Azione 28 del 7 luglio 2025

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edizione 28

MONDO MIGROS

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SOCIETÀ Pagina 3

I genitori faticano ad accettare il dolore dei figli, ne parliamo con lo psicologo Matteo Lancini

La Svizzera e il discusso divieto agli allievi di portare i telefonini a scuola

ATTUALITÀ Pagina 13

Il Kunsthaus di Zurigo omaggia l’artista svizzero Roman Signer, seppur non come avrebbe potuto

CULTURA Pagina 21

Il relax del generale Clark sul Ceresio

Il gioco da tavolo? Un antidoto simbolico all’iperconnessione e rifugio nel tempo sospeso dell’ozio

TEMPO LIBERO Pagina 33

È un mondo troppo fantozziano

Al di fuori della festa nazionale e delle partite, la retorica dell’orgoglio patrio e della fierezza etnica mi suona sospetta, soprattutto quando camuffa egoismi nazionali, razzismo o sciovinismo. Ma ogni tanto bisogna ripassare i fondamentali della dignità di gruppo. Per esempio, quando si rischia di genuflettersi alla strapotenza (stavo per scrivere prepotenza) americana. È sensato pensare che sul piano delle relazioni pubbliche il signore a stelle e strisce non vada stupidamente sfidato. È comprensibile, per esempio, che le cancellerie mondiali cerchino la via del dialogo con Washington per trovare una quadra non troppo penalizzante sulla questione dei dazi. Una via voluta anche da Berna per evitare il peggio, e come svizzeri dobbiamo essere grati ai nostri rappresentanti in Governo per averla scelta. Ma c’è una bella differenza tra prudenza politica e servilismo fantozziano. Per il presidente Usa l’Europa è un vampiro che

succhia il sangue americano, imponendo balzelli esorbitanti sulle sue merci in entrata nel Nuovo continente e lasciando che sia Washington a sacrificare soldi e uomini al fronte nei focolai di crisi più esplosivi del pianeta. Non sempre ha torto, soprattutto sulla questione della difesa armata del pianeta. Il punto, però, non è questo. Potrebbe avere anche tutte le ragioni, ma niente giustifica il suo bisogno patologico di umiliare gli (ex) alleati. Perché Trump, dopo tanto bastone e poca carota, è lo stesso tizio che la sera del 9 aprile 2025, durante una cena del National Republican Congressional Committee a Washington, parlando dei Paesi colpiti dai suoi dazi si era vantato che «questi Paesi ci stanno chiamando per baciarmi il c..o. Muoiono dalla voglia di fare un accordo». Dazi a parte, la manifestazione più imbarazzante di adulazione politica a cui abbiamo assistito è forse quella del segretario generale della Nato Mark Rutte, che ha riso di gusto quando Trump

ha paragonato la guerra tra Israele e Iran a due marmocchi che si prendono a scappellotti nel cortile della scuola. «Lasciamoli fare per un paio di minuti, aveva commentato “pedagogicamente’’ il presidente Usa, poi arriva papà (lui, ndr.) e li rimette in riga». E Rutte, totalmente zerbinato: «A volte papà deve usare un linguaggio forte per farli smettere». Pietoso il tentativo sui social di ridimensionare la portata delle sue parole: «Non intendevo chiamare Trump “papà”. Parlavo della relazione tra Europa e Stati Uniti, come quella tra un figlio che cerca rassicurazioni e un padre che guida». E Trump, felice di esibire un nuovo ammiratore, ha pubblicato lo screenshot di un messaggio ricevuto da Rutte in cui quest’ultimo definiva l’azione militare americana in Iran «decisiva» e «straordinaria», ringraziandolo per aver fatto «ciò che nessun altro ha osato fare». Che eroe, ragazzi. Insomma, è davvero necessario baciare le terga

a un potentissimo che insulta chi non si allinea alle sue politiche per tenerselo buono? Il metodo dell’umiliazione e della sottomissione innesca relazioni disfunzionali, in cui chi si mostra debole o servile viene ulteriormente umiliato. Con scenate come quelle di Rutte, i popoli europei (e non solo i loro capi) vengono precipitati dentro un meccanismo di «arrangement névrotique» in cui ci si sottomette al potente illudendosi di garantirsi sicurezza, ma ottenendo in cambio ulteriore disprezzo. Le ruffianate fantozziane si ritorcono contro chi le applica: oggi Trump abbassa i dazi e benedice la Nato e domani, a sua imprevedibile discrezione, li rialza e castiga l’Alleanza atlantica. Chapeau a chi tenta di tirare dritto per la propria strada, puntando su vie alternative agli umori di Mr President. Come Canada, Messico e Spagna che, almeno formalmente, gli resistono, smettendo di ripetere, a lingua felpata: «Come è umano, lei!»

Matilde Fontana Pagina 5
Archivio
storico
della
Città di Lugano, Fondo Vincenzo Vicari
Carlo Silini

Dimitri, un affare di famiglia

100 anni Migros ◆ In occasione del Merci Tour, Das Zelt (La tenda) farà tappa anche in Ticino

Per festeggiare i 100 anni dalla sua fondazione, Migros ha dato vita anche al «Merci Tour», tour di ringraziamento che fa tappa in molte località con attività diverse. Fra queste vi è anche la collaborazione con Das Zelt, la tenda che ospita il più grande palcoscenico mobile della Svizzera. 15 location, 168 spettacoli e oltre 250’000 biglietti venduti al prezzo di 100 anni or sono, ossia 9 franchi! Das Zelt farà tappa anche in Ticino, con quattro diversi programmi ad hoc (replicati due volte ciascuno) per il pubblico di lingua italiana. Fra gli artisti presenti per l’occasione, David Dimitri, che grazie ai suoi numeri su una corda sospesa, si è già esibito per i pubblici di mezzo mondo. Già sicuro di volere diventare un artista di circo a 14 anni, David Dimitri – figlio di Dimitri – si è diplomato in danza alla prestigiosa Juilliard School di New York, cui sono seguite innumerevoli collaborazioni con i grandi circhi del mondo, ma anche con registi come Franco Zeffirelli o

Assicuratevi i vostri biglietti

Das Zelt sarà presente ad Agno dal 4 all’11 settembre 2025 con quattro spettacoli diversi.

Famiglia Dimitri: 4-5 settembre; Young Artists (artisti e comici alla riscossa, tra cui Clarissa Tami e Mike Casa): 6-7 sett.; Comedy Club (comicità a gogo con Flavio Sala, Starbugs Company, ecc): 8-9 sett. Magic Club (magia, illusioni e mentalismo): 10-11 sett.

Assicuratevi il vostro biglietto all’imbattibile prezzo di 9 CHF su merci. migros.ch/it/merci-tour/

John Huston, e progetti per Disney e l’Opera di Zurigo. Lo abbiamo incontrato in vista dell’appuntamento autunnale ad Agno.

David Dimitri, negli anni lei si è fatto un nome a livello internazionale: come si gestisce un’eredità come quella di suo padre Dimitri?

Non è sempre stato facile, lo devo ammettere. Fino a una certa età non avevo mai riflettuto sulle potenziali difficoltà legate al nome Dimitri, ma retrospettivamente penso ve ne fossero: la gente aveva delle aspettative molto alte nei miei confronti, oppure mi metteva subito su un piedistallo non giustificato. Credo infatti che il mio lavoro sia modesto se paragonato a tutto quanto fatto da mio padre. La difficoltà però non risiedeva tanto nel padre famoso, quanto più nel desiderio di fare a mia volta qualcosa di nuovo e abbastanza interessante per il pubblico, e che mi consentisse di vivere senza dipendere da alcun tipo di sussidio.

Come ha capito come muoversi?

Ho dovuto misurarmi con colleghi più bravi di me, poiché ero un principiante. Guardando loro ho capito ciò di cui avevo bisogno: per avere successo dovevo inventare qualcosa che interessasse alla gente, che la incuriosisse, che potesse piacere. Per me non aveva senso fare una bella produzione artistica senza che nessuno la vedesse.

È stato anche sul punto di abbandonare?

Io sono molto autocritico: se non sono convinto di quello che faccio o se le reazioni di pubblico e professionisti (alle quali sono molto sensibile) non sono quelle che mi aspetto, non riesco a essere soddisfatto. Mi sembrava sempre di sentire un certo scetticismo, anche se magari era solo la mia percezione.

E quindi cosa è successo?

All’epoca lavoravo con grandi circhi come il Knie, o il Big Apple Circus di New York, facevo cinema, tea-

tro… Tutto sembrava andare bene, giravo il mondo con il mio numero di 7 minuti su un cavo, ma mi mancava qualcosa, volevo fare altro. Così, era il 2007, mi misi in testa di creare un circo da solo. Volevo una cosa mia dove nessuno mi dicesse cosa fare.

E come andò?

Mi ritrovai in grande difficoltà: avevo investito tutto, soldi e speranze, in un tendone da circo, ma non sembrava interessare nessuno al di fuori di mio padre, che fu sempre un grande motivatore. Pensai allora di andare al Festival di Avignone, nella speranza di incontrare qualche agente o direttore. Quando arrivai nella città francese, dapprima non trovai un solo centimetro di muro libero su cui appendere i manifesti del mio spettacolo, poi mi impedirono di montare il tendone perché non riconoscevano i miei documenti, e infine mi ritrovai a proporre il mio spettacolo all’aperto. Cominciai a esibirmi, ma non veniva quasi nessuno a vedermi. Si sa, ad Avignone bisogna farcela nei primi dieci giorni, altrimenti è meglio lasciare perdere. Stavo decidendo del mio futuro quando nella terza settimana arrivarono due uomini che mi invitarono al Festival Janvier dans les Etoiles che avrebbe avuto luogo il gennaio successivo nel

sud della Francia. Nonostante il mio scetticismo, accettai. Quando arrivai trovai un’organizzazione gigantesca, e la sera, quando mi recai al mio circo per lo spettacolo, vidi che c’era una coda lunghissima! Pensavo di sognare… Fu una serata meravigliosa, con un pubblico da sogno. E al termine, ricevetti almeno quindici proposte di collaborazione.

Qual era la particolarità dello spettacolo?

Alla fine della serata la corda usciva dal circo e saliva fino a un’altezza di quindici metri verso il cielo. Dopo il Festival feci una lunga tournée attraverso tutta la Francia. Oggi, per fortuna, il ritmo è rallentato un poco; faccio qualche spettacolo e mi occupo della Fondazione Dimitri a Verscio.

Lei dà un’idea di leggerezza quando è sulla sua corda: è solo lavoro o la corda ha ancora una dimensione magica?

Ci sono dei momenti nello spettacolo che sono più impegnativi, ma la corda per me è sempre rimasta un piacere. La disciplina è molto importante nel nostro mestiere, anche perché si ha a che fare con dei pericoli reali. A me piace soprattutto la parte finale del mio spettacolo, quei tre

minuti in cui esco dalla tenda e mi avvio verso il cielo. Qualche settimana fa ero in Francia, e quando sono salito sulla corda è scoppiato un violento temporale, avevo sottovalutato la situazione, ed è stato abbastanza rischioso. Per fortuna ho potuto avvalermi della grande esperienza accumulata negli anni e del mio istinto, ma ho avuto davvero paura.

A settembre sarà finalmente anche in Ticino, ad Agno. Vuole raccontarci cosa presenterà nella tenda del Merci Tour?

La serata prevede due spettacoli. Dapprima comincerò io con il numero sulla corda, quello dell’uomo cannone e altre, diciamo, follie circensi! Poi seguirà uno spettacolo di famiglia, un po’ come facevamo ancora con mio papà, quando ci esibivamo tutti insieme. Lo spettacolo è stato ripreso da mia sorella Nina, e insieme a lei si esibiranno sua nuora Mor Dovrat e la comica Silvana Gargiulo. Nel frattempo anche il figlio di Nina, Samuel, ha deciso di intraprendere la carriera d’artista, anche se non sarà presente ad Agno.

L’eredità artistica di Dimitri è dunque garantita, poiché siete tutti molto legati al mondo dell’arte… Certamente! È un affare di famiglia!

A braccetto di Migros Ticino con dedizione

Anniversari ◆ Complimenti e un «grazie» alle collaboratrici della Cooperativa che festeggiano i 40 e i 25 anni in azienda

Brigitta Aschwanden

Se venticinque anni sono un grande traguardo, quaranta lo sono ancora di più. È il caso di Brigitta Aschwanden, che lo scorso primo luglio ha celebrato i primi 40 anni in azienda. A lei giungano le congratulazioni più affettuose da parte dell’azienda, di tutte le collaboratrici e i collaboratori di Migros Ticino e, naturalmente, della redazione di «Azione».

Brigitta, quale è il suo ruolo all’interno di Migros Ticino?

Al momento lavoro nella filiale Migros di Solduno, dove svolgo un ruolo versatile, supportando vari reparti secondo le necessità.

E come è arrivata a Migros Ticino?

La mia avventura è iniziata quando mi sono trasferita in Ticino dalla Svizzera interna come ragazza alla pari; ho deciso di non andarmene

più e di candidarmi in Migros Ticino, attratta dal contatto diretto con i clienti.

Cosa le piace particolarmente del suo lavoro?

Ho una particolare passione per i reparti freschi, latticini e panetteria, poiché amo il cambiamento e la di-

namicità che questi settori offrono.

Quali sono le sfide che l’aspettano nei prossimi anni?

Tra sette anni andrò in pensione, ma già ora guardo con soddisfazione e orgoglio al mio percorso in Migros Ticino.

Cosa rappresenta Migros per lei? Migros è diventata per me una seconda casa, una vera e propria famiglia.

Ausilia Drosi-Basile

Ausilia Drosi-Basile lavora per Migros Ticino da un quarto di secolo, senza perdere l’entusiasmo e l’impegno, giorno dopo giorno.

Ausilia, quale è il suo ruolo all’interno di Migros Ticino? Sono impiegata come cassiera alla Migros di Tenero.

25 anni sono un quarto di secolo: cosa le piace maggiormente del suo lavoro dopo tutti questi anni?

Ancor oggi mi piace molto essere a contatto con la gente e rendermi disponibile per aiutare la clientela in caso di bisogno.

Cosa le piace invece fare nel tempo libero?

Nel tempo libero mi piace camminare, risolvere i cruciverba e stare con la famiglia.

Quali sono le sfide che l’aspettano per i prossimi 25 anni?

La sfida principale è una sola: vivere al meglio il tutto!

Cosa augura a Migros nell’anno dell’anniversario?

A Migros auguro di continuare a essere una grande famiglia e di potere rappresentare il futuro per molti giovani. Spero che ogni anno si porti appresso un’opportunità di crescita.

Cosa rappresenta Migros per lei?

È stata il trampolino di lancio per inserirmi nel mondo del lavoro, mi ha dato l’opportunità di crescere sia in ambito lavorativo sia personale.

David Dimitri (1963) si esibirà ad Agno il 4 e il 5 settembre 2025. (daviddimitri.ch)
Brigitta Aschwanden Lavora per Migros Ticino dal 1. luglio del 1985
Ausilia Drosi Basile Lavora per Migros Ticino dal 2 maggio del 2000

SOCIETÀ

1945, il generale Clark al Lido di Lugano Ripercorriamo la storia dei soggiorni elvetici dei soldati americani in congedo e dei libri cartolina pensati per loro da Gottlieb Duttweiler

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Gli Strati di Scheltrich del San Giorgio Il nuovo e inaspettato livello fossilifero di soli 30 centimetri custodisce un’incredibile gamma di fossili di pesci, molluschi, crostacei e insetti rari

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Saper accettare il dolore dei figli

Mondoanimale È nato prima l’uovo o la gallina? La risposta scientifica è ora in una ricerca da poco pubblicata sulla rivista «Nature»

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Il caffè dei genitori ◆ Le emozioni negative dei ragazzi spesso spaventano, disturbano o fanno sentire inadeguati madri e padri Lo psicologo Matteo Lancini invita a non negare l’ansia e l’angoscia

Smettiamola di volere che i nostri figli siano felici sempre e a tutti i costi, facendoli sentire un po’ come Riley, l’11enne protagonista di Inside Out (Walt Disney Pictures, 2015), che si trasferisce dal Minnesota a San Francisco per il nuovo lavoro del padre e, solo dopo una lotta interna di emozioni, riesce a confessare, tra le lacrime: «So che non volete che sia così. Vi aspettate che io sia felice. Vi prego non arrabbiatevi, ma…». Ora, detto così, può sembrare un po’ blasfemo, ma siccome affrontare l’argomento a Il caffè dei genitori è come ricevere un pugno nello stomaco, siamo andati subito al punto: in nome di una felicità che perseguiamo da mattina a sera, non siamo capaci di accettare le emozioni negative dei nostri figli. Ci disturbano. Ci spaventano. Ci fanno sentire inadeguati.

I genitori oggi sono malati di algofobia (dal greco «álgos» dolore e «phóbos» paura), non sopportano cioè che i figli soffrano

Del resto, noi genitori moderni, che ci sciroppiamo le chat di classe per sapere che compiti dobbiamo fare; noi che li accompagniamo come tassisti in ogni dove per tirar fuori il campione sportivo che c’è in loro (vuoi mica avere un figlio brocco); noi che quando siamo a rifarci le unghie con il semipermanente li geolocalizziamo per essere certe che non siano in pericolo; noi che alle tre di notte siamo fuori dalla discoteca pronti a fare spallucce se sono ubriachi fradici; noi che ci siamo ripromessi che il loro benessere è la nostra missione di vita, eliminando tutti gli ostacoli dal loro cammino; noi che organizziamo cene di famiglia così felici da essere immortalate su Instagram… Ecco, noi genitori che siamo questi qui, come facciamo a non avere figli felici? Dopo esserci ammazzati di lavoro, ci diciamo a Il caffè dei genitori, vuoi mica che l’adolescente ci pianti il muso proprio durante i tre giorni di vacanza? Non farmi soffrire, ti prego! Così ci ritroviamo a essere genitori malati di algofobia, dal greco «álgos» dolore e «phóbos» paura. Paura del dolore. Il loro dolore.

La prima volta che sento parlare di algofobia, e di come noi genitori siamo incapaci di ascoltare le emozioni negative dei nostri figli – in quanto disturbanti la visione di vita da «Mulino bianco» che perseguiamo in nome dei nostri sforzi genitoriali – è qualche mese fa al «Corriere della Sera» in un incontro con Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro di

Milano che svolge attività di prevenzione del disagio adolescenziale. Lo scorso marzo Lancini ha pubblicato il suo ultimo saggio Chiamami adulto (Raffaello Cortina editore), dove scava in profondità proprio sulla necessità di superare l’urgenza del fare, per imparare a stare in un’autentica relazione con i ragazzi: «Per non essere travolti dalla società algofobica ci serve imparare a stare anche in relazione con il loro dolore – scrive –. L’ansia rappresenta un’emozione importante, da non tacitare ma da integrare con la tristezza o con la rabbia, e non solo con i sentimenti meravigliosi che vorremmo loro provassero». Lo invitiamo a Il caffè dei genitori. I punti che affronteremo sono quattro: quello che come genitori ci siamo ripromessi di essere; quello che in realtà siamo diventati; perché ci comportiamo in modo contraddittorio rispetto alle promesse avanzate ai nostri figli; cosa sarebbe utile imparassimo.

Uno: quello che abbiamo promesso di essere. «Un tempo – sottolinea Lancini – il mandato era uno e molto semplice: devi obbedire. Oggi invece ai bambini, fin da piccolissimi, viene fatta una promessa: capiamoci. Viene chiesto loro di sottoscrivere un patto basato sull’intesa e sul mantenimento della relazione con gli adulti. È una promessa di comprensione reciproca, di affetto e di connessione». Ammettiamolo: il desiderio è di essere mamme e papà migliori e più empatici rispetto ai nostri genitori. Cosa stiamo combinando invece?

Due: quello che siamo diventati. Lancini è davvero impietoso, ma a Il caffè dei genitori sappiamo che dice la verità: «Lo stesso adulto che promette relazione, ascolto e intesa, quando il figlio diventa adolescente non lo fa essere più libero che in passato di esprimere se stesso e le sue emozioni autentiche, talvolta disturbanti». Facciamo troppo, pensiamo troppo, spesso senza davvero capire. Proviamo ad anticipare tutti i loro bisogni senza chiederci cosa vogliano davvero, o come si sentano. E appena stanno male, ci affrettiamo a rassicurarli: «Non è vero, va tutto bene, sei forte, sei bravo». Non è ascolto, è paura. La nostra paura. Non sappiamo accogliere il loro dolore, lasciarlo entrare, starci dentro. E così mandiamo loro il messaggio che non si può stare male, non si può essere tristi, non si può soffrire. Non nella società che abbiamo costruito, dove conta solo essere visibili, popolari, vincenti. Dove anche le emozioni devono essere esibite, spettacolarizzate, mai vissute davvero. Tre: perché lo facciamo. Accettare il dolore, soprattutto quello dei figli, è faticoso! Mette in discussione anche noi come genitori e tira in ballo

i nostri sensi di colpa. Vuol dire non metterci comodi, non adagiarci nella comfort zone della famiglia felice. Ci impone di fare i conti con la disillusione. «Il dolore, il loro, ci rompe l’incanto, l’incantesimo che la loro venuta al mondo aveva creato dentro di noi. La loro funzione riparatoria e protettiva nei nostri confronti viene meno – ammette Lancini, anche lui genitore –. La loro rabbia, la loro fatica, l’assenza di prospettive, di amici, di una qualsiasi visione, arriva e ci trafigge come una lama in mezzo al petto, come un pugno nello stomaco, come il sangue che arriva al cervello, come qualcosa che ci scava dentro. Ci toglie il fiato. Ma anche questa è vita». Anche questo è essere genitori. Quattro: cosa serve davvero e perché. Non fuggire. Non negare. Non distrarci. Non dire «va tutto bene» quando non va bene affatto. Stare

senza scappare. Lancini ci invita a restare sintonizzati sulle loro frequenze, senza cedere alla tentazione di cambiare canale, come di fronte a un film dell’orrore o a un programma che non ci piace. «Dobbiamo sviluppare la capacità di farcene carico e di essere adulti in grado di sostenere i ragazzi e le ragazze e i loro momenti di difficoltà, più o meno intensi, condividendone con loro il peso – scandisce lo psicoterapeuta –. Cedere alla tentazione di attribuirci esclusivamente tanto le colpe quanto le responsabilità unilaterali rischia ancora una volta di allontanarci da loro, facendoci rimanere più sintonizzati con noi stessi e con il peso della nostra fatica nel gestire il dolore. Stiamo fermi, stiamo in ascolto, attenti, concentrati, scomodi, con la sensazione di avere appena ricevuto un pugno nello stomaco, ma stiamo. Stiamo a sentire quanto male

hanno dentro e quanto fa male a noi». Perché, ribadiamo a noi stessi, è importante non essere genitori malati di algofobia? «Quando l’ansia e l’angoscia che i nostri ragazzi e le nostre ragazze sperimentano non vengono negate ma legittimate – assicura Lancini – è più facile che non si trasformino in un disagio conclamato e in un agito più o meno drammatico». L’abbraccio dei genitori fa sentire Riley compresa nel suo dolore. Quella che segue è una frase sempre di Lancini che a Il caffè dei genitori pensiamo andrebbe appesa sul frigo: «Proteggerli e proteggersi dal dolore è molto diverso dal chiedergli e dal chiedersi di non provarlo». Ecco allora che ancora una volta non si tratta di fare, ma di stare. Di esserci davvero. E di essere adulti capaci di reggere l’urto delle loro emozioni. Anche quando fanno male.

Simona Ravizza
Gli adulti dovrebbero essere in grado di sostenere i ragazzi e le ragazze nei loro momenti di difficoltà senza affrettarsi a rassicurarli con un «va tutto bene». (Freepik.com)

Un sorso di Ticino

Attualità ◆ Non c’è niente di meglio di un prodotto nostrano per dissetarsi e rinfrescarsi con gusto In questa pagina trovate le nostre proposte per un’estate ticinese all’insegna della varietà

Un must a cui non si può rinunciare, le mitiche gazose dei Nostrani del Ticino soprattutto in estate non mancano mai nel frigo di casa. Disponibili in svariati gusti per il piacere di grandi e piccoli, sono prodotte da oltre vent’anni a Chiasso, negli stabilimenti dell’azienda Sicas. Tutte le varianti sono realizzate con ingredienti naturali e non contengono aromi artificiali, edulcoranti o conservanti. Un autentico piacere quotidiano!

Gazosa Nostrana mandarino, limone o lampone 27,5 cl Fr. 1.05

naturale o frizzante

50 cl Fr. –.65

Antico prodotto della tradizione ticinese, lo Sciroppo di fiori di sambuco non è solo un rinfrescante piacere diluito nell’acqua, ma si presta ottimamente anche per la preparazione dei cocktail più trendy, come pure aggiunto a molti dessert. I fiori di sambuco, raccolti dagli arbusti spontanei del Mendrisiotto, vengono messi in infusione per un certo periodo per estrarne l’aroma e le benefiche proprietà. L’essenza così ottenuta viene addizionata semplicemente con acqua, glucosio, acido citrico e aromi naturali. Un prodotto della Sicas di Chiasso, disponibile con il classico tappo meccanico.

Sciroppo di sambuco 35 cl Fr. 7.80

Le settimane dei Nostrani del Ticino fino al 21 luglio

Chips di mais

del Ticino 150 g Fr. 5.90

L’aperitivo analcolico tutto ticinese è servito! L’Apéritiv Ticinés, a base di ingredienti naturali, dal tipico sapore dolce-amaro, non ha nulla da invidiare ai prodotti internazionali più famosi. Lo si gusta tradizionalmente da solo, secondo i propri gusti con l’aggiunta di una fettina di arancia o limone e qualche cubetto di ghiaccio, ma non disdegna abbinamenti più originali con altre bevande per quel tocco di creatività in più in occasione dei momenti conviviali nel segno del gusto.

Aperitivo ticinese 6 x 10 cl Fr. 4.75

Nostrana Bio 50 cl Fr. 2.30

Monte Generoso 50 cl Fr. 2.30

Direttamente dal Monte Tamaro, ecco l’Aquaciara San Clemente, un prodotto imbottigliato per Migros Ticino dalla Tamaro Drinks di Sigirino, ottenibile nelle varianti naturale e frizzante. Quest’acqua di sorgente si distingue per la sua bassa mineralizzazione e il basso tenore di sodio. In virtù delle sue qualità, è particolarmente indicata per la preparazione degli alimenti per neonati.

Le tisane nostrane a base di erbe officinali sono apprezzate non solo per il loro sapore naturale avvolgente, ma anche perché possono contribuire ad apportare benessere al nostro organismo. Che si tratti dell’ultima nata, la Tisana Monte Generoso della Cofti.ch di Chiasso con erbe bio e infuso di stella alpina, fiore simbolo delle alpi; della Tisana alla Malva dall’effetto lenitivo o della classica Tisana Nostrana (entrambe della Sicas) realizzata con un perfetto mix di erbe curative, la qualità e la sostenibilità lungo tutto il processo produttivo sono garantite senza compromessi.

Nostrani
Aquaciara
Tisana alla malva Bio 50 cl Fr. 2.30
Tisana
Tisana

Estate 1945: gli americani «invadono» la Svizzera

Storia ◆ Dal generale Clark al Lido di Lugano ai libri-cartolina per gli Usa firmati Gottlieb Duttweiler

Il generale Clark al Lido di Lugano. Quante volte l’ho sentita, di anniversario in anniversario, la storia del condottiero americano allungato sulla spiaggia del Ceresio… Sono passati 80 anni e la memoria si affievolisce. I testimoni si sono spenti. Quei ragazzi che nell’estate del 1945 osservavano la fine della guerra e l’inizio della pace in costume da bagno, affacciati sul mondo da ricostruire dall’intatta isola neutrale, non possono più raccontarmi dettagli e retroscena della prestigiosa visita balneare.

E allora, per ritrovare il generale in «missione» in Ticino, non mi resta che tuffarmi nell’archivio dei giornali dell’epoca. Inizio a sfogliare dal giugno ’45. La guerra in Europa è finita da qualche settimana. Nel Pacifico il Giappone resiste all’attacco americano. Hiroshima e Nagasaki non hanno ancora subito la distruzione atomica. Dalla Svizzera vengono espulsi tedeschi e italiani indesiderati, si organizzano i rimpatri di profughi e internati, transitano convogli di soldati desiderosi di dismettere le uniformi e tornare a casa.

80 anni fa a Berna si presero accordi per il soggiorno elvetico dei soldati americani in congedo

Il generale Mark Wayne Clark ha occupato i notiziari di guerra sul fronte italiano per oltre un anno e mezzo: dallo sbarco a Salerno il 9 settembre 1943, su su a Napoli, a Cassino, a Roma, poi l’infinita attesa sulla linea gotica prima di debordare nella pianura padana fino ai nostri confini. È il più giovane generale dell’esercito Usa e ha liberato l’Italia dal bieco regime nazifascista.

In «missione» post-bellica lo incontro finalmente sfogliando l’edizione del 14 luglio del settimanale per le famiglie della Svizzera italiana «Illustrazione ticinese». La foto del comandante delle truppe alleate in Italia è in copertina, a tutta pagina. All’interno si trova la cronaca fotografica firmata da Vicari e Schiefer, tra Lugano e Locarno, tra ricevimenti ufficiali e relax da turista. Eccolo: è lì che appare al Lido di Lugano. Svestita l’uniforme, si concede qualche ora in spiaggia, sulla sdraio, a firmare autografi ai bagnanti che lo hanno riconosciuto.

All’indomani della visita lampo, il generale lascia la Svizzera alle 10.45 dal

valico di Chiasso. Si appresta ad annunciare ufficialmente che il 15.mo corpo d’armata in Italia, composto dalle celebri V e VIII armata, ha cessato di esistere – come informa l’Agenzia Reuter. È l’ultimo atto da comandante delle truppe alleate liberatrici prima di essere destinato alla guida delle Forze d’occupazione in Austria.

La visita del generale Clark – commenta l’articolo intitolato All’ombra della bandiera stellata – è un assaggio che avrà convinto l’eminente uomo dell’aura di affettuosa premura che circonderà le truppe americane che, prima del loro rimpatrio, visiteranno a scaglioni il nostro Paese.

Ecco perché il generale fa il turista al Lido! In Svizzera è tutto pronto per il lancio di un’operazione d’immagine e di marketing turistico senza precedenti. Il 16 luglio a Berna si concludono felicemente le trattative per il soggiorno elvetico dei soldati americani in congedo, che affluiranno da Basilea (quelli di Eisenhower) e da Chiasso (quelli di Clark). Il comunicato ufficiale informa che gli ospiti saranno guidati da ciceroni svizzeri, soggiorneranno tre giorni in una stazione climatica e il resto della settimana viaggeranno attraverso il Paese. Per le spese di soggiorno è stato pattuito un costo di 35 dollari a settimana e l’esercito americano si assumerà il rifornimento dei viveri. Entrando in Svizzera, inoltre, ogni soldato americano potrà ottenere 150 franchi per le spese minute agli sportelli di cambio.

L’«invasione» degli yankees in licenza, affidata al Servizio territoriale dell’esercito in collaborazione con gli enti turistici, scatta il 25 luglio. La durata prevista per l’azione è di un anno (in realtà si sarebbe prolungata fino al 1949, facendo registrare oltre 300mila presenze). Nel giro di un mese, a fine agosto 1945, hanno già soggiornato in Svizzera 24mila soldati americani. In Ticino hanno trascorso solo poche ore, massimo una giornata, lasciando l’impressione di una correttezza e di una modestia di contegno che colpisce favorevolmente la nostra popolazione: questi componenti di un’armata che ha dietro di sé una lunga e dura avanzata attraverso le aride terre dell’Africa Settentrionale e lungo lo stivale italiano o la campagna nella quale la potenza militare germanica ricevette il colpo di grazia, non assumono gli atteggiamenti del miles gloriosus e si aggirano per le nostre città a gruppetti di tre o quattro, oppure isolati, senza abbandonarsi a gesti meno che composti. Quelli che attaccano più facilmente discorso con i boys di Clark e di Eisenhower sono certi monelli che sfoderano con loro il repertorio di espressioni pittoresche che si sono costituiti assistendo ai film americani. («Illustrazione ticinese», 1.9.1945) Ecco, appunto, i film americani! Proprio in quei giorni a Lugano andava in scena la Rassegna internazionale del film (quella che successivamente sarebbe diventata il Festival di Locarno), in cui gli Stati Uniti si erano ag-

Il generale Clarck in spiaggia al Lido di Lugano mentre firma autografi ai bagnanti che lo hanno riconosciuto. (Archivio storico della Città di Lugano, Fondo Vincenzo Vicari)

giudicati la parte del leone. Ciò che non stupisce – si commentava nella presentazione – quanti hanno presente la parte cospicua che la produzione d’oltre oceano ha nei programmi delle sale di proiezione svizzere. («Azione», 31.8.1945, p.4).

L’offensiva dell’industria culturale americana faceva sfilare sui grandi schermi luganesi le sue star: Warner Bros con Bette Davis, United Artists con Alfred Hitchcock, Fox portava Heaven Can Wait di Lubitsch, Columbia con Rita Hayworth e Gene Kelly nel musical Cover Girl, Walt Disney con le avventure di Donald Duck in Sudamerica e tre cortometraggi di propaganda, Frank Capra con i suoi documentari della serie Perché combattiamo Artiglieria pesante della cinematografia confrontata con una misera offerta dell’Europa prostrata dalla guerra: un solo lungometraggio da Italia, Russia e Svezia, due dalla Francia, uno dall’Inghilterra, accompagnato da tre cortometraggi. La produzione svizzera si limitava a un pugno di documentari: dalle officine della Oerlikon alle cappelle del Ticino. Proprio alla vigilia della rassegna, però, al Supercinema, tornava in programma a generale richiesta, L’ultima speranza, il più grande film svizzero che ha trionfato all’estero. Girato in Ticino con attori ticinesi, rifugiati inglesi, americani e italiani – si legge sulla locandina – il film è la storia commovente di alcuni autentici prigionieri di guerra

americani, evasi dai campi di concentramento italiani, che passano (felicemente! ndr) il nostro confine in cerca di un asilo sicuro dopo rischi e peripezie inenarrabili. («Azione», 8.6.1945) L’evidente operazione di propaganda narrativa dell’immagine umanitaria della Svizzera neutrale era sostenuta sul «suo» settimanale «Azione» nientemeno che dal poliedrico imprenditore Gottlieb Duttweiler, in veste di consigliere di amministrazione della Praesens Film di Zurigo, la casa di produzione de L’ultima speranza, ma anche di precedenti successi come Marie Louise (1943) e Landamann Stauffacher (1941).

Archiviata la produzione patriottica figlia del tempo di guerra, è proprio la Praesens di Duttweiler e co. a cavalcare l’invasione pacifica dei soldati americani che attraversano la Svizzera, fissandola nel documentario promozionale G.I.’s in Switzerland (https://www.youtube.com/watch?v=0ZEllpilshg). Ma i tempi della pellicola sono lunghi e il documentario non uscirà prima del 1946. Tempi troppo lunghi per il lungimirante Dutti, che già nel 1935 aveva fondato Hotelplan, fiutando l’affare del turismo popolare, avanguardia del nostro turismo di massa. Il flusso ininterrotto di soldati in licenza doveva essere intercettato a fini pubblicitari. Subito. E allora Mister Migros si inventa e pubblica in sole 6 settimane Our leave in Switzerland, un instant book, libro-cartolina a metà tra album dei ricordi e guida turistica, rafforzato dalle nozioni necessarie a far conoscere il funzionamento politico-economico della Confederazione svizzera. L’album fotografico è firmato da Werner Bischof, che sarebbe divenuto uno dei più celebri fotoreporter dell’Agenzia Magnum. E alla pubblicazione promozionale per l’appetitoso mercato americano collabora Duttweiler in prima persona, mobilitando la Federazione delle Cooperative Migros e l’Ufficio centrale svizzero del Turismo, che si occupa della commercializzazione. Due franchi e cinquanta centesimi è il prezzo (al di sotto del costo!) del libro, venduto con involucro di cartone munito di un’etichetta, in modo che i soldati in licenza possano inviarlo comodamente ai loro congiunti e conoscenti a casa, a guisa di saluto dopo il loro viaggio in Svizzera. In cinque mesi ne arrivano negli Usa 70mila copie.

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Una finestra spazio-temporale in soli 30 centimetri

Territorio ◆ Un nuovo e inaspettato livello fossilifero amplia lo sguardo sul panorama triassico del Monte San Giorgio Rudolf

Il Monte San Giorgio è iscritto nel Patrimonio dell’Umanità UNESCO quale migliore testimonianza della vita marina nel Triassico Medio (247239 milioni di anni fa). Nei suoi strati è scritta la storia di quell’epoca come nelle pagine di un libro e i fossili ne sono le parole. Fossili che condividono le vicissitudini delle rocce in cui sono conservati come passeggeri passivi. E in questo caso si tratta di rocce formatesi in un mare tropicale e in seguito migrate verso Nord a costituire il rilievo piramidale del Monte San Giorgio. In natura nulla si spreca e il riciclaggio è la regola; così, dopo la sua morte, un organismo viene generalmente consumato da una serie di spazzini, i cosiddetti necrofagi, che fanno rapidamente piazza pulita del fondale. La conservazione di un organismo richiede condizioni particolari che ne impediscano il disfacimento permettendone la fossilizzazione. Tra queste vi sono condizioni chimiche, in primo luogo l’assenza di ossigeno sul fondale che escluda i necrofagi, e fisiche quali l’assenza di correnti in grado di disarticolare un cadavere. Il tutto meglio se accompagnato da uno sviluppo di batteri tale da formare dei tappeti sul fondale, ricoprendo le carcasse come una colla biologica, quasi a dire un sudario.

Il nuovo livello fossilifero è stato battezzato Strati di Scheltrich, dal nome della valle posta tra Meride e Serpiano

La pila di sedimenti triassici del Monte San Giorgio è spessa oltre 600 metri, la maggior parte dei quali privi di fossili. Si tratta di strati depositati rapidamente come frane di fango sottomarine. All’interno di questi vi sono degli intervalli in cui, al contrario, sono esistite tutte le condizioni favorevoli per la conservazione, i cosiddetti livelli fossiliferi, espressione anche di una sedimentazione lentissima di fango. Tutto ciò permise non solo la fossilizzazione delle carcasse depositate sul fondo ma anche la loro concentrazione negli strati. Fino a un recente passato i livelli fossiliferi del Monte San Giorgio si contavano sulle dita di una mano e portavano nomi storici, di rocce o località. Dal basso verso l’alto sono la Formazione di Besano e, nel Calcare di Meride, gli Strati di Cava inferiore, di Cava superiore, di Cassina e la Kalkschieferzone (che tradotto suona come «Zona degli scisti calcarei»). La Formazione di Besano è nota dalla metà del XIX secolo, Cava inferiore e Cava superiore sono state scoperte nel 1927, Cassina nel 1933 e la Kalkschieferzone negli anni Quaranta del secolo scorso.

Ora, a 80 anni dalla scoperta di quest’ultimo livello fossilifero e quando ormai si pensava di conoscerli tutti, ne è emerso un sesto. Le dita di una mano non bastano più. A dire il vero la sua scoperta risale al 2010 ma è negli ultimi dodici anni che è stato minuziosamente indagato dal Museo cantonale di storia naturale, portando alla luce centinaia di reperti fossili. Questi permettono di considerarlo come livello fossilifero, nonostante il suo spessore sia di soli 30 cm. È stato battezzato Strati di Sceltrich. Calcari neri che se martellati emanano un odore misto di sostanza organica e zolfo, retaggio di un fondale asfittico, di un originario fango privo di ossigeno.

Sceltrich è il nome della valle in cui sono stati scoperti e attualmente scavati, posta tra Meride e Serpiano. Giulio A. Cattaneo (2006), studioso della toponomastica di Meride, osserva trattarsi di un rarissimo toponimo menzionato, anche come «Celtrigo», nel 1581 nei primi documenti della Comunità di Meride. È inoltre antichissimo perché la sua radice sarebbe da ricondurre a Cheltrach, dio onnipotente dei Celti che muoveva il sole. Era forse un luogo d’isolamento dei Celti sotto forma di ritiro nella foresta? Gli elementi primordiali per riti propiziatori sono ancora presenti: querce, vischio, pietre, acqua, sole, animali selvatici. Più tardi, insieme alle località adiacenti avrebbe fatto parte del leggendario paese di Valporino, citato in racconti tramandati oralmente che lo dicono distrutto durante un sollevamento popolare contro un tiranno della regione.

Ma torniamo al passato più antico. L’età degli Strati di Sceltrich è di 240.5 milioni di anni, desumibile da una datazione radiometrica con il metodo uranio-piombo eseguita negli Strati di Cassina che si trovano 50 metri più in basso nella successione. Ci troviamo pertanto nella cosiddetta Età Ladinica del Triassico Medio. La struttura della roccia parla di un fondale profondo almeno 30 metri ma i fossili raccontano anche di una terra emersa che non era distante. Gli organismi più diffusi sono i pesci (inclusi i celacanti oggi considerati fossili viventi, v. Azione 2019, N.14), tra cui si osservano specie molto primitive («subholostei») a fianco di altre decisamente più evolute (Neotterigi). Non mancano generi e specie nuovi per la scienza. Tra questi, forme di piccole dimensioni come Eosemionotus minutus (2.5 cm) e Eosemionotus sceltrichensis (5 cm) si affiancano a numerosi esemplari del grande predatore Saurichthys sceltrichensis lungo fino a 67 cm e simile a un barracuda. I pesci sono seguiti da resti di piante, molluschi, crostacei e rari in-

setti. Tra i crostacei sono emerse specie nuove come Meridecaris ladinica, un piccolo gambero lungo 1.4 cm e reptante, ossia che si muoveva sul fondale come un astice. Il cadavere doveva quindi provenire da una zona più prossima alla costa e con fondo ossigenato. O come Ladinicaris sceltrichensis, gambero natante, che nuotava quindi nella massa d’acqua, come quelli che generalmente finiscono sulla nostra tavola. Era lungo 6.4 cm. E i rettili, artefici della visibilità mondiale del Monte? Finora po-

chi frammenti, di cui uno ha tuttavia suscitato scalpore ed è stato appena pubblicato. Si tratta di un femore di Macrocnemus, uno dei due rettili terrestri del Triassico Medio del Monte San Giorgio. Aveva un aspetto che ricordava una lucertola dalla lunghezza massima intorno al metro, con una struttura del corpo leggera. Particolarmente appariscenti erano le zampe posteriori notevolmente più lunghe delle anteriori, con la tibia più lunga del femore, carattere che in genere contraddistingue i buoni corridori.

Altre centinaia di reperti sono in attesa di una descrizione e sono da attendersi sicuramente decine di specie nuove per la scienza. Perché ognuno di questi livelli fossiliferi ci fornisce fotografie di un ambiente peculiare, oltre ad avere età diverse e tali da permettere lo sviluppo di specie differenti. In tal senso sono delle vere e proprie finestre spazio-temporali affacciate sulla vita marina, e in misura minore terrestre, del Triassico Medio. Tornando al libro della storia della vita è come se permettessero di scrivere nuovi capitoli laddove c’erano pagine bianche. Decifrando le parole rappresentate dai fossili, il loro studio è un’opportunità unica per i paleontologi e un ulteriore impulso e visibilità internazionale per il sito UNESCO. Oggi, 7 luglio, riprende la campagna di scavi condotta dal Museo cantonale di storia naturale. Porte aperte allo scavo di Sceltrich sono previste nei giorni 1 e 2 agosto: la partecipazione avviene su iscrizione rivolgendosi al Museo dei fossili del Monte San Giorgio a Meride (info@montesangiorgio.org, Tel. +41(0)916400080).

Da sapere

In Canton Ticino la ricerca e la raccolta di fossili sono vietate. Deroghe sono possibili per studi scientifici svolti in collaborazione con il Museo cantonale di storia naturale.

Scavi a Sceltrich nel 2024. (FMSG)

Le innovazioni

È nato prima l’uovo o la gallina?

Mondoanimale ◆ Finalmente c’è una risposta scientifica al paradosso senza soluzione per eccellenza

Ma quindi, è nato prima l’uovo o la gallina? È il quesito che ci accompagna dalla nostra infanzia. È la domanda che affonda le radici nei secoli che hanno visto la divisione fra filosofi e scienziati e non smette mai di emergere nelle più svariate discussioni, a metà tra curiosità e voglia di risolvere uno dei misteri più discussi della nostra storia. Se ve lo state ancora chiedendo sappiate che ora la scienza è finalmente in grado di darvi una risposta. Insomma, il «quesito dei quesiti» che pareva destinato a non trovare mai riscontro è stato risolto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Ginevra capitanato dal professor Omaya Dudin, assistente presso il Dipartimento di Biochimica della Facoltà di Scienze, che vanta un curriculum di tutto rispetto pure come ricercatore SNSF-Ambizione presso l’EPFL di Losanna.

Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica «Nature» è l’uovo ad avere il diritto di primogenitura

Secondo questa ricerca, pubblicata dall’autorevole rivista scientifica «Nature», è l’uovo ad avere il diritto di primogenitura. Ma per comprendere il punto di partenza di questo studio bisogna risalire al fatto che le prime uova di uccello risalgono a 200 milioni di anni fa, mentre le uova fossili più antiche ritrovate appartenevano a rettili e sono state deposte addirittura 350 milioni di anni fa dai captorinomorfi (il gruppo di rettili più primitivo). Poi, una delle rivoluzioni più importanti dell’evoluzione risale al Carbonifero, quando i rettili adottano una soluzione che permette loro di rendere la fase riproduttiva indipendente dalla presenza di acqua. Per questo l’uovo, precedentemente ricoperto solo da una membrana, si deve dotare di un guscio rigido, sottile e poroso (insieme a una riserva di so-

Viale dei ciliegi

Edward Marshall – James Marshall Storie da spiaggia Lupoguido (Da 4 anni)

I nomi in copertina sono due, e dovrebbero corrispondere, rispettivamente, allo scrittore e all’illustratore di questo libro, ma in realtà uno è lo pseudonimo dell’altro, e l’autore è uno solo, il grande James Marshall, che nacque in Texas nel 1942 e morì a soli cinquant’anni, lasciandoci storie incantevoli, piene di humour, di giocosità surreale (come già vediamo nello sdoppiamento di identità), e anche di una tenera, leggera, malinconia, che ci ricorda il quasi contemporaneo, anche lui statunitense, e forse più conosciuto, Arnold Lobel. James Marshall, ben tradotto da Sergio Ruzzier, è pubblicato nelle sue varie opere (tra cui la pluripremiata serie di «George e Martha») dall’editore Lupoguido, e vi invito a scoprirle tutte. Qui vi presento quella più estiva, le «storie da spiaggia» che tre bambini si raccontano per ingannare l’attesa del bagno. Le storie sono tre, una per bambino, e sono in qualche modo correlate l’una all’altra: comincia Lolly, con un racconto folgorante e tautologico, che gli altri

stanze nutritive come grassi, proteine e zuccheri) a protezione dell’embrione dalla disidratazione e dai possibili predatori. Questo passo evolutivo ha fatto in modo che l’embrione potesse raggiungere un grado di sviluppo maggiore di quello delle larve degli anfibi e, alla nascita, il piccolo ha un’elevata probabilità di sopravvivenza anche se si affaccia in un ambiente arido.

Dagli uccelli (che nascono nel Giurassico circa 140 milioni di anni fa) alla nostra gallina bisogna arrivare a soli (si fa per dire) 50 milioni di anni fa, quando da un embrione di un uovo, frutto di una nuova ricombinazione di geni, nasce il primo animale simile a quello che oggi conosciamo. La storia insegna dunque che le maggiori trasformazioni evolutive sono avvenute proprio attraverso l’uovo. Ma gli scienziati dell’Università di Ginevra capitanati dal professor Dudin non si sono limitati a queste considerazioni storico-cronologiche e sono partiti dal fatto che le prime forme di vita apparse sulla Terra erano unicellulari (composte da una sola cellula) come ad esempio il lievito o i batteri. Solo in seguito si sono evoluti gli animali (organismi multicellulari) che si sono sviluppati da un’unica cellula (la cellula uovo) per formare esseri complessi.

«È uno sviluppo embrionale che segue tappe precise notevolmente simili tra le specie animali, e che potrebbe risalire a un periodo molto precedente alla loro comparsa», spiegano gli scienziati che ammettono però quanto ancora sia poco conosciuta la transizione dalle specie unicellulari agli organismi pluricellulari. Essi sono partiti proprio da questi presupposti per studiare la Chromosphaera perkinsii, un organismo unicellulare primordiale, «cugino stretto degli animali» comparso sulla Terra molto prima delle forme pluricellulari che si è separato dalla linea evolutiva animale più di un miliardo di anni fa. Un approccio che ha offer-

to una preziosa visione dei meccanismi che possono aver portato alla transizione verso la multicellularità. Di conseguenza, secondo gli studiosi, la risposta all’annosa questione dell’uovo e della gallina risiede proprio nella transizione da essere unicellulare a essere multicellulare: «Gli animali si sono sviluppati da una singola cellula, la cellula uovo, per formare esseri complessi: queste cellule si dividono senza crescere ulteriormente, formando colonie multicellulari che assomigliano alle prime fasi dello sviluppo embrionale animale». Osservando la Chromosphaera perkinsii gli scienziati sono giunti a una logica conclusione: «Sebbene questa sia una specie unicellulare, il suo comportamento dimostra che i processi

ovviamente giudicano troppo banale, poi prende la parola Sam, e dovrà mettere nella sua storia dei personaggi citati da Lolly, ossia un ratto e un gatto, e qui abbiamo il delizioso racconto di un ratto che imperturbabile va in un negozio di animali ad acquistarsi un gatto da compagnia. Il turno finale è quello di Spider, e la sua vuole essere una storia di paura, col finale da brivido e da risate, nel quale racconto-cornice e storie sembrano quasi compenetrarsi. James Marshall è magistrale anche nelle illustrazioni (anzi lui nasce come illustratore, dopo studi umanistici e musicali), e

i suoi personaggi, caratterizzati dagli occhi fatti con due semplici puntini, riescono a esprimere tutta la gamma delle emozioni.

Anna Simioni-Paolo Colombo

Io gioco

UP Feltrinelli (Da 11 anni)

Un romanzo che parla di calcio. Ne parla con una scrittura sapiente e incisiva. Ti fa entrare dentro la strategia delle partite e dentro la storia delle tecniche, e ciò, per chi ne sa, convalida e vivifica l’interesse; mentre per chi non ne sa è motivo di lettura incuriosita e intrigata. Già questo potrebbe essere un valore del libro, ma quello che lo rende appassionante è il fatto che l’io narrante sia una ragazza, e non semplicemente una ragazza che gioca a calcio in una squadra femminile (argomento peraltro ampiamente trattato nella letteratura per adolescenti), ma una ragazza che gioca un campionato in una squadra mista. «Perché io sono quella che per prima ha giocato un campionato allo stesso livello dei maschi e insieme a loro. Ma perché metterla per forza così? Potremmo anche dire il contrario: cioè che sono stati loro ad aver giocato con

di coordinamento e differenziazione multicellulare sono già presenti nella specie ben prima della comparsa dei primi animali sulla Terra». Ancora più sorprendente è il fatto che «il modo in cui queste cellule si dividono e la struttura tridimensionale che adottano ricordano in modo impressionante le prime fasi dello sviluppo embrionale degli animali». A suffragio di questa tesi sta l’analisi dell’attività genetica all’interno di queste colonie resa possibile grazie alla collaborazione con Hohn Burns (Bigelow Laboratory for Ocena Sciences). Essa ha rivelato «intriganti somiglianze con quelle osservate negli embrioni animali», suggerendo che i programmi genetici che regolano il complesso sviluppo

multicellulare erano già presenti più di un miliardo di anni fa. La prima autrice dello studio Marine Olivetta conclude: «Lo studio dimostra che o il principio dello sviluppo embrionale esisteva prima degli animali, oppure i meccanismi di sviluppo multicellulare nella Chromosphaera perkinsii si sono evoluti separatamente». Insomma, semplificando i concetti e i risultati scientifici, l’uovo sarebbe nato prima della gallina. E ciò si può affermare perché l’osservazione della divisione cellulare, simile a quella dell’embrione animale in organismi unicellulari preistorici (Chromosphaera perkinsii), ha suggerito che lo sviluppo embrionale esisteva prima dell’evoluzione degli animali (organismi multicellulari).

me, con una femmina, una femmina anche più brava di tanti maschi» dice Elena, la quale fino ad allora militava in una squadra femminile, ma grazie all’occhio attento di un allenatore, Bruno (personaggio poi centrale nel romanzo) e grazie a un decreto-legge governativo che, pur essendo passato in sordina, non vietava le squadre miste, viene scritturata, con la sua amica Marina, in una squadra fino ad allora esclusivamente maschile. Come ben si può immaginare, le polemiche fioccano: certo, la parità di genere è doverosa, ma… quanti «ma», dai più volgari ai più subdoli iniziano

ad emergere, sugli spalti, sui giornali, sui social. Siamo sicuri che vogliamo perdere il livello atletico del calcio maschile, il senso di cameratismo e unione che si crea solo in certi contesti, la fede calcistica di generazioni? Bruno, l’allenatore, smonta ogni «ma» con determinazione, insegnando ai suoi ragazzi ad affrontare la vita, e non solo le partite, con senso etico profondo. Perché questo non è solo un romanzo sul calcio, ma un romanzo sulla coscienza e sulla responsabilità civile, come viene ben esplicitato nel finale. E non è così vero che nello sport l’importante è partecipare, dipende anche da come partecipi. Infine, voglio sottolineare quello che per me è il tratto più interessante di questa storia, ossia il fatto che Elena sia una calciatrice, ma sia anche una ballerina, proprio una ballerina classica, con anni di studio alle spalle e un presente, ora che il calcio assorbe la maggioranza delle sue energie, di insegnamento alle bambine. E nel romanzo viene fatto acutamente emergere come tra danza e calcio possano instaurarsi (nella sensibilità ritmica e coreografica, nel fare proprie certe azioni, e in molte altre cose) insolite e vivificanti armonie.

di Letizia
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L’altropologo

Il Cronista che vada a rileggersi i titoli dei media globali successivi al Solstizio Estivo degli ultimi dieci anni si accorgerà che sembrano tutti un bollettino di guerra dell’Apocalisse. E il Vostro Altropologo preferito non si riferisce alle varie, molteplici apocalissi belliche che si stanno diffondendo – quelle sì – come deliberati incendi man-made urbi et orbi, ma a quelle ben più ineffabili, misteriose, infernali – e dunque tanto più mediaticamente succulenti – che si riferiscono al minaccioso Riscaldamento Globale.

Altro che i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse di Giovanni! Questi sono ormai più del Settimo Cavalleria del Generale Custer (prima) della battaglia di Little Big Horn. Cloni gli uni degli altri, inarrestabili, crudeli

e fuori controllo in un immaginario collettivo ormai perso fra pre- e postgiudizio, rimedi but not in my back garden e un’impotenza crescente a cambiare una tendenza che vede invece improbabili uomini e donne della Provvidenza votati a furor di popolo a negare ciò che è vieppiù evidente. In concreto: il tema dell’estate presente, almeno a Sud delle Alpi, che tiene sul filo del rasoio le masse balneari riversate sulle spiagge da quel Pifferaio Magico che è il Termometro con relativo seguito di Bollini Rossi Urbani, è quello delle Specie aliene. Nella fattispecie chi scrive si è trovato giocoforza e suo malgrado a dover ascoltare una serie di quasi dotte conferenze sull’Invasione delle Specie aliene dovuta al riscaldamento globale del Mare Mediterraneo.

La nutrizionista

La lista è lunga e cresce. Cominciò anni fa il Granchio Blu, che ha devastato gli allevamenti di molluschi dell’Alto Adriatico facendo fuori le Vongole Filippine. Anch’esse appartenenti a una specie aliena pioniera che, al contrario delle attuali, era stata benvenuta e corteggiata come negli anni anni 60 erano le bionde nordeuropee rispetto alle more indigene in Riviera romagnola. Tanto che le Vongole Veraci (perché poi veraci quando sono aliene?) costano tre volte tanto la variante Poverazza indigena. Poi è arrivato il terribile Pesce Scorpione: ne hanno pescati finora pochissimi esemplari ma i social sono pieni di Influencer che spiegano cosa fare in caso di puntura (velenosa) del medesimo. Poi è stato avvistato uno Squalo Bianco e siamo diventati tutti

«Crisi» adolescenziale o disturbo alimentare?

Gentile Laura, le scrivo perché sono preoccupata per mia figlia undicenne, ultimamente mi sembra abbia troppo interesse per il suo corpo e nello specifico per il suo peso, è sviluppata da pochi mesi, non è sovrappeso ma credo lei si comporti come se lo fosse. Ho paura che possa diventare anoressica ma non riesco a capire se sia solo una mia fobia (da giovane ho avuto una cara amica malata e ne sono rimasta impressionata) o se ci sono veri campanelli di allarme: a volte mangia normale, altre volte meno, a volte fa tantissimo sport altre volte si chiude tutto il giorno in camera…non so se siano crisi adolescenziali «normali» o l’inizio di una malattia. Cosa mi consiglia di fare? Come capire se è anoressia? La ringrazio molto. / A.

Buongiorno, l’adolescenza effettivamente è un periodo critico in cui avvengono cam-

biamenti in tutte le sfere dell’individuo, sia dal punto di vista fisico che cognitivo e questo può portare a delle crisi di identità, a dei comportamenti «anomali» che però spesso fanno parte del normale processo di crescita individuale.

Se tali mutamenti avvengono prima o dopo rispetto ai loro coetanei può insorgere una maggiore apprensione rispetto alla trasformazione che subisce il proprio corpo. Questa preoccupazione è spesso causata dalla mancanza di conoscenza o dal non accettare il fatto che il processo di sviluppo varia in base a caratteristiche individuali, come ad esempio il genere, e anche da fattori esterni (come l’alimentazione).

Oltre ai radicali cambiamenti fisici, si accentua anche la capacità d’introspezione dell’adolescente: iniziano a confrontarsi sempre di più con i compagni della stessa età e ognuno

tende a paragonarsi con un modello fisico ritenuto ideale. Questo porta alla conseguenza che molti adolescenti si sentono infelici per il loro aspetto esteriore e tendono purtroppo a non accettarsi pensando oltretutto di non essere graditi neanche agli altri. Tutto ciò può essere un terreno fertile per i disturbi del comportamento alimentare.

I diversi tipi di disturbi alimentari presentano sintomi differenti, ma ogni condizione implica un’estrema focalizzazione su questioni legate al cibo e all’alimentazione, e alcuni sul peso. I maggiori sintomi che possono farci scattare un campanello d’allarme, oltre alla più evidente perdita di peso drammatica sono la preoccupazione per il peso con la paura di ingrassare o di essere grasso e il pesarsi ripetutamente. Il costante pensare al cibo e alle sue calorie, ai grammi di grasso o alle diete in ge-

esperti nel saper come fare in caso di attacco. Poi l’altro giorno è stata avvistata una Verdesca, innocuo squalo commestibile già sterminato (si dice che le cotolette siano ottime): era lunga circa un metro però siccome può raggiungere i quattro metri meglio chiamare la Guardia Costiera. Un povero Pesce Luna sovrappeso (attorno ai due quintali) – un bradipo di pesce lentissimo dalla piccola bocca sdentata – l’altro giorno ha mobilitato la Guardia Costiera di mezze Puglie. Ancora: una Manta – detta per sua disgrazia Pesce Diavolo perché sembra abbia le corna, povera – ha seminato il panico in spiaggia avvicinandosi troppo. Aveva un’apertura alare di un metro, ma siccome può crescere fino ai cinque metri i media hanno disseminato dottrine

su come difendersene in caso di… Lo Squalo Balena, poi, è un’innocua bestia enorme ed obesa che nuota a bocca aperta perché si nutre di solo plancton: ha causato il fuggi fuggi fra i pescatori di sardine. Dulcis in fundo: il panico si è diffuso pochi giorni fa sulla spiaggia di una ridente località balneare romagnola. I bagnanti fuggono e quasi travolgono un bambino. Causa: una tartaruga si affanna a salire in spiaggia. È ferita?! No, è malata! Bambini non toccatela che è velenosa. Tutti si attaccano ai telefonini. Arrivano bagnini, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia, Vigili del Fuoco, Vigili Urbani, Ambulanza, Servizi Veterinari con l’antidoto. La povera bestia intanto fa quel che è venuta a fare al Bagno 51: si scava una buca e depone 28 uova.

nerale. Iniziare a limitare la qualità e la quantità dei cibi consumati oppure rifiutarsi di mangiare direttamente certi cibi. L’evitare di mangiare in pubblico o inventare scuse per non mangiare all’ora dei pasti e negare la fame. Cucinare per gli altri ma non mangiare niente. Sviluppare rituali intorno al cibo come la separazione dei vari componenti del pasto, evitando qualsiasi contatto tra cibi diversi sul piatto.

Altri comportamenti non direttamente legati al cibo possono essere delle costanti lamentele di costipazione e dolore addominale. Indossare strati di vestiti per nascondere la perdita di peso o per stare al caldo perché non si tollera più il freddo. Esprimere la necessità di «bruciare» calorie e la pratica di esercizio fisico eccessivo. Il passare da stati di letargia a eccesso di energia. A livello fisico il sintomo più drastico è la

mancanza di periodi mestruali. Attenzione anche se ha la sensazione di vertigini o di svenimento. Sinceramente non so risponderle, da quello che descrive si riconoscono, o almeno si percepiscono alcuni sintomi, ma se sua figlia sia davvero malata o siano solo dei comportamenti passeggeri dovuti all’adolescenza non glielo posso dire. La via più sicura è quella di contattare il pediatra in modo che possa fare una diagnosi e pensare a una cura e a sviluppare una rete di supporto formata da professionisti tra cui uno psicologo e una dietista in modo da supportare ed aiutare sua figlia a tutti i livelli.

Informazioni

Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a info@azione.ch (oggetto «La nutrizionista»)

di Laura Botticelli
di Cesare Poppi

ATTUALITÀ

Stati Uniti

Tutti si concentrano sui dazi dimenticando l’efficace strategia dell’indebolimento del dollaro

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Stupefacenti

Gli Usa cercano il fentanyl e così le vie della cocaina vanno in Europa partendo dai porti sudamericani

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Minaccia nucleare Chi l’ha detto che gli attacchi alle strutture atomiche iraniane renderanno il mondo più sicuro?

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Germania Il nuovo cancelliere punta in alto, ma deve fare i conti con una «Grosse» Koalition per modo di dire

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Il dilemma dei telefonini tra i banchi di scuola

Svizzera ◆ Nidvaldo, Argovia, Vallese e Ginevra hanno deciso di proibirli nelle aule scolastiche ma anche durante le pause

Non sarà una pausa estiva come tutte le altre per diverse scuole del nostro Paese, confrontate con l’introduzione del divieto dell’uso del cellulare in aula, a partire dal prossimo mese di agosto. Prima di affrontare nei dettagli questi provvedimenti, val la pena di dare un’occhiata alle astuzie usate dai ragazzi per continuare a usare lo smartphone in aula. E qui la fonte è fede degna, lo abbiamo chiesto a direttamente ad alcuni allievi che frequentano la scuola media in Ticino, dove il cellulare può essere portato con sé, ma deve rimanere spento o non visibile e in «modalità aereo». Alla voce «trucchi», il primo in classifica pare essere quello dell’astuccio: il cellulare, acceso, viene nascosto tra penne e matite, per poi guardarlo di tanto in tanto durante la lezione.

Il trucco più in voga tra gli studenti è quello di nasconderlo nell’astuccio, il secondo di coprire con una mano l’auricolare

Al secondo posto c’è lo stratagemma dell’auricolare: lo si mette nell’orecchio, lo si copre con una mano appoggiando il gomito sul banco, e così si può ascoltare un po’ di musica mentre il docente porta avanti il suo programma. Al terzo posto, un ultimo sotterfugio, decisamente dispendioso: avere a disposizione un secondo telefonino, da usare quando il primo viene ritirato dal docente, dopo aver colto l’allievo in «flagranza di reato». Una serie di furbizie che ci fa capire come la discussione sui divieti debba tener conto anche delle sfide con cui sono confrontati gli insegnanti, chiamati a vigilare pure sugli abusi digitali dei ragazzi. Un fenomeno sempre più invadente che in queste settimane ha portato diversi cantoni a voler cambiare marcia, a passare da una modalità tutto sommato «soft», come lo è quella ticinese, a misure più severe, come appunto quella del divieto, non solo in aula ma anche durante le pause. Quattro finora i cantoni che hanno deciso di muoversi in questa direzione: Nidvaldo, Argovia, Vallese e Ginevra. In quest’ultimo cantone il cellulare, e altri dispositivi elettronici, saranno proibiti nella scuola dell’obbligo, a partire dal prossimo rientro in aula dopo le vacanze. In un comunicato dello scorso 26 giugno il governo ginevrino sottolinea che questa decisione ha lo scopo di «preservare la qualità dell’apprendimento, la salute mentale degli allievi e anche di incoraggiare l’interazione sociale tra gli allievi». La posta in gioco è dunque molto elevata, «la scuola deve rispondere alla crescenti preoccupazioni dei genitori e dei professionisti del settore, dovute agli effetti nefasti dell’uso spro-

porzionato di questi strumenti, come ad esempio l’abbandono scolastico e il cyberbullismo». Lo scorso 28 maggio il Governo del canton Argovia ha deciso che il telefonino sarà vietato non solo in classe ma anche durante le gite, e questo fino al termine della scuola media. Ci potranno essere delle eccezioni: se il cellulare «permette di raggiungere precisi obiettivi pedagogici» o per motivi legati alla salute di un allievo.

In Argovia si punta molto anche sulla formazione, pure quella dei genitori, per accrescere la «competenza mediatica» della società nel suo insieme. Esprimendosi sulla stampa d’Oltralpe, il consigliere di Stato Christophe Darbellay, responsabile in Vallese del Dipartimento della formazione, si è detto «allarmato, nel constatare che parecchi ragazzi hanno delle difficoltà di apprendimento e di lettura». In Vallese il «divieto totale» vale anche nella scuola post-obbligatoria, apprendistato compreso, anche se sono possibili delle eccezioni, definite singolarmente da ogni sede sco-

lastica. Sul tema si è espressa anche la Conferenza dell’istruzione pubblica romanda e del Ticino, che sottolinea come a scuola i cellulari debbano essere spenti o depositati in appositi scaffali, e questo anche durante le pause. In Svizzera la scuola è di stretta competenza dei cantoni e dei comuni, le misure da adottare possono dunque differire parecchio da una realtà all’altra.

L’Unione dei docenti svizzeri si oppone a un divieto generalizzato e punta a un loro uso responsabile

Anche perché su questo argomento ci sono opinioni divergenti. Basti dire che l’Unione dei docenti svizzeri si oppone a un divieto generalizzato. In un suo ampio rapporto pubblicato l’anno scorso si legge tra l’altro che «è arrivato il momento di avvicinare i giovani a questi strumenti in modo responsabile, per far leva sui loro aspet-

ti positivi, riducendo con misure appropriate quelli negativi». Per questa associazione «gli smartphone possono essere una risorsa importante durante le lezioni, se utilizzati in modo mirato e sensato». E qui si apre un altro tema, perché in questo modo la scuola dà per scontato che ogni allievo disponga di un cellulare, aumentando così la pressione sulle poche famiglie che, a fatica, scelgono di posticipare l’entrata dei loro figli in questo mondo. Anche in Ticino il dibattito è aperto. Il partito del Centro è pronto a lanciare un’iniziativa popolare per introdurre il divieto del cellulare, che «non sarà consentito portare con sé». In altre parole il telefonino dovrà rimanere a casa, anche se delle deroghe potranno essere previste per «esigenze scolastiche o in presenza di gravi motivi». Un approccio sostenuto anche dalla Ccg, la Conferenza cantonale dei genitori, come ci ha confermato il suo presidente Pierfranco Longo. In un recente documento la Ccg elenca una serie di rischi a cui sono esposti i ragazzi a causa del

cellulare, tra cui: isolamento sociale, disturbi del sonno ed esposizione a contenuti pornografici in età precoce. Occorre dunque una «presa di coscienza collettiva». Nell’abituale conferenza stampa di fine anno scolastico, la Consigliera di Stato Marina Carobbio ha affermato che «la dipendenza dai dispositivi elettronici pone dei seri problemi di salute pubblica che vanno affrontati con urgenza». E lo ha detto da ministra ma anche da medica. Anche per questo motivo i suoi servizi stanno pensando di estendere il divieto dell’uso del cellulare già a partire dalla scuola elementare. Oggi vale solo per le medie. E forse uno dei punti da chiarire sta proprio qui, cosa si intende davvero per divieto: lasciare il cellulare a casa? Depositarlo a scuola? Oppure metterlo in modalità aereo ma tenendolo a portata di mano? Ben sapendo che qualche trucco i ragazzi riusciranno sempre a trovarlo. Una sfida che potremmo definire «epocale» e che a ben guardare, con le stesse problematiche e fragilità, investe anche il mondo degli adulti.

Roberto Porta
Anche in Ticino il dibattito è aperto. Il partito del Centro è pronto a lanciare un’iniziativa popolare per introdurre il divieto del cellulare. (Pexels)

La scaltra strategia del dollaro deprezzato

Stati Uniti ◆ Si parla solo dei dazi dimenticando l’altro strumento del protezionismo commerciale e le imprese Usa ringraziano Federico Rampini

Distratti dal tema dei dazi, abbiamo sottovalutato l’altro strumento del protezionismo commerciale di Donald Trump: il dollaro. L’indebolimento della valuta americana è stato un trend abbastanza costante negli ultimi mesi, sia pure con qualche interruzione. Il tasso di cambio viene sospinto al ribasso volutamente da Donald Trump, per esempio con gli attacchi alla Federal Reserve che tendono a screditare la banca centrale e quindi ridurre la fiducia verso il dollaro. È benefico per le imprese americane, che guadagnano competitività perché le loro esportazioni all’estero diventano meno care (e i profitti rimpatriati dall’estero valgono di più). Non a caso i continui scivoloni del dollaro si accompagnano di solito con altrettanti record al rialzo delle Borse Usa. Per Trump questa svalutazione competitiva è un parziale surrogato dei dazi. L’effetto finale è identico. Per migliorare la competitività dei miei prodotti io posso tassare i prodotti stranieri quando arrivano alla dogana; oppure posso abbassare i miei prezzi sui mercati altrui (e rendere più care le merci estere) grazie a un indebolimento della mia valuta.

Il 12 gennaio 2025 un euro valeva 1,02 dollari, il 3 luglio un euro valeva 1,17 dollari: la moneta Usa ha perso il 15% di valore in un semestre

Non è una novità. Le guerre valutarie sono sempre state una delle possibili forme delle guerre commerciali. Il presidente repubblicano Richard Nixon ne fece uso in modo brutale nel 1971 quando dichiarò l’inconvertibilità del dollaro (lo sganciamento dall’oro e dai cambi fissi), distruggendo così un ordine monetario internazionale che Franklin Roosevelt aveva inaugurato nel 1944: nell’instabilità dei cambi che ne seguì, Nixon incassò un miglioramento della competitività verso Germania e Giappone (a cui aggiunse pure dei dazi). Un altro repubblicano, Ronald Reagan, costrinse gli alleati ad accettare due accordi fra banche centrali (Hotel Plaza di New York settembre 1985, Louvre Parigi febbraio 1987) per svalutare il dollaro e rivalutare yen giapponese e marco tedesco.

Non c’è bisogno di risalire così indietro nel tempo, per trovare delle oscillazioni poderose nei rapporti di cambio. Subito dopo la nascita dell’euro – quella «virtuale» del 1999 e quella «fisica» nel 2002 – la nuova moneta unica ebbe un periodo di estrema debolezza, scivolando per lunghi periodi sotto la parità. Cioè: un euro valeva meno di un dollaro. La valuta americana era fortissima, all’inizio del millennio. Il periodo recente di massima debolezza del dollaro invece si situa – comprensibilmente – durante la grande crisi finanziaria e bancaria del 2008, originata dalle in-

solvenze dei titoli derivati sui mutui subprime. Per Wall Street fu un crac di proporzioni storiche e anche la moneta americana ne risentì pesantemente. Sui grafici di quel periodo trovate una punta di 1,58 (dollari per euro) alla data del primo luglio 2008. Quindi in pochi anni si è passati da una fase in cui un dollaro «comprava» più di un euro; ad un’altra fase in cui un euro comprava oltre un dollaro e mezzo: un’oscillazione di oltre il 50% nella parità di cambio! Eppure nella percezione generale queste alterazioni dirompenti nei rapporti di valore tra i due sistemi economici Usa-Ue fanno meno scalpore dei dazi. Al confronto, ciò che è accaduto dall’inizio di quest’anno non ha sconvolto in modo così brutale i rapporti fra le due monete. Il 12 gennaio

2025 un euro valeva 1,02 dollari, c’era cioè quasi la parità assoluta fra le due monete. Il 3 luglio un euro valeva 1,17 dollari. C’è stata fra quelle due date una perdita di valore per la moneta americana di circa il 15% in un semestre; e un guadagno di competitività altrettanto importante per le esportazioni di prodotti «made in Usa». Come si vede, senza arrivare agli estremi del periodo 2000-2008 è comunque già accaduto in sei mesi l’equivalente di una robusta barriera di dazi. E alla luce dell’esperienza storica la parità di cambio potrebbe continuare a modificarsi, spingendosi più avanti nella direzione auspicata da Trump. Oltre a favorire gli esportatori americani in Europa, e a danneggiare gli esportatori europei in America, questo deprezzamento del dollaro è anche un

incentivo a investire negli Stati Uniti: costa meno che in passato. Nel mese di giugno l’occupazione netta aggiuntiva negli Stati Uniti è stata di 147.000 nuove assunzioni. Il dato ha superato di molto le previsioni degli economisti. Ha segnato perfino un’accelerazione rispetto al mese precedente (+139.000 a maggio). Il tasso di disoccupazione è sceso, al 4,1%, cioè un livello che si avvicina ai minimi storici. La sorpresa molto positiva dell’occupazione avviene su uno sfondo che aveva alimentato pessimismo. Ricordo alcune delle ragioni. La politica dei dazi rimane soggetta a grande incertezza, visto che le trattative con alcuni dei principali partner commerciali degli Stati Uniti (Unione europea, Giappone) non hanno raggiunto un esito, mentre con la Cina c’è solo una tregua temporanea. Intanto sono già in vigore dei dazi medi del 10% erga omnes, con punte molto superiori in alcuni settori come automobili e acciaio. Una maggioranza degli economisti prevede che questo debba creare forti tensioni inflazionistiche, delle quali finora non v’è traccia.

Su altri fronti: il giro di vite contro l’immigrazione clandestina viene considerato solitamente come un freno alla crescita economica perché in alcuni settori crea penurie di manodopera. Gli indici di produzione manifatturiera risultano in ribasso secondo alcune indagini. Poi c’è l’incertezza legata alla manovra di bilancio, che (mentre scrivo) deve ancora ottenere l’approvazione finale del Congresso. Perfino l’intelligenza artificiale di recente aveva creato

aspettative negative, dopo l’annuncio di licenziamenti da parte di Microsoft legati all’applicazione di nuove tecnologie sostitutive della forza lavoro umana.

Il dato sull’occupazione rivela un vigore notevole. La resilienza dell’economia americana smentisce le profezie di sventura

Insomma, i venti contrari non mancano, eppure il dato sull’occupazione rivela un vigore notevole. Non sarebbe la prima volta che la resilienza dell’economia americana smentisce le profezie di sventura. Senza esagerare la portata del dato sull’occupazione, un insegnamento che se ne può estrarre è questo: la forza dell’economia americana, soprattutto se misurata nei tempi lunghi, non è legata in modo diretto al colore politico dell’esecutivo, alle scelte della Casa Bianca. Questa rimane un’economia di mercato, dove le scelte compiute dal sistema delle imprese contano più della politica economica governativa. Se si osserva la performance dell’economia Usa dall’inizio di questo millennio, e la sua capacità di surclassare nettamente l’Unione europea (o di vanificare le previsioni sul sorpasso della Cina), bisogna ammettere che la traiettoria stellare degli Stati Uniti ha attraversato alternanze politiche estreme: da Bush a Obama a Trump a Biden a Trump. C’è evidentemente qualcosa che prescinde dalla politica, che riguarda i fondamentali, la salute sistemica.

Wall Street. (Wikimedia Commons)
Oltre a favorire gli esportatori americani in Europa, e a danneggiare gli esportatori europei in America, il deprezzamento del dollaro è anche un incentivo a investire negli Stati Uniti: costa meno che in passato. (Wikimedia Commons)

Le mani dei cinesi sulle nuove rotte della cocaina

Stupefacenti ◆ Le autostrade latinoamericane della droga per il mercato europeo e asiatico viaggiano via mare

Metanfetamina e fentanyl hanno tolto mercato alla cocaina, sono loro le nuove droghe. E siccome negli Stati uniti il mercato chiede meno cocaina e più fentanyl, servono nuove rotte per portare la coca dall’America latina in Europa e in Asia, destinazioni di consumo ambite dalle organizzazioni criminali a causa dell’alto valore della «polvere bianca» in questi continenti. Mentre, appunto diminuisce la domanda negli Stati Uniti in pieno boom del fentanyl prodotto negli stessi Usa e in Messico.

Per rotte così lunghe è indispensabile andare via mare. Il regno dei narcos al momento sono quindi i grandi porti, innanzitutto quelli latinoamericani. La crescita e la trasformazione delle organizzazioni criminali nei porti risponde a diversi fattori. Il primo è il reclutamento dei dipendenti, dagli operatori di carico al personale di sicurezza, ai lavoratori che conoscono i percorsi. Cruciali sono i pianificatori che conoscono l’orario di arrivo e partenza delle navi, nonché la destinazione dei container. Poi arriva il gradino più delicato: i funzionari che controllano il carico.

I porti latinoamericani sono sempre più evidentemente in mano alla Cina che in molti luoghi strategici, come a Panama, ne ha finanziato il potenziamento commerciale e industriale degli scali marini grazie a valanghe di valuta fresca investita in ma-

Una grande nave portacontainer è ormeggiata nel porto di Paranaguá, nello stato del Paraná, in Brasile. Da qui parte il traffico di cocaina verso i Balcani. (Wikimedia Commons)

stodontiche ristrutturazioni. Grazie a nuove rotte commerciali, Pechino si sta aprendo mercati nuovi ovunque, persino in Oceania. Di questo i narcos approfittano, cavalcando l’onda.

Una delle nuove rotte per la coca è un’autostrada marina che nasce dal porto peruviano di Chancay, a 70 chilometri da Lima. Il porto nasce ufficialmente nell’ottobre del 2024, inau-

gurato nientemeno che dal presidente cinese Xi Jinping (la presidente del Paese ospite, la peruviana Dina Boluarte, era lì a sottolineare che l’illustre capo di Stato rappresentava il vero potere sul porto, gestito dal gigante logistico cinese Cosco).

Prima gli oppioidi sintetici partivano dai porti del Messico e della Colombia, ora Chancay li sta sostituendo. In un rapporto della International Coalition Against Illicite Economies si legge che «gli investigatori locali concordano nel fatto che i gruppi peruviani, i cartelli messicani e le triadi cinesi, cercheranno di affermarsi nel nuovo porto a causa del suo potenziale come nuovo fulcro commerciale nella regione».

Il porto peruviano di Chancay, a 70 chilometri da Lima, nato ufficialmente nell’ottobre del 2024, è stato inaugurato nientemeno che dal presidente cinese Xi Jinping

Come viene nascosta la droga? Sembra incredibile, ma i metodi sono costanti da decenni perché ispezionare tutti i carichi commerciali, oltre a comportare costi enormi, è impossibile e bloccherebbe l’export. Quindi il vecchio metodo dell’avvicinarsi alla costa con minute imbarcazioni a motore silenzioso, trasferendo la droga da una barca all’altra, è quello, sorprendentemente, più utilizzato. La via più ambita è sempre quella delle navi freezer: inviare la droga in contenitori refrigerati con merci deperibili costringe le autorità a pensarci due volte prima di una revisione intrusiva che potrebbe rovinare il carico in caso di falso allarme. Sempre in auge è il sistema del gancio cieco. Questo metodo, che ha preso piede (secondo quanto risulta alle fonti consultabili dell’Agenzia antidroga statunitense) nel 2008, consiste nell’aprire le porte posteriori del container e introdurvi valigie piene di droga in pochi minuti. È una modalità che richiede la partecipazione dei lavoratori portuali, poiché la droga non entra come merce di un’azienda, ma viene aggiunta al carico in

un secondo tempo. Il proprietario del container non sa che trasporta droga. «Possono rimuovere i perni, rompere il sigillo, mettere la merce e chiudere le porte con un sigillo clonato in pochi minuti», spiega l’ex direttore delle dogane di Panama.

Un rapporto del Centro per gli studi strategici e internazionali, il Csis con sede a Washington, avverte dei rischi per la sicurezza dell’espansione di Pechino nel settore portuale dell’America latina a causa della mancanza di trasparenza che «facilita la creazione di un giro di tangenti e la corruzione che, con la coercizione, sono fondamentali per qualsiasi organizzazione criminale che intenda gestire strutture di trasporto o logistica». A cominciare da molti scali dell’America del Sud, controllati o gestiti da aziende cinesi, oggi utilizzati dalla criminalità organizzata e al centro di inedite rotte globali per il traffico di droga.

Gran parte della cocaina destinata al mercato estero passa attraverso la Zona Libera di Colón, uno dei maggiori centri logistici del mondo. Questa zona franca è immediatamente adiacente al terminal internazionale di Manzanillo e al porto di Panama, entrambi gestiti da una compagnia cinese. È questa un nuova autostrada della droga latinoamericana insieme al terminal container di Buenos Aires, sulla rotta della cocaina Paraguay-Paraná; anche il terminal container argentino è in mano ai cinesi. Altro punto di smercio fondamentale è il porto di Paranaguá, in Brasile, controllato al 90 per cento da una società cinese con sede a Hong Kong. Situato nello stato meridionale del Paraná, Paranaguá è il maggior porto per l’esportazione di cereali dell’America Latina, anche se il prodotto più esportato è la soia. Un bollettino della società brasiliana di consulenza e assicurazione marittima Proinde sostiene che in Brasile c’è stato «un aumento significativo del numero di casi di navi commerciali utilizzate per il trasporto di carichi non liquidi che salpano con cocaina nascosta nel carico sfuso, in spazi vuoti o attaccata allo scafo della nave». I carichi non-liquidi – cereali, carbone, minerali grezzi e cemento, tutti materiali non stoccati nei container ma nelle stive – rendono più complicati i controlli dettagliati. La droga non è imballata né sigillata dal trasportatore e, se viene scoperta, di solito si cerca di far ricadere la responsabilità penale sull’equipaggio.

In settembre, l’operazione Viking della Polizia brasiliana ha scoperto nel porto di Paranaguá una rete per il traffico di cocaina verso i Balcani, che impiegava subacquei per nascondere il carico di stupefacenti negli spazi sommersi delle navi da carico. Nel marzo del 2024, China Merchants Port Holdings Co. Ltd ha anche inaugurato con Cosco Shipping Brasil nel porto di Paranaguá la rotta che collega la costa orientale dell’America Latina alla Cina, la cosiddetta Esa. Nello stesso periodo sono stati scoperti una ventina di chili di marijuana dalla Cina che, secondo la polizia brasiliana, facevano parte di un carico destinato al Paese asiatico che non è stato ritirato dagli acquirenti. Altra autostrada marina è quella che parte dal porto di Pecém, nello Stato brasiliano del Ceará, di proprietà al 70 per cento del porto di Rotterdam, e arriva in Australia attraverso Singapore, Indonesia, Taiwan o Hong Kong.

Dopo gli attacchi all’Iran il mondo è meno sicuro

Prospettive ◆ I bombardameni israelinai e Usa alle infrastrutture nucleari rischiano di scatenare un effetto opposto a quello voluto

I bombardamenti israeliani e americani contro le infrastrutture del programma nucleare iraniano, votate a impedire o almeno a ritardare quello che si presume sia il tentativo di Teheran di dotarsi della Bomba atomica, ha scatenato per paradosso un effetto opposto.

Anzitutto, l’Iran sembra ormai lanciato verso la costruzione di un arsenale atomico militare, capace di sfidare quello israeliano, non dichiarato ma effettivo: almeno 90 gli ordigni stimati, tra cui quelli montati su sottomarini tedeschi di classe Dolphin, che garantiscono a Gerusalemme il secondo colpo nel caso lo Stato ebraico fosse attaccato di sorpresa. Al di là delle propagande e contropropagande è infatti opinione delle agenzie di intelligence americane e israeliane che i danni inflitti al programma persiano siano importanti ma non decisivi.

Già oggi il regime militar-teocratico di Teheran è in grado di allestire in pochi mesi otto-dieci ordigni nucleari, pur di modesta potenza

Di più: già oggi, disponendo di oltre 400 chili di uranio arricchito al grado bellico, il regime militar-teocratico di Teheran è in grado di allestire in pochi mesi otto-dieci ordigni nucleari, pur di moderata potenza. L’Iran era e resta una potenza nucleare di soglia: ha tutto per costruire la Bomba. Manca solo l’ordine. Ordine che potrebbe scattare in segreto.

Infatti la decisione di interdire all’Agenzia internazionale per l’energia atomica l’accesso alle infrastrutture dell’atomo persiano – dichiarato obiettivo civile, destinato a aumentare la produzione di energia elettrica nazionale – impedisce quel grado di controllo dall’esterno che consentiva fino ad oggi di farsi un’idea dello stato dell’arte nucleare in Iran. Restano, ovviamente, le intelligence occidentali e soprattutto quella israeliana, che ha mostrato un alto

grado di penetrazione nel sistema del Nemico massimo. Ma è anche vero che dopo i colpi clamorosi subìti negli ultimi mesi, tra cui l’eliminazione fissica di alcuni scienziati di punta impegnati nel programma atomico, il regime iraniano ha oggi la possibilità di arrestare o uccidere agenti veri o presunti, costretti allo scoperto. Ma il paradossale effetto strategico degli attacchi dei due Satana – il grande (l’America) e il piccolo (l’»entità sionista») – ci riguarda tutti. Se l’Iran si dota effettivamente di un proprio nutrito arsenale, tutto il sistema di contro-proliferazione nucleare stabilito per trattato internazionale dal 1968 entra in crisi. E anche se non se ne dota ma ci lascia nell’incertezza di possederlo non cambia molto.

I Paesi che possono dotarsi della Bomba e per diversi motivi vi hanno finora rinunciato sono razionalmente abilitati a passare il Rubicone. Per almeno una decina di questi la possibilità è concreta: vale in primo luogo per il Giappone, la Germania, la Corea del Sud oggi, e per l’Arabia Saudita e la Turchia domani.

Il ragionamento: se una potenza atomica di soglia come l’Iran può essere minacciata di morte da uno Stato nucleare, non conviene più restare in sospeso fra capacità, intenzione e decisione di costruirsi un arsenale atomico. L’unica, quindi, è farsi la Bomba. Non più come mero deterrente, ma come arma effettiva. Spendibile. Come era successo a Hiroshima e a Nagasaki nel 1945.

Nel contesto della «terza guerra mondiale a pezzi» (copyright papa Francesco) il superamento della latenza nucleare per la produzione di un proprio arsenale, dotato quindi di missili sufficientemente potenti e di notevole gittata, aumenta di molto il rischio che il francescano riferimento ai «pezzi» sia cancellato dai fatti. Si tratta indubitabilmente di uno scenario apocalittico.

Inutile a questo punto mettere la testa nella sabbia. La questione esistenziale qui evocata condizionerà la geopolitica mondiale negli anni che

verranno. Forse per decenni. In particolare, potrebbe indurre alcune delle attuali potenze atomiche, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina in testa, ad accarezzare l’idea dell’uso preventivo, non meramente deterrente, della Bomba.

Nessuno può seriamente pensare di surrogare il crescente disimpegno militare americano con l’ombrello francese o britannico

In fondo, tutti i conflitti in corso sono pensati e giustificati da chi li scatena con la necessità di imminenti aggressioni altrui. Vale per Stati Uniti e Israele contro l’Iran, oggi, ma valeva anche per la Russia contro l’Ucraina, ieri, e forse pure per la Cina contro

Taiwan (un’altra potenza atomica latente) dopodomani.

Sarebbe divertente, se non fosse drammatico, lo pseudo-dibattito europeo sul riarmo. Guidato non a caso dalla Francia e dalla Gran Bretagna, le due nazioni nucleari nel contesto euroatlantico. Seguono Germania e Polonia, dove della possibilità/necessità della Bomba si discute ormai pubblicamente. Come potrebbe essere diversamente, visto che il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, prevede un attacco russo all’Europa atlantica già nel 2029, considerato probabile anche a Varsavia e in tutto il fronte antirusso dell’Europa orientale e settentrionale.

Poiché Vladimir Putin dispone almeno sulla carta del più nutrito arsenale del pianeta, senza intervento americano, ormai dubitabile, lo scontro sarebbe chiuso in partenza. Né qualcuno

può pensare seriamente di surrogare il crescente disimpegno americano dal Vecchio Continente con l’ombrello francese o britannico (dipendente dagli Stati Uniti). Di qui la necessità di provvedere in proprio.

Non sappiamo se sia più ozioso o spettrale il dibattito su un ombrello atomico europeo, con il bottone della Bomba affidato a turno a qualcuno dei trenta soci euroatlantici o dei ventisette comunitari.

Scenari estremi, purtroppo non più irrealistici. Quando Stati Uniti, Gran Bretagna e Urss promossero il Trattato di non proliferazione per impedire che altri li seguissero sulla strada dell’arma finale, certo non immaginavano che oggi nove potenze (dieci con l’Iran) ne avrebbero potuto disporre. Siamo ancora in tempo per arrestare questa deriva. Basta non fingere di essere al sicuro.

Tra poco partirò per le vacanze: come posso evitare commissioni elevate per i pagamenti?

La consulenza della Banca Migros ◆ Quando si è all’estero occorre combinare attentamente l’uso delle carte (meglio portarne due) e dei contanti

Con la giusta combinazione di carte e contanti è possibile contenere i costi dei pagamenti all’estero. Fondamentalmente conviene portare con sé due carte, in tal modo si è protetti nel caso in cui una dia problemi o venga smarrita.

Prima di partire è necessario verificare che le carte siano accettate nella località di destinazione: soprattutto per i viaggi al di fuori dell’Europa, infatti, spesso bisogna prima fare sbloccare il Paese in questione dalla propria banca di fiducia. La maggior parte delle banche consente tale sblocco direttamente tramite l’app della carta.

Tendenzialmente è più conveniente la carta di credito per i pagamenti all’estero, poiché spesso la carta di debito è soggetta a commissioni più elevate. Tra l’altro, senza carta di credito non è possibile acquistare alcuni servizi come il pernottamento in albergo o il noleggio di auto. Quindi, prima del viaggio bisogna chiarire se il limite attuale è sufficiente per far fronte alle spese previste. In caso contrario, occorre modificarlo per tempo presso l’emittente della carta di credito.

Per quanto riguarda le transazioni all’estero, le varie carte si differenziano in base al tasso di cambio applicato e alla commissione amministrativa. Prima di partire va-

le la pena di confrontare soprattutto quest’ultima. A proposito: la carta di credito Cumulus e la Visa Free, le due carte di credito gratuite della Banca Migros, non applicano commissioni amministrative aggiuntive alle transazioni in valuta estera.

Per i pagamenti con carta all’estero è consigliabile utilizzare la valuta locale e, se il lettore di carte consente ad esempio di scegliere tra euro e franchi svizzeri, è preferibile selezionare la valuta euro. Nella conversione in franchi entra infatti in gioco il calcolo dinamico della valuta, che solitamente determina commissioni supplementari spesso superiori al 2% dell’importo dell’acquisto.

In linea di massima, per evitare commissioni inutili è meglio pagare in contanti le mance e i piccoli importi, a parte il fatto che non è possibile pagare ovunque con la carta.

Consiglio: con la carta di credito Cumulus e la Visa Free è possibile effettuare due prelievi gratuiti di contanti fino a 500 franchi l’anno presso i Bancomat all’estero. Maggiori informazioni sulla carta di credito Cumulus:

Barbara Russo, consulente alla clientela presso la Banca Migros ed esperta in tematiche d’investimento.
L’attuale situazione potrebbe indurre alcune delle attuali potenze atomiche, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina in testa, ad accarezzare l’idea dell’uso preventivo, non meramente deterrente, della Bomba atomica. (Immagine creata con l’IA - Freepik)

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Le promesse di Merz: più ricchi, sicuri e armati

Germania ◆ La coalizione del nuovo

No, i tedeschi non provano vero entusiasmo per il nuovo governo di Friedrich Merz, né euforia per l’ennesima «Große Koalition» di Cdu e Spd al potere a Berlino. Prima di tutto perché questa guidata da Friedrich Merz, il decimo Kanzler della storia tedesca, è già la quinta alleanza di governo fra la Cdu e la Spd. E poi perché, se le prime coalizioni fra questi due partiti popolari erano «matrimoni di elefanti», sorretti negli anni Sessanta dal 90 per cento dei deputati, oggi Merz può contare al Bundestag di Berlino sul 52 per cento dei parlamentari, su una risicatissima maggioranza di 328 deputati. I giornali tedeschi l’hanno già definita «KleiKo», la «piccola coalizione» di Merz; i più cinici la «Cola-Zero-Koalition». Lui però, il milionario Merz, ex manager di vari Consigli di sorveglianza, dalla Basf a BlackRock, abituato con il suo aereo privato a volare alto, non si lascia scoraggiare. E ha già fatto a tutti e 83 milioni dei suoi concittadini tre solenni promesse. «Benessere per tutti!»: è questa la prima che Merz ha rilasciato non appena insediatosi il 6 maggio scorso al potere, promettendo dunque un nuovo «miracolo economico». Si tratta, per citare l’ottimista Merz, di rifare della Germania «una locomotiva economica, a cui tutto il mondo guarda con meraviglia». Priorità assoluta, per rilanciare il treno dell’economia tedesca, un pacchetto di investimenti in infrastrutture già varato dal governo Merz, insieme a sgravi fiscali per imprese e ai privati. Nelle 144 pagine, prosaicamente intitolate «Responsabilità per la Germania» del programma di governo, sono in ballo 150 miliardi di euro di investimenti in infrastrutture, già nell’arco di questa legislatura. Investimenti che nei prossimi 12 anni dovrebbero poi crescere sino ai 500 miliardi. Nel triennio 2025-2027, poi, il governo Merz concederà sgravi fiscali, sino al 30 per cento, alle imprese che investiranno in macchinari ed impianti. Per promuovere poi una mobilità più sostenibile Carsten Schneider, il nuovo ministro dell’Ambiente della Spd, garantisce incentivi per le auto elettriche. «Germany is back on track», ha già annunciato Friedrich Merz in visita da Donald Trump alla Casa Bianca. Secondo i calcoli del prestigioso istituto Ifo di Monaco, nel 2025 il Pil crescerà in Germania appena dello 0,2 o 0,3 per cento, ma «ciò

significa», spiega Timo Wollmershäuser dell’Ifo, «che la nostra economia ha superato il suo punto più basso», cioè gli ultimi due anni segnati da una grave recessione. Basti pensare che, nel primo trimestre 2025, l’industria tedesca dava lavoro a 5,46 milioni di dipendenti, 100 mila in meno dell’anno scorso.

Il 47% dei tedeschi ritiene che il nuovo leader stia facendo un buon lavoro, malgrado i bassi margini di potere e lo stile rude

E notoriamente, specie l’industria tedesca delle Quattroruote è stata colpita dalla crisi se, a fine marzo, si ritrovava con 734 mila dipendenti (45mila operai in meno). Il massic-

cio ’Investionsbooster’, le agevolazioni alle imprese del governo Merz sono «un primo passo nella giusta direzione», commenta Hildegard Müller, presidente del VDA, l’associazione dell’industria automobilistica tedesca. L’altra promessa del governo Merz prevede più «Sicherheit», più sicurezza alla società tedesca. «Abbiamo troppa immigrazione illegale, ripete Merz, e troppi migranti non qualificati nel mercato del lavoro». La politica migratoria del nuovo Kanzler è quanto di più lontano da quella attuata, dal 2015 in poi, dal governo Merkel: pur mantenendo in vigore il diritto di asilo infatti, Merz e il suo ministro degli Interni, Markus Söder, presidente della Csu bavarese, vogliono più controlli e respingimenti alle frontiere tedesche. E se il governo dell’ex Kanzler Scholz rila-

dal 47enne Lars Klingbeil, il vice cancelliere nonché attuale ministro delle Finanze.

La leva obbligatoria?

sciava il doppio-passaporto agli immigrati dopo tre anni, con Merz gli immigrati lo vedranno dopo 5 anni. In linea con la politica migratoria più restrittiva è anche la terza promessa di Merz, quella di implementare la Difesa. Nei piani del suo governo la Bundeswehr, l’esercito tedesco si trasformerà, ha annunciato Merz, «in uno degli eserciti più forti d’Europa».

Un annuncio che, specie nei due Paesi confinanti, la Polonia e la Francia di Macron, ha smosso non pochi timori. È dal giugno 2011 che la Germania ha abolito la leva obbligatoria ma già oggi, calcola il generale tedesco Christian Badia, alla Bundeswehr mancano sui 60 mila soldati per soddisfare le esigenze Nato. Il futuro della Bundeswehr però è uno dei punti di attrito tra la nuova, e più conservatrice Cdu di Merz e la Spd guidata

Matthias Mersch, il capofrazione parlamentare della Spd, ha già avvisato Merz che di leva obbligatoria «se ne discuterà nella prossima legislatura». Certo, il ministro della Difesa è Boris Pistorius, beniamino della Spd e politico più stimato dai tedeschi. Forse, se fosse stato lui il candidato della Spd alla cancelleria, e non Olaf Scholz, la Spd avrebbe evitato alle politiche di febbraio la catastrofe del 16,4% dei voti, il suo risultato più basso dal 1948 ad oggi. Anche sul salario minimo Merz ha imposto ai socialdemocratici un secco «Nein!». Ed è vero che il pragmatico Klingbeil, cresciuto alla scuola di Gerhard Schröder, è riuscito a spuntare da Merz ben sette ministeri alla Spd (Finanze e Difesa i più rilevanti, insieme al dicastero del Lavoro affidato a Bärbel Bas). Tra i socialdemocratici però il sostegno al corso tutto sgravi alle imprese e più sicurezza imposto da Merz non convince del tutto, come il «Manifest» stilato dal «circolo pacifista» della Spd ha evidenziato. Un «manifesto» in cui si reclama «meno retorica militaristica» e stop alla «corsa agli investimenti negli armamenti». Proprio la strada che Merz ha imboccato non solo con la riforma della Bundeswehr, ma anche in rapporto alla guerra di Putin in Ucraina o a quelle di Netanyahu. Dove Israele, a sentire Merz, «fa il lavoro sporco per noi tutti». Una frase tipica del suo linguaggio rude che ha scatenato un putiferio tra le fila della Spd, dei Verdi e nell’ambiente cattolico. Del resto, dopo l’attacco degli Stati Uniti a tre siti nucleari iraniani, Merz è stato uno dei pochi leader favorevoli a Trump, e l’ha dimostrato dicendo che «non c’è alcuna ragione per criticare l’America per quello che ha fatto». Eppure, se diamo retta ai sondaggi, il 47% degli interpellati ritiene che Merz sta facendo un buon lavoro. Anche se il 48% non è soddisfatto della coalizione. Forse perché la nuova «KleiKo» di Berlino è troppo piccola, appesa al filo di una maggioranza troppo esigua. E, a quanto pare, carica di conflitti fra la Cdu del coriaceo Merz e una Spd ridotta all’osso.

Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, a sinistra, in carica da maggio 2025, ha assunto una posizione molto favorevole a Donald Trump, distinguendosi nettamente da altri leader europei. (Wikimedia Commons)

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La vita del padre dei manga

Tezuka non ha solo disegnato i suoi personaggi, li ha vissuti profondamente, fino a consumarsi

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Il teatro in Svizzera oggi

Uno speciale MIMOS analizza i centri di ricerca e le politiche culturali nelle arti sceniche

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Il senso di Signer per il tempo

Branch, re dell’armonica

A colloquio con l’armonicista blues

Billy Branch, che sarà fra i numerosi ospiti dell’edizione 2025 di LongLake

Pagine 26-27

Mostre ◆ Al Kunsthaus di Zurigo una retrospettiva (non abbastanza esplosiva) omaggia l’artista appenzellese

Come ricorda lo stesso Roman Signer in una lunga intervista pubblicata sul numero di giugno della rivista d’arte svizzera «Kunstbulletin», è da molti anni che l’artista di origini appenzellesi ma residente a San Gallo sognava di poter esporre al Kunsthaus di Zurigo e quindi la retrospettiva che gli viene dedicata in questi mesi dal principale museo d’arte svizzero ha costituito per lui, ormai ottantaseienne, il coronamento di un desiderio a lungo covato e accarezzato; oltre a essere, ma questo lo aggiungiamo noi, un doveroso e meritato riconoscimento nei confronti di un artista che nel frattempo si è fatto apprezzare in tutto il mondo. Tutto a posto, dunque? Non proprio. Come spesso accade con le cose troppo a lungo attese e desiderate, anche la mostra di Roman Signer finisce infatti per disattendere e deludere almeno in parte le aspettative di chi, come noi, ha sempre pensato che l’artista nato ad Appenzello nel 1938 fosse una delle figure più rappresentative dell’arte svizzera degli ultimi cinquant’anni perché con il suo lavoro ha saputo decostruire quell’immagine intrisa di normalità e di ordine, di conformismo e di perbenismo che ha permeato l’identità del nostro Paese nel secondo dopoguerra.

Roman Signer è da considerarsi fra le figure più rappresentative dell’arte svizzera degli ultimi cinquant’anni

A partire dai primi anni Settanta, scegliendo di continuare a dedicarsi ai giochi e agli esperimenti che fin da bambino aveva praticato nel fiume Sitten, dove amava immergersi con gli ampi stivali neri del nonno (un elemento che non a caso ricompare in molte sue opere), Signer ha sviluppato una pratica artistica che è strettamente legata alla nozione di tempo e che mira al sovvertimento dell’ordine consueto e abituale delle cose per mostrarci che l’assurdo non è che un’altra faccia della realtà.

Collocabile all’incrocio tra arte processuale e scultura – uno dei limiti della mostra di Zurigo è forse proprio quello di far prevalere quest’ultima dimensione dando così un’immagine troppo statica del suo lavoro – l’opera di Signer indaga la dimensione temporale attivando processi dinamici che, se da un lato richiamano la metodologia sperimentale utilizzata in ambito scientifico, dall’altro non possono non evocare il libero gioco della fantasia e la curiosità sfrenata che caratterizzano lo spirito ludico dei bambini. Nell’ambito dei processi innescati dall’artista, una serie di materiali, oggetti e strumenti tecnologici

(alcuni dei quali ricorrenti) vengono fatti interagire tra di loro sulla base di semplici leggi fisico-chimiche per dare vita a situazioni paradossali e a prima vista insensate che, come nel gioco, rispondono a una logica completamente stravolta rispetto alla quotidianità alla quale siamo abituati. Eccovi qualche esempio: un fuoco d’artificio che partendo improvviso verso il cielo strappa dal volto dell’artista un berretto di lana al quale è collegato con un filo; una sedia da ufficio che continua a girare su sé stessa spinta dalla corrente del fiume nel quale è collocata; un tavolo che prende il volo sospinto dalla forza propulsi-

va dei fuochi d’artificio collocati sui suoi piedi; una fila di persiane che si spalancano di colpo in mezzo al fumo delle girandole per permettere ad alcune sedie scaraventate fuori dalle finestre da una forza misteriosa di prendere il volo prima di schiantarsi al suolo; un albero di Natale che ruotando in modo sempre più vorticoso su sé stesso scaglia tutt’intorno le bocce con cui era stato decorato per effetto della forza centrifuga; una casetta in legno che scende scivolando da un pendio innevato o che si alza in volo sospinta dai fuochi d’artificio fissati sui suoi lati. Se per documentare queste azioni

e performance Signer utilizza inizialmente la fotografia, a partire dal 1975, in seguito all’incontro con il regista tedesco Hartmut Kaminski, comincia a realizzare dei brevi filmati girati in super 8 che diventeranno da quel momento la sua cifra distintiva. L’uso frequente di materiali esplosivi e fuochi d’artificio – Signer dispone di un permesso di brillamento di tipo B – lo portano ad essere identificato in quegli anni come «l’artista dell’esplosivo», spesso travisando la vera natura del suo lavoro al cui centro non vi è tanto l’interesse per la forza dirompente e distruttiva di una deflagrazione, ma piuttosto quello per l’improvvisa

accelerazione che quest’ultima introduce nell’ordine temporale, generando conseguenze non sempre completamente prevedibili. È proprio questa repentina accelerazione dell’ordine temporale e l’effetto che ha sulla trasformazione di stato di un materiale, di un oggetto o di una situazione il vero campo d’indagine attorno a cui si è venuta sviluppando la ricerca artistica di Signer nel corso dei decenni. Purtroppo, questa dimensione temporale nella mostra di Zurigo è confinata quasi unicamente nella sezione finale dove, nello stretto vano che si apre dietro la parete di fondo della sala, sono visibili alcuni dei suoi video storici, tra l’altro non nella versione originale ma in una riedizione del 2009 in cui l’artista aveva scelto di affiancarli con una descrizione del loro contenuto tradotta nel linguaggio dei segni. Per il resto lo spettatore è chiamato ad aggirarsi nella grande sala espositiva del Kunsthaus, questa volta lasciata completamente libera e non frammentata da pareti divisorie, come se si muovesse in un ampio paesaggio (il titolo della mostra è appunto Landschaft) popolato dalle sculture dell’artista. Sculture che in molti casi sono il risultato finale di un’azione che si è svolta altrove e alla quale non abbiamo potuto assistere.

A non convincerci pienamente non è però solo il fatto che tutta la mostra si dispieghi immediatamente di fronte ai nostri occhi privandoci fin da subito di ogni sorpresa (ben diverso il caso di Walter De Maria, ricordato dallo stesso Signer nell’intervista citata all’inizio, che nel 1993 aveva occupato gli oltre 500 metri quadrati della grande sala del Kunsthaus con un unico grande lavoro), ma anche il fatto che, pensandoci bene, da Signer non ci saremmo aspettati una normale e ordinata retrospettiva, per quanto ampia e ben curata. No, da Signer ci saremmo aspettati altro. Ci saremmo aspettati un’esplosione. Ci saremmo aspettati che un attento osservatore del tempo come lui non si facesse imprigionare nella rigida scansione temporale dentro cui una retrospettiva finisce inevitabilmente per avvolgere il lavoro di un artista e che fosse riuscito a comprimerla in un unico, irripetibile e imprevedibile momento di poesia. Sarà sicuramente per un’altra volta. Per questa volta il consiglio è di abbinare alla visita al Kunsthaus anche quella alla Kunsthalle di Appenzello dove fino al 14 settembre è visibile un’ampia selezione di video dell’artista.

Dove e quando Roman Signer. Landschaft Zurigo, Kunsthaus. Fino al 17 agosto 2025. Orari: ma-do 10.00-18.00; gio 10.00-20.00; lu chiuso; www.kunsthaus.ch

Roman Signer, Kayak tip, 2017. (Photo: Tomasz Rogowiec © Roman)
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Vita e tavole del «Dio dei Manga»

Graphic novel biografiche ◆ Ben oltre i confini del Sol Levante: Osamu Tezuka e il suo dono all’Occidente in un ritratto devoto, ma non definitivo

Sebbene solo i grandi appassionati ne siano a conoscenza, l’invenzione del cosiddetto «fumetto manga» – ovvero, la definizione dello specifico codice grafico ed espressivo che regola l’oggi popolarissimo universo dei comics giapponesi – è cosa relativamente recente: per la precisione, risale al 1947, quando il giovane Osamu Tezuka (1928-1989), all’epoca agli esordi come fumettista, lanciò uno stile di disegno destinato a gettare le basi del manga moderno. Certo, all’epoca Tezuka non poteva immaginare che, a partire dagli anni Ottanta in poi, il mondo occidentale ne sarebbe stato letteralmente conquistato, secondo una vera e propria «invasione culturale» guidata dalla crescente popolarità degli anime, come sono definiti i cartoni animati nipponici; e se oggi quella del Sol Levante è divenuta per molti la scuola fumettistica di riferimento, non è esagerato affermare che nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza l’opera dello stesso Osamu Tezuka, oggi soprannominato dai connazionali «il Walt Disney giapponese».

È lui che ha inventato il manga moderno, ispirando con i suoi disegni anche Disney, e cambiando il fumetto per sempre

Autore di immortali epopee disegnate, molte delle quali traslate in popolarissimi film d’animazione, Tezuka ha dato vita a personaggi indimenticabili: dall’eroico Kimba, il leone bianco (al quale il Disneyano Re leone deve ben più di una vaga ispirazione), all’adorabile Principessa Zaffiro, per arrivare fino all’infelice androide Astro boy, protagonista di amare e problematiche riflessioni sulla sfuggente linea di confine tra «umano» e «artificiale» (tema particolarmente attuale in tempi di IA). Eppure, non molti sanno che la vita del grande mangaka è, per molti versi, affascinante quanto le sue opere, e che il percorso umano e professionale di Tezuka è stato ben più complesso e drammatico di quel che si possa pensare. A educare il pubblico su questo tema vi è, fortunatamente, una graphic novel di notevole importanza stori-

ca, che, pubblicata per la prima volta in italiano dalla Coconino Press nel lontano 2003, è stata in questi ultimi anni ristampata nel catalogo J-Pop delle Edizioni BD, così da poter essere fruibile da una nuova generazione di lettori e appassionati. Commissionata proprio dalla Tezuka Productions, Osamu Tezuka: Una vita a fumetti è infatti un’opera firmata tra il 1989 e il ’92 da Toshio Ban, un tempo stretto collaboratore dello stesso Osamu, che qui si cimenta in una lunga incursione – ben quattro volumi, per un totale di oltre novecento pagine – nella vita e nell’opera del sommo Maestro.

Scopriamo così che Tezuka, ossessionato dal disegno fin da bambino, aveva riempito decine di quaderni con disegni infantili di buffi omini, destinati a evolversi nei personaggi che avrebbe utilizzato per tutta la sua carriera; e che nemmeno la devastazione causata dalla Seconda Guerra Mondiale gli impedì di riuscire nell’ardua impresa di fare del fumetto un legittimo, stimabile me-

stiere. Per non parlare della vera «scena madre» della graphic novel, in cui un giovane Tezuka, all’epoca brillante studente di medicina, assiste alla proiezione del capolavoro disneyano Bambi – rendendosi d’un tratto conto di voler abbandonare la promettente carriera di medico per dedicarsi invece al disegno fumettistico, le cui immense potenzialità gli vengono rivelate proprio in quella cruciale serata. E il resto, come si suol dire, è storia. Tutto ciò viene presentato in modo narrativamente ineccepibile grazie all’intelligenza delle scelte stilistiche di Ban, qui disposto a mettersi totalmente al servizio del protagonista scegliendo un codice espressivo agile e lineare – volutamente molto simile a quello di Tezuka – finendo così per tratteggiare anche lo stesso Osamu nel medesimo modo in cui questi amava ritrarsi occasionalmente nei propri fumetti. In tal modo, l’artista arriva a incarnare un efficace senso di continuità, mettendo in scena un ideale «passaggio del testimone» tra passato e presente: un ausilio narra-

tivo che si fa particolarmente importante nelle sequenze più evocative, in cui vengono svelati i retroscena della creazione delle opere di Tezuka, vere e proprie indagini sulla natura umana intrise di una profondità narrativa comparabile a quella dei drammi shakespeariani.

In 900 pagine l’epopea di chi ha trasformato la propria vita in un’opera d’arte e il fumetto in una forma di pensiero

Le tante saghe disegnate di Osamu – spesso destabilizzanti nell’acuta caratterizzazione psicologica dei personaggi, in grado di turbare il lettore per spingerlo a scomode riflessioni – divengono così il fulcro della narrazione di Ban; un aspetto che la graphic novel esplora con delicata intensità, mostrandoci da vicino le profonde affinità che legavano Tezuka ai suoi personaggi (ognuno dei quali è, a modo suo, un riflesso dell’anima del

proprio creatore), nonché il profondo coinvolgimento emotivo da lui provato verso le storie che raccontava: lo stesso che gli ha consentito di creare capolavori assoluti come la monumentale biografia Buddha (1972), o il manga storico La storia dei tre Adolf (1983).

Purtroppo, la stessa prolificità che permise a Osamu di divenire un semidio della letteratura disegnata fu anche l’elemento principale a contribuire alla sua morte prematura, a soli 60 anni: in effetti, si può dire che l’artista si sia letteralmente immolato sull’altare della propria arte, arrivando a produrre, nell’arco della sua vita, circa 150mila tavole – molto più di quanto qualsiasi altro disegnatore abbia mai realizzato. E se la dedizione maniacale di Tezuka verso il proprio lavoro costituisce il leitmotiv di Una vita a fumetti, è purtroppo altrettanto vero che la graphic novel tende a sorvolare sugli aspetti più controversi (e interessanti) della vita artistica del suo soggetto; come, ad esempio, i tentativi di censura seguiti alla critica dell’establishment medico da lui perseguita tramite le storie del chirurgo fuorilegge Black Jack, uno degli antieroi più complessi e suggestivi della storia del fumetto.

Così, se l’impressione finale è comunque quella di un tributo estremamente meticoloso e devoto al Maestro, non si può fare a meno di provare un po’ di amarezza davanti alla mancanza di audacia della Tezuka Productions; il che, tuttavia, nulla toglie al vero merito di questa biografia a fumetti – quello di aver saputo trasformare il suo protagonista in un vero e proprio eroe, degno dei personaggi scaturiti dalla matita dello stesso Osamu. Ricordandoci come, nell’arco di oltre quarant’anni di lavoro, questi sia riuscito a lasciare ai posteri un’eredità inestimabile, in grado di annullare completamente gli ingannevoli confini tra cultura orientale e occidentale per scuotere le coscienze dei lettori di tutto il mondo.

Bibliografia

Toshio Ban (Autore), Massimiliano Lucidi (Letterer), Tommaso Ghirlanda (Traduttore), Osamu Tezuka. Una vita a fumetti 4. vol., Edizioni BD

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Il teatro, territorio di studio e ricerca linguistica

Pubblicazioni ◆ Un numero speciale di MIMOS analizza l’evoluzione degli studi sull’arte scenica, evidenziando divergenze istituzionali e potenzialità pedagogiche nel nostro tessuto culturale

La bellezza della multiculturalità e del plurilinguismo del nostro Paese si caratterizza attraverso diversi fattori. Fra quelli più significativi, seppur ad alterne fortune e talvolta un po’ di nicchia, c’è il teatro.

Il segnale del suo stato di salute è indubbiamente e soprattutto legato agli umori della politica, intesa come quella che conta a livello federale, agli indirizzi che di volta in volta vengono assegnati a vari livelli istituzionali per rafforzare i pilastri di una coesione che molti ci invidiano ma in cui, tuttavia, coabitano differenze. Spesso profonde, talvolta insanabili, soprattutto se si adottano soluzioni temporanee o di facciata.

Il plurilinguismo si trasforma in un laboratorio di sperimentazione pedagogica attraverso progetti teatrali

Da una ventina di anni le politiche culturali di Cantoni, Comuni e di Pro Helvetia hanno creato nuovi strumenti per aiutare e incoraggiare la creazione di opere teatrali con convenzioni di sostegno congiunto e la loro circolazione su suolo nazionale. Anche se le problematiche e le esigenze delle forme artistiche rispetto alla quantità di opere prodotte fanno sempre più fatica a trovare canali di diffusione. Sono cose che vanno sempre ricordate per evitare di trarre facili conclusioni facendo di ogni erba un fascio.

C’è invece un altro settore, strettamente legato al teatro, che non solo dà segni di una certa vitalità ma che dimostra di superare le barriere linguistiche e talvolta anche politiche grazie a un lavoro complesso e significativo.

Schegge

Ci riferiamo alla ricerca: una disciplina che ha una forte valenza pedagogica come soggetto di studio e approfondimento e che riesce a creare un legame con il territorio fornendo uno strumento pratico e concreto di formazione professionale. Molto spesso, infatti, soggetti di ricerca trovano applicazione in ambiti come la scuola, le carceri, i centri sociali e di rieducazione, le case per anziani, gli ospedali, eccetera.

La ricerca teatrale in Svizzera è caratterizzata dal multilinguismo in aggiunta alla coesistenza di università e scuole professionali che offrono programmi formativi con ricerche sul campo, con e attraverso il teatro.

Per fornirne un panorama esauriente sull’argomento è stato dato recentemente alle stampe un numero speciale di MIMOS, l’annuario svizzero del teatro, una pubblicazione in versione trilingue (tedesco, francese e italiano) curata da Michael Gronenberg, Demis Quadri e Yvonne Schmidt e promossa dalla Società Svizzera di Studi Teatrali (SSST).

Con il titolo La ricerca in Svizzera sul teatro (381 pagine) si tratta di una prima assoluta condotta nello spirito di promuovere e mettere in rete il dialogo fra le regioni linguistiche offrendo anche un discorso ampliato oltre i confini nazionali.

Il volume, diviso in due parti, rac-

coglie i contributi di diverse personalità in un confronto d’indagine interessante che mette in luce la diversità fra i rispettivi campi d’azione. La raccolta si sofferma dapprima sulle origini, la storia e gli sviluppi degli studi teatrali prendendo in considerazione le istituzioni di riferimento. Nella seconda parte sottolinea i diversi approcci della ricerca in relazione ai problemi legati alle aree di sviluppo delle arti sceniche svizzere che godono di una narrazione quantomeno frastagliata.

Gli studi teatrali in Svizzera sono stati istituzionalizzati abbastanza recentemente. A dare un primo segnale importante è stata l’Università di Ber-

d’arte, frammenti di terra

na nel 1992 con la fondazione dell’Institut für Theaterwissenschaft (ITW). Precedentemente lo studio del teatro nella Confederazione era promosso dalla SSST che, a partire dalla sua creazione nel 1927, raccoglieva contributi legati soprattutto all’area germanofona e prima della nascita di organizzazioni professionali specifiche.

Con l’avvento delle Scuole Universitarie Professional (SUP) dedicate alle arti sceniche come la Zürcher Hochschule der Künste, la Berner Hochschule der Künste, la Manufacture di Losanna e l’Accademia Teatro Dimitri, nel 1998 le SUP hanno ricevuto un mandato di ricerca che ha portato alla creazione di dipartimenti specifici.

Per quanto riguarda le Università, fatta eccezione per studi puntuali e ricerche storiche, nel 2018 all’Università di Losanna viene fondato il Centre d’études théâtrales presso la Facoltà di Lettere e Filosofia.

La nostra Università (USI) annovera corsi di Storia del teatro mentre la ricerca è appannaggio dell’Accademia Teatro Dimitri, che è parte della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) ed è il riferimento istituzionale per quel settore, un punto di arrivo, transito e partenza, per le carriere e le esperienze di artisti molto diversi per provenienza e caratteristiche. Infatti, per comprendere lo sviluppo delle arti sceniche nella nostra regione è determinante considerare la sua geografia e le ripercussioni politiche e culturali che ne hanno condizionato lo sviluppo. Prendiamone atto, siamo una piccola periferia dell’impero attraversata da identità e problematiche sociali, un terreno ideale per una ricerca teatrale che è ancora tutta da riscrivere.

Performance ◆ Il Teatro delle Radici riparte mettendo in scena l’universo materico e intimo di Loredana Müller, tra raccolta, trasformazione e memoria

Eliana Bernasconi

È grazie alla visione di Cristina Castrillo che, dal 1986, un piccolo teatro in viale Cassarate si è trasformato in un centro pulsante di sperimentazione e pedagogia teatrale: il Teatro delle Radici oggi si riconferma laboratorio internazionale di ricerca e avanguardia in campo teatrale. Attrice, autrice e regista, Cristina Castrillo porta in scena lavori individuali e corali che mettono in luce il valore spesso trascurato delle compagnie teatrali minori. Invitata regolarmente a incontri e festival in Europa e America Latina, nel 2014 ha ricevuto il Premio svizzero del teatro conferito dall’Ufficio federale della cultura. Con il progetto Schegge, Cristina Castrillo ha avviato, qualche stagione fa, un ciclo multidisciplinare che arricchisce le proposte del suo teatro con nuove forme artistiche come musica, pittura, danza e scrittura.

Si tratta di un progetto che offre uno spazio aperto e stimolante per la sperimentazione e l’espressione creativa, invitando artisti di diverse discipline a esplorare nuove modalità di comunicazione e collaborazione. E in questo senso, si pensa anche ai giova-

ni che necessitano di trovare visibilità e di ampliare le proprie competenze: ad esempio, possono utilizzare in modi differenti il suggestivo spazio scenico del Teatro delle Radici, al di là della consueta forma classica.

Da sempre l’universalità del linguaggio teatrale è trasversale e in sinergia con la componente spettaco-

lare presente in ogni arte. Ad avviare il ciclo di Schegge quest’anno è stata la performance di Loredana Müller, I colori della mia terra. Raccogliere, Raccogliersi, Trasformare. Loredana Müller Donadini – artista visiva di Mendrisio – insieme al compagno Gabriele Donadini, ha fondato Areapangeart, a Camorino, un centro culturale inaugurato nel 2015 e dedicato alle arti visive, con un’attenzione particolare alla pittura, all’incisione e alla scultura in legno, pietra e ceramica.

Nel suggestivo spazio teatrale dipinto di nero del Teatro, che conserva gli echi di molte recite passate, la Müller ha narrato la sua opera. L’oscurità, a tratti interrotta da una luce che scendeva dall’alto, sottolineava le sommesse parole dell’artista, mentre introduceva gli spettatori nella sua visione del mondo: disposti nello spazio, veri protagonisti della sua narrazione, accanto a lei si illuminavano oggetti reali e insieme fortemente simbolici come una conchiglia, un piccolo cranio, un seme, delle zolle di terra, delle pietre o dei minerali, ma soprattutto strumenti come

piccoli mortai, pestelli e arnesi per frantumare il terreno.

In alto, sulla parte destra del palco, accompagnate da intensi suoni che seguivano il suo percorso, erano proiettate immagini dell’artista stessa, guidata da un segreto istinto naturale: quello di esplorare la natura, aggirarsi nel territorio che la circonda, arrampicarsi sui pendii rocciosi, trovare angoli nascosti dove scavare, estrarre, raccogliere e conservare, per riportare il tutto nel suo studio, dove prendeva avvio la seconda fase del singolare lavoro. Attraverso queste immagini proiettate, Loredana ha spiegato come frammenta, rimpasta, filtra le terre, gli ossidi e i minerali raccolti, utilizzando sia olio di lino, sia cera d’api, o resine, bianco d’uovo, cenere o fuliggine. Tra le esperienze mostrate, anche il taglio delle pietre raccolte per farne dei mosaici. Sul palco, una lunghissima tela scendeva dall’alto illustrando i risultati del suo lavoro: innumerevoli piccole immagini pittoriche (cromie) dalle tonalità di colore ottenute incredibilmente da questi stessi materiali (v. immagine).

L’artista ha fabbricato anche la carta dei fogli su cui operare, mentre pazientemente rendeva partecipi di questi stessi procedimenti adulti, anziani, bambini, ai quali trasmettere le sue conoscenze, muovendosi in un universo che pare percepire come unico, non frammentato: «Anche noi siamo fatti di minerali e acqua», spiega, e alberi, radici, cielo, per lei, sono tutti uniti nella valle Morobbia, la terra dove insegue i colori del ferro e dell’acqua.

Loredana Müller, artista atipica, per certi aspetti unica, sembra ignorare la minaccia della digitalizzazione che avanza in ogni forma di pratica artistica rischiando di far scomparire per sempre ogni pratica manuale, di cui lei custodisce per noi la testimonianza. Loredana Müller trasmette la fede che guida la sua silenziosa ricerca, libera da astrazioni o mediazioni culturali. Sa molto bene, dice, «che ogni aurora comporta un tramonto e un nuovo mattino rinnoverà il giorno che sorge e poi tramonta, compiendo un ciclo che si rinnova, così è stata da sempre la storia del mondo».

Immagine della copertina del numero speciale di MIMOS.

Billy Branch, il tagliatore di teste

Longlake – 1 ◆ Il celebre armonicista statunitense sarà fra i numerosi ospiti che animeranno l’edizione 2025 della poliedrica kermesse luganese in

È pieno pomeriggio a Chicago quando via Whatsapp raggiungiamo Billy Branch. Un bluesman (classe 1951) che non ha bisogno di presentazioni, e la cui caratura è chiara al più tardi quando si scopre chi sono stati i suoi maestri. In primis quel Willie Dixon che ha scritto, ispirato e plasmato gran parte della musica del Novecento. Insieme a Billy Branch c’è la compagna e moglie di una vita, Rosa, in quella che si rivelerà una conversazione attenta, profonda. Willie Branch, che del blues ha visto il massimo splendore seguito dal progressivo oblio, non è solo un musicista, ma, degno rappresentante del genere che ama più di ogni cosa, anche un attento osservatore e narratore del mondo (piuttosto ammaccato) che lo circonda.

L’indimenticato bluesman

Willie Dixon, padre del Chicago Blues, sosteneva che il blues è capace di narrare le vicende della vita

Billy Branch, sentendo il suo nome il pensiero va al Chicago Blues. In che misura ancora si identifica con questa etichetta?

Oh, sono fiero di essere associato al Chicago Blues, poiché ha influenzato la musica di tutto il mondo. L’impatto del Chicago Blues sulla musica è stato enorme, pensiamo all’invasione rock britannica, ai Beatles, ai Rolling Stones o ai Led Zeppelin. In fondo, riflette la storia del ventesimo secolo e mi fa sentire orgoglioso di essere afroamericano, poiché il blues è la nostra musica folk.

Queste radici che si riverberano fino ai giorni nostri sono riconosciute dagli artisti che ne hanno subito l’influenza?

Vedo che nel corso di interviste e dichiarazioni la maggior parte di loro fa riferimento al Chicago Blues. Tutta la musica americana, ad eccezione di quella dei nativi, è stata influenzata dal blues.

In tutto il mondo sempre più giovani sono attratti dall’hip hop, altro fenomeno statunitense. Qual è il punto di intersezione tra l’hip hop e il blues?

Questa è una domanda curiosa, perché negli ultimi anni ho partecipato più volte a un programma chiamato proprio The Blues Hip Hop Intersection. C’è stato un momento in cui abbiamo realizzato numerosi showcase, ed è una collaborazione «facile», poiché spontanea, sebbene si tratti di due generi musicali che a livello commerciale non vengono associati spesso. Willie Dixon diceva che il blues descrive le vicende della vita; gli artisti hip hop, invece, illustrano il proprio punto di vista e cosa stanno attraversando. Ciò che non amo di certo rap è la misoginia o l’incitazione alla violenza, poiché credo che possano riverberarsi in

modo dannoso sulla società. In ogni caso, sento che la collaborazione tra il blues – che è stato relegato a uno status di musica underground – e il rap sia un fenomeno con potenziale di crescita, soprattutto per i tempi in cui viviamo, in cui la gente sente il bisogno di maggiore sostanza e verità, che d’altronde sono alla base del blues. Negli USA è uscito Sinners, un film esaltato dalla critica e dal pubblico, in cui il blues gioca un ruolo importante: ciò lascia ben sperare.

Lei ha avuto l’incredibile opportunità di suonare con Willie Dixon. Domanda forse scontata, ma cosa ha significato per lei, per la sua vita?

Beh, ho avuto la fortuna di suonare per sei anni nella Willie Dixon Chicago Blues All-Stars, probabilmente una delle più memorabili espe-

rienze della mia vita. Dixon, l’uomo che scrisse centinaia di canzoni poi riprese non solo da musicisti blues, ma anche dagli Stones, da Elvis… Sotto la sua tutela ho imparato tanto, ma soprattutto dovetti farlo in fretta, poiché ero stato chiamato a sostituire nientemeno che il leggendario armonicista Carey Bell. Attraverso Willie ho imparato il valore del blues non solo come forma musicale d’arte, ma anche come fondamentale di tutta la cultura afroamericana, cosa che lui stesso predicava e di cui andava estremamente fiero.

Non viviamo in un periodo esattamente roseo. Il blues è la musica della verità: assume dunque un significato nuovo in questo contesto? Viviamo in tempi difficili, e in tutto il mondo la gente ha voglia e bisogno di un cambiamento. Proprio

per questo, insieme a Ronnie Baker Blues, ho scritto un nuovo singolo Begging for Change (Implorando il cambiamento, Ndr). Credo che il nuovo clima politico stia contaminando il mondo intero, assistiamo alla rimozione dei diritti fondamentali di libertà e all’erosione della democrazia, per cui è importante che la gente si ribelli alla tirannia e torni a lottare per la libertà. È qui che entra in gioco il blues, poiché è come se tutto il mondo avesse il blues.

A proposito dell’importanza della consapevolezza, lei si è sempre speso in programmi educativi… Sì, dal 1978 tengo un programma educativo che si chiama Blues in schools. Ho lavorato a fronte di scenari e capacità diversi, offrendo in tutto il mondo residenze musicali durante le quali i bambini e i ragazzi posso-

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Fra le altre cose, Billie Branch ha all’attivo tre nomination ai Grammy Awards, e recentemente è stato insignito del Best Harmonica Instrumentalist, and Living Blues Critics’ Award.

venuto da Chicago

no imparare a suonare i diversi strumenti del blues, ma anche la sua storia e i grandi standard; apprendono quindi anche come comporre e alla fine del programma hanno l’opportunità di esibirsi.

E a che punto è il blues oggi? Il blues non è più commerciale dagli anni Cinquanta. Pensiamo a chi sono stati Muddy Waters, Howlin' Wolf, Little Walter, Sonny Boy Williamson, Chuck Berry, Bo Diddley e molti altri, delle vere star. Al giorno d’oggi i concerti blues anche negli USA sono frequentati soprattutto da persone bianche di una certa età.

Perché non afroamericani?

Credo sia difficile dare un solo motivo, ma effettivamente la comunità afroamericana non rappresenta il bacino principale dei sostenitori del blues. All’inizio degli anni 60 il blues ha cominciato a scomparire dalle radio, perché da molti reputato una musica delle classi basse, la nostra musica folk. A ciò si aggiunge un altro fattore: negli USA abbiamo assistito alla «Great Migration», che ha portato molti afroamericani a spostarsi dal Sud degli USA (Mississippi, Alabama, i luoghi dove il blues nacque) al Nord. Per molti di quei migranti il blues era stato una colonna sonora del dolore e della sofferenza, con Jim Crow e tutto il resto, per cui si preferiva ascoltare altro, come il jazz, considerato più sofisticato.

Lei è molto legato alla sua armonica: quali altri strumenti sente affini?

Sin dall’infanzia sognavo di imparare a suonare il piano e leggere le note. Ne approfittai durante il Covid, quando acquistai un’app che mi ha permesso di imparare i rudimenti! Ero affascinato e passavo ore a esercitarmi. Mi reputo fortunato, poiché ho potuto imparare a suonare dai migliori armonicisti blues, musicisti come Big Walter Horton, Carey Bell, Junior Wells e James Cotton.

Con gli ultimi tre ho realizzato l’album Harp Attack, oggi considerato un classico.

E come ha imparato a suonare l’armonica?

Frequentando i club – all’epoca nei miei paraggi ce n’erano tra i venti e i trenta – e ascoltando gli artisti dal vivo. Da noi a Chicago esiste questo modo di dire, getting your head cut, they cut my head (tagliano la mia testa Ndr), usato per definire qualcuno di veramente straordinario sul palco. Anche noi, quando uscivamo a suonare, ci dicevamo che saremmo andati a «tagliare qualche testa»! Era una forma di divertimento sano. Mi avvicinai al blues solo a 17 anni, quando da LA tornai a Chicago, do-

Lugano LongLake Festival

Il brano Begging for Change è contenuto nel nuovo disco di Billy Branch, Blues is my Biography

Le buone vibrazioni di Ledisi

Longlake – 2 ◆ La cantante sarà a Lugano il 16 luglio

Ledisi, come si può dedurre dalla sua biografia, lei è un’artista impegnata… si è perfino esibita per Barack Obama. Cosa significa essere un’artista attivista in un momento storico come questo?

Un’attivista artista… wow! Non mi sono mai vista sotto questa luce. Un complimento bellissimo. Essere considerata a questa stregua significa che sono fortemente connessa alle mie radici. Vengo da una storia di attivisti e professori. Una bella sensazione.

Come ci si sente a essere una donna in un’industria come quella musicale, ancora prevalentemente gestita dagli uomini?

ve la scena era letteralmente esplosa.

E l’armonica, piccolo strumento tascabile, cosa rappresenta per lei? Quante ne possiede?

Buona domanda! L’armonica è tutta la mia vita. Non so quante ne possieda, ma so che in ogni singolo locale della mia casa ce ne sono diverse, a volte le lascio perfino in bagno! Me ne porto sempre appresso almeno una, perché camminando per strada oppure in aeroporto, mi succede di imbattermi in un gruppo o in un solista, e allora mi metto a suonare anch’io, in modo del tutto spontaneo. Recentemente mio cugino mi ha raccontato un episodio che non ricordavo: quando io avevo quattro anni, mia nonna ci regalò degli stru-

Dal 10 al 27 luglio 2025 torna Lugano LongLake Festival, il Summer City Festival che, con la sua energia contagiosa, animerà il cuore dell’estate luganese con oltre 300 eventi per lo più gratuiti. Assicurati il posto per alcuni imperdibili concerti (biglietti acquistabili su biglietteria.ch):

10 luglio

PIAZZA DELLA RIFORMA

Estival Jazz – giorno 1:*

20.00 A lina Amuri

22.00 A l Di Meola with Orchestra della Svizzera italiana

24.00 PATAX

11 luglio

PIAZZA DELLA RIFORMA

Estival Jazz – giorno 2:*

20.00 Kurt Elling & Yellowjackets Celebrate Weather Report

22.00 Take 6

24.00 C andy Dulfer feat. Shelby J.

12 luglio

PIAZZA DELLA RIFORMA

Estival Jazz – giorno 3:*

20.00 Gonzalo Rubalcaba «Trio d’Été»

22.00 Jack Savoretti

24.00 Youssou N’Dour & Le Super Étoile de Dakar

15 luglio

PARCO CIANI – BOSCHETTO

20.00 Morgan Heritage

21.45 A nthony B

16 luglio

PARCO CIANI – BOSCHETTO

19.45 Ledisi

21.45 Thee Sacred Souls

17 luglio

PARCO CIANI – BOSCHETTO

20.45 Ginevra

21.45 centomilacarie

23.00 Venerus

18 luglio

PARCO CIANI – BOSCHETTO

Blues to Bop – giorno 1:**

21.00 Edoardo Bennato

23.15 Philipp Fankhauser

19 luglio

PARCO CIANI – BOSCHETTO Blues to Bop – giorno 2:**

20.00 Joachim Cooder con Adriano Viterbini

21.45 Gennaro Porcelli & Band

23.45 Billy Branch and the Sons of Blues

* Posti in piedi gratuiti e ad ingresso libero. Posti seduti davanti al palco a pagamento (biglietto valido per i 3 concerti della serata scelta).

** Possibilità di abbonamento per le due serate di Blues to Bop

Scopri il programma completo

mentini di plastica. I miei cugini ricevettero una trombetta e un flauto, che poi impararono a suonare… io ricevetti una piccola armonica! Forse, guardando indietro, era un segno del destino

Dove e quando Billy Branch & The Sons of Blues si esibiranno a LongLake nella serata di sabato 19 luglio 2025. Ascolta il nuovo singolo di Billy Branch:

Vinci i biglietti in palio e gustati LongLake 2025

«Azione» mette in palio 10 biglietti per il concerto Ledisi + Thee Sacred Souls che andrà in scena mercoledì 16 luglio 2025 (dalle ore 19.45) nel Boschetto del Parco Ciani e 10 biglietti nell’ambito di Blues to Bop per i concerti di Joachim Cooder accompagnato da Adriano Viterbini e Billy Branch and The Sons of Blues che si terranno sabato 19 luglio 2025 (dalle ore 20.00), sempre nel Boschetto del Parco Ciani. Per partecipare al concorso mandate una mail a giochi@azione.ch (oggetto: longlake) indicando il concerto cui vorreste partecipare oltre ai vostri dati entro domenica 13 luglio 2025. I vincitori verranno avvisati per e-mail lunedì 14 luglio 2025. Buona fortuna!

Oggi sono più accorta rispetto a quando ho cominciato. Ho un’altra età, mi sento più a mio agio nella mia pelle e nel mio percorso. Non è facile intimidirmi e adoro fare buone cose con bella gente, donne o uomini che siano. Fare buone cose è il traguardo costante.

Dove trova l’ispirazione? La mia ispirazione è la mia famiglia. Le grandi donne e i grandi uomini che costruiscono la nostra comunità mi ispirano sempre.

La moda riveste un ruolo molto importante nel mondo della musica: lei che rapporto ha con quel mondo?

Amo la moda, le arti visive, qualsiasi forma di arte creativa. La moda rappresenta un’immensa espressione visiva. Amo ciò che mi fa stare bene, e dunque non solamente la musica, ma anche la moda. Sono molto consapevole di ciò che indosso. Il comfort è un must.

In più di un’occasione ha espresso grande ammirazione per Nina Simone: cosa ama particolarmente di lei?

L’audacia, la sensualità e, ovviamente la sua arte.

Gli Stati Uniti ci hanno dato il soul e il R&B, ma i giovani sembrano attratti soprattutto dall’hip hop, nato proprio nel suo Paese. Qual è il suo rapporto con questo genere? Amo l’hip hop. Ero una break dancer and beat maker coming up. Ho imparato come anche la danza sia uno spazio potente e bello per esprimere la mia arte.

Cosa può aspettarsi il pubblico di Lugano dal suo concerto? Good vibes and good music! / Si.Sa.

Dove e quando

Ledisi si esibirà al Boschetto del Parco Ciani il 16 luglio 2025 alle 19.45.

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In fin della fiera

Bucato, detersivi, indecisioni cromatiche e multitasking

Cosa si intende per «roba colorata»?

Voglio dire: il bianco è bianco e il nero è nero, ma tutto il resto? Questa tovaglia verde buccia di fava la metto fra la roba colorata o fra la roba bianca? E questo pigiama turchese? Dopo un’ora di tentennamenti, di togli e metti, passo alla fase due, il caricamento del detersivo. Le istruzioni non si prestano a dubbi: per la bianca metti il detersivo in polvere, ma non quello con i granelli azzurri grossi, quello è per le tende e il copriletto, tu devi usare quello con i granelli medi. Attenzione, perché c’è anche quello con i granelli piccoli, per i tessuti delicati. Per la lavatrice di roba scura invece devi usare il detersivo liquido ecologico, ce ne sono due nello sportello sotto il lavandino, uno per i piatti e l’altro per il bucato, i contenitori non hanno etichetta ma non ti puoi sbagliare perché sono entrambi verdi ma quello per il bucato ha una sfu-

Voti d’aria

matura leggermente più sul nocciola. E ricorda l’ammorbidente uguale per tutti da versare nella vaschetta giusta. Fase tre, imposta il programma. Il più semplice è per la roba scura: gira la manopola di destra fino alla tacca dei 60 gradi e poi, non appena ti rendi conto che la lavatrice ha preso nota iniziando a vibrare, torna rapidamente indietro alla tacca di 30 gradi; così lei, per non sbagliarsi, farà un programma intermedio. Sommando i lati positivi sia dei 60 che dei 30 gradi. Eseguo. Non succede niente. Tutto tace. È vero: ho commesso un piccolo errore, ho messo il detersivo nella vaschetta dell’ammorbidente e viceversa, ma è un’inezia. Incoraggio la macchina: «Parti! Cosa aspetti a partire?». Lei mi fissa con quello sguardo perplesso che hanno le lavatrici quando non comprendono gli ordini. Le manca la parola, l’avesse mi domanderebbe: «Chi sei? Dovrei for-

Nella Penisola del gossip

Pensate che la stilista Elisabetta Franchi assunse sette investigatori per pedinare il suo allora marito Alan Scarpellini. Pensate che Ciro Grillo, figlio di Beppe, in dicembre avrà una figlia. Pensate che Michelangelo Antonioni detestava il pesce, perché tra le sue amanti c’era la moglie del pescivendolo di Ferrara. Pensate che l’attore Kabir Bedi (quello di Sandokan) si è sposato quattro volte e che all’ultima sua moglie si è dichiarato in Piazza di Spagna. Pensate che una volta l’attore Fabio Testi ha affittato un 737 per raggiungere Ursula Andress. Pensate che Michele Emiliano, sessantacinquenne ex presidente della regione Puglia, ha una compagna di quarant’anni. Lo sapevate che Ellen Kessler, una delle gemelle, ha ricevuto una sola proposta di matrimonio, da Umberto Orsini? E lo sapevate che Marcello Mastroianni disse una volta: «’sto stronzo di Orsini ha preso una bella ragazza»?

Tutte notizie che abbiamo raccolto sui giornali nazionali italiani nell’ultima settimana, collocate in lunghissime interviste sugli amori e i disamori a personaggi vari, di alto, di medio e di basso profilo. Un nuovo format. Non giornali di gossip, ma quotidiani nazionali di antica tradizione e di indiscusso prestigio. Per esempio, pensate che Dino Giarrusso all’Isola dei Famosi («famosi» si fa per dire) ha ammesso di aver avuto «centinaia e centinaia» di relazioni nell’arco di un decennio. Si è fermato a cinquecento giusto prima di sposarsi. Pensate che Danilo Bertazzi avrebbe voluto avere una famiglia molto numerosa. Pensate che Ellen Hidding, la storica conduttrice di Melaverde, ha un marito ristoratore di origini campane che ha conosciuto vent’anni fa.

Ma se a pochi può interessare la vita sentimentale di Antonioni, delle gemelle Kessler, di Fabio Testi, figurarsi

A video spento

se conoscerti?». Abbandono l’ultimo residuo di dignità e mi metto in ginocchio davanti all’oblò. Temevo che sarebbe andata a finire così, prima di dare inizio alle operazioni avevo chiesto a ChatGPT il nome della santa protettrice delle lavatrici. Risposta: «Sulle macchine per il lavoro domestico, lavastoviglie, lavatrici, frullatori, microonde la Chiesa ancora non si è ancora pronunciata. Abbiamo a disposizione due figure per le quali si potrebbe chiedere di allargare le rispettive competenze. C’è Santa Veronica che, poiché ha asciugato il volto di Gesù con un panno, è collegata simbolicamente alle pulizie. L’altra è Santa Zita (1212-1272): per la verità lei è patrona delle domestiche ma con un piccolo passo avanti diventa protettrice onoraria della lavatrice. Lei sarebbe contenta». ChatGPT è ruffiana, vuole venire incontro ai tuoi desideri. È stata progettata

non per dirti la verità, ma per fornirti la risposta che desideri. Mi domanda: «La vuoi una preghiera per la nostra Santa?». Non aspetta neanche la mia risposta. Eccola: «Santa Zita, volgi il tuo sguardo misericordioso su di me, che combatto contro montagne di bucato e calzini spaiati. Illumina i misteri della lavatrice: che i bianchi restino bianchi, i neri non stingano, e i cicli rapidi non tradiscano la mia fiducia. Proteggi i miei capi delicati, fa’ che il detersivo non finisca mai, e che la lavatrice non decida di trapassare proprio il giorno prima di un matrimonio. Ti affido il calzino solitario, che vaga smarrito nell’oblò o nel limbo tra cestello e realtà. Dona forza al mio spirito quando scopro che ho lavato il maglione di lana a 60 gradi». La recito tutta e poi mi rivolgo alla lavatrice. Le spiego che per una circostanza imprevista devo farmi carico dei lavori domestici, le chiedo scusa,

imploro la sua comprensione, faccio appello alla sua solidarietà. Lei tace ancora per qualche minuto e poi s’incammina brontolando, sembra che mormori: va bene, ma che sia l’ultima volta.

Prima di questa full immersion nel lavoro domestico, per me la casalinga tipo era una ciabattona seduta sul balcone a fumare, ferma a ogni crocicchio a spettegolare con le comari, in fila dal tabaccaio per un gratta e vinci pagato facendo la cresta sui soldi per la spesa. Pochi giorni di prova hanno generato in me il massimo rispetto per queste eroine del multitasking ; lo afferma uno che riesce a fare (male) una sola cosa per volta e senza doversi allontanare per mille altre incombenze, fare i letti, bagnare le piante, rispondere al cellulare, leggere i messaggi, stendere il bucato, preparare la tavola, cucinare qualcosa senza farlo bruciare…

che strabiliante curiosità possono riscuotere gli amori di Elisabetta Franchi e di Alan Scarpellini, le imprese erotiche di Dino Giarrusso, le aspirazioni familiari di Danilo Bertazzi, le relazioni della storica conduttrice di Melaverde. A proposito dei quali, la prima domanda che viene naturale è: ma chi sono? Eppure, pagine e pagine sui figli, i nonni, le zie, i tatuaggi nascosti in luoghi indicibili, le amanti e gli amanti di illustri sconosciuti da reality show.

Se volete una fotografia della mediocrità del tempo che stiamo vivendo (voto cumulativo 1), sfogliate i giornali. Anche il pettegolezzo non è più quello di una volta. Per quanto fosse discutibile e a volte ridicolo, anni fa i paparazzi inseguivano su motorette, vespe e monopattini principi e principesse, star hollywoodiane e assi dello sport. Coppi e la Dama Bianca, Rita Hayworth e Orson Welles, la

Il tradimento della comunicazione digitale

In questi anni, abbiamo vissuto la più grande rivoluzione tecnologica e antropologica che l’umanità abbia mai conosciuto. Ogni volta che gli apparati della comunicazione cambiano, cambia la società.

Fino all’avvento di internet, la comunicazione (stampa, radio, tv) era vissuta come un graduale accrescimento di sapere, un qualcosa che univa nella condivisone. La comunicazione digitale non è più a misura d’uomo, sprigiona una potenza tale che ci sovrasta, siamo prigionieri degli algoritmi che informano, intercettano, manipolano a nostra insaputa. All’aumento incontrollato della comunicazione decresce la comprensione reciproca: per paradosso, la connessione globale divide. Perché i giganti della tecnologia e le loro piattaforme hanno tradito le nostre aspettative? Perché la psiche umana è male attrezzata per governare la «superfioritura» di informazione

che la tecnologia ha scatenato? Perché oltre un certo livello di efficienza, la comunicazione tende a produrre confusione più che a favorire l’intesa? A tutto ciò risponde in maniera convincente il libro di Nicholas Carr, Superbloom – Le tecnologie di connessione ci separano? (Raffaello Cortina editore).

La metafora dell’eccesso. Il superbloom del titolo si riferisce al superbloom di Walker Canyon, un’eccezionale fioritura di piante che si verifica quando le condizioni ambientali, come piogge abbondanti, favoriscono la loro crescita, attirando un grande numero di turisti, che spesso causano pericolosi ingorghi e l’intervento delle forze dell’ordine. Nel superbloom della rete nessuno riesce più a controllare gli accessi per preservare la nostra mente.

La tesi di Carr è che l’enorme quantità di informazioni («tutto, tutto in una volta») appiattisce ogni senso

delle proporzioni. Ogni tema diventa solo «contenuto», trattato sullo stesso piano, indipendentemente dalla sua importanza o veridicità. Ogni tema diventa solo un generatore di traffico per aumentare i click. Questa nuova condizione spinge a non distinguere più le gerarchie degli eventi: «A mano a mano che i sistemi mediatici progredivano, dall’elettrico all’elettronica e poi dall’elettronica al digitale, lo spirito della rivoluzione industriale, con la sua insistenza sulla misura e sulla produttività, si è venuto propagando, debordando dalle fabbriche agli uffici per comunicarsi alla vita intellettuale politica e quindi all’ambito della conversazione del discorso, del dibattito».

I media elettronici rimodellano la nozione di luogo e di tempo, creando una «iperrealtà» nella quale siamo immersi senza soluzioni di continuità. La realtà viene così riconfigura-

principessa Diana Spencer, Carolina e Stéphanie di Monaco… I paparazzi lavoravano in genere per settimanali come «Stop», «Cronaca Vera», «Novella 2000» e semmai «Oggi». Oggi fa notizia, nei quotidiani nazionali, il bodyguard che confessa di aver cominciato a essere un tombeur de femme a dodici anni, e che il suo bilancio erotico è tutto dalla parte delle straniere («tranne dieci italiane»). Notiziona da strapparsi i capelli (1). O meglio, da buttare il giornale nel bidone della carta e stare alla larga per sempre dalle edicole (6 alla resistenza delle povere edicole). C’è dunque chi ritiene di guadagnare lettori grazie al bilancio erotico del bodyguard di turno, grazie alla confessione pruriginosa della showgirl o ai pedinamenti della stilista tradita. Oscar Wilde giustificò il successo del gossip con una delle sue frasi memorabili: «I fatti miei mi annoiano sempre

a morte, preferisco quelli degli altri». E va bene, ma che fare quando i fatti degli altri sono più insignificanti persino dei fatti tuoi? Mai demordere. Non tutto è da cestinare. Vi ricordate le vacanze intelligenti? Ecco, c’è anche un pettegolezzo creativo. C’è chi è riuscito a trasformare il rumore di fondo del gossip in opera d’arte. Vedi alla voce Recherche. Secondo Walter Benjamin, Marcel Proust «si propone di edificare l’intera struttura dell’alta società come fisiologia del pettegolezzo». E Umberto Saba diceva che Proust intrattiene il lettore con un «lungo incantevole pettegolezzo», un «pettegolezzo diventato grande poesia». Tra gli amanti del chiacchiericcio banale c’è anche Alberto Savinio, che vedeva nella «frivolità» e nel «pettegolismo» di Rossini la grandezza della sua musica. Ecco, buttare il giornale e leggere Proust ascoltando Rossini? Buona idea (5+).

ta per adattarsi a ciò che l’iperrealtà offre, dove abbondano deepfake e teorie del complotto. A differenza dei media più tradizionali dove «l’attrito dell’interfaccia» (un libro bisogna sceglierlo, così come un film) forniva spazio per la riflessione, la digitalizzazione rende l’informazione un «solvente universale», con una comodità che diventa una sorta di maledizione. Ci siamo evoluti per cercare, per conoscere, ma con internet non c’è nessun freno naturale a questo desiderio e mai un senso di sazietà. La facilità d’uso impedisce quella che l’autore chiama l’«acculturazione disciplinata». Non solo queste tecnologie sono progettate per sfruttare le nostre debolezze, ma anche per cambiarci. C’è infine un aspetto molto inquietante: l’anonimato su internet scatena il peggio di alcuni utenti; Nicholas Carr definisce il fenomeno «effetto Gyges». Tutto ha inizio da una sto-

ria narrata da Platone ne La Repubblica: un pastore di nome Gyges trova un anello dell’invisibilità che lo farà cedere alla corruzione trasformandolo in un tiranno. Per Platone, quando le azioni non sono soggette al giudizio altrui, nessuno è davvero immune dalla tentazione della corruzione. Carr suggerisce che tale equazione sembra più rilevante che mai nella nostra era. L’anonimato offerto da internet, simile all’anello di Gyges, rimuove la responsabilità e permette ad alcuni utenti di comportarsi male. Contrariamente all’idea che una maggiore informazione porti a una maggiore democratizzazione, i social media possono fungere da megafono per la disinformazione (come la funzione retweet), facilitando la diffusione di falsità. Possono diventare mezzi politici che stabiliscono norme sociali, credenze e gerarchie di potere, cioè strumenti del potere autoritario.

di Aldo Grasso
di Paolo Di Stefano
di Bruno Gambarotta

GUSTO

Aperitivo

Ecco come organizzare un aperitivo estivo

Ingredienti freschi e preparazione semplice: l’aperitivo estivo è pronto in un attimo.

Abbiamo alcune idee per te

Virgin London Mule

Per 1 bicchiere da 2,5 dl

6 cl di alternativa al gin senz’alcol, ad es. Lyre’s Dry London Spirit 1,5 cl di succo di limetta cubetti di ghiaccio 1,2 dl di Ginger Beer senz’alcol 1 striscia di cetriolo ½ rametto di menta

1. Versa il Dry London Spirit senz’alcol e il succo di limetta in un bicchiere alto, aggiungi i cubetti di ghiaccio e completa con la Ginger Beer.

2. Infilza la striscia di cetriolo a onda su uno spiedino, immergilo nel bicchiere e decora con la menta.

Consiglio utile Guarnisci a piacimento il drink con fette di limetta.

Frosé

Fragole, zucchero e rosato danno vita a un drink fruttato che, sorseggiato ghiacciato, sorprenderà gli ospiti di ogni festa estiva

Polpette di tonno e piselli

Le polpette di tonno, piselli e pecorino sono un’idea saporita, ideale da servire come aperitivo o finger food per un buffet party.

Ricetta
Novità

Dip al cottage cheese

Un cremoso dip per le chips: basta mescolare scalogno, erba cipollina e pomodori con del cottage cheese fresco. Un ottimo spuntino da gustare tra i pasti.

Feta marinata

Un piatto semplice ma raffinato: feta tagliata a dadini marinata con timo fresco, olio, aglio e peperoncino. Un antipasto per qualsiasi occasione.

Virgin Italian Spritz

Per 1 bicchiere da 2 dl

1 fetta d’arancia cubetto di ghiaccio

0,5 dl d’aperitivo analcolico, ad es. Lyre’s Italian Spritz

1 dl di spumante analcolico

1. Dividi una fetta d’arancia in quattro e mettila in un bicchiere con i cubetti di ghiaccio. Aggiungi l’Italian Spritz e lo spumante.

Salsine per l’aperitivo

Accompagnano chips e verdure: salsine di carote e noci d’acagiù, di formaggio fresco di capra e succo di cranberry o di piselli e tahina. Facili e veloci!

Virgin Passion

Per 1 bicchiere da 2,5 dl

di Bitter Lemon di polpa di frutti della passione in scatola cubetti di ghiaccio di sciroppo di cassis d’alternativa al Martini senz’alcol, ad es. Martini Vibrante rametto di ribes

1. Versa il Bitter Lemon e la polpa dei frutti della passione in un bicchiere. Aggiungi i cubetti di ghiaccio.

2. Mescola lo sciroppo con il Martini, versa il mix nel bicchiere e decora con i ribes.

Consiglio utile Decora con mezzo frutto della passione.

Ricetta
Ricetta

TEMPO LIBERO

Sedici mesi e novecento chilometri

Fabio Andina, sulle tracce del nonno sopravvissuto ai campi di concentramento, condivide qualche passo con Erri De Luca

Pagina 35

Un «tonnato» vegetale

Anziché il vitello, ecco una versione senza carne della tradizionale ricetta, qui a base di pomodori a fette serviti su una salsa di maionese e tonno

Pagina 37

Nintendo punta sulla continuità

Switch 2, console ibrida, aggiornata e più potente, parte con Mario Kart World, tra gare, segreti e nuove modalità online

Pagina 39

Ho visto un dinosauro su una tavola da surf

Colpo critico speciale ◆ In un’estate assediata da notifiche e immagini da postare, il gioco da tavolo diventa spazio condiviso, esercizio d’immaginazione e resistenza silenziosa

Come saranno le vacanze del futuro?

Se lo chiedevano già Fruttero & Lucentini nel 1994, paventando la nascita delle virtual holidays, come una sorta di grandioso videogioco in cui «i benzinai serviranno sulle autostrade viaggiatori virtuali, gli albergatori ospiteranno comitive virtuali, i bagnini salveranno bambini virtuali, i pizzaioli nutriranno le tavolate di divoratori virtuali, e per tutta l’estate gireranno immense somme di denaro virtuale» (Breve storia delle vacanze, Mondadori, 1994). Gli autori aggiungevano: «La sola cosa non virtuale resteranno, ovviamente, le tasse». In realtà, nonostante l’avanzare dell’intelligenza artificiale, ancora l’estate accende ingorghi concreti sulle autostrade. Bisogna dire però che i viaggi talvolta sono un espediente per portare un tocco di esotismo nei nostri social network. Gli occhi saranno pure lontani dagli schermi dei computer, ma continuano a fissare quelli dei telefoni, alla caccia di selfie davanti al mare o sulla cima di una montagna.

In un mondo che ci invita a toccare solo schermi lisci, tornare a stringere in mano una pedina è un gesto quasi rivoluzionario

Le vacanze dovrebbero dilatare il tempo. Non a caso la parola proviene dal latino vacuum, cioè vuoto. È un vuoto benefico, che ci riporta a quei pomeriggi di luglio dell’infanzia, quando la scuola era uno sbiadito ricordo e la parola «settembre» più remota della luna. L’assedio del virtuale ci consegna invece a un ritmo scandito, fatto di notifiche e di messaggi. Ecco allora che i giochi da tavolo possono diventare un modo per tornare a quel tempo perduto, non solo perché fungono da madeleine proustiana (ah, l’odore delle carte da gioco, il suono dei dadi sul tavolo di legno!) ma anche perché ci obbligano a sederci insieme davanti a oggetti concreti: dadi, appunto, e pedine, pezzi di legno o di carta. I giochi da tavolo non saturano la fantasia con la continua connessione. Al contrario, inducono a guardarsi negli occhi, a misurare i propri gesti, a creare insieme un mondo immaginario a misura d’uomo. Oggi le occasioni per giocare sono molteplici. Il boom del settore ha portato alla nascita di migliaia di titoli adatti a ogni circostanza, oltre che alla fioritura di eventi e festival ludici. Nel Canton Ticino, per esempio, i volontari dell’associazione Giochintavola saranno presenti a Longlake, dal 10 al 27 luglio. Nella postazione sul lungolago di Lugano, di fianco al-

la chiesa di santa Maria degli Angeli, condivideranno gratuitamente la loro competenza e i loro giochi.

L’offerta è cresciuta parecchio rispetto alla mia infanzia, quando nei lunghi pomeriggi di pioggia si rispolverava l’eterno Monopoly. La primissima versione risale addirittura al 1902, creato dalla dattilografa e inventrice Elizabeth Magie (già depositaria del brevetto per il ritorno automatico nelle macchine da scrivere). Il gioco venne pubblicato però solo nel 1935 e suscitò varie dispute legali sui diritti d’autore. Oggi ne esistono più versioni: quella classica svizzera, con la costosissima sosta in «Zürich Paradeplatz», è pubblicata dalla Hasbro. L’autrice aveva creato Monopoly con intenti anti-capitalistici, per mostrare come il liberismo renda i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Questo però rischia di rendere le partite senza fine: quando cominci a perdere, non hai più speranze. A chi amasse queste atmosfere consiglio un altro gioco che ricrea l’ambiente teso dei mercati e del-

la borsa: Stockpile (Brett Sobol, Seth Van Orden, Nausoo Games, 2015). I partecipanti, da tre a cinque, acquistano pacchetti di azioni, scegliendo se puntare tutto su una start up rischiosa ma redditizia o se investire nell’industria dell’acciaio che è sempre solida. Rispetto a Monopoly, il gioco è più veloce e meno farraginoso, ma permette comunque di arricchirsi a spese dei propri amici e famigliari… Alla fine si prova una certa forma di liberazione anche nel perdere, nel ritrovarsi a secco dopo il fallimento della Cosmic Computers. È un sentimento simile alla catarsi che aiutava gli spettatori delle antiche tragedie greche ad abbandonare i residui delle passioni nefaste. Spesso consideriamo le vacanze come un’occasione per ripartire, per purificarci, grazie a viaggi fisici ma pure culturali: libri, film, musei. Certamente il gioco, in questo senso, è un fenomeno simile all’arte. L’attività ludica infatti stimola il pensiero e ci strappa alla routine, ma soprattutto «affascina e racchiude un mondo

nel suo linguaggio figurato» (Johan Huizinga, Il gioco nella cultura, 1933, Casimiro, 2018). Questo non accade solo con i giochi simulativi o di narrazione, ma anche in una partita a nascondino o in una sfida a briscola o a scopa.

Dietro ogni gioco antico si nasconde una grammatica non detta del vivere: vincere senza umiliare, perdere senza recriminare

A parte gli appassionati, oggi a giocare a carte sono spesso i bambini o gli anziani. Forse perché, oltre al tempo libero, hanno sufficiente candore (i giovani) o esperienza (i vecchi) per trarre piacere dalla raffigurazione simbolica della vita che si cela dietro a ogni sfida a rubamazzetto, tressette o scala quaranta. Oltre ai giochi tradizionali, ne consiglio uno che rivisita i classici con ironia: Surfosaurus MAX (Ikhwan Kwon, Loosey Loosey Games, 2023). Accoglie da due a

sei persone, dura solo una ventina di minuti ed è uno strano miscuglio fra cooperazione e opportunismo. I partecipanti si alleano per creare delle combinazioni di numeri in scala, come a ramino, sapendo che vincerà solo la più lunga: bisogna perciò convincere gli altri a giocare carte del proprio colore. Ogni trucco è consentito. Oltre a essere divertente, il gioco induce a riflettere su alcune particolari dinamiche sociali e psicologiche, il che non guasta. Surfosaurus MAX è colorato, dinamico, allegro. L’ambientazione è assai particolare: rappresenta un gruppo di dinosauri che, in vacanza, si dedicano a fare surf. Perché questa bizzarra scelta tematica? Chissà, forse l’autore voleva suggerire che, per non estinguerci, dovremmo imparare a prendere la vita con calma e a goderci il vacuum, il tempo dell’ozio. O forse no. Ma nei giochi come nell’arte, ognuno trova il senso che più gli assomiglia. E io questa estate non voglio perdermi l’occasione di cavalcare le onde insieme a un brontosauro.

Andrea Fazioli
Immagine creata con IA

È pieno pomeriggio a Chicago quando via Whatsapp raggiungiamo Billy Branch. Un bluesman (classe 1951) che non ha bisogno di presen tazioni, e la cui caratura è chiara al più tardi quando si scopre chi sono stati i suoi maestri. In primis quel Willie Dixon che ha scritto, ispira to e plasmato gran parte della musica del Novecento. Insieme a Billy Bran ch c’è la compagna e moglie di una vita, Rosa, in quella che si rivelerà una conversazione attenta, profonda. Willie Branch, che del blues ha vi sto il massimo splendore seguito dal progressivo oblio, non è solo un mu sicista, ma, degno rappresentante del genere che ama più di ogni cosa, an che un attento osservatore e narrato re del mondo (piuttosto ammaccato) che lo circonda.

L’indimenticato bluesman

Willie Dixon, padre del Chicago Blues, sosteneva che il blues è capace di narrare le vicende della vita

Billy Branch, sentendo il suo nome il pensiero va al Chicago Blues. In che misura ancora si identifica con questa etichetta?

Oh, sono fiero di essere associato al Chicago Blues, poiché ha influenza to la musica di tutto il mondo. L’im patto del Chicago Blues sulla musica è stato enorme, pensiamo all’inva sione rock britannica, ai Beatles, ai Rolling Stones o ai Led Zeppelin. In fondo, riflette la storia del ventesimo secolo e mi fa sentire orgoglioso di essere afroamericano, poiché il blues è la nostra musica folk.

Billy Branch, il tagliatore di teste

Longlake – 1 Il celebre armonicista statunitense sarà fra i numerosi ospiti che animeranno l’edizione 2025 della poliedrica

Una sferzata di collagene per ossa e muscoli

I tessuti del nostro corpo, come la pelle, le ossa e le articolazioni, sono costituiti in gran parte da collagene.

Idrolizzato di collagene puro al 100%, qualità superiore testata

Queste radici che si riverberano fi no ai giorni nostri sono riconosciu te dagli artisti che ne hanno subito l’influenza?

Vedo che nel corso di interviste e di chiarazioni la maggior parte di loro fa riferimento al Chicago Blues. Tut ta la musica americana, ad eccezione di quella dei nativi, è stata influenza ta dal blues.

Novità

Nel caffè, nei frullati o nel muesli: la polvere insapore e inodore si adatta a qualsiasi routine quotidiana.

tra in gioco il blues, poiché è come se

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Da Mauthausen all’Adda con Andina e De Luca

Itinerario ◆ In un documentario di Villi Hermann, il viaggio di uno scrittore sulle tracce del nonno internato, tra incontri, fatica e riflessioni sul senso della memoria

È mattina presto. La luce del sole di metà giugno fatica a raggiungere il sentiero che percorre in lunghezza un’isoletta del fiume Adda all’altezza di Fara Gera d’Adda. La vegetazione ha creato una sorta di galleria intorno al tratto dove lo scrittore ticinese Fabio Andina raggiunge l’autore Erri De Luca. Un incontro tra due camminatori, il primo con scarpe da ginnastica comode che indossa da quasi quaranta giorni, percorrendo più di 800 chilometri, e che mostrano i primi segni di usura; l’altro, con sandali con i quali ha affrontato strade che non misura e che utilizza anche in montagna, persino nelle scalate. Erri De Luca, napoletano che ha vissuto in tanti luoghi e ha fatto tanti lavori prima di diventare uno dei più affermati letterati italiani, ha affrontato più volte l’Himalaya, anche con gente da ottomila, come la coppia Nives Meroi e Romano Benet con i quali ha pubblicato libri.

Scarpe consumate, sandali d’altura e cinema della memoria, nell’incontro filmato sotto la regia di Villi Hermann

Andina affianca il collega e avvia un lungo dialogo sul camminare e sulla memoria che si conclude quasi a filo del corso d’acqua. De Luca sottolinea l’importanza del cinema nel costruire la memoria, citando Charlie Chaplin e il suo insistere su «fame, povertà ed emigrazione». È uno dei momenti più importanti del documentario Da Mauthausen a Cremenaga che Villi Hermann ha appena finito di girare seguendo Andina nel percorso sulle tracce del nonno, internato nel campo di concentramento austriaco liberato il 5 maggio 1945 e tornato a casa a piedi il 6 luglio. Una storia che il nonno, Giuseppe Vaglio, non aveva mai raccontato e che il nipote ha ricostruito sulla base dei documenti trovati e descritto nel libro Sedici mesi (2024, Rubbettino editore; tradotto da Rotpunktverlag di Zurigo). Un lavoro che gli è valso il Premio svizzero di letteratura 2025, consegnatogli mentre era in cammino, tanto da riceverlo in videocollegamento con le Giornate letterarie di Soletta. La ripresa della camminata fianco a fianco viene ripetuta più volte, tra campane che battono le ore e aerei che atterrano o decollano dai vicini aeroporti di Linate e Bergamo e ne disturbano il suono, e alla ricerca delle inquadrature e delle luci giu-

ste, affidate alla giovane e determinata direttrice della fotografia Giada Cappa, con la collaborazione di Alberto Meroni.

Il dialogo è improvvisato a partire da un paio di temi fissati, alla ricerca della naturalezza, ma Hermann è regista attento ai dettagli e con le idee chiare. De Luca, che pochissimi passanti riconoscono lungo itinerari ciclabili e pedonali parecchio frequentati, è arrivato apposta, si presta di buon grado ai ritmi della piccola troupe, non si atteggia a star, aspetta con pazienza i momenti giusti e parla il necessario.

Andina è un po’ emozionato e affaticato dal viaggio, senza farlo troppo trasparire e resta concentrato sulla scena, una di quelle già scritte e previste, tanto da aver effettuato un sopralluogo nei mesi precedenti. Sarà più rilassato quando a fine mattinata riprendiamo la strada a piedi lungo il Naviglio Martesana verso Gorgonzola, la città nota per il formaggio e per la fuga di Renzo ne I promessi sposi È uno scrittore sulla cresta dell’onda, Andina, almeno nel panorama elvetico, ma sembra non farci caso, guarda avanti, mentre i piccoli passi somigliano a quelli di ogni giorno sulle strade. Era partito per affrontare 820 chilometri, ma la distanza è cresciuta e alla fine si aggirerà sui 900: «In molti tratti la via più breve era molto trafficata, oppure mi sono spostato su lati delle valli in om-

bra per stare più al fresco» spiega. L’idea del cammino era nata a Mauthausen, per rifare in 45 giorni il percorso del nonno, alto e magro proprio come lui. Da qui il documentario con l’instancabile ottantaquattrenne

regista di San Gottardo e Bankomatt, insieme al quale ha scritto la sceneggiatura da un suo racconto contenuto nella raccolta Sei tu, Ticino? e che diventerà un lungometraggio l’anno prossimo.

Per quanto ben preparato, il viaggio non è stato agevole, se si considera il maltempo dei primi giorni, il traffico di camion, l’attraversamento delle rotonde e il cibo, essendo vegano. Tra i bei ricordi, l’interesse di chi, soprattutto in Austria, si è incuriosito e si è mostrato ospitale; tra i meno belli, la spazzatura lungo le strade, soprattutto nel tratto italiano, anche con animali morti lasciati a terra. L’interesse per uccelli e piante ai bordi del tracciato l’ha aiutato a rompere la monotonia dell’incedere.

Dirigendoci verso Milano, che sarà una delle ultime tappe del percorso, espone il metodo di scrittura, fatto della definizione di un’idea, seguita da settimane e mesi di pensiero ed elaborazione (spesso camminando in Valle di Blenio, partendo dalla sua casa a Leontica, o chiacchierando con gli anziani residenti), prima di scrivere quasi di getto in poco tempo. Dopo il rientro lo attendono incontri e conferenze soprattutto in Svizzera tedesca («sono più seri e organizzati»), mentre la prossima pubblicazione è già pronta e attende i tempi editoriali. Nel frattempo sarà ultimato Da Mauthausen a Cremenaga, che vede tra i testimoni anche Rudolf Popper, l’ultimo svizzero sopravvissuto ai lager, e la scrittrice Anna Foa, e altre persone incontrate per strada.

Fabio Andina ed Erri De Luca. (Imagofilm Lugano) Ora in azione
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Ricetta della settimana - Tomato tonnato

Ingredienti

Antipasto

Ingredienti per 4 persone

2 vasetti di tonno in olio d’oliva da 190 g, peso sgocciolato 140 g

4 filetti d’acciuga

40 g di maionese

0,5 dl di panna semigrassa

o latte

sale

pepe

1 c di succo di limone

800 g di pomodori di vari colori cucunci per guarnire

Preparazione

1. Scolate il tonno e fatelo sgocciolare bene. Frullate la metà del tonno con i filetti di acciuga, la maionese e la panna fino a ottenere una salsa cremosa. Aggiustate di sale, pepe e succo di limone.

2. A seconda della dimensione, tagliate i pomodori a fette, in quarti o a metà.

3. Distribuite la salsa tonnata sui piatti. Accomodate il tonno rimanente e i pomodori sulla salsa.

4. Guarnite con i cucunci. Accompagnate con baguette.

Consigli utili

In aggiunta, prima di frullare, versate un po’ di acqua di capperi nella salsa. Potete utilizzare i filetti di acciuga rimasti per preparare una salsa verde, un’insalata nizzarda, una Caesar Salad o la pizza Napoli.

Preparazione: circa 30 minuti

Per porzione: circa 23 g di proteine, 20 g di grassi, 7 g di carboidrati, 300 kcal

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Durata dell’azione: dall’1.7 al 31.7.2025

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Da

Switch 2 & Mario Kart World

Videogiochi ◆ Arriva sgommando dal Giappone la nuova console Nintendo

Otto anni sono passati dall’ultima volta che Nintendo ha lanciato una nuova console. Switch è stata quella del successo travolgente, con oltre 150 milioni di unità vendute. Il progresso tecnologico, però, non si è certo fermato dal 2017 a oggi e la console ibrida di Nintendo è progressivamente rimasta sempre più arretrata rispetto alla concorrenza di PlayStation, Xbox e PC.

La comunità dei videogiocatori mondiali ha atteso a lungo, insomma, prima di poter mettere le mani su una console di nuova generazione. Tradizionalmente il marchio giapponese ha quasi sempre imboccato la strada della rottura con il passato. Controller particolari, macchine ibride, motion gaming ; uno dei punti di forza dell’azienda è la sua innovatività. Tuttavia, con Switch 2, la progressione è stata decisamente più tradizionalista: nuovi componenti, maggiore potenza, nuove funzionalità ma un formato sostanzialmente identico. Switch 2 insomma, all’occhio non allenato, può sembrare uguale alla sua prima versione, dimensioni a parte.

La nuova console di Nintendo si presenta però come un significativo passo avanti rispetto al modello precedente. Schermo con una risoluzione maggiore, più potenza di calcolo, più memoria per scaricare giochi, maggiore qualità visiva quando collegata a un televisore e nuove funzioni sociali

come chat vocale e video. Rimangono inalterati, invece, tecnologia a parte, i controller, che restano utilizzabili sia con la console che staccandoli fisicamente, per condividerne uno con un altro giocatore o per inserirli all’interno di vari accessori.

Una novità molto interessante è la possibilità di usare i nuovi controller come se fossero un mouse tradizionale, con una precisione davvero sorprendente, in particolare in giochi come Cyberpunk 2077

Un sollievo per i genitori

Nintendo sembra aver finalmente riconosciuto che le necessità dei giocatori sono cambiate col tempo. Oltre alle già citate funzioni sociali, è anche possibile migrare i contenuti da una console del modello precedente: un sollievo per molti genitori, che potranno trasferire i dati della console dei figli senza particolari grattacapi. La stessa è anche retrocompatibile con giochi per Switch 1 anche se non completamente, sebbene la maggior parte dei giochi di maggior successo siano generalmente ben supportati.

E i difetti? Lo stand metallico per appoggiarla al tavolo non sembra solidissimo, l’autonomia non è migliore della console precedente e il prezzo di giochi e accessori segue una tendenza al rialzo. Non c’è dubbio che

Giochi e passatempi

Cruciverba

Il primo telefono cellulare fu introdotto nel mercato statunitense nel 1983 pesava 800 grammi. Come venne soprannominato? A quanti dollari veniva venduto? Troverai le risposte a soluzione ultimata leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 7, 5, 11)

O RIZZONTALI

1. Piccola rana verde

3. Si dà alla presentazione

6. Scrisse «Gerusalemme liberat a» (Iniz.)

8. Lo precedono in volo

9. Corvine

10. Un nipotino di Paperino

11. Noto formaggio veneto

13. Perché in latino

14. Gat to inglese

15. Una delle ROM personalizzate più usata per Android

17. Nome femminile

19. Ama Arrigo ne «La battaglia di

per molti non si tratterà di un ostacolo all’acquisto, specialmente perché Nintendo abbandonerà progressivamente il vecchio modello in favore di quello nuovo.

Una console nuova non serve a nulla senza i giochi. Il lancio di Switch 2 è stato accompagnato da riedizioni di titoli già usciti su altre piattaforme ma anche da qualche gioco totalmente nuovo, in attesa di vedere il catalogo crescere nei prossimi mesi e anni. Il titolo più importante, all’uscita, è Mario Kart World. L’attesa di un nuovo capitolo è stata lunga: ben undici anni!

Mario Kart World ripropone la più classica delle formule di giochi di corse: gran premi, battaglie e corse contro il tempo. Si corre in sella ad adorabili go-kart in compagnia di Mario, Luigi e molti altri personaggi Nintendo. Tuttavia, come il titolo suggerisce, il gioco presenta un twist inedito. Il mondo di gioco è aperto e il giocatore può esplorarlo a suo piacere alla ricerca di elementi da sbloccare, segreti e tesori.

Sebbene le modalità classiche come il Gran Premio non siano particolarmente influenzate dalla nuova struttura del gioco, ci sono altre modalità che incorporano pienamente la rinnovata liberà. È il caso delle corse a eliminazione, solitamente l’equivalente di cinque tracciati ma uniti senza soluzione di continuità, in cui

i corridori saranno progressivamente eliminati in funzione della loro posizione in graduatoria. Gare davvero molto divertenti, specialmente se giocate online con altri corridori umani, ma il grado di difficoltà aumenterà esponenzialmente!

Mario Kart World da un lato offre un gioco estremamente rifinito. Le corse, la guida, la splendida colonna sonora e la grafica cartoonesca sono magnifici. Tuttavia, la mappa di gioco, vista forse la sua grandezza, sembra poco sfruttata. Ci sono sfide e segreti da trovare ma il sentimento rimane quello di una enorme zona in cui ci sia poco da fare. Conoscendo Nintendo, nei prossimi anni la mappa di gioco verrà progressivamente ampliata e arricchita, con tutta probabilità tramite degli aggiornamenti a pagamento. A conti fatti, però, questo nuovo Mario Kart è un ottimo gioco, divertente sia da soli sia in compagnia e un titolo imprescindi-

bile per i fan della saga. Che dire, allora, dell’accoppiata Switch 2 e Mario Kart World ? La console rimane in linea con quanto visto negli ultimi anni, apportando però aggiornamenti e migliorie attese da tempo. Nintendo si è messa in pari con la concorrenza, anche se non dal punto di vista della potenza di calcolo pura. Mario Kart World è il compagno ideale: offre tanto divertimento sia a casa sia in viaggio e riesce a dimostrare, almeno per questi primi mesi, le potenzialità della nuova console. Il successo o il fallimento di una piattaforma spesso non risiede nelle sue capacità intrinseche, ma nel supporto fornito e nella qualità dei giochi. Considerata la lunga storia e la qualità dei giochi Nintendo, è molto probabile che l’azienda offrirà un supporto adeguato anche a Switch 2. Non è un prodotto perfetto, ma per i fan dei videogiochi è una piattaforma molto interessante (e portatile)!

Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

Legnano» di Verdi

21. Canale d ’Egitto

23. Viene in camera dopo me

25. La matrigna di Elle

26. Anche il Morto è agitato

27. Né sì, né no

28. Linee perimetrali

29. Nutrice

VERTICALI

1. Sigla di un’imposta

2. Equivoco, sospetto

3. Una delle «Piccole donne»

4. Mora rovesciata

5. Particella negativa

6. Possessivo

7. È tutto per lo spagnolo

9. Si denunciano all’anagrafe

10. Che cosa? Latino

12. Lo scrittore Fleming

13. Indovinello

16. Parte dell’intes tino tenue

18. Un calciatore impulsivo

20. Pronti per la semina

22. Un pronome che va con gli altri

24. Può essere pungente

26. Cantava «Furia cavallo del West»

28. Le iniziali dell’at tore Arena

Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.

Sudoku

Hit della settimana

8. 7 – 14. 7. 2025

Fino a esaurimento dello stock. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti.

Settimana Migros Approfittane e gusta

Ravioli Anna's Best refrigerati ricotta e spinaci o mozzarella e pomodoro, per es. ricotta e spinaci, 3 x 250 g, 9.50 invece di 14.25, (100 g = 1.27)

La stagione dei colori

3.90

NOSTRANI DEL TICINO

Migros Ticino offre un assortimento di oltre 500 prodotti della regione. La scelta comprende articoli di tutte le categorie, dalla verdura alla carne, dai formaggi alle bibite fino alle specialità più ricercate. Tutti i prodotti provengono da fornitori locali che li lavorano in modo responsabile e sostenibile.

invece di 5.60
Pomodori cuore di bue Ticino, al kg
Melanzane Migros Bio Ticino, al kg
Mele Pink Lady Svizzera, al kg

5.95

di 14.30

affumicato Migros Bio d'allevamento, Norvegia, 180 g, in self-service, (100 g = 5.53)

Filetti di salmone selvatico M-Classic, MSC pesca, Pacifico nordorientale, 2 pezzi, 2 x 150 g, in self-service, (100 g = 3.32)

Bocconi prelibati a ottimi

prezzi

5.95

Salame Felino Beretta Italia, per 100 g, in self-service 22%

invece di 7.70

7.50

invece di 12.50

Sapore intenso e aromatico di pomodoro

–.50

Pomodori Extra Sweet Cherry ??, per 100 g 96%

invece di 16.50

Pronto e servito in un battibaleno

LO SAPEVI?

Innocent è una cosiddetta B Corp (Benefit Corporation). Queste aziende si impegnano a rispettare standard elevati in materia di responsabilità sociale ed ecologica e di trasparenza. Devono ricertificarsi regolarmente. Ciò rende le B Corp una sorta di sigillo di approvazione per le aziende particolarmente responsabili.

Formaggi

Formaggi deliziosi e molto altro ancora

2.35 invece di 2.95 Le Gruyère piccante Migros Bio, AOP circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 20%

Tutti i formaggi per insalata e i tipi di feta per es. formaggio per insalata M-Classic, 200 g, 1.40 invece di 2.–, (100 g = 0.56) 30%

1.10

invece di 1.40

1.70 invece di 2.05 Asiago pressato, DOP per 100 g, prodotto confezionato 17%

Sole del Ticino per 100 g, prodotto confezionato 15% Ideale per i cheeseburger

6.95 invece di 8.85 Formaggio fuso a fette Gruyère o Emmentaler, in confezioni speciali, 30 fette, 600 g, (100 g = 1.16) 21%

Tilsiter dolce (Emmi Fromagerie escluso), circa 300 g, per 100 g, prodotto confezionato 21% Tutte le mozzarelle Alfredo

2.40 invece di 2.85

per es. tonda, 150 g, 1.20 invece di 1.50, (100 g = 0.80) a partire da 2 pezzi 20%

Classico

Grana Padano Da Emilio disponibili in diverse varietà, per es. formaggio grattugiato, 120 g, 2.47 invece di 2.90, (100 g = 2.06) 15%

2.20

conf. da 2

4.–

Pane Toast & Sandwich M-Classic, IP-SUISSE

2 x 620 g, (100 g = 0.32)

conf. da 3 20%

Tutti i tipi di Caffè Latte Emmi macchiato, cappuccino o double zero, per es. macchiato, 3 x 230 ml, 5.15 invece di 6.45, (100 ml = 0.75)

invece di 2.60 Formaggini freschi, aha! per 100 g 15% Solo tre ingredienti

a partire da 2 pezzi 20%

Benecol Emmi fragola, mirtillo e lampone, per es. fragola, 6 x 65 ml, 4.60 invece di 5.75, (100 ml = 1.18)

conf. da 4 15%

3.70 invece di 4.40

Yogurt Pur Emmi disponibili in diverse varietà, 4 x 150 g, (100 g = 0.62)

a partire da 2 pezzi 20%

Madeleine Petit Bonheur con burro svizzero o gocce di cioccolato, per es. con burro svizzero, 220 g, 2.24 invece di 2.80, prodotto confezionato, (100 g = 1.02)

5.–

Tranci al limone

5 pezzi, 250 g, prodotto confezionato, (100 g = 2.00)

Migros Ticino

Un viaggio dall’Italia al Messico

a partire da 2 pezzi 20%

Tutto l'assortimento di olio d'oliva Monini per es. classico, 1 litro, 12.80 invece di 16.–

Ricchi di proteine e fibre alimentari

Couscous, lenticchie, ceci o quinoa, Migros Bio per es. couscous, 500 g, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 0.56) 20%

conf. da 3 30%

5.25 invece di 7.50

Passata di pomodoro Longobardi 3 x 700 g, (100 g = 0.25)

conf. da 2 20%

Pizze Buitoni

surgelate, Caprese, Prosciutto e funghi o Diavola, 2 x 350 g, per es. Caprese, 8.80 invece di 11.–, (100 g = 1.26)

a partire da 2 pezzi 20%

Tutti i tipi di farina Migros Bio da 1 kg (prodotti Alnatura, Demeter e Regina esclusi), per es. farina per treccia, 3.04 invece di 3.80, (100 g = 0.30)

Vasto assortimento dimessicaniprodotti

Tutto l'assortimento Fiesta del Sol per es. tortillas integrali, 8 pezzi, 320 g, 3.36 invece di 4.20, (100 g = 1.05) 20%

a partire da 2 pezzi 20%

Tutti i tipi di caffè La Semeuse per es. Mocca macinato, 500 g, 11.16 invece di 13.95, (100 g = 2.23)

a partire da 2 pezzi 20%

Tutto l'assortimento di cereali Nestlé per es. Cini Minis, 500 g, 3.96 invece di 4.95, (100 g = 0.79)

Oltre 1000 prodotti di uso quotidiano a prezzo basso

4.70 Capsule di caffè Lungo M-Classic 20 capsule, (100 g = 4.52) Prezzo basso

1.15

g Prezzo basso

Gallette di riso integrale con cioccolato al latte M-Classic

a partire da 2 pezzi 25%

Tutte le birre analcoliche per es. Lager Non, 330 ml, –.90 invece di 1.20, (100 ml = 0.27)

conf. da 6 40%

Orangina

Original, Zero o Rouge, 6 x 1,5 litri, 6 x 500 ml e 6 x 250 ml, per es. Original, 6 x 1,5 litri, 8.28 invece di 13.80, (100 ml = 0.09)

conf. da 6

33%

Schweppes

disponibile in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. Bitter lemon, 6 x 500 ml, 12.66 invece di 18.90, (100 ml = 0.21)

conf. da 6

30%

Tutto l'assortimento Valais in confezioni multiple e in bottiglie singole, (bottiglie di vetro escluse), per es. acqua minerale naturale, 6 x 1,5 litri, 4.48 invece di 6.40, (100 ml = 0.05)

E per la voglia di dolce?

Tutto l'assortimento MegaStar prodotti surgelati (art. spacchettati esclusi), per es. almond, 6 x 120 ml, 5.82 invece di 9.70, (100 ml = 0.81)

Tutti i gelati Ben & Jerry's prodotto surgelato, per es. Cookie Dough, Fairtrade, 465 ml, 7.96 invece di 9.95, (100 ml = 1.71)

29.95 invece di 52.40 Tavolette di cioccolato Frey assortite, in conf. speciale, 20 x 100 g, (100 g = 0.50) 42%

classici svizzeri in uno: i Petit Beurre all'Ovomaltine

4.35 Petit Beurre Ovomaltine cioccolato al latte 145 g, (100 g = 3.00)

a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi

8.–invece di 10.–

8.50 Raffaello in conf. speciale, 400 g, (100 g = 2.13)

4.80 Nutella Biscuits 304 g, (100 g = 1.58)

Una tira l’altra

7.10 invece di 8.90

Snackbag Zweifel

Snacketti Dancer Cream e Snacketti Paprika Shells nonché Chips Nature e Chips Paprika, in conf. speciale, 330 g, (100 g = 2.15)

4.20 invece di 5.30 Pom-Bär Original o alla paprica, in conf. speciale, 200 g, (100 g = 2.10)

L’ideale per il corpo

Lame di ricambio Gillette Venus in confezioni speciali, per es. Venus Spa Breeze, 8 pezzi, 26.95 invece di 33.90, (1 pz. = 3.37) 20%

Rasoio da donna Bic in confezioni multiple o speciali, per es. rasoio usa e getta Soleil Colour, 8 pezzi, 6.90 invece di 9.20, (1 pz. = 0.86) 25%

6.20

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Tutto l'assortimento Secure e Tena (confezioni multiple e sacchetti igienici esclusi), per es. Ultra Normal FSC®, 20 pezzi, 4.65 invece di 6.20

5.80 Rasoio usa e getta Gillette Simply Venus in conf. speciale, 8 pezzi, (1 pz. = 0.73)

Salvaslip Molfina, FSC® per es. Bodyform Air, 2 x 46 pezzi, 2.95 invece di 3.50 conf. da 2 15%

Assorbenti Ultra Molfina, FSC® per es. Normal, 3 x 16 pezzi, (10 pz. = 0.83) conf. da 3 21%

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12.50 Colorazioni per capelli L'Oréal Paris Préférence disponibili in diversi colori, per es. 6.21 castano perla, il pezzo

Per capelli lisci e lucenti

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Colorazioni per capelli biondi Garnier Nutrisse

UL1 marrone naturale, UL2 caramello o UL3 marrone miele, il pezzo

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Fructis Keratin Sleek shampoo, balsamo, maschera e siero, per es. shampoo Fructis Keratin Sleek, 200 ml, 6.95, (100 ml = 3.48)

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Lozione corpo Deep Moisture Neutrogena ad assorbimento rapido o per pelli sensibili, 400 ml, (100 ml = 2.13)

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Crema da giorno Q10 IP 50 o acqua micellare per pelli normali, Nivea per es. crema da giorno Q10 IP 50, 40 ml, 24.95, (100 ml = 62.38)

Lavera Pure Beauty detergente, liquid refiner, spot treatment e crema giorno, per es. detergente 3 in 1 Pure Beauty, vegano, 125 ml, 7.95, (100 ml = 6.36)

Un po’ di tutto dall’assortimento

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Non si riempiono di acqua

Salviettine umide per bebè Milette, FSC® per es. Sensitive con Aloe Vera, 4 x 72 pezzi, 9.75 invece di 13.–

Tutto l'assortimento di posate Kitchen & Co. per es. coltello Forte, il pezzo, 5.25 invece di 7.50 30%

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Tutti i pannolini Pampers (confezioni multiple escluse), per es. Premium Protection, tg. 1, 24 pezzi, 6.53 invece di 9.75, (1 pz. = 0.27)

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Tutte le scarpe per adulti (articoli Hit esclusi), per es. pantofole comfort unisex London Essentials, n. 36–45, il paio, 24.47 invece di 34.95 30%

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Carta per uso domestico Twist

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Detergente Durgol per es. decalcificazione rapida, 2 x 1 litro, 9.70 invece di 13.90, (100 ml = 0.49)

Deluxe, Classic o Recycling, in conf. speciali, per es. Deluxe FSC®, 12 rotoli, 13.40 invece di 19.20 30% Detergente Durgol per es. per il bagno, 2 x 600 ml, 9.90 invece di 13.–, (100 ml = 0.83)

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Detersivo per bucato in polvere o Discs, Persil in confezioni speciali, per es. Discs Color, 60 pezzi, 24.95 invece di 48.56 48%

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Ammorbidenti Exelia in conf. di ricarica, per es. Summer Feelings, 2 x 1,5 litri

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