Uno studio pilota sonda il ruolo dell’empatia nella vita dei malati di Parkinson e dei loro famigliari
L’analisi della geopolitica del cattolicesimo dopo la morte di papa Francesco
ATTUALITÀ Pagina 11
Al PAC di Milano l’esplorazione dell’universo femminile grazie allo sguardo di Shirin Neshat
CULTURA Pagina 19
Nell’antico cimitero di Viggiù
Un lavoretto dove il colore prende vita e ogni goccia diventa occasione di gioco e curiosa scoperta
TEMPO LIBERO Pagina 33
Il buon giornalismo e il «copincollismo»
Carlo Silini
«I buoni giornalisti hanno le suole delle scarpe consumate». Lo spiegavano nelle redazioni dei giornali, caotiche di fumo e scrivanie incasinate, i vecchi caporedattori che pigiavano i tasti di una Olivetti per consegnare a sera fatta articoli di 3500 battute, non una di più non una di meno, ma c’era dentro tutto.
A sera fatta, perché finché c’era luce sparivano altrove: al Palazzo di Giustizia, in un ospedale, nel villaggio di valle, allo stadio o al bar a raccattare gli ultimi fatterelli del giorno, ma soprattutto – appunto – a consumare le suole delle scarpe. Perché le notizie – decretavano – non bussano alla porta, non vengono a trovarti in redazione, tocca a te andartele a cercare. Strano, oggi alcuni giornalisti sono convinti del contrario: meglio starsene contemplativi davanti al computer e aspettare fiduciosi l’apparizione sullo schermo dell’e-mail col comunicato stampa dell’ente tal dei tali. O – alla peggio – com-
pulsare il sito di news o il post intravisto sul social da cui «prendere a prestito» qualche spunto da riscrivere e riproporre. Il «copincollismo» –copiare e incollare testi presi dalla rete – a volte sostituisce l’usura delle suole. Leggi certi paginoni di «approfondimenti» e capisci che chi li ha scritti non si è mosso di un metro. Poi, magari, salta fuori che la citazione rubata era la citazione di un’altra citazione e chissà se qualcuno si è preso la briga, tra un «copia e incolla» e l’altro, di verificarne la fondatezza.
Del resto, è un tipo di informazione che costa poco e ci sono media che vi fanno ricorso dopo la bocciatura popolare dei sussidi alla stampa nel 2022 e per far fronte ai cali generalizzati di pubblicità e di personale. È anche per questo che il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati hanno da poco approvato l'espansione temporanea del finanziamento indiretto della stampa. Ma c’è già chi si mobilita
per indire un referendum che blocchi i sussidi. Mica strano, con questo andazzo, che si sia passati dalla società dell’informazione a quella delle fake news, mettendo a rischio la stampa di qualità. Perché già oggi chiunque può delegare il «copincollismo» informativo a una qualsiasi app di Intelligenza artificiale, con risultati simili a quelli che otterrebbe un umano che scopiazza le notizie dove capita. Tuttavia, e per fortuna, il buon giornalismo esiste e resiste, come dimostra l’attribuzione dello Swiss Press Award a Berna ai migliori colleghi e servizi prodotti nell’arco dei dodici mesi passati. L’ultima edizione ha portato lustro al Ticino premiando, come giornalista dell’anno, Francesca Torrani della RSI, che la suola delle scarpe l’ha consumata davvero, inerpicandosi tra le vie distrutte della Vallemaggia subito dopo l’alluvione che l’aveva devastata la notte tra il 29 e il 30 giugno del 2024, per realizzare il servizio
«Diario di una Valle». La qualità della stragrande maggioranza dei lavori che hanno preso parte al concorso era elevata. C’è chi ha condotto inchieste di denuncia che hanno costretto alle dimissioni importanti vip locali, chi ha raccontato lampi di inattesa gioia carnale nel dolore della guerra ucraina, chi ha spiegato il crollo del Credit Suisse come un thriller a puntate e chi ha svelato casi di scarsissima trasparenza nella raccolta di firme per le iniziative popolari, un pilastro della democrazia elvetica. Pagine, articoli online, servizi audio o video, fotoreportage che aumentano la consapevolezza dei tempi in cui viviamo e ci aiutano a prendere decisioni basate sulla realtà dei fatti e non su frottole o manipolazioni propagandistiche. Un universo informativo costruito sulla fatica, l’intelligenza e la professionalità di chi non si lascia tentare dalle sirene del «copincollismo» o di altre diffuse malattie mediatiche.
Simona Sala Pagine 30-31
M-100: il camion Migros sta attraversando la Svizzera
Novità mondo Migros ◆ Per celebrare l’anniversario dei 100 anni, lo storico mezzo Migros dirà grazie in 100 località diverse, offrendo i prodotti Migros più acquistati e apprezzati dalla clientela locale
Quando arriva da noi il camion Migros?
Il Tour di ringraziamento farà ben dieci tappe in Ticino, nei pressi dei Supermercati Migros di:
Faido: 4.6.2025 ore 16.00-19-00
Torta di noci in omaggio
Arbedo-Castione: 5.6.2025 ore 10:00-13:00
Gazosa in omaggio
Giubiasco: 5.6.2025 ore 16:00-19:00
Gelato Cremdor espresso in omaggio
Tenero: 6.6.2025 ore 10.00-13.00
Gelato cappuccino in omaggio
Il Tour di ringraziamento a spasso per la Svizzera è iniziato lo scorso 6 marzo.
In ogni località viene ricreata un’atmosfera festosa da piazza di paese, con panchine, caffè e torte. È previsto anche un piccolo programma di intrattenimento.
Ma perché il Tour de Suisse in camion vendita?
Il camion vendita rappresenta le origini di Migros: 100 anni fa, Migros andava dalla gente e le fermate del camion si trasformavano in luogo di ritrovo nei diversi villaggi. Si è dunque voluto riprendere questo concetto e svilupparlo ulteriormente: è così che è nata l’idea del tour in combinazione con la campagna legata ai prodotti Migros più apprezzati nei singoli Comuni. In
questo modo, i prodotti più amati nelle rispettive località creano un ponte tra la Migros e la gente, dando anche vita a tante piccole storie emotive, che alimentano il legame alla marca Migros.
Informazioni
Merci-Bus.ch
Losone: 6.6.2024 ore 16.00-19.00
Blévita in omaggio
Maggia: 7.6.2025 ore 9.30-18.00
Sbrinz in omaggio
Mendrisio Campagna
Adorna: 12.6.2025 ore 16.00-19.00
Madeleine in omaggio
Pregassona: 13.6.2025 ore 10.00-13.00
Pistacchi in omaggio
Tesserete: 13.6.2025 ore 16.00-19.00
Petit Beurre in omaggio
Caslano: 14.6.2025 ore 9.30-18.00
Berliner in omaggio
1, 2, 3… scatta il Medioevo con Castles & GO
Sponsoring ◆ Tutto pronto per la quarta edizione: il 24 e 25 maggio appuntamento a Bellinzona
È ai blocchi di partenza la quarta edizione, sabato 24 e domenica 25 maggio 2025, di Bellinzona Castles & GO, con la sua la Corsa podistica e la sua Camminata Walking, occasioni che permettono di scoprire le bellezze naturali, paesaggistiche e architettoniche della capitale del Cantone Ticino, nonché il suo patrimonio storico e culturale. Due spettacolari percorsi di 11 Km di lunghezza che passano
Concorso
«Azione» mette in palio 5 iscrizioni per domenica 25 maggio 2025. Per partecipare al concorso inviate una mail a giochi@azione.ch, oggetto «Castles 2025» con i vostri dati (nome, cognome, indirizzo, no. di telefono), indicando se volete partecipare alla Corsa podistica o alla Camminata Walking, entro domenica 11 maggio alle 24.00. Buona fortuna!
attraverso tutti i 3 castelli della Fortezza UNESCO di Bellinzona, i rioni di Artore e Daro, boschi e colline, i pregiati quartieri S. Giovanni e Vela e lo splendido centro storico. Durante lo svolgimento della corsa e della camminata (che avranno luogo domenica) i partecipanti all’evento potranno ammirare la rievocazione medievale de’ La Spada nella Rocca, essere informati tramite speciale segnaletica riguardo a fatti storici inerenti alla Città della Turrita, godere della musica proposta da dieci gruppi locali rappresentanti dei più diversi generi (classica, corale, rock, folk, blues…) e strettamente legati ai punti esatti dei percorsi in cui si ritroveranno a suonare e, non da ultimo, approfittare dei simpatici aperitivi musicali offerti nei nuclei di Daro e Artore. A seguire, nel villaggio «Castles & GO» in Piazza del Sole sarà proposto un conviviale gnocchi-party aperto a tutti e a prezzi popolari (gratuito per gli iscritti). L’evento (peraltro inserito per la seconda volta consecutiva nel
Calendario della Coppa ASTi Podismo) si svilupperà sempre sull’arco di due giorni. Si comincerà infatti già sabato 24 maggio 2025, quando in Piazza del Sole saranno presentate, nel contesto della rassegna denominata «Move &
GO», le esibizioni di diverse società sportive e culturali della Regione, seguite da una risottata offerta, una gara benefica dedicata ai bambini (il cui ricavato sarà devoluto a favore della ristrutturazione della Culla S. Marco di Ravecchia), un aperitivo in musica
con Sanook Showgirls Band e, in serata, griglia-party. Ecco perché – insieme a molto altro ancora e con lo scopo di fare vivere ai suoi partecipanti, ma anche alla popolazione intera, un’autentica esperienza bellinzonese a 360° – Bellinzona Castles & GO rappresenta un modo davvero innovativo di valorizzare il territorio e di concepire il turismo culturale. E questo è anche il motivo per cui Migros Ticino sostiene questa originale corsa… indietro nel tempo (ma che sa guardare anche in avanti, anzi, molto in avanti: al traguardo di Piazza del Sole e oltre)!
Informazioni e iscrizioni www.castlesandgo.com
Un’immagine di una scorsa edizione.
SOCIETÀ
Prevedere il futuro
È stato ed è il sogno di molti eppure nessun modello predittivo si è mai rivelato affidabile
Diagnosticare l’obesità
L’importanza di riconoscere la forma patologica: i nuovi criteri proposti dalla commissione Lancet
Pagina 7
Storie di partenze e arrivi
Un progetto del Museo di Val Verzasca coinvolge residenti e richiedenti l’asilo
L’emotività nella malattia di Parkinson
Sfruttare l’energia del lago
In alcune città, tra cui Lugano, l’acqua lacustre è usata per raffreddare ma anche per riscaldare
Pagina 9
Salute ◆ Uno studio pilota sonda il ruolo di empatia e compassione in relazione alla qualità della vita di pazienti e famigliari
«La malattia di Parkinson è nota soprattutto perché provoca disturbi del movimento come tremori, rigidità e andatura maldestra, ma bisogna ricordare che essa comporta anche alterazioni a carico del sistema nervoso vegetativo e modifiche della capacità di elaborare le emozioni». Così esordiscono la neuroscienziata e ricercatrice USI Rosalba Morese e il direttore del centro di ricerca in Medical Humanities della Fondazione Sasso Corbaro Michele Corengia, a sottolineare l’impatto della malattia sulla dimensione emotiva relazionale di chi ne soffre: «Sono aspetti ancora poco noti che però sappiamo avere un impatto relazionale nella persona ammalata così come pure nei familiari e care giver». Su questo presupposto poggia un nuovo progetto di ricerca supportato dalla Fondazione per lo studio delle malattie neurodegenerative delle persone adulte e dell’anziano, che unisce USI, Fondazione Sasso Corbaro (centro di ricerca in Medical humanities) e Neurocentro della Svizzera italiana, nell’obiettivo di esplorare il ruolo e l’impatto dell’empatia e della compassione sulla qualità della vita dei pazienti affetti da Parkinson, dei loro famigliari e care giver. Tema a cui oggi tanti specialisti e ricercatori sono particolarmente attenti, come dimostra ad esempio l’intervento del professore di Neurologia dell’Università di Catania Mario Zàppia alla recente Convention Parkinson Corpo e anima organizzata a Torino dalla Fondazione Limpe: «La persona con malattia di Parkinson può reagire in modo abnorme agli accadimenti di vita in grado di suscitare emozioni e spesso la risultante di emozioni elaborate impropriamente è l’ansia che si può manifestare sotto forma di inquietudine o attraverso sintomi fisici come irrequietezza motoria. Altre volte, il risultato è invece un abbassamento del tono dell’umore con apatia, incapacità di provare piacere e incapacità di riconoscere le proprie emozioni (alessitimia)».
In questo contesto si situa la premessa di Rosalba Morese nell’introdurre il senso della ricerca: «La letteratura scientifica evidenzia che i pazienti affetti da Parkinson hanno punteggi bassi sui questionari che riportano il livello di empatia. Questo studio esplorativo, fra l’altro suggerito dal direttore del Neurocentro della Svizzera italiana professor Alain Kaelin, darà indicazioni su come allenare pazienti (e loro parenti-care giver) all’empatia e alla compassione, in modo da migliorare la loro qualità della vita attraverso il riconoscimento delle emozioni, nella loro identificazione e nella capacità di distinguerle anche rispetto a un’altra persona. Questo implica aderenza e collaborazione del paziente allo studio stesso,
cosa certamente non facile ma favorita dall’impegno del Neurocentro della Svizzera italiana e i suoi pazienti». Il primo costrutto da comprendere è dunque l’empatia il cui significato è così riassunto dalla nostra interlocutrice: «È un processo che attiviamo quando comprendiamo e sentiamo pensieri ed emozioni rispetto a sé e alle altre persone». Parliamo di una capacità umana che, come ogni competenza, va meticolosamente esercitata.
La malattia di Parkinson comporta alterazioni a carico del sistema nervoso vegetativo e modifiche della capacità di elaborare le emozioni
Lo stesso concetto è evidenziato pure dal professor Alberto Costa nella sua tesi di laurea in Psicologia Clinica e della Riabilitazione (Malattia di Parkinson: viaggio tra soma e psiche verso una qualità di vita): «Si tratta di un costante lavoro su se stessi, strumento che permette una comprensione migliore dell’altro e, quindi, un riassorbimen-
to naturale di ogni conflitto, di ogni negatività relazionale, e che amplifica quasi sonoramente ogni gioia e ogni positività». Empatia che nel paziente affetto da Parkinson è più bassa, e per questo Morese ribadisce l’importanza dello studio: «La ricerca vuole sondare la possibilità di trovare tecniche per allenare l’empatia al fine di migliorare la qualità di vita di queste persone». Ma l’empatia va di pari passo con la compassione, al punto che si tratta di «due costrutti uniti», spiega dal canto suo Michele Corengia: «L’empatia nella sofferenza ha due componenti: quella cognitiva (riconoscere la sofferenza) e quella emotiva (connettersi con la propria sofferenza e con quella dell’altro) per “sentirla”, oltre che capirla. L’empatia relativa alla sofferenza corrisponde alle prime due fasi della compassione, la cui etimologia deriva dal latino cum (insieme) e patior (soffrire). La parola assume quindi un significato più ampio e nobile di “partecipazione alla sofferenza dell’altro”, non si limita, cioè, al normale uso nella lingua italiana con l’accezione di “avere pietà, provare commiserazione per l’altro”, ma va ben oltre».
Nell’esplicitare la correlazione fra empatia e compassione per rapporto al Parkinson, pure Corengia evidenzia l’importanza di questa ricerca per l’impatto sulla qualità di vita di queste persone: «Come anticipato, empatia e compassione sono due concetti associati: non solo “capire”, ma anche “sentire”. Gli studi di neuroscienze sociali hanno dimostrato che la compassione è un processo allenabile, suddiviso e composto da quattro fasi: l’empatia costituisce le prime due, seguite da una fase motivazionale in cui si stimola la volontà di azione (sento che voglio fare qualcosa per alleviare la sofferenza dell’altro o di me stesso), e infine da una fase comportamentale in cui si agisce per alleviare la sofferenza di sé o dell’altra persona». Lo scopo della ricerca rimane sempre quello di capire come migliorare la qualità di vita, dunque anche l’aspetto relazionale, di pazienti e famigliari, e Morese e Corengia ne spiegano i termini: «Sull’arco di sei settimane, si misureranno i livelli di empatia e compassione allenandoli settimanalmente con varie tecniche che pazienti e familiari potranno svolgere a casa
in totale autonomia e libertà, seguendo delle schede già pronte. Si agirà su empatia e compassione, sul riconoscere la sofferenza e riconnettersi con essa, e al termine si misurerà come l’impatto di questi allenamenti cambierà la qualità della vita».
Infine, dal canto suo anche il professor Alain Kaelin sottolinea l’importanza di una tale ricerca peraltro da lui promossa: «Tante malattie neurologiche hanno un impatto pure negativo sulle nostre interazioni con gli altri e questo è particolarmente vero per le malattie croniche come la malattia di Parkinson. Come neurologi, ci occupiamo soprattutto dei sintomi del paziente e, di conseguenza, l’influenza della malattia sulle emozioni, le interazioni sociali, la comunicazione viene spesso un po’ dimenticata. Tuttavia, la qualità di vita dipende molto dalle nostre competenze sociali e in particolare dall’empatia con le persone che ci stanno a cuore. Con questo progetto, che è il primo di questo tipo ma certamente non l’ultimo, vogliamo sviluppare e migliorare questo importante aspetto della presa a carico dei nostri pazienti».
Pagina 8
Pagina 6
Maria Grazia Buletti
Il richiamo della griglia
S ud Sudan, quei villaggi itineranti
Attualità ◆ Per dare il via alla stagione delle grigliate non c’è niente di meglio che una succosa costata alla fiorentina Tanto più che questa settimana è in offerta speciale alla tua Migros
Reportage ◆ Suggestioni raccolte in un cattle camp, letteralmente un accampamento di bestiame, un centro pieno di vita, con i suoi (dis)equilibri
Luigi Baldelli, testo e fotografie
Conosciuta anche come T-Bone Steak nei Paesi anglosassoni, la costata alla fiorentina si ottiene dalla parte posteriore della lombata del manzo. L’osso a forma di T separa il filetto dal controfiletto. Dalla lombata derivano altri pregiati tagli, apprezzati per la loro tenerezza, come l’entrecôte e il filetto, ideali anche per roastbeef. Lo spessore ideale della costata dovrebbe essere di ca. tre centimetri.
La costata di manzo IP-SUISSE viene selezionata con cura dagli specialisti Migros utilizzando carne di elevata qualità. La maturazione all’osso, o frollatura, dura almeno tre settimane, in modo da acquisire un sapore e una tenerezza unici.
Semplice è meglio. Questa massima vale anche per la preparazione della costata alla fiorentina. Per ottenere una bistecca tenera e succosa al punto giusto, rosolare o grigliare brevemente la carne a fuoco vivo da entrambi i lati e terminare la cottura in forno (ca. 100°C) fino a raggiungere il grado di cottura desiderato, all’occorrenza avvolta in un foglio di alluminio per preservarne i succhi. La temperatura al cuore ideale è al sangue, che corrisponde a 50-55 °C. La carne può essere condita sia prima che dopo la cottura, anche solo con un pizzico di sale e pepe, in modo da esaltarne il gusto autentico. Nel girare la carne utilizzare una pinza, mai una forchetta, onde evitare di bucare la costata.
Fiorentina
La carne di manzo contrassegnata con il marchio IP-SUISSE proviene da bovini nati e allevati in Svizzera nel rispetto della specie. Gli animali vivono in stalle spaziose, dove possono muoversi liberamente e hanno la possibilità di uscire regolarmente all’aperto. L’alimentazione è costituita principalmente da foraggi grezzi, come erba e fieno. Queste condizioni contribuiscono alla qualità della carne, che spicca per il suo gusto e la sua tenerezza.
Gelati prodotti in Ticino
Attualità ◆ Rendi la tua estate più golosa con i gelati Giazz a base di frutta
Da due anni in Sudan infuria la guerra, la quale vede contrapporsi le Forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e le milizie paramilitari di Mohamed Hamdan Dagalo (Forze di supporto rapido o Rsf). Il conflitto ha provocato innumerevoli vittime e almeno 13 milioni di profughi: si stimano 10 milioni di sfollati interni e tre milioni di rifugiati nei Paesi vicini. Oltre la metà della popolazione è a rischio fame in quella che oggi è una delle più gravi crisi umanitarie al mondo. Noi, però, andiamo un po’ più a Sud, in Sud Sudan appunto, uno Stato indipendente dal 2011, per raccontarvi uno spaccato di vita di una piccola co munità. Lontano, ma neanche trop po, da quegli orrori.
In tutto il Sud Sudan le mucche hanno un ruolo di primo piano e il possesso di un gran numero di animali è motivo di vanto
Finalmente inizia a fare più caldo e la voglia di gelato cresce sempre di più. Da subito lasciati conquistare dal vasto assortimento di gelati dei supermercati Migros, che spicca per le sue golosità adatte ad ogni gusto ed esigenza, da quelle più innovative a quelle tradizionali, senza dimenticare le proposte senza lattosio, glutine e vegane. Tra le novità stagionali, consigliamo di provare la frutta ghiacciata su stecco Giazz, prodotta artigianalmente in Ticino dalla piccola Gelateria Mar-
Nelle grandi pianure ai lati del Ni lo Bianco, nello Stato dei Laghi in Sud Sudan, nell’aria tersa del caldo torrido, si vedono macchie bianche che si spostano lentamente. Sono le grandi mandrie di vacche che pascolano. I pastori Dinka, una delle etnie principali del Paese, le accompagnano camminando al loro fianco o le sorvegliano riparandosi all’ombra di un albero. Nella loro cultura, ma in generale in tutto il Sud Sudan, le vacche hanno un ruolo di primo piano e il possesso di un gran numero di animali rappresenta un vero e proprio status symbol
al tramonto, questi immensi gruppi di bestiame invadono gli spazi verdi o si radunano intorno a grandi pozze di acqua. I pastori le guardano con soddisfazione sapendo che quei bovini sono la loro ricchezza, il rifugio su cui contare in caso di necessità, la forza della loro famiglia e il rispetto della tribù. Quando il sole inizia a scendere, la temperatura inizia a farsi un po’ più accettabile e i raggi tendono dal giallo all’arancione, i pastori e le vacche riprendono la strada del ritorno, verso quello che non è una semplice stalla o recinto, ma un vero e proprio paese viaggiante. Il cattle camp, ovvero il campo del bestiame. Detto così, può sembrare solo un punto dove i pastori si ritrovano con le vacche dopo il pascolo. Invece no, il cattle camp è un vero e proprio villaggio itinerante, che segue le transumanze delle mandrie da un pascolo all’altro, da una regione all’altra. ritrovi tutti i pregi e i difetti della nostra società. Ritrovi la storia e la cultura, le relazioni sociali, i ruoli e le gerarchie. Insomma un piccolo mondo che rappresenta molto bene il Sud Sudan». Esordisce così John, un giovane alto e nerboruto, anche lui figlio di pastori Dinka, nato e cresciuto in un campo di bestiame. Ha fatto il pastore da piccolo ma ha avuto anche la possibilità di studiare. E oggi è un commerciate di Mingkaman, cittadina dalle strade polverose, tre ore a nord della capitale Juba e fino a qualche anno fa un centro di raccolta per rifugiati interni che fuggivano dalla guerra civile. Il Sud Sudan è «il Paese più giovane» dell’Africa. Nato nel luglio del 2011 dopo una
razione dal Sudan, ha conosciuto un breve periodo di pace. Solo due anni dopo, nel 2013, scoppia una guerra
Frutta ghiacciata su stecco Giazz
4 pezzi 360 g Fr. 11.90
In vendita
gherita di Lavertezzo Piano. Questo prodotto naturale, disponibile in una confezione assortita negli aromi arancia, mojito, uva della Verzasca e lampone, è realizzato con oltre il 30% di frutta fresca, selezionata seguendo la stagionalità, per un gusto autentico e genuino. Il sorbetto inoltre non contiene coloranti, né aromi artificiali, né conservanti. Essendo privo di lattosio e glutine, può essere gustato senza problemi anche dalle persone particolarmente sensibili a queste sostanze.
te con affetto. E la convivenza non è mai stata facile», continua dirmi John alla ricerca disperata di un po’ di fre-
Gli uomini delle varie famiglie si radunano in gruppi e parlano delle mucche, di affari e in quali pascoli andare il giorno dopo. Mentre le donne sono I giovani pastori si prendono cura del bestiame, legano i bovini ai palitinuo fino all’arrivo del buio. E se c’ètri invece montano di guardia, armati di kalashnikov nei punti strategici del campo. «La paura del furto è sempreme a tutti i costi. Rubare vacche è una
nelle maggiori filiali Migros
Apertura domenicale a Migros Mendrisio Borgo
Attualità ◆ Per la tua spesa di qualità tutti i giorni della settimana, sono sempre di più le filiali Migros aperte anche di domenica
Sono ormai oltre dieci i supermercati Migros che permettono alla gentile clientela di fare la propria spesa comodamente anche la domenica. L’ultima filiale che dall’11.5.2025 resterà aperta l’ultimo giorno della settimana, è quella di Mendrisio Borgo (nella foto), situata in Piazzale alla Valle. Questo punto vendita cittadino inaugurato nel 1997, oggi gestito da Paolo Calatti, è stato oggetto di un rinnovo radicale nel 2018 per rispondere alle più attuali esigenze di sostenibilità ambientale e garantire una migliore esperienza d’acquisto alla popolazione del borgo e dei dintorni. Grazie a un assortimento ben strutturato di prodotti alimentari e non alimentari, fare una spesa quotidiana completa e di qualità è semplice e conveniente, il tutto in un ambiente accogliente e moderno. Il gerente e i suoi motivati collaboratori sono pronti ad accogliere i clienti anche di domenica, per rispondere alle esigenze di ognuno con cortesia e professionalità.
Le seguenti filiali sono aperte anche la domenica, dalle ore 8.00 alle 19.00
• Ascona
• Bellinzona Nord
• Caslano
• Losone
• Maggia
• Melano
• Mendrisio Borgo
• Molino Nuovo
• Paradiso
• Tenero
• VOI Roncaccio
• VOI Viganello
Praline in offerta per la Festa della Mamma
Annuncio pubblicitario
Flavia Leuenberger
di asparagi vegana Crema
Pelare gli asparagi ed eliminare la parte finale del gambo. Tagliare gli asparagi a pezzettini. Mettere da parte le punte. Lavare le pelli degli asparagi e bollirle in una pentola con 1 l di acqua, 1 cucchiaio di succo di limone e lo zucchero. Coprire e lasciar bollire per circa 15 minuti. Passare il tutto in un colino e raccogliere l’acqua di cottura degli asparagi. Sbucciare le patate e tagliarle a dadini.
Versare nuovamente l’acqua di cottura degli asparagi nella pentola. Aggiungere i pezzettini di asparagi (tranne le punte), le patate e il brodo vegetale Knorr. Portare a ebollizione, coprire e continuare la cottura a fiamma media per circa 15 minuti. Frullare con un frullatore a immersione fino a ottenere una zuppa cremosa. Aggiungere la panna da cucina vegetale e le punte degli asparagi. Lasciar bollire per altri 5–8 minuti. Insaporire con il sale, il pepe e il resto del succo di limone. Addensare la zuppa a piacimento con l’addensante.
Servire la crema di asparagi in ciotole da zuppa e cospargerla di crescione d’acqua.
Il futuro si rinnova ogni giorno
Futurologia ◆ Perché qualsiasi modello predittivo di ciò che sarà non si è mai dimostrato affidabile
Massimo Negrotti
Se il futuro fosse una specie di territorio inesplorato allora basterebbe inviarvi una squadra di esploratori i quali, compiuto il proprio lavoro, ci direbbero di cosa si tratta. Ma il futuro non è una porzione di spazio né un oggetto da poter analizzare con le tecniche scientifiche più sofisticate. Esso, nella sua accezione più generica, è, come direbbe un filosofo della scienza, un concetto senza riferimenti empirici, una mera allusione omnicomprensiva nella quale i mutamenti e le costanti dei più disparati ambiti della realtà – naturali, economici, politici e sociali – vengono descritti secondo «scenari» costruiti sulla base delle tendenze rilevate oggi.
La logica alla base di tutto questo è un atteggiamento simile a quello che ci guida nella stessa vita quotidiana. In effetti, quando diciamo «poiché sono convinto che, nel futuro che mi riguarda, succederà questo o quello, mi preparo a…» nella tacita speranza che, nel frattempo, qualcosa attorno a noi non cambi improvvisamente.
Mille «futuri» sono passati davanti ai nostri occhi e nemmeno uno di essi è stato pre-definito né, tanto meno, programmato
Da Bacone a Bertrand de Jouvenel fino alle note anticipazioni del Club di Roma e includendo le nostre esperienze personali, ogni sforzo di previsione si regge sul principio del ceteris paribus. Secondo questa assunzione, se disponiamo di modelli che esprimono tendenze probabili in vari settori ritenuti «chiave» del futuro, allora possiamo ricavarne un quadro plausibile proiettando i dati e le tendenze in una ragionevole estensione temporale, ma assumendo che altre cose, escluse dal modello, non intervengano cambiando le carte in tavola.
Tuttavia, è proprio qui che il futuro riesce a sottrarsi alla nostra presunzione e a rinnovarsi in continuazione. Innanzitutto, qualsiasi modello, poiché include necessariamente più tendenze caratterizzate da proprie probabilità, risulta sempre, nel suo insieme, aleatoriamente affidabile. Ma, poi, interviene l’imponderabilità dei sudden events, ossia di fenomeni non solo non previsti ma intrinsecamente imprevedibili, come massicci eventi naturali, positivi o negativi per la specie umana, oppure eventi diretta-
mente umani, come guerre improvvise, ribaltamenti geopolitici ma anche scoperte o invenzioni dalle conseguenze letteralmente inimmaginabili. Basti pensare alle invenzioni storiche e attuali più rilevanti: dai motori a vapore a quelli elettrici, dalle automobili al telefono o al computer e, oggi, alla diffusione, di ampiezza mondiale, dei dispositivi software e hardware destinati alla connessione fra individui e organizzazioni, aziende e governi. Senza dimenticare l’improvvisa irruzione nella vita quotidiana quanto in quella istituzionale, della nuova versione di intelligenza artificiale. Ciò che conta è che nessuna di queste innovazioni era prevedibile e che, una volta avvenuta, una più o meno articolata invenzione non raramente si mostra capace di cambiare il corso di tutta una serie di altre attività, fino a mutamenti complessivi che, non a torto, spesso definiamo come epocali. In altre parole, già mille «futuri» sono passati davanti ai nostri occhi e nemmeno uno di essi è stato pre-definito né, tanto meno, programmato. Anche nella sola analisi economica, per portare un ulteriore esempio, si emettono spesso previsioni ritenute affidabili ma, al di là del cosiddetto «breve periodo», nel quale peraltro gli errori di stima sono comunque molto frequenti, il ceteris paribus perde ogni valore e gli eventi imprevisti irrompono sulla scena costringendo gli analisti a rivedere continuamente il quadro complessivo.
Negli anni Ottanta mi capitò di fare visita all’Institute for the Future di Palo Alto, California. Lo spirito che animava i ricercatori era, in fondo, quello stesso che anima ogni scienziato: scoprire cose nuove secondo un metodo razionale. Purtroppo, però, la futurologia non può portare il futuro in laboratorio per studiarlo da vicino come farebbero un fisico o un biologo con i propri oggetti di studio. D’altra parte, non è nemmeno possibile immaginare una sorta di Storia del futuro poiché gli storici studiano il passato attraverso i documenti disponibili e, sul futuro, ovviamente manca qualsivoglia documentazione anche perché, come direbbe Sant’Agostino, esso non esiste, se non come astrazione. Un’astrazione che, giorno dopo giorno, si trasforma in realtà a più livelli ed è del tutto ingenuo pensare che, tali livelli, si possano sintetizzare in un modello che regga più di ventiquattro ore.
Una nuova definizione di obesità
Medicina ◆ La commissione Lancet ha stabilito precisi criteri per la diagnosi che permettono anche di distinguere la sua forma patologica e non si basano solo sull’indice di massa corporea
Vittoria Vardanega
L’obesità, di per sé, è una malattia? O è «solo» un fattore di rischio per lo sviluppo di patologie come diabete, malattie cardiovascolari e alcuni tipi di cancro? Ormai è stato stabilito dalle evidenze scientifiche che l’obesità possa portare a una condizione fisica seriamente compromessa, ma allo stesso tempo molte persone tipicamente considerate obese non presentano alcun problema di salute. Non a caso negli ultimi decenni questo interrogativo è stato al centro di un dibattito controverso e polarizzante, per cui non si è ancora trovata una risposta comune a livello globale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio, definisce l’obesità come «una malattia cronica complessa». In Svizzera, invece, l’obesità non è tra le patologie considerate nella Strategia nazionale sulla prevenzione delle malattie non trasmissibili (2017–2024), che include il peso tra i fattori di rischio fisiologici. Riconoscere l’obesità come una malattia, argomenta chi è a favore, potrebbe dare una spinta alla ricerca e favorire l’accesso alle terapie per chi ne ha bisogno. Chi è contrario sostiene invece che si corra il rischio di una medicalizzazione inutile di questa condizione, soprattutto se non sono presenti problemi di salute. Fino a pochi anni fa la questione, per quanto molto dibattuta, sembrava avere poca rilevanza pratica, dal momento che le opzioni di trattamento erano principalmente due: un programma alimentare e di esercizio fisico, oppure, per i casi più severi, la chirurgia bariatrica.
Oggi distinguere l’obesità patologica è diventato importante per evitare un uso inappropriato di farmaci a base di semaglutide e tirzepatide
Le cose sono cambiate radicalmente con l’avvento di una nuova generazione di farmaci per la perdita di peso, i noti analoghi del GLP-1 a base di semaglutide e tirzepatide. Distinguere l’obesità patologica è diventato importante per evitare un uso inappropriato di questi farmaci. Senza contare che se venissero assunti da tutte le persone tradizionalmente considerate obese, la spesa sanitaria aumenterebbe notevolmente, vista l’elevata prevalenza di questa condizione: oltre 1 miliardo di persone al mondo e circa il 12% della popolazione svizzera.
Un contributo autorevole sulla questione è arrivato di recente dalla commissione Lancet, istituita dall’omonima rivista medica e composta da 56 esperti mondiali di una vasta gamma di discipline mediche, oltre che da persone con obesità. La commissione ha stabilito nuovi criteri per la diagnosi di obesità che permettono anche di distinguere la sua forma patologica. I risultati di oltre due anni di lavoro sono stati pubblicati a gennaio, ricevendo in pochissimo tempo l’endorsement di oltre 75 organizzazioni mediche internazionali.
Finora la diagnosi di obesità si era basata prevalentemente sull’indice di massa corporea (BMI, dall’inglese body mass index), molto utilizzato anche per la sua immediatezza: per calcolarlo è sufficiente dividere il peso in chilogrammi per il quadrato dell’altezza in metri. Nelle persone di discendenza europea, il valore ottenuto indica sovrappeso se uguale o superiore a 25,
e obesità se uguale o superiore a 30. «Ma il BMI non è in grado di stabilire la presenza di massa grassa in eccesso, né indicare dove si trovi il tessuto adiposo nel corpo, un fattore chiave per stabilirne la pericolosità», commenta la dottoressa Chiara Camponovo, specialista di endocrinologia e diabetologia presso l’Ospedale regionale di Lugano. «Il grasso viscerale, che si accumula sull’addome, è associato a un’incidenza più alta di malattie cardiovascolari e diabete. Per questo misurare la circonferenza della vita può essere più indicativo del BMI».
Un atleta professionista con un BMI di 32, ad esempio, potrebbe essere considerato obeso nonostante la sua eccellente forma fisica e la ridotta quantità di massa grassa. Al contrario, un individuo con un eccesso di tessuto adiposo ma un BMI inferiore a 30 rischia di sottovalutare un possibile problema di salute. «Questo valore dovrebbe essere utilizzato solo come punto di partenza», spiega la dottoressa Camponovo. «È importante poi valutare la presenza di comorbidità, come problemi respiratori, artrosi diffusa alle ginocchia o alla spina dorsale».
È questa la direzione presa anche dalla commissione Lancet, che propone di considerare almeno un’altra misurazione corporea in aggiunta al BMI (come la circonferenza della vita, il rapporto vita-fianchi o il rapporto vita-altezza) oppure due di queste in assenza del BMI, o ancora la misurazione diretta del tessuto adiposo, oggi possibile grazie a test sofisticati ma poco accessibili per via del costo elevato. Nel caso in cui questa prima analisi abbia riscontrato obesità, si valutano sintomi oggettivi di ridotta funzionalità degli organi o ridotta capacità di svolgere le attività quotidiane (come mangiare, lavarsi e vestirsi) per la diagnosi di obesità clinica. Tra i 18 criteri identificati dalla commissione figurano sintomi come affanno, insufficienza cardiaca dovuta al peso, dolori articolari ad anche o ginocchia, e disfunzioni in organi come fegato, cuore e reni. I soggetti che rientrano nella categoria di obesità clinica vengono considerati affetti da una patologia cronica e devono quindi ricevere un trattamento medico adeguato. In assenza di questi criteri si parla invece di obesità preclinica: il sovrappeso è un fattore di rischio per lo sviluppo futuro di malattie, ma non ha ancora causato complicazioni. La terapia farmacologica non è esclusa, ma dipende dall’entità del rischio.
«È importante capire perché il peso sia elevato, per poter meglio supportare il paziente e individuare il percorso di cure più adatto alle sue necessità», spiega la dottoressa Camponovo. «Se alla base c’è un problema strutturale o alimentare non ha senso assumere farmaci. All’inizio spesso funzionano perché riducono l’appetito, ma se subentra l’assuefazione l’aumento di peso ricomincia, causando forti delusioni. La popolarità di questi farmaci da una parte ha informato le persone e le ha spinte a chiedere aiuto più facilmente, in certi casi anche quando si erano rassegnate all’eccesso di peso», continua la dottoressa Camponovo. «Dall’altra però è importante sapere che non funzionano per tutti, e che non sono una bacchetta magica».
A volte il peso è la conseguenza di altri problemi di salute, come la policistosi ovarica, l’ipotiroidismo o malattie congenite, o ancora può essere
causato dall’assunzione di corticosteroidi o farmaci psichiatrici neurolettici. Se la causa sono le cattive abitudini alimentari, queste potrebbero essere spiegate da un fattore psicologico. Per questo, conclude la dottoressa Camponovo, «lo stile di vita è un aspetto
fondamentale nella gestione del peso, ma non dobbiamo ridurre tutto alla mancanza di forza di volontà. L’eccesso ponderale è un problema complesso, e banalizzarlo non è mai corretto». Le nuove linee guida della commissione Lancet potrebbero aiutare a sen-
sibilizzare il pubblico sulle sfumature di questa condizione, e fornire un quadro condiviso a livello globale per diagnosticare l’obesità patologica. Resta da vedere se e quando verranno introdotte nella pratica clinica e nel dibattito pubblico.
Per ogni zona del corpo il prodotto ideale
Per i medici è importante capire perché il peso sia elevato per poter meglio supportare il paziente e individuare il percorso di cure più adatto alle sue necessità. (Obesity Canada)
Annuncio pubblicitario
Raccontare storie di partenze e arrivi
Museo di Val Verzasca ◆ Lo scambio di esperienze organizzato durante la giornata del racconto ha unito migranti e popolazione locale: un incontro così arricchente da dare il via alla nascita di un nuovo progetto. Parla la curatrice Veronica Carmine
Stefania Hubmann
Storie di migrazioni, di accoglienza e purtroppo anche di espulsione. In poche settimane la valle Verzasca ha vissuto questa miscela di emozioni. L’incontro promosso lo scorso 16 marzo dal locale Museo in occasione della giornata mondiale del racconto –lo Storytelling Day che cade il 20 marzo – ha favorito un prezioso contatto fra popolazione locale di ogni età e richiedenti l’asilo alloggiati a Gerra Verzasca. Spunto per l’iniziativa la piccola mostra In giro per il mondo – Storie di partenze e arrivi visibile fino all’11 maggio all’Istituto Scolastico di Brione Verzasca. Qui si sono riuniti circa trenta partecipanti, di cui una decina di richiedenti l’asilo, portando ricordi di famiglia legati all’emigrazione verzaschese da un lato e il proprio vissuto di migranti contemporanei dall’altro. Ne è seguita una relazione a livello del Gruppo maglia e da sviluppare con altre attività ancora da definire. Fra i protagonisti dell’evento il giovane afghano Alisina, volonteroso e in grado di esprimersi piuttosto bene in italiano. Il suo destino ha però conosciuto una svolta drammatica il successivo 3 aprile, quando è stato arrestato di notte e trasferito a Zurigo in attesa di essere rinviato in Croazia (dove era stato registrato) secondo il Regolamento di Dublino. La partenza forzata è avvenuta a metà aprile. L’apertura a tematiche attuali in dialogo con i valori del passato è una caratteristica del Museo di Val Verzasca, che ha inaugurato la stagione lo scorso 18 aprile. Lo scambio di esperienze avvenuto durante la giornata del racconto ha unito persone che abitano il medesimo territorio per tradizione o passaggio. Le rispettive radici affondano quindi nella valle ticinese e
Somalia. Per Veronica Carmine, curatrice e mediatrice del Museo, l’esperienza si è rivelata così arricchente da dare il via alla nascita di un nuovo progetto. La presenza per alcuni mesi all’Istituto scolastico di Brione Verzasca di una piccola parte della mostra realizzata nel 2024 da Helvetas (organizzazione svizzera di cooperazione allo sviluppo) al Museo all’aperto del Ballenberg ha creato il presupposto per la giornata di storytelling, organizzata in collaborazione con Tandem al Museo. «L’esposizione – spiega la curatrice – mette in relazione la migrazione ottocentesca di una famiglia di Cugnasco-Gerra con quella contemporanea di un uomo del Bangladesh.
Per quanto riguarda il nostro incontro, ho chiesto ai partecipanti locali di portare una lettera, una foto o un altro ricordo di famiglia legato all’emigrazione dal quale partire con il proprio racconto di una quindicina di minuti». Il pomeriggio è stato organizzato in due momenti. «Abbiamo dapprima previsto quattro postazioni con un narratore o una narratrice che raccontava la propria storia, offrendo al gruppo la possibilità di spostarsi in tutte le postazioni così da ascoltare e descrivere le proprie esperienze in piccoli gruppi. In un secondo tempo è stata aperta la discussione durante la quale è emerso da parte dei giovani richiedenti l’asilo il desiderio di conoscere meglio la valle e i suoi abitanti, come pure di imparare l’italiano, desiderio che però spesso resta in sospeso». Il contatto fra migranti e popolazione locale in genere non è infatti immediato, ma grazie a questo incontro si è superato lo scoglio iniziale. Prosegue l’organizzatrice: «I giovani locali hanno invitato i coetanei ad allenarsi insieme a calcio, il gruppo delle donne che lavora a maglia a raggiungerle perlomeno per ascoltare l’italiano, altri hanno suggerito incontri culinari».
La storia di Alisina
Introduzione nuovi software all’interno dell’azienda
Formazione utente per nuovi software
Supporto utente di primo livello
Partecipazione a gruppi di lavoro per progetti nazionali
Requisiti
Formazione di livello superiore in ambito informatico
Conoscenze della lingua tedesca (parlata e scritta) requisito obbligatorio Competenze nell’applicazione e gestione di processi Esperienza nella formazione tecnica, supporto utente, gestione processi Flessibilità nella pianificazione del lavoro settimanale, incluso il picchetto Spiccate capacità organizzative, dinamismo e spirito d’iniziativa Buone doti comunicative e relazionali
Attitudine al lavoro in team
Disponibilità a spostamenti oltre Gottardo per riunioni di progetto
Candidatura
Candidature da inoltrare attraverso il sito www.migrosticino.ch, sezione «Lavora con noi» – «Posizioni disponibili».
Accoglienza e solidarietà si sono quindi manifestate con spontaneità, tanto che nei giorni successivi alcuni giovani stranieri hanno subito aderito alla proposta del Gruppo maglia. Bisogna infatti sempre tener presente – rileva Veronica Carmine – che i soggiorni dei richiedenti l’asilo sono temporanei, per cui è opportuno agire senza indugi. Il caso di Alisina è purtroppo emblematico. Poche settimane dopo la giornata del racconto il giovane 24enne è stato prelevato di notte e trasferito in un carcere amministrativo a Zurigo in attesa del suo rinvio in Croazia, Paese dove era stato registrato. Veronica Carmine, come le altre persone coinvolte nell’iniziativa, è rimasta senza parole di fronte a questo avvenimento, in particolare in relazione alle difficili condizioni nei centri detentivi croati raccontate da Alisina durante l’incontro in Verzasca. Il giovane era inoltre uno dei più integrati a livello linguistico e sociale, in grado di aiutare con la lingua i nuovi arriva-
A giugno il Museo organizzerà una passeggiata intergenerazionale sul Sentiero delle Leggende della Verzasca e i richiedenti l’asilo racconteranno a loro volta storie e fiabe dei loro Paesi d’origine. (Gabriella Meyer, Centro di dialettologia e di etnografia Bellinzona)
sabile intende organizzare a giugno un altro evento proprio per sfruttare lo slancio del primo incontro. Veronica Carmine: «In genere i progetti partecipativi, caratterizzati dal coinvolgimento attivo delle persone cui sono destinati, richiedono molto impegno a livello di motivazione. In questo caso il desiderio di ascoltare, raccontare e coinvolgere è stato forte e naturale, per cui vale la pena sfruttare al meglio e in tempi brevi questa dinamica. A giugno desidero proporre una passeggiata intergenerazionale (invitando le famiglie) sul Sentiero delle Leggende realizzato alcuni anni fa valorizzando alcune narrazioni della valle. Ai richiedenti l’asilo chiederò di raccontare a loro volta storie e fiabe dei loro Paesi d’origine».
ti. Il 10 aprile lo abbiamo sentito mentre si trovava a Zurigo nell’incertezza totale, anche perché gli erano state comunicate due diverse date di partenza. «Ho paura del futuro e sono stanco di dover sempre ricominciare tutto daccapo» ci ha raccontato. «In ogni Paese ci vuole tanto tempo per imparare la lingua, conoscere le persone e cercare lavoro». Partito dall’Afghanistan nel 2022, Alisina ha vissuto otto mesi in Iran prima di proseguire, come la maggior parte dei suoi connazionali in fuga, verso Turchia e Grecia per raggiungere l’Europa. Il giovane, sempre attivo, con alle spalle due anni di studi universitari nel suo Paese e iscritto a un corso statunitense online di bachelor in informatica, ha molto apprezzato l’incontro proposto dal Museo di Val Verzasca proprio perché ha permesso di parlare con numerosi autoctoni, altrimenti più difficili da avvicinare. «Sono andato due volte dal gruppo delle donne che fanno maglia, parlando con loro e imparando anche un po’ questo lavoro».
Sul Sentiero delle Leggende
Il futuro progetto di integrazione del Museo perde quindi con Alisina – come riferisce Veronica Carmine – una preziosa figura in grado di spronare gli altri asilanti a partecipare alle attività. In attesa che la proposta venga strutturata in modo adeguato, la respon-
Il Sentiero delle Leggende è uno dei cinque itinerari etnografici proposti dal Museo di Val Verzasca, che a sua volta conta tre sedi. A Sonogno si trova l’edificio storico (Casa Genardini) con vicina la nuova sede costruita nel 2017, mentre a Frasco sono situati il mulino e la centralina elettrica e a Odro il Museo del fieno selvatico, piccolo rustico con esposti gli attrezzi per la fienagione.
A Sonogno, oltre all’allestimento permanente, è stata prolungata fino al 31 ottobre prossimo l’esposizione temporanea Osservare per capire. 45 anni di ricerca etnografica in Verzasca curata da Christian Besimo, autore dei metodi e dei risultati illustrati. Originario della valle ma cresciuto nella Svizzera tedesca, Besimo è un profondo conoscitore della Verzasca e dall’anno scorso fa parte del comitato direttivo del Museo per il quale si occupa in particolare delle attività sul territorio proponendo numerose escursioni. La sua presenza completa a livello di team il focus del Museo che comprende sia il territorio sia gli aspetti sociali sviluppati da Veronica Carmine, etnologa specializzata in progetti partecipativi.
Accoglienza e solidarietà sono i concetti che riassumono l’esperienza vissuta negli ultimi mesi in Val Verzasca, dove l’entusiasmo generale è stato interrotto dalla brusca partenza di Alisina. Da parte del Museo c’è però la volontà di far crescere un progetto che non è nato come tale, ma che dimostra come si possano unire le azioni umane del passato e del presente esplorando con partecipazione la complessità della società in cui si vive.
Informazioni
www.museovalverzasca.ch
www.tim-tam.ch
Durante la giornata di storytelling si è parlato dell’emigrazione verzaschese di un tempo e di quella contemporanea di chi arriva da paesi lontani.
Annuncio pubblicitario
Tutta l’energia del Lago
Ambiente ◆ L’acqua lacustre può essere usata non solo per raffreddare ma anche per riscaldare: molte città già lo fanno, tra queste anche Lugano
Elia Stampanoni
Utilizzare acqua di lago per rinfrescare appare ovvio e, infatti, è una tecnica in uso in differenti modalità. Forse meno nota è la possibilità di estrarre energia dal lago per riscaldare edifici e abitazioni. Sembra strano, ma è fattibile. Ed è un sistema già in uso da anni, anche in Svizzera. Fulcro del processo sono le pompe di calore, grazie alle quali si riesce a prelevare energia dall’acqua di lago, benché relativamente fredda, per poi cederla al sistema di riscaldamento.
Come citato su Elettricità 1/22, il periodico di ESI, l’associazione volta a promuovere uno sviluppo armonioso dell’economia elettrica nella Svizzera italiana, il primo sistema di riscaldamento che sfrutta l’acqua di superficie fu messo in funzione già nel 1938 a Zurigo, dove il Municipio attinse all’acqua del fiume Limmat. Il capoluogo zurighese è pure oggi all’avanguardia in questo settore, disponendo attorno al suo lago di una vasta rete d’approvvigionamento, tuttora in fase di sviluppo. Il concetto è sempre lo stesso: sottrarre energia all’acqua e cederla a un sistema di distribuzione che raggiunge case e edifici (una forma di teleriscaldamento).
Come indicato dall’azienda elettrica della città di Zurigo EWZ, «l’utilizzo dell’acqua del lago è sostenibile e rispettoso dell’ambiente». Infatti, nel procedimento non viene sottratta acqua dal lago, ma «solamente» la sua energia, la quale viene poi trasportata con un sistema indipendente di tubature. L’acqua prelevata, dopo aver ceduto il suo calore, viene reimmessa nel lago a una temperatura di qualche grado inferiore (circa tre gradi in meno). In questo modo, come dimostrato da uno studio svolto dall’Istituto per la ricerca sulle acque nel settore dei politecnici federali (EAWAG), non si creano impatti negativi sull’ecosistema lacustre.
Le efficienti pompe di calore permettono di «lavorare» con basse temperature: l’acqua prelevata dal lago, in profondità, ha una temperatura costante attorno ai 5°C ed è solo una piccola parte del suo calore che viene sfruttata per riscaldare alla temperatura richiesta di circa 40-65°C il fluido del circuito secondario, il quale andrà poi ad alimentare i sistemi di riscaldamento esistenti in edifi-
ci e abitazioni. L’impianto può funzionare anche in senso inverso, ossia utilizzando l’acqua del lago per sottrarre calore e quindi raffreddare gli ambienti. In questo caso l’acqua prelevata dal lago viene restituita un po’ più calda, senza comunque compromettere l’ecosistema.
Molte altre città si sono dotate o si stanno attrezzando con sistemi analoghi, tra cui Lucerna, Ginevra o Morges, ma anche sul Ceresio, grazie ad alcuni progetti sviluppati da AIL, le Aziende Industriali di Lugano. Uno, al Lido di Lugano, vede una centrale termica in funzione dal 2022, la quale alimenta la piscina coperta e tutto il lido: mentre il cogeneratore a gas permette di scaldare ad alte temperature per garantire l’acqua calda sanitaria, due termopompe si servono dell’acqua del lago per riscaldare l’acqua delle piscine comunali.
Sempre attingendo al Ceresio, dal 2012 il Centro svizzero di calcolo scientifico di Lugano (CSCS), situato in zona Cornaredo, s’assicura un mezzo «naturale» di raffreddamento per i propri supercalcolatori. Grazie a una condotta di quasi tre chilometri, l’acqua del lago viene infatti pompata fino a Cornaredo, dove presso gli scambiatori avviene il raffreddamento. L’acqua ritorna poi verso la foce tramite una condotta di ritorno lungo il Cassarate, dalla quale si riesce ad approfittare del calore accumulato, come chiarisce Michele Broggini, ingegnere per AIL: «Per esempio al Campus SUPSI di Viganello, già dal 2020 una parte dell’energia generata dal CSCS viene prelevata grazie a uno scambiatore e utilizzata per riscaldare, mentre dal 2024 questa energia viene anche valorizzata tramite la rete anergetica, il termine suggerisce l’assenza di energia, del nuovo quartiere di Cornaredo».
Un altro impiego del Ceresio a scopo refrigerante esiste da oltre 60 anni, da quando, nel 1965, venne costruita una rete industriale a servizio del centro di Lugano, come spiega Broggini: «La rete serviva, e serve tuttora, soprattutto al raffreddamento delle apparecchiature utilizzate nelle attività della città. Si tratta di una rete di condotte d’acqua captata dal lago con un sistema di pompaggio che poi ritorna al lago tramite le canaliz-
zazioni, quindi non a doppia condotta come il caso del più moderno impianto installato nel 2013 a Cornaredo».
La nuova rete anergetica
Un grande sviluppo è invece avvenuto con la realizzazione della centrale termica del Nuovo quartiere di Cornaredo (NQC) e della nuova rete anergetica. Il progetto, ultimato nell’ottobre 2024 da AIL, va a completare e a integrarsi nel sistema del CSCS, permettendo il riscaldamento o il raffreddamento di diversi edifici esistenti, in costruzione o programmati nella zona.
La rete anergetica si basa in realtà su uno scambio di energia termica a basse temperature: si sfrutta l’energia termica residua presente nell’acqua, che verrebbe altrimenti dispersa. Questo avviene attraverso un sistema di tubazioni a circolo chiuso che permette di prelevare (o cedere) calore, riscaldando (o raffreddando) gli ambienti, sempre grazie a degli scambiatori di calore (ogni edificio o «gruppo di edifici» ha la sua pompa di calore).
Nella nuova rete l’acqua circola in continuazione nelle tubazioni scambiando calore con la condotta principale e con gli edifici. Per il circuito della rete anergetica s’impiega inoltre acqua trattata e demineralizzata, evitando così la manutenzione necessaria in caso di uso diretto di acqua di lago, che contiene materiale organico come ferrobatteri e larve di cozza.
La nuova rete NQC è composta da una centrale di pompaggio appena edificata a Cornaredo, che «intercetta» i flussi d’acqua del CSCS. Qui sono poi state costruite due vasche di miscelazione per adattare la temperatura alle esigenze della rete e sfruttare il calore residuo proveniente dal sistema di raffreddamento del CSCS. L’infrastruttura è dotata in totale di otto pompe per la circolazione dell’acqua o per convogliare l’acqua dalle vasche di miscelazione agli scambiatori di calore, i quali separano il circuito anergetico da quello del CSCS. La portata massima sostenibile attualmente dalla rete NQC è di 1060 m 3 all’ora, che equivale a spostare tutta l’acqua contenuta in piscina olimpionica in poco più di due ore.
«Contr ibuite a prevenire gli incendi.»
Per una casa sicura Guida alla prevenzione degli incendi
In collaborazione con O r d i n a t e l’opuscolo gratuito c o n p r e z i o s i c o n s i g l i e adesivi p e r p r e v
Wikimedia/Thomas Woodtli
Allo Shop
ATTUALITÀ
Per non affogare nell’odio
Focus su Israele in fiamme, dove la società è sempre più divisa ma c’è chi non perde la speranza e sogna un futuro di pace
13
Reportage dal Sud Sudan
Suggestioni raccolte in un cattle camp, un centro pieno di vita, con i suoi equilibri tra esseri umani e animali e con i suoi tanti problemi
Pagine 14-15
Eccoci nella società del ricatto
L’ultimo saggio di Marcello Foa mette il dito su una piaga diffusa in tutti gli ambiti: dalla geopolitica alla famiglia
Pagina 16
Se il nuovo pontefice fosse africano
Prospettive ◆ Il papato di Francesco ha spostato il baricentro geopolitico del cattolicesimo verso il Grande sud globale, e adesso?
L’ultima eredità geopolitica di papa Francesco potrebbe essere racchiusa in una immagine che ha fatto il giro del mondo. È la foto che ritrae Trump e Zelensky dentro la basilica di San Pietro, intenti a parlarsi al margine del funerale. Francesco sulla pace in Ucraina si era speso molto, ed è un caso raro in cui la distanza fra lui e Trump non era immensa. Nei tentativi iniziali della diplomazia vaticana di allacciare un dialogo con Putin, il pontefice scomparso si era visto rivolgere delle accuse simili a quelle lanciate contro Trump: di non essere chiaro nella condanna dell’aggressore. D’altronde se si definisce Putin un criminale e un macellaio – come faceva Biden – il dialogo non comincia neppure. La pace in Ucraina resta appesa a molte incognite, Trump finora è stato deluso e beffato da Putin. Intanto il Conclave è l’occasione per analizzare la geopolitica del cattolicesimo.
Cominciando proprio dal rapporto fra papa Francesco e l’America. Bisogna fare un salto indietro di dieci anni. Accadeva il 24 settembre 2015 a Washington. Quel giorno papa Francesco è il primo pontefice nella storia a parlare al Congresso americano a Camere riunite. Chiede l’abolizione della pena di morte e della vendita di armi, invoca politiche di accoglienza per immigrati e profughi, un impegno contro le diseguaglianze, la lotta al cambiamento climatico. Papa Bergoglio ha delle affinità elettive con Barack Obama.
Oggi la stagione idilliaca Bergoglio-Obama appartiene al passato, ma non soltanto per l’avvento di Trump. Molte scommesse del periodo obamiano hanno deluso. In America latina: non c’è stato l’atteso miglioramento dei diritti umani a Cuba; in Venezuela un altro regime di estrema sinistra ha inasprito la deriva autoritaria. La questione migratoria all’interno degli Stati Uniti ha preso una piega imprevista: divenuto presidente, Biden e la sua vice Kamala Harris hanno pagato un prezzo elevato per non aver controllato il flusso di clandestini. Risultato: alle elezioni del 2024 i consensi per Trump sono aumentati anche tra le minoranze etniche. Pure i latinos si sono spostati a destra, spaventati dal senso di insicurezza, e danneggiati economicamente dalla concorrenza degli illegali sul mercato del lavoro. Infine l’asse tra questo papato e i democratici Usa è stato messo a dura prova dall’agenda Lgbtq+. Tra le minoranze etniche negli Stati Uniti, così come nel Grande Sud globale, prevale l’attaccamento ai valori tradizionali e alla visione classica della famiglia. Incalzata dalla concorrenza degli evangelici, la chiesa cattolica americana si è spostata ancora più a destra, e all’oppo-
sizione nei confronti di questo papato. Trump ha vinto il voto cattolico nel 2024 con 11 punti percentuali in più su Kamala Harris. Nel frattempo con il cattolico Biden i rapporti si erano raffreddati. Sull’Ucraina e su Gaza il Vaticano ha spesso scelto posizioni che l’Amministrazione Biden ha percepito come russofile, filo-palestinesi, o perfino implicitamente anti-americane.
Una religione in cui si riconoscono quasi un miliardo e mezzo di persone è una forza culturale, e quindi anche politica, con cui tutti devono fare i conti. Tanto più che a differenza di altre fedi – islam e buddismo, ma anche il cristianesimo dei protestanti –il cattolicesimo ha un’autorità unica, centralizzata.
Il papato di Francesco non è riuscito ad arginare in America latina l’avanzata di una forza religiosa concorrente e alternativa, che ha solidi appoggi proprio negli Stati Uniti: i cristiani evangelici, una galassia di congregazioni protestanti talvolta definite anche come pentecostali. Tra le differenze tra gli evangelici e i cattolici (che sono innumerevoli) una ha spesso colto l’attenzione: l’atteggia-
mento verso il denaro, il capitalismo, il successo economico. I numeri sulla loro avanzata continentale sono raccolti da un istituto demoscopico del Cile, Latinobaròmetro. In tutta l’America latina i cattolici sono diminuiti dall’80% nel 1995 al 54% nel 2024. Nello stesso periodo gli evangelici sono saliti dal 6% al 19% triplicando il loro peso. I cattolici sono già diventati una minoranza in sei Paesi tra cui Brasile, Uruguay e Cile.
Già nel 2015 il 16 per cento di tutti i musulmani e il 26 per cento di tutti i cristiani del mondo vivevano a sud del Sahara
Il prossimo Papa verrà dall’Africa? È solo un’ipotesi, sarebbe la logica prosecuzione del papato di Francesco, che ha spostato il baricentro geopolitico del cattolicesimo verso il Grande sud globale. Sarebbe anche un adattamento ai grandi trend demografici del nostro tempo: è in Africa che la popolazione umana continua ad avere una crescita dinamica, mentre rallenta o decresce nel resto del mondo. Infine
l’Africa è forse il continente dove la Chiesa cattolica affronta in modo più visibile e dirompente due sfide da fedi concorrenti e molto aggressive nel loro proselitismo.
In effetti un cambiamento profondo nell’Africa contemporanea è l’avanzata travolgente di una nuova religiosità, anzi due: sul fronte cristiano e su quello islamico. Ma con due segni diversi, opposti. Cristianesimo e islam indicano due futuri alternativi all’Africa, pro o contro l’Occidente.
L’impatto sarà mondiale perché lo scontro attuale e futuro tra le due grandi religioni monoteiste si giocherà in Africa. Già nel 2015 il 16% di tutti i musulmani e il 26% di tutti i cristiani del mondo vivevano a sud del Sahara. Entro il 2026 queste percentuali saranno salite al 27% per i musulmani e al 42% per i cristiani. Cioè quattro cristiani su dieci saranno nell’Africa subsahariana. Però cristiani non vuol dire cattolici. Chi avanza sono i protestanti, in particolare pentecostali. È un protestantesimo che molti cattolici descrivono in modo caricaturale, ridicolizzandolo: i tele-evangelisti carismatici, le me-
ga-chiese gestite come dei business, le funzioni religiose tenute negli stadi sportivi con i momenti di «estasi» collettiva che prefigurano il «rapimento in cielo», l’esaltazione del successo economico e quindi la monetizzazione della fede.
Molti musulmani dell’Africa subsahariana sono storicamente salafisti, fondamentalisti che seguono un’interpretazione letterale del Corano. Per i giovani africani che aderiscono all’Islam, questa fede è una barriera protettiva contro ogni contaminazione culturale dall’Occidente. I protestanti pentecostali, al contrario, perseguono un’occidentalizzazione estrema. I templi pentecostali in Africa sono stati definiti «le chiese della gioventù» perché l’età media dei fedeli è molto bassa. I giovani pentecostali dell’Africa subsahariana –in sintonia con i loro parenti e amici emigrati negli Stati Uniti – sono più individualisti dei loro genitori, credono nel successo economico e nel benessere. Il loro modello di vita ideale, è l’imprenditore. Perciò prendono le distanze da certe abitudini e stili di vita comunitari che appartengono alla tradizione africana.
Keystone
Federico Rampini
Pagina
Per non cedere alla disperazione e all’odio
Israele ◆ Il Paese è in fiamme, la società sempre più divisa, neppure il lutto funge più da collante ma c’è chi non perde la speranza
Sarah Parenzo
Ancora nessuno sviluppo significativo nelle trattative per un accordo di cessate il fuoco a Gaza in cambio della restituzione dei 59 ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Benjamin Netanyahu viene accusato dall’opinione pubblica di protrarre la guerra unicamente per scopi personali, messo alle strette dai processi a suo carico, dallo scandalo del Qatargate e dalle gravi accuse rivoltegli da Ronen Bar, il capo uscente dello Shin Bet. Nelle scorse settimane Bar ha rilasciato alla Corte Suprema dichiarazioni a dir poco inquietanti sulla condotta illegale del primo ministro a danno della società civile e di soggetti politici da lui percepiti come scomodi. Oltre all’intelligence e al sistema giudiziario, perennemente minacciati dalla riforma promossa dalla coalizione, la crisi investe anche l’esercito che manifesta segni di debolezza, dal momento che i riservisti esausti scarseggiano e le diserzioni si moltiplicano, non più solo tra la sinistra radicale e gli ebrei ultraortodossi. In risposta alla sofferenza e alla preoccupazione per il futuro, che permeano anche lo spazio pubblico, continuano senza sosta le massicce proteste contro il Governo e a sostegno delle famiglie degli ostaggi.
Già l’anno scorso la giornata di commemorazione dei caduti si era tenuta all’ombra di un conflitto, se si può definite tale, del quale non si intravede ancora la fine. Ma oggi, mentre a Gaza continua a consumarsi una tragedia di proporzioni inimmaginabili, è evidente che all’interno di Israele è in corso un’altra guerra che si va inasprendo giorno dopo giorno con risvolti sempre più violenti e allarmanti. Attualmente incapace di valorizzare il proprio pluralismo in modo sufficientemente armonioso, la società civile rischia di frantumarsi. Non si tratta infatti solo di frizioni tra destra e sinistra, tra popolo ed istituzioni, tra laici e religiosi, o tra «tribù», termine spesso utilizzato in riferimento alle diverse componenti della
società israeliana, né si può liquidare la questione come risultato della salita al potere di estremisti fanatici. Eppure, se i nodi sono molteplici, le fazioni sono molto meno eterogenee di quanto potrebbe sembrare in apparenza. Fatto salvo per pochi illuminati, ad accomunare gli ebrei israeliani, paralizzando ogni possibile evoluzione, persistono la narrazione del popolo perseguitato ed eterna vittima e la rimozione dell’occupazione. In mancanza di un’onesta presa di responsabilità da parte di tutti i gruppi, anche lo sforzo immane e ammirevole delle proteste rischia di tradursi in sterili slogan che si limitano alla demonizzazione di Netanyahu, il quale sopravvive forse anche a fronte dell’oggettiva assenza di alternative carismatiche. In questo clima la pace e le iniziative congiunte tra israeliani e palestinesi continuano ad essere osteggiate e impopolari, ma fortunatamente c’è chi non si arrende.
Testimonianze preziose
Così, lo scorso martedì sera si è svolta a porte chiuse la ventesima edizione della rivoluzionaria commemorazione congiunta, organizzata da Combatants for peace e dal Parents circle – Families forum. La cerimonia, che riunisce israeliani e palestinesi che hanno perso i propri cari a causa del conflitto, rappresenta un forte appello a porre fine alla violenza. All’evento, trasmesso in diretta streaming in oltre 160 località in Israele, Cisgiordania, Europa e Stati Uniti, sono intervenuti alcuni coraggiosi protagonisti involontari degli attacchi del 7 ottobre e della guerra in corso a Gaza che hanno condiviso le loro esperienze di perdita e trauma portando delle testimonianze toccanti in nome della pace e della riconciliazione. Tra loro Liel Fishbein, sopravvissuto al massacro del kibbutz Be’eri, che ha perso la sorella Tchelet, e Liat Atzili, sopravvissuta al massacro di Nir Oz e alla
prigionia di Hamas e vedova di Aviv, assassinato il 7 ottobre. Parlando della sua ricerca di un significato Atzili ha affermato: «La libertà è un fardello pesante, ma è l’unica forza in grado di portare la pace tra le persone e costruire una società giusta e morale». Una palestinese di Gaza, che ha chiesto di restare anonima e ha perso la madre sotto il fuoco dei cecchini, ha spiegato perché ha scelto la via della pace nonostante il dolore: «Le nostre vite non sono solo storie di dolore, ma anche di resilienza». Musa Khatawi, che si è unito al Parents circle – Families forum dopo aver perso alcuni membri della sua famiglia nei recenti attacchi a Gaza, ha detto: «La nostra lotta non è solo per la giustizia; è per il diritto a vivere con dignità, senza paura, e per porre fine a questo ciclo di violenza. Ora è il momento di insistere per porre fi-
ne all’occupazione e impedire ulteriori spargimenti di sangue». All’uscita dall’auditorium di Giaffa i volti degli spettatori erano ancora segnati dalle lacrime di commozione, quando si è sparsa la notizia che alla proiezione della cerimonia in una sinagoga riformata della tranquilla cittadina di Raanana avevano fatto irruzione dei fanatici di estrema destra aggredendo verbalmente e fisicamente i partecipanti terrorizzati. Persino in quello che doveva essere un momento di unità e lutto nazionale, non si è persa l’occasione di prevaricare e silenziare le voci che si levano contro l’ingiustizia e la strumentalizzazione del dolore, voci che ritengono che libertà, dignità e uguaglianza per tutti siano gli unici fondamenti per una vera sicurezza e una pace duratura. Al mattino seguente sono scoppiati incendi di proporzioni drammatiche nei boschi
Locazione o acquisto di un’abitazione, che cosa è meglio per me?
intorno a Gerusalemme. Molte comunità sono state evacuate, le strade chiuse e Israele ha dichiarato l’emergenza nazionale chiedendo rinforzi ai Paesi vicini.
Annullati anche i festeggiamenti per il Giorno dell’indipendenza, mentre Hamas ha incitato i palestinesi a cogliere l’occasione per bruciare le colonie ebraiche. In una simile realtà, permeata di morte e violenza, con le debite asimmetrie è facile per ambo le parti cedere alla disperazione e all’odio, ma la perdita può alimentare anche la trasformazione personale e sociale. Chi si aggrappa alla speranza e vuole collaborare per un futuro diverso si è già dato un nuovo appuntamento, il 7 e l’8 maggio a Gerusalemme e in streaming per il summit The people’s peace, il più grande evento contro la guerra organizzato dopo il 7 ottobre.
La consulenza della Banca Migros ◆ Oltre ai propri legittimi desideri, bisogna anche considerare i mezzi disponibili e l’andamento del mercato immobiliare
L’opzione giusta dipende da tre fattori: le esigenze personali, la situazione finanziaria e le attuali condizioni di mercato.
Esigenze personali: la proprietà abitativa favorisce la stabilità. Questo stile di vita è adatto a persone che desiderano legarsi in modo permanente a un luogo, ad esempio per creare una famiglia. Questo comporta naturalmente anche un vincolo finanziario a lungo termine.
A chi invece preferisce mantenere la flessibilità, professionalmente o privatamente, conviene scegliere un appartamento in affitto, che consente di traslocare con più facilità e rapidità. Tra l’altro, non essendo vincolato a un immobile, il capitale può essere utilizzato per altre cose, ad esempio per gli hobby o per la previdenza per la vecchiaia.
Situazione finanziaria: il budget individuale è determinante per considerare l’acquisto di una proprietà abitativa oppure optare per una locazione.
La regola generale: almeno il 20% del prezzo di acquisto deve provenire dal capitale proprio.
Altrettanto importante è la capacità di finanziare la proprietà abitativa per un periodo prolungato, la cosiddetta sostenibilità. In altre parole, gli interessi, gli ammortamenti e le spese accessorie e di manutenzione non devono superare complessivamente un terzo del reddito regolare.
Le spese accessorie e di manutenzione comprendono le tasse per l’acqua, lo smaltimento delle acque reflue, lo smaltimento dei rifiuti, l’elettricità e i costi di riscaldamento, ma anche le assicurazioni e i costi di manutenzione. A queste spese si do-
Condizioni di mercato attuali: soprattutto nei centri urbani come Zurigo o Ginevra, i prezzi degli immobili sono al momento talmente elevati da rendere l’acquisto proibitivo per molti. Si trovano eventualmente alternative più economiche nelle regioni più rurali, ma anche lì i prezzi aumentano nelle zone ben servite dal punto di vista dei trasporti. Bisogna inoltre tenere conto dell’andamento dei tassi ipotecari, che sono strettamente collegati ai tassi di riferimento della Banca nazionale svizzera. Se questa abbassa i tassi di interesse, le banche possono prestare denaro a costi inferiori e quindi offrire ipoteche più convenienti, come avviene attualmente con il tasso di riferimento dello 0,25%. Quello presente è un contesto interessante per acquistare un’abitazione di proprietà, a condizione che vi sia sostenibilità finanziaria.
L’aumento dei tassi di riferimento fa per contro lievitare i tassi ipotecari, il che si traduce in un onere mensile più elevato per i proprietari di abitazioni. Ecco perché è sensato stipulare un’ipoteca fissa a lungo termine nelle fasi di tassi d’interesse bassi. In tal modo, il tasso d’interesse conveniente viene garantito per l’intera durata dell’ipoteca.
Il calcolatore ipotecario della Banca Migros aiuta a fare chiarezza:
vrebbe destinare annualmente circa l’1% del valore dell’immobile.
Marcel Müller, consulente alla clientela della Banca Migros ed esperto in ipoteche
Pixabay
Sud Sudan, quei villaggi itineranti
Reportage ◆ Suggestioni raccolte in un cattlecamp, letteralmente un accampamento di bestiame, un centro pieno di vita, con i suoi (dis)equilibri tr
Luigi Baldelli testo e fotografie
Da due anni in Sudan infuria la guerra, la quale vede contrapporsi le Forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e le milizie paramilitari di Mohamed Hamdan Dagalo (Forze di supporto rapido o Rsf) Il conflitto ha provocato innumerevoli vittime e almeno 13 milioni di profughi: si stimano 10 milioni di sfollati interni e tre milioni di rifugiati nei Paesi vicini Oltre la metà della popolazione è a rischio fame in quella che oggi è una delle più gravi crisi umanitarie al mondo Noi, però, andiamo un po ’ più a Sud, in Sud Sudan appunto, uno Stato indipendente dal 2011, per raccontarvi uno spaccato di vita di una piccola comunità Lontano, ma neanche troppo, da quegli orrori
In tutto il Sud Sudan le mucche hanno un ruolo di primo piano e il possesso di un gran numero di animali è motivo di vanto
Nelle grandi pianure ai lati del Nilo Bianco, nello Stato dei Laghi in Sud Sudan, nell’aria tersa del caldo torrido, si vedono macchie bianche che si spostano lentamente Sono le grandi mandrie di vacche che pascolano I pastori Dinka, una delle etnie principali del Paese, le accompagnano camminando al loro fianco o le sorvegliano riparandosi all’ombra di un albero Nella loro cultura, ma in generale in tutto il Sud Sudan, le vacche hanno un ruolo di primo piano e il possesso di un gran numero di animali rappresenta un vero e proprio status symbol
Dalle prime luci del mattino, fino al tramonto, questi immensi gruppi di bestiame invadono gli spazi verdi o si radunano intorno a grandi pozze di acqua I pastori le guardano con soddisfazione sapendo che quei bovini sono la loro ricchezza, il rifugio su cui contare in caso di necessità, la forza della loro famiglia e il rispetto della tribù Quando il sole inizia a scendere, la temperatura inizia a farsi un po ’ più accettabile e i raggi tendono dal giallo all’arancione, i pastori e le vacche riprendono la strada del ritorno, verso quello che non è una semplice stalla o recinto, ma un vero e proprio paese viaggiante Il cattle camp, ovvero il campo del bestiame Detto così, può sembrare solo un punto dove i pastori si ritrovano con le vacche dopo il pascolo Invece no, il cattle camp è un vero e proprio villaggio itinerante, che segue le transumanze delle mandrie da un pascolo all’altro, da una regione all’altra «Nel cattle camp ritrovi tutti i pregi e i difetti della nostra società Ritrovi la storia e la cultura, le relazioni sociali, i ruoli e le gerarchie Insomma un piccolo mondo che rappresenta molto bene il Sud Sudan» Esordisce cosìJohn,ungiovanealtoenerboruto, anche lui figlio di pastori Dinka, nato e cresciuto in un campo di bestiame Ha fatto il pastore da piccolo ma ha avuto anche la possibilità di studiare E oggi è un commerciate di Mingkaman, cittadina dalle strade polverose, tre ore a nord della capitale Juba e fino a qualche anno fa un centro di raccolta per rifugiati interni che fuggivano dalla guerra civile Il Sud Sudan è «il Paese più giovane» dell’Africa Nato nel luglio del 2011 dopo una
lunga e sanguinosa guerra di separazione dal Sudan, ha conosciuto un breve periodo di pace Solo due anni dopo, nel 2013, scoppia una guerra civile tra il presidente di etnia Dinka Salva Kiir e il suo vice, di etnia Nuer Riek Machar Una guerra civile per la conquista del potere e che dura fino al 2018, quando finalmente e faticosamente si raggiungono degli accordi di pace che, come in un gioco dell’oca o in uno scherzo del destino, rivedono di nuovo nelle stesse posizioni il presidente Kiir e il suo vice Machar «Le etnie Dinka e Nuer, le principa-
li del Paese, non si sono mai guardate con affetto E la convivenza non è mai stata facile», continua dirmi John alla ricerca disperata di un po ’ di fresco mentre è seduto all’ombra del suo negozio di vestiti made in China Per poi aggiungere: «Se vuoi capire il Sud Sudan, la sua gente e il modo di pensare, devi andare in un cattle camp» E per capirlo al meglio bisogna andare alla fine della giornata, quando la luce è più tenue e il fumo dei fuochi riempie l’aria È il momento in cui si socializza e dove gli anziani raccontano storiediculturaecoraggioaibambini
Gli uomini delle varie famiglie si radunanoingruppieparlanodellemucche, di affari e in quali pascoli andare il giorno dopo Mentre le donne sono intente a cucinare I giovani pastori si prendono cura del bestiame, legano i bovini ai pali piantati nel terreno È un vociare continuo fino all’arrivo del buio E se c’è chi torna nelle tende per riposarsi, altri invece montano di guardia, armati di kalashnikov nei punti strategici del campo «La paura del furto è sempre presente, bisogna difendere il bestiame a tutti i costi Rubare vacche è una
pieni di virtù e imperfezioni
ra esseri umani, un incrocio di relazioni sociali e di problematiche, come la povertà, i furti e le rivalità etniche
pratica storica, un giovane per entrare nel mondo adulto deve rubare una vacca, ma negli ultimi anni i grandi furti sono aumentati a dismisura» dice Mabior, un pastore 50enne, alto come da tradizione Dinka, corpulento, mani grandi e occhi vispi, un sorriso sincero gli riempie il viso insieme a due cicatrici tribali sulla fronte che lo rendono ancora più autoritario «Sono altri pastori, soprattutto di etnia Nuer, che cercano di rubare le vacche e di conseguenza gli scontri a fuoco sono frequenti A volte ci sono anche dei morti Oppure sono pastori poveri della zona, che hanno bisogno di vacche per iniziare la loro mandria» mi dice mentre guarda oltre il buio, attento ad ogni rumore E dalle sue parole si ripropone l’antica faida e che contrappone le etnie del Paese Come anni prima ha contrapposto il presidente e il suo vice La polizia cerca di arginare questa violenza, il Governo ha anche promulgato una legge sul disarmo, che coinvolgeva ex soldati e pastori, ma con poco successo Le armi nei cattle camp ci sono «ma le usiamo solo per difenderci, mai per attaccare» continua
ancora Mabior La mattina, con i primi raggi del sole il microcosmo del cattle camp riprende vita Nell’aria il suono dei muggiti delle vacche e l’odore acre del fumo dei fuochi I pastori iniziano a preparare le mandrie per condurle verso le aree di pascolo o stagni dove possono bere Le donne, invece, sono relegate al ruolo di mungitura delle vacche per preparare il latte fermentato, accudire i figli,
prendersi cura della pulizia del campo, essiccare il letame per poi usarlo come combustibile Il Sud Sudan è una società di forte connotazione maschilista e anche qui, nel campo di bestiame, le donne continuano ad avere un ruolo subalterno all’uomo Prima di incamminarsi verso le distese erbose, i pastori si cospargono il corpo di cenere ed argilla, un rituale simbolico, che permette di di-
stinguerli come pastori ed ha anche un valore pratico, perché questa mistura li protegge dai raggi del sole e dagli insetti Mabior, il mio Cicerone nel cattle camp, prova anche a darmi una lezione sulle varie razze di vacche e tori: «Quel toro lì, bianco pezzato di nero, si chiama Majok, mentre quello bianco macchiato di nero è razza Makur Mentre per le vacche usia-
Tra siccità e alluvioni, quando il clima diventa un problema
A mettere in pericolo la cultura dei cattle camp non è solo la scelta di alcuni di andare a vivere in città, ma sono anche i cambiamenti climatici Soprattutto due fattori: il primo è rappresentato dai lunghi periodi di siccità che costringono i pastori ad andare sempre più lontano per cercare pascoli e acqua per il bestiame Questo aumenta i rischi di conflitti con le altre comunità di diversi pastori e rappresenta una minaccia per la sicurezza e la stabilità del Paese Questi scontri legati all’accesso alle risorse come acqua e pascoli, alle rivalità etniche e al furto di bestiame hanno conseguenza profonde sulle comunità di pastori Il secondo fattore sono le alluvioni causate dalle piogge torrenziali Alluvioni che distruggono gli insediamenti e uccidono il bestiame e costringono i pastori e le loro famiglie a spostarsi in zone meno sicure o addirittura a diventare profughi interni Cambiamenti climatici che portano a
instabilità sociale, vulnerabilità economica, rischio di conflitti «Tre problematiche che, se guardi bene, puoi ritrovare in tutto il Sud Sudan», sentenzia Mabior seduto nella grande capanna circolare al centro del recinto Si guarda la punta dei piedi, caccia via una mosca dal braccio per poi alzare lo sguardo verso il figlio più piccolo che dorme in un angolo Poi aggiunge: «I cattle camp non sono solo tradizione e cultura, ma un sistema di vita che garantisce sopravvivenza a milioni di persone» In un Paese come il Sud Sudan dove scherzando, ma non troppo, si dice che ci sono più vacche che esseri umani, il cattle camp è un centro pieno di vita, con i suoi equilibri tra esseri umani, un incrocio di relazioni sociali e di problematiche, uno specchio della società nel bene e nel male E al centro di tutto il forte legame tra il bestiame e la tribù Perché queste mandrie sono il pilastro di questi pastori e delle loro
famiglie Se non hai le vacche non hai cibo, se non hai le vacche non ti puoi sposare, se non ti sposi non puoi avere figli e se non hai discendenti, qui, in queste pianure dove scorre maesto-
so il Nilo Bianco, vuol dire la fine fisica e spirituale della famiglia Come tutti i giorni, al tramonto i pastori rientrano al campo che si anima come una piazza di paese la domenica mattina Si discute ancora di vacche, pascoli e affari A tenere banco però è la proposta di matrimonio che è stata fatta da uno di loro ad una giovane donna: come da tradizione ha offerto delle vacche alla famiglia di lei come pegno per averla in moglie Ma questa volta il numero di bestiame è alto: 120 bovini
Mi guardo intorno, osservo dei giovani vestiti a festa che si preparano per andare a Yirol, piccola cittadina a circa un chilometro dal campo, bambini che corrono tra gli animali, donne che cucinano sui fuochi I cattle camp sono davvero un mondo antico, dove il modo di vivere ricorda quello degli avi Con tutte le loro virtù e imperfezioni rappresentano un pilastro della cultura Dinka e del Sud Sudan W
mo gli stessi nomi ma togliamo la m» Non mi è molto chiaro il tutto, ma capisco quanto sia importante per loro, perché ogni vacca ha caratteristiche uniche e diverso valore commerciale.
Sono altri pastori, specie di etnia Nuer, che cercano di rubare le vacche e di conseguenza gli scontri a fuoco sono frequenti
In Sud Sudan avere un folto gruppo di bestiame oltre ad un alto prestigio vuol dire anche un alto valore economico Non credo che sia tanto sbagliato dire che per i pastori Dinka il bestiame è come il conto in banca nei Paesi occidentali Ma il ruolo dei pastori e delle mandrie è anche una forma di resilienza in una società che si sta modernizzando Sono un ’ ancora che ti lega alla cultura e alla tradizione Sono la storia di un popolo che non vuole essere dimenticata Ed anche se alcuni giovani lasciano il cattle camp per trasferirsi in città, il legame con la storia del proprio popolo non viene mai interrotto: «Se nasci pastore non puoi dimenticarlo, non ti puoi allontanare dalle tradizioni – spiega Mabior – è nel tuo sangue, fa parte di te I Dinka che vivono da anni in capitale a Juba o in altre cittadine, anche se ora fanno un altro lavoro, ti assicuro che ogni volta che vedono una vacca la guardano e la valutano E ogni volta che tornano nel cattle camp si immergono nella sua vita e respirano la sua energia, come se non se ne fossero mai andati»
Annuncio pubblicitario
Benvenuti nella società del ricatto
Pubblicazioni ◆ L’ultimo saggio di Marcello Foa
Carlo Silini
Tempestivo e lucido. È il minimo che si possa dire dell’ultimo saggio di Marcello Foa, La società del ricatto. E come difendersi, appena pubblicato da Guerini e Associati per la collana Scintille. Il testo è stato infatti presentato in anteprima a Lugano proprio nei giorni in cui il presidente Usa Donald Trump scatenava la guerra commerciale dei dazi, esprimendo forse la più chiara declinazione del proprio metodo di pressione – o, a dirla tutta, di ricatto appunto – sul resto del mondo.
L’autore è molto noto in Ticino per aver diretto dal 2011 al 2018 il Gruppo Corriere del Ticino e in Italia per essere stato per tre anni, dal 2018 al 2021, presidente della Rai, un exploit notevole per qualcuno che vive a Lugano. Mentre continua ad insegnare (alla Cattolica di Milano e all’USI di Lugano), e ad animare la trasmissione Giù la maschera su Rai Radio 1, Foa trova il tempo per tornare alla stesura di saggi che, fin dalla prima uscita (Gli stregoni della notizia, ormai un classico sul fenomeno degli spin doctor) si misurano con aspetti macroscopici, ma non per questo facilmente percepibili, della comunicazione e della politica internazionali.
Il tema cruciale della sua ultima fatica sono i ricatti ai Governi sovrani nell’era globalista. Ma è interessante anche lo sviluppo del fenomeno in altri ambiti e altrettanti capitoli: dal giornalismo, al mondo del lavoro, al-
le stesse relazioni interpersonali, dove Foa denuncia – facendo parlare due psicologhe – «l’orrore della manipolazione emotiva». Noi qui ci concentreremo «solo» sulle questioni geopolitiche legate ai ricatti. Partendo dalla Cina che, osserva l’autore, esercita forse il più terribile dei ricatti nei confronti dei propri stessi cittadini, quello del «credito sociale», in cui «grazie alla tecnologia ogni comportamento dei cittadini viene valutato alla stregua di una patente a punti con punizioni terribili per gli indisciplinati». Più raffinata la sua strategia rispetto al mondo esterno, come dimostra la faccenda delle Terre rare, indispensabili per il funzionamento delle nuove tecnologie. L’Occidente ha puntato tantissimo su di esse, ma il 70% delle materie prime è controllato da Pechino. Senza contare che i cinesi producono il 60% dell’acciaio del pianeta. Strumenti di ricatto ne hanno in mano parecchi, insomma. E li usano. Idem i russi, che pur avendo un Pil come quello della Spagna e una forte crisi demografica (calo delle nascite, invecchiamento della popolazione e aumento dell’emigrazione), hanno usato per anni l’arma del petrolio e del gas per esercitare un’immensa pressione sull’Europa, che fino all’esplosione del conflitto in Ucraina, è stata la principale destinataria delle sue forniture energetiche. «L’eccessiva dipendenza energetica da Mosca aveva messo non
solo la Germania ma tutta l’Ue in una condizione di debolezza e dunque di ricattabilità».
Un altro esempio di ricatto internazionale viene dalla Turchia di Erdogan, che per trattenere i migranti sul proprio territorio aveva ottenuto
Veduta del campo profughi di Kilis, in Turchia. La migrazione viene usata come arma di ricatto sull’Europa da Erdogan che trattiene i fuggiaschi in cambio di molto denaro dall’Ue, e prima ancora da diversi Paesi del Nord Africa. (Wikimedia commons)
dall’Ue dapprima 6 miliardi di euro e cinque anni dopo altri 8 miliardi. 14 miliardi è quindi «il prezzo del ricatto di Erdogan per interrompere l’afflusso di siriani, afghani e pakistani verso l’Europa attraverso la cosiddetta rotta dei Balcani», scrive Foa. Accordi, an-
zi ricatti, simili sono stati fatti con la Libia già ai tempi di Gheddafi, con la Tunisia e con il Marocco, che possono sempre agitare efficacemente il fantasma dell’invasione dei migranti sul fronte Nord del Mediterraneo. Poi, naturalmente, c’è Trump. Foa osserva che «la Casa Bianca non dissimula più i propri obiettivi, li dichiara apertamente e li persegue minacciando dazi, ritorsioni, superando ogni convenzione diplomatica e dunque inaugurando l’era del ricatto diretto e negoziale». Ma ne offre una lettura piuttosto accomodante. Non nasconde ammirazione per il discorso di J.D. Vance a Monaco nel febbraio scorso in cui ha invitato l’Europa e gli stessi Stati Uniti a tornare ad essere alfieri credibili della democrazia. E, a suo modo di vedere, le nuove politiche muscolari Usa dipendono dai trilioni di debito creati da Biden tra il 2020 e il 2024 che di questo passo avrebbero portato l’America alla bancarotta. Sembra una giustificazione machiavellica delle scelte trumpiane («Il fine giustifica i mezzi»). Ma forse non è così. Perché con questi metodi minatori, in pericolo viene messa la stessa democrazia che Trump e Vance pretendono di difendere.
Bibliografia
Marcello Foa La società del ricatto. E come difendersi Guerini e associati, 2025, pp. 192.
Annuncio pubblicitario
Il Mercato e la Piazza
Perché introdurre o alzare i dazi?
Ora che, dopo tanto abbaiare, il cane avrebbe deciso di mordere, si cominciano a vedere le conseguenze negative della morsicatura. Stiamo parlando ovviamente delle conseguenze che sta avendo, anche sull’economia svizzera, l’introduzione dei dazi decisa dall’amministrazione Trump. L’imposizione di un dazio su un prodotto ha, nel mercato del Paese importatore, lo stesso effetto di un aumento di prezzo: fa diminuire la domanda di quel prodotto e riduce la competitività dell’azienda esportatrice nei confronti, per esempio, di competitori locali.
A farne le spese sono in primis i consumatori del Paese importatore e le aziende esportatrici che devono pagare i dazi. A dipendenza dell’importanza dello scambio di merci, anche le economie dei Paesi implicati dovranno sopportarne le conseguenze. Quella del Paese esportatore po-
Affari Esteri
trebbe subire un colpo di freno nello sviluppo delle sue attività. Quella invece del Paese importatore oltre alla frenata nella crescita potrebbe dover affrontare anche un’ondata inflazionistica. E ancor prima di prezzi, crescita o disoccupazione sarà la caduta dei valori di borsa a dare l’allarme. Ma allora se si tratta di soluzioni «lose-lose», con conseguenze negative per tutti, ci si può chiedere per quale ragione un Paese decide di introdurre o di rialzare i dazi. Solo per vedere l’effetto che fa? Nel dare risposta a questo interrogativo i commentatori sono divisi. Ci sono quelli come Eric Gujer, capo-redattore della «Neue Zürcher Zeitung», che pensano che in politica la stoltezza sia un fatto normale e citano una lunga serie di fatti storici per provare la fondatezza della loro affermazione. Altri invece, come per esempio il quotidiano gratuito «20 minuti», affermano che
dietro al comportamento apparentemente irrazionale di Trump e dei suoi c’è un piano, il cosiddetto «accordo di Mar-a-Lago», che perseguirebbe due obiettivi: dapprima quello di rilanciare l’industria degli Stati Uniti e, in secondo luogo, quello di indebolire il dollaro per ridurre il peso del loro debito pubblico. Quanta verità ci sia in queste informazioni resta da vedere. Quello che si può costatare è che il dollaro sta perdendo di valore. Si sta avvicinando agli 80 centesimi di franco.
A farne subito le spese è la nostra Banca nazionale (Bns) che vede le sue riserve in dollari svalutarsi di giorno in giorno. Sembra che quando il dollaro, rispetto al franco, perde un centesimo di valore, la Bns ci rimetta 3,5 miliardi. Più che compensate, nel primo trimestre di quest’anno, grazie all’aumento del prezzo dell’oro, queste perdite dovrebbero invece tradur-
Canada, la vittoria a sorpresa di Carney
Mark Carney ha festeggiato ballando la sua vittoria alle elezioni canadesi: si è tolto l’abito da «uomo di Davos» in cui vogliono classificarlo i suoi detrattori e ha infilato una felpa rosso-Canada con il cappuccio, ha alzato le braccia mentre la band sul palco lo indicava tra gli applausi, ha guardato sua moglie e le sue figlie con lo sguardo che solo un padre ha, e ha ringraziato Donald Trump, che con la sua politica dei dazi e le sue mire annessionistiche ha molto contribuito a questo successo. Il Partito liberale canadese, guidato per un decennio dall’ex premier Justin Trudeau, annaspava fino a due mesi fa a venti punti di distanza nei sondaggi dal Partito conservatore di Pierre Poilievre, energico quarantenne considerato il «Trump canadese» quando Trump era quello che vince, che sbaraglia le sinistre, che conquista i cuori degli elettori, o almeno la loro pancia. Poi Trudeau si è dimesso, per una rivolta interna al suo Go-
verno determinata proprio dal ritorno del presidente Usa alla Casa Bianca. Trump non si era ancora insediato formalmente ma aveva già iniziato a minacciare i dazi, a svilire la sovranità del Canada dicendo che come Nazione non ha alcun senso, come 51esimo Stato americano invece sì, e Trudeau era considerato dai suoi poco preparato per la valanga in arrivo, ancora illuso che Trump annunciasse ma poi non mettesse in pratica. Carney ha preso il posto di Trudeau, ha costruito la resistenza ai dazi e alle minacce del presidente americano, ha indetto elezioni ravvicinate per sfruttare il momento d’oro, ha usato uno slogan caro ai giocatori e ai fan dell’hockey, «elbows up», gomiti in alto, si combatte e ci si protegge, e ha avuto ragione. I commentatori si dividono, nelle loro analisi, tra chi indugia sull’ascesa straordinaria di Carney, ex governatore dei due mondi – prima della Banca centrale canadese durante la
crisi finanziaria del 2009, poi della Banca centrale d’Inghilterra, durante la Brexit – che era stato corteggiato in passato anche dai Governi conservatori per il suo profilo da «tecnico» e che ha saputo maneggiare la ripresa del Partito liberale, e chi invece indugia sulla straordinaria sconfitta della destra di Pierre Poilievre, inimmaginabile fino a poco tempo fa. Poilievre ha pagato il fatto di essere associato a Trump, ma l’ironia sta nel fatto che il leader conservatore canadese ha sì utilizzato slogan trumpiani – sul taglio alle tasse, sulla lotta al crimine – ma sui due temi che definiscono il trumpismo, la battaglia contro i migranti e i dazi, è allineato con la sinistra. Durante la campagna elettorale Poilievre ha cercato di ridefinire il suo posizionamento, ha levato il trumpismo dalla sua retorica, ha spiegato che i dazi sono un danno per il Canada e per l’America, ha raccontato come l’immigrazione sia un elemento fondati-
si, a fine anno, in un largo deficit della Bns. Come si è ricordato qui sopra, Trump spera anche di poter sostituire le importazioni di prodotti e componenti industriali con produzione locale così da rilanciare, nel lungo termine, la sua economia. Non c’è però nessuna garanzia che il colpo riesca. I lettori ricorderanno il pasticciaccio che egli fece, nella sua prima presidenza, imponendo dazi sulle importazioni di acciaio. Da un lato, è vero, gli riuscì di creare nuovi posti di lavoro nelle acciaierie statunitensi. Ma dall’altro, in seguito all’aumento dei prezzi dell’acciaio sul mercato interno, distrusse ancora più posti di lavoro nelle aziende industriali che utilizzavano l’acciaio nelle loro produzioni. Ci sono infine commentatori che reputano che il presidente americano intenderebbe utilizzare i dazi annunciati come merce di scambio per ottenere dai Paesi esportatori altri favori.
I dazi, qui, diventano vere e proprie sanzioni. L’esempio più evidente di queste possibili pressioni è rappresentato da come il presidente sta obbligando i Paesi del Centro e dell’America latina ad accettare il rientro di persone emigrate illegalmente negli Stati Uniti. È pure possibile che un ricatto del medesimo tipo si istalli con i Paesi europei intorno agli obiettivi di una possibile politica di difesa comune. Si annuncia quindi un periodo di negoziazioni internazionali che, sotto la spada di Damocle dei dazi, potrebbe durare tutta la legislatura. Ricordiamo infine che, per alcuni rami esportatori della nostra economia, i nuovi dazi costituirebbero un’autentica mazzata e che data la piccola dimensione dei flussi del suo commercio nel totale delle importazioni degli Stati Uniti, la Svizzera non potrà reagire se non continuando a negoziare.
vo della cultura e della società canadese, ha ribadito la sua accusa contro «il decennio perduto» a causa delle scelte sbagliate della sinistra al Governo, ma non è stato convincente. I canadesi si sono spaventati di fronte a Trump, hanno sentito la sua politica anti-canadese come un tradimento e sono corsi a sostenere il leader più battagliero.
Ora però Carney dovrà trovare un altro modo per dialogare con Washington: con uno scambio commerciale pari a 940 miliardi di dollari, la rottura non è praticabile. La prima occasione potrebbe essere il G7 a giugno, che si terrà nella città di Kananaskis, nello Stato canadese dell’Alberta: la presenza di Trump non è ancora confermata, ma nella conversazione che Carney ha voluto imbastire col presidente americano sembra che si siano dati un mezzo appuntamento. Gli imprenditori canadesi chiedono al premier di inquadrare i negoziati all’interno del
Dalla landamana Koller allo scrittore russo Solzenicyn
Sulla piazza centrale della capitale del Canton Appenzello interno due Landsgemeinde si sono svolte a distanza di cinquant’anni esattamente nello stesso giorno. La data di quest’anno ha segnato una tappa storica non solo per il piccolo semi-Cantone della Svizzera orientale, ma per i diritti della donna in Svizzera. Appenzello interno, già ultimo nell’introdurre nel 1991 il suffragio femminile, domenica 27 aprile ha infatti eletto alla carica di landamano una donna, Angela Koller. Di professione avvocata, la Koller, dopo anni nel legislativo, sarà dunque la prima donna presidente del Governo appenzellese, carica che ricoprirà ogni biennio come da prassi con un altro membro dell’Esecutivo. Mentre seguivo in tv i filmati della nomina, immagini e angoli della capitale del piccolo Cantone mi hanno ricordato la festosità, per molti versi uguale, di un’altra Landsge-
meinde svoltasi sulla stessa piazza e con la stessa gente che applaudiva l’ospite d’onore. Quel ricordo, oltre a spingermi a scartabellare fra le mappette in cui custodisco vecchi articoli, mi convince a relegare in seconda linea la conquista raggiunta da Koller: sulla stessa piazza, nello stesso giorno 50 anni fa, veniva omaggiato Aleksandr Solzenicyn «come scrittore, ma soprattutto come colui che si è battuto contro il Male» (rivelò al mondo l'orrore dei Gulag), dirà alla folla il landamano di allora Raymond Broger. Solzenicyn pubblicò una lunga cronaca di quella domenica di fine aprile 1975, alcuni anni dopo su «Le Monde». Riletto oggi quel testo conserva una attualità che, a mio avviso, supera quella che il grande scrittore russo riuscì a prefigurare nel suo più famoso, ma anche più tenebroso discorso indirizzato tre anni dopo agli alunni dell’Università di Harvard
e giustamente rievocato di recente per criticare i tentennamenti dell’Europa di fronte allo sciagurato cambiamento impresso dal presidente Donald Trump alla politica americana. Il mio è un giudizio sicuramente condizionato dal fatto che l’analisi appenzellese di Solzenicyn è permeata di una visione «elvetica» della democrazia che si spinge sino al perentorio invito a imitare il piccolo semi-Cantone elvetico (ad un certo punto esclama: «Ah! se l’Europa potesse prestare orecchio a questo semi-Cantone di Appenzello; Ah! se i dirigenti delle grandi Nazioni potessero trarne profitto»). Domina, nell’articolo, un sottile e continuo confronto fra quello che lo scrittore vedeva compiersi sulla piazza e quanto il popolo russo era ancora costretto a vivere sotto la dittatura comunista: l’«uomo solo» appenzellese – il mitico landamano Broger,
appena eletto e subito alle prese con il potere della Landsgemeinde che prima gli accetta un aumento delle imposte e poi respinge diverse sue proposte (tra le quali la naturalizzazione di una decina di cittadini italiani) – messo a confronto con l’«uomo solo» del Cremlino che invece non ha né controllori né oppositori. A colpirmi di più è un capitoletto dal titolo «La democrazia ha bisogno di mani forti». Dopo l’elogio al discorso del landamano Broger, Solzenicyn evoca le vicissitudini politiche che il mondo stava vivendo in quel 1975 per affermare innanzitutto che non esiste più un’unica libertà, ma tante libertà particolari; poi che la violenza della nostra epoca, quando onestà e disciplina mancano, è una prova dell’impossibilità di garantire la libertà delle persone e dello Stato. Di conseguenza, pur rimanendo sovrano, come ancora è nelle nostre democra-
nuovo Nafta, l’accordo di libero mercato tra Usa, Canada e Messico che era stato ridefinito dallo stesso Trump durante il suo primo mandato. L’obiettivo è riportare certezza e prevedibilità nei rapporti tra i due Paesi ma queste sono anche le condizioni necessarie per la stabilizzazione dei mercati in generale. Carney vorrebbe fare un passo ulteriore e presentare il Canada come un nuovo punto di riferimento globale, un po’ più vicino all’Europa. I canadesi desiderosi di avvicinarsi all’Ue oggi sono molti di più, e c’è un allineamento sostanziale sul sostegno all’Ucraina oltre che una collaborazione su tecnologia, terre rare, materie prime ed energia. Il blocco europeo e il Canada però condividono anche una delle ragioni dell’ira americana: spendono poco nella difesa. Si stanno attrezzando, e forse Carney può fare da stimolo agli amici europei anche per quel che riguarda la questione più ampia: cosa fare con Trump.
zie, il popolo non può essere presente quotidianamente a dirigere e correggere chi governa. D’altro canto, ammonisce lo scrittore russo, «il Governo non deve preoccuparsi di seguire gli sbandamenti e le fluttuazioni dei voti popolari; una volta eletto o rieletto, deve evitare ogni discorso che seduca gli elettori, ma progredire controcorrente se necessario (…) Una democrazia invertebrata che distribuisce diritti a tutti quanti degenera in democrazia servile». Impressionante infine la premonizione che Solzenicyn esprime prendendo spunto dall’attualità di quei giorni. Evocando il disastro degli Usa in Indocina, con il precipitoso abbandono del Vietnam e con il ritiro dalla Cambogia, si domanda: «Di fronte a questa tragedia, noi ci chiediamo: l’America rimarrà fedele ai suoi impegni verso l’Europa?». Mezzo secolo dopo lo stesso interrogativo rimane...
di Angelo Rossi
di Paola Peduzzi
di Ovidio Biffi
CULTURA
Paesaggio d’arte e di accoglienza
Residenze artistiche, iniziative culturali e spirito di condivisione ridisegnano il volto creativo e ospitale della Valposchiavo
Pagina 21
Pomi d’oro e altre visioni della luce
Sperimentazioni e riflessioni su tecniche e arti fotografiche nel percorso di Giuseppe Pennisi, che da sempre fonde tradizione e innovazione
Pagina 23
Voglia di danza
Dal 14 al 18 maggio andrà in scena la Festa Danzante; nel ricco programma, anche uno spettacolo che si ispira a TikTok
Pagina 25
Shirin Neshat, sospesa nella terra di nessuno
Mostre ◆ Il PAC di Milano ospita i lavori di un’artista iraniana che si è spesso dedicata alla figura femminile
Se c’è un elemento ricorrente nelle installazioni video di Shirin Neshat, come osserva giustamente Adam Geczy nel suo contributo per il catalogo della mostra dedicata all’artista di origine iraniana attualmente in corso al PAC di Milano, è la frequente presenza come protagonista principale di una figura femminile che quasi sempre appare confinata nella propria solitudine. Anche quando sono circondate da altre persone, le donne al centro dei video di Neshat risultano infatti avvolte in un algido e solenne distacco che le separa e le isola dal mondo all’interno del quale si muovono. Per Geczy questa condizione, che da un lato richiama la solitudine dell’artista romantico, può essere interpretata come la manifestazione di uno stato di alienazione psicologica rispetto a un contesto di estraneità e d’imposizione, in questo caso quello del fondamentalismo islamico, con le cui rigide regole patriarcali le donne iraniane devono confrontarsi da molti decenni. Per quanto il riferimento alla condizione femminile in Iran sia indubbiamente pertinente è però evidente che l’isolamento che traspare dalle opere di Shirin Neshat abbia un fondamento molto più intimo e personale nella diretta esperienza di vita dell’artista. Del resto, lo stretto legame tra la sua vicenda personale e la sua decisione di intraprendere una carriera artistica è stato evidenziato in molte interviste dall’artista che ha però sempre negato l’esistenza di espliciti e diretti riferimenti autobiografici nel suo lavoro. Nata nel 1953 a Qazvin in una famiglia appartenente al ceto medio-alto, nel 1975 Shirin Neshat decise di trasferirsi in California per studiare arte. Dopo la rivoluzione islamica del 1979 e l’avvento al potere dell’Ayatollah Khomeini, la sua famiglia, che aveva sempre sostenuto lo scià, perse il proprio status economico e sociale, mentre lei decise di rimanere definitivamente negli Stati Uniti e si trasferì a New York. Fu solo nel 1990, dopo la morte di Khomeini, che ebbe modo di ritornare per la prima volta in Iran. In quell’occasione, osservando le enormi trasformazioni che avevano segnato il Paese in poco più di un decennio, nacque in lei l’idea di una serie di lavori artistici che nel giro di pochi anni l’avrebbero proiettata ai vertici della scena artistica internazionale.
Abbandonata la pittura, a cui si era dedicata con esiti piuttosto mediocri, come ricorda lei stessa, Shirin Neshat realizzò, tra il 1993 e il 1997, la serie fotografica Women of Allah. Ormai celebri e presenti nelle collezioni dei principali musei del mondo, queste fotografie raffigurano delle donne – in molti casi si tratta dell’artista stessa – avvolte in un chador nero e
spesso affiancate da armi, quali fucili e pistole. Le parti del corpo scoperte di queste figure – mani, volto e piedi – sono invece ricoperte da scritte in farsi che simulano la pratica dei tatuaggi festivi diffusi in Medioriente, ma che l’artista ha tracciato con l’inchiostro direttamente sulla superficie delle fotografie. Incomprensibili per lo spettatore occidentale, le scritte riprendono passaggi di poemi contemporanei, rispecchiando la sostanziale ambiguità di questi ritratti femminili che risultano al contempo minacciosi e fragili. In alcune opere compaiono infatti frammenti della poetessa Forugh Farrokhzad, che in quegli anni si batteva contro il dominio maschile e che rivendicava la propria femminilità, parlando liberamente del proprio corpo, della propria sessualità e delle proprie emozioni, mentre in altre troviamo invece i versi di Tahereh Saffarzadeh, una poetessa che negli stessi anni dava voce a quelle donne che avevano visto la rivoluzione islamica come una liberazione, tanto da inneggiare al martirio e da considerare il velo non come uno strumento di oppressione, ma di emancipazione, visto che celando la sessualità
impediva la loro trasformazione in puro oggetto del desiderio maschile a differenza di quanto accadeva nella cultura occidentale dove, nello spazio pubblico, la donna era continuamente spogliata.
Grazie all’attualità crescente della questione mediorientale e all’emergere di un sentimento di radicale e diffusa contrapposizione tra valori occidentali e mondo islamico, Women of Allah incontrò immediatamente un grande successo e permise a Shirin Neshat di esporre i propri lavori nei principali musei di tutto il mondo. Un successo che venne coronato nel 1999 dal Leone d’oro alla Biennale di Venezia. Tuttavia, furono anche molte le voci critiche che si levarono per contestare un lavoro che rispetto alla tematica che affrontava appariva estremamente estetizzante e che secondo alcuni non sfuggiva agli stereotipi di un esotismo di maniera, finendo per rafforzare i pregiudizi dello spettatore occidentale. L’isolamento dell’artista, ormai sospesa in quella terra di nessuno che è propria degli esuli, né totalmente assimilabile alla nuova cultura occidentale ma, allo stesso tempo, ormai da troppo tempo
lontana dal mondo in cui aveva avuto origine, venne confermato dal fatto che il suo lavoro fu condannato sia dal governo iraniano che da molti esponenti della diaspora iraniana. Anche a causa delle critiche sollevate da Women of Allah l’artista, alla ricerca di una modalità maggiormente narrativa, decise alla fine degli anni Novanta di abbandonare la fotografia e di spingersi nel campo dell’immagine in movimento.
Le sue opere filmiche, caratterizzate da un bianco e nero raffinato e visivamente curato in ogni dettaglio, sono diventate da quel momento lo strumento principale con cui dare corpo alle sue riflessioni sulla condizione della donna nell’Islam e più in generale sulle dinamiche tra i generi e sul rapporto tra individuo e strutture sociali. Questa ricerca di una dimensione narrativa, che l’ha vista avventurarsi successivamente anche nel campo della cinematografia – assieme al compagno, il regista Shoja Azari, anche lui di origine iraniana, ha realizzato due lungometraggi, uno dei quali premiato con il Leone d’argento a Venezia – si è tradotta negli scenari onirici e nelle ambientazioni atem-
porali di universo in cui reale e simbolico si mescolano sulla base di un approccio stilistico che lei definisce «realismo magico». Per quanto politicamente improntato, il suo lavoro non è quindi strettamente assimilabile all’attivismo oggi così diffuso in ambito artistico. Tuttavia è forse proprio perché non sono ancorate in un preciso e ben definito contesto storico che le solitarie protagoniste dei suoi video non riescono a sfuggire, come ha osservato Shohreh Shakoory, una giovane storica dell’arte iraniana che vive in Germania, agli stereotipi e a dare veramente voce in Occidente alle migliaia di donne che, anche dopo l’uccisione nel 2022 di Mahsa Amini, continuano ogni giorno a lottare in Iran per sfuggire al dominio opprimente del patriarcato unendo i loro corpi in un grande abbraccio collettivo.
Dove e quando Shirin Neshat, Body of Evidence, Milano, PAC (Via Palestro 14). Fino all’8 giugno 2025. Orari: ma-do 10.00-19.30; giovedì 10.00-22.30; lunedì chiuso. pacmilano.it
Shirin Neshat, Rapture,1999. (Courtesy of the artist, Gladstone Gallery and Noirmontartproductions. Copyright Shirin Neshat)
Elio Schenini
Un polo culturale alpino
Politica culturale ◆ Artisti internazionali, in Valposchiavo, trovano ispirazione e accoglienza grazie a un territorio in evoluzione
Luca Beti
Un tempo considerata periferica, oggi la Valposchiavo è un polo culturale vibrante. Da anni accoglie artisti e artiste in residenza, offrendo loro un rifugio creativo tra le montagne e arricchendo il proprio territorio e la comunità. Sono le dieci di sera. Il fuoco crepita nel caminetto. Nell’aria c’è profumo di resina e pizzoccheri. Le voci e le lingue si mescolano intorno a un tavolo dopo un concerto di musica d’avanguardia. Siamo a Poschiavo, in un palazzo patrizio e, ancora una volta, si ricrea quell’atmosfera di familiare condivisione e complicità tra gente locale e artisti di mezzo mondo. «La musica parla un linguaggio universale. Devi solo aprire le orecchie per ascoltarla», afferma Cornelia Müller, che da oltre due decenni condivide con la popolazione della Valposchiavo, valle di lingua italiana nei Grigioni, il suo amore per il jazz contemporaneo e la musica improvvisata. Per tredici anni, dal 1999 al 2012, l’artista poliedrica ha organizzato l’Uncool Jazz Festival e dal 2013 propone l’omonimo Artists in residence.
In Valposchiavo, le residenze artistiche sono diventate parte della vita locale. Non un’eccezione, ma una pratica costante
E, come accade quasi ogni mese, di sabato sera, la musica sperimentale ha portato un pubblico di pochi intimi oltre la corona di montagne di una valle remota. A trasportarli altrove, come moderni Caronti, sono Nicoletta Favari, pianista italiana, e Christopher Sanvito, percussionista americano. Il concerto è un loro regalo alla valle. «Siamo affascinati dal modo in cui la musica prende forma ai margini, nei luoghi di transizione e di incontro», racconta Nicoletta. Ad attrarli in Valposchiavo – mentre si trovavano in Giappone, dopo essere stati
in quasi sessanta Paesi – è stata la sua posizione di confine, un luogo dove le culture si incontrano e si contaminano: «Ogni luogo ha lasciato un segno nella nostra evoluzione artistica», sottolinea Nicoletta. E il loro passaggio in Valposchiavo ha sicuramente lasciato un’impronta perché la loro musica ha dato vita a un dialogo tra luoghi pieni di storia e suoni effimeri. Un dialogo fortemente voluto da Cornelia Müller, originaria di Zurigo e con radici poschiavine. Dopo aver vissuto a Düsseldorf e Berlino, Müller è tornata nella casa dei nonni a Poschiavo. «Volevo costruire un centro culturale nella Fabbrica Ragazzi, ma il progetto è naufragato a causa dell’elevato costo dell’immobile», spiega. «Sentivo il bisogno di condividere la musica straordinaria che avevo ascoltato in giro per il mondo con la gente del posto. Ma volevo anche offrire la possibilità agli artisti di trascorrere del tempo in un ambiente ispirante, abbracciati da montagne meravigliose e avvolti, di notte, da una coperta di stelle, ormai invisibili in città». Da questo desiderio è nato prima il festival Uncool, poi il programma di artisti in residenza.
A dodici anni dalla nascita della prima residenza, la Valposchiavo ospita oggi tre centri creativi con identità ben definite: il primo, quello di Cornelia Müller dedicato alla musica; il secondo, di Paola Gianoli, alla danza; e l’ultimo, in ordine di tempo, quello ideato e diretto da Begoña Feijoó Fariña, alla letteratura, alla traduzione e all’illustrazione. Queste iniziative hanno trasformato la valle in un crocevia culturale. «Poschiavo è diventata terra di residenze artistiche», conferma Kaspar Howald, direttore di Graubünden cultura, ricordando che nel Cantone trilingue se ne contino circa una decina. «Le residenze sono un’opportunità di scambio tra centri urbani e periferie e arricchiscono tanto gli artisti quanto il territorio».
L’ex direttore di Valposchiavo Turismo ricorda inoltre che l’aspetto economico non è secondario: le residenze portano turismo culturale, generano un indotto economico e aumentano la visibilità della valle anche all’estero. Alcuni artisti e artiste hanno anche deciso di stabilirsi temporaneamente o definitivamente a Poschiavo, come la cantante siberiana Sainkho Namtchylak, che nel 2021 ha trascorso un anno in valle, oppure la coppia di musicisti di Seattle Wayne Horvitz e Robin Holcomb, che trascorrono ogni anno la primavera nel borgo, tenendo anche dei concerti.
Per Paola Gianoli, danzatrice di contact improvisation e attiva nell’ambiente svizzero della danza, il ritorno nella sua terra d’origine, dopo aver vissuto a lungo a Ginevra, è coinciso con la creazione dell’associazione culturale Riverbero. Il suo obiettivo: portare progetti artistici di danza contemporanea di alta qualità in Valposchiavo.
La terza offerta di residenza è denominata Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo ed è stata ideata da Begoña Feijoó Fariña, di origine spagnola che vive nella valle grigionese e sogna una residenza capace di accogliere simultaneamente artisti e artiste di diverse discipline. Un luogo dove musiciste, danzatori, drammaturghe e pittori possano ispirarsi a vicenda.
Va peraltro detto che i progetti oggi già esistenti si sono concretizzati con buona accoglienza della popolazione, la quale si è dimostrata essere aperta e curiosa. Un’apertura e una curiosità apprezzate anche dal Patrimonio svizzero, che quest’anno ha assegnato il Premio Wakker alla Valposchiavo, riconoscendole non solo la gestione esemplare del patrimonio architettonico, ma anche la vivace offerta culturale, che spazia dai concerti alle mostre d’arte, dagli spettacoli di danza fino alle proiezioni cinematografiche. Una vivacità che affonda le sue radici nel patrimonio storico-culturale lasciato dall’emigrazione. Molti valposchiavini, dopo aver esercitato il mestiere di pasticcieri nelle metropoli europee, al loro ritorno non portarono solo ricchezza economica –testimoniata dai Palazzi patrizi che caratterizzano il borgo – ma anche nuove influenze culturali. Un’eredità che ha saputo convertire il parziale isolamento geografico in un’opportunità per sviluppare una forte identità culturale autonoma, dinamica e all’avanguardia.
Note Le tre residenze sono sostenute anche da Percento culturale Migros.
Il Banco si rinnova, senza rinnegarsi
Musica ◆ Storie invisibili conserva uno stile inconfondibile anche nei brani più «canzonettistici»
Alessandro Zanoli
Lasciateci iniziare con un commento ironico ma allo stesso tempo molto affettuoso: incontrare oggi e ascoltare parlare Vittorio Nocenzi, leader del Banco del Mutuo Soccorso, è un po’ come trovarsi di fronte, con devozione e rispetto profondo, a un eroe del Risorgimento. La sua statura imponente, la sua barba candida, il suo eloquio controllato e forbito sono davvero quelli di un reduce garibaldino: nel caso specifico, «reduce dell’epoca prog» è invece la descrizione che si attaglia più precisamente alla sua figura. E nella foto interna alla copertina dell’album pubblicato di recente, lo si vede circondato dai nuovi membri della formazione, i quali volgono significativamente lo sguardo verso di lui, come per una forma di meritato tributo alla sua gloriosa carriera.
Abbiamo avuto la fortuna di assistere alla presentazione ufficiale del nuovo disco, tenutasi nelle scorse settimane al Lac di Lugano. Erano presenti, oltre a lui, il figlio Michelangelo, che verosimilmente erediterà la conduzione musicale del Banco, e che già da vario tempo collabora con il padre nella scrittura e anche all’esecuzione dei brani, nei numerosi concerti che la formazione è chiamata a tenere ancora in giro per l’Italia. Michelangelo, dice Vittorio, è stata una sorprendente scoperta per lui. Ascoltando delle sue composizioni, negli scorsi anni, si era ritrovato in una strana situazione: «Mi pareva che fossero pezzi composti da me» racconta, e, sorpreso da questa esperienza, ha cominciato a pensare di integrare quelle canzoni nel repertorio. Già a partire da Transiberiana del 2020, infatti, Michelangelo risultava co-compositore dei brani del gruppo. In seguito, il giovane Nocenzi è stato sempre più coinvolto nel progetto musicale del Banco, fino a diventarne anche esecutore dal vivo, prendendo peraltro idealmente il posto che era stato dello zio, Gianni Nocenzi,
nei primi gloriosi album degli anni 70. Dal punto di vista compositivo, la differenza, comunque, per noi appassionati di lunga data, si sente. Michelangelo scrive e suona con una freschezza e un’attenzione alle pulsazioni della musica contemporanea perfettamente individuabili. Se il vecchio Banco portava nel suo stile reminiscenze ed echi di certa musica classica e per certi versi anche la cantabilità del repertorio operistico italiano (grazie alla splendida personalità del compianto cantante Francesco Di Giacomo) il Banco di oggi propone brani più nervosi e «canzonettistici», necessari probabilmente per trovare spazio nelle playlist del pubblico più giovane. Anche il piglio generale, come per il già citato album precedente Transiberiana, è decisamente rockeggiante e meno «prog» in senso sinfonico. Il disco chiude la serie definita dallo stesso Nocenzi come «una trilogia sull’esistenza umana», comprendente Transiberiana (2020) e Orlando: le forme dell’amore (2022). Storie invisibili nasce dal desiderio di raccontare in musica le storie di persone «normali» che vivono la loro esistenza lontano dai riflettori, ma che non per questo sono meno importanti per la società. Una sorta di catalogo di figure apparentemente trascurabili, come il contadino, o lo studente, la cui invisibilità porta però in sé un valore e un’importanza di interesse generale. Dal punto di vista tematico, il ricorso a testi a sfondo sociale è un tratto di stile già noto ai fan della prima ora del Banco, e ci ricorda ad esempio il disegno ideale di Io sono nato libero. Dal punto di vista musicale, invece, per ogni canzone la sorpresa è dietro l’angolo. Un orecchio di riguardo, secondo noi, va prestato a Senza nuvole, composta da Vittorio, e che, come ci suggerisce un caro amico, aspira a trovare un posto accanto a Non mi rompete nel cuore degli appassionati. Chi conosce il Banco, sa cosa intendiamo…
Un nuovo disco per il Banco, con il fresco apporto di Michelangelo Nocenzi, figlio del leader Vittorio.
Veduta della Valposchiavo, fotografata da Cavargna. (Matteo Cortesi)
Giuseppe Pennisi, fotografo eclettico
Primi piani ◆ Dalla scatola magica all’intelligenza artificiale, così evolve un autore che ama esplorare le più disparate possibilità Stefano Spinelli
È nella sua bella casa-studio di Lugaggia, affacciata sui Denti della Vecchia, che oggi incontriamo Giuseppe Pennisi, fotografo eclettico, dal percorso sfaccettato, alla continua ricerca della bellezza.
Pennisi nasce a Bronte, in Sicilia, una terra che lascerà da bambino quando, al seguito dei suoi genitori, verrà a mettere radici in Ticino. Dalla Sicilia porterà con sé quella vivacità, quell’intraprendenza e quella luce nello sguardo in cui sovente ci s’imbatte visitando quest’isola.
L’incontro con la fotografia avviene grazie alle riviste fotografiche che scopre da adolescente: «Dopo averne viste alcune mi sono messo in testa che da grande volevo fare il fotoreporter, questo era il mio grande sogno». Erano gli anni Sessanta e in quell’epoca vi era un gran fiorire di queste pubblicazioni che, colte o meno che fossero, grazie alla loro larga diffusione parteciparono a rendere popolare la cultura fotografica.
Terminate le scuole dell’obbligo, grazie a un po’ di fortuna, Pennisi intraprende un apprendistato come fotografo da Brunel, che a quel tempo era uno degli studi fotografici più prestigiosi di Lugano. Ciò gli permetterà di acquisire una solida formazione professionale nei campi in cui lo studio era specializzato: fotografia d’arte, di architettura e ritrattistica. Diplomatosi nel 1973, anziché abbracciare la professione di fotoreporter, su richiesta dello stesso Brunel proseguirà il rapporto di lavoro con lo studio – di cui diverrà responsabile – per quasi un ventennio, ossia fin quando questi chiuderà.
Pennisi, che da un po’ di tempo – sulla spinta di un bisogno crescente di libertà – aveva già cominciato a lavorare a metà tempo per conto suo, si mette in proprio aprendo uno studio a Tesserete: «È stata, come si dice, la giornata della mia vita, il periodo più bello in assoluto, c’era tanto tanto lavoro e potevo fare quello che volevo». Siamo negli anni Novanta. Dallo studio Brunel aveva ereditato diversi clienti importanti, tra i quali anche la Fondazione Thyssen. E proprio questa collaborazione, destinata a durare per diversi anni, gli offrirà l’opportunità di confrontarsi con le opere dei grandi Maestri dell’arte antica e moderna – dei capolavori assoluti – dai quali assorbe la loro riflessione sulla luce e l’equilibrio compositivo.
È per lui una scuola impareggiabile se consideriamo, come ci dice lui stesso, che tutto ciò che creiamo parte dal bagaglio di pensieri, immagini, esperienze, che interiorizziamo nel corso della nostra esistenza: «Quando stai cercando di fare una fotografia, cosa sono le immagini che hai nella tua testa? Cosa stai cercando come composizione? Se cerchi una luce un po’ bella, cosa ti viene in mente? Ti viene in mente Caravaggio, o Rembrandt. Perché in un quadro, hai visto quella luce lì. In realtà non s’inventa niente. Si modifica un po’, si adatta al proprio pensiero, ma la scintilla viene sempre da qualche altra parte».
Come indipendente, in quel periodo sarà attivo anche nel campo della fotografia industriale, settore che apprezza, amando particolarmente realizzare still life. È, questa, una fase di grande attività, impegnativa ma felice, fertile, in cui sente di aver raggiunto una sua maturità professionale. Questo momento va pure a coincidere con il progressivo avvento della fotografia digitale. A differenza di mol-
ti professionisti della sua generazione, Pennisi non si tira indietro e frequenta un corso di aggiornamento mirato all’apprendimento dei nuovi strumenti messi a disposizione del fotografo: perfeziona l’uso di Photoshop, impara a realizzare prodotti multimediali, a progettare e a mettere in rete siti internet. Ma allo stesso tempo, come succede con altri fotografi, il digitale gli trasmette un certo disagio: sente che con questa tecnologia è avvenuto un cambiamento profondo nella natura della fotografia, differenziandosi assai dalla pratica che aveva fin lì esercitato.
La sua intraprendenza in questo nuovo settore gli darà, a livello locale, una posizione di vantaggio. Nel 2000 viene contattato dalla VRWAY, una società che intendeva muoversi nel nascente campo della fotografia sferica (quella, per intenderci, a 360°), di cui si era peraltro già impratichito durante il corso di aggiornamento. Pennisi accetta la sfida. Dovrebbe essere una collaborazione di pochi anni, invece finisce per rimanervi ben quindici, alla guida del dipartimento fotografico, provando ad applicare la sua sensibilità artistica a questo tipo di fotografia: «Rimaneva sempre tutto chiuso lì, in questo 360°. Non è che c’erano grandi sbocchi estetici, ma credo di aver già fatto delle cose interessanti, nel senso che ho introdotto molti elementi della fotografia classica in quella realtà, che era molto tecnica e documentaria, diventando un importante punto di riferimento stilistico per tutta la comunità internazionale di fotografi panoramicisti. L’applicazione (N.d.R. nel senso di app) del progetto, per l’elevata qualità delle immagini fotografiche contenute, oltre 3mila, è stata selezionata nel 2010 dalla Apple per essere preinstallata su tutti gli iPad 2 nei 135 principali Apple store del mondo».
ritratti in bianco e nero. Ma ormai è il digitale a esser divenuto lo strumento principe del suo agire fotografico e, oltrepassato da tempo il disagio iniziale, si dedica alla sperimentazione di alcune delle strade che questa tecnologia offre. Innanzitutto, con l’ambizione di raggiungere la perfezione, approfondisce l’ambito della stampa digitale in bianco e nero ai pigmenti di carbone,
producendo una serie di still life (intitolata Lux) : sono studi di luce molto raffinati, di sapore fiammingo, ricchi in sfumature di grigi, dalle forti texture
A caccia di cornici, in un mercatino dell’usato acquista un quadretto la cui immagine all’interno – se ne accorge solo in un secondo tempo – è stampata su vetro. Sarà lo spunto che lo porterà a esplorare questa tecnica, con le
varie e complesse problematiche che comporta. Testa varie soluzioni, specialmente per il fondo – che permette di leggere l’immagine, altrimenti trasparente. Non si accontenta del classico bianco, e cerca altro fino ad arrivare alla foglia d’oro. Dovendo realizzare delle foto di mele per un’esposizione, decide di utilizzare proprio questa tecnica. Ne sortirà un gruppo d’immagini di grande effetto, I Pomi d’oro – con stampe fino al grande formato – che raccoglierà largo consenso tra il pubblico.
Tutte queste tecniche – camera obscura, bianco e nero, foto su lastre –, pur utilizzando gli strumenti di oggi, fanno in un qualche modo riferimento alla storia della fotografia come pure alla pittura, a cui s’ispira per soggetti e modo di procedere. Lavorando in digitale, Photoshop funge da camera oscura con cui, spingendo a oltranza la lavorazione dei files, arrivare a poco a poco, strato dopo strato – come avviene per un dipinto – al risultato finale. Ed è proprio con questo procedere che dà vita alla serie CMYK, una raccolta di quadri fotografici in cui il colore e l’astrazione stanno al centro del linguaggio visivo.
Il passo successivo è l’incontro con l’intelligenza artificiale, che Giuseppe Pennisi ha iniziato da qualche tempo a investigare. Ma questo è un altro discorso, che avremo forse modo di verificare più in là di persona.
In quegli anni, Pennisi viaggerà in lungo e in largo per l’Europa – oltre che in Cina, quando la VRWAY deciderà di aprirvi un suo portale – andando a scoprire realtà che difficilmente avrebbe avuto altrimenti l’occasione di conoscere.
Chiusa questa esperienza, ormai prossimo alla pensione, oltre a cogliere qualche buona occasione di lavoro, Pennisi può finalmente dedicarsi alla realizzazione di progetti suoi (visionabili nel suo sito giuseppepennisi. ch), mettendo in vario modo all’opera quella vasta collezione di tecniche acquisite nell’arco del suo quarantennale percorso. Vediamone brevemente e in ordine sparso alcuni.
Fa un ritorno all’analogico costruendosi una camera obscura, da lui chiamata Scatola Magica, con la quale esporre direttamente le immagini su carte argentiche positive. Con questa macchina fotografica elementare realizzerà un’ampia e particolare serie di
Incontri ◆ A colloquio con la coreografa Anna-Marija Adomaityte, ideatrice di uno spettacolo che guarda al mondo di TikTok invitando il pubblico a una riflessione
Ida Moresco
Per farne uno bastano pochi ingredienti: uno smartphone e un social, e il TikTok è servito. I video verticali con i microballetti che si accompagnano ai tormentoni web del momento rimbalzano così da un angolo all’altro del mondo. Le mosse sono sempre le stesse, sempre ipercodificate, a cambiare sono unicamente i protagonisti, femmine e maschi di solito accomunati dalla giovane età.
Nei balletti o trend di TikTok tutto ruota intorno alla tensione tra esposizione e solitudine, tra volgarità e fragilità
Ma cosa è, in fondo, un TikTok?
Semplicemente un breve video che permette a chi lo gira di fare parte di una community, forse anche gonfiando il proprio ego, oppure c’è dell’altro?
È proprio questo il punto di partenza dell’indagine della coreografa Anna-Marija Adomaityte, nata in Lituania nel 1995, studi alla Manufacture di Losanna, e vincitrice dello June Johnson Newcomer Prize 2024. Attraverso lo spettacolo TikTok-Ready Choreographies, che andrà in scena a Lugano il 17 maggio nell’ambito della Festa danzante, e grazie alla collaborazione di giovani adolescenti, Anna-Marija Adomaityte cerca di sondare un linguaggio dei segni definito a tratti «oscuro» per gli occhi esterni, ma che rivela il desiderio di volere essere un mezzo espressivo a tutti gli effetti. Ne abbiamo parlato direttamente con la coreografa.
Anna-Marija Adomaitytė, il fatto che lei si occupi di TikTok nell’ambito della danza incuriosisce, poiché promette di restituirci una prospettiva diversa. Da dove viene questa idea?
Durante la creazione delle mie prime due performance coreografiche
(workpiece, 2020 – ispirata dalla mia esperienza di lavoro da McDonald’s – e Pas de deux, 2021 – sulla rappresentazione della coppia eteronormativa) non ho avuto modo di vedere crescere da vicino i miei cuginetti. Vivo in Svizzera dal 2014, dunque lontana dalla mia famiglia, che risiede in Lituania. Quando ci andai nell’inverno del 2021, mi resi conto che nel frattempo i cuginetti erano diventati adolescenti, e un giorno mi mostrarono TikTok. Dopo quell’incontro realizzai come quel social non fosse presente solo nelle loro vite, ma anche nella maggior parte delle vite degli altri adolescenti. È dunque nato in me il desiderio di comprendere TikTok come fenomeno sociale. Ho lavorato con i tiktoker più attivi, ossia gli stessi adolescenti, invitan-
doli a partecipare alla creazione di TikTok-Ready Choreographies, una co-produzione di Pavillon ADC e Théâtre Vidy-Lausanne.
In qualche modo TikTok ha frammentato la danza, riducendola a brevi sequenze di movimenti. Vede questo processo come un impoverimento, o da qualche parte c’è anche un arricchimento?
È vero, i balletti di TikTok durano qualche secondo. I giovani tiktoker mettono in scena i propri corpi nella verticalità stretta dei loro telefoni. Con lo sguardo fisso all’obiettivo come se fosse uno specchio, alcuni di loro si offrono allo sguardo e al giudizio di un pubblico invisibile, i milioni di adolescenti dall’altra parte dello schermo. Altri, invece, hanno
Festa danzante: gli eventi in programma dal 14 al 18 maggio 2025
Nel corso della Festa danzante, anche le Biblioteche cantonali di Bellinzona e di Mendrisio si animeranno esponendo libri legati al mondo della danza. Mercoledì 14 maggio
Mendrisio – Cinema Teatro: 18.3020.00, Bödälä – Dance The Rhythm. Regia di Gitta Gsell (2010, ’80); Museo d’arte: 20.30-21.15, Corpi critici Cie Fluctus , performance in dialogo con la mostra in corso.
Giovedì 15 maggio
Chiasso – Cinema Teatro: 18.30-20.00, Dance on Screen / Resilience & Revelations. Cortometraggi di danza internazionali e svizzeri; 18.30–20.15, Dance N’Speak Easy, Cie Wanted Posse.
Venerdì 16 maggio
Lugano – Piazza Cioccaro: 13.0013.30, Faking It Cie Joshua Monten , danzando nella giungla urbana; Terrazza Punta Foce: 18.00-18.30, Faking It Cie Joshua Monten; Teatro Foce: 18:45-19:45, incontro con Giuseppe Comuniello (danzatore e coreografo) e Lorenzo Conti (consulente danza al LAC). Segue il documentario
Agorà Le città vicine di Matteo Maffesanti. Teatro Foce: 20.45-21.30, Dance on tour, TikTok-Ready. Choreographies. Cie A M A / Anna-Ma-
Vent’anni di passione
Festa danzante ◆ Quattro giorni ritmati da incontri, laboratori e performance
account di TikTok privati. I balletti, o trend, di TikTok possono essere molto sfaccettati. Se alcuni trend si adeguano alla fantasia patriarcale di Lolita, altri sovvertono l’erotismo con allegria e autoironia, oppure difendono un’immagine del corpo diversa o positiva. È impossibile dire con certezza se i balletti di TikTok siano uno spettacolo intimo oppure puro artificio. Tutto ruota intorno alla tensione tra esposizione e solitudine, volgarità e fragilità. Tra gesti virtuosistici ed evidenti marcatori sociali, tra l’obbedienza a un ordine coreografico e un’energia incontrollabile.
Crede che attraverso TikTok sia in certa misura cambiata anche la relazione tra i giovani e la danza?
Credo di sì: la danza è stata spesso una pratica collettiva, dai rituali alle danze focloristiche, passando da diverse forme di ballo notturno.
Il Ticino si trasforma in un vibrante palcoscenico dedicato alla danza: dal 14 al 18 maggio, torna l’evento che da vent’anni anima le piazze e i teatri della Svizzera. La Festa danzante 2025, che in Ticino coinvolgerà Lugano, Mendrisio, Chiasso, Bellinzona e Locarno (v. box), offrirà un programma ricco di spettacoli, performance urbane, laboratori e una speciale rassegna cinematografica. L’edizione di quest’anno, come anticipato, segna un anniversario importante, occasione fondamentale per mettere in evidenza quanto la danza non abbia mai perso la sua straordinaria qualità di farsi strumento di connessione tra le persone e le culture. Tra gli eventi più attesi, il Flashmob nazionale Dance Is in the Air, ma anche i laboratori, per non parlare dei molteplici spettacoli e incontri a tema. In Ticino, particolarmente suggestivo sarà anche l’incontro tra danza e spazi culturali, con spettacoli site-specific ospitati nei musei, tra cui il Museo Vela di Ligornetto, il Museo Hesse di Montagnola, il Museo d’arte di Mendrisio e Casa Rusca di Locarno. Inoltre, il festival proporrà una serie di performance che spaziano dall’ironia degli spettacoli dedicati agli algoritmi e ai social media – come lo spettacolo Tik Tok – Ready Choreographies, di Anna-Marija Adomaityte, di cui qui a fianco si trova un’interessante intervista –, alle vibrazioni dell’hip hop contemporaneo.
La serata del 16 maggio promette un «venerdì fuori controllo» a Lugano, grazie a diversi incontri con artisti, spettacoli dinamici nelle piazze e un evento techno che animerà la notte, celebrando il rapporto tra musica e movimento.
rija Adomaityte˙; 21.00-21.45, Feeling Good? Coreografie di Marylin Galizia; Studio Foce: 22.00-02.00, Techno-Nection Party, collettivo Suoni di confine
Locarno – Gran Rex: 20.30-22.30, La Danseuse, regia di Stéphanie Di Giusto.
Sabato 17 maggio
Ticino – Diverse Scuole di danza avranno le Porte aperte durante l’intera giornata (v. programma online).
Lugano – Parco Ciani: 9.45-10.45, Lotusmotion, meditazione ballata con Marylin Galizia; 17.30-18.00, Dance on tour, Luup Cie Nicole Seiler; Sala 4- LAC, 10.00-13.00, In ascolto, laboratorio di pratiche corporee condotto da Giuseppe Comuniello.
Bellinzona – Cinema Forum: 18.0019.30, Satin Rouge regia di Raja Amari. Domenica 18 maggio
Montagnola – Museo Hermann Hesse: 14.30-15.30, È già la fine del mondo, video-performance di teatro fisico di Elisabeth Sassi e Cecilia Francesca Croce.
Dance Is in the Air – Flashmob
Sabato 17 maggio alle 14:00, tutti in Piazza Luini a Lugano per il Flashmob che, sulle note di The Code di Nemo (coreografia di Muhammed Kaltuk, https://lc.cx/D0EOql), trasformerà in una sala da ballo anche altre dodici città della Svizzera, tra cui Poschiavo. Nella Piazza comunale della località grigionese, il Flashmob segna anche il debutto della programmazione che accoglie uno spettacolo Dance on tour: Les fleurs sauvages, della MARCHEPIED Cie (Premio svizzero 2024), il laboratorio labaniano Danza Immaginale di Nunzia Tirelli, l’installazione partecipativa Slowed Landscapes di Moni Wespi e tanto altro. Online il programma delle 44 città svizzere. (https://lc.cx/mM7-tV).
Programma dettagliato in pdf
Locarno – Museo Casa Rusca: 16.0016.30, Divina Signa, Cie MOPS_ DanceSyndrome.
I trend o balletti di TikTok però, sono nati come forme di danza individuale nella propria stanza e filmati dalla danzatrice o dal danzatore stesso. Vengono visti da molte persone, ma spesso non ballati all’interno di un gruppo.
Negli anni abbiamo visto figure di ballerini straordinari, come Fred Astaire o Michael Jackson... queste figure saranno un giorno sostituite del tutto da TikTok, come conseguenza del crescente individualismo che contraddistingue la nostra società?
Al di là di qualche eccezione, l’algoritmo di TikTok valuta e spinge contenuti scioccanti, estremi o semplicemente popolari. Tendo dunque a pensare che anche i bravi ballerini della nostra epoca possano trovare un riflettore su TikTok. Resta però che TikTok ha anche moltissimi influencer propri, con milioni di follower, che probabilmente non sono interessati ad attirare l’attenzione al di fuori dei social media.
Dove e quando TikTok-Ready Choreographies. Lugano, Teatro Foce, sabato 17 maggio 2025, ore 20.45-21.30.
Come sempre, anche questa edizione speciale non sarebbe possibile senza il supporto delle istituzioni culturali (tra cui il Percento culturale Migros), degli sponsor e di tutti coloro che rendono la Festa Danzante un appuntamento imperdibile per gli amanti della danza e dell’arte performativa.
Informazioni
Per maggiori dettagli sul programma e sulle modalità di accesso agli eventi in Ticino, il sito ufficiale è festadanzante.ch/ticino.
Un momento della coreografia di Anna-Marija Adomaityte, realizzata insieme a giovani tiktoker. (Elie Grappe)
Pubbliredazionale
PROTEZIONE UV CON FP 50+
GLOW CON VITA MINA C
Festa della Mamma
Alle mamme piaceranno di sicuro
Personalizza i tuoi regali
Puoi dare un tocco personale ai tuoi regali con pochissimo sforzo. Che ne dici, ad esempio, di un buono per un corso di floricoltura di mezza giornata presso la Scuola Club? O di un quaderno personalizzato con una foto? Idee per i corsi della Scuola Club:
Una chiocciola piena
di felicità
La delicata pa sta lievitata con un delizioso ripieno alla cannella o al lampone / vaniglia 3 .60
La popolare varietà estiva è tornata: lampone /vaniglia, disponibile solo per un breve periodo!
Questa of fer ta esclude gli ar ticoli già scontati
Of ferta valida dal 6 5 al 19 5 2025, fino a esaurimento dello stock.
Pågen Gif flar
Girelle alla cannella o lampone / vaniglia 260 g
GUSTO
Cubetti di ghiaccio
Giochi di dadi ghiacciati
Quando i cubetti di ghiaccio tintinnano in un bicchiere, vuol dire che è arrivata l’estate. Ecco come farli risaltare, da dove vengono e tutto il potere del ghiaccio
Arte del ghiaccio
Nel XVIII secolo il ghiaccio si poteva già ammirare, non nel bicchiere, ma come scultura. A quell’epoca, la zarina fece costruire a San Pietroburgo un palazzo di ghiaccio. Oggi, in molti luoghi delle regioni fredde, si tengono festival e concorsi dedicati all’arte della scultura con il ghiaccio. Anche in Svizzera è possibile ammirare l’arte del ghiaccio ai massimi livelli: nel Palazzo del Ghiaccio sullo Jungfraujoch, a 3450 m s.l.m.
Il permafrost
è davvero eterno?
Le calotte polari - cioè l’Artico a nord e l’Antartico a sud - e i loro ghiacciai e campi di ghiaccio sono detti anche ghiacci eterni perché esistono da migliaia di anni e sembrano non sciogliersi mai. Oggi però il termine è a dire il vero fuorviante, perché questo cosiddetto ghiaccio perenne è minacciato dal cambiamento clima-
Dinah Leuenberger
tico e molte aree glaciali si stanno sciogliendo e riducendo da anni.
Ice Ice Baby!
Il ghiaccio è una delle più grandi star della cultura pop. Con queste canzoni e questi film si possono vivere ere glaciali davvero fantastiche: i film «Ricomincio da capo» (1993), «Frozen» (2013) o la serie di film «L’era glaciale» (dal 2002). La canzone «Ice Ice Baby» del rapper Vanilla Ice o «Cold as Ice» dei Foreigner.
Chi ha inventato i cubetti di ghiaccio?
Già nel V secolo, i Persiani costruirono delle celle frigorifere sotterranee, note come yachtschāls, in cui il ghiaccio assicurava la conservazione degli alimenti più a lungo. Ma solo molto tempo dopo si è cominciato a fare i cubetti di ghiaccio. Si deve a tre americani l’invenzione dei cubetti di ghiaccio come li conosciamo
Fantasia di cubetti di ghiaccio
Quando i cubetti di ghiaccio si trasformano in elementi decorativi e aromatici. Qui trovi ricette fantasiose per ogni occasione.
Cubetti di ghiaccio al Ginger Ale Il Ginger Ale è lo champagne delle bevande analcoliche. I cubetti di ghiaccio a base di limonata allo zenzero, frutti di bosco, menta piperita e arancia migliorano con stile i drink delle feste.
Cubetti di ghiaccio al prosecco
Facili da preparare e di grande effetto: i cubetti di ghiaccio al prosecco con frutti di bosco e fiori commestibili sono la sorpresa frizzante in un bicchiere a qualsiasi festa.
oggi. Il primo a intuire il potenziale commerciale del ghiaccio fu il commerciante Frederic Tudor che nel XIX secolo tagliò blocchi di ghiaccio provenienti dai laghi ghiacciati del New England per esportarli in regioni più calde come i Caraibi o l’India. Nel 1851, il medico John Gorrie inventò una macchina frigorifera che produceva ghiaccio artificiale, aprendo la strada ai cubetti di ghiaccio. All’inizio del XX secolo, quando il congelatore si diffuse nelle case, le persone combinarono le due cose per avere in casa il ghiaccio. È però solo a partire dagli anni
Venti che il ghiaccio sarà disponibile in forme grazie alle prime vaschette per cubetti di ghiaccio lanciate sul mercato, come il modello in gomma inventato da Lloyd Groff Copeman del Michigan e brevettato nel 1928. La forma classica e squadrata ha resistito fino ad oggi, ma deve confrontarsi ora con la forte concorrenza delle palline o dei cuori e degli orsetti.
Per ottenere cubetti di ghiaccio cristallino, far prima bollire l’acqua, poi versarla nello stampo e congelare lentamente in modo che le bolle d’aria possano salire e fuoriuscire. A tal fine mettere lo stampo per cubetti di ghiaccio in una piccola borsa frigo e trasferirla nel congelatore. Così il ghiaccio si congela più lentamente.
Caffè freddo
Riempire lo stampo per cubetti di ghiaccio con caffè puro o leggermente zuccherato, congelare e poi scongelare lentamente nel latte freddo per ottenere un caffè freddo rinfrescante.
Cubetti di ghiaccio con tè freddo. Il rooibos, il tè nero o il matcha si prestano particolarmente. Aromatizzano l’acqua o raffreddano più velocemente il tè caldo rendendolo più aromatico.
Vino avanzato? Riempire lo stampo per cubetti di ghiaccio con il vino avanzato, congelare e utilizzare in seguito per risotti e salse. Lo stesso vale per le erbe aromatiche: tritarle finemente e metterle nello stampo per cubetti di ghiaccio con acqua o un po’ di olio d’oliva, secondo i gusti, e congelare.
Ghiaccio in forma
Buono a sapersi
Stampo per sfere di ghiaccio Kitchen & Co. 4 pz. Fr. 8.95
Stampo per cubetti di ghiaccio Kitchen & Co. 1 pz. Fr. 6.95
Consigli
TEMPO LIBERO
Pipette, disegni, immaginazione
Bastano dischetti d’ovatta e gocce di colore per trasformare l’apprendimento in un gioco e un’esperienza creativa in un modo per sviluppare manualità e coltivare lo stupore
In caso di pioggia, camminare
Dopo una Pasqua innaffiata, resta il fascino delle città bagnate calpestate dai viandanti, come quelle del nord Europa, la pazienza degli albergatori e la lezione dei poeti
Uno scrigno di storie, preservato dall’oblio
Itinerari ◆ L’ottocentesco cimitero di Viggiù è al centro di un processo di musealizzazione che lo porterà a diventare tappa di un affascinante percorso artistico-storico sulle tracce di scultori e picasass
A «Pietro Monti, morto il 31 Marzo 1874, di anni 59 i 12 figli» sulla lapide del cimitero di Viggiù scrissero: «Fu uomo di carattere antico, di esemplare amore, sostenne varie cariche popolari, iniziò la biblioteca circolante. La sua mesta sepoltura si tramuta sorridente nell’ara della famiglia, dinanzi ad essa, unico luogo di eguaglianza sintesi l’eloquenza di una vita sacra al bene».
Nel Cimitero Vecchio di Viggiù, chiuso dal 1910, la maggior parte delle tombe è indicata semplicemente da un cippo numerato
A più di un secolo di distanza dalla loro fine, alcune storie sembrano risplendere di vita propria, prerogativa forse indispensabile all’immortalità di chi le rappresenta. È un po’ l’impressione che si ha una volta varcato il cancello del Cimitero Vecchio di Viggiù,
scorrendo sulle lapidi i pochi nomi ancora leggibili di quei personaggi che si distinsero per motivi diversi, e non finirono sotto un anonimo cippo numerato, come la maggior parte della popolazione. Uno era grande contrab-
bandiere: a raccontarlo, il monumento con immortalati i due cani da contrabbando (si dice che ogni giorno da Clivio ne scendessero un centinaio a Stabio, ritornando in collina avvolti dalla bastina contenente caffè e tabacco); un
altro, Santino Pellegatta, giornalista dalla lingua biforcuta, non stilò solo la prima guida turistica su Viggiù nel 1894, ma si attirò anche gli odi di molti contemporanei con il suo giornale Biagio da Viggiuto, che si ispirava al perso-
naggio letterario di Tommaso Grossi; un altro ancora, di nome Gussoni, fu garibaldino convinto, e da Bergamo dove lavorava, nel 1860 raggiunse dapprima la Liguria, e poi, da Quarto, la Sicilia – e quando Garibaldi si
Veduta del Cimitero Vecchio; in basso, la lapide dello scultore Luigi Buzzi Leone e il monumento del contrabbandiere con i due cani; nella pagina a destra, tre vedute dell’antico cimitero.
fermò a Talamone per caricare armi e scaricare gli uomini sposati, lui riuscì a restare nei Mille nonostante avesse già una moglie e una figlia; vi era anche chi poteva permettersi un tondo di Vincenzo Vela e chi spiccava per disposizione all’umiltà: il monumento dello scultore Luigi Buzzi Leone, infatti, non riflette il prestigio che l’artista acquisì grazie al proprio talento. I cognomi riportati dalle tombe annerite dagli anni, dalle ombre e dalle muffe, decorate quasi con garbo, come per un vezzo volontario da muschi ed edere, sono gli stessi che si trovano in gran parte del Ticino, a testimonianza di un confine, quello tra Svizzera e Italia, che è stato – il 3 febbraio del 1550 – frutto di un mero atto politico che non teneva conto degli interessi e della cultura comuni delle genti che vi abitavano (tant’è vero che nei primi anni della «separazione», a chi abitava in prossimità del confine, era permesso spostarsi «dall’altra parte» per le processioni religiose e lavorare nelle cave che si trovavano tra le due nazioni).
La regione in cui si trova il cimitero ha dato i natali a scalpellini, picasass e scultori che seppero distinguersi in Europa
Altrimenti, non si sarebbe spezzato a metà quel fazzoletto di venti chilometri quadrati ricchi di cave che hanno contraddistinto Arzo, Viggiù, Brenno, Saltrio…, dando i natali a innumerevoli scalpellini, picasass e scultori, che a loro volta si distinsero in tutta Europa, dedicandosi alla realizzazione di palazzi monumentali che ce ne parlano ancora oggi. La regione diede vita a dinastie di scultori, come Angelo e Antonio Bottinelli, Luigi e Giuseppe Buzzi Leone, Giuseppe, Giosuè e Antonio Argenti – e da noi, a una manciata di chilometri, Vincenzo Vela e Giovanni Albisetti.
Il cimitero di Viggiù, costruito nel 1820 nel comune a pochi chilometri dai valichi di Arzo, Stabio, Gaggiolo, San Pietro e Ligornetto – fra i primi a sorgere dopo l’editto di Saint-Clod di Napoleone nel 1804, che uniformava le
norme per i cimiteri in materia di prescrizioni igieniche regolamentandone anche la gestione, non più affidata alla chiesa, bensì alle autorità pubbliche – novant’anni più tardi fu chiuso definitivamente, restando per oltre un secolo quasi dimenticato tra le mura di pietra che delimitano da una parte la strada, dall’altra un parcheggio, segnalato all’esterno solo dagli alberi dal fusto altissimo, in parte infragiliti dal tempo, e dalla statua di un angelo misericordioso.
Quando negli anni 60 si ventilò la possibilità di ricavarne un posteggio, vista e considerata la scarsità di soste
per gli automobilisti nelle anguste vie del centro storico del paese di Viggiù, un ricorso di Italia Nostra ne prevenne la realizzazione, decretando così la salvezza di un luogo per la cui presenza oggi sembrano – a giusta ragione – essere tutti grati.
Il piccolo cimitero dal sapore vagamente gotico, dove la natura, pur avendo piede libero, sembra essersi mossa con una certa discrezione, viene aperto al pubblico una volta all’anno, il 2 novembre, in occasione della festa dei morti quando, come sottolinea la sindaca Emanuela Quintiglio, in una cerimonia rispettosa del luogo e di chi
ancora lo abita, si organizza un breve reading, che può essere ispirato all’Antologia di Spoon River così come alla biografia inventata di un picasass sfortunato. Ora, grazie a un ambizioso progetto di studio voluto dall’Università dell’Insubria e dal comune di Viggiù, unito al desiderio di restituire alla cittadinanza un luogo che in fondo le appartiene da sempre – ma che per oltre un secolo è rimasto inaccessibile –, il cimitero sarà sottoposto a un progetto che prevede in una prima fase, delle indagini bioantropologiche, in una seconda, l’apertura del sito al pubblico dopo un opportuno restauro conserva-
tivo. A quel punto il cimitero diventerà tappa di un percorso che dalle cave di Viggiù porta alla splendida Villa Borromeo, con i Musei della scultura viggiutese dell’ottocento e dei Picasass, passando per il Museo Butti con il suo parco, e concludendosi nella quiete sospesa di un antico camposanto. Nella speranza che possa continuare a restare un luogo in cui ci si muove in punta di piedi, e dove ogni storia è ben custodita e protetta dallo scorrere del tempo.
Informazioni
Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
Ricostruire la storia di una popolazione attraverso gli archivi e la bioantropologia
Marta Licata, antropologa dell’Università dell’Insubria (Dipartimento biotecnologie e scienze della vita diretto dalla professoressa Flavia Martinelli), e a capo del progetto che coinvolgerà il cimitero di Viggiù, spiega come in un primo momento siano previste delle indagini antropologiche fisiche, con lo studio dei resti umani; ciò permetterà di conoscere la popolazione da un punto di vista diverso rispetto a quello delle sole fonti scritte, spostando il focus sullo stato di salute della popolazione o sulle conoscenze mediche del tempo.
Marta Licata, con quali modalità e dove avverrà questo processo di ricerca?
Al fine di coinvolgere la popolazione, i lavori si svolgeranno in un laboratorio di studio a Viggiù, messo a disposizione dal Comune. Quest’ultimo, attraverso figure istituzionali come la sindaca Emanuela Quintiglio, ma anche volontari come Daniele Trentini, Beppe Galli o Carlo Veronesi, appartenenti ad Associazioni attive sul territorio, sosterrà i lavori di ricerca non solo per tutta
la loro durata, ma anche nella fase successiva, quando serviranno dei volontari per la gestione del cimitero. L’ultima fase di musealizzazione vedrà la creazione di un’app che permetterà di fare la conoscenza dei diversi viggiutesi indagati sotto il profilo storico-archivistico.
Lavorerete dunque di concerto con gli abitanti di Viggiù?
Esattamente. In questo cimitero le tombe erano per lo più indicate da un cippo, solo chi poteva permetterselo posava una lapide, a terra o sul muro. I cippi riportano un numero e l’anno, ma il registro con i nomi corrispondenti non esiste più, e dunque dovranno ricostruirlo il geometra
Daniele Trentini e lo storico Beppe Galli, cercando gli atti e i registri di morte, tra parrocchia e comune.
È la prima volta che l’Università dell’Insubria si muove nell’ambito della musealizzazione di questo genere di reperti?
Il progetto di Viggiù si inserisce in un processo di Valorizzazione dei siti bioarcheologici da parte dell’Università dell’Insubria e che ha visto pro-
La ricercatrice
dell’Università
dell’Insubria
Marta Licata
insieme all’ex geometra del Comune di Viggiù Daniele
tagoniste tre aree della Valcuvia: San Biagio in Cittiglio, Sant’Agostino in Caravate, e la cripta dei frati francescani del convento di Azzio. A Cittiglio, in un contesto medievale, si può visitare la Chiesa contenente le tombe oggi musealizzate, che a loro volta contengono i reperti osteologici da noi analizzati. Attraverso il QR Code si può accedere ai contenuti riguardanti la persona interessata rilevati dall’antropologo. Ci siamo oc-
cupati anche di uno scheletro ormai divenuto celebre, quello della tomba 13, che ha fatto il giro del mondo. Si tratta di un ragazzo che è stato ucciso e preserva tre tagli a livello del capo. Abbiamo analizzato la sua storia, i suoi ultimi momenti di vita, ne abbiamo ricostruito il volto e abbiamo addirittura provato a ricostruire l’episodio violento che ha portato alla sua morte. Fra i nostri obiettivi, oltre allo studio e alla ricerca, vi sono an-
che le attività di terza missione, che consistono nel dare un contributo al territorio.
A cosa serve l’analisi dei resti umani da un punto di vista bioantropologico?
Essa fornisce elementi preziosi alla narrazione della storia degli antichi abitanti, che risulterà ancora più completa là dove vi sarà la possibilità di sovrapporla all’analisi archivistica. In questo modo si può recuperare parte della storia biologica delle popolazioni grazie alla ricostruzione di un profilo biologico individuale comprendente età, altezza, sesso, patologie presenti, dieta e cosiddetti marcatori occupazionali, riferiti alla probabile attività lavorativa del soggetto. Questo progetto è particolarmente interessante perché abbiamo a disposizione un’intera popolazione; stimiamo che vi siano i resti di almeno duecento persone, ma non ne abbiamo certezza, anche perché nel cimitero non vi è un ossario, e non si sa bene cosa ci sia sotto. Sarà molto importante mantenere l’aspetto di decadenza del cimitero: se sparisse, avremmo rovinato tutto.
Gocce in punta di pipetta
Crea con noi ◆ Un gioco di colori, disegni e piccoli gesti per scoprire il piacere della sperimentazione sensoriale
Giovanna Grimaldi Leoni
Questa attività sensoriale è semplice, divertente e stimola i sensi dei bambini. Utilizzando dischetti di ovatta posizionati su simpatici disegni plastificati, i bambini possono far cadere il colore con le pipette e osservare con meraviglia come si diffonde. È un’attività perfetta per i più piccoli, ma coinvolgente anche per i fratelli maggiori, che possono partecipare alla preparazione colorando i disegni prima della plastificazione. Un’occasione speciale per collaborare, imparare e divertirsi insieme.
Procedimento
Preparazione disegni
Stampate i disegni del cartamodello su carta pesante (almeno 120 g) e ri-
tagliate i 12 quadrati.
Potete utilizzare i disegni così come sono oppure, se lo desiderate, potete colorarli con la tecnica che preferite.
Se c’è un fratello maggiore, colorarli può diventare un ottimo compito per lui e un bel modo per coinvolgere nella stessa attività fratelli di età diverse.
Plastificate i disegni per renderli resistenti all’acqua. Potete utilizzare una laminatrice oppure applicare della pellicola adesiva trasparente su entrambi i lati, in modo che la carta non si curvi. Lasciare un piccolo margine attorno al disegno renderà le tessere più resistenti e durevoli nel tempo.
Applicate un dischetto di ovatta al
Giochi e passatempi
Cruciverba
Forse non tutti sanno che la fontana più … Trova il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 6, 3, 5, 2, 5, 1, 5)
centro di ciascun disegno, fissandolo con un pezzetto di nastro biadesivo per mantenerlo in posizione.
Preparazione colori
Prendete dei bicchierini trasparenti e riempiteli per 1/3 con acqua tiepida (questo aiuterà a sciogliere meglio il colore). Aggiungete in ciascun bicchiere qualche goccia di colorante alimentare, se desiderate utilizzare solo materiali edibili. In alternativa, potete immergere per qualche secondo un pennarello idrosolubile nell’acqua oppure utilizzare acquerelli sciolti.
Infine, posizionate le pipette, l’attività è pronta per iniziare. Utilizzo
Proteggete il piano di lavoro con una tela cerata. Consegnate ai bambini una pipetta e un disegno con il dischetto di ovatta. Se utilizzano la pipetta per la prima volta, mostrate loro come premerla per raccogliere il colore e poi rilasciarlo lentamente sul dischetto.
Osservate insieme come il colore si espande, creando effetti sempre diversi.
Incoraggiateli a sperimentare, lasciandoli mescolare più colori sullo stesso dischetto per vedere cosa succede.
Inoltre, se il colore cade sulla parte plastificata anziché sul dischetto di ovatta, si formeranno delle gocce interessanti. Osservatele! I bambini
Materiale
• Stampante e fogli A4 da 120gr
• Matite colorate, pennarelli per colorare i disegni
• Taglierino e righello
• Plastificatrice o pellicola adesiva trasparente
• Dischetti d’ovatta rotondi
• Bicchieri o vasetti trasparenti
• Pipette contagocce
• Biadesivo trasparente
• Coloranti alimentari (oppure pennarelli idrosolubili o acquarelli)
(I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)
potranno divertirsi a spostarle con le dita o con la pipetta, sperimentando nuovi effetti visivi e sensoriali. Buon divertimento!
Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
ORIZZONTALI
1. Paga per un’insolvenza altrui
7. Evita la ripetizione
8. Sono pari nel guado
9. Né in latino
10. Un Bruce attore
11. Tutt’altro che sommo
13. Si controlla sulla ricetta
16. Accesso, entrata
18. Andar col vate... in giro
19. Disastrosa, distruttiva
22. Asso inglese
24. Stars
25. Precedono la «v»
26. Nome maschile
28. Nota musicale
29. Un tipo piacente
30. Può esserlo il sale
31. Si dice per correggersi
VERTICALI
1. Il cantautore Paoli
2. Il regno di Plutone
3. Un colpevole insistente
4. Le iniziali della Marcuzzi
5. Possessivo
6. Luogo di delizie
10. Fango, melma
12. Hanno un «carattere» esplosivo
13. Possono custodire segreti
14. Vaso di terracotta
15. Il... trilussiano
16. Ingordo, bramoso
17. Primo elemento di parole composte che significa osso
20. Annodare nel mezzo
21. Sono vani... a scuola
23. La fine degli inglesi
27. Le ali dell’oca
29. Una consonante
Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
Soluzione della settimana precedente Un signore va da una sensitiva e chiede: «Può togliermi un maleficio che un sacerdote mi ha lanciato anni fa?» «Certo! Mi dica le esatte parole» Risposta risultante: «VI
I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku cliccando sull’icona «Concorsi», homepage in alto a destra Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano . Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
Vinci
perfetta pulizia di Tempo
Viaggiatori d’Occidente
Tutta la pioggia che serve
«Scende la pioggia ma che fa / Amo la vita più che mai» cantava Gianni Morandi nel lontano 1968. Non sarà mai la canzone preferita dei nostri imprenditori turistici, soprattutto dopo un’altra Pasqua piovosa e di conseguenza alberghi mezzi vuoti. Chi lavora in questo campo si lamenta molto, a volte troppo, quasi per un riflesso automatico dettato dalla frustrazione, ma è pur vero che il turismo concentra in sé tutte le incertezze che colpiscono anche altri settori. Oltre alla meteo e alle epidemie, si aggiungono conflitti e tensioni internazionali, terrorismo, restrizioni alle frontiere, crisi economica, inflazione, fluttuazioni nei cambi, scioperi, costo dei voli, nuove tecnologie… Forse si fa prima a elencare cosa non influenza il turismo (spesso in negativo). Al tempo stesso però non dovremmo stupirci delle sorprese quando il cambiamento è
la regola e non l’eccezione. E dunque serve capacità di reazione, apertura al cambiamento, spirito di adattamento, soprattutto tanta pazienza; anche con la pioggia.
Ma chi l’ha detto che con la pioggia non si può viaggiare? La «Rivista del turismo» per esempio ha messo in fila cinque grandi capitali del nord Europa dove un po’ di pioggia è parte essenziale dell’esperienza e anzi contribuisce al fascino dei luoghi. Per esempio gli acquazzoni primaverili sono l’occasione perfetta per scoprire i musei o gli accoglienti caffè di Oslo e Copenaghen, mentre ad Amsterdam le frequenti precipitazioni creano sui ciottoli della strada pozzanghere scintillanti come le acque dei vicini canali. Il Belgio ha fama d’essere il Paese più noioso del mondo (ovviamente non è vero), ma certo Bruxelles non perde nulla in una
Cammino per Milano
Il
cimitero
giornata di maltempo. Londra infine ha fatto della pioggia un tratto distintivo, l’occasione per sfoggiare impeccabili ghette, impermeabile e ombrello, mentre si va in giro per negozi e pub. Dopo tutto, nel nord Europa la pioggia è una compagna quotidiana; è quasi sempre intermittente, leggera, con rovesci frequenti ma brevi; «Se non ti piace il tempo, aspetta cinque minuti» dicono i locali, che per parte loro certo non si fermano per un poco d’acqua. Soprattutto nei Paesi nordici la pioggia non è solo meteo, è anche paesaggio dell’anima, lentezza che induce alla riflessione. Ognuna di queste capitali, a modo suo, dimostra che la pioggia non è una tragedia. A volte poi è meglio rinunciare all’idea che tutto debba essere sotto controllo, a cominciare dal tempo. E dunque anziché considerare la pioggia solo come un ostacolo che rovina i nostri piani,
di Aldo Rossi a Rozzano
Una nutria nuota nel Lambro meridionale noto anche come Lambro morto, Lambretto o Lambro merdario. A fianco, i rami degli alberi sulle sue sponde sono agghindati, forse per via di qualche piena in passato, da stracci esili che mi sembrano le opere di Marion Baruch. Inatteso spunta, non lontano dalla tangenziale ovest che lambisce questo angolo di Rozzano – toponimo malfamato a sud di Milano – di nome Ponte Sesto, uno sprazzo bucolico. Di un granaio deturpato in parte, resiste una gelosia in cotto, traforata a croce. Continuo il cammino nel nulla, a parte un fioraio. Un cesso dentro la roggia. In faccia, un tributo al cotto lombardo, sacrale per l’utilizzo nelle chiesuole romaniche e rurale per l’uso nei granai come appena visto, è il muro di cinta del cimitero. Oltretutto l’utilizzo del cotto è uno dei leitmotiv di Aldo Rossi (1931-1997), la cui fu-
ga prospettica del portico lamellare al Gallaratese ho cercato di studiare un po’ e restituirvi come potevo l’autunno scorso. Tracce di cotto aldorossiano le troviamo nel monumento urbano a Zaandam, un museo a Maastricht, Orlando, Parigi, Berlino, Clermont-Ferrand, Parma, Moji, per esempio. Altro motivo ricorrente, oltre alle torri giocose e melanconiche come uscite dai quadri di De Chirico, il tocco di turchese come nel cancello dove sbircio, tra le grate, un paesaggio prospettico da sogno. Sembra quasi, nonostante sia il progetto di ampliamento di un cimitero risalente al 1989, una delle sue scenografie operistiche. In fondo al viale di cipressi, una misteriosissima torretta-cappella ottagonale con colonne in cotto è il punto di fuga di estrema grazia che cattura lo sguardo. La pennellata onirica la dona il cielo
Sport in Azione
La scuola dei futuri campioni
È possibile essere uno sportivo d’élite che ambisce a diventare un campione, e coltivare nel contempo l’obiettivo di seguire una formazione scolastica di alto livello? La risposta ce la fornisce chi ci è riuscito. Prendete ad esempio Claudio Sulser, formidabile bomber del Grasshopper e della Nazionale svizzera negli anni Settanta e Ottanta, oggi apprezzato avvocato. Oppure il suo compagno di club Roger Berbig, la saracinesca delle Cavallette di quel tempo, oggi stimato medico. Erano altri tempi, obietterà qualcuno. Inoltre, il calcio impone dei carichi di lavoro inferiori rispetto a quelli di discipline asfissianti come il nuoto, il pattinaggio artistico, la ginnastica artistica e ritmica. Esatto. Aggiungo che oggi, tutti gli sport impongono ritmi e carichi nettamente superiori. «Lo sport fino all’ossessione», è una frase tratta da Hors Jeu (Fuori gioco), un libro scritto a quattro mani da due mamme friborghesi: Éliane Brügg-
er Jecker, psicologa e psicoterapeuta, nonché mamma di Benoît Jecker, difensore del Fribourg-Gottéron, ed Estelle Leyrolles, ingegnera, ex quadro aziendale, attualmente direttrice dell’École des Métiers di Friborgo, mamma di Aloïs e Robin, entrambi giocatori di pallacanestro. Quello della conciliabilità tra crescita sportiva e formazione scolastica è un tema atavico. In questo processo, spesso i genitori vengono messi in croce. Senza andare a togliere dalla naftalina la vecchia battuta cinica e stantia, in cui si sostiene che l’allenatore più fortunato è quello che dirige una squadra di orfani, non possiamo ignorare che gli addetti ai lavori, spesso cadono nella tentazione di sottolineare il comportamento inadeguato di alcuni genitori. Le intemperanze, le ingerenze, gli eccessi, ce li raccontano settimanalmente le cronache. Le due autrici, hanno voluto comunque dire la loro, ponendo sotto la lente proprio il ruo-
di Claudio Visentin
possiamo imparare ad accettarla come una delle tante possibilità, un diverso punto di vista. Se le grandi città in un giorno nuvoloso offrono infinite distrazioni, la natura richiede una sensibilità più attenta alle sfumature, come ha raccontato il poeta e viaggiatore Emiliano Cribari nel suo La cura della pioggia (Ediciclo editore). «Non ho un ricordo d’infanzia legato a un temporale vissuto con gioia, fermento, eccitazione. Sono cresciuto asciutto. Abilmente scortato contro il clan dell’acqua. Una zavorra che ho dovuto portarmi appresso fino all’età adulta: fino a quando ho messo ai piedi gli scarponi e ho iniziato a camminare. […] Il turista esige il sole, l’aria ferma, il cielo azzurro, i fiori tanti e colorati, il sentiero comodo che conduce al rifugio aperto, riscaldato e ben fornito. Al contrario, chi cammina non chiede: rin-
grazia. Qualsiasi cosa cada (dal cielo) e accada: la neve, il sole, il tepore, il gelo». La pioggia attutisce i rumori, soprattutto i nostri: «Ci permette di zittirci, di abbassare la voce: parla lei. Di ascoltare, finalmente». Gabriele D’Annunzio sarebbe stato d’accordo. Ricordate come inizia La pioggia nel pineto, studiata a scuola? «Taci. Su le soglie / del bosco non odo / parole che dici / umane; ma odo / parole più nuove / che parlano gocciole e foglie / lontane».
A chi servono allora queste riflessioni? Non agli operatori, dai quali pure siamo partiti, perché a loro volta dipendono dalle richieste dei clienti. Sono forse più utili a noi viaggiatori; ci suggeriscono che il viaggio non è una serie di luoghi e momenti perfetti, quanto piuttosto una continuazione della vita quotidiana, con le sue luci e ombre, con il sole e la pioggia.
che oggi pomeriggio verso fine aprile, corona il tempietto cimiteriale di nuvole fiamminghe che neanche al Rijksmuseum. Sul tragitto per arrivare lì, nella parte orribile anni Sessanta, non posso non raccontarvi una tomba. Dentro una casetta tipo per uccellini, dietro una vetrinetta, ci sono: heineken finta, bottiglia di non so cosa a forma di pistola, rosa bianca finta, foto di ragazzo davanti a macchina tamarra con su scritto Il nostro boss. Fuori, sopra la ghiaietta artificiale blu, una macchina da corsa giocattolo. All’inizio del viale di cipressi di Leyland, la torre-cappella mostra sui lati, il colonnato cieco, consonanza con un hotel coevo in Giappone. Ai suoi fianchi, alle spalle dei floridi Cupressocyparis leylandii, finiscono di sfilare in prospettiva, gli edifici dei colombari color giallo crema al limone stemperato come vidi a Ventotene. Ricordano
molto, per via del colonnato a lamelle del portico e le sue finestre a colombario del ballatoio, l’unità di abitazione al Gallaretese.
L’idea di questi colombari metafisici nasce con il celebratissimo cimitero di San Cataldo (1971-78) a Modena: immortalato dal commovente Luigi Ghirri e analizzato con minuzia da Diogo Seixas Lopes in Melancholy and Architecture on Aldo Rossi (2015).
L’anatomia del paesaggio di Aldo Rossi, tra fuga del porticato e la geometria delle sue ombre con torre sullo sfondo, porta come sempre, ancora, dentro i quadri di De Chirico. Il faro di tutto è la torre ottagonale con un oculo e tre ordini di colonnato cieco in magnifico cotto tenue. Contando le sei nascoste dietro, trenta colonne in totale e in mezzo, sulla facciata, granito garbato. In ginocchio, guardo dentro nello spiraglio della porta semichiusa con un lucchetto, l’azzur-
ro cielo delle mura. Alle sue spalle il campo appena arato che termina dove scorre, al di là degli alberi, il Lamber merdarius come lo chiama Bonvesin da la Riva in Le Meraviglie di Milano (1288).
In cielo le nuvole continuano il loro barocchismo ma anche la nuda terra, arata di fresco, ha la sua forza. Vado a chiedere a uno dei giardinieri se potrebbe aprire la torre di Aldo Rossi. Mi rimbalza a un suo collega che mi dice di chiedere al custode che mi accompagna alla cappella-torre-faro. In giro le panchine, i lampioni, come nella città dei vivi, sono segni di civiltà. «Luoghi di sosta non necessariamente tristi» le parole di Aldo Rossi al riguardo. Valeva la pena insistere e scomodare il custode che rivela «è aperta solo il giorno dei morti»: dentro un fiotto di luce penetra dal loculo e tutto l’azzurro cielo che ricopre l’interno è una vera sorpresa.
lo dei genitori. Un ruolo, a detta loro, determinante, nel sostegno finanziario, emotivo e fisico dei figli lanciati all’inseguimento dei loro sogni. In questo volume, oltre a dispensare suggerimenti e spunti, le due autrici sottolineano come il praticare uno sport per piacere e farlo per scalare le classifiche mondiali siano due percorsi totalmente diversi. Sia per il giovane, sia per i suoi famigliari, che si vedono proiettati in un ritmo di vita imposto dagli allenamenti, e in un turbinio di domande sulla sana crescita e sull’adeguato sviluppo del loro figlio, sottoposto inevitabilmente a scelte precoci. Brügger Jecker e Leyrolles stanno compiendo una sorta di Tour de Suisse per divulgare le loro esperienze e confrontarle con quelle di altri addetti ai lavori. Recentemente hanno fatto tappa a Bellinzona, in una serata organizzata dalla Scuola Arti e Mestieri, moderata da Igor Nastic, ex nuota-
tore, ora insegnante e coach. È stato indubbiamente interessante ascoltare le testimonianze di Gabriella Gut, mamma di Lara e di Ian, di Luca Cereda, ex studente e sportivo d’élite, diventato allenatore e papà di quattro figli, infine di Aaron Besozzi, direttore della Scuola per Sportivi d’élite di Tenero. Racconti contrappuntati dalle lucide considerazioni di Giona Morinini, psicologo dello sport. Dalla serata sono emersi molti apprezzamenti su quanto viene fatto attualmente dalla scuola ticinese, ma anche alcune derive. Siamo in Svizzera, un Paese in cui la massa critica non consente la creazione di un sistema all’americana, basato su College con vocazione sportiva. I pochi che ci sono, come lo Stiftung Sport-Gymnasium Davos, o la scuola di Briga, sono cari come il fuoco. Operano quindi una selezione socio-economica.
I recenti passi in avanti del nostro sistema scolastico non sono ancora suf-
ficienti per colmare il gap nei confronti di altre realtà. Si può sempre migliorare, questo è fuori di dubbio, ma credo che si debba accettare un verdetto inappellabile. Lara Gut, Noè Ponti, Ajla Del Ponte, Filippo Colombo e Lena Bickel sono diventati atleti di caratura internazionale a prescindere dal loro iter formativo. Semplicemente, avevano tutto per emergere: talento, fisico, mente, e famiglia. Un sistema scolastico ancora più aperto al sostegno, allevierebbe le fatiche dei futuri campioni e dei loro genitori. Probabilmente contribuirebbe anche a limitare gli abbandoni, e favorirebbe il reinserimento nel ciclo lavorativo a carriera terminata. Dal palco e dalla platea, nella serata di Bellinzona, è tuttavia emerso che i limiti sono posti più dalle persone che dalle strutture. Al Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport quindi il compito di scegliere quelle giuste nel posto giusto.
di Giancarlo Dionisio
di Oliver Scharpf
Hit della settimana
6. 5 – 12 . 5. 2025
Settimana Migros Approfittane e gusta
7.35
invece di 10.50
Filetti di merluzzo M-Classic, MSC pesca, Pacifico nordorientale, 375 g, in self-service, (100 g = 1.96)
Tutte le noci e le noci miste, Sun Queen Apéro e Party, salate e tostate per es. noci miste Sun Queen, 170 g, 3.26 invece di 4.65, (100 g = 1.92) 30%
11.95
invece di 17.95 Asparagi bianchi
Extra Germania, mazzo da 1 kg 33%
Tutto l'assortimento di calzetteria da donna e da uomo (articoli Hit esclusi), per es. collant da donna transparent mat nude Essentials, il pezzo, 5.97 invece di 9.95 40%
9.95
Pralinés du Confiseur Frey Édition d'amour, 452 g, (100 g = 2.20) 50%
invece di 19.95
Mazzo di fiori per la Festa della mamma il mazzo 30%
17.45
invece di 24.95
Bontà salutari vicine e lontane
Migros Bio Spagna, sacchetto da 600 g, (100 g = 0.50)
Peperoni
3.90
invece di 5.50 Anguria mini Spagna, al pezzo 29%
Ananas Sélection Costa Rica, il pezzo 20%
3.50 invece di 4.40
Trovi deliziose ricette a base di frutti di mare su migusto.ch
7.95
invece di 15.90
Cozze fresche M-Classic, MSC 2 kg, in self-service, (1 kg = 3.98) 50%
1.80
Mele Pink Lady Svizzera, al kg 25%
3.90
invece di 5.20
4.40 invece di 5.60
Lamponi Migros Bio Spagna/Marocco, vaschetta da 250 g, (100 g = 1.76) 21%
4.40
invece di 5.95
Gamberetti Torpedo Anna's Best, ASC, con salsa Sweet Chili d'allevamento, Vietnam, per 100 g, in self-service 45%
invece di 3.30
28%
15.95
invece di 22.43
Gamberetti crudi e sgusciati Pelican, ASC prodotto surgelato, in conf. speciale, 750 g, (100 g = 2.13)
II grigliato del giorno
4.90
Salsa al mango e peperoncino Bio Bandits 250 ml, (100 ml = 1.96)
3.50 Spiedini di gamberetti marinati Lemon Pepper Grill mi d'allevamento, Vietnam, 2 pezzi, per 100 g, in self-service
Filetti di salmone con pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, 4 pezzi, 500 g, in self-service, (100 g = 2.39) 20%
11.95 invece di 15.–
Tutti i tipi di maionese, ketchup e salse BBQ, Heinz nonché le salse per grigliate Bull's Eye per es. maionese Heinz, 495 ml, 3.96 invece di 4.95, (100 ml = 0.80) 20%
2.05
Orata reale M-Classic, ASC d'allevamento, Croazia, per 100 g, in self-service
3.–
Tranci di salmone con rosmarino Grill mi, ASC in vaschetta di alluminio, d'allevamento, Norvegia, 2 pezzi, per 100 g, in self-service
Una treccia al burro e altro
Il nostro pane della settimana: dorato e cotto con amore. Il pezzo forte del brunch per la Festa della mamma si sposa sia con il dolce che con il salato.
Cornetti al burro precotti M-Classic, IP-SUISSE
pezzi, 200 g, 2.36 invece di 2.95, (100 g = 1.18) a partire
2.50
pezzi, 450 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.22)
Treccia al burro IP-SUISSE 300 g, prodotto confezionato, (100 g = 0.83)
Torta Foresta Nera Ø 16 cm, 500 g, prodotto confezionato, (100 g = 1.19)
Generoso in cubo
pezzi, 108 g, prodotto confezionato, (100 g = 2.73)
da 2 pezzi
4.95
1.95
Migros Ticino
Delizie per la colazione a letto
Con vitamina D
Mozzarella
2.40
Sole del Ticino per 100 g, prodotto confezionato 15%
invece di 2.85
a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento Galbani per es. mozzarella, 150 g, 1.92 invece di 2.40, (100 g = 1.28)
Leerdammer a fette Original o Lightlife, in conf. speciale, per es. Original, 350 g, 5.50 invece di 6.91, (100 g = 1.57) 20%
1.87 invece di 2.20
Le Gruyère piccante AOP circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato 15%
21%
Grana Padano grattugiato Da Emilio 3 x 120 g, (100 g = 1.89) conf.
6.95 invece di 8.85
Uova svizzere da allevamento all'aperto Migros Bio in conf. speciale, 12 x 53 g+ 20%
7.45 invece di 9.35
Migros Ticino
da 3
Regali che vengono dal
invece di 24.95 Phalaenopsis Cascade, 2 steli in vaso di ceramica, Ø 12 cm, decorato, disponibile in diversi colori, il vaso
ripiena a forma di cuore
20%
3.90
5.95
5.70
Cuoricini con pomodori e burrata
g, (100 g = 2.38)
3.60
5.60
g, (100 g = 2.40)
Macarons a cuore 6 pezzi, 90 g, prodotto confezionato, (100 g = 6.22)
Tartelette al lampone 2 pezzi, 125 g, prodotto confezionato, (100 g = 3.12)
Palline Lindor Lindt disponibili in diverse varietà, 200 g e 500 g, per es. al latte, 200 g, 9.56 invece di 11.95, (100 g = 4.78)
a partire da 2 pezzi
Cuori alla fragola 2 pezzi, 150 g, prodotto confezionato, (100 g = 3.80)
Confetti Frey Coaties rosa
Tutte le truffes Frey (confezioni multiple escluse), per es. assorties, 230 g, 7.16 invece di 8.95, (100 g = 3.11)
Di qui si entra in un goloso paradiso!
conf. da 24 50%
7.30 invece di 14.60
Gelati su stecco alla panna prodotto surgelato, vaniglia, cioccolato, fragola o moca, 24 x 57 ml, (100 ml = 0.53)
Coaties e Crunchy Clouds, Frey (confezioni grandi e multiple escluse), per es. brezel salati Coaties Crispy, 100 g, 2.36 invece di 2.95 20%
a partire da 2 pezzi –.60 di riduzione
Tutti i biscotti Tradition per es. Petit Gâteau al limone, 150 g, 3.80 invece di 4.40, (100 g = 2.53)
20%
Bastoncini alle nocciole, Zampe d'orso o Schiumini al cioccolato, M-Classic in confezioni speciali, per es. Bastoncini alle nocciole, 1 kg, 6.40 invece di 8.–
Variazioni di particolarmentecioccolato deliziose
20x CUMULUS Novità
Tavolette di cioccolato Sélection, Fairtrade
Lait Caramel Salé, Blanc Framboise e Noir Orange
56% di cacao, 100 g, per es. Lait Caramel Salé, 4.70, (100 g = 4.70), in vendita nelle maggiori filiali
20x CUMULUS Novità
5.95 For You Frey al pistacchio 150 g, (100 g = 3.97)
Branches Frey Milk, Dark o White, in conf. speciale, per es. Milk, 30 x 27 g, 9.90 invece di 15.30, (100 g = 1.22) 35%
Con ingredientinaturaliesclusivamente
20x
CUMULUS Novità
4.65 So Nuts Ragusa o Torino
120 g, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 3.88)
Frizzantezza rinfrescante
Lunga conservazione per piatti
pronti in quattro e
Tutti i tipi di ketchup, maionese e salse BBQ, Heinz nonché le salse per grigliate Bull's Eye per es. Ketchup Heinz, 500 ml, 2.64 invece di 3.30, (100 ml = 0.53)
In offerta anche il tonno pescato all'amo
5.95
di 7.60 Salse liquide Thomy disponibili in diverse varietà, per es. salsa olandese, 2 x 250 ml, (100 ml = 1.19)
Tutto l'assortimento Knorr per es. brodo di verdure, barattolo da 228 g, 7.04 invece di 8.80, (100 g = 3.09)
7.90
invece di 11.85
Tortelloni Anna's Best, refrigerati ricotta e spinaci o alla carne di manzo, 3 x 300 g, (100 g = 0.88)
conf. da 2 33%
Pizze Da Emilio, refrigerate
Quattro stagioni o Margherita, per es. Quattro stagioni, 2 x 440 g, 11.95 invece di 17.90, (100 g = 1.36)
5.85 invece di 8.40
Farina bianca M-Classic, IP-SUISSE 4 x 1 kg, (100 g = 0.15) conf. da 4 30%
Chips M-Classic, in conf. XL alla paprica o al naturale, in conf. speciale, 400 g, (100 g = 0.98) 40%
3.90 invece di 6.57
Tutti i müesli Farmer per es. Mela & Cannella, 500 g, 3.60 invece di 4.50, (100 g = 0.72) a partire da 2 pezzi 20%
Tutti i tipi di caffè, in chicchi e macinato (Starbucks escluso), per es. Boncampo Classico, 500 g, 5.20 invece di 6.50, (100 g = 1.04) a partire da 2 pezzi 20%
Tutto per una pelle vellutata, capelli morbidi e denti curati
7.40 invece di 9.90 Shampoo o balsamo, Elseve per es. shampoo Color-Vive, 2 x 250 ml, (100 ml = 1.48)
Regolabarba One Blade Philips One Blade oppure One Blade Pro, (senza lame di ricambio), per es. One Blade, il pezzo, 35.92 invece di 44.90 20%
Tutto l'assortimento Rescue per es. gocce, 10 ml, 12.71 invece di 14.95 15%
Tutto l'assortimento per la depilazione Veet e I am incl. rasoi (confezioni multiple escluse), per es. crema depilatoria Sensitive, 150 ml, 6.80 invece di 8.50, (100 ml = 4.53)
Tutto l'assortimento Zoé per es. crema da notte nutriente Gold, 50 ml, 15.96 invece di 19.95, (10 ml = 3.19) a partire da 2 pezzi 20%
Tutto l'assortimento Labello per es. Original, 2 pezzi, 3.16 invece di 3.95, (10 g = 3.29) 20%
Non appiccica e non rende lucida la pelle
8.50 Sun Look City Protect IP 50 50 ml, (10 ml = 1.70) 20x CUMULUS Novità
20x CUMULUS
Novità
14.95 Hydra Protect Ambre Solaire, spray, IP 50 150 ml, (100 ml = 9.97)
invece di 9.–
LIFEHACK
Maestri delle fughe pulite e guru della pulizia, attenzione! Le fughe sporche possono essere schiarite con il dentifricio (preferibilmente con effetto sbiancante) poiché contiene fini particelle abrasive. Basta spalmare bene il dentifricio nelle fughe con uno spazzolino, lasciare agire brevemente e poi pulire con un panno umido.
Spazzolini soft Candida Multicare (1
Dentifricio Candida
Dentifricio Candida White Diamond o Professional Sensitive, 2 x
Spazzolini da denti Candida per es. Comfort, (1 pz. = 2.20)
Più pulito di così non si può
50%
Tutti i detersivi Total (confezioni multiple e speciali escluse), per es. 1 for all in conf. di ricarica, 2 litri, 7.98 invece di 15.95, (1 l = 3.99)
20%
Biodegradabili almeno al 96% e privi di microplastiche
Detersivo per lavastoviglie e a mano per stoviglie, Nature Clean (confezioni multiple escluse), per es. detersivo a mano per stoviglie al limone, 500 ml, 2.36 invece di 2.95, (100 ml = 0.47)
30%
Tutto l'assortimento di bicchieri Kitchen & Co. (articoli Hit esclusi), per es. Longdrink Basic, 6 x 38 cl, 12.57 invece di 17.95, (1 pz. = 2.10)
20%
Tutto l'assortimento Handymatic Classic (sale rigeneratore escluso), per es. Classic All in 1, 50 pastiglie, 11.60 invece di 14.50
Carta igienica o salviettine umide, Tempo in confezioni multiple o speciali, per es. Premium, FSC®, 24 rotoli, 15.90 invece di 26.50 40%
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi
a partire da 2 pezzi
Tutto l’occorrente per la casa
Prezzi imbattibili del weekend
Solo da questo giovedì a domenica
30%
3.30
invece di 4.75
30%
Pomodori ciliegini misti
Spagna/Svizzera, vaschetta da 500 g, (100 g = 0.66), offerta valida dall'8.5 all'11.5.2025
4.40
invece di 6.30
Berliner con ripieno di lamponi e ribes rosso Petit Bonheur in conf. speciale, 6 pezzi, 420 g, (100 g = 1.05), offerta valida dall'8.5 all'11.5.2025
30%
1.95
invece di 2.80
Costate di maiale Grill mi, IP-SUISSE per 100 g, in self-service, offerta valida dall'8.5 all'11.5.2025