Azione 19 del 4 maggio 2020

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio I viticoltori ticinesi sono in grande difficoltà, si prevede un netto taglio della produzione

Isolati più che rinchiusi Reportage dall’isola thailandese Ko Chang Noi, rifugio da sogno per viaggiatori d’Occidente in lockdown

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIII 4 maggio 2020

Azione 19 pagina 17

pagina 5

Politica e Economia Reportage da Vo’: prima zona rossa d’Italia dove c’è stato il primo morto di Covid-19

pagina 27

Cultura e Spettacoli Buon compleanno, Vincenzo Vela: un omaggio allo scultore a duecento anni dalla nascita

pagina 35

Keystone

Certezze scientifiche? Poche

di Maria Grazia Buletti pagina 15

Le scelte sono sempre politiche di Peter Schiesser Esiste la certezza scientifica? Sì, certo; fino a che non viene sostituita dalla prossima. È sempre stato così. Se poi l’oggetto della ricerca è qualcosa di sconosciuto come il Covid-19, diventa ancora meno indicato considerare definitiva ogni conclusione cui si giunge. Anche perché in questo e in molti altri casi troviamo scienziati con teorie diverse. In fondo, nella vita dovremmo accettare l’incertezza ultima di fronte alle cose, anche quelle studiate dalle scienze, nel caso del Covid-19 ancora di più. Ma qui l’incertezza pesa forse ancor più della paura. Per cui chiediamo certezze. Certezze con cui concordare. Per esempio, sul grado di infezione e la contagiosità dei bambini e dei ragazzi. Il delegato per il Covid-19 dell’Ufficio federale della sanità Daniel Koch è convinto che i bambini quasi non si ammalano, non si contagiano fra di loro e semmai prendono la malattia dagli adulti, per cui continua a sconsigliare di dare i bambini in accudimento ai nonni, i quali però possono tornare a rivedere i nipoti e permettersi anche un abbraccio, considerato che il basso numero di contagi giornalieri raggiunto ora rende minimo il rischio di con-

tagio fra nipoti e nonni. Daniel Koch non è certo l’unico a pensare che i bambini (fino ai 10 anni) non sono i vettori del contagio da Covid-19: lo sostiene anche Marcel Tanner, professore emerito di epidemiologia dell’Uni di Basilea e membro della Task Force scientifica sul Coronavirus, che aveva il compito di analizzare la letteratura scientifica esistente in proposito. Altri studiosi sono invece più cauti. Fra questi c’è Alessandro Diana, pediatra e ricercatore infettivologo all’Università di Ginevra (vedi a pagina 15), secondo il quale per ora c’è sì una gran quantità di studi di osservazione, ma non ancora delle evidenze scientifiche. Anzi, sul numero di minori che entrano in contatto con il virus c’è ancora da indagare. Per combattere questa pandemia, i governanti affermano di fondare la propria strategia su pareri scientifici. Il fatto che possano divergere da paese a paese mostra infatti che vanno intesi come «pareri». Le decisioni alla fine sono politiche e i politici tendono a favorire le prove che sostengono i loro argomenti, come suggerisce la sociologa Jana Bacevic sul «Guardian» (28.4.2020). Al politico, scrive la Bacevic, interessa sapere come intervenire per evitare la tal cosa, piuttosto che sapere qual è la miglior scienza a proposito di. La presidente

della Confederazione Simonetta Sommaruga l’ha detto, giovedì scorso: «Abbiamo scelto una via di mezzo», fra le esigenze economiche e quelle sanitarie. Le scelte sono dunque politiche, certo sorrette da argomentazioni scientifiche, ma noi cittadini le dobbiamo prendere per quelle che sono: dei tentativi di disinnescare un’emergenza senza precedenti, tra l’altro influenzati da fattori esterni (resisterà il distanziamento sociale?) che sfuggono al controllo dei governanti. Per noi questo significa dover uscire dall’illusione che chi ci governa ha la verità in bocca e la bacchetta magica in tasca. La prima fase è stata dura ma per certi versi anche facile (ci si proteggeva stando a casa), la seconda presenta nuove difficoltà, dovremo vivere con il virus, come ha ricordato anche Sommaruga. Quindi con il rischio, con la prudenza, accettando che serve un po’ di paura e un po’ di ottimismo per vivere. Tuttavia, vorremmo anche sapere dove ci si vuole portare (questa domanda, di un collega, mi risuona da giorni): qual è la strategia di fondo dei governi, federale e cantonali, si accetta che ci si infetti tutti (in quantità gestibili dagli ospedali) finché non arrivano vaccini e medicamenti, riduciamo al minimo i contagi, o li annulliamo? Con parole chiare non mi pare sia stato detto.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Attualità Migros

Idee e storie per un mondo più responsabile Volontariato Intervista a Ursula Huber, a capo del progetto «Fare del bene fa bene»

del Percento Culturale della Federazione Cooperative Migros È un periodo difficile, quello che stiamo vivendo, ma, volendo guardare le cose da un altro punto di vista, è anche un momento davvero storico, in cui ci è possibile avvicinare le persone che vivono intorno a noi e condividere con loro dei momenti di solidarietà e di collaborazione. Il progetto «Fare-delbene-fa-bene» è nato ben prima della situazione attuale, ma proprio di questi tempi sembra trovare un suo senso più profondo, proponendo a bambini e ragazzi di impegnarsi nel volontariato con idee e con racconti. Abbiamo chiesto alla responsabile del progetto di spiegarci di cosa si tratta.

prefissata. Al contrario era più difficile trovarne che si impegnassero a lungo termine, ad esempio quali membri di comitato di associazioni. Ora, nella società attuale, molte persone si concentrano su se stesse, curano la propria immagine in modo marcato, si impegnano per «ottimizzare» la loro quotidianità, come se avessero sempre paura di perdersi qualcosa della vita. Ma nella situazione che viviamo oggi, questa attitudine è diventata meno importante. Hanno ripreso importanza la solidarietà e l’aiuto reciproco. Noi speriamo che questa attitudine possa rimanere e che si continui a riconoscere quanto è importante il contributo di ognuno a una società che offra opportunità a tutti.

Signora Huber, ci può spiegare da quale idea iniziale ha preso il via «Fare del bene fa bene»?

Il Percento culturale Migros sosteneva già da diversi anni le scuole che aderivano al progetto denominato «x-elevato cuore», incentrato su attività legate all’aiuto al prossimo o su attività socialmente utili. Dall’inizio di «x-elevato cuore» varie classi hanno realizzato centinaia di progetti votati a questo scopo, con il coinvolgimento di decine di migliaia di studentesse e studenti. Nell’attuale situazione critica, cercavamo un modo di sollecitare tale impegno personale dei ragazzi e dei bambini anche nell’epoca dell’«homeschooling». E quali sono quindi, oggi, i vostri obiettivi?

In un momento in cui viene richiesto un impegno di solidarietà così importante a vari strati della popolazione, abbiamo pensato che i bambini avrebbero potuto sperimentare concretamente in che modo anche il loro impegno personale individuale potesse apportare un valido contributo. Con «Fare-del-benefa-bene» non vogliamo solo mostrare che questa presa di responsabilità volontaria è importante, ma che è utile a chi la offre, a chi la riceve e alla società nel suo insieme.

L’attività di «Fare-del-bene-fabene» avrà una continuità anche in futuro?

Un’immagine tratta dalla sezione «Storie» del sito www.fare-del-bene-fa-bene.ch. Voi proponete ai partecipanti due modalità di intervento: «Invia la tua storia» oppure «Invia le tue idee». Può spiegarci come differiscono le due opzioni?

Inviando le loro «idee», bambini e giovani possono proporre progetti realizzabili e in questo modo motivare esplicitamente altri loro coetanei ad impegnarsi nel volontariato. Per ciò che riguarda le «Storie» vorremmo stimolarli da un lato all’impegno personale, e poi in un secondo momento a raccontare la loro esperienza positiva. Pubblicando questi racconti, ne daremo una migliore visibilità. Un esempio è la storia dei due bambini che hanno appeso alle porte di tutti i loro

vicini, nel caseggiato in cui vivono, dei Post-it con frasi di incoraggiamento. Per documentarlo hanno girato un breve video, che è ora pubblicato sul sito di «Fare-del-bene-fa-bene». E in quello stesso video si può osservare come i due bambini abbiano ricevuto in cambio saluti e ringraziamenti da parte degli stessi vicini per la loro iniziativa.

La situazione attuale è particolarmente critica; pensa che proprio questa contingenza possa stimolare le persone a dare inizio ad attività di volontariato?

Sì, credo proprio che la realtà in cui stiamo vivendo ha motivato molte persone a impegnarsi personalmente nel volontariato. Basta guardarsi intorno per vedere

quante iniziative valide sono state messe in atto. In poco tempo sono nate varie proposte di collaborazione, aiuti tra vicini di casa, sostegno a persone con difficoltà economiche, adesione di volontari a organizzazioni legate al settore sociale e sanitario, ecc. Se queste iniziative di utilità sociale si debbano però soltanto all’emergenza provocata dalla crisi da Coronavirus è difficile da valutare.

Qual è la sua valutazione, rispetto a ciò che stiamo osservando?

Analizzando la situazione legata all’impegno nel volontariato che si registrava nel periodo precedente il «lockdown», avevamo notato, tra le altre cose, che i volontari prediligono attività a breve termine e di una durata

Per il momento non lo sappiamo ancora. Ma in passato abbiamo già stimolato la discussione tra bambini e ragazzi con un concorso musicale o con uno destinato alla creazione di uno spot pubblicitario. Questa attività di stimolo è la stessa che proponiamo con «Faredel-bene-fa-bene». Per ciò continueremo sicuramente con il nostro impegno. Vogliamo offrire a bambini e giovani la possibilità di concretizzare la loro volontà di impegnarsi volontariamente, in modo che possano imparare ad assumersi la responsabilità sociale. Le ricerche ci mostrano che gli adulti sono più disposti a un impegno volontario, quando lo hanno praticato già nell’infanzia. Una democrazia funzionante come la nostra ha bisogno di persone che si impegnino per gli altro o disposte ad intraprendere azioni positive e utili a una buona causa. E questo non solo oggi, ma anche in futuro. / Red. Vuoi partecipare anche tu? Trovi le informazioni su:

www.fare-del-bene-fa-bene.ch

La stagione sospesa Covid-19 Molte manifestazioni del cantone sostenute dal Percento culturale di Migros Ticino

sono state annullate o rinviate Tra gli appuntamenti che sono stati inseriti nel cartellone del Percento culturale di Migros Ticino molti sono stati annullati o rinviati. Aggiorniamo l’elenco delle decisioni prese dagli organizzatori, in modo da informare i nostri lettori. La stagione jazz proposta da Rete Due RSI purtroppo non ha potuto vedere la sua conclusione. Annullato infatti anche l’ultimo concerto, quello della cantante Cyrille Aimée previsto per l’11 maggio al Teatro del Gatto di Ascona. Gli organizzatori stanno intavolando trattative per vedere di programmarlo in un altro momento dell’anno. Annullati anche vari appuntamenti legati alla stagione teatrale cantonale. Per quanto riguarda il teatro Sociale di

Bellinzona, gli spettacoli sono stati sospesi fino al 30 aprile scorso. Per quello che riguarda il Teatro di Chiasso (che ha spostato una parte della sua attività sul web) da segnalare l’annullamento della rassegna Steps, manifestazione dedicata alla danza e sostenuta dal Percento culturale Migros a livello nazionale. Non si terrà neppure l’edizione 2020 di Festate, tradizionale appuntamento sulla Piazza di Chiasso con la musica da tutto il mondo. Altra defezione importante riguarda un’altra manifestazione di respiro intercantonale, la Festa Danzante. Il cartellone per il 2020 prevedeva il consueto ricco caleidoscopio di avvenimenti in tutto il Ticino, ma l’edizione che avrebbe dovuto tenersi tra il 14 e il 17 maggio

è stata rimandata al prossimo anno. Allo stesso modo sono stati annullati tutti i concerti previsti questa primavera dall’Orchestra della Svizzera italiana, tra cui il Concerto per le famiglie in occasione della Festa della mamma, che era in programma il 10 maggio. Annullati infine, tra le manifestazioni popolari dedicate alla musica giovanile, anche il Sun Valley Festival di Malvaglia, che avrebbe dovuto tenersi dal 30 maggio al 1. giugno, e l’Open Air di Montecarasso, previsto dal 18 al 20 giugno. Stessa sorte è toccata alla luganese Quairmesse, erede della conosciutissima Palco ai Giovani, che avrebbe dovuto tenersi il 17 e 18/5, ma che si vede costretta a rinunciare al suo concorso musicale tra band giovanili.

Azione

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

La Festa Danzante è rimandata al 2021. (festadanzante.ch) Tiratura 101’634 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Società e Territorio Mestieri riscoperti In un mondo lavorativo digitalizzato e automatizzato c’è chi reinterpreta professioni che privilegiano manualità, creatività e contatto umano: incontro con uno scrivano, un sarto e un saltimbanco pagina 10

Un dopo Covid al femminile La Federazione delle Associazioni femminili Ticino con la petizione #ripartiredalledonne chiede di integrare le competenze delle donne nel gruppo di lavoro voluto dal Governo per affrontare il dopo emergenza pagina 12

Viticoltori in affanno

Ticino La vendemmia 2020 sarà la più

contenuta degli ultimi decenni, con l’uva in eccesso si produrrà disinfettante

Nicola Mazzi Tra i primi settori a fare i conti con le perdite dovute al Coronavirus c’è quello del vino. E non sono perdite di poco conto per i 2’700 viticoltori del Ticino e per le cantine. Basti pensare che se ogni vendemmia vale circa 22 milioni di franchi, per il 2020 si prospetta un calo del fatturato a 12 milioni di franchi. Mancheranno, quindi alla filiera, ben 10 milioni. «Il quadro non è sicuramente edificante» ci dice sconsolato Andrea Conconi (direttore del Comitato dell’Interprofessione della Vite e del Vino Ticinese - IVVT). «Ma la situazione è brutta per tutti e in tutto il mondo. In Sicilia si sta facendo largo l’ipotesi di pagare la prossima vendemmia 20 cts. un kg d’uva, mentre da noi siamo comunque sopra i 4 fr. al kg e speriamo di riuscire a mantenere quel livello anche per quest’anno». In una riunione che si è tenuta nei giorni scorsi sono state prese diverse importanti decisioni che lo stesso Conconi ci illustra. «Anzitutto abbiamo concordato di abbassare il limite per i vini DOC (di origine controllata). Se finora la produzione pagata era di 1 kg al metro quadrato, nel 2020 sarà di 800 grammi. Mentre le cantine, viste le ingenti scorte e la mancanza di liquidità, ne acquisteranno solo 500 grammi per metro quadrato. In secondo luogo le eccedenze prodotte avranno usi diversi. In particolare l’Interprofessione sta cercando soluzioni alternative con i produttori per distillare l’uva in alcol. Anche perché questo prodotto sta diventando un bene molto importante a livello sanitario e le riserve sono abbastanza basse. L’idea che stiamo portando avanti è quella di convincere i viticoltori a raccogliere anche le uve eccedenti per poi trasformarle appunto in alcol. Ovviamente il prezzo d’acquisto delle uve sarà inferiore rispetto a quello destinato al vino, ma coprirà almeno i costi della vendemmia. Si tratta di una campagna di solidarietà del nostro settore verso la sanità, ma non solo. Produrremo alcol che po-

trebbe essere usato nei disinfettanti per le scuole, nei ristoranti, ecc. In generale penso che più di un milione di kg d’uva potrà essere distillato». Da notare che l’idea non è solo ticinese. Visto che la crisi è mondiale si sta già pensare di destinare parte della prossima vendemmia, anche in altri Paesi, alla trasformazione di uva in alcol. Tutto ciò perché la chiusura di bar, grotti e ristoranti ha messo in crisi un settore già piuttosto fragile. «Da anni si sta vendendo meno di quanto si produce e il lockdown ha messo definitivamente in crisi diverse cantine. Occorre però fare una distinzione. Le riserve di vino bianco, per fortuna, sono sotto controllo e si attestano a circa 15 mesi. Una cifra abbastanza in linea con gli altri anni, ma questi prodotti rappresentano solamente il 22% della produzione. Invece il problema è più grave per il vino rosso dove siamo a un livello di riserve pari a 34 mesi, rispetto alla media decennale che è di 24 mesi». Detto altrimenti le cantine sono ancora piene del vino prodotto gli anni scorsi e avrebbero bottiglie sufficienti da mettere sul mercato, anche senza la vendemmia del 2020. Come accennato la fragilità del settore era abbastanza conosciuta e il Coronavirus non ha fatto altro che dare un ulteriore colpo, si spera non mortale per molti viticoltori. «Una situazione difficile che si è creata negli ultimi anni per diverse ragioni tra cui il calo del consumo di vino pro capite e la sempre più forte concorrenza dei vini esteri», aggiunge lo stesso Conconi. Quello della viticoltura è comunque un settore creativo e propositivo, come si può notare dalle soluzioni alternative che si stanno cercando. «Risanare un mercato come il nostro non è semplice ma noi cerchiamo di agire in modo costruttivo e unitario. Certamente, anche gli aiuti dal Cantone e dalla Confederazione sono i benvenuti. In questo senso è già stata depositata in Gran Consiglio una mozione di Lorenzo Jelmini in cui si chiede di favorire la promozione della viticoltura. Ed è un segnale molto importante perché appena la situazione tornerà alla normalità

Finora la produzione per i vini DOC era di 1 kg al metro quadrato, nel 2020 sarà di 800 grammi. (TiPress)

dovremo investire con decisione nella promozione della filiera. Da notare, inoltre, un aspetto tipico svizzero che non ci aiuta. Da noi gli aiuti sono in relazione a quanto spendiamo, ma se il capitale proprio delle aziende viene eroso e quindi le spese calano, anche gli incentivi che possiamo ricevere diminuiscono. Non succede così nel resto dell’Europa dove gli aiuti statali al settore sono a fondo perso». In questa difficile situazione il professionista riceverà un occhio di riguardo rispetto a chi fa vino per hobby. «Sono circa 300 le persone che vivono esclusivamente grazie alla produzione di vino in Ticino e credo che le cantine si metteranno d’accordo

con loro per evitare fallimenti delle aziende viticole». Una riflessione condivisa anche da Giuliano Maddalena (presidente della Federviti). «La situazione è molto difficile, soprattutto per chi vive solo di vino e non ha altre entrate economiche. Ecco perché speriamo che l’ente pubblico possa dare un aiuto concreto a questi professionisti». Sempre Maddalena mette l’accento sulla compattezza della filiera: «non è stato semplice trovare un accordo, ma tutti ci rendiamo conto delle difficoltà del momento ed è indispensabile fare squadra, agire cioè in modo compatto e unitario per trovare soluzioni accettabili». Il presidente della Federviti

conclude soffermandosi sul fatto che «l’annata è appena iniziata ma è giusto muoversi per tempo e pensare alla vendemmia di settembre». Una vendemmia che, come abbiamo capito, sarà la più contenuta degli ultimi decenni. Infine – sempre durante l’assemblea – i professionisti del settore hanno preso un’altra decisione piuttosto importante anche a livello simbolico. È stato infatti cambiato un articolo riguardante la direttiva dei vini DOC con il quale non sarà più autorizzato il «taglio» dei vini con prodotti provenienti da fuori cantone. Un altro segnale verso i nostri viticoltori e una maggiore chiarezza per i consumatori.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Idee e acquisti per la settimana

Gli asparagi ticinesi sono tornati

Attualità Gli asparagi verdi sono ancora più buoni se raccolti praticamente sotto casa

Asparagi avvolti di pancetta: un’autentica delizia.

Romano Reboldi, produttore di asparagi a S. Antonino. (Giovanni Barberis)

Da qualche giorno gli asparagi nostrani sono nuovamente disponibili nei reparti verdura della Migros. Negli ultimi anni, per diversificare la produzione dai classici ortaggi principe dell’orticoltura ticinese, nella fattispecie pomodori, zucchine e melanzane, alcuni orticoltori si sono lanciati nella loro coltivazione. Uno di questi è Romano Reboldi, che dalla seconda metà di aprile a fine maggio rifornisce dei suoi turioni anche i maggiori negozi di Migros Ticino. «Da oltre cinque anni mi dedico a questa interessante coltura, e la risposta dei consumatori è più che buona», spiega l’orticoltore che a S. Antonino coltiva gli asparagi verdi in piena terra su una superficie di oltre 5000 metri quadrati. «L’asparago è un ortaggio relativamente facile da coltivare, resistente e non necessita di troppe cure. L’importante è avere un terreno ben drenante, che eviti dannosi ristagni. Inoltre è opportuno tenere sotto controllo le erbacce, che vanno

Un must delle grigliate

Attualità Succose, tenere e incredibilmente saporite: le racks

d’agnello non possono mancare sulla griglia Le racks sono un taglio pregiato dell’agnello e si ottengono dal carré, situato nella parte dorsale dell’animale. Queste costolette non sono solo un’irresistibile delizia, ma rappresentano anche un piatto dall’indubbio impatto visivo grazie alle ossa in bella vista. Una rack singola comprende 8 costolette ed è sufficiente per 2-3 persone. Per non andare a coprire il caratteristico e delicato sapore originale della carne di agnello non sono necessari troppi condimenti o spezie. Come si cucinano le racks alla griglia? La parola d’ordine è semplicità. Condire un pezzo intero di costolette con un filo di olio di oliva, sale, pepe macinato di fresco e un trito di aglio e rosmarino freschi. Cuocere le racks a fuoco vivo 5 minuti per parte, poi ridurre il calore della griglia e lasciarle ulteriori 5 minuti a riposare. Misurare la temperatura al cuore con l’apposito termometro da carne: per ottenere un bel colore rosa la temperatura ottimale interna dovrebbe essere di 52 gradi. Buon appetito!

eliminate regolarmente a mano per evitare che arrestino lo sviluppo della pianta. Infine, anche la raccolta è una fase molto delicata: deve essere eseguita anch’essa manualmente per non danneggiare l’ortaggio, effettuando un taglio netto poco sotto il livello del terreno con un coltellino ben affilato». Alcuni fatti e un’appetitosa ricetta su questa verdura primaverile: gli asparagi verdi crescono sopra la terra e si colorano grazie alla fotosintesi. Quelli bianchi vengono invece tagliati appena sporgono dal terreno. Prima del consumo, gli asparagi bianchi devono essere pelati, nei verdi non è invece necessario. Gli asparagi sono poveri di calorie, solo 20 per 100 grammi, e contengono importanti sostanze nutritive quali le vitamine A, B, C, fibre e acido folico. Per essere certi che siano freschi: la parte del taglio deve essere ancora umida, «scricchiolano» sfregandoli tra di loro e si rompono facilmente. Gli asparagi si possono con-

gelare senza problemi, tuttavia quelli bianchi andrebbero pelati prima di riporli nel congelatore. Gli asparagi più teneri si possono tranquillamente gustare anche crudi, per esempio tagliati a pezzetti o a listarelle in un’insalata. Gli amanti degli asparagi li adoreranno anche avvolti con della pancetta per un contorno o piatto principale all’insegna del genuino buongusto. Per 4 persone servono 16 asparagi verdi, 16 fette di pancetta da arrostire, 200 g di crème fraîche e 1 mazzetto di erba cipollina. Pelate il terzo inferiore degli asparagi e spuntateli. Avvolgete ogni asparago in una fetta di pancetta leggermente sovrapposta e ben stretta, lasciando libera la punta. Scaldate una padella antiaderente e rosolatevi gli asparagi per 8–10 minuti, incoperchiati, a fuoco medio, finché la pancetta risulta bella croccante. Sminuzzate l’erba cipollina e incorporatela alla crème fraîche. Condite con sale e pepe. Servite gli asparagi con la crème fraîche.

Auguri cara mamma!

Ricorrenze Domenica 10 maggio è la Festa

della Mamma. Sorprendetela con un bel mazzo di fiori dei reparti Migros Florissimo

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La seconda domenica di maggio in molti paesi si festeggia la Festa della Mamma. Anche in Svizzera questa ricorrenza di origini statunitensi si celebra da oltre cento anni e rappresenta un’occasione per sorprendere colei che ci ha dato la vita con qualcosa di speciale e originale. Come per esempio con un rigoglioso pensiero floreale. I reparti Migros Florissimo offrono alcuni arrangiamenti creati appositamente per l’evento. Dai vivaci mazzi di rose alle eleganti orchidee, dalle ornamentali kalanchoe ai bouquet festivi misti… nei nostri reparti troverete il regalo ideale per ogni mamma. Naturalmente i fiori si accompagnano a meraviglia con i cioccolatini. In questo caso nei supermercati Migros troverete le dolci creazioni più golose e raffinate firmate Frey, tra cui i Giandor a forma di cuore, le praline assortite Prestige e le Truffes.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Idee e acquisti per la settimana

Per una freschezza duratura

Attualità Gli ammorbidenti concentrati Chanteclair assicurano un’avvolgente profumazione e un bucato

morbido, a lungo

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Nulla è più appagante del buon profumo di pulito che si sprigiona dal bucato fresco di lavatrice e che ci accompagna per diversi giorni. Grazie ai nuovi ammorbidenti I Concentrati di Chanteclair bastano poche gocce per ottenere una straordinaria sensazione di pulito e una morbidezza duratura. Nati dall’esperienza di Chanteclair nella cura del bucato, sono stati appositamente studiati per conferire ai tessuti un’extra freschezza e un profumo avvolgente e delicato. Ogni fragranza è stata studiata da Chanteclair in collaborazione con le migliori maison profumiere al fine di ottenere delle fragranze uniche, pure ed avvolgenti, in grado di coccolarci giorno dopo giorno. Chanteclair I Concentrati è disponibile in tre raffinate profumazioni: FIORI

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Società e Territorio

Mestieri che tornano

Incontri La manualità, il contatto umano, la creatività sembrano rari nel mondo lavorativo

sempre più automatizzato e digitale, ma c’è chi reinterpreta professioni tradizionali. Ne abbiamo parlato con uno scrivano, un sarto e un saltimbanco

Quando usciremo dal tunnel

In casa R iflessioni

durante la pandemia Silvia Vegetti Finzi

Valentina Grignoli Le professioni di oggi, lo vediamo soprattutto in questa epoca sospesa e nei tentativi di ritrovare una sorta di continuità con la quotidianità, sono via via sempre più caratterizzate dalla tecnologia e dall’universo digitale. La manualità, il contatto umano, lo scambio, non sembrano più peculiari per gran parte delle professioni, tanto che oggi scopriamo che per continuare a farle bastano a volte un computer e una buona connessione. In questo universo digitale però, sono negli ultimi anni riapparsi dei mestieri che avevamo dato per spacciati, che vanno contro corrente rispetto all’andamento globale, riportandoci a riflettere sulla necessità umana di contatto e comunicazione, insita in ognuno di noi. Necessità che tra l’altro è tornata prepotentemente nelle nostre case, ora che non le possiamo lasciare. Si tratta di figure professionali che tornano in auge e che rientrano in un fenomeno più a larga scala di recupero nostalgico dello ieri attualizzato al mondo contemporaneo. Una moda? Una vocazione? Abbiamo cercato di scoprirlo con tre diversi professionisti di ambiti completamente differenti: uno scrivano, un sarto e un saltimbanco. Antoine Casabianca, economista oggi in pensione, si era accorto negli anni che a volte molte comunicazioni riguardo la prevenzione, nel suo ambito lavorativo di salute pubblica, non erano recepite correttamente per carenza di comprensione del pubblico. Forte di questa esperienza e conscio di assistere a una situazione di analfabetismo di ritorno, ha deciso quindi di proporsi come scrivano per offrire un aiuto pratico. «Qui sembra strano, ma è una professione che in altri paesi è comune. – ci racconta Antoine – In Francia c’è un master per diventare écrivain publique ed essere assunto nelle amministrazioni comunali. Nella Svizzera romanda ci sono associazioni e uffici del comune che rispondono a questo genere di bisogno: figure professionali, e formazioni adeguate, come i conteurs che raccontano storie, oppure écrivains che si occupano di scrivere discorsi elettorali. Io sono partito con uno spirito più nostal-

gico, prendendo spunto dagli scrivani del passato, con la motivazione di dare a chi ne ha bisogno, a titolo volontario». Alla Filanda due pomeriggi al mese, Antoine ha trovato il luogo per iniziare la sua attività di scrivano, anche se, come osserva «chi non sa scrivere non si reca per forza in biblioteca». Le richieste sono sin ora molto pratiche, dalla lettera di candidatura, alla creazione di un indirizzo email, dal ringraziamento al personale medico di un ospedale, al discorso di commiato. «Il ritmo per ora è abbastanza lento, ma bisogna anche lasciare che il passaparola faccia il suo corso». Va detto che esistono associazioni che aiutano a combattere l’illetteratismo, come Leggere e scrivere, e che la Filanda stessa propone ai propri utenti corsi gratuiti specifici. Il lavoro di Antoine è diverso, perché offre un aiuto puntuale e pratico, anche a chi forse per pudore e orgoglio non ha ancora deciso di affrontare le proprie lacune. «Di ciò che faccio, come scri-

Gregori Brankovic ha creato Bec Vintage&Sartoria.

vano, amo la sensazione di essere forse non decisivo, ma certamente utile. Vedere il sorriso di una persona che è appena riuscita a redigere un documento con me, è anche una grande soddisfazione personale!». Soddisfatto del proprio percorso personale lo è anche Gregori Brankovic, che a trent’anni riesce a fare il sarto in un mondo globalizzato dove il lavoro manuale e creativo va difeso a denti stretti. «Mi sono diplomato alla Scuola

d’Arti e Mestieri della sartoria a Lugano, e poi ho iniziato la scuola superiore come tecnico d’abbigliamento a livello aziendale, troppo tecnica e poco creativa. Sono partito quindi a Milano come fashion designer, molto interessante per quanto riguarda sfilate e conoscenze ma la formazione non era ai livelli delle scuole precedenti, dove ti vengono fornite le basi per entrare nel mondo del lavoro. Invece il rapporto con il cliente… quello lo impari solo con la pratica!». Lugano, Milano, ancora stages in Ticino, ma il lavoro è difficile da trovare, e allora Gregori va in Inghilterra, dove perfeziona l’inglese e la propria professionalità. Un percorso rocambolesco nel quale però il giovane aggiunge ogni volta, tra praticantati e perfezionamenti, un tassello utile alla professione di oggi. Quando arriva l’occasione giusta, un negozio di abbigliamento vintage a Lugano dove poter iniziare una collaborazione, creare i propri capi e lavorare, trova finalmente la stabilità cercata: e dopo qualche anno lo rileva creando il Bec Vintage&Sartoria. Quello che conta qui è il rapporto con la clientela, che si costruisce con il tempo e che si basa su una fiducia che riesce ad azzerare la concorrenza. «Oggi la sfida più grande è che la gente vuole tutto, subito, e a poco prezzo. A volte i clienti si stupiscono del costo, vogliono contrattare, senza rispettare il lavoro e il tempo dedicati, che vanno invece valorizzati». Ma per Gregori essere sarto ha anche dei vantaggi: «Puoi fare quello che vuoi, ovunque! Si tratta di un lavoro artistico e utile al contempo, che dà tante soddisfazioni, perché lo crei dal nulla, basta rimboccarsi le maniche». Una vena, quella creativa, che lo ha da sempre contraddistinto: «Mi stavo formando in ambito artistico quando ho intrapreso la via della sartoria, un po’ per caso. Oggi sono molto contento di aver scelto questo mestiere! È il futuro: riscoprire la manualità e riuscire a crearsi il lavoro da soli. Sono cose che serviranno sempre!». Anche Samuel Stahel, in arte Samuelito, è decisamente creativo: da trent’anni infatti colora le strade e diverte il pubblico con la sua arte. Vive a Berna ma si sposta letteralmente – soprattutto d’estate – in tutto il mondo,

tra festival e piazze. Un busker che ha iniziato con il jonglage e che oggi fa maggiormente il comico, interagendo con il pubblico e creando sempre nuove situazioni. «Vivo di questo ma non solo, ho anche un’altra professione nel campo della comunicazione, in ufficio! Non è una questione di soldi ma di libertà: ho bisogno di equilibrio e stabilità, di non sentirmi obbligato a partire e accettare per forza degli ingaggi, ma di provare gioia ogni volta che lo faccio!». Un mestiere sicuramente non ripetitivo, e infatti quello che Samuelito ne apprezza di più è «l’imprevisto, il non sapere mai come lo spettacolo si evolverà. Amo anche il contatto con il pubblico, l’interazione. E la condivisione con la famiglia mondiale di artisti che si è venuta a creare». Essere busker poi significa viaggiare, tanto, «e scoprire luoghi che senza gli spettacoli non conosceresti mai!». Abbiamo assistito, negli ultimi vent’anni all’evoluzione di questo mestiere che ora è tanto diffuso e di moda da richiamare anche alle nostre latitudini (basti pensare al successo del Buskers di Lugano e del Festival Artistidistrada di Ascona – quest’anno purtroppo cancellato) una grande affluenza di pubblico e di artisti più disparati. «Negli ultimi anni ci sono stati grandi cambiamenti, in Europa e altrove: i festival sono aumentati, e questo è un bene. Ci sono però anche molti più artisti che si muovono, perché oggi si può viaggiare low cost. E se, con la posta elettronica e soprattutto youtube oggi postulare è diventato più facile, è meno scontato ottenere i lavori perché siamo in moltissimi, e con formazioni sempre più specifiche e di alto livello». Con gli anni, anche la tecnica è aumentata: «una volta ci volevano amplificatori, tecnici, oggi si può fare tutto da soli, con qualità ottima. Capita addirittura che durante i festival ci si sovrasti tra noi, a livello di suono!». Mestieri di una volta che si evolvono, che cambiano con il tempo adattandosi all’oggi. Forse non permettono più a chi li fa di viverci, ma certamente contribuiscono a valorizzare la qualità di una creazione artistica indipendente, la necessità di un contatto umano e l’importanza della comunicazione tra persone.

Pixabay

Samuel Stahel in arte Samuelito, in una foto d’archivio. (www. samuelito.ch)

Per rappresentare il tempo che stiamo vivendo, sospeso tra un prima e un poi, si fa spesso ricorso alla metafora del tunnel. L’immagine evoca il viaggio ma anche il timore che non vi sia uscita e l’ansia di non sapere che cosa ci attende dall’altra parte. Imboccando una galleria capita infatti di lasciare alle spalle l’inverno e trovare la primavera ma anche viceversa. Di fronte all’ignoto la mente umana è indotta a evocare il passato e analizzare il presente per prefigurare il futuro. Ci lasciamo alle spalle un’epoca di benessere senza precedenti, il periodo storico più lungo senza guerre, una speranza di vita sempre più avanzata. Ma l’irruzione di un Virus sconosciuto ha sconvolto la quotidianità e una quarantena pesante ha imposto di fare le stesse cose in modo diverso. L’obbligo di mantenere in pubblico la distanza sociale e di contrarre in privato la prossimità familiare ha cambiato le relazioni sociali, i legami affettivi e il rapporto che intratteniamo con noi stessi. Ci siamo finalmente accorti che, nonostante continui avvertimenti, avevamo sottovalutato la crisi ambientale. Fenomeni globali come l’inquinamento del mare, lo scioglimento dei ghiacci, la deforestazione, la desertificazione, le carestie, benché ampiamente illustrate, erano rimaste informazioni senza diventare emozioni. Il Covid invece, colpendoci direttamente, ha coinvolto la nostra anima e non solo la nostra mente. Riconoscerci fragili e indifesi aiuta a riflettere sul «prima» per programmare meglio il «dopo» senza commettere gli stessi errori. L’emergenza climatica chiede di contenere gli eccessi della società dei consumi e di assumerci la responsabilità di un mondo globale riconoscendoci parte di un’unica famiglia, quella umana. Nell’isolamento obbligato stiamo sperimentando in prima persona che cosa significhi essere una comunità unita e solidale. Eravamo convinti di bastare a noi stessi, abbiamo compreso che ciascuno ha bisogno degli altri e che la libertà è di tutti o di nessuno. I bambini, esaurita l’euforia della vacanza, rimpiangono la scuola, la maestra, i compagni. Persino gli adolescenti, eterni scontenti, non vedono l’ora di tornare nella loro comunità. Questa pandemia è stata segnata dall’elevata mortalità degli anziani che, con la loro «presenza assente», hanno evidenziato l’importanza dei nonni, da tempo figure centrali nella famiglia eppure poco ascoltati come testimoni di un’epoca e come maestri di esperienza. Tra gli effetti dell’isolamento è fondamentale il mutamento interiore. Il dialogo con noi stessi è divenuto più profondo e il rapporto con gli altri meno strumentale e più selettivo. L’importante è non illudersi che la necessità ci renda automaticamente migliori. Quando chiesero a Italo Calvino «che cosa troveremo nel nuovo secolo?» lo scrittore rispose: «ciò che vi porteremo». Speriamo di portare, al di là del tunnel, il meglio di noi.


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Società e Territorio

Le donne al centro

Post Covid-19 L’appello al Governo di FaftPlus, Federazione delle Associazioni femminili Ticino, per integrare

le competenze delle donne nel gruppo di lavoro voluto per affrontare il dopo emergenza Natascha Fioretti Da qualche settimana è uscito per la prima volta in italiano per add editore L’Atlante delle donne, un’aggiornata e accurata analisi, la cui prima edizione risale al 1986, di come vivono le donne nel mondo. L’autrice Joni Seager, docente di Global Studies alla Bentley University, geografa femminista ed esperta di politica globale, ha svolto un meticoloso lavoro di ricerca raccontando il mondo femminile in tutti i suoi aspetti: parità, maternità, femminismo, cultura della bellezza, lavoro femminile, donne nell’economia globale, ambienti domestici in trasformazione, violenza domestica, diritti, donne al potere. Il risultato è una rimappatura femminista del mondo, attraverso una lente che permetta di guardare per davvero il modo in cui le donne vivono. È uno strumento che finalmente dà alle donne la stessa attenzione, curiosità e analisi che normalmente sono riservate alle vite degli uomini. Come ci ricorda anche il titolo di un film, noi donne non solo rivendichiamo il diritto di contare ma anche l’importanza di contare, di essere visibili nelle statistiche di genere, altrimenti i fenomeni e le peculiarità che ci riguardano non vengono mappati e letti nel loro impatto, a cominciare dal Covid-19. Sulla scia di quanto sta succedendo negli altri paesi, vedi la squadra di esperte (Donne per un nuovo Rinascimento) voluta in Italia dalla ministra della famiglia e delle pari opportunità Elena Bonetti e in seguito alle dichiarazioni del presidente del Consiglio di Stato Christian Vitta, secondo cui il Governo si è già mosso per istituire un gruppo di lavoro per mettere a punto un programma di rilancio, FAFTPlus (Federazione delle Associazioni Femminili Ticino) ha messo in campo l’iniziativa #ripartiredalledonne con un appello al governo ticinese di includere le competenze femminili al tavolo e nei gruppi di lavoro per il post Covid-19. Tra le richieste tutte parimenti importanti e interconnesse tra loro – una presenza femminile qualificata nei luoghi della ricostruzione, la chiusura dei gap di genere come obiettivo strategico nei processi di elaborazione degli interventi, la visibilità delle competenze femminili e il ruolo delle donne nel processo di ricostruzione nei media, nello spazio pubblico e politico – vi è proprio quella di produrre statistiche di genere per orientare i piani di interven-

to post crisi, anche in ragione dei diversi effetti della pandemia sulle diverse fasce della popolazione. Marialuisa Parodi, presidente di FaftPlus e economista, è molto chiara su questo punto: «per quanto riguarda il mercato del lavoro mancano in Ticino delle statistiche abbastanza profonde che possano dar conto delle differenze tra uomini e donne. I dati ci sono, si tratta di elaborarli e strutturali con questo obiettivo. Solo su questa base ci si può rendere conto della situazione e avere un’idea chiara di dove, come e quando intervenire nel momento in cui si prevedono delle spese, delle iniziative e degli interventi sociali e economici». Secondo il World Economic Forum e l’Organizzazione delle Nazioni Unite ecco perché le donne saranno più colpite degli uomini nella fase post Covid-19: rappresentano la maggioranza del personale di salute e di cura, con la chiusura delle scuole si sono fatte carico della cura dei bambini, più degli uomini si sono prese cura dei famigliari colpiti dal virus, e nei mesi a seguire saranno più colpite degli uomini nella perdita di posti di lavoro. «Si sono già

visti i dati del lavoro americano e anche da noi le donne saranno le prime a essere colpite: lavorano più frequentemente su chiamata, a tempo parziale e popolano i settori più colpiti dal lockdown e con meno possibilità di lavorare da remoto (pensiamo a vendita e ristorazione); molte hanno dovuto lasciare il lavoro per occuparsi della famiglia. Tutto questo avrà un effetto devastante sul lavoro femminile, sulla vita delle donne e delle famiglie. Quindi nel considerare che tipo di aiuto e di sostegno assicurare, occorre aver ben presente che le diverse fasce della popolazione saranno impattate in modo differente». Lo ha detto anche il segretario generale delle Nazioni Unite: «Mettete le donne e le ragazze al centro degli sforzi per riprenderci dal Covid-19». D’altra parte come ha scritto Avivah Wittenberg-Cox, esperta canadese di leadership e gender balance, le donne al potere stanno ampiamente dimostrando un’attenta ed efficace gestione dell’emergenza sanitaria con un minor numero di decessi. Tutte si sono contraddistinte per un’efficace e chiara strategia di comunicazione. Angela

Merkel dal principio si è dimostrata calma ma incisiva nel dire la verità «è una cosa seria, prendetela sul serio». Tsai Ing-wen, Presidente di Taiwan e Jacinda Ardern, prima ministra neozelandese, si sono distinte per essere subito intervenute con risolutezza e capacità decisionale ordinando il lockdown. In Islanda la prima ministra Katrín Jakobsdóttir ha reso disponibili e gratuiti i test a tutti i suoi concittadini mentre Sanna Marin, prima ministra finlandese, si è avvalsa degli influencer e dei social media come diffusori virtuosi di informazioni basate sui fatti e verificate. Erna Solberg, prima ministra norvegese, ha invece usato la televisione per rivolgersi direttamente ai bambini del suo Paese e ha tenuto una conferenza stampa dedicata esclusivamente a loro. A quale uomo verrebbe mai in mente? Torniamo al Ticino. Cosa si aspetta dunque FAFTPlus da questo appello, quale effetto vuole sortire? «Siamo sicure che il governo comprenderà le ragioni profonde delle richieste e ci aspettiamo che dia segnali importanti. Un’idea ad esempio sarebbe quella di chiedere agli enti, alle associazioni o

libri da proporre già dai 2 anni, nella fascia d’età dei cosiddetti «toddlers», per la quale Attilio l’anno scorso è stato insignito, unico italiano, del prestigioso Bologna Ragazzi Award alla carriera. Il suo più recente libro (sempre per l’editore Lapis e a cura della figlia Alessandra) è invece un’opera a sé, un appassionato omaggio alla lettura: su ogni pagina di destra i suoi personaggi animali vivono un’esperienza di lettura, su ogni pagina di sinistra pochissime parole in stampatello fungono da didascalia: «ascoltare chi legge», «leggere le figure», «leggere in un posto tranquillo», «leggere per essere qualcun altro», ecc. Il rapporto tra testo e immagini non è mai ridondante, perché le immagini aggiungono un guizzo metaforico o ironico, come ad esempio in «leggere e fare un’altra cosa importante» vediamo il personaggio che legge... sul vasino! Un altro valore di questo libro è la sua fruibilità a molti livelli. Semplicissima e letterale per i più piccini, ma anche come spunto per riflettere, con i ragazzini più grandi, sul bello della lettura.

Elizabeth Jenner, Kate Wilson & Nia Roberts – Consulenza di: Graham Medley Professor of Infectious Disease Modelling, London School of Hygiene & Tropical Medicine – Illustrazioni di Axel Scheffler, Coronavirus. Un libro per bambini, Emme Edizioni – Nosy Crow. Da 5 anni In mezzo a tante proposte per spiegare la pandemia ai bambini, svetta questo bellissimo libro, con testi redatti con cura e chiarezza, e illustrazioni splendide (che regalano sorrisi e emozioni positive, pur senza banalizzare) di uno dei nomi più alti dell’illustrazione per l’infanzia, Axel Scheffler. Lo conoscete di sicuro, perché solitamente illustra le storie di Julia Donaldson, pubblicate anch’esse da Emme Edizioni, come il mitico Gruffalò. In più, questo libro è assolutamente gratuito! Lo potete scaricare direttamente dal sito del gruppo editoriale EL-Emme-Einaudi Ragazzi: www.edizioniel.com È davvero raro che un libro di tale

alle parti sociali convocate di delegare profili femminili, una richiesta attiva a cui il governo potrebbe dar seguito immediatamente. L’altra azione concreta e urgente sarebbe dotarsi di statistiche disaggregate per genere, in modo da valutare con efficacia il diverso impatto economico della pandemia su uomini e donne». Sarebbe anche auspicabile una task force specifica nell’ottica di valutare gli interventi in chiave di genere? «Sarebbe un passo davvero all’avanguardia e nemmeno così difficile da immaginare. Le competenze in materia di bilancio di genere (l’analisi del differente impatto delle politiche economiche e sociali) sono presenti sul territorio e parzialmente già attivate dal Cantone nel recente passato. Si tratta di potenziare il raggio d’azione, le esperte in grado di assumere questa responsabilità sicuramente non mancano». Non includere le donne nella strategia politica per questa importante e difficile ripartenza, significherebbe non aver imparato la lezione di questa crisi e continuare a sprecare l’enorme potenziale umano ed economico delle donne. Speriamo che sia la volta buona.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Attilio, Leggo!, Lapis. Da 3 anni Più del solito si parla ora di libri e di lettura, a causa anche del lockdown che forse li favorisce. Innescato inoltre da celebrazioni primaverili consuete, come la Giornata mondiale del libro il 23 aprile, o – nel nostro piccolo – la Giornata svizzera della lettura ad alta voce il prossimo 27 maggio, in rete è tutto un abbondare di entusiasti narratrici e narratori, con esiti sui quali non è questa la sede per disquisire. Vogliamo invece solo prendere le mosse da qui per segnalare un libro che con elegante semplicità parla della lettura. Non potrebbe essere altrimenti, visto che il libro in questione porta la firma di un maestro italiano dell’illustrazione, Attilio Cassinelli, in arte Attilio, per sua stessa ammissione amante «delle cose semplici»: quello che nella sua modestia non aggiunge è che bisogna essere molto bravi per farle bene. Attilio, nella sua lunga e tuttora produttiva carriera (è nato nel 1923), crea pagine inconfondibili nel loro pulito, sorridente rigore. Sul bianco dello sfondo si stagliano,

evidenziati da un deciso contorno nero e riempiti di colori pieni, i suoi personaggi, che riescono ad essere espressivi anche nella sobrietà dei loro tratti. Un equilibrio sottile, a misura di bambino, rende questi personaggi incisivi, «caldi», vivaci; e al contempo leggeri e mai invasivi dello spazio limpido della pagina. Attilio fa libri per bambini dagli anni 60, è stato un antesignano del silent book, è stato un precursore di tematiche quali l’ambientalismo e il rispetto per gli animali, ha illustrato grandi classici come Pinocchio, ed ora è tornato alla ribalta con un nuovo progetto, due collane per piccolissimi, Le Mini Fiabe e Le Mini Storie, Lapis Edizioni. Piccoli

qualità sia offerto gratuitamente, e un plauso va a tutti coloro che ad ogni livello hanno partecipato, senza alcun compenso, alla sua realizzazione. Le domande e le inquietudini che possono sorgere nei bambini trovano qui una risposta piena e pacata. Oltre alle spiegazioni propriamente scientifiche (cos’è il coronavirus...), le situazioni quotidiane sono quelle in cui ognuno si può riconoscere (la nonna in videochiamata...); le emozioni , anche quelle negative (nervosismo, litigate tra fratelli...) vengono riconosciute, offrendo tanti spunti per vivere questa esperienza in modo equilibrato e costruttivo.


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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Distanze sociali Il vostro Altropologo di riferimento si era ripromesso fin dall’inizio del lockdown il 9 marzo di non proferir verbo sulle questioni relative al CV-19 e gli amplissimi dintorni – annessi e connessi in espansione a velocità galattiche. Lo confortava la presa di posizione di un noto filosofo, peraltro noto per la loquacità con la quale è disponibile a pronunciarsi sullo scibile universale. All’intervistatore che qualche settimana fa gli chiese di commentare le prese di posizione sul tema di un suo altrettanto famoso collega (opinioni perlomeno dubbie come vedremo a breve), l’ex Primo Cittadino di Venezia rispose senza mezzi termini che il CV-19 era una questione talmente seria da escludere la possibilità di filosofarci sopra – e che per favore il giornalista non insistesse perché sennò al filosofo sarebbero girate le scatole. Grazie e arrivederci. Più chiaro di così. Bene, bravo. Sono bastate un paio di settimane,

trascorse in totale isolamento nel mezzo di una valle oscura, unico contatto la Postina che quatta quatta deposita la posta a debita distanza per poi ritirarsi (proprio come facevano gli esploratori con pentole e paccottiglia per indurre i selvaggi al contatto), a far crollare la mia determinazione a tacere. Alla vigilia della Fase Due che vedrà in tutta Europa timidazzardate, avareccessive aperture verso il ritorno alla «normalità», la nuova espressione che è entrata nel vocabolario quotidiano è «distanza sociale». Dal momento che tutti sappiamo cosa sia – nel senso ovvero che nessuno sa poi cosa sia di preciso perché come tutte le minacce e le catastrofi impellenti tale non sarebbe se si sapesse cos’è – non mi darò pena a definirla. Mi limiterò a commentare cosa se ne dice e provare ad inferirne il perché. Fin dall’entrata a gamba tesa dell’Autorità Politica che col supporto di quella medica ci ha costretto in casa si sono

Lebensraum individuale (uso il termine deliberatamente) da parte del Potere. È poi toccato agli epigoni rendere operativa la posizione teorica elaborando sul complottismo delle case farmaceutiche, dei servizi segreti di mezzo mondo, di Quelli della tecnologia G5, del Trono di Spade, di Soros e Bill Gates e via discorrendo. Fatevi un giro nel web entro i duecento metri da casa (anzi, si può fare tutto in casa): ce n’è per tutti i gusti – e disgusti. Ultimo vulnus l’attacco al fondamento stesso della socialità. L’imposizione della «Distanza Sociale» ucciderà il bastione estremo che distingue Sapiens dalle bestie in quanto animale sociale organizzato. A questo punto l’Altropologo deve farsi sentire. Ma come?! Non eravamo fin dal 1950 quella Folla Solitaria che Steven Runciman indicava come cifra della socialità in epoca moderna? Non eravamo fino all’altro giorno quelli che in metropolitana fitti come sardine

sentivano il proprio prossimo lontano chilometri? Non eravamo quelli che nel condominio non salutavano nessuno e che soffrivano di hikikomori (?) – ormai epidemia globale? Cosa c’entrano mai il CD-19 e gli sforzi di coloro che hanno l’ingrato compito di fare scelte certo impopolari con tutti i rischi e gli sbagli che comportano? E poi, al contrario e altropologicamente parlando, è tutto un fiorire di nuove forme di socializzazione: si visitano i vicini, la gente per strada e nei negozi ride e saluta con una cordialità quasi sospetta, giungono telefonate da amanti perdute ed amici dimenticati (magari per accertarsi se si è morti, ma è socialità anche quella, no?). E dove mettere le migliaia di videoclip autoprodotte sul CV-19 rimbalzate sui cellulari di tutto il globo? Basta: questa sera provo a ridurre la distanza sociale col lupo che si sta riprendendo i suoi spazi. Che Francesco (quello già santo) mi dia una mano.

Cara Ida, mi sembra giusto pubblicare per intero la sua lettera perché credo esprima efficacemente le riflessioni di molti, se non di tutti, i lettori che si ritrovano nella «Stanza del dialogo». Un luogo dove abbiamo imparato a dire «noi» uscendo dallo spazio angusto dell’Io e del Mio. La possibilità di narrare e condividere i fatti della vita ci fornisce un «occhio in più» su noi stessi e sul mondo, proprio lo sguardo che lei utilizza per lanciare un appello alla responsabilità collettiva. È giusto e opportuno ascoltare gli esperti, i politici, gli amministratori… gli artisti che, come dice Freud , «sulla via delle verità ci precedono sempre», ma ci siamo anche noi, semplici cittadini, tra le persone da interrogare e ascoltare. La responsabilità che ci compete non ha a che fare soltanto con la professionalità, col fatto di essere insegnanti, giornalisti, medici o operai ma anche e soprattutto sulla comune appartenenza all’umanità. Di Ida non sappiamo

nulla, la sua lettera non ci dice chi è, che lavoro fa, se è giovane o vecchia, ricca o povera, più o meno acculturata e noi non abbiamo bisogno di saperlo. Parlano per lei le sue parole. È significativo che le prime siano dolore, amore e gratitudine, tre termini che in sintesi descrivono l’epoca che stiamo vivendo, l’ombra e le luci che l’attraversano. E Ida suggerisce subito di accentuarne gli aspetti positivi perché il «dopo» è alle porte e non abbiamo tempo da perdere. Approfittiamo di questa pausa della storia, ci esorta, per volgere lo sguardo al passato prossimo trasformando critiche e malcontento in proposte e progetti. Non si tratta di un rimuginare da soli, nel chiuso delle nostre stanze, ma di approfittare delle Rete, che tutti collega, per elaborare un pensiero collettivo, volto al bene comune. Da parte mia suggerisco di coinvolgere anche ragazzi e ragazze perché la giovinezza è l’età dell’irrequietezza, del pensiero creativo, della visione utopica. Purché, è sempre Ida

ad avvertirci, sappiano procedere, facendo tesoro dell’esperienza, «settore per settore, argomento per argomento», evitando proclami generici e astratti. Interrogare il passato per delineare il futuro è il compito da sempre affidato alla storia ma sappiamo che il passato può essere manipolato per cui occorre innanzitutto scegliere gli ideali ai quali riferirci senza lasciarci travolgere dalla paura e dalla fretta. L’emergenza ha portato alla luce potenzialità sconosciute, come la solidarietà, la cura, l’attenzione all’altro, il sacrificio di sé. Ma, come ho già avuto modo di scrivere, credo non si cambi definitivamente per necessità ma per intima convinzione.

ruolo di promotori della lettura. Con la quale sembrano avere una familiarità dell’ultima ora. E lo conferma lo scenario della loro sguarnita biblioteca domestica. Ironie a parte, contano, di questi tempi, i buoni propositi. Si allarga, infatti, la categoria dei futurologi, quelli che affacciano previsioni sul dopo che verrà: e sarà una stagione di ravvedimenti. Insomma, un generale cambiamento di abitudini e di valori, che dovrebbe comportare la riscoperta della lettura, compagna del tempo libero, riveduto e corretto. Non più viaggi tanto per andare, acquisti tanto per comprare. Invece, piaceri sedentari e veramente ritempranti, affidati alle pagine stampate. Un dubbio, però, si giustifica nei confronti di questa svolta, certo all’insegna della saggezza, ma anche del moralismo e, non da ultimo, di un malinteso. Perché quel prima, che si vorrebbe sostituire, non era poi tutto da buttare. Consentiva di fare e andare, magari sbagliando, come succede quando si

è liberi. Evitando, persino, di leggere. E qui una precisazione è d’obbligo. La lettura è un’abitudine che, solo in parte, s’impara. Magari a scuola con l’insegnante che sa ringiovanire i Promessi sposi. O a casa, dove, a volte, rappresenta una forma di eredità familiare. In seguito, la voglia di leggere cresce o si esaurisce sotto i più svariati influssi: negli ultimi decenni, la concorrenza dell’immagine che ha rubato spazio alle parole stampate. Comunque, non va imposta. Neppure la solitudine del Coronavirus riuscirà, salvo eccezioni, a convertire i non lettori, o lettori occasionali, in lettori fedeli. Persone che, effettivamente, il libro lo usano nel giusto modo. Non sempre è il caso. Il libro si presta, infatti, a funzioni diverse. Tornando al tema degli scaffali dietro gli ospiti televisivi, serve come immagine. Il libro è, materialmente, un oggetto, decorativo e in pari tempo simbolico. Arreda bene le pareti di casa, tanto più se si presenta in veste accurata, persino preziosa. Ap-

partiene al novero dei pezzi da esibire, alla stregua di un biglietto da visita sociale e cultuale. Capita, però, che quegli ammirevoli volumi rimangano intatti. Parlo per esperienza. I ripiani, più in alto, di una mia libreria, ospitano la collezione dei Nobel letterari, mai sfogliati. Mentre, su altri scaffali, si affollano, caoticamente, volumi e volumetti, spesso d’attualità, acquistati di gran fretta, non sempre meritevoli di attenzione. Altri, invece, e alludo a certi classici trascurati in gioventù, rivelano, al lettore vecchio, adesso chiuso in casa, il loro intatto potere di seduzione. Anche sulla sorte del libro-oggetto, piacevole da toccare, sfogliare, da ascoltare, attraverso il fruscio delle pagine, girate, incombe, con l’arrivo del tablet, una svolta, forse irreversibile. È una meraviglia tecnologica: una biblioteca, di dimensioni mondiali, racchiusa in una scatoletta. Qui il divario generazionale si fa sentire, senza scampo. Superfluo, per quel che mi concerne, confessare da che parte sto.

levate voci di sdegno per quello che è stato qualificato come un attacco senza precedenti alle libertà fondamentali che farebbero da tetragono spartiacque fra la Civiltà e la Barbarie, la Democrazia e la Dittatura, l’Illuminismo e l’Oscurantismo, la Schiavitù e la Libertà e chi più ne ha più ne metta. Responsabile di tutto questo il Potere – «Loro» – «Quelli che»: coloro che hanno colto l’occasione per impadronirsi dei nostri «corpi biologici» imponendo una sorta di habeas corpus in retromarcia che segna la fine dell’epoca liberal dell’umanità. Capofila e portavoce filosofico di tali posizioni è Giorgio Agamben, noto fra i Confederati per aver insegnato Filosofia all’USI di Mendrisio, le posizioni negazioniste del quale sono facilmente consultabili nel web. Mobilitato il concetto di biopolitica di Foucault (e in parte dell’Ivan Illich della «nemesi medica») si sostiene in sostanza che l’«epidemia» sia un’invenzione per l’occupazione finale del

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Il «dopo» della gente comune Cara Silvia, Siamo entrati in un momento della storia dell’umanità del quale è difficile vedere gli esatti contorni e le innumerevoli ripercussioni, negative ma spero anche positive, che ne scaturiranno. Come dice poeticamente Mariangela Gualtieri («Azione 13») dovevamo fermarci ma non sapevamo farlo. All’immenso dolore per tutte le persone che stanno soffrendo e all’amore e gratitudine per i tanti combattenti che operano senza sosta, si è unita nella mia mente l’incessante ricerca di come trarre elementi positivi dalla tragedia. Credo che bisognerebbe soprattutto cominciare a pensare a cosa vogliamo cambiare del mondo precedente (dopo nulla sarà più come prima) e penso che sono veramente tante le cose da fare: troppa ingiustizia, troppo divario, troppa «ignoranza», troppa sottomissione, troppa avidità, troppo narcisismo e poca istruzione vera, poca dignità, poca consapevolezza, poco amore per gli altri e per la terra. Credo fermamente che ora, oltre la

tragedia, abbiamo anche un’occasione unica e irripetibile per fare questa scelta tutti insieme, come è giusto che sia. Abbiamo il tempo di questa reclusione, la nostra esperienza, e il mezzo: internet. Per la prima volta nella storia dell’umanità, in un evento tragico mondiale, abbiamo la possibilità di comunicare fra noi in tempo reale. Vorrei invitarvi a usarla, questa possibilità, per salvare e riscrivere il nostro futuro e quello dei nostri figli. Facciamo l’elenco, tutt’insieme, di quello che non accetteremo più e l’elenco di come cambiare. Settore per settore, argomento per argomento. Non dobbiamo permettere, in modo assoluto, che si possa ricominciare come prima. Non dobbiamo permettere più di sottomettere ancora le nostre vite alla finanza, alla speculazione, alle criminalità di ogni genere e alla stupidità. Ora è il momento irripetibile perché siamo fermi e ogni potere è indebolito. Quando ripartiremo vogliamo farlo con le nostre regole, quelle della gente comune di tutto il mondo. / Ida Korch

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Mai senza un libro Anzi molti libri. Fanno da cornice ai personaggi che, in queste settimane, sono chiamati alla ribalta televisiva per proporre la loro testimonianza nell’era Coronavirus. In collegamenti a distanza, compaiono spesso con, alle spalle, una biblioteca. Non stiamo parlando dei politici, costretti a presentarsi, sparpagliati sugli spalti di parlamenti deserti né, tanto meno, dei medici e infermieri, affaccendati nelle corsie degli

ospedali. Il contorno libresco spetta ad altre categorie professionali: giornalisti e scrittori, ovviamente. La scelta dei volumi, di cui si circondano non è casuale. Luciano Fontana, direttore dell’autorevole «Corriere della Sera», non può che presentarsi davanti ai volumi, rilegati e severi, di un’enciclopedia. Mentre scrittori, del tipo scapigliato snob come Giampiero Mughini, preferiscono scaffali disordinati, dove c’è di tutto. I libri non mancano neppure nelle case di psicologi e terapeuti vari, interpellati per ottenerne indicazioni su rimedi antidepressivi, oggi più che mai necessari. Fra cui, in prima linea, figura la lettura. Il libro, insomma, va per la maggiore. Da oggetto marginale, passatempo sotto l’ombrellone, è promosso a strumento di riconosciuta utilità, un salva-vita in caso d’emergenza. Tanto da creare un nuovo obbligo. Sfilano, adesso, sui teleschermi le immagini di personaggi, simpatici e popolari, campioni sportivi, cantanti, intrattenitori, nell’insolito


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Ambiente e Benessere Motori elettrificati I costruttori chiedono di posticipare l’entrata in vigore della normativa europea che prevede misure non implementabili a causa della pandemia pagina 19

Vino e salute nell’antica Roma Impossibile non citare Celso, autore del De Re Medicina, uno dei più celebri testi medici

Un tocco d’esotico Condire piatti locali con frutti d’altre terre come mango, noce di cocco e frutto della passione

I Pet non contagiano Gli animali domestici non trasmettono il Covid-19 all’uomo

pagina 22

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Bambini sì, no, però… Covid-19 Occorre fare chiarezza sull’impatto

Maria Grazia Buletti Per arginare gli effetti della pandemia del coronavirus (Covid-19) servono i tamponi, i test sierologici e si pensa ai vaccini. Dell’impatto della malattia sui bambini si osserva che quelli infettati pare abbiano decorso piuttosto lieve. Oggi questa fascia d’età non fa eccezione nella raccolta dei dati di osservazione che, per certi versi, forniscono interpretazioni contrastanti, mutevoli e sorprendenti. Fare chiarezza è fondamentale, soprattutto in questa «seconda fase» di allentamento delle misure restrittive poste in essere per arginare la prima ondata virale, e in prospettiva del dibattuto rientro scolastico. «Di questo virus non conosciamo tutto: dobbiamo studiarlo passo dopo passo», il dottor Alessandro Diana (pediatra vaccinologo e ricercatore infettivologo all’Università di Ginevra) ci aiuta a comprendere e interpretare la marea di informazioni che si susseguono e che spesso cambiano la rotta del procedere: «Le decisioni finora assunte si sono basate sull’ipotetica analogia col virus dell’influenza da cui derivano le nostre conoscenze sulle pandemie, ma non è così. Sebbene analizzando le catene di trasmissione influenzale, i dati dicano che i bambini infettano adulti e nonni, nel caso del Coronavirus vediamo, sì, infezione delle vie aeree e complicazioni polmonari, ma l’ipotesi di trasmissione bambino-adulto parrebbe non essere così lineare. Inoltre, abbiamo trovato bambini negativi al tampone, che però sono risultati positivi al test sierologico: significa in modo inconfutabile che sono entrati in contatto con il virus». Ci chiediamo se non siano stati i bambini, per lo più negativi al tampone e spesso asintomatici, a trasmettere il virus agli adulti. Fino al 22 aprile la risposta era nella strategia dell’epidemiologia di tracciabilità del virus: «Conosciamo casi di bambini positivi per i quali abbiamo cercato di rintracciare la storia e il decorso della malattia in famiglia, con risultati strabilianti che indicavano che la stragrande maggioranza è stata infettata dai genitori e non viceversa». Attraverso la raccolta di dati a tappeto e le osservazioni, stiamo imparando a conoscere sempre di più il comportamento del Covid-19 nell’infanzia e ad agire di conseguenza. Ciò spiega come

ad esempio, il 20 aprile il «Journal of Public Health Management and Practice» pubblica uno studio dell’Università della Florida del Sud dicendo che i bambini saranno più colpiti del previsto, e che, seppur asintomatici, possono essere contagiosi tanto quanto gli adulti. Il giorno seguente, 21 aprile, la Società italiana di medici pediatri (Simpe), preoccupandosi per l’apertura delle scuole, afferma: «Il 47 per cento dei bambini è asintomatico, rischiano di diventare untori». La popolazione si aspetta risposte sicure da medici ed esperti che però, afferma Diana: «Quando non sai tutto, devi prendere la decisione più opportuna in quel momento. Dobbiamo avere l’umiltà di ammettere che non sappiamo tutto e, magari, la decisione che stiamo prendendo oggi potrebbe essere rivalutata completamente domani», indicando che ora si procede attraverso tamponi e test sierologici a tappeto, anche nei bambini, per raccogliere dati osservazionali la cui interpretazione può mutare man mano. Difatti, il 22 aprile, egli conferma, in relazione ai primi dati raccolti nello studio che si sta svolgendo sui bambini a Ginevra («tampone, test sierologico e soprattutto tracciabilità»), che essi possono infettarsi in modo lieve e che non dovrebbero infettare gli adulti. Ma qualche giorno dopo riferisce di alcuni casi pediatrici importanti, per ora rari: «Siamo stati allertati a Ginevra con tre casi pediatrici atipici per il momento: tre giovani, tra gli 11 e i 13 anni, con dolori addominali, nessun sintomo respiratorio, che hanno presentato uno shock emodinamico. Sebbene nei tre pazienti il tampone sia risultato negativo, la TAC ha dimostrato lesioni polmonari tipiche del Covid-19 e le sierologie sono risultate positive, prova inconfutabile che questi giovani sono stati a contatto col virus». Questi nuovi dati cambiano un po’ le carte in tavola, ma il dottor Diana ci ricorda che nella comunità scientifica non è mai successo di produrre più di 3000 pubblicazioni in tre mesi, come ora per il Covid-19: «Sono unicamente studi di osservazione e non evidenze scientifiche: spesso sono ipotesi che generano altre domande e non conducono alle risposte che solo dati validati attraverso studi randomizzati potranno dare al momento in cui si arriverà, allora sì, ad evidenze scientifiche». Parole d’ordine: prudenza, umiltà

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del Coronavirus sui bambini, su quanto si ammalino e quanto siano contagiosi – 2. parte

e capacità di interpretare i dati: «Anche se in genere il decorso di Covid-19 sui bambini è piuttosto blando, i dati contraddittori invitano a proseguire nella sierologia a tappeto che ci potrà dare importanti osservazioni. Potrebbero pure dimostrare un fardello da Covid-19 nei giovani più importante di quanto sappiamo finora, e non è escluso che il versante della contagiosità bambino-adulto nelle catene di contaminazione possa essere più elevato di quanto stabilito in base al solo striscio». Un condizionale che invita nuovamente a mettere ordine nella confusione e nelle idee: «Abbiamo bisogno di una “rete sentinella” in cui far confluire tutti i dati preliminari: immagino una rete della Società svizzera di pediatria a cui possano attingere pediatri universitari e di famiglia, perché fintanto che non disporremo di una simile banca

dati non riusciremo a prendere il toro per le corna». La pediatra Patrizia Tessiatore di Lamone ci conferma che in Ticino al momento non esiste una «rete sentinella» che coinvolga tutti i pediatri ticinesi: «Per l’esperienza nel mio studio, rilevo anch’io alcuni casi confermati attraverso tampone o fortemente sospetti (tampone negativo e sierologico positivo) che mi spingono a pensare come altamente auspicabile la costituzione ed estensione di questa rete di dati». Una «forza sul territorio ticinese» che, per la sua realtà particolare, potrebbe fornire informazioni molto preziose. Sopra tutto sta la controversa apertura delle scuole la cui decisione è «appannaggio della politica», sottolinea il dottor Diana, che per ora non si dice troppo preoccupato per i bambini: «il cui fardello sembrerebbe essere mi-

nore rispetto agli adulti che però, portando i figli a scuola, provocherebbero un movimento più ampio di persone sul territorio». La dottoressa Tessiatore da noi interpellata sulla «scelta migliore» afferma di non avere una risposta assoluta, allo stato attuale delle cose: «Il Ticino in particolare sta vivendo tutt’ora una situazione del tutto particolare, sospeso in una sorta di “limbo epidemiologico” tra il terribile vissuto della vicina Penisola e una realtà nordica assai differente». Non è semplice muoversi con l’incertezza degli elementi e i dati fluttuanti che emergono di giorno in giorno. Informazione

La prima parte dell’articolo è uscita su «Azione» no. 18 del 27 aprile 2020.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Ambiente e Benessere

Il mio nome è Robinson Crusoe

Viaggiatori d’Occidente Nel caos dell’epidemia può capitare di restare bloccati in un’isola della Thailandia

Marco Moretti Dopo due mesi in giro per l’Asia, incontro il coronavirus a Bangkok a fine gennaio. Da due settimane la Thailandia ha il suo paziente zero, il primo caso fuori dalla Cina. Sui mezzi di trasporto, i Thai indossano mascherine con aria rassegnata: in soltanto quindici anni hanno già avuto Sars, influenza aviaria e peste suina. Io ho un visto di un mese per il Myanmar, mi chiedo cosa fare. Meglio tornare a casa? O passerà, come le altre epidemie asiatiche? Alla fine, parto per il Myanmar. Alla frontiera terrestre tra Mae Sot e Myawaddy l’addetto sanitario birmano mi misura la febbre con un termoscanner: registra… 34,5 gradi, mi fa entrare. Ho l’inquietante conferma che la sanità birmana non riesce nemmeno a misurare la temperatura, figuriamoci contenere un’epidemia. Almeno sulla carta la Birmania non registra casi, ha sigillato i confini con la Cina e da inizio gennaio Pechino ha vietato i viaggi organizzati. Tranquillo? Non proprio. Torno in Birmania dopo dodici anni e la trovo molto diversa da come la ricordavo: di certo più vivibile e attrezzata per il turismo. Visito le grotte di Hpa’an, trasformate in templi buddisti con bassorilievi nella roccia. Poi Mawlamyine, la capitale inglese del South Burma, la Moulmein di George Orwell in Diario Birmano, con i suoi edifici coloniali, infiniti mercati e la collina dominata da pagode. Questa zona, teatro di una interminabile guerra etnica, è stata vietata per decenni agli stranieri; ora è battuta da pochi viaggiatori indipendenti. Giunto a Yangon, la più importante città della Birmania (anche se dal 2005 non è più capitale), capisco subito che la paura del Covid-19 è arrivata anche qui, almeno nella classe media. All’ingresso dei centri commerciali misurano la febbre e obbligano a disinfettare le mani. I benestanti indossano le mascherine e io li imito, soprattutto nei bassifondi dei quartieri musulmani. Yangon concentra tutti i contrasti del Paese più povero e drammatico del Sudest Asiatico: in pochi isolati si passa da shopping centre di lusso stile Singapore a slum con fogne a cielo aperto e la certezza che lo street food è contaminato. Tra le pagode di Swegandon, la maggiore testimonianza liturgica del buddismo, incrocio gli ultimi viaggi organizzati italiani, tedeschi, francesi, ma scompaiono in pochi giorni. Crollano i prezzi degli hotel: trovo un tre stelle con colazione a Sula Paya, cuore di Yangon, per venti franchi. Il bus per Bagan, la capitale degli antichi regni birmani nelle pianure centrali asciutte del Paese, è mezzo vuoto. Nella guesthouse sono occupa-

Thailand, Ko Tao. (Marco Moretti)

Mandalay Tower of the Palace. (Marco Moretti)

te solo tre stanze. Visito in tutta tranquillità con la mia compagna le antiche pagode e ringrazio per la chiusura dei confini ai cinesi. Sono da soli una buona metà del turismo birmano e in altri tempi sciamerebbero tra i monumenti di uno dei siti archeologici più preziosi dell’Asia. Anche i tour europei sono ridotti al lumicino. Il giorno dopo sul bus per Mandalay siamo in quattro. Ricevo brutte notizie dall’Italia, centinaia di casi. Ho fatto bene a restare? Forse. A Mandalay,

porto commerciale sul fiume Irrawaddy, capitale del Regno birmano fino all’occupazione britannica del 1885, si moltiplicano le mascherine e spariscono del tutto gli stranieri. Anche a Pyin Oo Lwin – la Hill Station costruita dagli inglesi a nord di Mandalay, popolata da indiani portati dai British Raj – non ci sono più turisti. Siamo gli unici occidentali nel più spettacolare giardino botanico del Paese. Le notizie dall’Europa peggiorano ancora e la data del ritorno si avvicina:

Thailand, Ko Chang Noi. (Marco Moretti)

ma ha senso tornare? Per ora torniamo in Thailandia. Cresce l’allarme. Gli addetti dell’aeroporto di Mandalay indossano mascherine, occhiali protettivi e guanti di gomma. All’arrivo all’aeroporto Don Mueang di Bangkok stessa scena. In altri tempi le operazioni doganali richiederebbero un’ora, ma non c’è nessuno e in dieci minuti dall’atterraggio siamo fuori dall’aeroporto. Sul bus per il centro la bigliettaia passa un asciugamano impregnato di disinfettante su mani-

glie e tubi di sostegno. Disinfettanti gratuiti per i clienti sono obbligatori in hotel e ristoranti; per entrare nei centri commerciali è obbligatoria la mascherina e viene misurata la febbre. Il taxista ci spruzza disinfettante sui palmi prima di farci salire. Anticipiamo il rientro? Le notizie sempre più drammatiche dall’Europa suggeriscono semmai il contrario. È il 1 marzo, il nostro volo di ritorno è previsto per il 18, vediamo che succede. Intanto andiamo a Ko Tao, isola nel Golfo del Siam apprezzata per snorkeling e immersioni nell’acqua trasparente guizzante di pesci. Di solito Ko Tao è affollatissima, ma ora la spiaggia è tutta per noi. Le notizie dall’Italia peggiorano ulteriormente, per quanto possibile. E intanto il contagio è sconfinato in Ticino. S’impone una decisione definitiva. Dopo tutto, la Thailandia è il Paese più affidabile della regione, con buone cliniche, in tempi normali meta di turismo sanitario. I casi di Covid-19 sono pochi: a fine gennaio erano trentadue, a metà marzo quaranta. In Italia sono decine di migliaia e il contagio dilaga in Europa. Restare è la scelta giusta. Forse. Ma ormai non importa, Thai Airways sceglie per noi: prima sposta il nostro volo di ritorno da Milano a Roma e dopo qualche giorno lo cancella. Si diffondono paura e diffidenza: le banche non cambiano più valuta straniera (potrebbe essere infetta, teoria antiscientifica da brivido), alcuni hotel rifiutano gli occidentali, dopo venticinque anni per la prima volta mi sento straniero in Thailandia. Preleviamo il massimo possibile al bancomat e ci rifugiamo a Ko Chang Noi, isola nel Mar delle Andamane dove abbiamo amici. Appena arrivati sull’isola i casi in Thailandia si moltiplicano. Se la situazione dovesse peggiorare ancora ipotizziamo d’andare a Phuket, dove vive un vecchio amico e ci sono il Consolato italiano e un aeroporto internazionale. Non ne abbiamo il tempo, d’improvviso anche a Phuket c’è un focolaio, nel quartiere a luci rosse di Patong. I Thai sono drastici. In un giorno vengono chiusi bordelli, sale massaggi, barbieri, bar e punti di ritrovo in tutto il Paese. Phuket è isolata. Il Bangkok Post titola «La Thailandia non è più sexy». I casi aumentano ancora. È il primo aprile ma non c’è voglia di scherzare, l’aeroporto di Bangkok è assediato da tremila turisti che cercano d’imbarcarsi su qualsiasi volo per l’Europa. Scatta infine il lockdown: stato d’emergenza, coprifuoco notturno, trasporti pubblici fermi, chiusi ristoranti e negozi, quarantena per uscire dalla provincia. E così, dopo tante incertezze, siamo bloccati su quest’isola dove non può più entrare nessuno. Siamo al sicuro? Si spera. Siamo in riva al mare, liberi di muoverci per l’isola. I bagni s’alternano a passeggiate tra le piantagioni di gomma nell’interno e trekking nella giungla. Conduciamo una vita alla Robinson Crusoe, perennemente seminudi, con giorni sempre uguali dominati dall’amaca e lunghe passeggiate da una baia all’altra. Raccogliamo i manghi selvatici che cadono dagli alberi, i generosi jackfruit e gli anacardi (ma questi ultimi speriamo di non mangiarli perché impiegano mesi a seccare). Col lockdown, il virus sembra sotto controllo, a fine aprile dovrebbe finire l’emergenza e cercheremo un volo per tornare a casa, dove – lo sappiamo bene – ci diranno che siamo stati dei privilegiati rispetto a chi ha dovuto sorbirsi la clausura domestica.



Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Ambiente e Benessere

Il 2020 doveva essere l’anno della svolta

Motori Era tutto pronto in Europa per imporre definitivamente il mondo delle quattro ruote elettrificate

Mario Alberto Cucchi Il processo di elettrificazione delle auto va avanti da molti anni. Le prime vetture ibride sono arrivate vent’anni or sono. Lo testimonia la Toyota Prius che in Europa è stata nominata «car of the year» nell’ormai lontano 2005. L’anno della svolta era questo: il 2020. Tutto era pronto. A partire dalle multe che il Governo europeo era pronto a dare alle Case costruttrici che avevano ancora in gamma veicoli troppo inquinanti passando per gli automobilisti ormai «istruiti» su batterie al litio e vantaggi ambientali delle elettriche fino ad arrivare alla rete di ricarica in veloce espansione in tutti i Paesi.

Volvo presenta, proprio in questi giorni, la sua ultima nata: la XC 40 Plug-in: «Recharge» Molti i nuovi modelli elettrificati arrivati negli ultimi 12 mesi e ancora di più quelli previsti entro fine anno. Aumentate le autonomie e diminuiti i prezzi. In Europa il settore della mobilità elettrica aveva chiuso l’ultimo trimestre del 2019 in crescita dell’80,5%. L’anno giusto era questo ma forse non

lo è più. D’altra parte, a causa della pandemia il settore dell’auto sta attraversando un momento che definire difficile è dire poco. Praticamente tutti gli stabilimenti mondiali hanno affrontato periodi di chiusura, stessa sorte è toccata a centri di ricerca e concessionari. In pratica tutta la filiera ne ha risentito e non solo a livello economico. Di una cosa siamo certi: il processo di elettrificazione non sarà arrestato. Ma quasi certamente subirà un rallentamento. I costruttori stanno già chiedendo di posticipare le scadenze previste dalla normativa europea. Nel 2020 la soglia massima di grammi di anidride carbonica (CO2) emessa per chilometro dalla media dell’intera gamma per costruttore non avrebbe dovuto superare i 95 grammi. Le multe per lo sforamento potrebbero arrivare a una cifra in grado di mettere in ginocchio le industrie mondiali: 14,5 miliardi di euro. Secondo gli analisti di PA Consulting, società britannica di consulenza, ci sono Case che potrebbero essere penalizzate per «solo» 18 milioni di euro e altre per 4,5 miliardi. Sarebbe il colpo di grazia per un settore che è già in difficoltà. Ecco allora che alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, è stata chiesta una moratoria sull’applicazione delle nuove normative sulle emissioni di CO2

Il nuovo modello Volvo XC40 Recharge P8 AWD in color argento ghiaccio.

entrate in vigore il 1° gennaio scorso. D’altra parte, nel 2020 a livello globale si prevede un crollo della produzione di veicoli di circa 11 milioni di unità: –2,2 milioni in Nord America e –2,9 milioni in Europa. Va detto che il passaggio dei Paesi più avanzati verso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili è un processo che ad oggi sembra davvero irreversibile. Non si può e non si vuole tornare indietro. Ecco allora che Volvo proprio in questi giorni presenta l’ultima nata:

la XC 40 Plug-in. «Recharge», questo il termine che indica tutte le auto del costruttore svedese che si ricaricano tramite presa, auto come questa ibrida ricaricabile che ti permette di viaggiare per 45 chilometri utilizzando solo il motore elettrico per i tragitti quotidiani ma che può contare su un motore termico per le lunghe percorrenze. Sotto il cofano troviamo un 3 cilindri benzina di 1.5 litri da 180 cavalli, accoppiato a un elettrico da 82 Cv, per un totale di 262 Cv e 425 Nm di coppia

massima, gestiti da un cambio automatico a 7 rapporti. La batteria, alloggiata sotto il pianale, ha una capacità di 10,7 kW. Entro fine anno arriverà anche XC40 Recharge P8, la prima vettura al 100% elettrica del Marchio. Un motore davanti e uno dietro, trazione integrale, per una potenza sistema di 408 cavalli. L’autonomia? 400 chilometri. Insomma, the show must go on, lo spettacolo va avanti. Il tutto, Covid 19 permettendo. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Ambiente e Benessere

La nascita degli enoliti d’origine monastica

Scelto per voi

Vino nella storia L’efficacia dell’uva fermentata in cui venivano dissolte varie spezie

per curare corpo e anima – Terza parte Davide Comoli Impossibile, quando si parla di rapporto tra vino e salute nell’antica Roma, non citare Celso (25 a.C.-37 d.C.), autore di uno dei più celebri testi dell’antichità De Re Medicina, composto da otto libri, il cui manoscritto perso fu ritrovato nel XV secolo da Papa Nicola V, fondatore della Biblioteca Vaticana. Forse è per questo motivo che il De Re Medicina è stato uno dei primi libri al mondo dati alle stampe; opera, oggi, di fondamentale importanza per capire il rapporto in epoca romana dell’argomento di cui stiamo trattando. Il testo del medico enofilo contiene parecchi stralci delle opere di Ippocrate e Asclepiade, con relativi commenti, e mette in risalto le qualità terapeutiche associate alle varie tipologie di vino. A quelli dolci e salati venivano attribuiti, ad esempio, effetti lassativi, mentre effetti opposti erano dati dai vini passiti o resinati. Curioso l’uso delle diverse tipologie di vino per le cure degli occhi o per le tonsille gonfie. Molto importante, si diceva di quest’opera, perché aiuta a elaborare in modo ulteriore il pensiero di Ippocrate, grazie al contributo di Celso, il quale assegna una precisa finalità terapeutica a ogni tipologia di vino, indicando molte volte l’aggiunta di differenti spezie o erbe per aumentarne l’efficacia.

Il frontespizio dell’ottavo libro dell’opera De Re Medica di Celso (Università Sydney, Libreria)

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Anche Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) adottò questo particolare metodo di ricerca, tant’è che dedicò allo studio medico 12 dei suoi 37 capitoli nel suo Naturalis Historia. In quest’altra opera si possono trovare elencati, e corredati dalle loro proprietà terapeutiche, ben 50 tipologie di vini rossi, 38 vini di provenienza straniera, 18 vini dolci e 3 salati. Anche il pensiero di Dioscoride (78 d.C.) seguì quello di Plinio: nel suo De Universa Medicina troviamo forse per la prima volta al mondo la botanica applicata alla medicina. Così si può leggere: «Il vino è un assai soave liquore, vero sostentamento della nostra vita, rigeneratore degli spiriti, rallegratore del cuore e potentissimo restauratore di tutte le facoltà e operazioni corporali». Dioscoride, di fatto e come già avevano fatto altri, non tralasciò di studiare gli effetti specifici delle varie tipologie di vino sui vari organi umani. Claudio Galeno (131-201 d.C.), nato nell’antica città dell’Asia Minore detta Pergamo (oggi nota con il nome Bergama ed è appartenente alla Turchia), uno dei centri artistici più splendido del mondo ellenistico, dedicò la sua vita alla ricerca trasformando la medicina da arte del guarire a scienza del guarire. Con Galeno, lo studio si fa più approfondito: il medico romano non solo analizza le qualità terapeutiche di ogni singola tipologia di vino, ma spingendosi oltre riesce a individuare alcune loro caratteristiche chimiche, mettendole in relazione con gli effetti che possono avere sul corpo umano; certe sue schegge di sapienza arrivano addirittura sino alla fine del Medioevo e coprono almeno 15 secoli di storia della medicina e farmacia. Interessante per noi enofili, il notare come curiosamente Galeno dava importanza al potere terapeutico ad ogni singola vendemmia, attribuendo a ciascuna di esse effetti fisiologici diversi. Con un balzo nella storia, ci spostiamo a Bisanzio, dove nel 330 d.C., l’imperatore Costantino aveva trasferito la capitale dell’Impero Romano. La storia qui si avvicina alla soglia del Medioevo, un periodo in cui tutti gli studi scientifici subiscono una drastica battuta d’arresto. Durante il periodo Bizantino viene ricordato il primo medico cristiano di chiara fama, Ezio di Amida (502-575 d.C.). Questo medico amava prescrivere vini astringenti a persone in buona salute e vino caldo a chi soffriva di difterite. Ma Ezio di Amida è anzitutto colui che inaugura (si fa per dire), un nuovo corso nella storia medica, è infatti grazie a lui che la Chiesa cattolica entra di prepotenza nella gestione della medicina dell’Europa Occidentale. Gli studiosi di farmacologia e medicina si ritrovano sempre più nei monasteri dove seguono gli insegnamenti di Galeno e dove possono meglio affinare le tecniche nel preparare vini medicinali a base di erbe, o cosiddetti «enoliti». La parola «enolito», oggi non più usata, è il termine corretto per definire ogni preparazione a base di vino e deriva dal termine greco «eno» (vino) e «lytos» (sciolto). Il vino per la sua composizione peculiare, acqua, acidi, alcol, permetteva infatti la solubilità completa in esso di molte sostanze farmacodinamiche altrimenti insolubili. Unito alla necessità di disporre del vino per la Santa Eucarestia, spiega il perché intorno ai monasteri ci fosse sempre un vigneto. Durante il Medioevo, pur ostacolando quasi in modo totale la ricerca chirurgica, i monaci svolsero tuttavia un ruolo molto importante nel proteggere e conservare gli

Praepositus Moscato Rosa

Da anni ai vertici della produzione altoatesina e nazionale, l’Abbazia di Novacella, meravigliosa struttura di proprietà degli Agostiniani, produce oltre ai classici e rappresentativi vini della Valle Isarco, anche uno stupendo Moscato Rosa. La linea «Praepositus» è dedicata agli Abati che si sono succeduti alla guida dell’Abbazia e i vini di questa linea son prodotti con uve selezionate provenienti dai vigneti meglio esposti. Il Moscato Rosa è un nobile e antico vitigno a bacca rossa, chiamato anche Moscato delle Rose, deve il suo nome allo spiccato aroma del fiore, percepibile all’olfatto e non al colore del vino. Ha un grappolo florale soggetto a numerosi aborti floreali, cosa questa che dà origine a grappoli molto spargoli con acini piccoli, dolcissimi e senza vinaccioli. Questo nettare conquista con le sue venature di rosa antico, con i suoi profumi suadenti di rosa/rosa canina che si armonizzano con delicate note d’agrumi. Per meglio gustare appieno il dono del profumo, bisognerebbe berlo solo, ma se lo desiderate, abbinatelo a un’insalata di frutta bianca e, ad esempio per festeggiare le «Mamme», provatelo anche con la classica «torta di fragole». / DC Trovate questo vino nei negozi Vinarte al prezzo di Fr. 29.90. antichi manoscritti di medicina antica. A tal proposito, possiamo far riferimento alla Scuola di Salerno, sorta all’interno di un ospedale benedettino del IX secolo. Tra le scuole di medicina medievale è senza dubbio la più rinomata, concentrava non solo tutte le conoscenze di medicina del basso medioevo, ma convergevano in essa le esperienze degli arabi e degli ebrei spagnoli. Studenti e medici provenivano e praticavano religioni diverse, ma il loro unico scopo e preoccupazione era lo studio medico. È proprio in questa scuola che l’uso del vino, prescritto come ricostituente o come antisettico, oltre a soluzione nella quale diluire sostanze medicamentose, diventa parte integrante degli insegnamenti dell’epoca. Il Regimen Sanitatis Salernitanum – una sorta di Summa di letteratura medica dell’epoca – indica numerose ricette proprio a base di vino. All’inizio del XI secolo, i medici salernitani esercitavano in tutta Europa. Quello che stupisce per l’epoca, è che una donna medico, Trotula de Ruggiero vi lavorasse occupandosi soprattutto di malattie femminili e scrisse anche un trattato De mulierum passionibus ante, in et post partum («Dei dolori delle donne prima, durante e dopo il parto»). Informazioni

La prima parte dell’articolo è uscita su «Azione» del 9 marzo 2020; la seconda, nell’edizione del 6 aprile 2020


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Ambiente e Benessere

Tre versatili esotici

Gastronomia Mango, per condire il pollo; l’acqua di cocco per rinfrescarsi e il frutto della passione

La volta scorsa vi ho parlato di ananas e papaia. Oggi tocca ad altri tre frutti tropicali, mango, cocco e frutto della passione: anche loro del tutto sdoganati in Europa. Frutto di un albero dei tropici, il mango è particolarmente profumato e aromatico, può avere forma ovale o tondeggiante, e buccia rossa, verde o gialla. Se il frutto risulta morbido alla pressione ed emana un profumo gradevole, significa che è maturo al punto giusto: condizione, ahimè, tutt’altro che facile da trovare.

Per buoni acquisti in generale scegliere frutti che siano pesanti e anche ben profumati Oltre che a essere consumato al naturale, è impiegato in macedonie e sotto forma di succhi, confetture, gelati e sorbetti. Si accosta però anche a preparazioni a base di carne, in particolare pollo, anatra e maiale, tritato e con pochissima cottura. La noce di cocco, familiarmente detta cocco, è il frutto della palma da cocco. È una grossa drupa di forma ovoidale, rivestita da un guscio marrone durissimo ricoperto da uno spesso strato fibroso; all’interno, la polpa è bianca, dolce e gradevole, ricca di grassi per lo più saturi (è uno dei pochi vegetali a contenere questo tipo di grassi); infatti dalla polpa essiccata si estrae un olio (copra) che si solidifica a temperatura ambiente e può essere usato in cucina. Il cocco contiene anche un succo lattiginoso e molto rinfrescante, l’acqua di cocco, ricca di sali minerali e vitamine e a scarso contenuto di zucchero, presente in quantità maggiori nel frutto giovane: con l’avanzare della maturazione, l’acqua sparisce e la

polpa da morbida si fa più consistente e croccante: tuttavia, la mancanza di succo non pregiudica necessariamente la bontà del frutto. Per fare un buon acquisto, valutare il peso (la noce deve essere pesante rispetto alle dimensioni) e la presenza di liquido (basta agitare il frutto). In Europa, la noce di cocco conosce svariati impieghi in pasticceria: fresca o secca e grattugiata, viene usata per realizzare dolci, pasticcini e gelati o per farcire praline. L’acqua di cocco non va confusa con il cosiddetto latte di cocco: questo è un prodotto ricavato dalla polpa della noce di cocco. Si prepara mettendo a bagno la polpa fresca e macinata in acqua bollente, in proporzioni variabili a seconda della densità desiderata: se il composto è fluido lo si definisce latte, se risulta più denso si parla di crema di cocco. Il frutto della passione (o maracuja) è il frutto di pianta erbacea e rampicante originaria del Brasile. Di forma ovale e colore violetto (gli esemplari gialli appartengono a una specie simile, chiamata granadilla) ha buccia spessa e dura. Al momento dell’acquisto, per capire lo stadio di maturazione bisogna valutare la consistenza della buccia: se è dura, liscia e brillante indica un frutto acerbo; se è lievemente raggrinzita e cede a una leggera pressione il prodotto è pronto per il consumo. Poi, in gran sintesi, bisogna sempre preferire esemplari pesanti e profumati. La polpa è gelatinosa e ricca di semini neri commestibili; lievemente acidula, ha profumo e aroma gradevolissimo. Si può consumare al naturale, con un cucchiaio, dopo aver tagliato i frutti orizzontalmente; altrimenti può essere trasformata in gelati, sorbetti, confetture, creme, mousse, salse. Se ne ricava anche un succo gradevole, che può essere bevuto da solo o aggiunto a bevande miscelate. In cucina, la polpa tritata può conferire un gusto insolito a selvaggina, frutti di mare e pesci.

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per un insolito piatto di selvaggina

Oggi, vediamo come si fanno due lasagne «estive», ché il caldo è oramai arrivato. Per queste ricette, sia il piatto sia le lasagne devono essere molto caldi, addirittura bollenti. Cuocete le lasagne «un po’ di più» di quanto siete abituati a fare con le lasagne classiche, dato che non c’è un successivo passaggio in forno. Lasagne al pesto (con ingredienti per 4 persone). Preparate la pasta fresca

all’uovo con 400 g di farina bianca e 2 uova. Tirate la sfoglia e ritagliatela in quadrati di 10 cm per lato – o di un formato che vi aggrada. Altrimenti comprate lasagne pronte. Cuocete le lasagne in un’ampia casseruola bassa, scolatele a cottura e mettetele a strati su un piatto di portata leggermente imburrato, distribuendo tra ogni strato un po’ di pesto leggermente allungato con l’acqua di cottura delle lasagne, alcuni fiocchetti di burro e abbondante grana grattugiato. Lasagne al ragù di tonno e mozzarella (per 4 persone). Fate rosolare 300 g di tonno fresco tagliato a dadini, in poco burro per 1 minuto. Sfumate con 4 cucchiai di vino bianco sobbollito per 3 minuti poi aggiungete 2 cucchiai di soffritto di cipolla e, se volete, 1 piccola punta di concentrato di pomodoro

stemperato in un po’ di acqua calda. Regolate di sale e di pepe. Affettate 200 g di mozzarella e lasciatela scolare in un colino per 30 minuti. Cuocete 500 g di lasagne di formato a piacere, poche alla volta, in acqua bollente salata, scolatele al dente e mettetele a strati su un piatto di portata leggermente imburrato, distribuendo tra ogni strato il tonno leggermente allungato con l’acqua di cottura delle lasagne e alcuni fiocchetti di burro. Al posto del tonno potete utilizzare qualsiasi tipo di pesce o mollusco, mondato, spezzettato e cotto in umido per il tempo previsto. Potete anche mescolarli: ma per prudenza meglio cuocerli separatamente, che altrimenti il rischio di stracuocerne qualcuno e di lasciarne crudetto qualche altro è in agguato.

Ballando coi gusti In genere sulla griglia si cuociono carni e pesci: ma anche le verdure diventano buonissime!

Cipolle al cioccolato

Porri alle olive

Ingredienti per 4 persone: 4 grosse cipolle · vino rosso · zucchero · soffritto di cipolle · cioccolato fondente · erba cipollina · prezzemolo · olio di oliva · sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: 4 grossi porri · 100 g di olive nere denocciolate · senape

Fate addensare un bicchiere di vino rosso con 2 cucchiai di zucchero fino a ridurlo a un quarto. Alla fine, emulsionate con un cucchiaio di soffritto e 10 g di cioccolato grattugiato. Mondate le cipolle, lavatele e tagliatele orizzontalmente a fette di circa 2 cm di spessore. Spennellatele con l’olio, salatele e pepatele. Cuocetele sulla griglia fino a quando non diventeranno morbide e leggermente dorate. Separate gli anelli delle cipolle e trasferiteli in un’insalatiera; conditeli con il vino ridotto, con prezzemolo ed erba cipollina, aggiustate di sale e pepe. Servite a temperatura ambiente.

in crema · erbe aromatiche fresche tritate a piacere · 2 cucchiaini di aceto di mele · olio di oliva · sale · pepe rosa. Mondate i porri, lavateli e tagliateli a pezzi di 10 centimetri. Portate a bollore dell’acqua salata e lessateli per 6 minuti. Scolateli, gettateli in una ciotola con acqua e ghiaccio, dopo 5 minuti scolateli e asciugateli. Emulsionate con una frusta 2 cucchiai di senape con aceto e olio, fino ad avere una emulsione fluida. Unite le erbe aromatiche, le olive tritate e il pepe rosa; regolate di sale. Spennellate i porri con la salsa e sistemateli sulla griglia a calore moderato; lasciateli cuocere 5 minuti, muovendoli ma senza girarli. disponeteli su un piatto da portata, irrorateli con la salsa rimasta e serviteli.


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B U C O B O Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19 25 L A S R E M 8 9 Ambiente e Benessere U D P A N E 10 11 O R A R I O 12 13 14 15 16 17 U I L E P R U N O 18 19 20 21 M O S E M A I I L 22 23 24 I S A P A T I O I 25 26 27 28 Mondoanimale Anche durante la pandemia gli animali domesticiDsono sociale, O parte R integrante I G A del nostro C A tessuto V 29 30 non contagiano ma servono posti in cui ospitare quelli che restanoAgiocoforza L B Asoli N O R A D E 6

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Animali da compagnia ai tempi del coronavirus «Quando si entra a contatto con gli animali, è necessario applicare le consuete misure igieniche, come il regolare lavaggio delle mani. Non è necessario un bagno speciale o la disinfezione di cani e gatti», questo paragrafo estratto da un comunicato ufficiale dell’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (Usav) suonerebbe strano, non fosse che è datato 18 marzo 2020, nel bel mezzo della pandemia da coronavirus. Addirittura l’Organizzazione mondiale della sanità, negli stessi giorni, ha preso posizione sullo stesso argomento, confermando che «gli animali da compagnia non trasmettono il coronavirus». In Svizzera, oltre all’Usav, il Tierspital di Zurigo ha pubblicato un documento esaustivo della stessa portata e in Ticino, per voce del veterinario cantonale Luca Bacciarini, responsabile dell’omonimo ufficio d’Oltralpe ha chiarito che «ad oggi non ci sono prove scientifiche che gli animali domestici possano trasmettere il virus. Fortunatamente non si ammalano nemmeno a causa di questa malattia». È dunque chiaro che possiamo continuare ad occuparci dei nostri animali da compagnia, tenendoli con noi e soprattutto non abbandonandoli per paure legate al contagio da coronavirus, perché questo è stato categoricamente smentito dalle istituzioni preposte e da quelle di medicina animale di tutto il mondo. Prese di posizione che si sono rese necessarie a causa di informazioni che circolavano riguardo al coronavirus: tante, fra cui qualcuna per nulla chiara. Certo, in un momento di incertezza ed emergenza sanitaria così intenso

Giochi

(N. 14 - Molti ci lasciano le penne)

è facile fare confusione, fraintendere o essere vittima di notizie false. Così è successo riguardo ai nostri animali da 1 2 3 4 quelli 5 a quattro 6 compagnia, compresi zampe: alcune indicazioni non del tut12 to11corrette sono state mal recepite al punto da temere che cani e gatti potes14 trasportare e trasmettere 15 il virus. 16 sero Tutto ciò in un momento in cui stiamo imparando18 cosa significhi 17 mantenere la «distanza sociale» fra le persone, a rimanere a casa, pressoché 20 isolati dal mondo, per limitare la diffusione del virus. E proprio,22dunque, nel momento in cui gli «unici» corpi caldi da abbracciare e coccolare24senza rischi sono proprio cani, gatti e altri animali domestici, soprattutto per chi vive da 26 solo. Portare a spasso il cane per i suoi bisogni è diventata d’altronde anche 27 l’ora d’aria per chi ha un amico a quattro zampe. Ecco una ragione in più, ce ne fosse bisogno, per scacciare la paura di un contagio da parte loro. Anche le associazioni a protezione degli animali sono scese immediatamente in campo a tale proposito. Emanuele Besomi, 1 2 3 presidente della SPAB (Bellinzona), da noi interpellato alla fine di 7 marzo per tastare il polso della situazione, ha lanciato lo stesso messaggio: «Non abban10 donate i vostri amici a quattro zampe, non trasmettono la malattia». E questo 13 per anticipare il rischio. Perché di fatto, Besomi rassicura che finora «non ab14 15 16 17 biamo registrato abbandoni e per fortuna la maggior parte delle persone è 18 in chiaro sulla situazione». 19 ben Per contro, Besomi porta alla luce 22 21 altro grosso problema un con cui ci si potrebbe confrontare proprio a causa della pandemia da coronavirus: 24 «Dall’Ufficio del veterinario cantonale abbiamo ricevuto direttive che ci chie-27 26

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N I N A S L6 9 11 12 T A 8P E S I 2 3 E 5 P A L I O 7 I diceOdi non averNdovutoAfar fronT I A dono di velocizzare, per quantoO possi-Z somi 1 4 8 20 bile, le adozioni dei nostri ospiti; questo te, se non per la custodia di un gatto la L che I cuiZproprietariaPè stata O ricoverata D Iper O P per fare posto ad eventuali animali 8 3 2 6 23 portati via dalle loro dovranno essere covid-19: «Ora felicemente guarita riI unA entrerà inCpossesso A delNsuoO AAd N O abitazioni a causa, per esempio, di micio». ricovero25del proprietario che non po- ogni modo, la SPAB è a disposizione, 6 5 2 4 trebbe più accudirli». non V NsenzaEi problemi G Elogistici V di sor- S E C Un’eventualità a cui, ad oggi, Be- ta: «Anche i nostri volontari e i nostri A Giochi M per A“Azione” T -AAprile 2020A C E T 4O 9 8 e del4 sudoku Stefania Sargentini Le vincite di carte regalo da 50 franchi per le soluzioni del cruciverba (N. 13 - Bubolare - Paupulare) sono sospese fino al termine dell’emergenza di Covid-19 9 3 7 (N. 16 - Undicimilaseicentosettantaquattro) 2

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32. Pallida rosa 33. Parte di somma ripartita 34. Le iniziali del conduttore Timperi 35. Svenire 36. Lo fa tutto ciò che serve... VERTICALI 1. Malesseri, disturbi 2. Intrise d’acqua 3. La risposta dell’indeciso 5. Tessuto grezzo 6. Mammifero ruminante 7. Li eseguono le fanfare 8. Preposizione articolata 9. Due vocali

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ORIZZONTALI 1. Divinità romana di campagna e greggi 4. Tolgono il disturbo 10. Lettera dell’alfabeto greco 12. Ha la chiglia affusolata 13. Un numero 15. Il cantautore Omar Edoardo 16. Raimondo ballerino televisivo 17. Precedono gli altri 19. Piccole rane 20. Tutela la pace 22. È finito in fondo... 23. Nota musicale 25. L’avanzata... dei vecchietti 27. Tribunale Amministrativo Regionale 28. Colpo che sfiora la rete a tennis 30. Inventare 31. Lettucci guidati

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(N. 15 - ... un pezzo di pane secco)

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Cruciverba La scalinata più lunga del mondo è quella di servizio della funicolare Niesenbahn in Svizzera e sapete di quanti scalini è composta? Scoprilo risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Parola: 33)

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responsabili devono poter tenere la distanza sociale per preservare la loro salute e quella della comunità. Lavorare in questo modo non è per nulla semplice e se si ammalasse qualcuno dovremmo riuscire a reperire volontari esterni che però dovrebbero essere abbastanza preparati per far fronte alla gestione di animali domestici». Il sodalizio si sta muovendo in modo responsabile anche in previsione del futuro legato ad eventuali nuove ondate di contagiati: «Ci stiamo organizzando con i membri di comitato in modo da ospitare a casa gli animali: non spostiamo le persone, ma gli animali, nel rispetto delle regole vigenti. Inoltre, consigliamo alle persone di prevedere un’eventuale gestione di emergenza dei propri animali con i vicini di casa o con qualcuno di fiducia (soprattutto se si tratta di animali esotici, dunque bisognosi di cure specifiche). In una situazione come questa, la SPAB potrebbe accogliere circa 40 o 50 cani, il gattile una cinquantina di gatti se vaccinati e se si possono mettere insieme». Tutto quello che sta succedendo, anche per rapporto ai nostri animali da compagnia, non va dunque sottovalutato: bisognerà farsi trovare pronti e si dovrà trarre insegnamento al termine di questa esperienza: «Dovremo riconsiderare gli spazi nei rifugi per animali, collaborare, formare persone competenti, essere riconosciuti come partner di primo intervento anche economicamente, per poter essere d’aiuto». E conclude: «Nelle migliaia di cose da fare per superare il momento, non possiamo dimenticare la questione legata agli animali domestici, proprio perché essi sono così integrati nel tessuto sociale quotidiano che a tutti gli effetti fanno parte della nostra vita».

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Maria Grazia Buletti

11. Un segno zodiacale

venti (N.14. 15Re - ...deiun pezzo di pane secco)

B U C O L A S Sudoku U D P O R A U I L M O S E I S A D O R A L B A

B R E A N R I E M P A I G N O

O M E O 4 P R U N O A I I L T I O I A C A9V R A D E

N. 14 MEDIO N O M E D I L C A P E 2D 7R I 6 A R O U N 1 3 O N U O 5 1 T A TS I A R E A 6 S C I 7A E T I D E S O R O 3A 4 7 A9 L 8 I R E L L E D E T L 2 9 OT S E T A E T P E N A 7 NI E R T ER B R SUDOKU O P E PER R AAZIONE R E - APRILE 2020 Soluzione della settimana precedente N. 15 DIFFICILE

F A S T I MD O O M I L A

A U M E I O D L E LO L E E R T A I TNE T R C O R B A O N O M A Q U EOT T A B A RS

I 2 N N I T A T T O

C I O A 1 I 4 C 9 T O A R R E 2 E A 5 N 3 D O

UTILI CONSIGLI – Per non avere odori sgradevoli cucinando cavoli e cavolfiori, N. 13 FACILE aggiungiSchema all’acqua di cottura: …UN PEZZO DI PANE SECCO. Soluzione

15. Può bilanciare il contro 1 2 3 4 5 6 6 18. Un abitante di Seul U 9 21. Il margine7 di un affare8 8 N 22. Difetti 10 11 12 5 T 24. Ghirlande, corone13 1 4 E 26. Il regno di Plutone 14 15 16 17 27. Garbo, accortezza O Z I O 8 greco con la statua 18 28. Cella del tempio 19 20 5 2 P L 6I Z di Nume 22 23 21 4 A 9 I A C 29. Lacrima inglese 24 31. Il dolore dei più piccoli 25 8 G V N E 26 33. Due in equilibrio 27 9 A 3 T A A M 34. 27 orizzontale senza cuore

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Politica e Economia Il Veneto: 2.parte Nella regione veneta la pandemia da Coronavirus poteva andare molto peggio senza le decisioni controcorrente del governatore Luca Zaia

Il miracolo portoghese Il governo lusitano di António Costa ha gestito bene la lotta al virus, guadagnandosi la stima della comunità internazionale. Al contrario di Madrid pagina 29

Pressione sui premi La già esistente spinta al rialzo dei premi delle Casse malati potrebbe essere acuita dai costi generati dall’emergenza Covid-19 pagina 30

L’esempio svizzero Ammirazione per come il Consiglio federale è stato capace di stanziare e rendere disponibili decine di miliardi rapidamente

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Baldelli

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L’esperimento di Vò

Reportage Il paese padovano, dove il 21 febbraio si è registrato il primo morto per Covid-19, è diventato il centro di

un’estesa campagna di diagnostica molecolare, tracciamento e isolamento dei contagiati - Le foto sul sito di «Azione» Luigi Baldelli «Abbiamo fatto squadra con senso civico, condividendo i progetti». Esordisce così Giuliano Martini, sindaco di Vò, parlando della popolazione di questo piccolo paese dei Colli Euganei, 3300 abitanti, che ha conquistato le prime pagine per essere diventato la prima zona rossa insieme a Codogno e per aver avuto il primo morto di coronavirus in Italia. Ma Vò ha saputo anche riscattarsi, passando dall’immagine di untore a quella di «laboratorio contro la lotta del Covid-19». Venerdì 21 febbraio, Adriano Trevisan, 78 anni, pensionato di Vò, muore di Covid 19 all’ospedale di Schiavonia. Due giorni dopo Vò viene dichiarata zona rossa. «Siamo stati subito considerati degli appestati – mi dice Katia, proprietaria della tabaccheria sulla piazza principale. Se andavamo in ospedale avevano paura di noi, i fornitori non venivano più in paese». Ma nella sfortuna, Vò ha saputo trovare il lato positivo

della medaglia. Gli scienziati e studiosi dell’università di Padova, anche contro il parere dell’Oms, hanno capito che questo piccolo centro, conosciuto nel mondo dell’enologia perché produce il 40% del vino dei Colli Euganei, poteva diventare un caso quasi unico per lo studio del virus. Quindi viene fatto subito un primo tampone a tutti gli abitanti, isolati i circa 100 positivi (un numero altissimo se rapportato alla popolazione) e tutti quelli venuti in contatto con loro vengono messi in quarantena, si studiano le parentele e i sintomi. Questo monitoraggio globale ha permesso alla comunità scientifica di capire come si era sviluppato e diffuso il virus. Un quadro chiaro e completo. Che porta alla luce un dato grave: il numero degli asintomatici in grado di passare il virus era del 43%. Sulla base di questa ricerca, l’Università di Padova dopo 10 giorni fa eseguire un secondo tampone e la popolazione di Vò risponde di nuovo in massa. Si trovano altri 8 positivi. I nuovi dati raccolti permetto-

no agli studiosi di calcolare che chi non è infetto ma vive a contatto con persone infette ha l’84% di possibilità in più di ammalarsi rispetto a chi vive insieme a persone non contagiate. Chi ha avuto l’intuito di portare avanti l’esperimento e gli studi scientifici a Vò sono stati il virologo Andrea Crisanti e il professor Stefano Merigliano. Il primo ha detto che le misure attuate a Vò insieme alla grande collaborazione della gente, hanno permesso di ridurre R0 del 98% (R0 è il valore che misura la diffusione del virus, valutando il numero di persone che vengono contagiate da ogni persona infetta dal virus). «Noi non sappiamo come è arrivato il virus qui da noi – mi dice ancora il primo cittadino di Vò, forse portato da qualcuno di passaggio che ha dormito nella locanda-bar dove ci sono stati i primi otto contagi». «Vò è un paese agricolo, un centro di passaggio – continua il sindaco, è pieno di agriturismi e aziende vinicole. Per noi esserci trovati nell’occhio del ci-

clone è stata dura. Il nostro centro operativo riceveva dalle 400 alle 500 telefonate al giorno». Essere un piccolo paese relativamente facile da gestire ma nello stesso tempo abbastanza grande da poter avere numeri consistenti utili a ricerche scientifiche, ed essere diventato immediatamente zona rossa: queste sono state le condizioni che hanno portato Vò ad essere il laboratorio vivente a cielo aperto dove studiare il Coronavirus ed avere una fotografia chiara della sua diffusione. Tutti, dal sindaco agli scienziati, riconoscono che tutto ciò è stato possibile anche grazie alla grande collaborazione di tutta la popolazione che si è sottoposta al tampone. Ma la ricerca non si ferma qui. Da venerdì 1 a lunedì 4 maggio verrà fatta una nuova mappatura a tutti i cittadini, che permetterà di studiare il genoma. Un progetto che durerà sei mesi e che permetterà, come dice il professor Crisanti «di capire cosa succede quando il virus si trasmette da un individuo

all’altro, sequenziare il genoma di chi è stato positivo, le catene di contagio e vedere se lascia tracce mutando dall’uno all’altro». Uno studio davvero ambizioso, unico al mondo e di grande importanza sociale. «Siamo orgogliosi per noi e per l’intera comunità – mi dice il benzinaio sulla piazza, mentre è intento a lavare un’automobile, abbiamo capito l’importanza di questo progetto. Noi siamo gente così, ci conosciamo tutti – continua mentre passa la pezza bagnata per pulire il cofano dell’automobile, abbiamo dei valori molto forti». Qui, se non si fosse corsi subito ai ripari, ci sarebbe stata una strage. Stime dicono che i morti avrebbero potuto arrivare fino a 150. Invece sono stati solo tre. E non c’è stato un singolo caso di Coronavirus nelle ultime otto settimane. «Ora dobbiamo dimostrare che abbiamo preso in mano la situazione» dice il sindaco, mentre si allontana per partecipare ad una riunione per organizzare al meglio il prossimo test.


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Politica e Economia

Le scelte di Luca Zaia

Il Veneto – 2. parte Con le sue decisioni controcorrente e in autonomia con lo Stato centrale

il governatore leghista è riuscito a creare un percorso virtuoso alla Regione Alfio Caruso Meduse e addirittura un polpo nuotano nell’acqua limpida dei canali veneziani: due eventi definiti eccezionali. Biologi ed esperti marini s’affacciano ogni mattina per esaminare quei fondali ora trasparenti dopo esser stati occultati per decenni dallo sporco del traffico turistico e commerciale. È l’unica nota positiva della pandemia da Coronavirus. Ma in Veneto poteva andare molto peggio senza le decisioni controcorrente del governatore leghista Luca Zaia. Il cinquantenne laureato in veterinaria con una rara competenza nei grandi vini della sua regione ha avuto la forza e la capacità di sfidare le titubanze del governo Conte, le contraddittorie indicazioni dell’Oms, il diverso parere del comitato scientifico italiano. Con il piglio del leader Zaia ha puntato sull’esperto, di cui si fidava, il professor Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di Microbiologia e virologia dell’università di Padova. Ne ha seguito fino in fondo i suggerimenti: il primo è stato quello di chiudere in maniera radicale l’area attorno a Vo’ Euganeo, il borgo in provincia di Padova, dove il contagio era esploso con il primo morto.

Da più parti Zaia viene spinto a prendere in mano la Lega prima che Salvini la trascini sul fondo La stragrande maggioranza degli italiani ignorava perfino l’esistenza di Vo’, questo paesello (3300 abitanti) disposto nel versante ovest dei colli Euganei, dal monte Venda al canale Bisatto. E da quest’ultimo deriva il proprio nome, abbreviativo di «vadum» inteso come guado. Per Zaia è diventato il bastione della resistenza a oltranza. Al suo isolamento il governatore ha fatto seguire le altre decisioni: ampliare immediatamente negli ospedali gli spazi delle rianimazioni e dei reparti di malattie infettive; allestire tende di screening all’esterno per separare i percorsi dei potenziali infettati da quelli dei malati ordinari; fare il tampone, combattendo all’inizio con la precaria disponibilità, a tutti gli abitanti di Vo’ Euganeo, ai ricoverati della regione, ai nuovi malati, ai sanitari im-

pegnati sul fronte pandemico; metterci la faccia con una conferenza stampa quotidiana per raccontare i numeri del contagio, i progetti, le difficoltà del giorno; ribadire mille volte la necessità di stare in casa, di uscire solo per necessità assolute e bardati a tutto punto; creare ospedali Covid-19 attrezzati di tutto punto; rimettere in funzione sette nosocomi dismessi, ove far affluire i pazienti guariti in quarantena e i pazienti più lievi; comperare direttamente mascherine, letti per rianimazione, ossigenatori, tamponi, kits per la diagnostica rapida, analizzatori automatizzati, disinfettanti, guanti senza aspettare l’arrivo dei fondi governativi o della protezione civile nazionale. I risultati si sono visti. Il Veneto è venuto fuori dalla morsa del Coronavirus, il numero di contagiati e morti è uscito dall’emergenza, la regione ha saputo creare e percorrere fino in fondo un percorso virtuoso. In virtù del quale Zaia ha anticipato e in alcuni casi incrementato le aperture annunciate da Roma. Via libera alla vendita del cibo d’asporto in modalità take away o car delivery in affiancamento alle consegne a domicilio: un provvedimento che ha riguardato non solo pizzerie e ristoranti, ma anche pasticcerie e gelaterie. Librerie, cartolerie e negozi di abbigliamento aperte l’intera settimana, non soltanto due giorni. Il distanziamento sociale riportato a un metro. Tolti i vincoli di accesso ai cimiteri; permesse l’attività edilizia sul patrimonio esistente, la coltivazione di terreni e orti, la manutenzione delle imbarcazioni, la sistemazione delle darsene, la riapertura delle seconde case. Non sono mancate le reazioni, in special modo da parte dei sindacati, ma tutte con il freno a mano tirato. Opporsi a Zaia significa opporsi alla stragrande maggioranza dei veneti, il 72%, che oramai si fidano ciecamente delle sue scelte. La felice gestione della crisi ha cancellato anche il clamoroso infortunio di Zaia quando esplose il Coronavirus: esser stato causato dall’abitudine dei cinesi di mangiare topi vivi. Tutto dimenticato, tutto perdonato. E fa sorridere l’amara sorte di quanti dovranno correre contro di lui nelle prossime elezioni regionali. Zaia guida il Veneto da dieci anni: sempre attento ad assecondare le indicazioni della Lega, da Bossi a Maroni, a Salvini, ma tignoso nel ritagliarsi uno spazio autonomo. Si è sforzato di tenere comunque un rap-

Il governatore della Regione veneto Luca Zaia con Matteo Salvini. (AFP)

porto con gli avversari. Per lui il radicale Pannella è stato il principale protagonista della nostra vita pubblica, «un maestro di democrazia diretta e di conquiste di diritti sociali». Al punto da definirsi pannelliano e gandhiano più che leghista. Pur essendosi lanciato nella campagna dell’autonomia regionale, mai è caduto nella ridicola retorica del separatismo, del Leone di san Marco, di una presunta grandezza della repubblica veneziana, esauritasi in realtà già nel Seicento. Con abilità e spregiudicatezza Zaia tenta di accreditarsi come il campione del ritorno alla normalità; come il politico del fare capace di venire incontro alle esigenze delle persone comuni. E i risultati sono dalla sua: l’ultimo sondaggio lo colloca al primo posto fra i governatori più amati. Appare chiaro che ormai la regione gli vada stretta. La prossima contesa sarà con Salvini in clamoroso calo di fiducia, di consensi, di credibilità? Già in estate, dopo la sorprendente decisione di staccare la spina al governo, sulla pagina Facebook dello stesso Zaia i suoi sostenitori si

scatenarono contro Salvini. Dimentichi che dal Veneto erano partite le richieste più pressanti d’interrompere la collaborazione governativa con il M5s e di andare a elezioni anticipate, accusarono il segretario, nonché ministro dell’Interno, di essere una banderuola, di esser bravo soltanto a girare sagre e spiagge senza concludere alcunché, di esser destinato a una fine ingloriosa. Il tutto nel silenzio assoluto di Zaia. Attorno a lui si vede crescere giorno dopo giorno un consenso in grado di coinvolgere imprenditori, monsignori, detentori di antichi e rinomati patrimoni, l’immancabile massoneria, dove si vocifera, senza prova alcuna, che il diretto interessato sia stato affiliato addirittura in Transilvania, durante una misteriosa vacanza. Insomma, all’apparenza è pronto l’abituale coacervo di ogni vicenda italiana. Ma quale potrebbe essere il punto di arrivo? Salvini è il bersaglio di parecchie critiche. Il politico dal tocco d’oro, aveva raccolto una Lega al 4% dei voti, non ne ha azzeccato una dopo aver fatto saltare il banco. L’ultima performan-

ce, i collegamenti notturni da casa sua su Instagram, lo sta esponendo a una serie infinita di sfottò, di sarcasmi. Ha proposto una manifestazione in piazza e ha capito che si sarebbe ritrovato da solo. Non riesce più a farsi prendere sul serio: niente di peggio per un politico. Ne sa qualcosa Renzi in caduta libera a causa dell’ondata irrecuperabile di antipatia. Da più parti Zaia viene spinto a prendere in mano la Lega, prima che Salvini la trascini con sé al fondo. Ma la Lega non si guida contro i lombardi, come Cosa Nostra non si guida contro i palermitani. L’unica soluzione sarebbe un’alleanza con il varesino Giorgetti, per anni braccio destro di Salvini e adesso appartato spettatore di comportamenti, che lo lasciano scettico. In ogni caso bisognerebbe affrontare una dura battaglia contro i tanti miracolati dell’attuale gestione, i quali senza il bluff del sovranismo dovrebbero mestamente rientrare nelle avite dimore. Sempre che la crisi economica di un’Italia al momento imprevedibile non cambi del tutto le regole del gioco. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Successo portoghese, fallimento spagnolo Covid-19 Il governo lusitano di António Costa ha gestito bene la lotta al virus,

guadagnandosi la stima della comunità internazionale. Tutto il contrario di quanto avvenuto in Spagna, la nazione più contagiata di tutta Europa

Ristoranti chiusi a Lisbona. (AFP)

Gabriele Lurati Stesso territorio, differenti risultati. Portogallo e Spagna hanno un confine comune di 1200 chilometri, condividono sostanzialmente le medesime condizioni climatiche e socio-economiche all’interno della Penisola iberica, hanno entrambi un premier socialista che governa grazie all’appoggio di partiti della sinistra massimalista, tuttavia l’emergenza Covid-19 ha colpito i due Paesi iberici in maniera molto diversa. La gestione della crisi del Coronavirus ha evidenziato in effetti differenze in termini di responsabilità e capacità politiche, diversità infrastrutturali e culturali che hanno portato a risultati opposti. Il piccolo Portogallo (con una popolazione di poco più di 10 milioni di abitanti) ha superato con buoni voti il «test Covid-19», sia dal punto di vista sanitario che politico, mentre la più grande Spagna (47 milioni) ha fallito completamente l’esame. Lo dimostrano i dati che per il Portogallo evidenziano un numero basso di contagiati (ca. 25’000 persone) e di decessi (vicini ai 1000 casi), mentre in Spagna si è avuto un numero altissimo di contagiati (più di 240’000 persone) e di decessi (poco più di 25’000). I dati del Portogallo sono talmente buoni (220 contagiati ogni 100’000 abitanti) che fanno l’invidia di molti Paesi europei (Svizzera inclusa, che ha un tasso di contagio superiore alle 300 persone ogni 100’000 abitanti), nonostante i lusitani siano una popolazione tra le più anziane dell’Ue e abbiano un sistema sanitario con poche risorse finanziarie e dotato di infrastrutture limitate. Secondo molti osservatori, le ragioni del successo portoghese sono varie. La più importante è stata sicuramente la velocità di reazione mostrata dal governo del premier socialista António Costa. Il primo ministro dichiarò lo stato di allarme già il 13 marzo, quando non vi era ancora nessun morto da Coronavirus nel Paese (ma solo pochi casi di contagiati) e qualche giorno più tardi decretò lo stato di emergenza, obbligando il Paese alla chiusura delle frontiere, scuole, univer-

sità, bar, luoghi di ritrovo e di tutte le attività non essenziali, così come l’obbligo di isolamento nel proprio domicilio per tutta la popolazione. «Queste tempestive misure hanno consentito un contenimento del contagio quasi immediato e hanno ridotto la velocità di diffusione del virus nel nostro Paese» afferma Inês Fronteira, professoressa di Sanità pubblica ed epidemiologa dell’università Nova di Lisbona. Il governo portoghese in effetti è stato abile a fiutare il pericolo, facendo tesoro di quanto stava accadendo in Europa (in Spagna e Italia in particolare). Si è mosso quindi con 15 giorni di anticipo rispetto agli altri Paesi, quando il virus era già quasi fuori controllo per esempio in Lombardia o nella regione di Madrid.

A differenza di Lisbona, Madrid non ha dimostrato la coesione necessaria per gestire uno stato di crisi come quello attuale Queste misure adottate dal premier Costa non sarebbero state così efficaci se il governo non avesse goduto di una sorta di «tregua politica». Il comportamento avuto dall’opposizione di centro-destra è stato di una responsabilità esemplare e ha aiutato non poco la creazione di uno spirito di solidarietà nazionale. In particolare il discorso tenuto in Parlamento da Rui Rio, leader del PSD, in cui affermava che era il momento dell’unità, della collaborazione e non più di fare opposizione, ha giovato all’incisività delle misure di intervento adottate dal governo portoghese. Un fair play istituzionale, quello di Rio, inusuale per i Paesi del Sud Europa, i cui abitanti sono avvezzi alle divisioni, agli insulti e alle polemiche sterili della loro classe politica. Queste dichiarazioni hanno fatto breccia nella gente lusitana che ha dimostrato anch’essa collaborazione e senso civico. L’autodisciplina della popolazione portoghese

nell’accettare misure limitative delle proprie libertà imposte dal lockdown è stata infatti un altro elemento fondamentale di questo contenimento dell’espandersi della malattia. Un altro aspetto importante nella gestione della crisi è stato quello legato al sistema sanitario. In Portogallo la sanità è totalmente centralizzata. Questo ha consentito un maggiore coordinamento ed omogeneità di azione da parte del Governo, il quale ha puntato molto sul coinvolgimento dei medici di base nell’affrontare la crisi sanitaria. Inoltre, pur non disponendo di grandi risorse finanziarie e infrastrutture, il Portogallo ha potuto beneficiare degli investimenti nella sanità (+18%) fatti dal governo delle sinistre di Costa negli ultimi quattro anni, che hanno portato all’assunzione di 3700 medici e 6600 infermieri e che sono stati di grande aiuto in questa crisi. Tutto quello di buono che è stato fatto in Portogallo con questa strategia per il contenimento del virus, non è stato preso minimamente in considerazione dai «cugini» spagnoli che, invece, hanno fatto l’esatto contrario con risultati disastrosi. Non a caso la Spagna capeggia infatti la poco invidiata classifica dei Paesi europei con il maggior numero di contagi, pur essendo solo la quinta nazione europea come numero di popolazione. Il primo ministro socialista Pedro Sánchez ha reagito tardi e male. Quando era evidente a tutti che il virus era già diffuso in Europa, il premier ha consentito una serie di raduni pubblici (come le grandi manifestazioni di piazza dell’8 marzo per la festa della donna, quando si riunirono centinaia di migliaia di persone in tutte le città spagnole) o eventi sportivi che hanno prodotto assembramenti di persone fino a pochi giorni dall’annuncio dello stato di allarme, avvenuto tardivamente il 14 marzo. Sánchez è passato quindi dal non intervenire in tempo per frenare il Covid-19 all’imporre dure misure delle libertà personali nello spazio di un sol giorno, quando però il virus era già largamente diffuso in varie regioni del Paese, soprattutto nella regione di Madrid e in Catalogna. Per di più, a differenza

del Portogallo, la politica spagnola non ha dimostrato l’auspicabile coesione in una situazione di crisi come quella attuale e Sánchez non ha goduto della collaborazione dell’opposizione di centro-destra. Anzi, quest’ultima non ha perso occasione per criticarlo aspramente per la gestione della crisi. Pablo Casado, leader dei conservatori del Partito popolare, ha accusato Sánchez di mentire sul numero reale delle persone decedute a seguito della malattia, mentre il capo dell’estrema destra di Vox, Santiago Abascal, si è spinto a dire che denuncerà Sánchez in tribunale per «gestione criminale della pandemia». In questo clima di eterna e sterile corrida politica le critiche al governo centrale sono piovute anche dalle regioni autonome (dall’indipendentista Catalogna in particolare ma non solo) e il sistema sanitario spagnolo, decentralizzato e gestito su base regionale, non ha retto all’urto del Covid-19. Certo, non tutte le colpe posso essere addossate al primo ministro. Per esempio il sistema sanitario spagnolo è allo sbando soprattutto nelle regioni dove governa localmente il Partito popolare da decenni (come nella Comunità di Madrid, la regione più colpita dal virus). I liberal-conservatori hanno applicato nelle comunità autonome da loro amministrate una politica fatta di tagli e privatizzazione della sanità pubblica nonché di riduzione degli investimenti nel settore, i cui effetti si stanno palesando in questi drammatici giorni con strutture sanitarie inadatte e mancanza di personale che non hanno consentito di contenere questa emergenza. Anche dal punto di vista del comportamento collettivo, gli spagnoli non sembrano essere stati così ligi nel rispetto delle regole come i vicini portoghesi. Ad esempio la settimana scorsa, nel primo giorno di libera uscita concesso dal governo Sánchez (un’ora di tempo dedicato allo svago dei bambini), una buona parte degli spagnoli ne ha approfittato per affollare parchi e spiagge, infischiandosene delle misure di sicurezza e del distanziamento sociale. Insomma, Spagna bocciata su tutta la linea e Portogallo promosso con merito.

Fra i libri di Paolo A. Dossena AUTORI VARI, Coronavirus, Simon & Schuster, 19 marzo 2020 Nuova emergenza, nuove teorie cospirative. Eccone alcune: il coronavirus è frutto di una «fuga» da un laboratorio cinese; il cornavirus non esiste, chi si ammala è vittima del 5G (acronimo della quinta generazione della tecnologia mobile) eccetera. Oltre che da queste teorie, internet è invaso anche da pubblicazioni sul Coronavirus, ma molti di questi studi sono in realtà degli instant book, più interessati al sensazionalismo che all’informazione accurata. Tra i libri consigliabili c’è questa pubblicazione, la miglior qualità della quale è la semplicità: il libro è infatti strutturato in paragrafi il cui titolo è costituito da una domanda da profani, la cui risposta forma il corpo del paragrafo. Sotto una domanda in neretto (per esempio «Qual è la fonte del virus?») si legge la risposta: «I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus. Alcuni causano malattie nelle persone, e altri, come i Coronavirus canini e felini, infettano solo gli animali. Raramente, i Coronavirus animali sono emersi per infettare la gente». Questa è l’origine non solo del Covid-19, ma anche del MERS-CoV e della SARS. Altra domanda-paragrafo: «Come si sparse il virus?» Ed ecco la risposta: «Il virus fu originariamente identificato a Wuhan, nella provincia di Hubei in Cina». Infatti, in questa, come in altre località della Cina, esistono i mercati detti umidi, dove si vendono animali vivi che vengono macellati sul posto, o che sono venduti e uccisi successivamente dall’acquirente a casa propria. Si tratta di zone prive di corrente elettrica e dunque di frigoriferi e di camion frigo, quindi carenti in termini di catena del freddo. (Per la quale i cibi surgelati sono tenuti a una temperatura costante – durante produzione, trasporto, stoccaggio, esposizione e vendita – tra i –25° C e i –30° C, giungendo sul tavolo del consumatore senza mai essere stati scongelati). Di conseguenza, «Le prime infezioni erano legate a un mercato vivo, ma il virus si sta ora diffondendo da persona a persona». (Inizialmente si era pensato che il virus fosse arrivato dal pangolino, ma ora il candidato più probabile è il pipistrello: pangolino e pipistrello sono animali dei mercati umidi). Alla domanda su come si sparga il Covid-19, ecco la risposta: «Si ritiene generalmente che i coronavirus si spargano da persona a persona attraverso goccioline. Attualmente, non c’è nessuna prova per sostenere che la trasmissione del Covid-19 sia associata al cibo». Altra domanda-titolo («Il caldo fermerà l’epidemia del Covid-19»?) altra risposta-paragrafo: «Al momento, non ci è dato di sapere se la diffusione del Covid-19 diminuirà quando la temperatura diventerà più calda». Visto il modo accessibile in cui è strutturato, questo libro è decisamente consigliato, ma con un avvertimento: pubblicato il 19 marzo scorso, esso è già stato superato dagli eventi. Alcune delle domande riguardano infatti la capacità di diffusione del Coronavirus verso gli Stati Uniti, che in marzo erano ancora liberi da questo flagello, e che oggi guidano la classifica mondiale dei decessi (sempre che le cifre che giungono dalla Cina siano attendibili).


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Politica e Economia

Premi della cassa malati, scongiurare ulteriori rialzi Sanità Analisi e discussioni sono molteplici, ma il problema rimane. E forse potrebbe essere aggravato

dalla pandemia da Covid-19 anche in Svizzera Edoardo Beretta Verso la fine di ogni anno il regolare incremento dei premi delle casse malati vede contrapposte opinioni quanto più diverse. Ciò che viene forse tralasciato di rimarcare – indipendentemente dalla fascia di reddito dell’assicurato – è l’insostenibilità dell’evoluzione delle somme di denaro richieste ad un individuo medio per far fronte ad un obbligo di legge, cioè essere assicurato sotto il profilo della malattia (cfr. LAMal). Da un’analisi dei dati per il periodo temporale 1996-2018 si evidenzia come i rincari subiti dal premio medio pro assicurato (+186,30%) siano stati ben superiori rispetto a quelli registrati dall’Indice dei prezzi al consumo (+11,27%) così come all’incremento del compenso pro ora lavorativa (+36,73%). Un simile trend rischia, però, di rendere il bene primario «salute» sempre più «prezioso». Vi sono sì modelli assicurativi alternativi che permettono all’utente di risparmiare rispetto a quello standard. È, però, altrettanto vero che l’accessibilità al bene «salute» non possa troppo divenire oggetto di (con)trattazione. Così come si deve ricordare con gratitudine che il personale medico ed infermieristico – svizzero e mondiale – sta salvando vite in uno scenario pandemico impensabile (quanto, ancora una volta, impre-

visto) nel 2020 e si spera possa essere presto ancor più riconosciuto da parte dei policymaker sotto il profilo economico. È, però, evidente che la crisi sanitaria prima ed economica dopo ingenerata da Covid-19 avrà ripercussioni mondiali sulle spese sanitarie, sebbene l’organizzazione mantello che raggruppa le casse malati svizzere paia ottimista a fronte delle ingenti riserve accantonate per far fronte a situazioni emergenziali1. L’evidenza economica in generale – non necessariamente legata alla salute – insegna tuttavia prudenza e, precisamente, che laddove i costi siano stati ingenti essi debbano essere (prima o poi) recuperati. Il tema dei premi dell’assicurazione malattia rimane, quindi, centrale anche ora. Come ho evidenziato nei numeri 3 e 12 di «Azione» del 2016, è importante interrogarsi sulla differenza (spesso trascurata) fra «prezzi» e «costi». Mentre questi ultimi non contemplano per definizione un margine di profitto (e, quindi, sono inferiori), i «prezzi» sono (laddove si escluda un ricarico nullo) comprensivi di guadagno. In altre parole, vi è da domandarsi se quanto le casse malati rimborsino non siano soltanto voci di spesa intese come «costi» quanto piuttosto anche «prezzi» incrementati di un margine di profitto in capo a diversi settori. Perché, poi, non

Alcuni dati macroeconomici svizzeri (1996-2018) Premio medio pro assicurato (franchigia annua ordinaria)

Indice dei prezzi al consumo (2010 = 100)

Compenso pro ora lavorativa (2010 = 100)

1996

1.525 CHF

89,14

77,6

2000

1.758 CHF

91,75

81,5

2005

2.471 CHF

95,71

88,3

2010

3.145 CHF

100,00

100,0

2015

3.826 CHF

98,17

103,1

2018

4.366 CHF

99,19

106,1

Variazione (1996-2018)

+186,30%

+11,27%

+36,73%

introdurre meccanismi di incentivo economico rivolti a stili di vita più sani, essendo la tutela della salute un bene pro società nel suo complesso? Con referendum del 28 settembre 2014 (iniziativa popolare «Per una cassa malati pubblica») è stata respinta la nazionalizzazione della prestazione sanitaria obbligatoria di base, esprimendosi a favore di un sistema con più casse malati in competizione fra loro. Senza ovviamente entrare nel merito dell’esito popolare è frequente, anche fra economisti, ritenere che la presenza di molteplici prestatori di servizio aumenti tout court la concorrenza, riducendo o stabilizzando il livello dei prezzi. Ciò non è sempre scontato.

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Ad esempio, è difficile ipotizzare che aziende private siano in concorrenza spiccata fra loro a fronte di un servizio sanitario di base e, comunque, obbligatorio dalle prestazioni predefinite; del resto, è lo scopo di corporazioni private ad essere diverso rispetto a quelle pubbliche, in quanto queste ultime possono più agevolmente compensare perdite con gettito fiscale o emissione di bond. Sebbene in tale scenario si sarebbe istituito un monopolio (pubblico) «artificiale», la potenziale perdita di consenso elettorale a fronte di rialzi dei premi sarebbe potuto essere un valido deterrente. Di converso, la criticità principale per il cittadino sarebbe consistita nell’avere come unico riferimen-

to in termini di prestatrice di servizi la sola sfera pubblica senza avere a disposizione interlocutori diversi. È evidente che si sia di fronte a due «scuole di pensiero» diverse egualmente caratterizzate da (s)vantaggi. Quindi, indipendentemente verso quale approccio ci sia indirizzati, è fondamentale che i costi per l’utente siano sostenibili. I policymaker dovranno prevenire sin d’ora ogni eventuale aggravio nel breve-medio termine pur consapevoli che i prezzi – una volta saliti – siano difficilmente suscettibili di ribassi sostanziali. Note

1. https://www.santesuisse.ch/it/ details/content/le-riserve-aiutano-asuperare-lemergenza?backLinkPid=2 62&cHash=8c56b4b289d5a5a3189c6 007bb5d3fb9. 2. Elaborazione propria da: https:// www.bag.admin.ch/dam/bag/de/ dokumente/kuv-aufsicht/stat/publications-aos/STAT%20KV%2018xls. zip.download.zip/_STAT%20KV%20 2018%20XLSX%20german%20 and%20french%20v191107.zip, https://data.worldbank.org/indicator/ FP.CPI.TOTL?end=2018&locations= CH&start=1996 e https://data.oecd. org/lprdty/labour-compensation-perhour-worked.htm. Annuncio pubblicitario


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Politica e Economia

L’aiuto al rilancio delle imprese

Coronavirus Il modello svizzero, rapido e non burocratico, preso ad esempio in alcuni paesi: salvare l’economia

per garantire un reddito alla popolazione dopo la crisi Ignazio Bonoli Le previsioni di crescita economica nel mondo intero si sono notevolmente aggravate in considerazione degli effetti a corto e medio termine della pandemia dovuta al «Coronavirus». In particolare gravano sulle valutazioni tanto l’effetto quantitativo, quanto la durata prevedibile della crisi. Le incertezze sugli sviluppi del PIL tanto a livello mondiale, quanto a livello di singoli paesi pesano parecchio sul giudizio degli esperti d’economia e anche dei politici. Tra altri, anche Gita Copinath, capo-economista del Fondo monetario internazionale, ha detto che le previsioni del gennaio di quest’anno vanno ridotte dell’impressionante cifra del 6,3%, per cui si deve prevedere un calo del PIL mondiale di almeno il 3%. Nonostante le molte incertezze, l’economista conclude che la risposta dell’economia, e soprattutto della politica, deve essere rapida e ampia, senza preoccuparsi troppo del rapporto fra reddito nazionale e indebitamento. Nel frattempo i paesi maggiormente colpiti hanno deciso, fra l’altro, anche di adottare misure di sostegno all’economia e alla popolazione per far fronte alla situazione del dopo-virus. L’Italia, il primo e il più duramente colpito dall’epidemia, ha varato una serie di misure tramite decreti (13), divieti (300) e centinaia di pagine di ordinanze. Ha già provveduto a misure di sostegno a imprese e persone bisognose, seppellendo il tutto in una marea di burocrazia. Un esempio di come non si dovrebbe fare, ha detto l’ex-ministro Mat-

teo Salvini, citando l’esempio svizzero da imitare. L’Italia offre una garanzia del 100% dello Stato, fino a 25’000 euro, ai prestiti a favore delle piccole e medie aziende presso le banche. Il formulario per la richiesta consta di otto pagine, dal linguaggio talvolta incomprensibile. All’inizio dell’azione, le richieste del formulario da scaricare sul computer sono state così tante da far collassare il sistema. L’Italia ha poi ottenuto di poter sforare ulteriormente un debito pubblico già eccessivo. A come rientrare nei parametri per ora non ci si pensa. In una situazione analoga si trovano anche Francia e Spagna. Parigi opera all’insegna del «costi quel che costi» e garantisce il 90% dei crediti necessari. Si stima che solo dal 2 al 3% dei crediti verrà rifiutato. C’è anche la possibilità del sussidio per lavoro ridotto. Dal canto suo, la Spagna ha allargato fino a 100 miliardi di euro il totale delle garanzie statali al credito bancario. La Germania, che dispone già di un sistema di credito agevolato alle PMI tramite l’Istituto di credito per la ricostruzione, che però ha qualche difficoltà nell’affrontare la difficile situazione odierna, ha creato uno «Schnellkredit». Un sistema che offre il 100% di garanzia ai crediti concessi dall’istituto citato. La solvibilità dell’impresa è valutata con meno rigore e la durata del credito è aumentata a 10 anni, ma l’interesse è portato al 3%, mentre il limite massimo per prestito è di 800’000 euro. In Gran Bretagna, dove l’intervento statale è più raro, si è voluto salvaguardare il mercato e conservare il sistema del credito privato. Il credito è garantito dallo Stato (all’80%) per quel-

Ueli Maurer: «non solo abbiamo stanziato rapidamente i fondi, ma li abbiamo anche subito resi disponibili». (Keystone)

le PMI che non hanno ottenuto dalla loro banca un credito alle condizioni abituali. Inoltre, ai dirigenti è chiesta una garanzia personale e l’interesse non viene chiesto solo per il primo anno. Il sistema però non ha funzionato e sono state subito soppresse la responsabilità dei dirigenti e l’obbligo delle banche di concedere prima un credito normale. Nascono però difficoltà perché il sistema è affidato a un’infrastruttura creata per la crisi del 2008 e di cui fanno parte solo le grandi banche. In parecchi casi il «modello svizzero» è stato invece preso ad esempio, soprattutto perché rapido e non burocratico, cioè quanto di più necessario nella

crisi attuale. Dei crediti stanziati sono stati subito utilizzati 15 miliardi di franchi. La richiesta è fatta su un modulo di una pagina e la risposta è data dopo poche ore dall’inoltro della domanda. Anche in Svizzera si temono truffe, ma per il momento ci si affida alle banche che conoscono bene la clientela. Un’azione statale così ampia non è probabilmente mai stata fatta. Anche la situazione è nuova sotto molti aspetti. Lo Stato si prende a carico la salute tanto corporale, quanto finanziaria della popolazione e quella delle aziende che formano il tessuto produttivo. Funzionerà? E come sarà il «dopo»? Domande alle quali nessuno è in grado di dare una risposta, così come qualche dubbio solleva anche

il metodo. Il Consiglio federale ha scelto il sostegno alla produzione e non la distribuzione di denaro ai consumatori, come qualche economista avrebbe preferito. Se il sostegno alle aziende (sotto forma di garanzia statale al prestito bancario) non evita qualche fallimento, anche il metodo definito «soldi dall’elicottero» non è esente da rischi sul piano socio-economico. Inoltre si adatterebbe difficilmente al modello economico svizzero che attribuisce un’importanza minore di altri al ruolo delle spese di consumo. La soluzione migliore resta probabilmente quella del duplice intervento: a favore dei consumatori (indigenti, disoccupati, imprenditori indipendenti) e delle aziende produttive.

La mia ipoteca è immune dal virus?

I consigli della Banca Migros La crisi del coronavirus scuote l’economia e la finanza. E lambisce anche

il mercato immobiliare. A cosa vanno incontro i proprietari e i potenziali acquirenti di case? Lo abbiamo chiesto alla Banca Migros, che ci ha fornito le risposte a nove quesiti di stringente attualità to, spesso si possono visitare case e appartamenti solo in modo limitato, ad esempio tramite collegamenti video. E i notai e gli uffici del catasto compiono solo atti urgenti e particolarmente importanti.

Benita Vogel 1. Il prezzo delle case crollerà?

Non c’è da aspettarsi un crollo dei prezzi delle abitazioni di proprietà. Sebbene sia probabile che l’economia svizzera chiuda l’anno in recessione, per Christoph Sax, capo economista di Banca Migros, non vi è all’orizzonte una recessione pluriennale con grosse ripercussioni sul prezzo delle case. Molti paesi hanno adottato provvedimenti a supporto della congiuntura. Inoltre, diversamente dalle borse, sul mercato immobiliare non regna il panico. Gli operatori sono piuttosto in attesa che il mercato si riprenda dallo shock. E anche gli interessi bassi contribuiscono alla generale stabilità dei prezzi. Di conseguenza, è improbabile che le banche rescindano o rinegozino sistematicamente i prestiti ipotecari. 2. I tassi ipotecari aumenteranno presto?

I tassi ipotecari sono influenzati, tra l’altro, dai rendimenti dei titoli di Stato. Che attualmente sono alti: gli investitori temono che a seguito della crisi del coronavirus i debiti pubblici possano esplodere. E ciò ha causato un lieve aumento dei tassi ipotecari. Tuttavia, gli esperti della Banca Migros ritengono che, nel caso della Svizzera, i timori siano eccessivi e prevedono che i rendimenti delle obbligazioni della Confederazione torneranno a scendere. Di conseguenza, la crescita degli interessi ipotecari non proseguirà – anche perché la Banca nazionale continua a perseguire una politica di tassi bassi.

DITA N E V IN

7. Quanto dovrebbe costare?

Ci sono due criteri importanti: 1. I vostri fondi propri devono corrispondere almeno al 20% del valore dell’oggetto, sulla base della stima eseguita dalla banca. 2. La sostenibilità finanziaria, che include tutti i costi legati all’abitazione – a partire da quelli per interessi, ammortamenti, costi accessori e di manutenzione – non deve superare il 35% del vostro reddito netto.

3. Lavoro ridotto: e adesso?

Anche qualora vi troviate in regime di lavoro a orario ridotto, l’ipoteca esistente resterà invariata. La riduzione del salario dovrebbe essere solo temporanea e quindi non andrebbe a influenzare la sostenibilità a lungo termine. Qualora, invece, i problemi di liquidità dovessero persistere dovreste rivolgervi al vostro consulente. Se desiderate comprare una casa unifamiliare o un appartamento, e quindi contrarre una nuova ipoteca, è consigliabile attendere la fine del lavoro ridotto. 4. Come proteggersi da un futuro aumento dei tassi?

Questo dipende dalla vostra propensione a correre dei rischi. Se avete un profilo di rischio basso o medio e prevedete un aumento degli interessi,

allora è ideale un finanziamento misto con ipoteche fisse scaglionate nel tempo. Nel contesto attuale, si consiglia qualcosa come una combinazione di ipoteche fisse a 7 e 10 anni. Chi ha una maggiore propensione al rischio, può scegliere ad esempio un finanziamento misto, con metà delle ipoteche legate al mercato monetario (Libor, successivamente Saron) e il resto con un quarto ciascuno di ipoteche fisse a 5 e 10 anni.

dell’immobile. Per raggiungere il minimo del 20% di capitale proprio richiesto, si può ricorrere a mezzi propri morbidi, vale a dire al prelievo o alla costituzione in pegno dei soldi della cassa pensione. Ai fini del calcolo non valgono invece i prestiti di amici o parenti, giacché devono essere restituiti o addirittura rimborsati con gli interessi: essi sono considerati capitale di terzi, alla stregua di un’ipoteca bancaria.

Ci sono mezzi propri cosiddetti «solidi» e «morbidi». I risparmi liquidi, gli averi del 3° pilastro, i titoli, i valori di riscatto delle polizze assicurative, le donazioni o gli anticipi sull’eredità sono mezzi propri solidi. E devono costituire almeno il 10% del valore

Benché il mercato immobiliare si trovi congelato dallo shock, continuano ad esserci abbastanza compratori e venditori, di conseguenza il mercato funziona ancora. Ci vuole comunque un certo lasso di tempo, prima di un possibile scongelamento. Al momen-

5. Da cosa è costituito il capitale proprio?

6. È il momento di comprarmi la casa o no?

8. Se crollano le borse, devo adeguare l’ammortamento basato sul 3° pilastro?

Se perde valore il fondo pensione del 3° pilastro, con il quale si ammortizza l’ipoteca indirettamente, non sono necessari versamenti aggiuntivi. L’ammortamento indiretto si protrae su un lungo arco di tempo. Ciò consente di correggere anche le cospicue perdite attuali del mercato borsistico. 9. Ipoteca online: cos’è?

Sì. Potete richiedere rapidamente una nuova ipoteca o il riscatto di un’ipoteca già esistente anche standovene comodamente a casa. Se richiedete e contraete online un’ipoteca fissa di almeno 300’000 franchi alla Banca Migros, c’è addirittura un bonus di 2000 franchi. Informazioni

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Concepire il polo universitario del futuro Da più di 20 anni il Ticino possiede due istituti universitari di vaglia: l’USI e la SUPSI. In questo scorcio di tempo almeno 10’000 studenti hanno conseguito la loro laurea presso l’una o l’altra istituzione. Si tratta di un contingente elevato di persone specializzate, in larghissima parte di ticinesi, che stanno dando un contributo sicuramente di valore alle attività della nostra economia. Basterebbe questa riflessione per mettere in evidenza l’importanza del nostro polo universitario. È mia opinione che il suo contributo sia largamente riconosciuto dall’opinione pubblica ticinese. C’è però chi la pensa diversamente. Per esempio il rettore dell’USI che, lo scorso anno, si è lamentato dell’insufficiente attenzione che la stessa presta al suo istituto. Il suo intervento aveva poi indotto Tito Tettamanti a promuovere, sul «Corriere del Ticino», un di-

battito sull’università che si era presto arenato, giustificando così, almeno in parte, le preoccupazioni del rettore. Ma non si tratta certamente che di un’occasione perduta. L’università e il posto che le spetta all’interno delle istituzioni di questo paese è un tema che sarà sicuramente ripreso anche in futuro. Soprattutto se i mezzi per l’insegnamento e la ricerca dovessero diventare scarsi. Cerchiamo per il momento di fare il punto sull’apporto dell’università alla regione dove è ubicata, aiutandoci anche con le molte pubblicazioni su questo tema che sono apparse nell’ultimo paio d’anni in Europa. I ricercatori che si sono occupati di questa questione convengono nel ritenere che il contributo di maggior valore sia certamente ancora quello che può dare la ricerca. È una conclusione che vale anche per il Ticino. E questo perché anche il nostro Cantone

sta vivendo un momento di grande trasformazione. Nel giro di 10 anni, per effetto della digitalizzazione e della robotizzazione dei processi produttivi, spariranno dal nostro mercato del lavoro almeno due decine di migliaia di posti di lavoro che richiedono qualifiche tradizionali. In che misura questi posti di lavoro potranno essere sostituiti e quali saranno le qualifiche professionali che richiederà l’economia ticinese del 2030, come e dove queste qualifiche potranno essere acquisite, questi sono alcuni dei temi sui quali dovrebbe concentrarsi la ricerca del polo universitario ticinese. Si tratterebbe di rivedere i curricoli di studio di USI e SUPSI, nonché le loro attività a livello di formazione permanente, per tener conto delle nuove esigenze dell’offerta di lavoro in una società digitalizzata e robotizzata. Non dimenticando naturalmente i temi

dell’intelligenza artificiale, della trasformazione degli apparati produttivi e dell’organizzazione delle aziende che già ora vengono curati dalle ricerche di diversi istituti, in particolare della SUPSI. Il secondo apporto importante del polo universitario, dicono gli studi a disposizione, è quello che potrebbero dare le reti di relazioni degli insegnanti insediati nella regione. Facciamo un esempio: il finanziamento delle attività di ricerca. Come si sa, nel corso degli ultimi 40 anni il finanziamento della ricerca universitaria in Europa è stato assunto, in misura sempre più importante, da istituzioni pubbliche, semi pubbliche e private (pensiamo alle fondazioni), di livello nazionale o, addirittura, europeo. Di conseguenza i contatti e le collaborazioni tra istituti di diverse regioni e di diverse nazioni si sono moltiplicati. In questa situazione è necessario che

il polo universitario ticinese, ora che la prima generazione di insegnanti sta andando in pensione, si ricostituisca una sua posizione nei «network» di ricerca nazionale e internazionale. Ce la potrà fare però solo se i nuovi professori, capi-progetto e consulenti di ricerca, per non parlare dei ricercatori stessi, oltre ad esercitare la loro attività professionale in Ticino, sposeranno gli interessi del loro Cantone di residenza e delle università ticinesi. Il terzo apporto è quello che segnalava già il Franscini, ossia, nella misura del possibile, quello di ottenere un saldo positivo nei flussi monetari concernenti la formazione universitaria, che traversano i confini del Cantone. È un aspetto che continua ad essere valido ma non deve essere l’unico ad essere preso in considerazione quando si tratterà di definire una strategia universitaria cantonale.

tirsi un piccolo reddito, anch’esso ora andato in fumo. Lo stesso discorso vale per le librerie indipendenti, già in difficoltà di fronte alle catene, alla grande distribuzione, al commercio elettronico. Vale per gli edicolanti, che con i farmacisti e le cassiere dei supermarket hanno fatto sforzi straordinari in questi mesi drammatici. Per gli esercenti di cinema e teatri, e per tutti i lavoratori dell’industria dello spettacolo, che hanno di fronte un’estate terribile di inattività forzata. Parliamo ovviamente di categorie diverse. Ma hanno una cosa in comune: il loro lavoro ha molto a che fare con la vita di tutti. Con la cultura, con la socialità. I loro spazi sono luoghi di incontro. Scaldano le nostre anime. Vale per l’America, vale a maggior ragione per l’Europa, dove è una fortuna essere nati sia per la ricchezza culturale, sia per il calore dei rapporti interpersonali. Se si perdono questi lavori, questi luoghi, non si perde soltanto un’impor-

tante quota di prodotto interno lordo. Gli europei perdono una parte di se stessi. Per questo si deve fare tutto il possibile per salvarli. Purtroppo la crisi innescata dalla pandemia sta smascherando i limiti delle classi dirigenti mondiali. Se tutti i Paesi si sono fatti trovare impreparati, con rarissime eccezioni, è anche perché la politica e il potere non riescono più a pensare, non si pretende alle generazioni future, ma neppure al domani. In questi anni ci siamo creati con le nostre mani una classe politica formata dalla rete e dai like. Gente che cambia idea a seconda dell’ultima cosa che ha letto su Facebook. E pretendiamo che si preparassero e ci preparassero a una pandemia? «Le Monde» ha pubblicato due pagine di intervista a Edgar Morin, 99 anni, sociologo e filosofo, presentato come «studioso interdisciplinare e indisciplinato». Dall’alto del suo sguardo che domina il secolo, Morin ha avuto buon gioco a dire che in realtà nessuno aveva previsto nulla.

Certo, ci può essere la parola gettata lì dall’astrologo, o il romanziere dall’intuizione fortunata. Ma tra i personaggi pubblici due soli avevano parlato di un’epidemia devastante che ci attendeva: Bill Gates, nel 2012, e Barack Obama, nel 2014. Entrambi erano rimasti suggestionati da Ebola perché entrambi attenti all’Africa, il primo perché lì lavora la sua Fondazione, il secondo perché da lì veniva suo padre. Ma l’uomo più ricco del mondo (nel frattempo superato da Jeff Bezos) e l’uomo all’epoca più potente del mondo non possono limitarsi alle parole; Bill Gates poteva e Obama doveva fare qualcosa in più, per essere conseguenti con le loro previsioni. La realtà è che il mondo si attendeva una crisi finanziaria, o climatica, o nucleare, o cybernetica; non si aspettava di essere messo in ginocchio da un virus. Se avessimo messo nella prevenzione della pandemia un decimo dell’energia e dei soldi serviti a fare l’i-Phone 11 o l’ultimo missile, non saremmo a questo punto.

con dati analoghi raccolti prima dell’incarico. Allora: quando e perché questi dati sono stati raccolti? E come mai sinora nessuno si è interessato di queste «virtù recondite» di Swisscom? Inutile attendersi risposte: le vie della verità (soprattutto a livello di strategie di marketing) sono più o meno le stesse che una volta conducevano a Roma; in più oggi presentano anche migliaia di incroci e rotatorie... Inevitabile allora approdare al solito e tranquillizzante «Tütt a post», anche se un dubbio rimane: la solerzia della Swisscom nel dare prova della sua efficienza, non vi ricorda un po’ l’agire della proverbiale gatta frettolosa? Dalla Swisscom alla Posta (nel «dopo Coronavirus» sarà opportuno chinarsi sul ruolo futuro di questi pilastri del parastato). Anche qui, la pandemia ha finito per mettere in evidenza una preparazione non indifferente, a livello della prossimità come pure per le infrasrutture. Se da una parte il «lockdown» ha obbligato la Posta alla chiusura temporanea di una serie di

punti di vendita che praticamente non erano più frequentati da gente «ferma», dall’altra esso ha richiesto l’implementazione di numerosi cambiamenti legati alle disposizioni imposte dalle autorità, come pure da mutamenti del traffico postale. Ne è un esempio l’aumento delle vendite online, quindi delle consegne a domicilio tramite pacchi, con i responsabili della Posta preoccupati perché impossibilitati dal mantenere termini di consegna normali. Emergenze indotte, in parte comprensibili (quelle dei pacchi), altre un po’ meno: che senso ha continuare la differenziazione tra posta A e posta B, quindi un’affrancatura più costosa, quando è stato subito evidente che il servizio accelerato non sarebbe stato più possibile? Comunque tra le tante pieghe dei servizi postali in tempi di Coronavirus, mi è capitato un caso pratico che merita segnalazione e anche elogio. Una mattina di inizio aprile ricevo una raccomandata (una password per mo-

dificare un accesso online) e il «mio» postino suona: ha bisogno della firma e devo scendere all’ingresso. Lo trovo armato non solo del solito apparecchio per la firma elettronica, ma anche di uno «sprayer» con detergente. Prima spruzza l’apparecchio e la penna elettronica, che poi asciuga con un piccolo panno: poi, ma una volta che io ha tracciato i miei geroglifici di ricevuta, ecco pronta una spruzzatina anche per la mia mano. Mi viene un po’ da ridere, ma ha subito avuto paura di offendere il «mio» postino. Allora l’ho ringraziato, gli ho chiesto come andava il lavoro, pensando alle consegne «brevi manu» e al «supplemento spray». Lui mi ha spiegato l’andamento, aggiungendo una rivelazione: «Sa, ho notato che la gente ora si scrive di più. Vedo cartoline con saluti scherzosi o variopinti di nipoti ai nonni, altre un po’ più intime... Insomma: c’è un ritorno alla scrittura che fa ben sperare». Poi riparte con il suo veicolo elettrico, per altre consegne e altre «sprayate».

In&outlet di Aldo Cazzullo In realtà nessuno lo aveva previsto Il mondo è al bivio tra recessione e depressione. La recessione è una fase pesante: scende il prodotto interno lordo, aumentano i debiti pubblici. La depressione è un disastro. I tempi della prima si misurano in mesi, forse anni; i tempi della seconda si misurano in decenni. Dalla Grande Depressione, innescata dal crollo delle Borse del 1929, l’America uscì solo con il riarmo della Seconda guerra mondiale e con il dividendo della vittoria. Stavolta cosa accadrà? L’Europa rischia una catastrofe sociale, oltre che economica. E il Paese più debole, come d’abitudine, è l’Italia. Secondo le disposizioni del presidente del Consiglio, il prossimo 18 maggio riapriranno i negozi. Ma quanti non potranno riaprire? E quanti sono destinati a chiudere nei prossimi, difficili tempi, se non si fa qualcosa? Molte attività erano già in crisi prima della pandemia. Il «distanziamento sociale» non è cominciato con il Covid-19. La rete aveva già reso desuete o sporadiche cose che per le generazioni

precedenti erano le più belle: andare al cinema e a teatro, scegliere un romanzo nella libreria vicino a casa, curiosare tra le novità di una bottega. In questi tre mesi di chiusura, con la prospettiva di una riapertura cauta e spaventata, quasi tutti i commercianti hanno perso reddito e stock (quante merci deperibili o quanti vestiti resteranno invenduti?). E molti italiani, anche quelli più refrattari, si sono abituati a fare le loro spese on line. Senza demonizzare l’e-commerce, senza sospettare che buona parte degli introiti finiscano nei paradisi fiscali, è evidente che c’è una differenza tra cliccare in rete e spendere sotto casa soldi che in qualche modo resteranno nella comunità: sotto forma di tasse, di affitti, di stipendi. Dietro il piccolo commercio c’è un mondo, e ci sono famiglie: oltre al negoziante, c’è il grossista, il rappresentante, il camionista, il commesso. E il proprietario del locale, che non è un bieco rentier, ma quasi sempre un risparmiatore che ha investito nella speranza di garan-

Zig-Zag di Ovidio Biffi Il parastato in tempo di pandemia «“Povero te! / “E povera anche la Swisscom!”». Sarebbe eccessivo riproporre anche solo la prima parte della bella canzone di Jannacci. Credo che il passaggio parafrasato (il cantautore dice «“Povero re!” / “E povero anche il cavallo!”») possa bastare per inquadrare nel mirino l’ente parastatale (non dimentichiamolo: la Confederazione detiene il 51% del capitale della principale società di telecomunicazioni elvetica), non per le sue offerte nell’intrattenimento e nell’informazione attraverso le offerte di Bluewin (sempre più apertamente concorrenziali con i programmi della Ssr, quindi anche della Rsi), ma per il suo recente coinvolgimento a livello di sorveglianza digitale nazionale. Come forse ricorderete lo scorso mese di marzo il Consiglio federale ha chiesto a Swisscom di utilizzare i dati relativi ai dispositivi mobili sul nostro territorio per appurare se gli svizzeri rispettano, o meno, le norme riguardanti la distanza sociale e il divieto di assembramento. A togliere ogni dubbio sulla liceità di que-

sta operazione e su eventuali pericoli per la privacy sono intervenute diverse personalità, persino «Mister Prezzi» che, facendo leva sull’anonimità delle informazioni captate digitalmente, assicurano che non ci sarà alcuna violazione sulla protezione dei dati. Tutti tranquilli, dunque? Personalmente lo sono, dal momento che non possiedo alcun cellulare rintracciabile attraverso abbonamenti. Ma un dubbio su quanto si è architettato in fretta e furia mi è venuto leggendo (su Ticinonline) i risultati della prima analisi effettuata da Swisscom. I dati hanno mostrato che dopo l’inizio del lockdown in Svizzera la gente si muove meno sia per frequenza che per distanza: «Si parla di circa il 65% di spostamenti in meno in Ticino (il cantone più “fermo”). Nel canton Vaud invece il calo è del 58% mentre a Zurigo del 52%». D’accordo. Ma, di grazia: se Swisscom riesce a commentare i dati raccolti solo due giorni dopo aver ottenuto il mandato del governo significa che ha potuto fare paragoni


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Cultura e Spettacoli Cosa succede al museo Un futuro incerto aspetta molte strutture museali al termine della crisi Covid-19: ne abbiamo parlato con Andrea Bignasca

Francesco Pacifico e gli altri In Io e Clarissa Dalloway lo scrittore italiano prende sotto la lente alcuni aspetti di Virginia Woolf e di Stendhal

Un teatro per la quarantena Markus Zohner e Totentanz, il progetto teatrale nato in tempo di quarantena pagina 38

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Vela, pioniere creativo e sensibile

Anniversari Duecento anni or sono nasceva

a Ligornetto lo scultore Vincenzo Vela

Ada Cattaneo Se un ospite arriva in Ticino e ha disposizione solo qualche ora, con piacere ci si riserva il tempo per salire a Ligornetto ed accompagnarlo al Museo Vela. Oggi purtroppo è chiuso. Superfluo spiegarne il motivo. Torneremo solo quando sarà opportuno e la sala gremita dagli ospiti di un vernissage ci darà una gioia quasi inebriante. Nel frattempo, sarebbe ingiusto dimenticare i duecento anni dalla nascita di un artista che ha dato vita ad un luogo tanto speciale. Vincenzo Vela nasce a Ligornetto il 3 maggio 1820, destinato fin da piccolo a diventare scalpellino presso le vicine cave di Besazio ed Arzo. Inizia presto a lavorarci e lì sarebbe rimasto a lungo, come i suoi fratelli e molti altri giovani della zona, se la sua vicenda non avesse preso un’altra piega. Già nel 1832 – a dodici anni! – è impiegato presso l’Opera del Duomo di Milano e gli sono perfino concesse due ore al giorno per frequentare i corsi dell’Accademia di Brera. Il suo talento era quindi stato notato. Subito sente come affini le novità introdotte dal Romanticismo, allontanandosi invece dall’estetica idealizzante del Neoclassicismo. Riesce ad aprire un proprio atelier e il passo verso la fama è breve, considerato che la sua indagine della realtà, il suo interesse per i moti dell’animo piacciono all’alta borghesia ticinese e lombarda, a quell’élite sempre più influente e contraria al dominio austriaco. Giorgio Zanchetti, professore di Storia dell’arte contemporanea all’Università Statale di Milano, che a lungo si è occupato dell’opera di Vela spiega: «La grande eredità che egli lascia alle generazioni artistiche del secondo Ottocento e del primo Novecento consiste nella capacità di porsi di fronte all’umanità e alla realtà, anche conflittuale, del suo tempo in modo straordinariamente partecipato e diretto; senza cercare di costringere la propria intensa adesione emotiva agli avvenimenti della storia entro i limiti dei moduli compassati e ormai logori ereditati dall’accademia classicista. Aspirava a un vero naturale che, senza diventare superficialmente sensazionalistico o volgare, rompesse con le secolari convenzioni rappresentative della scultura. E questo l’ha portato a sviluppare profonde innovazioni formali, ad esempio nel trattamento luministico delle superfici, e a dar vita ad un’inedita espressione dei sentimenti

che hanno avuto un’influenza determinante sullo sviluppo del verismo, della scapigliatura lombarda e della scultura simbolista». I temi risorgimentali della libertà e dell’indipendenza delle nazioni sono una costante nella vicenda di Vela. Egli stesso si arruola nell’esercito svizzero per contrastare la rivolta del Sonderbund e sostiene in varie occasioni i movimenti rivoluzionari nella vicina Italia. Nel 1852 ha addirittura l’audacia di rifiutare la proposta austriaca di diventare professore presso l’Accademia di Brera per mantenersi coerente alla propria fede politica, venendo di conseguenza bandito dal Lombardo Veneto. Vela torna allora in Ticino, dove ha modo di entrare a far parte di quel fertile milieu culturale venutosi a creare nella Svizzera italiana a seguito dell’arrivo di molti esuli, che come lui non erano graditi al governo austriaco. Sono questi gli anni dello Spartaco. Si avvicina a Giacomo e Filippo Ciani (che saranno anche suoi committenti), Niccolò Tommaseo, Carlo Cattaneo. Stringe con loro legami sulla base di ideali comuni, che vanno ben oltre le commissioni artistiche e le querelle estetiche. Lo stesso vale per Cavour, incontrato nel fortunato soggiorno torinese. Allo scoppio della Seconda guerra d’indipendenza, Vela gli offre addirittura di usare le sue aderenze in patria per ottenere rinforzi elvetici alla causa nazionalista sabauda. Ancor più che Milano, sarà proprio la libera Torino ad accogliere Vela e a dedicargli ogni onore: la cattedra di scultura all’Accademia Albertina, le innumerevoli opere volute da committenti privati e gli incarichi pubblici, sia da parte del Comune di Torino, che da Casa Savoia. Qui vive dal 1852 al 1867, per fare poi rientro in Svizzera. In patria il suo impegno politico può assumere una forma più istituzionale, tanto che viene eletto membro del Gran Consiglio ticinese nel 1877. I temi a lui più cari sono l’istruzione e la tutela dei lavoratori: favorisce la creazione di società di mutuo soccorso, denuncia le cattive condizioni di lavoro di alcune categorie, sostiene la necessità di aprire una scuola di belle arti nella Svizzera Italiana, molto in anticipo sui tempi. Per questi temi si impegna anche con le ingenti risorse economiche a sua disposizione, testimoniate dalla splendida dimora che realizza per sé e la propria famiglia a Ligornetto.

Enrico Gamba, Ritratto di Vincenzo Vela, 1857 circa, pastelli colorati su carta. (© Museo Vincenzo Vela - Foto Mauro Zeni)

Villa Vela è un luogo molto speciale. Chiunque lo visiti concorda sull’aura del luogo, accresciuta dal fatto che in Ticino siano ormai rare le ville ottocentesche preservate e manutenute. L’edificio sembra raccontare la volontà di Vincenzo di accogliere i visitatori interessati alla sua opera, tanto che l’architettura è da subito pensata affinché atelier e collezione di gessi siano accessibili al pubblico. Tipologia museologica interessante quella della casa-museo e, in questo caso, doppiamente significativa perché è l’artista e primo proprietario a impostarne la destinazione espositiva. Tutta la struttura è incentrata sul grande Salone dei modelli – uno spazio ottagonale a doppia altezza, riconoscibile anche dall’esterno della casa, e creato perché i gessi preparatori delle sculture siano qui visibili nel migliore dei modi – e sull’atelier retrostante. Già dal 1869 questi spazi sono ufficiosamente aperti al pubblico e talora è il Vela stesso ad accompagnare i visitatori e a produrre una guida alle opere esposte. La storia del museo richiederebbe un altro articolo, ma lo speciale equilibrio fra edificio e contenuto, oltre che l’attenzione per il visitatore, sono i re-

taggi più evidenti lasciati da Vela, oltre naturalmente alla sua opera scultorea. Dal 1992 la direzione di Gianna Mina, sotto l’egida dell’Ufficio federale della cultura, si è impegnata per preservare questa eredità. «Cerchiamo di mantenere vivo il messaggio culturale di Vela promuovendo, sia negli intenti che nei fatti, un atteggiamento di accoglienza e di rispetto nei confronti di qualsiasi pubblico, sia esso neofita, o specialista, proveniente da realtà vicine, o da più lontano, da un contesto migratorio o formativo». Così spiega ancora la direttrice: «La forte componente espressiva delle opere dello scultore, oltre alla spinta ideale che le ha motivate e che le permea, sorprende e coinvolge ancora oggi chi le osserva, e ognuno in modo diverso: questo è un dato interessante e stimolante, dal quale prendono spunto le nostre iniziative. Negli ultimi due decenni abbiamo infatti privilegiato – intrecciandovi altre forme espressive quali la musica e la danza – progetti di mostra che mettessero in evidenza tematiche che ritroviamo nella poetica di Vela: la libertà di espressione, il coraggio di agire senza il condizionamento delle mode, la ricerca profonda di senso,

l’imprescindibile fatica, il significato civile del proprio lavoro. Un confronto, questo, che lo scultore pare avere sempre accolto con generosità nella sua casa-museo». Su questa linea, le celebrazioni per i duecento anni dalla nascita di Vincenzo Vela sono quindi un profondo omaggio al creatore di questo luogo. La situazione di emergenza sanitaria ha richiesto di posticipare i festeggiamenti a lungo progettati: è stata spostata al 10 ottobre l’inaugurazione della mostra Vincenzo Vela (1820-1891). Poesia del reale. Nel frattempo, il pubblico potrà però seguire le molte iniziative del museo. Si potrà per esempio leggere l’edizione aggiornata della bella guida redatta da Marc-Joachim Wasmer, sia in formato digitale che cartaceo. Ogni domenica del maggio 2020 sarà poi possibile ascoltare sul sito del museo alcuni video musicali realizzati nella casa-museo di Ligornetto e dedicati a compositori coevi allo scultore. La RSI proporrà, invece, una serie di documentari dedicati a Vela e al suo tempo, la cui programmazione è consultabile sul sito del museo, così come l’elenco completo delle iniziative.


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Cultura e Spettacoli

Quando si devono chiudere le porte al pubblico Musei A colloquio con Andrea Bignasca, direttore dell’Antikenmuseum di Basilea: ostacoli attuali e scenari futuri

Marco Horat Prendiamo l’esempio dell’Antikenmuseum und Sammlung Ludwig di Basilea, istituzione tra le più importanti in Svizzera in fatto di collezioni archeologiche nonché sede di spettacolari mostre temporanee. Attualmente era in corso una esposizione dedicata al mondo dei Gladiatori, con prestiti da altri musei nazionali e internazionali, naturalmente chiusa in anticipo. Già molte istituzioni e siti famosi, tra i quali il Louvre, il Moma di New York, il Colosseo a Roma e altri danno la possibilità di una visita virtuale in 3D, più che mai attuale di questi tempi; e anche da noi esistono delle app che consentono in qualche modo la visita di musei, città e luoghi turistici interessanti, senza doversi muovere da casa. Naturalmente non è la stessa cosa che vedere con i propri occhi ma è comunque un’esperienza stimolante. Andrea Bignasca è il Direttore dell’Antikenmuseum e insieme ai suoi collaboratori sta vivendo un momento molto complicato. L’Antiken è chiuso, non ci sono le entrate dei visitatori svizzeri, di quelli della Francia e della Germania, slittano gli impegni con i partner e bisogna inventare il futuro: «Dipendiamo dal Canton Basilea per cui dal punto di vista finanziario è un enorme danno ma non proprio un

disastro. Alcuni di noi possono lavorare da casa, come i curatori, ma molti hanno bisogno di essere in sede a contatto coi materiali sui quali lavorano, come ad esempio i restauratori. Parte del personale addetto alla sicurezza e al funzionamento del museo e dei suoi annessi è invece a disposizione del Cantone per interventi d’urgenza dovuti alla crisi». Il fatto che il Museo sia chiuso non vuol dire che l’attività sia del tutto ferma: «Tutt’altro. Si sta lavorando alla progettazione delle prossime mostre già in calendario visto che ci si deve muovere con anni di anticipo; si sviluppano concetti, si preparano testi e scenografie, si lavora sul marketing. E, se si può, si risanano le strutture dell’edificio che richiedono interventi urgenti e che in tempi normali vengono sempre rinviati». Il fatto che avete dovuto chiudere la mostra sui Gladiatori in anticipo, con molti reperti provenienti da Napoli e che i contatti con l’Italia sono praticamente interrotti, che problemi ha comportato? «Molti in effetti, perché la mostra avrebbe dovuta essere smontata subito per essere trasferita al Museo nazionale di Napoli e inaugurata laggiù a fine maggio. Ora i pezzi sono rimasti nelle nostre sale (con i problemi di sicurezza e le proroghe assicurative che questo comporta) e non sappiamo

Andrea Bignasca in una delle sale del museo.

bene cosa succederà. Ironia della sorte: dopo innumerevoli difficoltà avevamo ricevuto il permesso di smontare noi la mostra con diretta video da Napoli, visto che il loro personale era bloccato. Il

Canton Vaud invece non ha permesso ai suoi restauratori specializzati di venire a Basilea per smontare a loro volta il grande mosaico di Augusta raurica che era stato ricostruito qui. Quindi

abbiamo dovuto fermare tutto poiché liberare solo alcune sale non avrebbe risolto la questione». Molti problemi burocratici come è facile immaginare, sia in tempi normali ma ancora di più adesso: «Certo. Non si può smontare una mostra senza i rappresentanti e il personale specializzato dei musei prestatori. Si devono avere i permessi dalle direzioni e dai ministeri esteri e ottenerli dall’Italia in questo momento di totale chiusura degli uffici era quasi impossibile. Oltre al nostro restauratorecapo, che si è ammalato, non si sarebbero più potute garantire le distanze di sicurezza dentro gli spazi della mostra». Diceva che avevate ottenuto comunque di poter lavorare in collegamento video con i responsabili a Napoli per quanto riguardava le grandi strutture architettoniche presenti in mostra. Ma il resto dei reperti in mostra che fine ha fatto? «Gli oggetti più trasportabili, per esempio gli elmi dei gladiatori, gli schinieri e le loro armi, presentano minori problemi di trasporto ma devono essere custoditi in un luogo esterno sicuro, in ambienti climaticamente adatti perché non si deteriorino e di questo bisogna rassicurare i vari prestatori». Far arrivare tutto quanto visto all’Antikenmuseum a Napoli per l’inaugurazione prevista a fine maggio, sarà una bella sfida, virus permettendo. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Consapevoli dei propri desideri

Prigioni verticali Netflix Il buco fa

Editoria Fabrizio Pacifico si china su Virginia Woolf e su Stendhal

per sviscerare l’umano sentire

parlare di sé grazie al periodo fragile in cui viviamo

Laura Marzi

Alessandro Panelli

Nuova educazione sentimentale per ragazzi: è il sottotitolo del testo di Francesco Pacifico Io e Clarissa Dalloway, parte della collana PassaParola di Marsilio, una raccolta di testi in cui uno scrittore o un’autrice «raccontano del mondo e di sé partendo da un libro». Pacifico di libri ne sceglie due: Il rosso e il nero di Marie-Henri Stendhal e La signora Dalloway di Virgina Woolf. Il mondo che osserva è invece quello della società patriarcale che racconta dall’interno, in quanto uomo in un sistema maschilista. L’opera è il frutto di una lettura dei due romanzi perpetuata negli anni, che lo ha condotto a un punto di approdo: l’azione sentimentale di Julien Sorel, il suo modo di amare, come quello di Pacifico stesso e di miliardi di altri uomini, manca di qualcosa che Clarissa Dalloway e Virginia Woolf invece posseggono: il contatto, la consapevolezza dei propri desideri. E seppur si tratti di una conclusione che appare astratta, nel testo essa è chiaramente illustrata a partire da immagini molto chiare. Per esempio, il rifiuto maschile, anche inconsapevole, di ascoltare la persona amata, l’impulso irrefrenabile di giudicare: «l’amore ti mette davanti alla responsabilità di doverle spiegare come funziona davvero il mondo. Ti tocca rimproverarla per il suo conformismo, la sua stupidità! Quanto ti piace darle della stupida». Il libro è un confronto puntuale e simpatico tra i due romanzi, a partire da un’analisi testuale rigorosa. I primi capitoli raccontano per lo più una visione della letteratura: Pacifico sottolinea con sapienza come la prosa di Woolf si fondi sul tempo inteso come alternanza e accostamento di immagini e quindi parole. Poi insiste sulla necessità di sfatare un luogo comune dominante, se-

Il Buco (The Platform) è un film spagnolo del 2019 distribuito da Netflix in tutto il mondo dal 20 marzo 2020 ed è il primo lungometraggio di Galder Gaztelu-Urrutia. La storia è quella di Goreng (Ivan Massagué) che volontariamente decide di entrare in una sorta di carcere verticale per sei mesi con lo scopo di ottenere, una volta uscito, l’attestato di permanenza. La particolarità di questa prigione è che al piano 0, quindi il più alto di tutti, dei cuochi di prestigio cucinano giornalmente i piatti preferiti dei prigionieri. Il problema è che tutto il banchetto viene allestito su una piattaforma che scende di cella in cella (circa 250, disposte verticalmente). Anche se il cibo è stato calcolato con lo scopo di sfamare tutti i prigionieri, la piattaforma non riesce mai a superare la metà della prigione senza essere stata completamente spazzata dai primi che si possono servire. Ogni mese i detenuti cambiano «livello» in maniera piuttosto casuale, questo provoca un certo egoismo nei prigionieri, in quanto quelli dei livelli più bassi, non mangiando per un mese intero, una volta ritrovatisi in alto, si nutrono più del necessario, creando un drammatico scompenso facilmente comparabile alla situazione odierna. Il Buco è un film dal ritmo molto frenetico e accattivante, le scene sono ben pensate e la struttura narrativa permette una visione fluida e leggera. La regia e la

Virginia Woolf con la nipote Angelica Garnett in un’immagine del 1934. (Keystone)

condo cui un buon libro sarebbe quello che scorre: «come se l’unico modo di fare esperienza positiva delle cose della vita fosse la velocità. Lentezza uguale noia. Ma la letteratura e il suo piacere nascono dalla noia». Lo spostamento sulla questione dell’educazione sentimentale e quindi inevitabilmente sulla guerra dei sessi avviene a partire dal capitolo «Softboi». Si tratta di un’espressione che Pacifico ha trovato esemplificata nell’account instagram beam_me_up_Softboi. Softboi è il termine moderno che sta per: «ragazzo sensibile». Pacifico ci dimostra che Julien Sorel è un softboi, come Peter, il giovane che Clarissa Dalloway lasciò per sposare Richard e che rincontra dopo molto tempo. E lui stesso, l’autore, si colloca tra i ragazzi sensibili. A partire dall’appartenenza con-

divisa a questa pericolosa categoria, senza mai tralasciare il testo di Virginia Woolf che è diventato protagonista assoluto doppiando Stendhal, l’autore sancisce alcune verità rare: «il patriarcato si regge sull’arco delle sopracciglia di un uomo ragionevole, che all’ennesima intemperanza di una donna fa: “mi pare un po’ esagerata come reazione...”». Così, attraverso lo strumento della critica letteraria e di un’analisi della realtà sociale, Pacifico riesce a mostrare come l’educazione sentimentale dei maschi contemporanei assomigli a quella di Julien Sorel o di Peter, protagonisti di due romanzi scritti all’inizio del XIX e del XX secolo. Essa si basa sulla condanna, sulla totale incomprensione delle donne, ma anche su un’intrinseca impossibilità di essere felici, perché gli

uomini programmati così si trovano lontani dal loro desiderio: agiscono in nome della conquista, che non è la voglia ma una necessità imposta. Al contrario, nello spirito di Clarissa, nelle sue parole, nella visione di Woolf emerge una capacità di saper contemplare la morte che si accompagna alla possibilità di gioire per le cosiddette «frivolezze», come la festa che sta organizzando, per cui Peter e suo marito la rimproverano. Il suo essere felice, senza un’eredità o terre e potere da amministrare, si realizza con «un po’ di libertà, un po’ di indipendenza». Bibliografia

Francesco Pacifico, Io e Clarissa Dalloway. Nuova educazione sentimentale per ragazzi, Marsilio, pp. 144.

Parole in quarantena Pubblicazioni L’elenco di parole per salvare la nostra lingua italiana e il taglio originale

e sorprendente del nuovo libro di Massimo Arcangeli Stefano Vassere «È abbastanza comune l’espressione mettere (o tenere) in contumacia, in cui il sostantivo, sinonimo di isolamento, segregazione, quarantena, ha tutto il senso di una costrizione: mettiamo in contumacia per un tempo determinato, al fine di evitare pericoli per la salute pubblica, cose o persone che riteniamo possano essere veicolo di malattie contagiose capaci di far esplodere epidemie». Sara anche «abbastanza comune», ma non è capitato, di questi tempi, quando tanto si parla di contagi ed epidemia, di sentire usare contumacia invece di quarantena; né in Italia né nella Svizzera italiana. A riprova del fatto che il lessico e le parole sono lo strato più imprevedibile e capriccioso di una lingua, quello che meno facilmente precipita nel sistema e ne traccia gli aspetti più sostanziali. Quello lessicale è però per contro il settore linguistico che più ci àncora alla realtà e al suo divenire. Spesso le parole ci dicono, insomma, dell’evoluzione della storia, che sedimenta a suo modo nelle parole di una lingua. Senza parole. Piccolo dizionario per salvare la nostra lingua è titolo probabilmente non abbastanza lontano da

certo canone troppo à la page nel mondo editoriale contemporaneo, che vede una sovrabbondanza di saggi dedicati alle parole e al loro potere, per non parlare della retorica loro dedicata e degli stupidari con usi e abusi lessicali. Questo perché il suo autore, Massimo Arcangeli, che insegna linguistica italiana all’Università di Cagliari, dimostra una volta di più (già lo aveva fatto in qualche sua spiazzante opera precedente) la sua capacità di prendere temi e generi

molto frequentati e di impastarli con tecniche sorprendenti. La rassegna di questo libro corrisponde più a una micro-enciclopedia che a un dizionario. Le cinquanta parole elencate sono spesso l’occasione, aiutata anche da un apparato iconografico ricchissimo, per dirci molto degli aspetti linguistici ma anche di quelli storici, artistici, letterari. Così non è un caso che più che alla conservazione di singoli lessemi, questo libro inviti al recupero di mentalità e consuetudini, costumi culturali che Arcangeli richiama con struggente nostalgia. Da adepto a catarsi, da ermetico a morigerati, da ostico a reprobo, la vertiginosa serie selezionata ci aiuta a restare attaccati a un mondo più che a un vocabolario. Qua e là, si legge il desolato richiamo a quanto poco queste parole emergano, in avvilente statistica, nella competenza degli studenti delle superiori e dei primi anni di università. A loro il compilatore ha coraggiosamente sottoposto questo lessico evanescente ricavandone sempre definizioni e giudizi di fronte ai quali per non piangere si tende a sorridere. Il filone delle parole da salvare, del tipo «adotta una parola» è canone piuttosto affermato in certa pubblicistica anche italiana. Non in questo libro, che, se ancora non fosse chiaro, ha qualifi-

che e competenze di livello. Almeno altrettanta ribalta meriterebbe però una potenziale altra moda editoriale, quella delle parole cui ad alcuni di noi piacerebbe dare un calcione, per rispedirle nel dimenticatoio lessicale o almeno nei linguaggi specialistici da cui sono state incautamente estratte. Una parola su tutte, di questi tempi, è resilienza. Come spesso accade questo termine ha sinonimi più diretti, che, per moda o per vezzo, si comincia per abitudine posticcia a evitare. Tra di essi c’è certamente l’assonante resistenza, che fa già il suo bel dovere nella quasi totalità dei casi dove gli si preferisce, da un po’, la fastidiosa parola. Scomodare quest’ultima per dire quello che più economicamente si direbbe con quell’altro termine è sintomo di costume linguistico velleitario: come lucidare un’automobile di quarta mano per fare bella figura. Il lessico sarà pure la cenerentola delle discipline linguistiche, ma un po’ più di attenzione, anche qui, non gli farebbe danno. Bibliografia

Massimo Arcangeli, Senza parole. Piccolo dizionario per salvare la nostra lingua, Milano, il Saggiatore, 2020.

fotografia soffrono di qualche caduta di stile, come i movimenti di camera talvolta forzati e fuori luogo. In uno spazio così cupo e grigio delle riprese statiche più precise e dettagliate a livello di composizione dell’immagine avrebbero giovato alla direzione artistica. Il rapporto che nasce fra Goreng e i suoi compagni di cella è presentato in modo tale che ogni personaggio abbia una valenza metaforica che aiuta a rappresentare meglio ciò che il film vuole denunciare. Purtroppo non tutti i personaggi hanno una caratterizzazione degna. Se il primo incontro fra il protagonista e il suo compagno di cella è ben delineato e soggetto a un notevole sviluppo grazie all’efficace presentazione delle dinamiche della prigione, non si può dire lo stesso per gli altri personaggi, spesso utilizzati a puro scopo metaforico, indebolendo così la rappresentazione degli stessi e sottraendo l’originalità e la potenza espressiva che ci si sarebbe aspettata. Per questo motivo anche la critica al capitalismo, colonna tematica principale, non viene espressa al meglio, in quanto rimane superficiale e mai soggetta a riflessioni che potrebbero elevarne il valore a uno studio più approfondito e contestualizzato. Il Buco mantiene lo spettatore attaccato allo schermo per tutta la sua durata, ma il mancato approfondimento della tematica portante e il finale affrettato e approssimativo ne abbassano il valore artistico-espressivo. Il risultato è un buon film d’intrattenimento, ma senza il coraggio necessario per essere anche critico.


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Cultura e Spettacoli

Una danza macabra per riscoprire la vita

La vecchia coppia: jazz e radio Musica Una particolare modalità di ascolto

torna in voga grazie alle App

Teatro Anche Markus Zohner cerca di resistere in quarantena

proponendo un progetto insolito e... virtuale Giorgio Thoeni Il lungo periodo di isolamento, oltre a obbligarci a ripensare la quotidianità, ha generato un’importante crisi economica e strutturale anche nel mondo del teatro, fra i più compromessi dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Se alcune produzioni hanno fatto appena in tempo a vedere il debutto, altre hanno dovuto sospenderlo annullando tutti gli impegni in agenda, alla base della loro esistenza (e sussistenza). E non potranno certo bastare gli aiuti delle istituzioni per rimettere in sesto un settore che, tradizionalmente non naviga nell’oro. Ecco così fiorire tutta una serie di iniziative di «transito», legate a piattaforme offerte dal web, tra gruppi di dialogo, streaming e messa a disposizione di archivi audiovisivi scaricabili gratuitamente. Il tutto confidando nella ripresa sociale e culturale di una scena che non potrà più essere più la stessa. Dovrà infatti rivedere le sue certezze reinventando nuovi paradigmi relazionali e comunicativi. Pensando alla nostra realtà regionale, una delle iniziative messe in campo con esemplare tempismo è Totentanz / La quarantena della Markus Zohner Arts Company. Il progetto, dal 1. aprile fino al prossimo 10 maggio, mette in campo un sito, totenta.nz, dove quotidianamente vengono pubblicati scritti, foto, registrazioni audio

Mantenere vivo il contatto con il pubblico giorno dopo giorno. (Markus Zohner – Instagram)

con una newsletter che regolarmente ne segnala l’uscita. Sull’arco di quaranta giorni, quattro personaggi redigono un proprio diario in una sorta di improvvisazione e di scrittura collettiva con la regia di Markus Zohner e la drammaturgia di Patrizia Barbuiani. L’idea prende le mosse da un diario di Brigitta, prozia di Zohner, le cui pagine ne raccontano la storia insieme a quella del fratello Felix, entrambi morti prematuramente prima della fine della II Guerra Mondiale. Due giovani disorientati, accomunati da sogni immersi negli anni bui di quel periodo, come per una «Totentanz». La danza macabra di Zohner adotta il titolo della composizione di Liszt,

ammicca alla lontana alla modalità trecentesca del Decamerone ma sceglie la via della speranza, rileggendola in un contesto drammatico attorno alle domande: «Da dove vengo? Chi sono? Dove sto andando?». Tre quesiti attorno ai quali l’umanità intera si è sempre interrogata e dalle quali Totentanz fa nascere i racconti di quattro personaggi, Michele (Luca Massaroli), Sofia (Alessandra Franchini), Giorgia (Patrizia Barbuiani) e Traugott (David. M. Zurbuchen), poi impaginati per il web da Sandro Pianetti. Quello che doveva essere uno spettacolo, in attesa di tempi migliori, è nei propositi della Compagnia: «Finché siamo vivi ci sarà teatro, è solo la sua forma che deve cambiare».

In una chiacchierata-intervista avuta con lui qualche anno fa, il critico cinematografico Fabio Fumagalli (da giovane, e ancora oggi, grande cultore e appassionato di jazz) ci raccontava dell’importanza che aveva avuto la radio nella sua «educazione» jazzistica. «Nei primi anni 50, grazie alla radio si poteva ascoltare una trasmissione di jazz direttamente da un’emittente americana, Voice of America. I programmi si beccavano sulle onde corte e andavano in onda tardi alla sera. Per vari anni è stata l’unica occasione per aggiornarsi sul jazz che si ascoltava a Londra o a New York». Il rapporto tra jazz e radio in effetti è connaturato, si può dire sia

Una tradizione esecutiva che viene da lontano. (The Library of Congress)

alla storia di questo genere musicale sia a quello del medium radiofonico stesso. La situazione di ascolto radiofonico, in pieno relax e senza distrazioni, è a volte quasi più favorevole di quello nei teatri; in molti casi poi se l’evento è trasmesso in diretta è anche altrettanto emozionante. Oggi, nell’epoca della reclusione involontaria a cui ci dobbiamo sottoporre, la vecchia modalità «jazz alla radio» può fornire spunti di interesse e di scoperta, complici le varie decine di App scaricabili sui nostri smarphone (e senza considerare i servizi para-radiofonici offerti ad esempio da iTunes o da Spotify). Come sempre, la cosa divertente da considerare è che il Ticino può ritenersi, anche in questo settore del «jazzismo militante», un luogo fuori dal comune. Sono ben quattro, infatti le radio che trasmettono jazz durante il giorno, considerando tra esse naturalmente anche Rete Due RSI, che è da decenni attenta a questo settore. L’altra emittente «istituzionale» ma completamente monotematica è Radio Swiss Jazz, destinata a coprire con una programmazione fiume durante la giornata i gusti degli appassionati. Più recenti ma altrettanto vitali sono Jazzascona Webradio e Jazzgumbo Radio, entrambe con una linea musicale vivace e da intrattenimento. Scaricare, per credere. /AZ Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 4 maggio 2020 • N. 19

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Caro Bruno, sono la tua Lettera 22 La notizia: la macchina da scrivere Olivetti Lettera 22, esposta nella collezione permanente di design al Moma di New York, compie 70 anni. Per l’occasione mi è stato chiesto di commentare la sua entrata in scena mettendola in relazione con l’evoluzione della società italiana. Ho declinato l’offerta, non essendo capace di elaborare considerazioni generali. Ho preferito lasciare a lei la parola ed ecco il risultato. «Mi presento: sono la Lettera 22 di Bruno Gambarotta. E di nessun altro. La mia prima volta è stata con lui, erano sue le mani che accarezzavano i miei tasti. L’ultimo suo sguardo prima di addormentarsi era rivolto a me e il primo al suo risveglio. Io ero lì, docile, pronta a ogni suo desiderio e nessuno che non fosse lui poteva permettersi di sfiorarmi. Sono trascorsi 64 anni da allora ma è come se fosse successo ieri. Luglio 1956, Bruno ha 19 anni e si diploma perito fotografo all’istituto Bodoni di Torino. È il primo della famiglia a completare gli studi in una scuola media

superiore. Il fratello e i tanti cugini ci sarebbero arrivati negli anni seguenti. I parenti si mettono tutti insieme per fargli un regalo. «Cosa desideri?» gli domandano prevedendo che risponda «un apparecchio fotografico», visti i suoi studi. Invece lui desidera «una macchina da scrivere», ma non una qualunque, vuole la «Lettera 22». L’ha vista in una foto poggiata sulle gambe ripiegate di Indro Montanelli seduto a terra, la schiena appoggiata al muro, intento a scrivere. Era stato in visita scolastica a Ivrea nello stabilimento dove sono nata; per accedere alla meravigliosa biblioteca di via Viotti a Torino si era iscritto al Movimento Comunità e lì un giorno aveva incrociato per caso Adriano Olivetti che gli aveva chiesto cosa stesse leggendo. Tutti pensavano che lui volesse fare il fotografo, invece desiderava guadagnarsi da vivere scrivendo anche se per molti anni è stata la fotografia a dargli da mangiare. Se gli capitava l’occasione di realizzare il servizio fotografico a un ma-

con la quale faceva domanda di essere arruolato nell’Esercito. Il giorno della partenza per la scuola allievi ufficiali mi ha chiuso dentro un armadio e si è portato via le chiavi. Promosso sottotenente, e disponendo in caserma di «Una camera tutta per sé» (copyright Virginia Woolf) il nostro sodalizio si rinsalda e da allora non ci siamo più separati neanche per un giorno, fino all’arrivo dei primi computer. Mi portava anche in vacanza e mentre i figli facevano il bagno o giocavano nel giardino dell’albergo, lui con una scusa se ne restava in camera e quando tutti erano usciti, apriva la custodia, mi estraeva e iniziava a battere i tasti. Mai di seguito, con tante interruzioni, pentimenti, consultazioni del vocabolario, correzioni. Non dimenticando di inserire dietro il foglio bianco la carta carbone e la carta velina per averne una copia. Se Bruno raccontasse ai suoi nipoti come noi si lavorava penserebbero che sta parlando della seconda guerra punica. Insieme io e Bruno abbiamo

ancora scritto il suo primo romanzo La nipote scomoda, pubblicato da Mondadori. L’altro autore era Massimo Felisatti, che rivedeva il testo modificandolo, noi lo battevamo un’altra volta e via così, tanto che alla fine lo sapevo a memoria. Nell’estate del 1981 Bruno mi ha portato con sé in crociera per 35 giorni su una nave della Costa: era stato ingaggiato alla pari facendosi accompagnare dalla moglie e da una figlia. Faceva l’animatore e fra i suoi compiti c’era quello di ideare e condurre ogni pomeriggio un quiz, con quattro risposte per ogni domanda. Lo scriveva con me così ne sapevo più io dei passeggeri. Quella meravigliosa epoca si è chiusa ma io posso affermare con orgoglio che nessuno, tranne Bruno, ha mai messo le mani sulla mia tastiera. Adesso che sono in pensione mi riposo dentro la custodia, chiusa in un armadio. L’altro giorno Bruno è venuto a controllare che fossi ancora lì. Starà pensando di tirarmi fuori per festeggiare il mio 70esimo compleanno».

ta, ancora non si è studiato il materiale, si sa che deve essere trasparente e impermeabile; ma per dimostrare la buona volontà e la strada da loro già intrapresa, i politici potrebbero presentarsi in TV con il profilattico infilato almeno in testa, fino alla base del collo, uomini e donne, ben stretto e aderente, schiaccerà un po’ le fattezze rendendo la faccia liscia e uniforme, sarà difficile riconoscere chi c’è sotto e a quale partito appartenga, se è femmina o maschio, ma non è un male, in situazioni d’emergenza importa l’unità collaborativa della politica, ogni testa col suo preservativo per combattere la battaglia contro i virus e gli agenti patogeni. Ma non basta! Tutti i signori della televisione, i presentatori, gli ospiti fissi, che in fin dei conti sono sempre gli stessi (i presentatori a volte fanno la parte di ospiti, e gli ospiti fanno a volte i presentatori), e poi le vallette, gli opinionisti, i presunti comici … ecco, se tutti costoro fossero coscienziosi, se

volessero dare una mano per arginare ogni tipo di virus presente e futuro, dovrebbero mostrarsi al pubblico pure loro col preservativo calzato in testa. La gente capirebbe l’importanza del servizio televisivo. Mi si obbietterà che sarebbero tutti uguali e indistinguibili. Sì, è vero. Ma nella grande battaglia che è in corso il messaggio potrebbe essere unico e forte: ogni testa il suo preservativo; non contano più le differenze tra l’uno e l’altro, l’ex valletta dalle labbra impressionanti, il travestito ciccione, il finto uomo dei boschi, la presentatrice inossidabile, l’esperto, l’economista che sa come risolvere tutto, il giornalista con le idee chiarissime su ogni cosa di ieri, di oggi e di domani, il comico che imita gli altri della TV senza rendersi conto che sono gli altri ad essere comici, potrei continuare con l’elenco completo di questo teatrino, dove ognuno recita il suo ruolo: quello che grida, quello che insulta, quello che è patriottardo, quello che

ha scritto un libro, quello che difende i metalmeccanici, quello che fa l’imprenditore illuminato, quello che fa la parte dell’ateo, quello che giudica gli altri e gli dà un voto, ma lui se lo votassero avrebbe zero; ecco, la tipologia è limitata, come è limitato il numero dei burattini. Tutti col preservativo! chi arriva senza glielo mettono in testa in diretta, così il pubblico impara come si calza. Chi poi se lo voglia far scendere giù per le spalle e proteggersi completamente, darebbe un ottimo esempio, e lo spettacolo TV non cambierebbe di molto. Anzi, svelerebbe la natura intrinseca di colui che si nasconde sotto il preservativo e appare tutte le sere in TV, queste teste di cavolo, per usare un eufemismo, loro sì infettivi, pericolosi, sempre in allarme per guadagnarsi l’ascolto; se comparissero col preservativo di lattice in testa calzato come un berretto da notte, invierebbero un messaggio utile, sia contro il virus, che come autodiagnosi. Forse la gente cambierebbe modo di passar le serate.

«lockdown» – breve, lungo o lunghissimo che sia – non assicurerà salti di qualità della nostra Weltanschauung e tanto meno della nostra vita quotidiana. Si discute di come e se cambieremo dopo la clausura forzata. Il timore è che continueremo con le abituali follie, come se nulla fosse (stato): sprechi, corse paurose, sfruttamenti spietati, investimenti elettrizzanti, motori accesi, acquisti inutili per chi potrà permetterseli, desideri rabbiosi per chi non potrà permetterseli. Gli ottimisti filosofici (3) ricordano che dalla peste nera del 1348 venne fuori il Rinascimento. Si potrebbe obiettare che il preumanesimo di Petrarca e di altri precedette la peste, e a dire il vero oggi non si vedono in giro molti preumanisti capaci di annunciare un vero Rinascimento culturale post-coronavirus. Al massimo si passerà dal governo Conte al governo Salvini o Meloni, che di umanistico promettono ben poco e non sembrano somigliare ai principi fiorentini quattrocenteschi. Semmai, volando più basso, potrebbe avere ragione

la psicologa belga Elke Van Hoof (5+), che considera la pandemia un gigantesco esperimento psicologico capace di mettere a dura prova la nostra fragilità emotiva: ne seguirà un generale logoramento da stress, con depressione diffusa, insonnia, ansia, frustrazione. Nella prevedibile crisi economica, potrebbero avere molto lavoro, oltre ai pizzaioli, gli psicologi e gli psichiatri. E ovviamente non verranno meno i ciarlatani molto medievali e pochissimo rinascimentali. Quelli che imperversano, come i becchini durante la peste del 1348. Ciarlatani da strada (e magari da tv). Quelli che bisogna fare gargarismi con la candeggina, quelli che tagliarsi la barba evita il contagio, quelli che l’epidemia rende sterili (soprattutto i maschi), quelli che i gatti trasmettono il virus, quelli che bisogna lavarsi i capelli ogni volta che si rientra in casa, quelli che le suole delle scarpe sono ricettacoli, quelli che il pane è un ricettacolo, quelli che gli extracomunitari sono immuni, quelli che gli extracomunitari sono gli untori, quelli

che mangiare aglio previene l’infezione, quelli che bere acqua lava il virus, quelli che l’acqua però deve essere bollente, quelli che arance a gogò per debellare il contagio, quelli che non le arance ma i limoni (e i pompelmi?), quelli che il miele è miracoloso, quelli che bisogna disinfettarsi con l’argento colloidale, quelli che il risciacquo del naso con soluzione salina aiuta sempre, quelli che il virus vola fino a cinque metri, quelli che i metri sono solo tre, quelli che bisogna puntare sugli antibiotici, quelli che attenti alle zanzare, quelli che con tre mascherine sono più protetto, quelli che sì però sono ancora più protetto con quattro mascherine, quelli che bisogna fare un bagno caldo, quelli che basta un bicchierino di grappa, quelli che per sapere se sono infetto devo pungermi un dito e verificare il colore del sangue, quelli che i raggi ultravioletti sono fantastici, quelli che tutto passa iniettandosi dell’amuchina nel sangue. Sugli ultimi due gruppi di idioti mi viene un dubbio sottile come la polvere… Quelli o quello (-1)?

trimonio ne approfittava per strafogarsi al rinfresco. Quello di scrivere però era un desiderio segreto, confidato solo a me, il suo motto era «Nullo die sine linea» e non è mai trascorso un giorno senza che lui infilasse un foglio nel rullo e iniziasse a battere sui tasti. La scintilla era scoccata in terza media, ad Asti, quando l’insegnante di italiano si era rifiutata di mettere un voto su un suo tema in classe dicendo: «L’hai copiato, è impossibile che un ragazzo della tua età scriva così bene». Non dovete pensare però che lui nei primi tempi si servisse del mio aiuto per scrivere racconti o romanzi. Scriveva lettere alle grandi aziende del territorio per domandare se per caso avevano bisogno di un fotografo diplomato a pieni voti. Per la cronaca, non ha mai ricevuto risposta. Quanto agli annunci economici di offerte d’impiego pubblicati dalla Stampa, avevano tutti la maledetta clausola «militesente». Così il mio amico si è stufato e ha battuto una lettera che mi ha fatto piangere tutta la notte

Un mondo storto di Ermanno Cavazzoni Profilattici integrali per tutte e per tutti Rapporti protetti in futuro Credo che d’ora in poi chi ci amministra, per evitare altre pandemie in futuro, ci obbligherà ad avere rapporti protetti; ossia per evitare contatti di fiati e di corpi, oltre alla mascherina dovremo indossare una tutina aderente completa, abbastanza sottile e trasparente perché ci si riconosca e si resti sensibili alle interazioni. Indosseremo cioè in permanenza un profilattico integrale, con due filtri nei buchi del naso, e questo ci proteggerà dai virus, ma anche da zecche, pulci, zanzare, acari, pollini, smog, creando un ambiente interno impenetrabile. A meno che non si opti per un grande preservativo gonfiabile elevato intorno alle città come una cupola trasparente che le chiuda dentro in una specie di acquario; l’interno tutto ben disinfettato e reso asettico. Fuori dalle cupole la campagna selvaggia, piena di insidie, virus dannosi, agenti infettivi, perché la vita su questo pianeta è una lotta incessante ai fini della selezione.

Purtroppo dell’esterno ne avremo sempre bisogno per minerali, agricoltura, allevamento, commercio tra cupole ecc. Quindi, mi dovessero chiedere un parere, io sicuramente preferirei il preservativo integrale, ci si fa l’abitudine, diventerebbe una seconda pelle. Per i maschi potrebbe essere un preservativo peloso. Le femmine potrebbero farselo stretto in modo da assottigliare il giro vita. La natura ci ha dato troppe aperture, entro cui si infila di tutto. Ma i politici, dico io, potrebbero dare l’esempio e comparire fin da ora in pubblico e in TV con il preservativo indosso; che si infila a cominciare dalla testa in modo che sia aderente, poi si srotola lungo il corpo nudo e si chiude sotto la pianta dei piedi. Può essere che il naso risulti un po’ schiacciato. Va beh! bisogna portare pazienza, all’inizio ci si deve adattare, ma è importante il messaggio che i politici potrebbero mandare alla nazione. Nei primi tempi non si pretende una vestizione comple-

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Quelli che i raggi ultravioletti Rimarrei barricato in casa ancora per un paio di mesi se qualcuno fosse in grado di assicurarmi che uscendo ritroverei il mondo caotico e insopportabile di prima: senza mascherine e distanziamenti obbligati, ma con la libertà di inabissarmi felicemente nella ressa maleodorante della metropolitana e di entrare in un supermercato facendo a spallate per raggiungere prima la cassa. Anzi no, rimarrei barricato in casa ancora quattro mesi se qualcuno fosse in grado di garantirmi, oltre alla sopravvivenza, un ambiente un po’ più tollerabile: non le duecento macchine al minuto che sfrecciano sullo stradone che porta verso il centro città, ma soltanto un centinaio. Non le solite code di mezz’ora al casello della tangenziale, ma un codino di dieci minuti. Non le solite dosi di biossido di azoto, ma la metà di quelle che ingurgitavamo in gennaio, in modo che i polmoni di mia figlia Maria, che ha tredici anni, respirino finalmente un po’ più in allegria. A pensarci bene, rimarrei barricato in casa sei mesi, se tornando

fuori, trovassi zero auto e soltanto tram e autobus (elettrici) puntuali, efficienti, puliti. Anzi, voglio esagerare: accetterei un «lockdown» di un anno intero se tornando a vivere all’aria aperta trovassi miracolosamente, a due passi da casa, oltre che mezzi pubblici perfettamente funzionanti e polveri sottili in quantità non letali, un bel parco dove andare a fare una passeggiata pomeridiana, sedermi su una panchina, leggiucchiare un libro, godermi la frescura delle fronde e il silenzio, senza rombi di aerei che ti volano sopra la testa ogni due minuti. Ma voglio proprio rovinarmi: rimarrei barricato addirittura un anno e mezzo se uscendo avessi a disposizione, oltre al parco e ai mezzi pubblici, anche marciapiedi su cui camminare senza fare slalom tra le macchine parcheggiate di traverso, magari una pista ciclabile lungo la quale pedalare tranquillamente liberato dell’ansia di essere travolto dall’esaltato in eccesso di velocità. Naturalmente sono vaniloqui, paradossi d’aria (voto d’aria globale 2). Il


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Versare in una ciotola di media grandezza il succo di lime, aggiungere il sale, l’origano, il cumino e l’aglio, quindi mescolare il tutto accuratamente. Aggiungere al composto il pollo a striscioline e incorporarlo. Lasciar riposare il tutto per 15 minuti. Nel frattempo, scaldare l’olio in una padella grande a fiamma medio-alta. Aggiungere le cipolle e i bocconcini di peperone e cuocere mescolando fino ad appassire le verdure e farle diventare croccanti. Infine, farle scivolare fino al bordo della padella. Prelevare le striscioline di pollo dalla marinata e versarle nella padella. La marinata non è più necessaria. All’occorrenza, aggiungere un po’ d’olio nella padella. Cuocere ora la carne per circa 8 minuti, continuando a mescolare, fintanto che non si arrostisca per bene.

Nel frattempo, preriscaldare il forno a 180 °C. Arrotolare le tortillas in un foglio di alluminio e infornare a 180 °C per circa 10–12 minuti. Farcire le tortillas calde con la carne, le cipolle, i peperoni, la lattuga, i pomodorini e la salsa, arrotolarle, quindi servire. Consiglio: invece della lattuga tagliata, è possibile anche usarla in foglie intere e disporne una sulle tortillas calde, per poi adagiarci sopra le striscioline di pollo e la verdura.

Buona festa della mamma da Pancho Villa.

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