Azione 42 del 15 ottobre 2018

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXI 15 ottobre 2018

Azione 42 M sho p alle pa ping gine 4 5-50 / 63-67

Società e Territorio Un libro per parlare di bullismo con i bambini delle scuole elementari

Ambiente e Benessere Il dottor Graziano Ruggieri, primario della Clinica Hildebrand di Brissago spiega la filosofia della medicina riabilitativa

Politica e Economia Il Papa riceverà un invito da Pyongyang a visitare la Corea del Nord

Cultura e Spettacoli La voce di Bernhard Schlink – autore di A voce alta – si fa più necessaria che mai

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Disegni per Bellinzona

di Alberto Caruso pagina 5

Keystone

L’altro volto della primavera saudita di Peter Schiesser È davvero stato ucciso e fatto a pezzi, il giornalista saudita Jamal Khashoggi, all’interno del consolato saudita a Istanbul, come suggeriscono fonti turche? Agghiacciante, se fosse vero. O forse è stato rapito dai sauditi per essere portato in patria e poi sparire del tutto? Nonostante i dinieghi delle autorità saudite, è certo che Khashoggi è entrato al consolato il 2 ottobre, per le pratiche legate al suo divorzio e al suo prossimo matrimonio, per non uscirne più (o non più da uomo libero). E sempre secondo le fonti turche, 15 agenti sauditi sono arrivati quel giorno a Istanbul, si sono recati al consolato e qualche ora dopo la sparizione di Khashoggi si sono diretti in un convoglio di auto con i vetri anneriti alla residenza del console turco, per poi fare ritorno in patria lo stesso giorno. Forse le rivelazioni turche hanno l’obiettivo di spingere i sauditi a far «riemergere» quel giornalista, diventato così scomodo per l’attuale monarca, Mohammed bin Salman, da farlo emigrare negli Stati Uniti. In ogni caso, i sauditi perderebbero la faccia. E certo è che con il nome di Khashoggi la lista dei giornalisti spariti nel nulla solo l’anno scorso in Arabia

Saudita si allunga a 17 nomi. Cui si aggiunge una lista di principi sauditi dissidenti, rapiti all’estero e scomparsi negli ultimi anni. Jamal Khashoggi era una voce autorevole, dentro e fuori l’Arabia Saudita, da quando si era trasferito negli Stati Uniti era un importante collaboratore e fonte di notizie del «Washington Post». Tutt’altro che un estremista, piuttosto una voce liberal, dall’avvento al potere del principe ereditario bin Salman aveva denunciato il clima repressivo e autoritario che questi ha imposto: «Ci si aspetta che applaudiamo alle riforme sociali e inneggiamo al principe ereditario, evitando ogni riferimento a quei cittadini che le hanno tematizzate da decenni. Ci viene chiesto di abbandonare ogni speranza di libertà politica, di restare zitti sugli arresti e sui divieti di espatrio delle voci critiche e dei loro famigliari» aveva scritto sul «Washington Post» in maggio. Khashoggi aveva criticato l’intervento militare saudita nello Yemen, le pressioni sul primo ministro libanese Hariri (tenuto in ostaggio fino a quando ha annunciato le sue dimissioni, poi ritirate una volta tornato a Beirut), il conflitto diplomatico con il Canada. Quanto basta per imbestialire un «impulsivo» (secondo Khashoggi) Mohammed bin Salman.

E questo è un alleato dell’Occidente? I servizi segreti americani, il Pentagono e il Dipartimento di Stato avrebbero preferito il principe Mohammed bin Nayef, ritenevano poco adatto bin Salman, ma il genero di Trump, Jared Kushner, era di diverso avviso, vedeva in MBS l’alleato perfetto per il suo piano di pace per il Medio Oriente (pro Israele). Alcuni deputati del Congresso vorrebbero ora bloccare le forniture di armi all’Arabia Saudita, ma il presidente Trump non ha intenzione di mandare a monte un tale affare, di 110 miliardi di dollari, per un giornalista dissidente. Il messaggio è molto chiaro: contano i posti di lavoro negli Stati Uniti, non la libertà di espressione in un paese alleato, in perfetta sintonia con la dottrina dell’America first, nel tempo in cui sono più gradite le fake news. Ma allora, in che cosa si differenziano oggi moralmente gli Stati Uniti dagli autoritarismi di Russia, Cina,Turchia, Iran? L’indifferenza di Donald Trump verso i diritti umani ha un doppio effetto, di portare gli Stati Uniti sullo stesso piano dei suoi avversari e di far abbassare la guardia in tutto il mondo: i governi autoritari (e sono tanti) sanno che con Trump non devono più temere ritorsioni se fanno sparire le voci libere che li contestano. L’Arabia Saudita è solo un esempio.


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