie». Per Maria (17anni) hanno pensato a prodotti utili per la casa, come posate, pentole
e padelle da usare nel suo appartamento da studente. Cécile invece ha apprezzato i giocattoli. «Avevamo preparato un piano dettagliato. Un’ora prima della partenza abbiamo fatto un giro di test cronometrato. Anche il modo di caricare il carrello era stato preparato con cura. Il nostro piano ha funzionato. E ora siamo molto contenti della nostra riuscita».
I nomi di altri vincitori e informazioni, così come set gratuiti di autoadesivi, si trovano su www.migros.ch/ winwin
Foto Kaspar Isler
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Approfittane ora. 20x PUNTI
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Drink di avena con calcio Alnatura 1l
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