Azione 16 del 15 aprile 2024

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Bombola di anidride carbonica M-Classic il pezzo

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Salmone dell'Atlantico affumicato in modo intenso M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, 100 g, in self-service

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Prezzi validi a partire dal 16.4.2024. Fino a esaurimento dello stock.

MONDO MIGROS Pagine 5 / 6 – 7

SOCIETÀ Pagina 11

Il TILO compie vent’anni, con il direttore Denis Rossi ripercorriamo la storia di un successo

In un fumetto di Kleist, la parabola umana e artistica del grande cantante country Johnny Cash

TEMPO LIBERO Pagina 19

Reportage dalla Cina, un Paese sempre più chiuso in sé stesso che punta tutto sull’economia

ATTUALITÀ Pagina 33

Clima, le colpe della Svizzera

Andiamo allegramente a «faticà»

In napoletano «lavorare» si dice «faticà», cioè «fare fatica». Il termine veicola un concetto poco entusiasmante, assai lontano dall’idea che esercitare un mestiere ci colmi di gioia. E adombra l’atteggiamento tra l’ironico e il disilluso che caratterizza il rapporto tra i napoletani e il lavoro che, anche nel migliore dei casi, e non solo per loro, resta una fatica.

In realtà, lo sanno bene i disoccupati, il lavoro è una benedizione e va sempre apprezzato, senza pretendere che sia il paradiso: soddisfazioni e fatiche sono comprese nello stesso pacchetto. Commisero i «workaholic», dipendenti patologici dall’universo lavorativo, privi di una vita decente al di fuori di esso. Mi rallegro se riesco a contribuire al funzionamento e, idealmente, al benessere del pianeta con la mia fettina di impegno professionale. Al tempo stesso anelo alle vacanze, nel tempo libero «ho una vita» e coltivo interessi che spero di portarmi appresso anche in pensione.

Questa apparente normalità, tuttavia, è una condizione privilegiata per la quale bisogna rin-

graziare non solo la genetica o la buona voglia, ma anche la lungimiranza di quei datori di lavoro che si mostrano attenti al benessere del proprio personale. Non è scontata. Qualche mese fa è emerso, per esempio, che un noto gruppo di commercio online bistrattava i propri impiegati a Neuendorf, nel canton Soletta, sottopagandoli e costringendoli a controllare almeno 41 capi di abbigliamento all’ora. Quando non ci riuscivano venivano minacciati, separati gli uni dagli altri e vessati. «Non biasimo chi compra sulla nostra piattaforma, diceva una dipendente, ma paghiamo noi, col nostro lavoro». Un caso limite, ma per troppe persone il posto di lavoro è l’Armageddon esistenziale, la graticola sulla quale normalmente salgono alle otto di mattina e scendono alle cinque di sera. Un luogo di sofferenza psichica. Ne fa stato il servizio a pag. 9 in cui Stefania Prandi intervista un’ex professoressa che ha attraversato l’inferno del burnout e oggi aiuta ad uscirne chi ne rimane vittima. Un esercito. Stando all’ultimo Job-Stress-Index, rappor-

to curato dalla fondazione Promozione salute Svizzera, dall’Università di Berna e dalla Scuola universitaria professionale di Zurigo, il 30,3% di chi lavora nel nostro Paese si sente emotivamente esaurito.

Le cause? I ritmi eccessivi di lavoro, per esempio. Secondo un sondaggio della Segreteria di Stato dell’economia del 2021, in nessun altro Paese europeo il ritmo di lavoro e la pressione per le scadenze sono elevati come in Svizzera. Aggiungici qualche capo tiranno, un collega rognoso, il mobbing, le molestie non solo sessuali, l’impressione di essere disprezzati o sottovalutati e il risultato è che invece di essere il principale fattore di realizzazione personale, il lavoro può avvelenare le nostre esistenze. Soluzioni? Credo che molte tensioni si abbassino applicando la regola d’oro: «Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te». Se non basta o non è possibile, forse il difetto è nel manico: nelle condizioni di lavoro squilibrate o ingiuste, o in un ambiente malsano. Allora è meglio cambiare aria. Magari andando a «faticà» a Napoli, per dire.

A Firenze un viaggio fantastico nell’opera alchemica di Anselm

Kiefer in bilico tra anima e corpo

CULTURA Pagina 41

REVOCA DELLE ELEZIONI

Care socie e cari soci della Cooperativa Migros Ticino, in riferimento all’appello apparso nel n. 10 di AZIONE del 4 marzo 2024 concernente le elezioni di rinnovo dei suoi organi statutari, vi informiamo che non sono state presentate proposte elettorali entro i termini previsti.

Conformemente all’articolo 38 dello Statuto, l’elezione ha dunque avuto luogo tacitamente e lo scrutinio annunciato è stato revocato.

Rinunciando a presentare proposte elettorali, i soci di Migros Ticino hanno lasciato al Consiglio di cooperativa e al C onsiglio di amministrazione il compito di selezionare i candidati.

Ringraziamo per questa testimonianza di fiducia.

L’esito della procedura elettorale sarà pubblicato nel numero 25 di Azione del 17 giugno 2024.

Sant’Antonino, 15 aprile 2024

Cooperativa Migros Ticino

Il Consiglio di amministrazione

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 Cooperativa Migros Ticino edizione
◆ ● G.A.A. 6592 San t’Antonino
16
Keystone
Luca Beti Pagina 27
Carlo Silini

TUTTA VEGANA perfetta, anche senza latte

Siamo felici di presentare Rivella Gialla: tutta vegana,perfetta, anche senza latte, con il 40 % di zucchero in meno rispetto all’originale, ma senza rinunciare all’inconfondibile gusto Rivella! Prova ora la nuova Rivella Gialla nella tua filiale Migros!

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Ti mando un bacio

Nostrani del Ticino ◆ I prodotti della regione in vendita a Migros Ticino: alcuni buoni motivi per amarli

L’ultimo nato

dei Nostrani: Fagioli Borlotti secchi

Nel 2023 la cifra d’affari legata ai Nostrani del Ticino è stata di 20 milioni di franchi (7% rispetto alla quota globale)

L’amore di Migros Ticino per la regione nasce nel 1933, ma i Nostrani vengono proposti per la prima volta nel 2005 con la vecchia coccarda

L’assortimento dei Nostrani del Ticino è superiore ai 500 articoli

La top five dei prodotti Nostrani:

1. Uova

2. Iogurt

3. L atte

4. Pane Val Morobbia

5. Ciabattine

alpinavera è l’associazione garante della certificazione e del contrassegno con il marchio di qualità «Ticino regio. garantie»

Oltre 50 agricoltori e agricoltrici fanno parte dei Nostrani del Ticino

Moonlight &Bellavista

Concorso ◆ Una cena romantica per ammirare la luna piena

Il Buffet Bellavista, situato a 1200 metri, lungo la linea che porta in vetta al Monte Generoso, invita a una serata speciale in cui, oltre a gustare le prelibatezze à la carte, sarà possibile ammirare la luna piena in tutto il suo splendore.

Dove e quando

Cena di luna piena, mercoledì 24 aprile 2024, Buffet Bellavista. Orari

partenza da Capolago ore 19.00, discesa da Bellavista ore 22.00.

L’amore di Migros per il territorio si trova anche nel resto della Svizzera, con il logo Aus der Region / De la région

SlowUp è alle porte, preparatevi!

Eventi ◆ Domenica 21 aprile 2024 ritorna l’appuntamento con la mobilità lenta in un percorso di 50 km che si snoderà tra Locarno e Bellinzona

Siete pronte e pronti? Le scarpe comode non vedono l’ora di essere indossate e le catene delle biciclette oliate? Mancano infatti solo una manciata di giorni all’edizione 2024 di slowUp, che anche il prossimo 21 aprile si snoderà tra Locarno e Bellinzona, su un percorso di 50 km interamente chiuso al traffico motorizzato. Le modalità saranno le stesse degli scorsi anni: le e i partecipanti

potranno muoversi liberamente lungo il tracciato (rispettando il senso di marcia) in bicicletta, coi pattini, a piedi o con qualsiasi altro mezzo senza motore. Chiunque sarà libero di decidere se percorrere l’intero tracciato, oppure solo una parte, così come di lasciare e riprendere il percorso in qualsiasi punto. Lungo il tracciato saranno presenti quest’anno ben 14 punti di

animazione, di cui dieci con offerta di ristorazione. Non mancheranno inoltre le «soste agricole», ovvero la possibilità di visitare le tre aziende agricole presenti sul percorso che in occasione dell’evento apriranno le loro porte organizzando attività. Parteciperanno all’iniziativa le aziende agricole Aerni e Ponzio del Piano di Magadino e la Fondazione Orchidea di Riazzino.

Su www.slowUp.ch troverete il flyer pieghevole con la cartina del percorso e le soste dettagliate, così come tutte le informazioni pratiche; il flyer è ottenibile anche in versione cartacea nelle cancellerie dei comuni interessati, agli sportelli delle Organizzazioni turistiche (Lago Maggiore e valli e Bellinzona) e naturalmente presso i partner dell’evento.

Il percorso slowUp sarà completamente chiuso al traffico motorizzato per l’intera durata della manifestazione (10.00 – 17.00). L’accesso sarà consentito solamente ai servizi di pronto soccorso (ambulanze, pompieri e polizia).

Tappa al Centro S. Antonino

Il Centro S. Antonino invita a fare una tappa: sono previste diverse attività per grandi e piccoli visitatori; il Ristorante Migros sarà aperto dalle 9.30 alle 17.30 con tante gustose proposte e una ricca grigliata sulla terrazza; l’intrattenimento per i più piccoli sarà assicurato dal villaggio Famigros, mentre le guggen allieteranno tutta la giornata. Si potrà anche ammirare lo storico camion vendita Migros. SlowUp è un concetto nazionale di promozione della mobilità lenta, della salute e del territorio, suoi patrocinatori nazionali sono Svizzera Mobile, Promozione Salute Svizzera e Svizzera Turismo, sponsor nazionali principali sono Migros e SWICA, oltre ad altri sostenitori nazionali e regionali.

Dove e quando 21 aprile 2024, Bellinzona-Locarno www.slowup.ch/ticino

Info e prenotazioni

www.montegeneroso.ch

Concorso

«Azione» mette in palio due ticket per il 24 aprile 2024 che includono ciascuno un biglietto andata e ritorno a bordo del trenino a cremagliera e una cena al Buffet Bellavista. Per partecipare al concorso mandare una e-mail a giochi@azione.ch (oggetto «Luna piena»), indicando i propri dati, entro domenica sera 21 aprile 2024 (estrazione 22 aprile). Buona fortuna!

A spasso con Jane

Eventi ◆ Un elogio della mobilità lenta

Ogni anno, nel primo fine settimana di maggio, hanno luogo in tutto il mondo gli appuntamenti con Jane’s Walk. La manifestazione celebra l’attivista nordamericana Jane Jacobs, che negli anni 60 si impegnava affinché i quartieri delle città non perdessero la propria dimensione umana. Attraverso le passeggiate di Jane dunque, si ha l’occasione per scoprire e guardare a luoghi noti attraverso occhi nuovi.

In Ticino gli appuntamenti previsti per domenica 5 maggio sono quattro: Lugano (ore 14.30): Esploratori urbani: riscopriamo Lugano! Una passeggiata tra storia e futuro della città di Lugano (Istituto Internazionale di Architettura i2a con Cecilia Mazzeo).

Bellinzona (ore 14.00): A spasso con Mimì. Grand Tour nell’universo botanico cittadino.

Muralto (ore 14.00): Muralto, il paese dei pescatori. (Ri-)scopriamo assieme il più piccolo comune del Canton Ticino (con Francesco Gilardi).

Chiasso (ore 14.00): Alla scoperta di «Vivai diffusi» a Chiasso.

mobilitapedonale.ch/edizione-2024/

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 5
FotoGarbani
e iscrizioni
Informazioni

Un taglio tutto da gustare

Attualità ◆ La picanha di manzo conquista i commensali grazie alla sua tenerezza e sapidità. Alcune informazioni su questo delizioso taglio ideale per dare il via alla stagione delle grigliate

Ottenuta dalla parte posteriore del manzo, in prossimità della coscia, tra lo scamone e la sottofesa, la picanha è conosciuta anche come cappello del prete o copertura dello scamone. Si caratterizza per la sua forma triangolare e il generoso strato di grasso che ricopre la carne, che è di almeno 1,5 centimetri. Sciogliendosi durante la cottura, il grasso conferisce un sapore e una tenerezza unici alla carne, rendendola incredibilmente succulenta e aromatica. È un taglio relativamente economico rispetto per esempio ai più pregiati filetto, entrecôte o scamone. Può essere cotta intera, già tagliata a fette come le bistecche oppure sullo spiedo, a pezzettoni, con la parte grassa rivolta verso l’esterno.

La picanha è molto popolare in Brasile, ma anche in Portogallo e altri Paesi sudamericani non manca mai tra gli ingredienti di una grigliata mista che si rispetti. Si ritiene che il nome del taglio sia nato a San Paolo del Brasile negli anni Cinquanta e si rifaccia al bastone utilizzato dai mandriani brasiliani e argentini per condurre il bestiame, detto «picana».

La cottura al grill esalta al meglio le qualità organolettiche di questo taglio di carne. Per 5-6 persone scegli una picanha di ca. 1-1.2 kg, un po’ d’acqua e 1 cucchiaino di fleur de sel.

Scalda il grill a 250 °C. Accomoda la carne non speziata con lo strato di grasso sulla griglia, cuocila per ca. 4 minuti a fuoco alto e diretto. Riduci la temperatura a ca. 200 °C. Gira la carne. Spennella il grasso con poca acqua. Condisci con fleur de sel. Griglia la carne a fuoco medio indiretto per ca. 35 minuti, finché raggiunge una temperatura interna di 53 °C. Girala di tanto in tanto e spennellala con acqua. Togli la picanha dalla griglia. Avvolgila nella carta alu e lasciala riposare per ca. 10 minuti. Spacchetta la carne e tagliala a fette sottili di traverso rispetto alle fibre.

All’acquisto, la carne deve essere di colore rosso vivo e brillante, con grana soda ed elastica al tocco. Il grasso intramuscolare deve essere ben distribuito e di colore bianco o biancastro, come pure lo strato di grasso che ricopre il taglio. Azione 25% Cappello del prete o Picanha IP-SUISSE per 100 g, in self-service Fr. 3.70 invece di 4.95

La picanha disponibile alla Migros proviene da manzi nati e allevati in Svizzera secondo le direttive del programma IP-SUISSE, garante di una produzione rispettosa degli animali. Nella fattispecie i manzi vivono in

gruppo in stalle illuminate con luce naturale, con la possibilità di uscire regolarmente all’aperto su un pascolo erboso o in un cortile nei pressi dell’azienda. L’alimentazione è costituita da erba fresca, fieno e mais.

Cremose prelibatezze ticinesi

Attualità ◆ I formaggini freschi nostrani certificati aha! possono essere gustati da tutti senza compromessi!

Azione 15%

Con l’arrivo delle giornate più calde torna la voglia di gustare piatti freschi e leggeri, senza dover spadellare troppo in cucina. I formaggini sono sicuramente uno degli alimenti più gettonati durante la bella stagione, vuoi per il loro sapore delicato, vuoi per le loro proprietà nutrizionali. I formaggini freschi ticinesi rappresentano la scelta giusta quando si tratta di conquistare il proprio palato e quello dei commensali. Sono prodotti dalla Lati di S. Antonino utilizzando esclusivamente latte genuino raccolto giornalmente presso alcuni produttori della regione. Affinché tutti possano apprezzarne la tipica bontà, esistono anche nella variante senza lattosio, dedicata a coloro che sono particolarmente sensibili a questa sostanza. Quest’ultimi sono

certificati con il marchio di qualità aha!, assegnato dall’istituto Service Allergie Suisse a tutti quei prodotti realizzati tenendo in considerazione le problematiche legate alle allergie e alle intolleranze alimentari. Come i loro cugini «classici», anche i formaggini senza lattosio si distinguono per il loro sapore leggero, delicato e dolce. Sono ottimi gustati da soli oppure conditi con un filo di buon olio, una macinata di pepe e un pizzico di sale. Accostati a pomodori e qualche foglia di basilico, rappresentano una valida alternativa a km 0 della tradizionale caprese. Infine, un ulteriore motivo per concedersi queste bontà, è quello di approfittare dell’offerta speciale di cui sono oggetto questa settimana.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 6
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Flavia Leuenberger

Viva le grigliate!

Novità ◆ Da Do it + Garden Migros puoi trovare in esclusiva il sensazionale grill a gas Weber Spirit II E-220 GBS, un vero portento per gli amanti delle grigliate

Non c’è niente di meglio che gustare un’appetitosa pietanza appena grigliata in compagnia di amici e parenti. Per l’inizio della stagione dei «grigliatori», Do it + Garden Migros ti propone in esclusiva un grill a gas dall’imbattibile rapporto qualità-prezzo, di uno dei marchi simbolo del settore: Weber. Il grill Spirit II E-220 GBS è un modello versatile e robusto che coniuga al meglio efficienza, design senza tempo e facilità di utilizzo. Con un peso relativamente leggero di 48.6 kg, può essere facilmente spostato dove vuoi tu, anche grazie alle due pratiche rotelle. Con la sua forma com-

patta, si adatta bene a qualsiasi spazio esterno. È dotato di due bruciatori e di una griglia in ghisa, come anche di un fornello laterale per poter sperimentare e preparare tutti i tuoi piatti preferiti. Il ripiano laterale pieghevole ti consente di riporre comodamente i tuoi utensili. Termometro e portaposate sono incorporati nel coperchio. Su tutte le parti la durata della garanzia è di 10 anni.

Infine, da Do it + Garden puoi trovare anche molti altri modelli di grill a gas o carbonella, come anche un ampio assortimento di accessori, il tutto a prezzi particolarmente competitivi. Inoltre, attualmente, su diversi modelli, puoi approfittare di uno sconto fino al 30%.

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Camminare con la testa

Alla scoperta di angoli e segreti della Valle del Sole con le proposte dell’Associazione Blenio Bellissima

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TILO compie vent’anni

La collaborazione transfrontaliera dei treni regionali è una storia di successo, ce ne parla Denis Rossi

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Le sfide del Bangladesh

Si alza il livello del mare, si riduce la fertilità del suolo e le inondazioni diventano sempre più gravi

Pagine 12-13

Quando sul lavoro non ce la fai più

Riflessioni sulla Baukultur

Si è svolta alla SUPSI una giornata dedicata alla cultura del costruire per pensare il futuro del territorio

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Pubblicazioni ◆ Il burnout, ovvero lo stress cronico dovuto alla professione, è sempre più diffuso. Una coach e scrittrice inglese affronta il problema, proponendo soluzioni individuali

Il burnout – lo stato di stress cronico correlato al lavoro e caratterizzato dalla sensazione di completo esaurimento delle proprie energie fisiche e mentali – è sempre più diffuso. Secondo le ultime indagini, in Svizzera, il numero di lavoratori spossati non è mai stato così alto. Al crollo fisico e nervoso e ai modi per superarlo è stato dedicato un libro, appena pubblicato in inglese, intitolato Exhausted: An A–Z for the Weary (Profile Books). L’autrice, Anna Katharina Schaffner, conosce bene il disturbo perché l’ha provato in prima persona. Prima di diventare scrittrice e coach specializzata in burnout (propone consulenze e percorsi individuali), era professoressa di Storia culturale all’Università del Kent, in Inghilterra. L’accademia, col suo ambiente competitivo e precario, l’aveva però prostrata. «La causa più comune di sofferenza è il sentirsi sottovalutati. Non essere rispettati e valorizzati sul lavoro può quasi raddoppiare il rischio di sfinimento»

Come la stessa Schaffner racconta sul suo sito internet, era sempre esausta e si ammalava spesso: la sua mente «era diventata cenere», la sua vita le «sembrava piatta e noiosa». Aveva tempo solo per lavorare e trascorreva la maggior parte delle giornate alla scrivania. Non si concedeva pause per «divertirsi, ridere o per qualsiasi attività gioiosa e rigenerante». E anche se era praticamente incollata al portatile tutto il giorno, per settimane intere, non era davvero produttiva, ma languiva. La frustrazione l’ha portata, a un certo punto, a un’improvvisa consapevolezza: non poteva più continuare così. Ha deciso quindi di licenziarsi (scelta che non ha mai rimpianto, nemmeno per un secondo, ama puntualizzare) e specializzarsi nella «cura» del burnout «In senso stretto, il burnout è un malessere professionale causato dallo stress cronico sul lavoro – spiega Schaffner ad «Azione» –. È una forma estrema di esaurimento che non passa soltanto riposandosi. I ricercatori hanno scoperto che è provocata dai carichi eccessivi, dalla cattiva comunicazione e gestione dei compiti, dalla solitudine e dalle pressioni irragionevoli in termini di tempo. All’elenco si aggiunge la mancanza di significato e di scopo e il fatto di vivere in una società “sempre attiva”, senza rispetto dei confini. Forse – aggiunge Schaffner – la causa più

comune di sofferenza che vedo nei miei clienti di coaching è il sentirsi sottovalutati. Non essere rispettati e valorizzati sul lavoro può quasi raddoppiare il rischio di sfinimento. Ed è un vero peccato, perché dimostrare apprezzamento non è difficile, eppure pochissimi manager e capi sanno come farlo o si rendono conto di quanto sia importante. Farebbe un’enorme differenza».

Ci sono anche dei fattori scatenanti «interiori», suggerisce Schaffner, come il perfezionismo e la tendenza a un’autocritica spietata. Tuttavia diverse ricerche indicano che le principali cause del burnout sono radicate negli ambienti di lavoro. Nella maggior parte dei casi, perciò, non è colpa dei meccanismi individuali difettosi di adattamento (coping in inglese), come l’industria della felicità vuole farci credere. La psicologa sociale e ricercatrice Christina Maslach invita a pensare a un canarino nella miniera di carbo-

ne: svolazza giallo, allegro e pieno di vitalità. Ne esce malato ed esausto, coperto di fuliggine, con lo spirito spezzato. L’uccellino non mancava di resilienza o forza di volontà, e non ha nemmeno scelto di stare male: è stata la miniera di carbone a distruggerlo. Il burnout presenta tre sintomi principali: l’esaurimento cronico che non è curabile con il riposo; la ridotta capacità di lavorare e gestire le attività; la «depersonalizzazione». Quest’ultima può manifestarsi con un atteggiamento cinico e amareggiato nei confronti di colleghi e capi. Si traduce anche in stati d’animo di disperazione, disprezzo di sé, irritabilità e irascibilità. A fare da cornice al fenomeno c’è la cultura nella quale siamo inseriti. Secondo Schaffner, «il lavoro non è solo una fonte di status e reddito: ci aspettiamo che ci offra opportunità di autorealizzazione, connessione, comunità e identità. Speriamo che ci fornisca uno scopo, un valore e una sorta di pie-

na convalida esistenziale. Ed è proprio per questa sovradeterminazione che la sofferenza che proviamo nella nostra professione può penetrare in tutti gli aspetti della vita. Se la maggior parte del nostro tempo e delle nostre energie vengono investite nel lavoro, altre parti di noi appassiscono: le relazioni, la creatività, ciò che potrebbe nutrirci spiritualmente ed emotivamente, i nostri corpi. È come vivere in una sola stanza della casa, mentre tutte le altre diventano lentamente inabitabili perché sono fredde e vuote». Sul sito di Schaffner è possibile prenotare una chiamata esplorativa gratuita di mezz’ora. Ma come funzionano le sedute? «Prima di tutto aiuto i miei clienti a comprendere i loro principali fattori di stress e poi a riconoscere se sono interni oppure al di fuori del loro controllo – risponde la coach –. Nelle sessioni si approfondisce la consapevolezza di se stessi: quali sono i modelli che non servono

più? Cosa dà energia e cosa, invece, la disperde? Quali sono i valori fondamentali e come si collocano nella vita? Cosa fa sentire veramente vivi? Come si può provare a sentirsi bene più spesso? È importante ricordare che quando siamo sfiniti, tendiamo a ridurre le nostre attività. Dato che abbiamo così poca energia, siamo portati a fare sempre meno. Ma il problema è che, nella maggior parte dei casi, ci troviamo in uno stato di prostrazione perché abbiamo eliminato le attività e le relazioni che hanno la capacità di nutrirci e di darci nuova forza. Creiamo così un circolo vizioso. Infine, nelle sedute, considero anche il dialogo interiore – che può diventare rimuginio, se incontrollato – cercando le risposte a questi interrogativi: come parli a te stesso? Il tuo dialogo interiore è utile o dannoso? Potrebbe prosciugare la tua energia da dentro e trattenerti? Quali convinzioni fondamentali hai su te stesso che non ti servono?».

SOCIETÀ ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 9
Pagina Tra i sintomi tipici del burnout vi è la ridotta capacità di lavorare e gestire le normali attività. (www.microbizmag.co.uk/burnout-statistics-uk/) Stefania Prandi

Gite in Valle di Blenio per un pieno di emozioni

Territorio ◆ «Camminare con la testa»: una serie di proposte per (ri)scoprire storie, luoghi e segreti accompagnati da esperti

«Vogliamo proporre gite sul territorio, che inseguono atmosfere e segreti, che fanno vivere esperienze gastronomiche, sensoriali, naturalistiche e culturali. Magari la sera non si avrà il tipico mal di gambe dell’escursione in montagna, ma si sarà fatto il pieno di emozioni». Così ci racconta Luca Solari, membro dell’Associazione Blenio Bellissima, attiva in Valle di Blenio con una trentina di proposte per il 2024, dalla primavera all’autunno.

Dal 1999 l’Associazione

Blenio Bellissima

si impegna a valorizzare una regione ricca di arte, cultura e natura

La storia dell’Associazione risale al 1999, quando l’allora direttore dell’Ente turistico Edgardo Mannhart si prodigava per far conoscere la Valle di Blenio e aveva deciso di creare un’associazione per portare gente sul suo territorio. Con l’Ente turistico, invitava comitive al Nara, organizzava gare internazionali di sci di fondo a Campra e con qualche nuova proposta fondò Blenio Bellissima: in particolare diecimila persone accorsero alle sue iniziative di “Profumi e Sapori” alla Cima Norma: giornate di bancarelle con cibi di varie zone alpine e di diverse regioni d’Italia, un momento conviviale che faceva anche scoprire il luogo da cui provenivano le famose tavolette della fabbrica di cioccolato. Poi l’Associazione collaborò con il Festival del Film Locarno per portare in Valle film passati nelle sale locarnesi, durante la rassegna “Pardo in fabbrica”. Qualche anno fa, ha anche promosso il libro Oltre lo sport, un volume che racchiude 140 anni di società sportive, giochi, eventi e passione, frutto di una ricerca in archivio molto accurata di Edgardo Mannhart e Gerardo Rigozzi.

Dal 2021, Blenio Bellissima si dà alle gite «camminare con la testa», ma nel 2022 ha anche allestito una mostra al Museo di Lottigna, intitolata Maestro Martino, Principe dei cuochi. Il programma comprendeva anche attivi-

La Valle di Blenio ha avuto la fortuna di essere stata dimenticata dall’avanzata industriale del Novecento, e ora ce la ritroviamo intatta, con solo una strada cantonale, dei villaggi e qualche perla architettonica qua e là. Con Blenio Bellissima possiamo scoprire o riscoprire scrittori, scultori, fotografi, per esempio sulle tracce di Sandro Beretta, Giovanni Genucchi, Roberto Donetta; si può andare in montagna o nelle valli laterali a osservare fiori e tracce di animali; ci sono proposte per chi è interessato al Medioevo e ai castelli, oppure al Cuoco Maestro Martino, o alle ville ottocentesche di Semione e Olivone che di solito sono chiuse. «L’Associazione esiste da vent’anni, ma queste gite le abbiamo pensate dal 2021; stavamo uscendo dal periodo della pandemia, e le abbiamo chiamate “camminare con la testa” per indicare che si riprendevano le attività all’aria aperta, ma con la cura di pensiero che ci vuole, cercando di soddisfare le curiosità e di scoprire le chicche della Valle ancora sconosciute. Ogni gita prevede una guida diplomata dal Cantone e a volte un ospite “esperto in qualche cosa”: le guide delineano il percorso e il tema, poi si avvalgono di biologi, naturalisti, poeti, musicisti, produttori locali e così via per arricchire la giornata», racconta Luca Solari che, con l’amico e collega di comitato Egon Maestri, gestisce e coordina le gite.

tà didattiche nelle scuole, un’Escape

Room ambientata nelle vecchie prigioni del Palazzo dei Landfogti, conferenze e momenti di convivialità per scoprire la cucina medievale di questo chef ante litteram nato a Grumo e attivo alla corte degli Sforza. «È stato un evento che si è sviluppato in varie direzioni, sempre con l’obiettivo di valorizzare e far conoscere Martino De Rubeis e ricordarlo nella sua terra d’origine», spiega Solari. Uno dei prossimi progetti che bollono in pentola ruoterà infatti di nuovo intorno alla figura del grande gastronomo rinascimentale bleniese, con alcuni appuntamenti che dovrebbero diventare più costanti e fissi nel tempo. «Fra le proposte allettanti che vorremmo implementare ci sarebbe quella di portare persone a spasso in Valle di Blenio con un autopostale d’epoca, sempre con quello spirito che contraddistingue le nostre camminate e che coinvolge le emozioni degli occhi, dello spirito e della gola».

Oggi l’Associazione è presieduta da Stefano Malingamba ed è sostenuta

Il cane e l’arrivo di un bebè

Mondoanimale ◆ Non magia ma doti sensoriali ed empatiche

«Da giorni ero stanca, tanto stanca. Ma non avevo dato troppa importanza a come mi sentivo, pensando semplicemente che responsabile fosse il periodo di stress professionale. Finché Perla, la mia labrador bionda di quattro anni, non ha cambiato il suo comportamento nei miei confronti: mi fissava continuamente, mi seguiva da una stanza all’altra di casa, poggiava la sua testa sulla mia pancia quando mi sdraiavo sul divano per riposare un po’, cosa che non aveva mai fatto… Ho cominciato a preoccuparmi: prima ho pensato che non stesse bene e volesse in qualche modo dirmelo. Poi, siccome mangiava con appetito e non mostrava segni di malessere, ho pensato: vuoi vedere che sono io a non stare bene e lei lo sente?».

È il racconto di Beatrice che, di lì a qualche settimana scopre l’arcano: «Faccio un test di gravidanza e scopro di essere incinta! Perla lo aveva fiutato prima che io me ne rendessi conto, e durante tutta la gravidanza i suoi atteggiamenti di protezione (della mia pancia) e affetto verso di me si sono intensificati finché non sono tornata a casa con Elena, la mia bebè sulla quale Perla non ha subito virato la propria tenera attenzione; le ci è voluto tempo, e oggi non si “schioda” dalla sua culla, dalla sua sdraietta, dovunque lei giochi o riposi».

L’arrivo di un neonato stravolge gli equilibri di tutta la famiglia, compreso il cane, e il racconto di Beatrice è emblematico come quello di tante altre donne nella cui famiglia vive un amico a quattrozampe: tutte notano che, in un modo o nell’altro, pare che il cane fiuti l’arrivo di un bebè. D’altronde, non è una novità che gli animali siano particolarmente sensibili e riescano a sentire cose che noi nemmeno percepiamo. Alcuni sostengono che essi abbiano una sorta di sesto senso dovuto alla grande dote sensoriale ed empatica. Non è un caso che i cani siano sempre più impiegati con successo nell’identificazione di problemi di salute come diabete, attacchi di panico, epilessia o tumori. Con il loro fiuto sono in grado di annusare anche l’esplosivo e, un esempio su tutti, alcuni sono stati addestrati a riconoscere «a naso» il Covid.

Non deve sorprendere dunque se il pelosone di casa riesce a capire se la sua umana è incinta senza il bisogno di dirglielo (e nessuno può certificare che, dicendoglielo a parole, esso coglierebbe davvero il concetto). Non ci sono molti studi scientifici che confermano questi fatti; ciononostante non possiamo pensare che si tratti di superpoteri canini. In proposito, citiamo le osservazioni di uno studio pubblica-

to su «Physiology and Behaviour» che poggia su alcune osservazioni oggettive. Con l’evoluzione della nostra specie, noi umani abbiamo perso la capacità di riconoscere determinati segnali chimici come quelli ormonali che influiscono anche sull’odore che la donna assume durante la gravidanza. Tuttavia, per il cane non è così: «Grazie a un olfatto circa mille volte più sensibile del nostro, “sente” la gravidanza umana perché percepisce la variazione degli ormoni femminili attraverso il cambiamento di odore».

Pur non suffragando fino in fondo queste abilità canine, la ricerca scientifica suggerisce che l’intero discorso sia molto plausibile anche in ragione del fatto che il naso dei cani contiene 300 milioni di recettori olfattivi (contro i 6 milioni umani) ciò che lo rende un’arma quasi invincibile; inoltre il loro naso è freddo e umido, e ciò permette loro di essere un valido radar per il calore. Anche i cambiamenti di abitudini e la sensazione di stanchezza (come successo a Beatrice) sono un segnale di lettura per il cane: «Le intense ma fisiologiche fasi di stanchezza di una donna in gravidanza la inducono a riposarsi frequentemente; questo tipo di cambiamenti sono notati dall’animale che può mostrarsi più protettivo proprio perché riconosce una debolezza

dai tre Comuni della Valle, da Autolinee Bleniesi, dall’Ente Regionale di Sviluppo o dall’Organizzazione turistica regionale, oltre che da alcuni privati. Si rivolge tanto agli abitanti quanto a villeggianti o ai turisti. «Portiamo a scovare segreti che a volte anche la gente della Valle ignora», spiegano gli ideatori delle gite.

Tra le prossime proposte ci sono, il 19 aprile una gita in Valle Malvaglia a Muncrech, con l’intenzione di sentire luoghi energetici; il 17 maggio invece si va in montagna con la teleferica, sui monti di Dagro, per fare il giro degli alpeggi della Valle Malvaglia, con assaggi di formaggi e prodotti locali. Il 22 maggio, in occasione della Giornata della Lettura ad alta voce, il programma prevede due giornate all’insegna del racconto: una con il poeta Paolo Buletti che legge testi di Sandro Beretta, e l’altra nei luoghi della Pozza del Felice con letture tratte dal libro di Fabio Andina.

La lista è lunga e come abbiamo già detto è un menu di angoli segre-

ti, porte dischiuse, arte, artigiani, vigneti nascosti, ronchi e ronchetti dove rinfrescarsi con un buon bicchiere e un pezzo di formaggio o dove rigenerare lo spirito nel silenzio, bene ormai sempre più prezioso. Le gite sono pensate sia nei fine settimana sia durante i giorni feriali.

«La Valle di Blenio – ci ricorda Luca Solari in conclusione – ha 500 chilometri di sentieri, pieni di arte, cultura, storia e natura. Accompagniamo volentieri chi vuole raggiungerci a vivere l’esperienza che più lo porterà a sorprendersi». Ormai sempre più persone desiderano viaggiare così, che sia un pomeriggio o una vacanza: non conta spuntare la lista delle «cose da vedere», ma conta di più il modo in cui ci si avvicina a un posto, possibilmente tra le sue genti e con un’apertura d’animo intima, per portare a casa un ricordo unico, memorabile, e che non si rinchiude in un telefonino.

Informazioni www.bleniobellissima.ch

da parte della sua umana». Grazie alla capacità empatica, il cane riesce a intercettare anche gli sbalzi di umore tipici della gravidanza: «Fedele alleato, rimane al fianco della proprietaria dimostrando la sua affidabilità e la sua fedeltà: doti che lo potrebbero indurre a diventare poi un affidabile baby-sitter». Infine, la ricerca pubblicata su «Physiology and Behaviour» ha pure dimostrato che, durante una competizione, cani e proprietari avevano livelli simili di cortisolo, l’ormone dello stress, e questo era dovuto al fatto che il cane sentiva e reagiva di conseguenza ai cambiamenti ormonali del suo umano. Ciò dimostra che anche i cani non addestrati, che però hanno un’intesa particolare con un umano, possono facilmente leggere i suoi sentimenti e reagire di conseguenza, non solo a livello comportamentale ma anche biochimico.

Vale la pena tenere in considerazione i consigli degli esperti cinofili i qua-

li ricordano che ogni cane ha una sua storia e una sua personalità che deve essere accolta e rispettata. Per far sì che l’esperienza della famiglia che si allarga sia positiva per tutti, le parole chiave sono tre: partecipazione, educazione e rispetto. «Quando siamo tornati a casa dall’ospedale, Perla ci attendeva e ci ha subito fatto festa per la nostra assenza. Poi, le abbiamo presentato la nostra piccola Elena: abbiamo adagiato l’ovetto per terra e le abbiamo permesso di annusarla, ma lei era più interessata alle nostre attenzioni». Beatrice permette a Perla di avvicinarsi alla neonata durante i primi mesi anche se la cagnolona non ha dimostrato subito troppo interesse: «Oggi, a distanza di un anno, giocano insieme con i pelouche e Perla dimostra di essere più vicina alla nostra piccola». Come dire: anche se il cane fiuta i nostri cambiamenti, non significa che poi diventi subito partecipe e attivo baby-sitter.

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Freepik.com La zona di Dötra. (bleniobel lissima.ch)

TILO, una rivoluzione per la mobilità

Trasporto pubblico ◆ I treni regionali che collegano il Ticino alla Lombardia compiono vent’anni: un successo transfrontaliero Fabio

Se non esistesse, bisognerebbe inventarla. Per fortuna qualcuno ci ha pensato e ora, da vent’anni, esiste: si tratta di TILO, la società ferroviaria nata dal matrimonio tra Ferrovie federali svizzere e Trenitalia. Una collaborazione che ha permesso di far nascere un sistema ferroviario regionale tra Ticino e Lombardia sull’esempio delle S-Bahn tedesche e svizzero tedesche: treni che garantiscono il traffico regionale fra gli agglomerati cittadini.

«TILO è nata quasi 20 anni fa – ci dice il direttore di TILO Denis Rossi – dalla forte volontà politica del Cantone Ticino e della Regione Lombardia di creare e sviluppare il traffico ferroviario transfrontaliero. Questa volontà ha trovato riscontro presso le imprese di trasporto ferroviario che hanno fondato la società e ora ne sono le azioniste, con un capitale diviso in modo paritetico tra le Ferrovie federali svizzere (FFS) e Trenord». TILO gestisce la linea Biasca – Bellinzona – Lugano – Chiasso – Como – Milano. Su queste tratte viene offerto un sistema cadenzato ogni mezz’ora ed è quindi un’opportunità per migliorare gli spostamenti dei pendolari, che sono ormai più veloci ed efficienti. TILO festeggerà a dicembre il suo ventesimo compleanno e il bilancio è assolutamente positivo. Si tratta della prima vera novità nel trasporto pubblico ticinese da quando è stata inaugurata la ferrovia del San Gottardo. Ora c’è anche la galleria del Monte Ceneri, che dal profilo infrastrutturale ha migliorato il collegamento tra sotto e sopra Ceneri. L’altro aspetto innovativo è la collaborazione tra le due regioni dei Paesi confinanti. Svizzera e Italia hanno creato uno strumento che ha trasformato la politica dei trasporti transfrontaliera. I dati sul continuo aumento dei passeggeri dimostrano che su questa linea ferroviaria c’è un potenziale enorme.

I passeggeri aumentano

Ci sono sempre più passeggeri che utilizzano TILO, che l’anno scorso ha trasportato in totale 22,8 milioni di persone. Si tratta del numero più alto mai raggiunto finora, spiega la società, in aumento del 19% rispetto al 2022. In media, nei giorni feriali, sono stati trasportati più di 69mila viaggiatori. In ottobre si è toccata la cifra record di 78mila persone in un gior-

no feriale. Anche il traffico transfrontaliero è in aumento. I passeggeri che nel 2023 hanno attraversato il confine a Chiasso sono aumentati del 65% e al Gaggiolo del 57%. Anche la linea che collega il Ticino all’aeroporto di Milano Malpensa è un successo: rispetto all’anno prima, nel 2023 si è registrato un aumento del 62% di viaggiatori. Per quanto riguarda le stazioni, la più frequentata rimane Lugano con quasi 25mila persone salite o scese dai 235 collegamenti TILO che servono quotidianamente la città. Al secondo posto si trova la stazione di Milano Centrale con una media feriale di 12mila passeggeri giornalieri che utilizzano i 32 treni al giorno. A Bellinzona e a Mendrisio i viaggiatori sono circa 11’500. «Il successo più evidente di TILO sono i numerosi clienti, – spiega Denis Rossi – ai quali esprimiamo la nostra gratitudine. Con l’andare del tempo TILO è diventato il treno dei ticinesi e dei lombardi residenti nella fascia di confine. Sui marciapiedi delle stazioni le persone non prendono “il treno regionale”, bensì il TILO. Siamo fieri che TILO sia ormai entrato nella testa, e anche nel cuore, della gente. I clienti ci sono grazie alla qualità, la quale ha raggiunto ottimi livelli, sia che la si misuri come puntualità, rapidità, frequenza e capillarità del servizio sia come sicurezza, pulizia e comfort dei treni. Tutto questo è stato raggiunto grazie a collaboratori competenti e motivati». È forse l’esempio più concreto di rapporto fruttuoso tra Ticino e Lombardia. Però si è sviluppato maggiormente in Ticino. «Quello del trasporto ferroviario regionale è probabilmente l’ambito nel quale la collaborazione tra Ticino e Lombardia si è sviluppata in modo più positivo e duraturo negli ultimi decenni. – conferma il direttore – Attualmente circa il 70% del volume del traffico di TILO è nel Cantone Ticino, il restante 30% in Lombardia. Nei prossimi anni si prevede di incrementare quest’ultima percentuale, aumentando l’offerta di collegamenti transfrontalieri». Su questo aspetto concorda anche Bruno Storni, presidente dell’Associazione Traffico e Ambiente (ATA): «TILO – ci dice –è sicuramente il meglio che il Ticino ha proposto a livello di servizio pubblico, e non solo, negli ultimi decenni. Abbiamo finalmente un’offerta di trasporto pubblico buona, materiale rotabile moderno, buone cadenze e buone

Una delizia per tutta la famiglia

coincidenze con il trasporto pubblico su gomma che pure è migliorato. Grazie alla galleria di base del Ceneri e la bretella verso Locarno si è avuta una rivoluzione per la mobilità tra sopra e sotto Ceneri che TILO sta valorizzando molto bene».

In futuro meno auto e più treni La ferrovia regionale italo-svizzera si è inserita nel modo migliore nella rete di trasporto pubblico. La strada mantiene comunque la supremazia rispetto al treno. Questo rapporto può essere migliorato a favore della ferrovia? «Nonostante la grande crescita del traffico ferroviario – precisa il direttore Denis Rossi – la maggior parte degli spostamenti avviene ancora tramite il traffico motorizzato individuale. La parte ferroviaria e del trasporto pubblico in generale resterà minoritaria ancora per decenni, ma nei prossimi anni è destinata a crescere e si dovrà investire in questo senso. La forte richiesta di trasporto ferroviario, più sicuro ed ecologico di quello stradale, dovrà essere soddisfatta. D’altro canto, gli investimenti stradali sono sempre più costosi e contestati. Sarà quindi difficile creare nuova capacità stradale e probabilmente sarà più facile incrementare il trasporto ferroviario, a beneficio anche degli automobilisti che resteranno sulle strade perché non vorranno o non potranno trasferirsi sul trasporto pubblico».

Il presidente dell’ATA e consigliere nazionale Bruno Storni conferma a sua volta: «Il traffico automobilistico dovrebbe progressivamente diminuire, da qualche anno sulle strade cantonali in generale non cresce più e, ad esempio sul piano di Magadino sponda sinistra, a Quartino, diminuisce, sicuramente anche grazie a TILO».

Chiediamo al direttore quali sono le prospettive future. Da più parti si chiede di intensificare l’offerta. «Uno degli obiettivi prefissati per i prossimi anni dai nostri committenti, il Cantone Ticino e la Regione Lombardia, è di aumentare la frequenza dei collegamenti sulle linee con una forte richiesta da parte dell’utenza. Oggi tra i principali centri del nostro Cantone ci sono spesso già 4 treni ogni ora. Tra Mendrisio e Lugano si contano addirittura 5 treni ogni ora». Il collegamento con l’aeroporto di Milano Mal-

pensa è un’ottima offerta, ma è ancora un po’ lenta, se confrontata con i tempi di percorrenza su strada. Può essere velocizzato? «I collegamenti aeroportuali che collegano il Cantone Ticino a Malpensa sono in forte crescita. Nei prossimi anni si concretizzerà la possibilità di velocizzare il collegamento, offrendo treni che faranno meno fermate intermedie».

Finanze e sostegno pubblico

TILO deve essere sostenuta da investimenti pubblici. C’è una notizia recente incoraggiante che riguarda le Ferrovie federali svizzere: l’anno scorso hanno registrato un utile di 267 milioni di franchi, grazie a un aumento dell’affluenza che è tornata ai livelli pre pandemia. Una boccata di ossigeno che fa ben sperare. Dal profilo finanziario come sta TILO? «Le autorità politiche ticinesi hanno creduto fortemente fin dall’inizio in TILO – spiega Denis Rossi – e continuano a farlo, incoraggiate dal successo in termini di passeggeri fin qui riscontrato. Le entrate dalla vendita di biglietti e abbonamenti non coprono i costi del traffico regionale. Questo vale in Svizzera e in Italia, ma anche altrove. In Ticino le entrate coprono meno della metà dei costi. Il restante è a carico dell’ente pubblico, Cantone e Confederazione, che sono i committenti del trasporto pubblico».

Fra gli utenti di TILO non manca chi si lamenta di dover fare i conti con treni strapieni. Nei momenti di punta non ci sono sempre posti a sedere liberi. Come rispondete a queste critiche? «Siamo coscienti – dice Denis Rossi – che durante le ore di punta i nostri treni sono ben frequentati. Tuttavia, non risultano casi di sovraffollamento. Bisogna tenere in considerazione che con l’orario Ceneri entrato in vigore nel 2021 abbiamo aumentato l’offerta di oltre il 50%. Con regolarità monitoriamo le frequentazioni di ogni singolo treno e nel limite delle risorse a disposizione provvediamo a puntuali adattamenti del numero dei convogli su ogni linea e in ogni fascia oraria». Otto clienti su dieci sono soddisfatti del servizio TILO. Lo rivela l’indagine biennale svolta alla fine del 2022, intervistando 3’400 viaggiatori. L’81% si è dichiarato soddisfatto o molto soddisfatto del servizio ferroviario offerto. L’indagine rivela una soddisfazione più contenuta, 63%, a proposito della puntualità. TILO prende nota e si impegna a far meglio in questo campo.

C’è ancora un piccolo dettaglio per cui TILO merita elogi: il confronto con gli Eurocity delle FFS che collegano Lugano a Milano. Il tempo di percorrenza con l’EC è di un’ora e venti minuti, con il TILO un’ora e quindici. Ma non solo: il prezzo di TILO è più basso dell’Eurocity! I convogli più leggeri fanno la differenza.

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Una vita sulle zattere di giacinti circondate

Clima ◆ Tra agricoltura idroponica e gambericoltura, gli agricoltori del Bangladesh stanno cercando di adattarsi ai cambiamenti ambientali già Jacopo Pasotti, testo e foto

Le famiglie di agricoltori del Bangladesh erano abituate ai capricci dell’immenso delta del Gange Brahmaputra. Ma quell’anno, era il 1988, mentre l’acqua saliva, Hari Podo dovette affrettarsi per salvare la sua famiglia e le sue cose. Quando fu avvertito della imminente inondazione, raccolse i giacinti d’acqua che galleggiavano ovunque nei canali intorno a casa sua. Con le piante acquatiche e il bambù costruì una zattera larga pochi metri e lunga una decina. Mentre la casa affondava nell’acqua che saliva, lui e la sua famiglia montarono sulla zattera, portando con loro le due mucche e le capre. E aspettarono che l’acqua calasse nuovamente.

Dal 1988 a oggi

L’alluvione del 1988 in Bangladesh è considerata la peggiore di tutti i tempi. Il livello dell’acqua in migliaia di fiumi, canali e torrenti salì ed esondò invadendo l’intera regione in poche ore. L’acqua crebbe per giorni, inondando il Paese e isolando i villaggi dal mondo esterno. Non c’era cibo né acqua potabile. Tre milioni di persone nelle pianure dello Stato dell’Asia meridionale rimasero senza casa.

Ho incontrato Podo nel suo villaggio del distretto di Gopalganj. «Abbiamo vissuto sulla zattera. Le persone da un lato, gli animali domestici dall’altro», dice Hari Podo, lo sguardo serio. «Abbiamo costruito un forno di fango per cuocere il cibo sull’acqua. Ogni volta che la zattera cominciava

a cadere a pezzi, raccoglievamo nuovi giacinti e la ricostruivamo. Abbiamo galleggiato sull’acqua in questo modo per circa due mesi».

Anche in Bangladesh, con le sue vaste paludi e foreste di mangrovie, il cambiamento climatico non è più solo una teoria, ma sta accadendo ora. La popolazione si sente intrappolata dallo scioglimento delle acque dell’Himalaya, tra le piogge monsoniche sempre più intense nel nord e il Golfo del Bengala a sud, da dove l’acqua salata si sta lentamente infiltrando nel Paese.

Qui gli abitanti sono abituati a condividere lo spazio vitale con l’acqua. Tuttavia, la loro vita diventa insopportabile quando il tempo va in tilt. Il ciclone tropicale del 1988 di-

strusse il 45 per cento della produzione agricola annuale. Molte famiglie si trasferirono dalle campagne alle città, o divennero immigrati climatici, costretti a emigrare all’estero.

Da infestante a salvatore

Oggi la zattera galleggiante di Podo si sta trasformando da una soluzione di emergenza a una soluzione permanente. Il livello del mare si sta innalzando, la fertilità del suolo si sta riducendo e le inondazioni stanno diventando sempre più gravi. Alcuni agricoltori stanno però cercando soluzioni a questi cambiamenti ambientali. E così la zattera galleggiante che ha salvato la famiglia di

Hari Podo dall’alluvione è diventata un’opportunità.

Gli orti galleggianti – zattere su cui i contadini possono coltivare ortaggi anche quando l’acqua sale – sono un modo per garantire l’approvvigionamento alimentare in diverse regioni del Bangladesh nonostante i le bizze climatiche. «Le stagioni sono cambiate. Oggi le piogge sono più abbondanti», conferma Podo osservando con attenzione le lunghe zattere di giacinto nelle acque calme della sua fattoria, immersa nel verde della foresta tropicale.

Quella che ha riscoperto Podo è una conoscenza antica e unica degli agricoltori del Bangladesh, che fa parte della cosiddetta agricoltura «idroponica». Una tecnica che dopo

Previsioni catastrofiche

Gli esperti della Banca Mondiale avvertono che la resa del riso, una coltura vitale per l’economia nazionale, diminuirà di circa il 15 per cento entro uno o più decenni a causa della contaminazione per la salinizzazione di falde e terreni agricoli. Inondazioni più frequenti e terreni salinizzati minacciano il 40% dei terreni produttivi del Bangladesh meridionale. Una conseguenza potrebbe essere la migrazione di circa 200mila abitanti verso l’interno o l’estero. Il livello del mare si sta attualmente innalzando a un tasso medio di 1,7-3,0 millimetri all’anno e sta len -

considerati infestanti, oggi importante risorsa per la costruzione degli orti galleggianti.

essere stata a lungo dimenticata, è ora tornata in auge, correndo in aiuto a molti agricoltori che vedono in essa il potenziale per far fronte all’instabilità climatica e alle inondazioni sempre più gravi.

«Ci siamo resi conto che i nostri anziani stavano facendo bene con l’agricoltura galleggiante. Quindi abbiamo pensato di provare a farlo su larga scala. Coltiviamo cetrioli, melanzane, e molti altri ortaggi», dice Hari Podo. Il contadino ritiene che questo sistema di coltivazione possa essere esportato in molte altre aree del Bangladesh. «Anche quando un forte ciclone ci colpisce e piove molto intensamente, la nostra agricoltura galleggiante sopravvive», dice. «Costruiamo le zattere galleggianti con

tamente inondando le pianure fluviali. Tuttavia, la realtà è più drastica di quanto suggeriscano queste cifre. Perché anche la terra sta sprofondando. Per questo motivo in Bangladesh il livello del mare si sta innalzando di 4-20 millimetri all’anno. Il 10% del territorio del Bangladesh si trova almeno un metro sotto il livello del mare e un terzo del suo territorio è influenzato dalle maree. In combinazione con la potenza dei cicloni, ciò può provocare grandi ondate di marea. È questo che rende il Paese particolarmente vulnerabile alla crisi climatica.

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Un contadino osserva la distesa di giacinti, un tempo

circondate da orti e giardini

a partire dallo storico ciclone tropicale del 1988

bambù e giacinti, mentre le donne fanno delle palline con giacinti e altre erbe infilandoci dei semi. Poi queste palline le piantiamo nelle zattere», spiega Hari Podo.

Una piattaforma galleggiante dura tre mesi prima che inizi a decadere. Quando comincia a decomporsi può essere utilizzata su strisce di terreno come fertilizzante per altre colture. «Non usiamo fitofarmaci chimici. Il letto galleggiante stesso è un ottimo fertilizzante», dice Podo. È così che il giacinto d’acqua, considerato per generazioni una infestante, oggi è una alleata delle comunità del posto.

La forza dei cicloni

I terreni del grande delta asiatico si stanno deteriorando e ciò che agricoltori e pescatori osservano in natura è confermato dagli scienziati con i dati. «La portata degli eventi meteorologici sta aumentando, la forza dei cicloni sta aumentando», spiega Mohamed Shamsuddoha, direttore generale di un centro di ricerca di Dacca. «Poiché il livello del mare si sta innalzando, l’acqua salata dalle aree costiere sta penetrando nell’entroterra danneggiando l’economia agricola. Più si va a sud, più ci si rende conto che l’agricoltura non è più redditizia. L’allevamento di gamberi sembra l’unica soluzione, e si sostituisce all’gricoltura», spiega.

L’acqua salata si insinua nell’entroterra come una malattia in un processo noto come «salinizzazione del terreno». Il Bangladesh si trova nel delta dei fiumi Brahmaputra, Gange e Meghna e il 90 per cento è costituito da pianure che si trovano proprio al livello del mare. La causa della salinizzazione è di tre fattori: la terra sta sprofondando, il livello dell’acqua si sta alzando, e si registra un minore deflusso di acqua dolce da fiumi e canali.

Dove convergono i fiumi Gange e Brahmaputra, la quantità di precipitazioni sta diminuendo, ma la loro intensità sta aumentando. Di conseguenza, le inondazioni si verificano più frequentemente durante la stagione delle piogge.

Fattori geopolitici

Anche l’India è parte del problema. Zahid Shashoto, scienziato ambientale dell’ONG Uttaran, sottolinea che non esiste una linea di demarcazione netta tra cambiamento climatico e geopolitica. Il cambiamento climatico da solo non racconta tutta la storia. Dighe come l’enorme sbarramento di Farakka Dam in India, costruito nel 1975, influenzano il flusso di acqua dolce del Gange. «L’India apre le dighe durante il monsone, quando c’è un eccesso d’acqua, e la nostra terra viene inondata», dice Shashoto. «Nella stagione secca, invece, non riceviamo acqua perché chiudono lo sbarramento. Manca l’acqua per l’agricoltura, c’è siccità e l’acqua salata può penetrare in profondità nella terra». La maggior parte dei piccoli fiumi della regione, infatti, si prosciuga nella stagione secca. Più ascolto queste spiegazioni, più mi rendo conto di quanto sia complesso il quadro. Se non c’è acqua dolce, manca anche il cibo. «Un tempo il Bangladesh era autosufficiente nella

Emigranti climatici

Più a sud, la coltivazione lascia spazio alla gambericoltura. È una introduzione recente, degli ultimi decenni, i cui frutti sono spesso sulle nostre tavole. Non è però una soluzione sostenibile e non finisce sui piatti delle popolazioni locali. Dove i gamberi prosperano, gli alberi muoiono: «Questi villaggi e queste persone non ci saranno più in futuro», dice guardandosi attorno Joggadish Mallick, che vive nel piccolo villaggio di Parmagur Khali, nel distretto di Satkhira. È un agricoltore, ma da diversi anni fa anche il pescatore. A piedi nudi e con cautela, calpesta la sottile e scivolosa diga di fango che circonda il suo stagno di gamberetti. Ha 59 anni e sta assistendo al cambiamento del luogo in cui ha trascorso

tutta la sua vita. «Molti agricoltori qui si trovano in una fase difficile della loro esistenza; la maggior parte lascia il villaggio e migra in città. Alcuni lavorano nell’industria dell’abbigliamento a Dhaka, altri trainano carrelli per le consegne a Khulna», dice Mallick. Questo lui proprio non lo vuole fare. Poi, con un tono dispiaciuto aggiunge: «Qui si coltivava il riso e si tenevano le mucche per il latte. C’erano bufali per l’allevamento e stagni d’acqua dolce pieni di pesci diversi, come il pesce Rohu e la carpa». Per coloro che sono rimasti, l’allevamento di gamberi è una fonte di reddito migliore rispetto all’agricoltura ad alta intensità di lavoro e meno produttiva. «Al momento, la povertà qui non è grave. Non è un brutto posto per l’allevamento di gamberi», spiega Mallick. Poiché l’acqua salata inonda le arterie d’acqua dolce del Bangladesh, il passaggio dal riso ai gamberi è visto come una forma di adattamento. Oggi il 95 per cento dei gamberi viene prodotto in ex campi di riso.

Gamberi al posto del riso

I gamberi sono la seconda esportazione (dopo l’abbigliamento fast-fashion), con oltre l’80 per cento della stessa destinato all’Ue. Tuttavia, questa strategia ha conseguenze sociali ed ecologiche. Dall’introduzione dell’allevamento di gamberi, il paesaggio è cambiato. Campi verdi, alberi, frutteti e allevamenti sono scomparsi e sono stati sostituiti da aree prive di alberi con stagni d’acqua. «La bellezza della nostra zona è scomparsa da tempo, non ci sono quasi più alberi», dice Mallick. «Un tempo qui c’erano molte persone e la nostra vita era piacevole. Dopo il raccolto del riso, avevamo campi enormi e infiniti in cui giocare. L’acqua salata e queste piccole chiazze di gamberetti stanno portando via un ambiente molto bello».

«A lungo termine, questo produrrà spostamenti e migrazioni», spiega nel suo piccolo ufficio di Dacca

Shamsuddoha. Si verificano già conflitti quando i proprietari terrieri scaricano deliberatamente l’acqua salata nelle risaie degli ultimi agricoltori per convincerli a vendere la terra per convertirla all’acquacoltura. Ma anche l’acquacoltura è probabilmente solo una soluzione temporanea. Con il continuo innalzamento del livello del mare, l’acqua potrebbe diventare troppo salata anche per i gamberi. Inoltre, uragani più forti e frequenti stanno danneggiando una parte considerevole della costa. L’agricoltura, l’acquacoltura e il clima non possono ancora essere disaccoppiati l’uno dall’altro, questo va oltre il potere dell’uomo. Solo il tempo ci dirà quanto sia resistente la tecnologia riscoperta da Podo e quanto successo avranno gli sforzi degli agricoltori per adattarsi all’ambiente che cambia.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino SOCIETÀ 13
produzione di cibo, ma ora è necessario procurarselo attraverso le importazioni», dice Shamsuddoha.
Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
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22.4.2024,

La cultura della costruzione ha

molte facce

Progettare il futuro ◆ Riflessioni a margine della giornata organizzata alla SUPSI intitolata «Ticino 2050: scenari»

Gli spazi nei quali viviamo sono il frutto di ciò che abbiamo voluto o potuto costruire. La cultura della costruzione (spesso indicata in Svizzera col termine tedesco di Baukultur) è l’espressione di questa attività umana, che include città e villaggi, edifici e paesaggi, monumenti storici e insediamenti, strade e piazze, ponti e giardini. Anche i processi di pianificazione ed edificazione fanno parte della cultura della costruzione, espressa tanto nel dettaglio artigianale quanto nella progettazione su vasta scala degli agglomerati. La cultura della costruzione unisce il passato, il presente e il futuro. L’espressione di questa cultura è evidenziata nel modo in cui gestiamo il nostro ambiente costruito. Detto questo, va sottolineato che la Baukultur non è una disciplina, ma è un invito a ragionare in modo trasversale. Quando parliamo di costruire i nostri spazi di vita, ragionando su temi quali i beni culturali e non solo, per ottenere un buon risultato dobbiamo cercare di collegare tutte le problematiche. Dobbiamo capire quanto le nostre scelte siano influenzate dal sistema politico, amministrativo, strutturale, dall’economia e dalle leggi della società nella quale operiamo. Il discorso si fa complesso, gli aspetti sono tanti e gli attori devono essere tanti. La cultura della costruzione si mette in moto soltanto se si accende un dibattito pubblico, che ovviamente coinvolge gli specialisti, ma che deve comprendere la cittadinanza, che va informata e della cui opinione va tenuto conto. I processi partecipativi sono parte integrante della cultura della costruzione.

È questo il pensiero che sicuramente hanno fatto gli organizzatori della giornata di studio tenutasi a Mendrisio il 4 marzo scorso: una giornata promossa dal Dipartimento ambiente costruzioni e design della SUPSI e dal nostro Dipartimento del Territorio, con il patrocinio dell’Ufficio federale della cultura. Il titolo era emblematico ed esplicativo: «Ticino

Viale dei ciliegi

Kathrin Schärer

Oggi come stai?,

Il Castoro (Da 3 anni)

I libri per bambini sulle emozioni sono tanti e attualmente costituiscono un vero e proprio genere di tendenza. In effetti i più piccoli hanno bisogno, come tutti, di riconoscere le proprie emozioni, per riuscire a elaborarle, ma non hanno ancora le parole per identificarle. Tuttavia il linguaggio che a loro è necessario non è tanto quello verbale, razionale, quanto piuttosto quello immediato e folgorante della metafora, del simbolo, dell’immagine espressiva. Immagini certamente folgoranti sono quelle di Kathrin Schärer, tra le principali illustratrici svizzere, che rendono questo albo una proposta di eccellenza nell’affollato panorama di libri sulle emozioni. A dire il vero esso non è neanche, propriamente, un libro sulle emozioni, quanto piuttosto sugli stati d’animo, o meglio ancora sull’«essere», o sull’«esserci»: non a caso il titolo tedesco fa riferimento al da sein, concetto immediato per i bambini –senza scomodare Heidegger – così che la domanda del titolo potreb-

2050: scenari», una riflessione pubblica intorno al modo di abitare, costruire e pensare il territorio nell’ottica del prossimo futuro. Responsabile scientifico della giornata Matteo Vegetti, filosofo e professore SUPSI, che sottolinea come all’interno del DACD della SUPSI siano presenti tutte le competenze che rispondono alle domande base della Baukultur, e quindi siano in grado di affrontare anche da noi la cultura del territorio, con le sue questioni storiche e sociali, alla luce delle grandi trasformazioni che incombono. Innanzitutto, ci deve essere un cambiamento di paradigma nel pensare il nostro territorio, travalicando gli aspetti singolari e mettendo al centro gli interessi della società e quelli dell’uomo. I saperi che abbiamo oggi, pur efficienti, non bastano più. Devono fronteggiare trasformazioni improvvise, come quelle dettate dai cambiamenti climatici, e rispondere a molti altri interrogativi nuovi. Le

discipline dovranno interagire: dobbiamo mettere insieme l’architetto, lo scienziato del clima, il biologo e l’ingegnere, in team sempre più allargati. Dobbiamo superare le dimensioni disciplinari attuali e forse creare nuove professioni, che sono ancora in attesa di un nome.

Ascoltando queste parole non posso fare a meno di pensare alla futura, e forse prossima, scomparsa dei piccoli studi di architettura, che operano in un territorio esiguo come il Ticino. Già, il Ticino, con il suo aspetto tradizionale, quello che si conserva ancora nelle valli, coi suoi valori artistici disseminati sul territorio. Inevitabilmente ne parlo con Giacinta Jean, responsabile del corso di laurea in conservazione e restauro presso la SUPSI. «Chi si occupa di conservazione, come me o come l’Ufficio cantonale dei beni culturali, è spesso visto come un freno allo sviluppo e come un nostalgico. Ma invito tut-

be anche essere «oggi come sei ?». Le risposte, che si susseguono in ogni doppia pagina, dominata ogni volta da una splendida illustrazione dove campeggiano animali con volti, posture e situazioni che dire espressivi è dir poco, sono brevi e concise, tanto ci sono le immagini a parlare: c’è solo il verbo essere alla prima persona seguito da un aggettivo, qualche volta da un pronome o una locuzione. «Sono imbarazzato», «sono offeso», «sono impaurito», «sono felice», ma anche «sono nei guai» (dice lo scoiattolo che ha rubato qualche ovetto al coniglio di Pasqua), «sono il prossimo» (nella sala d’aspetto del dottore),

«sono in un altro mondo» (il leprotto immerso in un libro): le situazioni sono trenta, e per ognuna di loro l’illustrazione è talmente ricca, vivace, narrativa, che ogni volta è un invito a una lettura dialogica, tra adulto e bambino, immaginando il contesto, l’antefatto, il proseguimento. Ogni volta è un invito a raccontare una storia, quella degli animaletti protagonisti e la propria, che in essi si rispecchia. «Oggi sono io», dice, non a caso, il topino che ci saluta nell’ultima pagina.

Polly Horvath

Tutto sopra un waffle

Camelozampa (Da 10 anni)

Torna il romanzo che nel 2001 sancì il successo internazionale dell’autrice canadese (nata negli Stati Uniti)

Polly Horvath, e che all’uscita vinse premi prestigiosi come il Newbery Honor Book, l’International White Ravens, il New York Times Bestseller, per citarne solo tre. Era già stato pubblicato in italiano da Mondadori, nel 2003, con il titolo La vita è una crêpe e traduzione di Angela Ragusa. La nuova traduzione di Alice Casari-

ti a considerare i beni culturali come delle presenze fragili, con un valore che può facilmente perdersi, però importanti per la società, perché ci permettono di metterci in diretto contatto con il nostro passato. Lo sentiamo sempre più distante a causa del cambiamento dei nostri modi di vita, ma dobbiamo riportarlo vicino, perché è il nostro, e se lo sappiamo leggere avrà ancora molte storie da raccontarci». Quindi Trasformazione con la Conservazione? «Sì, ed è una bella sfida. È vero che sono due valori antitetici, però devono trovare un loro equilibrio, facendo anche sì che le opere a cui riconosciamo valore e importanza possano restare in buona salute nel tempo. Non fare grandi interventi, che possono snaturarle, ma assicurare una cura continua».

Nella trasformazione delle modalità che accompagnano la cultura della costruzione sta sempre più imponendosi l’apporto delle tecni-

che digitali e dell’Intelligenza Artificiale (AI). Luca Maria Gambardella, è stato impegnato per decenni ai massimi livelli negli studi sull’intelligenza artificiale, sia alla SUPSI sia all’USI, dove è professore: «Per il Ticino, l’università, le istituzioni e i professionisti dovranno trovare soluzioni praticabili ed efficienti e soprattutto dovranno saperle portare sul mercato. Vedo un ruolo molto ampio che va dalla formazione continua al saper adattarsi alle sfide tecnologiche. La rapidità di reazione oggi è un tema cruciale. Il lavoro dei progettisti va reso più veloce, così come la capacità di adattamento alle situazioni ambientali e alle esigenze degli utenti. L’intelligenza artificiale, quando funziona bene, lascia l’uomo al centro e lo “coccola”, gli dà la possibilità di lavorare meglio e di vivere meglio. Anche nella Baukultur alcune componenti dell’AI possono essere di grande aiuto. Arrivano nuove professioni che sono quella dei “Data scientist”, (professionisti che sviluppano strategie per l’analisi dei dati grezzi e ne traggono informazioni rilevanti per le diverse necessità aziendali) e anche i professionisti del “Machine learning” (capaci di insegnare alle macchine a lavorare in modo autonomo), ma soprattutto dovremo abituarci a lavorare di squadra con linguaggi comuni tra i professionisti: solo così risolveremo i problemi. Quello che ci serve oggi è una capacità di senso critico molto sviluppata. Il senso critico non si fa programmando il computer, ma respirando in maniera profonda quella che è la nostra cultura. Siamo sulla buona strada. Dobbiamo confrontarci nell’innovazione, mantenere la capacità di creare conoscenza e trasferirla. I tagli all’università non sono stati un segnale positivo ma esempi come lo Swiss Innovation Park di Zurigo, operativo dal 2016, e il futuro Parco dell’innovazione Ticino, che dovrebbe collaborare con esso dal 2032 dal “Quartiere Officine” di Bellinzona, sono delle buone iniziative».

ni, proposta da questa nuova edizione Camelozampa, va nella direzione di un minor adattamento, come si tende a fare attualmente, perché oggi i riferimenti alla cultura anglosassone sono diventati più familiari: quindi ad esempio waffle resta tale (riprendendo il titolo originale, Everything on a waffle), la protagonista si chiama Primrose e non Primula, e così via. Vanno anche segnalate le vivaci illustrazioni di Veronica Truttero, e il carattere del testo, con un font di alta leggibilità per tutti. La protagonista racconta in prima persona, con uno stile diretto, colorato da energiche similitudini: « Mi

chiamo Primrose Squarp e ho undici anni. Ho i capelli color carote in salsa di albicocche (segue ricetta), la pelle chiara nei punti in cui non ci sono lentiggini e gli occhi come temporali estivi. In un giorno di giugno, dal mare si alzò un tifone…». Quel giorno di giugno fu l’ultima volta che Primrose vide i suoi genitori, scomparsi in mare. Lei non si rassegna a credere che non torneranno, ma nel frattempo deve affrontare la sua nuova vita. Viene affidata a uno zio abbastanza stravagante, e può contare sull’appoggio di altre persone, in particolare di Miss Bowzer, proprietaria del ristorante locale, dove ogni cosa viene servita sopra un waffle. I sapori quindi possono essere dolci o aspri, come i momenti della vita, ma vale sempre la pena di assaggiarli con gusto. E questo è proprio un romanzo sulla fiducia nella vita, in cui il cibo assume un valore fortemente metaforico, oltre a ricorrere nelle ricette che si alternano alla parte narrativa, alla fine di ogni capitolo. Di Polly Horvath, Camelozampa ha pubblicato anche La casa di Pine Island, romanzo che in Italia ha vinto il Premio Orbil e il Premio Arpino.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 15 SOCIETÀ
Loris Fedele
Wikimedia / Lino Schmid & Moira Prati

Sono arrivati i nuovi mochi!

Le nuove varietà di mochi al «lampone estivo» e alla «vaniglia del Madagascar» sono disponibili da subito. Inoltre, esiste una variante vegana con «frutto della passione e mango». I mochi nascono dall’abbinamento di morbida pasta di farina di riso e gelato. Per la produzione del gelato vengono utilizzati solo latte e panna freschi. Si rinuncia del tutto ad aromi o conservanti artificiali. Il risultato è un gelato artigianale avvolto da una morbida pasta di farina di riso.

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Mochi Glace Little Moons, lampone estivo
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L’altropologo

Il massacro di Pocotaligo

Di lui non conosciamo nemmeno il nome. Sarà l’Anonimo Nostro. Sappiamo solo che era membro di una delegazione diplomatica composta da Samuel Warner e William Bray come rappresentanti del Governatorato dalla colonia della Carolina del Sud, oggi USA, accompagnati da Thomas Nairne e John Wright, importanti operatori nel sistema di commercio fra i coloni e la tribù dominante degli indiani Yamasee. Con loro anche un certo Seymour Burroughs e l’Anonimo Nostro che sarebbe stato testimone di un evento destinato a cambiare per sempre la storia della regione. Era la sera del 14 aprile 1715. Una serata tiepida di primavera avanzata, ciliegie e fragole, cervi ed altra selvaggina al pascolo, il pesce abbondante nei tanti laghi… Anche fra i membri della Delegazione circolava un cauto ottimismo, dopo la Guerra dei Tuscarora, una tribù irochese che fra il 1713 ed il 1715 aveva combattuto per eliminare le ancor fragili colonie della Carolina del Nord. Certo, i Tuscarora avevano

alla fine perso a causa anche delle croniche divisioni interne, ma si era dimostrato che la colonizzazione europea non fosse un fatto assodato. Che anzi… A salvare i coloni erano accorsi contingenti di indiani Yamasee, adiuvati a loro volta da una moltitudine di tribù minori tradizionalmente loro vassalle e/o alleate – Catwaba, Apalachee, Cusabo, Pee Dee, Cherokee, proto-Creek e quant’altri erano diventati determinanti auxiliares delle milizie della Carolina Combattere fianco a fianco a guerrieri indigeni da sempre ritenuti ora nemici giurati ora alleati infidi e ballerini – ora tutti al soldo dei Visi Pallidi – aveva peraltro prodotto due risultati inaspettati, anzi tre e forse quattro. In primis: l’unione fa la forza. La demografia era a favore dei nativi di contro ai numeri esigui dei coloni in cronico deficit di donne e di nascite. In secondo luogo si era dimostrato che gli europei non fossero affatto invincibili: come tutti scappavano e morivano. Terzo cruciale fattore: attorno ai falò notturni, guerrieri che

La stanza del dialogo

avevano imparato a fidarsi gli uni degli altri avevano cominciato a pensare che i Tuscarora (quei maledetti bellicosi storici invasori immigrati dalla regione dei Grandi Laghi) non avevano poi tutti i torti nel cercare di ributtare a mare i coloni. «Hanno i nostri stessi problemi – così piace pensare all’Altropologo vostro preferito abbia detto Capo Grillo Parlante all’assemblea dei Capi adunati attorno al falò in quelle serate memorabili – dopo tutto anche noi Yamasee siamo immigrati dal Sud in queste parti…». Dopo un’iniziale entente cordiale coi coloni, si era visto un declino di cervi e altra selvaggina: troppi fucili a troppo basso prezzo, di conseguenza gli Yamasee erano diventati dipendenti dalle merci anche alimentari fornite dalla colonia inglese: primo fra tutti il riso. Ai primi mugugni, il governo coloniale aveva allocato terre in riserva esclusiva agli Yamasee nella parte meridionale della Carolina del Sud. Per poi rimangiarsi la parola quando l’industria crescente del riso aveva svegliato gli appetiti dei

La Pace come salvaguardia dell’umanità

Gentile Silvia, ho letto con grande interesse il suo articolo su «Azione» di Migros Ticino del 18 marzo 2024. Illuminante considerazione espressa! «Le donne per quanto ammirevoli, si sono mobilitate tardi, i loro figli, i nostri figli, erano già caduti». Perché non organizzarci e scendere in piazza in Svizzera (in Svizzera ma anche in tutto il mondo) noi donne per manifestare settimanalmente per la Pace? Sarei sempre presente. Da dove e come iniziare ad organizzarci, le chiedo. Cordiali saluti e complimenti ancora, in particolare per questo articolo. / Gabriella Buongiorno Dottoressa, grazie per l’importante scritto sul settimanale l’«Azione» di oggi 18 marzo 2024. Finalmente qualcuno che parla di pace, di nascita, di vita. Non ne possiamo

più di guerre, di strategie, di paure anche all’interno di noi e delle nostre giovani famiglie. Abbiamo bisogno di passione, di gioia di vivere. Un lavoro da svolgere uomini e donne assieme, attraverso il dialogo, l’empatia. Non amo quelle femministe estreme che dalle loro parole, dal loro modo di manifestare si intravvede una rabbia, un rancore nei confronti degli uomini. Perché questa rabbia, da dove arriva? Cordiali saluti. / Renata Campana

La lettere apparsa su «Azione» il 18 marzo dal titolo La pace ha un volto di donna ha destato un grande interesse perché è entrata nel vivo delle nostre ansie più profonde, quelle che i meccanismi di difesa non riescono ad anestetizzare: la minaccia di un conflitto mondiale. È chiaro che a quel punto tutti ne sa-

La nutrizionista

remmo coinvolti e che il tempo per evitare che quest’incubo si avveri potrebbe essere poco. Come psicologa, credo che il primo passo per propiziare la pace sia una riflessione su di noi, su come la storia ci abbia condizionato a considerare la pace come cessazione della guerra piuttosto che un valore in sé. La Pace va perseguita sempre come espressione di Bene, come salvaguardia dell’umanità, del pianeta, degli ideali della nostra società. Noi donne, in quanto diamo la vita, non possiamo dare la morte e neppure i padri, che i bambini considerano garanti della sicurezza della famiglia, della casa, del paese. In questi momenti si avverte il bisogno di condividere un sentimento di genitorialità diffusa per cui i bambini non sono miei o tuoi, nostri o altrui ma figli di tutti e, come tali, accolti, protetti, aiu-

Cortisolo e prolattina: ormoni e sovrappeso

Buongiorno Laura, le scrivo perché durante un’analisi medica delle ghiandole del seno mi hanno detto che probabilmente ho la prolattina e il cortisolo alti. Lo si può capire veramente da un esame del genere? Io ho problemi di peso, sono alta 170 cm e peso 90 kg. So che il cortisolo non aiuta, quindi il mio problema può essere legato a questioni ormonali? Cosa posso mangiare per migliorare i valori del sangue? / Doris

Buongiorno Doris, la ringrazio per la domanda e la fiducia che ripone nelle mie competenze, tuttavia non essendo io un medico, purtroppo non dispongo di nozioni sufficienti per rispondere a tutte le sue domande. Se ha dei dubbi, a tale proposito, le consiglio di discuterne col suo medico di famiglia che la conosce e saprà valutare la sua situazione nel complesso, consigliandole eventualmente delle analisi del sangue specifiche. Dovessero risul-

grandi imprenditori anche per le terre assegnate agli indigeni. Gli autoctoni si indebitavano e vendevano la terra ai coloni, non riuscendo ad arrivare alla fine del mese finivano per vendersi schiavi. Pessimi schiavi, peraltro: rendevano poco e morivano presto. Occorreva prevenire. E farlo magari prima che i Tuscarora, peraltro ormai sbandati, si raggruppassero per una gioiosa vendetta, si alleassero come mercenari magari stavolta con i Visi Pallidi del Sud e poi… Nell’altro campo, la guerra contro i Tuscarora aveva fatto emergere conflitti d’interesse, rapporti poco chiari. In quello che conta come il semenzaio della Prima Guerra Civile Mondiale (suolo americano 1861-1865), le colonie del Nord e del Sud cominciarono a loro volta ad accusarsi su questioni di confini, competenze, rapporti nebbiosi coi Nativi. Entrò poi a gamba tesa la Virginia col suo Tabacco, imposto da allora urbi et orbi come succulentissima droga. Situazione eccellente: o la va o la spacca. Per entrambe le parti.

I negoziatori, sulla scorta di rumours da confidenti Yamasee, presentano credenziali, proposte e compromessi. Poi si ritirano fiduciosi nei loro quartieri. La controparte Yamasee indice un parlamento notturno. Contro il parere di una minoranza si decide per la guerra. Ci si applicano i colori di guerra e – per cortesia di protocollo – si svegliano i negoziatori per informarli. Capita l’antifona, tutti fuggono e sono ammazzati. Resta in vita solo Seymour Burroughs. Ferito due volte, riesce a mandare un messaggio a Port Royal: la colonia sarà salva e gli Yamasee tutelati in Riserva blindata.

Si salva, a quel punto, anche l’Anonimo Nostro. Nascosto nelle acque di uno stagno, è testimone visivo della pubblica tortura rituale/terminale di Thomas Nairne, commerciante, secondo la tradizione culturale delle Sei Nazioni dei Grandi Laghi nella quale si distinguono per fantasia creativa le donne. La chiamano oggi par condicio Parola del Vostro.

tati e incoraggiati dall’intera comunità. Alla domanda «che fare?» ognuno può rispondere con la sua creatività. Non c’è una modalità valida per tutti. L’importante, a mio avviso, è coltivare il desiderio di pace, esprimerlo e condividerlo in modo che non sia soffocato dal disinteresse, dalla pigrizia, dalla negatività. Le lettere, che qui riporto, esprimono atteggiamenti positivi, un’apertura al dialogo e al confronto che costituiscono già un annuncio di pace. Tutto quanto è stato realizzato in termini di progresso morale e culturale dall’umanità è stato innanzitutto fantasticato, tradotto in immagini, in simboli, in moti della mente e del cuore. Il pensiero è sempre innovativo, trasformativo, creativo e, se condiviso, suscita una corrente emotiva che può cambiare il corso degli eventi.

Per cui, mantenendo viva l’attenzione sui terribili eventi che stanno accadendo intorno a noi, diamo figura a un futuro possibile e realizzabile, preghiamo – con voce laica o religiosa –perché i nostri figli, nipoti, alunni, cittadini del mondo possano realizzare il potenziale di vita che gli abbiamo trasmesso dandoli alla luce. Anche quando sembrano negarlo, i ragazzi hanno fiducia in noi e ci concedono un credito illimitato. Non deludiamoli.

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

tare alti, i valori di questi ormoni, è molto importante capirne la causa e affrontare il tutto in modo completo e multidisciplinare per personalizzare al massimo la sua assistenza medica. Quanto scriverò qui di seguito quindi è una risposta molto generale, per dare qualche informazione sull’argomento. La prolattina è un ormone prodotto dall’ipofisi che ha il compito di regolare il ciclo mestruale e che stimola la produzione del latte materno dopo il parto. Livelli elevati possono influenzare il metabolismo del glucosio e la deposizione del grasso, e di conseguenza possono essere associati a una minore capacità di perdere peso. Le possibili cause possono avere a che fare con un ipotiroidismo, oppure con l’uso di farmaci, tumori ipofisari o ancora altri disturbi.

Il cortisolo, noto anche come l’ormone dello stress, è prodotto dal surrene su impulso del cervello nei momenti

di maggior tensione e determina l’aumento di glicemia e grassi nel sangue mettendo a disposizione l’energia di cui il corpo ha bisogno. Livelli elevati di cortisolo a lungo termine possono contribuire alla resistenza all’insulina e alla conservazione del grasso corporeo. Alti valori possono indicare una sindrome di Cushing o altre condizioni.

In presenza di prolattina e cortisolo elevati è consigliabile adottare un’alimentazione che possa contribuire a supportare l’equilibrio ormonale e a favorire il benessere complessivo. Alcuni esempi di alimenti utili sono quelli ricchi di fibre come frutta, verdura, legumi e cereali integrali che aiutano a regolare la glicemia e a sostenere il metabolismo. Le proteine magre come pollame, pesce, uova e latticini a basso contenuto di grassi e legumi mantengono stabili i livelli di zucchero nel sangue e supportano la

massa muscolare. Essendo il muscolo metabolicamente attivo, ciò che lo porta quindi a consumare calorie, favorisce il dimagrimento. I grassi sani apportano benefici al sistema endocrino e cardiovascolare quindi è bene consumare alimenti come avocado, noci, semi di lino, oli vegetali non raffinati e pesce ricco di omega tre. Alimenti ricchi di antiossidanti come frutti di bosco, agrumi, verdure a foglia verde, tè verde e spezie come curcuma e zenzero possono sostenere la salute metabolica e ridurre lo stress ossidativo. Per supportare la funzione delle ghiandole surrenali e per ridurre lo stress, aiutano alimenti ricchi di magnesio come spinaci, semi di zucca, banane, mandorle e cioccolato fondente. Da ultimo è consigliabile anche limitare gli zuccheri aggiunti e i cibi altamente processati. Cambiare la propria alimentazione è un primo passo nel processo della gestione del

peso, ma è fondamentale considerare anche altri fattori come una buona attività fisica. Quest’ultima infatti permette di mantenere la muscolatura e aiuta a prendere sonno, fondamentale per il benessere emotivo ed essenziale per le funzioni della memoria, la funzione immunitaria e il funzionamento degli ormoni nel corpo. Per concludere: non posso sapere se il suo problema di peso sia collegato o meno a disturbi ormonali; per stabilirlo sarebbe opportuna un’analisi medica, solo in seguito potrà richiedere un consulto a una dietista dopo aver discusso col proprio medico i dettagli della situazione.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 17 SOCIETÀ / RUBRICHE ◆ ●
di Laura Botticelli
Informazioni Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch ◆ ●
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Fragole e rabarbaro?

Una coppia affiatata che piace molto all’ora del dolce, e conferisce a un tiramisù quel tocco goloso di freschezza che ci vuole

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Nei panni di un Samurai agguerrito

Rise of the Rōnin, il nuovo prodotto del Team Ninja porta i giocatori nel Bakumatsu, un’epoca turbolenta della storia nipponica

Pagina 25

La struggente vita di un uomo al di là dell’artista

Quando, nel 2006, giunse nei cinema europei l’atteso biopic Walk the Line, firmato dal regista statunitense James Mangold, il mondo parve d’un tratto ricordarsi della fenomenale parabola umana e artistica del grande cantante country Johnny Cash (1932-2003) – nonché dell’incredibile potenziale narrativo di una storia così suggestiva da sembrare un’opera di pura fiction. Tanto che, al pari di Mangold (e nello stesso periodo della lavorazione del suo film) anche il fumettista tedesco Reinhard Kleist rimase così mesmerizzato dalla vicenda di Cash da dedicargli un’appassionata graphic novel biografica, destinata a suscitare il plauso di pubblico e critica: I See a Darkness (anche in questo caso, il titolo omaggia una canzone del vecchio Johnny) fu infatti pubblicata pressoché in contemporanea all’uscita del film di Mangold – tanto che in molti, all’epoca, credettero che l’opera cinematografica fosse stata ispirata dall’artista germanico. Ciò non è dovuto soltanto alle tante similitudini tra le linee narrative dei due lavori, ma anche al fatto che entrambi sembrano focalizzarsi su Cash come uomo, prima ancora che artista; trasmettendo così un’immagine del cantante come, in un certo senso, vittima di sé stesso – dei drammi interiori che hanno governato la maggior parte della sua vita, così come della lunga dipendenza da sostanze: tutti fantasmi contro i quali l’unico antidoto, per Johnny, si è rivelato essere l’amore incondizionato di June Carter, destinata a diventare sua moglie.

Proprio questo fortissimo legame, che rappresenta il rapporto senz’altro più importante della vita di Cash, costituisce il fil rouge presente lungo tutta la graphic novel, accompagnando il cantante dalla giovinezza fino alla morte. Del resto, si tratta innegabilmente di uno degli aspetti più indimenticabili e suggestivi della storia di Johnny, trattandosi del tipo di relazione che chiunque desidererebbe poter vantare nella propria vita: un’amicizia di lunghissima data tra due persone apparentemente molto diverse tra loro; le quali, entrambe impegnate con altre storie e coniugi, devono pazientare ben tredici anni prima di rendersi conto che, fin dall’inizio, il destino ha cospirato per spingerli a vivere liberamente il loro legame coronandolo con il matrimonio.

Tuttavia, laddove il film di Mangold segue l’avventura umana e artistica di Johnny Cash soltanto fino a questo punto cruciale (ovvero, l’insperato matrimonio con June), ignorando gli oltre trent’anni di vita a seguire, I See a Darkness offre un approccio forse più profondo e suggestivo, infine ancorato anche all’ultima

parte della storia del country singer –con tutti i suoi rimpianti, fantasmi e contrastanti emozioni, simboleggiate dai dischi da lui incisi dal ’94 in poi insieme al produttore Rick Rubin (secondo molti fan di Johnny, la fase forse più rivelatoria ed esaltante della sua produzione artistica). Inoltre, la scelta di Kleist di alternare i ricordi di Cash alle drammatizzazioni delle sue canzoni, che nel fumetto fanno da controcanto alla linea narrativa principale, permette al lettore di imparare a conoscere, e ad amare davvero, il protagonista della graphic novel.

In questo processo gioca un ruolo fondamentale la scansione delle fasi del racconto concepita dall’autore, il quale identifica nell’infanzia di Cash – nell’atroce povertà degli agricoltori americani del sud durante la Grande Depressione – la radice del suo desiderio di riscatto e atavico bisogno di libertà: aneliti che, per un giovane pieno di curiosità, ma, al contempo, di rabbia verso il mondo, solo la musica sarebbe stata in grado di soddisfare. Allo stesso tempo, Kleist identifica alcuni momenti cardine della vicenda personale di Johnny come veri e propri «punti di svolta» della sua vita, facendone il fulcro dei vari capitoli della graphic novel. Si parte così dal trauma devastante della morte del fratello Jack, scomparso per un incidente sul lavoro ad appena quindici anni, per poi passare attraverso la drammatica disintossicazione dalla droga e il riavvicinamento a June di cui questo piccolo miracolo fu la diretta conseguenza; nel mezzo, pietre miliari quali il coraggioso concerto del 1968 nella prigione californiana di Folsom (parte di un’intera serie di show carcerari) e il tentativo, purtroppo fallito, di salvare la vita a Glen Sherley, uno dei detenuti incontrati da Cash in quell’occasione. Fino a giungere agli anni dell’apparente declino, che in realtà hanno donato al pubblico il ritratto più vero dell’anima di Johnny, soffuso della malinconica e dolente consapevolezza di cui soltanto qualcuno con un passato doloroso come il suo poteva essere pervaso.

In tutto ciò, lo stile grafico prescelto da Kleist diventa di fondamentale importanza: le linee spezzate e nervose dell’inchiostrazione e del bianco e nero netto sono infatti accompagnate da un sapiente uso della scala dei grigi, che pervadono con la loro cupezza l’intera graphic novel, trasmettendo alla perfezione l’irrequieta e tormentata natura del personaggio a cui l’opera è intitolata. Ecco quindi che la vera forza di I See a Darkness sta proprio nella fusione perfetta tra parola e immagine: indimenticabile, in questo senso, la suggestiva sequenza simbo-

lica incentrata sul penoso processo di disintossicazione di Cash. Soprattutto, il vero significato recondito della parabola spirituale e umana di Johnny trova il suo culmine nella splendida sequenza finale, realizzata da Kleist attraverso l’ampio uso di splash panels, in cui l’alternarsi narrativo del tempo presente e dei ricordi del passato giunge infine a compimento in una sorta di simbolico ricongiungimento, identificato con l’avvicinarsi della morte – mettendo a confronto l’ormai settantenne Cash con il suo alter

ego giovanile in una scena degna di un western di Sergio Leone. Avviene così che Cash: I See A Darkness riesca in quello che è da sempre il più alto e nobile obiettivo di ogni graphic novel biografica – offrire un’istantanea non solo fedele, ma soprattutto evocativa e struggente, dell’intera esperienza di vita del protagonista; il tutto mantenendo la capacità d’intrattenere il lettore, e riuscendo appieno a far sì che, davanti alle mille vicissitudini di Cash, questi avverta lo stesso coinvolgimento

e partecipazione che si proverebbero verso un amico di vecchia data. Tanto da portarci a gioire, commuoverci, sdegnarci e urlare insieme a lui per oltre 200 pagine: un traguardo non da poco, che ogni fumettista degno di questo nome non può che ambire a raggiungere.

Bibliografia: Reinhard Kleist (Autore), Anna Zuliani (Traduttore), Cash. I See a Darkness, BAO Publishing, 2016, edizione italiana.

● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 19
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Graphic novel biografiche ◆ Cash: I See a Darkness di Reinhard Kleist offre un’immagine del cantante country Johnny Cash quale vittima di sé stesso Benedicta Froelich

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Le città di legno dell’Anatolia

Reportage ◆ Safranbolu e Amasya hanno alle spalle una lunga storia, ma oggi sono villaggi di case-museo e hotel de charme

Enrico Martino, testo e foto

«Vuoi comprarla?» chiede una voce suadente che spunta dietro la porta di una casa di legno dalle nobili origini ma palesemente in cerca di urgenti restauri. Il suo proprietario emerge come un fantasma sfoderando un sorrisone e baffi degni di una di quelle passionali soap opera turche che appassionano mezzo mondo. «Puoi farne quello che vuoi, un hotel, una pensione, un ristorante». Gli acquirenti non devono certo mancare per queste schiere di fascinose case del XIX secolo sgranate lungo stradine tortuose che si arrampicano come spirali di conchiglie aggrappate a una gola all’ombra delle montagne.

Safranbolu è una litografia di quei Viaggi in Oriente che facevano impazzire l’Europa del diciannovesimo secolo, che sembra però lasciare indifferenti i locali che si godono il fresco della sera tra i vialetti del parco Hidirlik in cima alla collina. Per loro questa città di legno annidata fra le montagne che separano Ankara dal Mar Nero, è un paesaggio quotidiano di verande in legno, eleganti facciate, moschee, fontane, bagni turchi e caravanserragli ricoperti da un’irresistibile patina di vissuto.

Oltre un migliaio di edifici storici ancora intatti risalenti al XVII secolo, il numero più alto di tutta la Turchia, sono l’eredità più preziosa del passato di carovane e commerci lungo un ramo della Via della Seta; eredità composta da un’architettura che è stata capace di influenzare tutto l’impero ottomano. Case che seguono l’andirivieni della montagna, grandi verande sporgenti che catturano la luce creando spaziosi interni multitasking molto contemporanei, di giorno soggiorni dotati di grandi divani, cucine e focolari, di sera camere da letto grazie ai materassi tirati fuori dagli armadi. Il vero segreto che esse custodiscono però sono le scenografiche vasche all’interno delle case più belle, un’oasi per le donne degli harem nelle calde estati e uno status symbol per le famiglie più ricche dove i soffitti riflettono il tremolio quasi ipnotico dell’acqua smossa da fontane decorate che creano un sottofondo quasi musicale.

Per secoli Safranbolu è stata il principale centro di coltivazione e commercio della spezia più cara al mondo, lo zafferano che le aveva dato persino il nome, già Zalifre e Saframpolis da saffron, zafferano, e polis, dal greco città. Oggi ne sopravvivono solo poche piante nel vicino villaggio di Davutobasi e anche le viti sono quasi scomparse, le ultime creano un’irreale cupola verde sul microscopico suk, anche lui di legno, dove si respirano ancora atmosfere di un’Anatolia ottomana.

Safranbolu deve un po’ di fortu-

na persino a Napoleone perché la sua conquista dell’Egitto provocò la caduta in disgrazia di Izzet Mehmet Pasha primo ministro del sultano Selim III, che per rifarsi un’immagine aveva deciso di abbellire la sua città natale, sopravvissuta per miracolo grazie anche all’inclusione tra i Patrimoni dell’Umanità Unesco. Da allora il numero dei visitatori si è triplicato, soprattutto turchi in cerca di radici in un paese in preda a una profonda trasformazione, e molti edifici si sono trasformati in hotel tradizionali, con il rischio però di imbalsamare la città in una cartolina tenuta in vita solo dal turismo.

Verande in legno, moschee, bagni turchi, fontane, caravanserragli ricoperti da un’irresistibile patina di vissuto ed eleganti facciate

Molto più a est, una scenografica curva di case di legno nascosta lungo un’ansa del fiume Yeşilırmak cerca di captare ogni refolo di frescura che scivola tra le montagne del Ponto. Magari anche solo l’inquietante nebbia profumata sparsa da enormi spruzzatori che nelle torride sere d’estate avvolge famiglie boccheggianti

sui dondoli dei ristorantini dell’antica Amasya. Di fronte, a picco sulla città vecchia, dal nero della montagna di Harşena emergono le grandi tombe dei re del Ponto, antri vuoti dal fascino quasi barbarico in cima a una lunga salita scavata nella roccia.

Devono averli percorsi in molti questi gradini durante millenni di vertiginose girandole di arrivi e partenze, re e imperatori ittiti, per non parlare di Alessandro Magno, frigi, cimmeri, lidi, romani, bizantini, satrapi persiani, sultani selgiuchidi e ottomani, artisti e celebrità come il geografo greco Strabone, nativo di Amasya e autore di libri che gli hanno valso una fama imperitura, e una statua di bronzo lungo la riva dello Yeşilırmak. Secondo lui il nome greco Amaseya derivava da Amasis, la regina delle Amazzoni che sarebbe vissuta proprio qui, uno dei tanti miti che aleggiano intorno a questa città, compresa una fiaba che ha come protagonisti il giovane Farad e la sua amata, la principessa Shirin. In cambio della sua mano, il padre chiese al pretendente di scavare una galleria sotto una montagna per portare l’acqua al palazzo reale, ma alla falsa notizia della morte di Shirin, Farad si uccise, seguito dalla principessa che morì di dolore.

Decisamente meno romantica la storia dei re del Ponto, in perenne e precario equilibrio tra ellenismo e mondo persiano, ma soprattutto tra potenti vicini, fino alla definitiva conquista romana nel 70 a.C. alla fine della terza guerra mitridatica. Prima di Mitridate il Grande, solo Annibale aveva avuto l’onore di vedersi intestata una guerra, perché «quattro anni furono sufficienti per sconfiggere Pirro, quattordici per Annibale, mentre Mitridate resistette per quarant’anni», scrisse Tito Livio di uno dei più formidabili avversari di Roma. Di lui si diceva che fosse in grado di guidare un carro tirato da sedici cavalli e cavalcare quasi duecento chilometri al giorno, e per non farsi mancare nulla fu anche considerato un inveterato donnaiolo. Ma Mitridate fu soprattutto uno scatenato megalomane che voleva trasformare il suo regno nella più grande potenza del Mar Nero e dell’Anatolia.

C’era quasi riuscito, ma Pompeo lo sconfisse e Mitridate, dopo avere tentato senza successo di avvelenarsi – si deve a lui il termine mitridatizzazione, processo di difesa che aveva adottato ingerendo piccolissime dosi di ogni variante di veleni in circolazione, allo scopo di autoimmunizzarsi e

contrastare possibili avvelenamenti da parte dei suoi avversari – si dovette trafiggere con una spada.

L’età dell’oro di Amasya sembrò tramontare definitivamente con la conquista romana, ma secoli dopo risorse come il più importante centro culturale dell’Anatolia grazie anche ai mongoli, in assoluto migliori della loro fama, che nel quattordicesimo secolo costruirono un ospedale psichiatrico, l’Ilhanli Bimarhane dove si praticava la musicoterapia.

In epoca ottomana diventò poi la Şehzadeler Şehri, «la città del principe», grazie a una popolazione di turchi, greci, tatari, bosniaci e popolazioni del Ponto che riassumevano la demografia dell’impero, perfetta per insegnare l’arte di governare ai futuri sultani nominati giovanissimi governatori di Amasya. Le loro statue scandiscono il lungofiume a poca distanza da un gruppo di ragazze velate che fanno probabilmente rabbrividire il laico fantasma di bronzo di Ataturk con l’inseparabile colbacco di astrakan su un bassorilievo che ricorda l’ultimo passaggio della Storia da queste parti: nel 1919, quando la Circolare di Amasya proclamò qui la guerra di indipendenza da cui sarebbe nata la nuova Turchia che spazzò via per sempre l’Anatolia multiculturale.

Oggi il profumo di quel mondo riaffiora dietro il portoncino che rivela una dimora ottomana, dove la luce schermata delle tende gioca con ricami e soffitti intarsiati di grandi camere dall’eleganza minimalista. Sembra un museo, ma è una casa viva riscaldata dal rito del chay, il tè che in Turchia non manca mai. «Noi turchi siamo maestri di ospitalità da secoli, se non altro con gli amici» ride l’architetto Ali Yalçin che ha trasformato la casa di famiglia in un hotel tradizionale dove vivere il tempo rallentato della città di legno.

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Informazioni Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.
Monumento che ricorda il grande geografo Strabone, nato qui, nel quartiere tradizionale delle vecchie case ottomane in legno lungo le rive del fiume Yesilirmak. Sotto da sinistra a destra: Safranbolu ha una collezione splendidamente conservata di antiche case ottomane ed è un sito patrimonio mondiale dell’UNESCO; durante il XVII secolo Safranbolu si trovava sulla principale strada commerciale ottomana tra Gerede e i porti del Mar Nero.
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Ricetta della settimana - Tiramisù al rabarbaro e alle fragole

Ingredienti

Dessert Ingredienti per 8 persone (2 stampi di circa 16x24 cm)

300 g di rabarbaro, pesato mondato

1 dl di sciroppo di fiori di sambuco

250 g di mascarpone

200 g di crème fraîche

100 g di zucchero

250 g di quark semigrasso

400 g di fragole

1 foglio di gelatina

200 g di savoiardi

2 c d’acqua

2 c di sciroppo di fiori di sambuco

Preparazione

1. Pelate gli steli di rabarbaro, tagliateli a dadini e fateli sobbollire con lo sciroppo finché non si ammorbidiscono. Lasciate raffreddare.

2. Con lo sbattitore elettrico, montate ben fermo il mascarpone con la crème fraîche e lo zucchero. Incorporate il quark.

3. Tagliate le fragole a fettine. Ammorbidite la gelatina nell’acqua fredda.

4. Accomodate i savoiardi negli stampi. Distribuite la composta di rabarbaro sui biscotti, poi la crema di mascarpone e infine le fragole.

5. Scaldate l’acqua in una padella. Sgocciolate la gelatina e fatela sciogliere nell’acqua.

6. Unite lo sciroppo e versate goccia a goccia sulle fragole.

7. Mettete il tiramisù in frigo per circa 2 ore.

Preparazione: circa 40 minuti; refrigerazione: circa 2 ore.

Per persona: 9 g di proteine, 26 g di grassi, 51 g di carboidrati, 490 kcal

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Un aperitivo Senza, grazie!

Lateltin, fondata a Zurigo nel 1899, ha inaugurato una nuova era di bevande analcoliche: Jsotta Bitter Senza è ora nuovamente disponibile e aspetta di fare il suo ingresso in grande stile alla prossima festa. È un piacere da gustare non solo liscio con un po’ di ghiaccio, ma anche in un mix con succo d’arancia, soda o Bitter Lemon. Il sapore di Jsotta Bitter Senza conquista i palati con squisite erbe svizzere e un amabile bouquet di arancia.

Consiglio di servizio

Aggiungere qualche cubetto di ghiaccio in un bicchiere da longdrink, quindi 4-5 cl di Jsotta Bitter Senza e 10 cl di succo d’arance. Guarnire infine con una fettina di arancia.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 24
Foto: Fotostudio Migros; Styling: Mirjam Käser
Jsotta Bitter Senza 750 ml
Fr. 14.50
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Un samurai sulla via dei guerrieri leggendari

Videogiochi ◆ Le avventure di Rise of the Rōnin ambientate nell’epoca Bakumatsu convincono solo a metà

Davide Canavesi

I samurai. Guerrieri leggendari, spadaccini sopraffini, abili, letali e, al giorno d’oggi, di grande interesse. Un esempio è l’adattamento televisivo del romanzo di James Clavell, Shōgun, che sta appassionando un vasto pubblico. Inoltre, c’è Rise of the Rōnin, un gioco d’azione a mondo aperto uscito su PlayStation 5 dal rinomato Team Ninja. Gli sviluppatori, perlopiù giapponesi, hanno scelto un’ambientazione familiare, evitando così le critiche (a volte ingiustificate) ricevute da Ghost of Tsushima, anch’esso ambientato in Giappone, ma sviluppato da un team nordamericano.

L’opera del Team Ninja ci metterà al centro di un’epoca turbolenta della storia nipponica: l’intero Bakumatsu, ovvero il periodo della crisi dello Shogunato Tokugawa che ha avuto inizio nel 1853 e si è conclusa con il Rinnovamento Meiji, il quale a sua volta ha sancito la fine dell’era dei samurai classici e una rivoluzione socioculturale in Giappone. L’arrivo di una flotta americana nella baia di Tokyo inaugurerà una nuova era di (forzati) scambi. Un’apertura che, per un Paese abituato da secoli di isolazionismo, non è vista di buon occhio da tutti.

Ed è in quest’epoca turbolenta che Team Ninja ha deciso di intessere la propria trama narrativa, mettendo il giocatore nei panni di un samurai senza padrone, un rōnin, il quale incrocerà alcuni dei personaggi più importan-

ti del periodo. Ad esempio, il samurai Ryōma Sakamoto, lo shogun Yoshinobu Tokugawa e il leader militare del dominio di Chōshū, Kogorō Katsura. L’avventura inizia in modo traumatico. Il nostro alter ego in gioco, la Lama Velata, sopravvive a stento a un evento sconvolgente. Ritrovatosi senza padrone, senza alleati e senza una casa, non potrà fare altro che partire alla ricerca di vendetta. Un inizio scoppiettante e premesse interessanti che purtroppo, però, non sfoceranno in una maestosa epopea samurai come avremmo desiderato.

Il punto di forza di questo gioco risiede senza dubbio nel sistema di combattimento, un’area che il Team Ninja conosce molto bene, grazie alla sua esperienza con giochi come Dead or Alive, Ninja Gaiden e Nioh. Sebbene un approccio più discreto sia spesso possibile, ci troveremo inevitabilmente coinvolti nella mischia, armati di katana, bastoni, picche, kunai e altre armi. Il sistema di combattimento si evolve di continuo, consentendo al giocatore di equipaggiarsi con due armi primarie tra una vasta selezione, ognuna con diversi stili di combattimento che influenzano le mosse disponibili e le tattiche da adottare.

L’apprendimento di nuovi stili è intrigante poiché richiede di recarsi da un maestro e apprendere le tecniche seguendo le sue indicazioni. Il bilanciamento complessivo è ben realizza-

Giochi e passatempi

Alcune formiche hanno nel proprio formicaio, dei veri e propri pronto soccorso.

Per scoprire come si chiama questo genere di formiche e di dove sono originarie, risolvi il cruciverba e leggi le caselle evidenziate.

(Frase: 8 – 6, 3, 9)

to, con livelli di difficoltà e contenuti post-gioco progettati per soddisfare le esigenze di giocatori di diversi livelli di abilità.

Rise of the Rōnin è un gioco a mondo aperto, il che significa che il giocatore è libero di esplorare vaste zone seguendo sia le missioni sia la propria curiosità. Le tre città principali attorno la quale si snoderanno le nostre avventure sono Kyoto, Yokohama ed Edo (l’antico nome della città di Tokyo). Presi tra missioni principali e secondarie avremo parecchi contenuti da sviscerare. Completare tante missioni servirà ad aumentare il livello del nostro personaggio, che potremo personalizzare in ogni suo dettaglio.

Tra poteri, mosse speciali e tantissimo equipaggiamento diverso, ci saranno molte opportunità per rendere

il nostro alter ego proprio come lo desideriamo. Col proseguire delle ore di gioco ci renderemo presto conto che è diviso in due anime. La prima ci offre missioni principali ben strutturate, con colpi di scena, alleati, nemici e generalmente un buon ritmo di gioco.

La seconda anima è quella del mondo aperto, in cui purtroppo, Rise of the Rōnin è meno riuscito a causa di una presentazione grafica deludente e una vastità poco interessante da esplorare.

Da questo punto di vista, Team Ninja dimostra la sua poca familiarità col genere open world che richiede molti più contenuti. Attraversare il mondo di Rise of the Rōnin è interessante solo per le prime ore, con una sorta di apatia che subentra in seguito e che ci farà concentrare sia sull’avanzamento della trama principale sia sul puro e sem-

plice «grind» (ovvero, la pratica di dedicare un’enorme quantità di tempo e sforzo a compiti ripetitivi o monotoni all’interno del gioco al fine di progredire, ottenere ricompense o raggiungere determinati obiettivi). Non è comunque consigliabile concentrarsi solo sulla trama principale, poiché questo ci porterà presto a essere svantaggiati rispetto ai nemici in termini di abilità e potenza. Pertanto, sarà necessario dedicare un certo impegno anche allo svolgimento delle missioni secondarie.

Il titolo delude dal punto di vista tecnico e sembra più adatto a una console della scorsa generazione piuttosto che a PlayStation 5, risultando notevolmente inferiore a Ghost of Tsushima, uscito nel 2020 proprio per PS4. D’altro canto, va riconosciuta la qualità del doppiaggio giapponese (con sottotitoli in italiano) e dell’evocativa colonna sonora.

Rise of the Rōnin si trova in un equilibrio delicato tra due estremi. Da un lato, si distingue per il suo eccellente sistema di combattimento, profondo, vario e coinvolgente. Dall’altro, la componente del mondo aperto lascia parecchio a desiderare. Si intravvedono potenziali grandi cose per il futuro, se mai Team Ninja dovesse continuare a percorrere la strada di questo tipo di produzioni. Per essere un primo tentativo, non è poi tanto malvagio. Tuttavia, rispetto ad altre produzioni simili, fatica a distinguersi.

26. Bombisce VERTICALI

1. Sortilegio

2. La chiesa non li approva

3. Sta in mezzo

4. Nel broccato e nel velluto

5. Strumento musicale

8. Azione abrasiva

10. Magro in spagnolo

12. Adorabile lettino

13. Non sempre lo fa il monaco...

14. Nome arabo

15. Provocante, scandaloso

16. Articolo

17. È un anagramma di «rasta»

19. Un cosmetico

21. Preposizione articolata

23. Le iniziali dell’attrice Cortellesi

Soluzione della settimana precedente

Il Davide di Michelangelo ha la mano destra più grande in proporzione al corpo, infatti veniva chiamato: MANU FORTIS, questo soprannome simboleggia: POTENZA E DETERMINAZIONE

24. Le iniziali del cantante Pelù Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell ’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino TEMPO LIBERO 25
cd ...
di Giacobbe
Londra
di
Un
l’acido
ORIZZONTALI 1. Un evangelista 6. Nero, oscuro 7. Sono divise da
9. Prima moglie
10. Per... a
11. Due romani 12. Il pesciolino
Geppetto 13.
«buco» nella stoffa 17. Possessivo femminile 18. Reagisce con
19. Uccelli rapaci 20. Isola francese 21. Il conduttore tv Conti 22. Pronome personale 23. Pia a Roma 24. Le iniziali dell’attore Newman 25. Ha ucciso un uomo
contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono
Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate. M ATT CA N UTE F O RO T I S P O T E NS T Z A RI EN A DIOS OLMIO EDI T E R M OCIO A I N ORL GR A Z P I E O NOI E 68 5 17 8 3 7 3 4 4 356 5 1 9 2 8 42 17 9 39 4 8673 245 19 4295 617 83 3517 986 42 2 3 4 9 7 6 8 5 1 6184 352 97 7951 823 64 9 4 6 2 5 3 1 7 8 1826 479 35 5738 194 26
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ATTUALITÀ

Ticino poco virtuoso

In materia di cooperazione transfrontaliera non siamo forti, al contrario di Basilea, ecco perché

Pagina 29

Finanziare le spese sociali

Come trovare le risorse per la tredicesima AVS e altre iniziative attualmente in discussione?

Pagina 31

Cina sempre più chiusa

Tutto passa da app digitali che aumentano l’efficienza ma anche il potere di vigilanza delle autorità

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Vittoria delle Anziane per il clima: la Svizzera viola i diritti umani

La furia talebana sulle donne In Afghanistan continuano a restringersi i diritti femminili e si parla di lapidazione pubblica

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Prospettive ◆ Per la prima volta la Corte di Strasburgo condanna uno Stato perché ritenuto colpevole di non impegnarsi abbastanza per contrastare il riscaldamento globale. La sentenza spiana la strada a future azioni legali analoghe ad altri Paesi

L’aggettivo storico viene spesso usato a sproposito. Non è così però nel caso della sentenza della Corte europea dei diritti umani (CEDU) che ha dato ragione alle Anziane per il clima. Ci sono molteplici ragioni per considerarla storica. Innanzitutto è la prima volta che la CEDU condanna uno Stato perché ritenuto colpevole di non fare abbastanza per contrastare le conseguenze del riscaldamento globale, riconoscendo così che la protezione contro il cambiamento climatico è un diritto umano. Inoltre, questa sentenza potrebbe avere un effetto domino, visto che costituisce un precedente legale che obbligherà i 46 Stati membri del Consiglio d’Europa a rivedere le proprie politiche ambientali, inclusa la Svizzera, dato che la sentenza è vincolante e definitiva. Le persone anziane sono particolarmente vulnerabili di fronte agli effetti della crisi climatica e delle ondate di calore

Ma cos’è successo martedì scorso a Strasburgo? La CEDU ha accolto la tesi dell’associazione Anziane per il clima, e dei suoi avvocati, secondo cui la Confederazione ha violato il loro diritto al rispetto alla vita privata e familiare, come sancito dall’articolo 8 della Convenzione sui diritti umani. Quasi all’unanimità, 16 voti contro uno, i giudici hanno ritenuto insufficienti le misure attuate dal Governo elvetico per ridurre le emissioni di gas serra e limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, come stabilito dall’Accordo di Parigi. Un’inazione, stando alla Corte, che ha gravi ripercussioni sulla qualità della vita, soprattutto per le persone anziane che sono particolarmente vulnerabili di fronte agli effetti della crisi climatica e alle ondate di calore, come evidenziato da diversi studi. Non è stata però una vittoria su tutta la linea. La CEDU ha infatti respinto l’accusa di violazione del diritto alla vita stabilito dall’articolo 2 della Convenzione.

Per l’associazione, che conta circa 2500 pensionate, è stata una vera e propria rivincita. La loro battaglia legale, durata otto anni, è stata avviata e finanziata da Greenpeace. L’obiettivo dell’ONG era riunire un gruppo di persone, provenienti da tutte le regioni linguistiche del Paese, per fare pressione sul Consiglio federale affinché rispettasse gli impegni presi con l’Accordo di Parigi. Era nata così l’as-

sociazione «Anziane per il clima», che in Svizzera è stata guardata con simpatia, ma anche con un po’ di sufficienza. Il suo percorso legale attraverso le istanze è iniziato nel novembre 2016 con una domanda al Dipartimento federale dell’ambiente (DATEC) che lo sollecitava a intensificare gli sforzi volti a ridurre le emissioni di gas serra per raggiungere gli obiettivi climatici. Il DATEC, all’epoca diretto dalla consigliera federale Doris Leuthard, ha fatto però spallucce alla richiesta, non entrando in materia e affermando che le anziane perseguivano «interessi politici». Anche il Tribunale federale amministrativo prima, e la Corte suprema di Losanna poi, hanno respinto il ricorso delle anziane, sostenendo che il diritto alla vita e alla salute non erano in pericolo e che c’era ancora tempo a sufficienza per contenere il riscaldamento climatico al di sotto di 1,5°C. L’associazione non si è data però per vinta e nel 2020 si è rivolta alla Corte europea dei diritti umani. A quattro anni da allora le «nonne» escono dall’aula del tribunale di Strasburgo con le braccia alzate in segno di vittoria.

Una battaglia cominciata in sordina, inizialmente quasi sbeffeggiata dall’establishment, che con il passare degli anni ha catturato sempre più l’attenzione dei media. La sentenza di Strasburgo ha avuto un’eco enorme sui giornali di mezzo mondo, dal «Corriere della Sera» a «Le Monde» al «New York Times». Naturalmente ha suscitato grande attesa anche in Svizzera, dove le reazioni politiche non si sono fatte attendere.

In Svizzera la politica climatica viene definita dal Parlamento e dal Popolo, com’è stato il caso con la legge federale sul CO2 bocciata alle urne nel 2021

Per la co-presidente del partito socialista, Mattea Mayer, si è trattato di uno «schiaffo» al Consiglio federale. Lisa Mazzone, la neopresidente dei Verdi svizzeri, ha sottolineato l’importanza epocale della giornata. Dal canto suo l’Unione democratica di centro ha affermato che non si è trattato certo di una sentenza sto-

rica, bensì di un verdetto «ridicolo» e «inaccettabile» e ha sollecitato la Svizzera ad abbandonare subito il Consiglio d’Europa, sostenendo che i giudici si sono lasciati manipolare come marionette dagli attivisti per il clima. Per il Partito liberale radicale e l’Alleanza del Centro, la Corte europea dei diritti umani ignora il principio della democrazia diretta. Al momento è troppo presto per valutare le conseguenze a livello nazionale di questa sentenza. Di sicuro non favorirà i già difficili rapporti e negoziati con l’Unione europea. Sarà anzi vento nelle vele di chi guarda con diffidenza alle istituzioni europee. Nella loro decisione i giudici hanno sottolineato che non è loro compito definire la politica climatica della Svizzera, ma hanno chiesto al Governo elvetico di fare tutto il possibile per perseguire gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e di spiegare al Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa come intende attuare il verdetto della Corte. La Confederazione deve ora adottare le misure necessarie per proteggere adeguatamente la sua popolazione per non violare i di-

ritti umani. E qui lasciamo l’aula del tribunale di Strasburgo per spostarci nell’arena dove si svolge il dibattito democratico. In Svizzera, infatti, la politica climatica non viene definita dalla giustizia ma dal Parlamento e dal Popolo, com’è stato il caso con la legge federale sul CO2 bocciata alle urne nel 2021. Dopo la perdita di consensi alle ultime elezioni federali, il partito ecologista ha ora trovato una preziosa alleata nella Corte europea dei diritti umani. I Verdi hanno già annunciato l’intenzione di chiedere un dibattito parlamentare urgente nella prossima sessione a Berna. Inoltre la lotta per intensificare gli sforzi in favore di una politica ambientale più decisa potrebbe ora estendersi dalle manifestazioni di strada, tradizionale terreno di azione degli attivisti del clima, per entrare nelle aule di tribunale. Negli ultimi anni le cause legali hanno registrato un’impennata, passando da quasi 900 nel 2017 a oltre 2100 nel 2022. La sentenza della CEDU è un ottimo assist per chi vorrà percorrere questa strada, spesso l’unica opzione disponibile per ottenere giustizia climatica.

◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 27
Le Anziane per il clima sul treno per Strasburgo. Le copresidenti: Anne Mahrer (seduta a sinistra) e, in piedi al centro, Rosmarie Wydler-Waelti. (Keystone) Luca Beti

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Cooperazione transfrontaliera

Basilea brilla, il Ticino meno

L’intervista ◆ Un libro di recente pubblicazione analizza la situazione delle tre principali aree di frontiera svizzere. La parola ad Oscar Mazzoleni

Duelli epici in casa, un occhio all’Europa

Confederazione ◆ Due populismi a confronto in attesa delle elezioni Ue. La destra avanzerà?

«La regione dell’Alto Reno è considerata la culla della cooperazione transfrontaliera in Europa. Si tratta di un’area a cavallo di tre Paesi – Germania, Francia e Svizzera, in particolare Basilea Città – che dagli anni Sessanta del Novecento ha sviluppato una collaborazione intensa e articolata, istituzionalmente riconosciuta, che coinvolge una moltitudine di attori sia pubblici sia privati. Questa esperienza ha mostrato modalità praticabili per risolvere problemi comuni, migliorando la qualità di vita dei cittadini che vivono a cavallo della frontiera». A parlare è Oscar Mazzoleni, professore di Scienze politiche e direttore dell’Osservatorio della vita politica regionale all’Università di Losanna, curatore insieme ad Andrea Pilotti della raccolta di saggi La cooperazione transfrontaliera. Problemi e attualità (Dadò editore, marzo 2024) che sarà presentata il 13 maggio alla SUPSI di Mendrisio nell’ambito degli incontri pubblici dell’associazione Coscienza svizzera.

Basilea Città è un centro di rilievo europeo con le sue industrie farmaceutiche e chimiche, attrattore di manodopera qualificata

Il libro non si concentra solo sul virtuoso caso di Basilea, ma anche su quello ginevrino e sul Ticino, ossia le altre due principali aree urbane di frontiera della Svizzera. La scelta è dettata dall’esigenza di capire meglio la differenza tra i concetti di integrazione e di cooperazione. «L’integrazione transfrontaliera – dice Mazzoleni – è un fenomeno che investe l’economia, la società, la cultura e riflette intensi scambi economici e la forte mobilità delle persone. La cooperazione guarda invece alle dimensioni associative e istituzionali, ossia al fatto che molteplici attori si impegnino in modo più o meno coerente ed efficace per risolvere problemi comuni a cavallo della frontiera. L’integrazione è per molti versi la condizione di una possibilità di cooperazione transfrontaliera, poiché rende espliciti i problemi comuni, ma non sempre le relazioni si tramutano in cooperazione. Ciò che osserviamo nel libro è che Basilea, Ginevra e Ticino hanno

sviluppato diversi gradi di capacità in ambito cooperativo». Si tratta di tre realtà altamente integrate caratterizzate da un forte flusso di persone (lavoratori e consumatori), beni e servizi che le modellano. Tuttavia – spiega l’esperto – nei primi due casi si tratta di centri urbani ed economici elvetici che fanno da polo attrattivo per l’intera area. Basilea città, ad esempio, è un centro di rilievo europeo con le sue industrie farmaceutiche e chimiche, attrattore soprattutto di manodopera altamente qualificata proveniente da Germania e Francia. Questo riconoscimento ha favorito la dimensione cooperativa a più livelli nell’Alto Reno, dove sono presenti e attive molte strutture che si adoperano in questo senso come l’ETB, l’AggloBasel, la Conferenza dell’Alto Reno, e Regio Basiliensis che coinvolgono istituzioni pubbliche e molte associazioni economiche e sindacali. Esse guidano le discussioni, stabiliscono priorità e negoziano importanti progetti transfrontalieri.

«Ci può poi essere integrazione con poca cooperazione», osserva Mazzoleni. «In un certo senso è il caso del Ticino, dove l’economia è integrata ma vige una logica competitiva o persino conflittuale che alle volte emargina la volontà cooperativa. Non aiuta il fatto che l’area insubrica non ha un solo polo ma una moltitudine di centri che si contendono la capacità attrattiva: Lugano, Varese, Como ecc. Inoltre ci sono elementi di incertezza legati al peso elevato dell’economia ticinese a basso valore aggiunto, la spinta verso il basso dei salari, la competizione diretta in alcuni settori (pensiamo a cosa succede per il personale infermieristico), i persistenti problemi di mobilità ecc.». Diversamente dall’area basilese e ginevrina, la cooperazione transfrontaliera insubrica si regge essenzialmente sull’omonima associazione di diritto privato che ha spazi di manovra limitati per affrontare le sfide comuni. E quando i problemi sul tappeto non sono risolti, le controversie politiche tendono a prendere il sopravvento. Osserva Mazzoleni: «A Basilea le relazioni transfrontaliere non sono quasi mai oggetto di divisione politica. Tutti gli schieramenti politici danno per scontato che la cooperazione sia un’opportunità e non un problema. Anche a Ginevra questa vi-

sione è preponderante, anche se non sono mancate puntuali mobilitazioni politiche sulle questioni transfrontaliere. In Ticino, invece, sappiamo della forte politicizzazione negli ultimi venti anni su temi quali i ristorni o sulla fiscalità dei frontalieri».

In Ticino l’economia è integrata ma vige una logica competitiva o conflittuale che emargina la volontà cooperativa

Ma è proprio la politica che può spingere sulla cooperazione o, al contrario, ostacolarla. «Nemmeno a Basilea e Ginevra è tutto scontato», afferma Mazzoleni. «C’è piuttosto un’ampia volontà politica che è stata capace, nel corso degli anni, di affrontare e risolvere i problemi. Se invece non ci sono enti e strumenti forti e riconosciuti sul territorio, preposti appunto alla cooperazione transfrontaliera, ecco che si deve attendere la Confederazione e la politica romana, i tempi si allungano, tutto diventa più complicato. Lo abbiamo visto, fra l’altro, con il collegamento tra Mendrisio e Malpensa o più di recente in merito all’accordo sulla fiscalità che ha richiesto poco meno di dieci anni per essere approvato in via definitiva».

Anche il fatto di non appartenere all’Ue ostacola la cooperazione? «La non appartenenza non è un ostacolo in quanto tale – osserva l’intervistato –ma questo non ha sicuramente spinto verso la creazione di basi legali per favorire un concetto comune di cooperazione nelle diverse regioni svizzere di frontiera. Inoltre, come si spiega nel libro, quando la Confederazione sostiene progetti transfrontalieri co-finanziati dall’Unione europea predilige in modo esclusivo lo sviluppo economico, tralasciando aspetti culturali, giuridici e sociali che fanno spesso da premessa indispensabile affinché i progetti di carattere economico possano funzionare sul lungo periodo».

Informazioni

Il libro La cooperazione transfrontaliera. Problemi e attualità (Dadò editore, 2024) verrà presentato il 13 maggio alla SUPSI di Mendrisio, Aula magna DCAD, alle ore 18.

Osservando e scomponendo il voto dello scorso 3 marzo sulla tredicesima AVS, alcuni analisti sono giunti alla conclusione che nell’agone si sono urtati due populismi: uno di destra e uno di sinistra. Il primo, sulla scena da oltre un trentennio – per alcuni dal rifiuto di aderire allo Spazio economico europeo (6 dicembre 1992) – ha costruito i suoi successi sull’anti-europeismo e sulla necessità di arginare l’immigrazione. Lo ha fatto lanciando a ripetizione iniziative che prendevano di mira lo straniero, considerato una minaccia sia in ambito socio-economico (concorrenza sleale sul mercato del lavoro), sia nel campo della sicurezza (criminalità) e sia, infine, nella sfera culturale e religiosa (minareti, burqa). Opposta la strategia della sinistra, che invece ha profuso le sue forze nell’estensione dei diritti civili (matrimonio per tutti) e nella difesa delle minoranze etniche presenti sul territorio. Nessuna vittoria, per contro, nelle campagne che le derivavano dal suo collaudato corredo genetico: la socialità (cassa malati) e la riduzione delle disuguaglianze sociali (iniziativa per salari equi).

Un populismo, per essere tale, abbisogna di un leader, di una personalità forte. Al rilancio della destra nell’ultima decade del secolo scorso (Udc, Azione per una Svizzera neutrale e indipendente) contribuì energicamente Christoph Blocher, che sull’onda della costante ascesa elettorale del suo partito riuscì, nel 2004, a varcare la soglia del Consiglio federale (dove comunque rimase poco, fino al 2007). Nel corso dei suoi celebri appuntamenti all’Albisgütli, Blocher non mancava mai nella sua furente polemica anti-Ue di riesumare precedenti storici: Guglielmo Tell, l’arciere che non si era inchinato al balivo foresto incitando i territori primitivi alla rivolta anti-asburgica; e i fanti della battaglia di Marignano, che seppur sgominati dai francesi gettarono le basi di una neutralità perpetua. Forzature evidenti, fondate su leggende e deformazioni, ma che fecero breccia nell’elettorato che se ne infischiava delle dotte sottigliezze degli storici. Bastava credere nel mito e sognare una Svizzera-Sonderfall autosufficiente, ostile a ogni normativa emanata da Bruxelles.

L’antagonista di Blocher, almeno in quest’ultima occasione, è stato un sindacalista vecchio stampo: Pierre-Yves Maillard, vodese, cresciuto in una famiglia di condizioni modeste,

fedele alla tradizione laburista della socialdemocrazia storica, quella attenta ai salari, al potere d’acquisto dei ceti inferiori, alla salute dei lavoratori. Il suo idolo è un altro eroe medievale: Robin Hood, il ribelle che toglieva ai ricchi per dare ai poveri. Tradotta in termini moderni, questa linea mira a tassare gli extraprofitti delle grandi aziende (Robin Hood Tax) e a prelevare una microtassa dalle transazioni finanziarie (una vecchia proposta risalente alle idee dell’economista inglese premio Nobel James Tobin). A livello internazionale (Paesi Ocse) questo indirizzo ha portato all’introduzione, dal gennaio scorso, della Global Mininum Tax intesa a colpire le grandi aziende multinazionali con un’aliquota sull’utile netto del 15%.

Nei confronti dell’Europa e delle sue direttive, sia Blocher sia Maillard nutrono sospetti e rimangono guardinghi

Nei confronti dell’Europa e delle sue direttive, sia Blocher sia Maillard nutrono sospetti e rimangono guardinghi. Certo, sulla base di motivazioni molto diverse. Per Blocher la Commissione europea è un mostro burocratico da infilzare con una picca; per Maillard è un cavallo di Troia che attraverso politiche liberiste persegue l’obiettivo di destabilizzare il mercato del lavoro e di indebolire lo strumento della contrattazione collettiva. In queste settimane sono ripresi i negoziati tra la Svizzera e l’Ue. Ma la partita decisiva si giocherà all’indomani delle elezioni europee, in agenda dal 6 al 9 giugno. Solo allora si comprenderà l’entità del cambiamento che si profila nella composizione del Parlamento di Strasburgo e quale sarà il colore politico che i neodeputati conferiranno alla Commissione, ora guidata dalla tedesca Ursula von der Leyen (che si ripresenta). Gli osservatori si aspettano una vigorosa sterzata a destra e quindi un ridimensionamento delle politiche progressiste in campo sociale e ambientale, sostituite da una ripresa degli investimenti nel settore bellico e probabilmente nel nucleare civile. Si prevede dunque che Robin Hood avrà vita difficile nel chiamare alla cassa i grandi capitali che, a differenza dei lavoratori, sono sfuggenti e allergici alle frontiere nazionali.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 29
Romina Borla Frontiera di Chiasso. (Keystone) Pierre-Yves Maillard e Christoph Blocher a Zurigo, gennaio 2024. (Keystone)
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Come finanziare le spese sociali

Berna ◆ Trovare le risorse per la tredicesima AVS e per altre iniziative in discussione, non è evidente. Alcune strade percorribili

Con il voto dello scorso 3 marzo sulla tredicesima AVS il popolo svizzero ha accettato un’iniziativa costosa per l’ampliamento dello stato sociale. Già nel primo anno di applicazione saranno necessari 4,1 miliardi di franchi che diventeranno, cinque anni dopo, 5 miliardi di franchi l’anno. In seguito saranno necessari più soldi rispetto a quelli di cui potrà disporre il Fondo AVS. Ma questo è solo uno dei problemi che la Confederazione sarà chiamata a risolvere sul piano finanziario se dovrà, come prevede la Costituzione, avere un bilancio in equilibrio e, in molti casi, rispettare i dettami del freno alla spesa. Non solo, ma se l’intervento dello Stato dovesse continuare al ritmo delle richieste, non avrà molte scelte se non di risparmiare laddove si può, oppure di aumentare tasse e imposte.

I sostenitori dell’iniziativa hanno infatti pronte altre richieste, a partire da quella in votazione il 9 giugno, che chiede un ampliamento dei sussidi per le casse malati, in modo da far pagare a tutti un massimo del 10% del reddito famigliare; o quella che chiede lo stesso tetto massimo per la cura dei figli (Iniziativa sugli asili nido). La prima costerà 5,8 miliardi all’anno (di cui 4,7 a carico della Confederazione), mentre per la seconda si stimano 2 miliardi all’anno, entrambe in crescita negli anni futuri. A queste si devono aggiungere altre due iniziative che chiedono la costituzione di un fondo per il clima. L’esigenza è quella di un contributo annuo dallo 0,5 all’1% del Prodotto interno lordo, il che equivale da 3,9 fino a 7,8 miliardi di franchi all’anno. Questa spesa non dovrebbe essere soggetta al freno, per cui provocherà un pari indebitamento netto della Confederazione.

In totale, la spesa a carico della Confederazione salirebbe così a circa 20 miliardi di franchi all’anno. Da non dimenticare poi l’iniziativa dei Giovani socialisti che chiede pure misure per il clima e prevede anche il finanziamento mediante un’imposta sulle eredità. Lo stesso Consiglio federale prevedeva già – senza queste iniziative – un fabbisogno supplementare di 3-4 miliardi di franchi per la gestio-

ne corrente, per cui l’onere provocato da queste iniziative viene definito «insopportabile» dal Consiglio per l’economia, la Società e lo Stato.

Gli iniziativisti fanno però notare che non si deve considerare solo il costo di ogni iniziativa ma valutare anche i benefici che genera. Per esempio più soldi ai pensionati significa aumentare il loro potere d’acquisto, lo stesso vale per la riduzione dei premi di cassa malati. Più soldi per la cura dei figli può significare più posti di lavoro soprattutto per le donne. Per il clima si tratta di investimenti che creano lavoro e, quindi, anche più soldi per le casse pubbliche. Solo a lungo termine si vedrà se i benefici supereranno i costi. A breve e media scadenza si vedono solo due uscite: risparmiare in altri settori o aumentare oneri e imposte su cittadini e aziende.

Restando nel ristretto campo del fisco, gli specialisti distinguono fra diversi tipi di imposte: quelle buone e quelle meno buone. Buone sono quelle che forniscono stimoli all’economia, sia negli investimenti, sia nei consumi, oppure (come nel caso AVS) hanno un impatto redistributivo. Tra i vari tipi di imposte si possono considerare le tasse di successione, l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta sul reddito, l’imposta sulla sostanza, l’imposta sugli utili aziendali. Definizioni date qui in ordine di importanza (da debole a forte) dell’impatto che possono avere sull’economia.

A livello politico si riparla dell’imposta sulle transazioni finanziarie. Su un postulato del Consiglio degli Stati, il Governo si dice molto scettico, tanto più che un’iniziativa analoga nel 2021 non era riuscita a raccogliere un numero sufficiente di firme. Ma la Svizzera preleva già imposte particolari su alcune operazioni del mercato finanziario. Fra queste la tassa sulla compra-vendita di titoli. Nel 2022 questa tassa ha prodotto 1,5 miliardi di franchi. In più vi è una tassa dell’1% sulla costituzione di nuovi capitali propri delle aziende, che ha pure fruttato un miliardo di franchi. Queste imposte non hanno un impatto diretto sulla produttività dei contribuenti, per cui attirano anche

qualche simpatia e potrebbero sostituire quelle che esonerano dal pagamento dell’IVA. Lo sono il credito, il traffico dei pagamenti e il commercio di titoli. Quest’ultimo sopporta già una tassa e, in generale, la Svizzera deve stare attenta a non provocare fughe dal suo mercato finanziario, già indebolito da altri fattori. L’esperienza è già stata fatta con una tassa sul commercio dell’oro, che aveva fatto partire quasi tutto questo mercato verso Londra. Anche la Svezia aveva provato a introdurre una tassa sul mercato azionario che aveva provocato la fuga di queste operazioni, per cui è stata subito abolita.

Proprio per il finanziamento dell’AVS è pendente presso il Consiglio nazionale un postulato (già accettato dagli Stati) che chiede una tassa sulle transazioni finanziarie. Il Consiglio federale è piuttosto scettico e un’iniziativa analoga (estesa anche al traffico dei pagamenti) è già stata respinta. Lo scetticismo è giustifica-

to dal fatto che la sua introduzione non garantirebbe un maggior gettito fiscale, ma potrebbe sortire l’effetto contrario. Proprio per questo, durante la revisione della legge sull’IVA non ha voluto accettare la soppressione delle eccezioni sul mercato del denaro e dei capitali. Un altro rimprovero può essere visto nel fatto che potrebbe provocare un freno agli investimenti e, quindi, un danno all’economia e rallentare la crescita. L’idea di colpire i «ricchi» e gli «speculatori» gode però di una certa simpatia. Una recentissima inchiesta, svolta dalla YouGov per conto del domenicale della «NZZ», dimostra che ben il 64% degli intervistati sarebbe favorevole a un’imposta sulle transazioni finanziarie. Il 51% sarebbe favorevole a risparmi sul militare, il 48% a risparmi sull’aiuto allo sviluppo, il 40% a una tassa nazionale sulle successioni e solo il 27% a un aumento dell’IVA, il 24% all’aumento dei contributi AVS e solo il 20% all’au-

mento dell’età di pensionamento. Interessanti anche le opinioni sull’accettazione dell’iniziativa 13esima AVS. La maggior parte degli intervistati dice che serve a lottare contro la povertà degli anziani (75%). Il 64% a combattere il rincaro dei prezzi, degli affitti e dei premi di cassa malati. Il 31% che serve a ridurre le disuguaglianze sociali, il 30% a migliorare le rendite delle donne, il 26% perfino a rinforzare lo scopo sociale dell’AVS, il 20% ad alleggerire gli oneri dei pensionati, il 15% dice che l’AVS ha mezzi sufficienti.

Il 33% dice che la Confederazione ha soldi per tutti (per esempio banche, Covid ecc.). La misura in cui queste opinioni si confermeranno in Parlamento renderà più o meno difficile il compito del Consiglio federale, che ha già proposto di finanziare la 13esima AVS sia mediante un aumento del contributo sui salari da solo o accompagnato da un nuovo aumento dell’IVA.

Desidero controllare meglio le mie finanze.

Quanti conti bancari dovrei avere?

La consulenza della Banca Migros ◆ L’ideale è distribuire il denaro sul conto privato per le entrate e le spese correnti, sul conto di risparmio per accantonare risorse e sul conto pilastro 3a in vista della previdenza per la vecchiaia

L’ideale è distribuire il proprio denaro su almeno tre tipi di conti. Per lo stipendio, la pensione o altre entrate periodiche serve un conto privato (conto 1), tramite il quale effettuare le operazioni bancarie quotidiane o i pagamenti. A seconda della banca, le commissioni per la tenuta del conto variano o sono addirittura nulle. È quindi consigliabile confrontare le offerte per individuare le condizioni migliori.

Normalmente i conti privati non generano proventi da interessi. Ecco perché è opportuno trasferire tutto il denaro che non serve per le spese giornaliere su un conto di risparmio (conto 2), magari impostando a tal fine un ordine permanente mensi-

le. Con questa operazione il denaro viene trasferito automaticamente dal conto privato al conto di risparmio, di conseguenza è più facile mettere fondi da parte. Il tasso d’interesse attuale per il conto di risparmio è pari o superiore a mezzo punto percentuale (a seconda della banca e del prodotto di risparmio). In tal modo è possibile risparmiare per obiettivi a breve termine, ad esempio per le prossime vacanze estive o per coprire spese impreviste. Si raccomanda di aprire, possibilmente per ciascun obiettivo di risparmio, un conto di risparmio separato con un’apposita nota («Vacanze», «Imposte» ecc.): questo semplificherà l’allestimento del budget. Presso la Banca Migros si possono

aprire i necessari conti di risparmio senza dover sostenere altri costi.

Attenzione: per i conti di risparmio, gli ordini di pagamento sono soggetti a commissioni e il numero di prelievi gratuiti è limitato. Pertanto è meglio tenere sul conto privato il denaro per saldare le fatture.

Se si desidera costituire un capitale di risparmio da destinare alla previdenza individuale per la vecchiaia, consigliamo di effettuare versamenti regolari su un conto pilastro 3a (conto 3). Oltre a generare interessi, questo conto ha soprattutto vantaggi fiscali: i capitali del pilastro 3a sono infatti interamente deducibili dal reddito imponibile fino all’importo massimo annuo. Nel 2024 l’impor-

to massimo per i dipendenti affiliati a una cassa pensioni è di 7056 franchi. Se la somma risparmiata nel pilastro 3a è di circa 50’000 franchi, è opportuno aprire un altro conto 3a, così da poter prelevare in seguito l’avere di vecchiaia in modo scaglionato e risparmiare nuovamente sulle imposte.

Consiglio

Per ottenere proventi più elevati si consiglia di investire a lungo termine una parte del patrimonio in azioni o obbligazioni. Con un deposito della Banca Migros (conto 4) si possono custodire tutti i propri titoli in modo semplice, sicuro e conveniente.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 31
Sven Illi, consulente della Banca Migros. Ignazio Bonoli
La tredicesima AVS è una mossa costosa ma gli iniziativisti mettono l’accento sui benefici: più soldi agli anziani significa aumentare il loro potere d’acquisto. (Sofia
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Cina, un sistema sempre più chiuso

Reportage ◆ Tutto passa da app digitali che aumentano l’efficienza ma anche il potere di vigilanza delle autorità sulla popolazione Federico Rampini

Se non fossi stato invitato in Cina dall’ambasciata italiana, per tenervi un ciclo di conferenze su Marco Polo a 700 anni dalla morte, non sarei sopravvissuto un solo giorno. Mancavo dal 2019. La pandemia ha trasformato la Repubblica popolare in un «sistema chiuso». Quel gigantesco esperimento di controllo sociale attraverso le app digitali, che era stato operato per ragioni sanitarie, è diventato permanente anche dopo il Covid. Le conseguenze sono enormi, in molti campi. Da un lato c’è un guadagno di efficienza, oggi i cinesi liquidano con gran facilità la maggior parte delle transazioni e pratiche quotidiane con una app sul cellulare: sono ben più avanti di noi. D’altro lato questo aumenta il potere di vigilanza delle autorità su di loro. Infine rende quasi impossibile il turismo straniero, perché se non hai una app cinese collegata a un conto bancario locale o a una carta di credito sempre autoctona, è diventato quasi tutto impossibile: pagare un ristorante o un taxi, prenotare un treno o un museo. Sul treno ad alta velocità da Pechino a Shanghai ho visto uno straniero tentare invano di comprare una bottiglietta d’acqua: la sua carta di credito occidentale è stata cortesemente respinta.

Durante la pandemia la Cina si è svuotata di molti espatriati, soprattutto manager di multinazionali occidentali, e pochi sono tornati. Se la cava anche senza. I suoi «campioni nazionali», da Huawei a Build Your Dreams (auto elettriche) imparano a innovare da soli.

Smog pestilenziale adieu

In Cina ho vissuto cinque anni, dal 2004 al 2009. Una volta tornato in America ho continuato a visitarla con assiduità, spesso aggregandomi alla carovana dell’Air Force One in occasione di visite presidenziali. L’ultimo soggiorno fu nell’estate 2019. Ho saltato l’intera pandemia e anche più. Dopo un libro intitolato Fermare Pechino la concessione del mio visto non era scontata. Ma Xi Jinping ha fatto un gesto inusuale verso di noi, quasi a dimostrare che non ci tiene rancore dopo l’uscita dalle Vie della Seta. L’Italia con Germania e Francia fa parte di un suo esperimento recente: libertà d’ingresso senza visto per viaggiatori che restino non oltre quindici giorni. M’infilo nell’opportunità, per una volta il mio passaporto italiano mi serve più di quello americano. Nelle quattro città che ho attraversato – Pechino, Shanghai, Canton, Hong Kong – i cieli erano abbastanza azzurri e l’aria respirabile. È lontano il ricordo dello smog pestilenziale in cui ero immerso vent’anni fa. Questa Cina raccoglie frutti di operazioni avviate da tempo: allontanamento di fabbriche dalle metropoli, messa al bando del carbone dal riscaldamento urbano. L’emissione complessiva di CO2 continua ad aumentare, però Pechino spesso ha un’aria meno inquinata di Milano. L’auto elettrica avan-

za a vista d’occhio: nel 2019 vedevo molte Tesla, oggi prevalgono le marche locali. La più importante è Byd che sta per Build your dreams (costruisci i tuoi sogni). Scena inaudita accaduta all’ultimo salone dell’automobile di Shanghai: lo stand della Byd era assediato da tecnici della Volkswagen in venerazione. Un mondo alla rovescia. Vent’anni fa la tecnologia tedesca godeva di un prestigio tale fra i cinesi, che questo mercato sembrava una conquista perenne per il «made in Germany». Oggi la Byd si può permettere innovazioni che ci fanno sognare. A Shanghai i tassisti con auto elettrica non hanno più il problema della ricarica alle colonnine: la Byd ha

stazioni di servizio che sostituiscono in pochi minuti la batteria scarica con una carica. Può sembrare costoso altrove, non in Cina che ha un monopolio mondiale e una sovrapproduzione di batterie.

Vent’anni fa Pechino, Shanghai, Canton erano invase da un mare di Audi… La progressiva ritirata del «made in Germany» è parte di un fenomeno più ampio. Una diplomatica occidentale riassume l’umore fra i manager delle aziende multinazionali: «Molti pensano di avere gli anni contati. I cinesi lasceranno loro spazio solo finché ne avranno bisogno. Ma prima o poi verranno sostituiti da produttori locali». L’alta disoccu-

pazione giovanile (21% secondo i dati ufficiali) è frutto di una divaricazione tra aspettative e realtà: troppi neolaureati hanno inseguito il sogno di un posto qualificato e ben pagato, il mercato del lavoro offre tanto precariato e mansioni operaie. Spesso i genitori sostengono le aspirazioni dei figli, preferiscono mantenerli in casa e risparmiare loro umiliazioni. È nata anche qui una generazione di «sdraiati» (sul sofà di casa, con una consolle di videogame in mano) e un’ironia amara su una nuova professione giovanile, «figli per sempre».

Prezzi stracciati

Gli stessi genitori si sentono impoveriti per un’altra ragione: hanno fatto mutui per comprare case il cui valore continua a scendere per la crisi dell’edilizia. I consumi ristagnano. La cosa ci riguarda tutti. Questa Cina sta già esportando i suoi problemi in Occidente. L’export di prodotti «made in China» è più aggressivo che mai. Sul mercato americano le vendite cinesi dall’inizio dell’anno sono aumentate del 7% in valore ma del 30% in quantità: siamo inondati di prodotti a prezzi stracciati, Pechino deve smaltire eccessi di produzione. A Shanghai ho avuto incontri con imprenditori e investitori cinesi, un campionario del

capitalismo locale. Mi ha colpito la frequenza con cui mi interrogavano sullo stato delle finanze pubbliche a Washington. Perché i ricchi cinesi sono così preoccupati dal bilancio pubblico americano?

Inquietudine sistemica

Nell’ultimo semestre il deficit del bilancio federale statunitense è salito a 1’064 miliardi di dollari, trainato da un aumento del 10% nella spesa pubblica per la sanità (sì, al contrario degli stereotipi, esiste una sanità pubblica anche negli Stati Uniti), del 9% nella spesa per le pensioni, e del 43% nella spesa per gli interessi sui titoli del Tesoro. Il debito pubblico americano l’anno scorso ha superato il 120% del Pil. Il deficit ha superato il 6% del Pil.

I cinesi che ho incontrato a Shanghai hanno ragione ad essere preoccupati. Anzi, hanno più di una ragione. Di sicuro una parte dei loro patrimoni sono investiti in dollari, molti di loro hanno anche una seconda casa negli Stati Uniti, magari una green card, e qualche figlia o figlio che studia in una università americana. Quindi c’è una preoccupazione «personale». Ma credo sia ancora più importante per loro una inquietudine di tipo sistemico. L’America è il primo mercato di sbocco per le esportazioni cinesi. La salute dell’economia Usa inoltre influenza il resto del mondo, a cominciare dall’Europa. Se gli Stati Uniti dovessero subire tensioni legate a un eccessivo deficit e debito pubblico, le ripercussioni negative sulla Cina sarebbero automatiche, anche attraverso l’aumento dei tassi.

Informazione limitata

Infine una considerazione sul crollo di giornalisti stranieri. Una quantità crescente dell’informazione sulla Cina oggi viene fatta da persone che non vi risiedono. La colpa è del Governo cinese che nega o raziona i visti. Il risultato è che molti scrivono su questo Paese attingendo a fonti americane, europee, non necessariamente ben disposte.

L’Occidente intero subisce un deterioramento nella qualità della sua informazione e delle sue analisi sulla Cina: la seconda superpotenza militare e tecnologica, la seconda economia mondiale dietro gli Stati Uniti, la prima potenza industriale ed esportatrice del pianeta, nonché un colosso da 1,4 miliardi di abitanti, erede di una civiltà con tremila anni di storia. Una informazione limitata, scadente o inficiata da pregiudizi sulla Cina può condurci a sbagliare le nostre previsioni e a prendere a nostra volta decisioni errate. È un problema serio che ci riguarda tutti: operatori economici, leader politici, classi dirigenti, professionisti e accademici occidentali, siamo tutti bisognosi di informazioni accurate. Non per colpa nostra, stanno diventando merce rara.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 33
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da Pechino e, sotto, stabilimento dove si producono auto elettriche a Changzhou. (Keystone)

Nell’impero del Barolo

Economia e storia ◆ Origini e prospettive della prestigiosa azienda vinicola

Alfio Caruso

Cannubi è una grossa collina, che si erge poco prima di Barolo, comune di 600 abitanti, il cui nome però è conosciuto in ognuno dei Continenti grazie al leggendario vino. E assieme alla Langa del Barolo è considerato un Patrimonio dell’Umanità. Il Barolo è figlio di vigne che crescono su un terreno emerso dieci milioni di anni addietro, la cui composizione, argille miste a sabbie finissime e calcare, risulta irripetibile in ogni altra parte del mondo. I filari mutano dal grigio venato di blu al giallastro. Con il miracolo dello sdoppiamento: dalle stesse uve Nebbiolo, spesso a minima distanza, nasce anche il Barbaresco: l’altra faccia, e che faccia, del Barolo. Il tutto intorno ad Alba, ben felice di rappresentare un’attrazione mondiale in grado di accoppiare questi nettari alla Nutella della famiglia Ferrero. A consacrare la specificità di Cannubi il dieci e lode assegnato al Barolo Cannubi riserva 1752, annata 2016. Il titolare del marchio è il mancato sindaco di Torino, Paolo Damilano, del centrodestra, battuto a sorpresa da Stefano Lorusso. La sconfitta gli ha consentito di dedicarsi alla prestigiosa azienda vinicola fondata dal padre. Non stupisce allora la notizia circolata con insistenza tra i casali della zona di un’offerta monstre: 5 milioni di euro per un ettaro di vigneto. Si sussurra di fondi americani pronti a un massiccio investimento e di una proprietà italia-

na ancora incerta se accettare o meno. E dire che quando mezzo secolo addietro Bruno e Marcello Ceretto, la più famosa dinastia del Barolo, scommisero sulle Langhe ogni ettaro costava sui 50 milioni di lire (circa 600mila euro). I due fratelli, i cui genitori avevano avviato l’attività a metà degli anni Trenta, si rivolsero alle banche locali e con un mutuo finanziarono l’acquisto di vaste tenute. Se lo sono ripagato con i proventi crescenti delle vendite. Oggi i Ceretto possiedono 170 ettari di vigneti che si estendono tra Langhe e Roero, 4 cantine, 17 vini prodotti, 150 collaboratori tra vigna, cantina e ufficio, 5000 clienti suddivisi in enoteche e ristoranti italiani ed esportano in 60 Paesi. Si consentono il lusso di far realizzare le etichette a Silvio Coppola, un famoso designer degli anni Ottanta, e finanziano nel 1999 la rinascita dell’antica Cappella di Santissima Madonna delle Grazie. Furono chiamati a trasformarla Sol LeWitt, che si occupò del rifacimento esterno, e David Tremlett, che ridipinse tutto l’interno. Nacque così, in uno stile tratteggiato con vari giochi di colori e contraddistinto da una trama variopinta, la Cappella del Barolo, meta ogni anno di circa cinquantamila visitatori.

Una storia infinita quella del Barolo, iniziatasi attorno al 500 a.c. con la popolazione dei Liguri Stazielli:

piantarono le prime rudimentali vigne. Fra i principali estimatori i Galli, la cui conquista dei territori d’Oltralpe venne motivata anche con la predilezione per il vino qui prodotto. La prima citazione dell’uva Nebbiolo è legata all’arrivo nel 1250 della famiglia Faletti, potenti banchieri esponenti della nuova borghesia: comprarono tutti i possedimenti di Barolo dal comune di Alba e ne segnarono il destino. Nel 1268, in alcuni documenti storici redatti e conservati al castello di Rivoli, venne menzionato il «Nibiol». La coltivazione di questa uva e il vino da essa ricavato ebbero un maggiore sviluppo durante il periodo rinascimentale. La vera notorietà giunse nel 1751 quando un gruppo di diplomatici piemontesi spedì a Londra alcune casse di «Barol»: il grande successo del vino coinvolse pure il futuro presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson, in viaggio diplomatico in Europa. L’apprezzò al punto da citarlo nei diari: «Quasi amabile come il Bordeaux e vivace come lo Champagne». In quegli anni, infatti, il Barolo era un vino dolce e frizzante in conseguenza della diversa fermentazione poiché non si sapeva ancora come trasformare in alcol tutti gli zuccheri contenuti nel mosto.

A modificarlo fu un’erede dei Faletti, la marchesa di Barolo Giulia Colbert, discendente del famoso ministro delle Finanze di Luigi XIV.

Grazie ai suggerimenti del grande enologo francese Louis Oudart predispose la costruzione di cantine sottoterra, che crearono un microclima protetto dove il vino potesse invecchiare in modo controllato sviluppando corpo e struttura. Nel 1830 l’invio al re sabaudo Carlo Alberto di 325 botti, una per ogni giorno dell’anno esclusi i giorni di Quaresima, coinvolse anche la corte di Torino. Carlo Alberto ne fu così conquistato da acquistare una tenuta a Verduno. Negli anni successivi un altro grande estimatore divenne il conte di Cavour, il geniale statista che fece del Piemonte il motore della strategia per giungere all’unità d’Italia. Cavour divenne un produttore di Barolo e lo impose nei banchetti ufficiali fino ai festeggiamenti per l’Unità nel 1861 facendo in tal modo di Alba la capitale dell’enologia italiana.

Ottant’anni dopo Alba e le Langhe si sarebbero trovate al centro di un’altra decisiva fase storica: la resistenza contro il tedesco invasore. Come raccontato da Beppe Fenoglio, il più talentuoso scrittore italiano del dopoguerra, ne I ventitré giorni della città di Alba il capoluogo del Barolo assaporò addirittura un’incredibile fase di libertà – dal 10 ottobre al 2 novembre 1944 – prima di ricadere sotto il tacco nazista. In queste terre si combatté in un clima di odio crescente fino all’aprile ’45. Tornati a fare i viticoltori, i partigiani del tempo non dimenticheranno i soprusi subiti, ma saranno ben felici di arrendersi a una seconda invasione germanica, quella che fin dagli anni Novanta porterà decine di migliaia di turisti golosi delle prelibatezze locali e impegnati per una settimana nel giro di cantine ed enoteche.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino ATTUALITÀ 34 It’s Tuca Time! www.tuca-drink.ch Tuca è in vendita alla tua Migros
Annuncio pubblicitario Cappella del Barolo a La Morra, già Cappella di Santissima Madonna delle Grazie trasformata da Sol LeWitt e David Tremlett. (Wikimedia Commons)

«Lapideremo le donne in pubblico»

Afghanistan ◆ Continua ad aumentare la furia dei talebani contro i diritti di una metà del cielo e contro l’Occidente «infedele»

«Voi dite che la lapidazione a morte è una violazione dei diritti delle donne. Ma presto commineremo la giusta punizione per l’adulterio. Fustigheremo le donne in pubblico. Le lapideremo in pubblico. Sono tutte cose che vanno contro i vostri “principi democratici”, ma noi continueremo a farlo. Noi, esattamente come voi, siamo convinti di difendere i diritti umani: ma noi lo facciamo come rappresentanti di Dio mentre voi siete i rappresentanti del diavolo». Non è uno scherzo, ma si tratta di una delle ultime esternazioni del capo del Governo talebano, mullah Hibatullah Akhundzada. Che ha deciso di chiarire una volta per tutte la sua posizione nei confronti degli infedeli in generale e dell’Occidente in particolare. Non pago, difatti, di annunciare il ritorno ufficiale alle punizioni medievali comminate negli anni Novanta dal Governo del mullah Omar, Akhunkzada ha aggiunto: «Davvero le donne vogliono i diritti di cui parlano gli occidentali? Quei “diritti” sono contro la Sharia e contro le opinioni dei mullah, quegli stessi mullah che hanno sconfitto la democrazia occidentale».

Akhundzada ha cancellato l’istruzione femminile in Afghanistan oltre la sesta classe e ha imposto crescenti restrizioni di movimento alle donne

A questo proposito, il talebano si toglie qualche ulteriore sassolino dalla scarpa, invitando esplicitamente i guerrieri talebani a essere inflessibili nell’opporsi ai diritti delle donne e, inviando un messaggio all’Occidente, dichiarando che la guerra contro la democrazia e i valori occidentali continuerà per decenni: «Abbiamo combattuto contro di voi per vent’anni e combatteremo per altri venti e per altri venti ancora contro di voi. Non abbiamo preso Kabul per sederci in ufficio a bere tè, ma per riportare la Sharia nella nostra terra». Così come annunciato ai tempi degli accordi di Doha, in realtà: quando però tutti avevano fatto finta di nulla e, per giustificare l’ignobile ritirata occidentale senza condizioni, avevano propagandato la nuova, amichevole versione dei talebani 2.0 che mangiavano gelati e sorridevano a giornaliste americane. Dopo aver ripreso il controllo dell’Afghanistan nell’agosto 2021, gli «amichevoli ragazzi privati dell’infanzia» di cui tanto parlava la stampa

occidentale, hanno immediatamente mostrato di che pasta erano fatti. Akhundzada ha cancellato l’istruzione femminile in Afghanistan oltre la sesta classe e ha imposto crescenti restrizioni alla partecipazione delle donne nei luoghi di lavoro pubblici e privati, impedendo loro anche di lavorare con le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie. Alle donne è vietato intraprendere lunghi viaggi in auto e in aereo senza l’accompagnamento di un parente maschio ed è loro proibito frequentare luoghi pubblici come parchi, palestre e bagni. Negli ultimi mesi la situazione è ulteriormente peggiorata. Secondo un rapporto dell’Unama, la missione Onu in Afghanistan, il mancato uso del velo (hijab), l’assenza di un guardiano o parente maschio e altre restrizioni imposte alle donne che si recano in luoghi pubblici, uffici e istituzioni scolastiche ha portato alla perdita del posto di almeno seicento donne che ancora lavoravano come operaie. In un caso, si legge nel rapporto, i funzionari del Ministero del vizio e della virtù «hanno consigliato a una dipendente non sposata di una struttura sanitaria di sposarsi o di rischiare di perdere il lavoro, affermando che era inappropriato che una donna nubile lavorasse». E alle donne senza parenti maschi dallo scorso dicembre viene negato anche l’accesso all’assistenza

sanitaria. Non solo. In gennaio sono cominciati gli arresti, centinaia di arresti, ai danni delle donne colpevoli di indossare l’hijab in modo «poco consono».

Alcune famiglie hanno raccontato che la polizia morale ha chiesto ingenti somme per il rilascio delle donne, insieme alle firme dei padri e dei fratelli su un documento in cui si af-

ferma che la signora non sarebbe mai più uscita per strada senza un accompagnatore maschio o un hijab. E però i talebani, che non credono nella democrazia e quindi non hanno alcuna intenzione di consultare in materia il popolo afghano, sostengono per bocca del loro portavoce ufficiale che «le donne afghane indossano l’hijab per scelta, non sono state costrette a farlo, né il Ministero del vizio e della virtù le ha maltrattate. Questa è solo propaganda e lontana dalla realtà». Dimostrando almeno in questo di essere davvero 2.0 e di saper cavalcare l’onda delle ultime tendenze liberal del liberalissimo Occidente. A conclusione di ogni discorso a proposito di violenza, violazione dei diritti umani, sopruso e angheria si appellano difatti al nuovo, intoccabile postulato dell’Occidente illuminato: l’islamofobia, da cui sarebbe dettata ogni critica, e il colonialismo culturale che cerca di cancellare tradizioni e usanze indigene. Non è vero? Non importa. Di scriteriati difensori di tradizioni che non sono tradizioni ma solo imposizioni l’Occidente è pieno. E preme, in nome di altrettanto scriteriate «ragioni umanitarie» perché si riconosca ufficialmente il Governo dei talebani. In fondo, come recitava il titolo di un famoso saggio di Armanda Guiducci, La donna non è gente

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Controlli a tappeto per il rispetto delle regole talebane. Le donne non possono viaggiare senza un accompagnatore maschio. (Keystone)
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Fayzabad, nel nord dell’Afghanistan, tra mitragliatrici e donne velate. (Keystone)

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Che cos’ha di particolare l’acido ossalico contenuto nel rabarbaro?

L’acido ossalico si trova in alcuni tipi di frutta e verdura e il rabarbaro ne contiene in abbondanza. Questo acido può essere velenoso nella sua forma pura. Noi non consumiamo l’acido ossalico puro, bensì prevalentemente sotto forma di sali, i cosiddetti ossalati. Questi provocano una sensazione di intorpidimento sulla lingua e sono poco pericolosi. Tuttavia, se non hai particolari problemi di salute e li assumi in quantità normali, non hai nulla da temere.

Posso mangiare anche le foglie?

È vero che alcune verdure possono essere mangiate «dalla radice alla foglia», ma questo non vale per il rabarbaro: non dovresti mai consumare le foglie, perché contengono molto più acido ossalico dei gambi.

Devo pelare il rabarbaro?

Sì, il rabarbaro andrebbe pelato, poiché anche la buccia contiene più acido ossalico rispetto al resto del gambo. Vale la seguente regola empirica: più i gambi sono vecchi e spessi, più alto è il contenuto di acido ossalico.

Il rabarbaro può essere mangiato crudo?

Sì, è possibile mangiarlo crudo in piccole quantità, per esempio come ingrediente di bevande gassate o come pezzetto intinto nello zucchero in alternativa alle caramelle.

Delizie e segreti Rabarbaro da scoprire

Il rabarbaro è una verdura che può essere consumata fresca solo per pochi mesi. Contiene acido ossalico che è bene consumare in quantità normali

Qual è la stagione del rabarbaro?

Essendo una delle prime verdure primaverili, in Svizzera il rabarbaro è di stagione a partire da aprile. La raccolta avviene tradizionalmente fino al giorno di San Giovanni, il 24 giugno, in modo che le piante perenni abbiano il tempo necessario per riposare fino alla stagione successiva. Le foglie muoiono nel tardo autunno. Il rabarbaro germoglia di nuovo in primavera.

Verde o rosso?

Esistono varietà di rabarbaro verdi e rosse, che si differenziano per il sapore. Quelle verdi hanno un gusto piuttosto aspro. Se preferisci un sapore dolce e delicato, è meglio optare per le varietà rosse. Un po’ di sciroppo di lamponi o qualche lampone congelato conferiscono al dessert un color rosso ancor più vivace.

Come conservare il rabarbaro?

I gambi del rabarbaro fresco sono lucidi e croccanti. Inoltre, le superfici dovrebbero essere ancora leggermente umide. È possibile conservare il rabarbaro avvolto in un canovaccio umido in frigorifero per un massimo di quattro giorni.

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Immagine: Getty Images
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Rabarbaro

Stelle rosse di primavera

Le fragole e il rabarbaro sono i primi accenti di colore della primavera che stuzzicano la nostra voglia di torte e altri dolci

Torta di mandorle e rabarbaro

Per ca. 4 pezzi

1 pasta per crostate nello stampo di 140 g

3 cucchiai di crema di mandorle bianca

1 dl di panna di soia 250 g di rabarbaro

2 cucchiai di zucchero di canna menta per guarnire

Scalda il forno statico e una placca da forno a 200 °C. Bucherella il fondo della torta con una forchetta. Mescola la crema di mandorle con la panna di soia e distribuiscila sul fondo della torta. Taglia il rabarbaro a pezzetti grossolani e spargili sulla crema. Cospargi di zucchero e cuoci la torta al centro del forno sulla placca calda per ca. 35 minuti. Lascia raffreddare. Taglia a fette e guarnisci con la menta fresca.

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Ricetta

a doratura. Con le fragole zuccherate, questo è un pasto dolce.

Alla ricetta

Torta alle fragole e al formaggio fresco

Le fragole fresche e una miscela di formaggio cremoso e quark su una base di mandorle e savoiardi creano un’ottima cheesecake che non necessita di cottura.

Alla ricetta

Tiramisù di fragole e rabarbaro

L’abbinamento da sogno di fragole e rabarbaro conferisce a questo tiramisù una nota di freschezza. Un’attraente variante del classico dessert italiano (vedi pag. 23).

Alla ricetta

Ricetta

Crumble di fragole e rabarbaro

con salsa di fragole

La salsa di fragole è un accompagnamento fruttato e fresco per una mousse ariosa e cremosa con la delicata acidità del rabarbaro. Ideale come dessert in un menu primaverile.

Alla ricetta

Dosi per 4 persone

300 g di fragole

350 g di rabarbaro, ad esempio rabarbaro a polpa rossa

1 bustina di zucchero

vanigliato da 10 g

3 cucchiai di rum

2 cucchiai di miele liquido

2 cucchiaini di amido di mais

100 g di farina bianca

50 g di zucchero

50 g di burro

200 g di doppia panna

1. Preparare le fragole e dimezzarle o tagliarle in quarti a seconda della loro grandezza. Preparare il rabarbaro e tagliarlo a pezzi di circa 1 cm ciascuno. Mescolare le fragole, il rabarbaro, lo zucchero vanigliato, il rum, il miele e l’amido di mais. Mettere da parte. Mescolare la farina e lo zucchero per il crumble. Tagliare il burro a cubetti e aggiungerlo. Sfregare tra le mani fino a ottenere una consistenza friabile e raffreddare

2. Preriscaldare il forno a 180 °C, parte inferiore e superiore. Versare il composto di fragole e rabarbaro in una pirofila. Spargere il crumble sulla superficie. Cuocere al centro del forno per circa 20 minuti. Aumentare la temperatura del forno a 200 °C e cuocere per altri 10 minuti, finché il crumble non sarà leggermente dorato. Togliere e servire con doppia panna.

azione – Cooperativa Migros Ticino MONDO MIGROS 39
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Atto di resistenza

Dialogo tra il poeta palestinese

Mahmud Darwish e la traduttrice israeliana Helit Yeshurun

Pagina 43

La mia Ingeborg

Tore Renberg, scrittore norvegese candidato allo Strega Europeo, racconta il suo romanzo

Pagina 45

Giovanni Battista Viotti

Nel bicentenario della morte ricordiamo il violinista che la sua Vercelli omaggia con una mostra

Pagina 47

«Ognuno sta solo sul cuor della terra»

Puzzle fotografici

Al Kunstmuseum di Lucerna una mostra entra nel cuore degli scatti di Barbara Probst, artista sui generis

Pagina 49

Mostre ◆ Palazzo Strozzi propone un viaggio fantastico nell’opera alchemica di Kiefer in bilico tra anima e corpo

«La memoria non si forma nel momento in cui nasciamo, viene da più lontano, ha in sé esperienze fondamentali che si sono accumulate in migliaia di anni». Così raccontava Anselm Kiefer in una vecchia intervista e le sue parole sembrano risuonare nel cortile di Palazzo Strozzi a Firenze, dove per la mostra: Anselm Kiefer Angeli Caduti, a cura di Arturo Galansino, ci accoglie tra le colonne una enorme tela dal titolo Engelssturz (Caduta dell’angelo, nella foto), sette metri e mezzo per otto metri e più, un incipit e un monito, con Lucifero al centro, immane angelo nero e verdastro che si libra nel bagliore dello sfondo dorato del cielo, forse al tramonto, o all’alba, dopo la battaglia che ha disseminato il terreno di macerie e corpi inceneriti. È un sogno biblico e al contempo alieno che sembra sorgere dalle profondità del palazzo stesso prima di fuggire attraverso quello spicchio di cielo che lo sovrasta. La mostra continua al piano nobile in un’emozionante sequela di immagini, di vetrine d’artista, di tele gigantesche, di storie, di miti che s’intrecciano come tante voci che si rincorrono da una sala all’altra, s’incrostano di colori e di materiali che s’infiammano esaltati dalla foglia d’oro, o si spengono sotto lamine di piombo, di ferro, di pietre e d’argilla. Anselm Kiefer, settantanove anni, artista tedesco osannato in tutto il mondo non c’è a presentare questa sua incursione nel rinascimentale palazzo fiorentino, ma ci sono le sue visioni magmatiche, i suoi «angeli ribelli» in perenne lotta tra il bene e il male, tra cielo e terra, angeli caduti che sono il filo conduttore della mostra.

Sempre Lucifero, domina la prima sala, nel monumentale dipinto dove Luzifer (2012-2023), precipita verso il basso, verso gli altri che giacciono, tuniche vuote e inerti in un oceano verde brumoso, mentre sopra di loro l’ala di un aereo con incisa la scritta «Michele» in ebraico, emerge dalla tela, tagliente e minacciosa, simile alla spada dell’Arcangelo nel dipinto di Luca Giordano al quale si è ispirato l’artista. Ma quell’ala di piombo, così realistica con la quale Kiefer ricorda anche Icaro e la sua ambizione, oltre all’orgoglio sfrenato di Lucifero, rivela come tutti quei rimandi evidenti, o nascosti, scaturiti dalla sua arte e dalla sua memoria di bambino nato sotto i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, si leghino ai nostri stati d’animo in questo periodo fosco e inquietante, in una continua alternanza tra sorpresa, seduzione e malinconia che ci accompagna durante tutta la mostra. Venticinque opere sia storiche sia recenti e una installazione di sessanta dipinti, compongono il viaggio fantastico nell’opera di Kiefer in bilico tra le sensazioni del corpo e gli aneliti e le ribellioni dell’anima attraverso le sale di Palazzo Strozzi.

Uno dei temi ricorrenti nella mostra sono i girasoli, «neri come il firmamento», enormi, che si stagliano come estenuati dal sole abbagliante nel grande quadro ricoperto di foglia d’oro dal titolo Für Antonine Artaud Heliogabale (2023), allegoria dei culti solari di età pagana e della storia dell’imperatore Eliogabalo «sole in terra». Altri, come in Sol Invictus (2023), irradiano poesia e mistero, o, come in Hortus Philosophorum (1997-2011), sorgono dal corpo nudo dell’artista. I girasoli, omaggio a quelli del suo amato Van Gogh, sono altissimi così come lo sono in natura. Si tratta di una varietà speciale che proviene dal Giappone e coltivata nelle serre dell’atelier francese dell’artista, dove i girasoli vengono conservati tra infiniti altri materiali, come il piombo, sua materia d’elezione come lo era per gli alchimisti. Kiefer «archivia» ogni cosa nel suo immenso magazzino, il suo «arsenale», così da poterle usare nei suoi di-

pinti con il loro carico di «vissuto», anche a distanza di anni. «Quando cammino per l’arsenale a tarda notte», – ha raccontato l’artista a Galansino – «si formano delle connessioni tra i singoli oggetti. È come una sinapsi che trasmette stimoli tra cellule nervose e sensoriali». Ed ecco che ogni cosa - dalla filosofia alla letteratura, dalla storia, alle teorie più diverse, comprese alcune di quelle duecento poesie che in gioventù aveva imparato a memoria come «fari in un vasto mare» - attraversa il tempo e, in una sorta di processo alchemico personale, entra nelle sue opere e nelle vetrine d’artista che «come membrane collegano l’arte con il mondo esterno in una relazione dialettica». Qui ritroviamo il mito di Giasone, il vello d’oro, i denti ed i guerrieri invincibili; un ramo di vischio essiccato e un libro di piombo con una strofa tratta dall’Edda (leggende norrene); simboli spirituali, cabalistici, omaggi a filosofi e scrittori.

Ma il culmine della mostra è l’installazione dal titolo Verstrahlte Bilder, spettacolare opera immersiva di sessanta dipinti di diverso formato, che per anni «sono stati esposti a una sorta di «radiazione nucleare» all’interno di un container e sono diventati «temporaneamente meravigliosi». Sono opere degli ultimi quarant’anni (1983-2023), che ricoprono le pareti e il soffitto di una grande sala e che grazie anche ad un lungo specchio centrale, creano la sensazione nel visitatore, di essere in balia dei flutti di un fiume in piena, oppure del caos di una tempesta. Un pungente odore di vernice ci avvolge, e da un quadro sembra che il colore coli lentamente su un altro ubbidendo ad una delle tante leggi di Kiefer: «Non m’interessa la meta raggiunta. I miei quadri non sono quasi mai finiti. Li massacro, li brucio, li espongo alle intemperie. Li rielaboro. La distruzione è parte del processo creativo».

Georges Poncet © 2023 Anselm Kiefer

La mostra si chiude con Simboli Eroici, quattro fotografie stampate su piombo in cui Kiefer, nel 1969, si fece ritrarre in varie località europee vestito con l’uniforme da ufficiale della Werhmacht del padre, mentre solitario, emula con il braccio alzato, il Sieg Heil, il «saluto della vittoria» dei raduni nazisti. Una sequenza, una provocazione che lo rese famoso, una ribellione all’oblio della Germania, che oggi, più di cinquant’anni dopo sembra spegnersi nella melancolia dei versi di Salvatore Quasimodo vergati sul muro bianco: «Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole / ed è subito sera.» che chiudono la mostra.

Dove e quando

Anselm Kiefer. Angeli caduti, Palazzo Strozzi, Firenze fino al 21 luglio 2024. Tutti i giorni 10.00-20.00, gio fino alle 23.00. www.palazzostrozzi.org

CULTURA ● ◆ Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 41
Foto Blanche Greco

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La traduzione letteraria come atto di resistenza

Pubblicazione ◆ È uscita in italiano la conversazione tra il poeta palestinese Mahmud Darwish e la traduttrice

Rientrato in Medio Oriente dopo quasi trent’anni di esilio, il poeta palestinese Mahmud Darwish (un suo «ritatto» nella foto) accetta di incontrare l’israeliana Helit Yeshurun, traduttrice ed editrice, figlia del poeta Avot Yeshurun. L’intervista, tenutasi ad Amman in lingua ebraica, apparirà per la prima volta nel maggio 1996, sul numero 12 della rivista letteraria Hadarìm (lett. stanze), diretta dalla stessa Yeshurun. A ridosso degli accordi di Oslo, due mondi intellettuali, quello arabo-palestinese e quello ebraico-israeliano, fanno da sfondo alla conversazione tra Darwish e Yeshurun che si snoda come un tango appassionato fatto di avvicinamenti e allontanamenti, in una continua tensione tra differenze e similitudini, tra il particolare e l’universale.

Tradurre significa innanzitutto aprirsi al nuovo, al non familiare, a quello che non è immediatamente conosciuto

Pur incarnando la voce letteraria più autorevole della resistenza palestinese, Darwish rifugge l’identificazione assoluta con la militanza politica nelle sinistre, per rivendicare un’indipendenza radicale, politica e poeti-

ca, etica ed estetica. Se l’occupazione israeliana è sinonimo di provvisorietà, quella dell’esilio finisce per diventare una condizione esistenziale della quale è faticoso spogliarsi anche al ritorno in patria. Per sfuggire alla nostalgia e agli infausti destini, non resta allora che fissare la propria dimora all’interno della lingua e della poesia, alle quali Darwish affida il compito ideale di sostituirsi ai confini geografici che delimitano la terra contesa.

Grazie a Francesca Gorgoni, che ne ha curato l’edizione con profonda attenzione e sensibilità, l’intervista è ora disponibile anche in lingua italiana sotto il titolo Con la lingua dell’altro. Oltre a costituire una preziosa operazione estetica, come conferma il dettagliato apparato critico che arricchisce il volume, la traduzione corrisponde ad un vero e proprio atto di resistenza etico-politica esercitato all’interno delle coordinate di spazio e di tempo del conflitto israelo-palestinese.

Tradurre significa aprirsi al nuovo, al non familiare, a quello che non è immediatamente conosciuto e, così facendo, espandere la capacità di immaginare l’umano con effetti riscontrabili nel privato e nel collettivo, a partire dal cambiamento del modo di pensare. Proponendo una traduzione di Mahmood Darwish dall’ebraico, invece che dall’arabo, il tradut-

tore sovverte la forma manifestando la volontà di percorrere sentieri non battuti che consentano di rompere gli schemi rigidi, superare le dicotomie, smussare gli angoli e introdurre fluidità nell’arena culturale e politica.

Dal canto suo, l’italiano può farsi spazio liminale dislocato dove ospitare la negoziazione tra Darwish e Yeshurun, tra palestinese e israeliano, tra arabo ed ebraico. Ma per restiture al palestinese la propria soggettività, reintegrandolo nello spazio culturale condiviso, la lingua terza deve assu-

israeliana Helit Yeshurun

mere su di sé il ruolo di garante etico affrontando una coraggiosa opera di decolonizzazione. Il rischio è infatti quello di venire facilmente sedotti dall’ebraico forbito di Darwish, così come dalle affinità e simmetrie linguistiche e culturali che lui stesso sottolinea ripetutamente nel corso dell’intervista, dimenticando che l’occupato non ha scelta se non imparare la lingua e la cultura dell’occupante, mentre quest’ultimo persiste nell’ignorare «la lingua dell’altro». Solo sottoponendo il testo ad un costante vaglio critico, il traduttore potrà tenere a bada residui di violenza, dinamiche gerarchiche o orientalistiche, di emarginazione, assimilazione o cancellazione dell’altro.

La pubblicazione del presente volume coincide con una drammatica escalation di violenza nei confronti della popolazione palestinese che lascia poco spazio alla speranza di restaurare l’etica umana. Tuttavia, pur nel rispetto dei mutamenti storici intervenuti, è sempre dai testi e dalla lingua che possiamo partire, ricordando che la poetica del traduttore è in grado di aprire nuovi orizzonti al punto di ripensare la politica internazionale anticipandola.

Bibliografia

Mahmud Darwish, Con la lingua dell’altro, Portatori d’acqua, Pesaro, 2024.

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La perdita di Ingeborg

Romanzo ◆ Intervista a

Angelo Ferracuti

Tore Renberg (nella foto) in La mia Ingeborg, finalista al Premio Strega Europeo, usa un linguaggio scarno e diretto, molto ritmico, fatto di frasi brevi e percussive da teatro dell’assurdo. Un monologo costruito abilmente su periodi corti, frasi insistenti e tese come in un thriller, capitoli brevi. L’io narrante è l’anziano Tollak che vive in una casa isolata nella natura incantata di Vestmarka, nell’ovest della Norvegia, vicino all’Oceano Atlantico, dentro un paesaggio dai tratti prepotenti e fiabeschi, dove per tutta la vita ha fatto il falegname costruendo mobili e adesso cura un ragazzo con disabilità mentale, Otto. Probabilmente un figlio illegittimo preso in affido da ragazzino, è considerato da tutti lo scemo del villaggio. Lo scorbutico e sgradevole protagonista malato di cancro, si presenta al lettore in modo schietto precisando «Sono Tollak di Ingeborg», e ancora «appartengo al passato».

Infelice e duro, dal carattere intimamente sprezzante e negativo, vive nel ricordo assillante della moglie con la quale dialoga in assenza dentro e fuori la casa dove abita, mentre è in attesa dei figli Jan Vidar e Hillevi. I due vivono a Oslo, con loro non ha più rapporti se non conflittuali, ma deve confidargli un segreto. Ricorda spesso a sé stesso che «la bottiglia è dentro la credenza. Ci sono passato davanti qualche volta. Mi sono fermato e ho allungato la mano, ma stasera non la tocco», come una voce angosciata della coscienza, perché ha avuto sempre problemi con l’alcol. «Ci sono periodi in cui devo bere. (…) Sento i denti stringersi, anche se non l’ho chiesto io. Vedo le mani contrarsi a pugno, anche se non gliel’ho chiesto io. Stammi lontano, Ingeborg, le dicevo quando venivo travolto da tutto questo», confessa stravolto. Il racconto ossessionato e maniacale di Tollak è tutto mirato su Ingeborg, sulla sua perdita, come se la sua vita fosse stata solo una conseguenza di quella di sua moglie, con la quale ha avuto un rapporto simbiotico, e avesse sempre vissuto di luce riflessa.

Perché ha scelto come forma di racconto il monologo interiore, la confessione, e come ha costruito questo personaggio, Tollak? Da dove nascono la sua rabbia, la sua durezza, l’odio per il mondo circostante, quello che chiama «sangue amaro»? All’inizio è arrivata la sua voce, quella di Tollak, una voce che diceva questo tempo non è il mio, non voglio partecipare al vostro mondo, non voglio vivere con voi. Volete sputarmi in faccia? Fatelo pure. Volete calpestarmi? Calpestatemi, fate quello che volete, non voglio altro che mia moglie Ingeborg, relazionarmi con lei. È una situazione che si ripete quando nasce un mio libro, una voce viene a cercarmi, mi parla, prende forma dentro di me e allora penso: cosa sta succedendo? Che accadrà adesso? Questa cosa mi spinge a interrogarmi e a cominciare a scrivere, a non perdere contatto con quello che dice. Ho afferrato il timbro di questa voce sin dal primo momento, il suo carattere duro, scontroso, il suo essere contro la società contemporanea in modo viscerale, senza compromessi. Mi è sembrata subito molto interessante, molto vera. In quella voce ho sentito qualcosa di autentico e unico ma anche parte di un sentire molto comune, un sentimento di rabbia nei confronti di chi ha in mano il potere, decide e sceglie per gli altri.

Tore Renberg, tra i candidati allo Strega Europeo

Il romanzo ha un’ambientazione provinciale, tutto si svolge in una fattoria isolata tra i boschi di Vestmarka a ovest della Norvegia, un paesaggio forte, molto presente, che incide sull’antropologia dei personaggi. La commedia umana si vede meglio nei microcosmi, nei piccoli paesi? Oppure nei luoghi isolati, decentrati, si sente di più il disagio, la delusione nei confronti di una società in velocissima trasformazione che molti individui non capiscono più?

È così, c’è una distanza molto forte tra la vivacità della città e i luoghi isolati come quello del romanzo, tra centri e periferie, ma credo che la stessa rabbia di Tollak possa provarla anche un giovane che vive in un monolocale a Milano o a Oslo: questo odio, questa estraneità di chi non si riconosce nei valori dominanti si può trovare in qualsiasi posto.

Il titolo del libro La mia Ingeborg già denuncia il lato morboso, possessivo che Tollak stabilisce con sua moglie, la psiche tortuosa del personaggio, il suo mondo mentale visionario, distorto. È lui che la spinge a un rapporto assolutamente esclusivo, a due, allontanandola dal mondo delle relazioni, dagli effetti, qualcosa di molto comune in certi rapporti devianti, pericolosi. Ma è un sentimento sempre ambivalente, perché nonostante questo rapporto si trasformi in un amore tossico, il loro è stato anche un rapporto intenso, simbiotico e carnale, un amore vero.

Qui si coglie qualcosa di importante, nevralgico, questo è proprio il centro di quello che intendevo raccontare. Volevo dimostrare che Ingeborg e Tollak hanno avuto un rapporto amoroso molto stretto, molto profondo, ma poi l’amante fa nei confronti dell’amata delle cose molto negative, molto gravi, arrivando persino a ucciderla. Sia l’autore che chi legge si chiedono come può succedere in una coppia che si ama così tanto una cosa così sconvolgente. Viviamo in società dove sono molti i casi di femminicidio che nascono da rapporti di questo tipo, molto chiusi, autosufficienti, con poche relazioni sociali, e spesso ci chiediamo come è possibile che si possa fare del male proprio alle persone che amiamo di più. Il senso del romanzo è anche questo, sta dentro un interrogativo di questo tipo. Nel caso di Tollak tutto nasce dall’isolamento, dalla distanza dalla vita reale, da questa frattura tra la vita intima,

Voglia di danzare

SmartTV ◆ Un film del regista ticinese Demarchi

Daniele Bernardi

Nessuno nel secondo Novecento ha incarnato lo spirito della danza più di Kazuo Ōno (Hokadate, 1906 –Yokohama, 2010), il grande artista giapponese scomparso all’età di centoquattro anni che non smise di danzare se non poco prima della sua morte. Ma quello che molti non sanno, forse, è che oltre ad aver calcato le scene in modo unico e magico per un tempo lunghissimo, rispetto ai parametri consueti Ōno aveva scoperto tardi la propria vocazione. Infatti egli cominciò a studiare danza verso i trent’anni, dopo essersi a lungo dedicato alla ginnastica.

privata, e il mondo circostante. Nei momenti di grande trasformazione sociale ci sono individui che hanno una reazione negativa nei confronti della società e del potere, pensano che tutti i loro sentimenti, i principi, il mondo naturale dove vivono e sono da sempre le loro radici, sono stati calpestati dalla modernità. Pensano che tutto ciò che rappresentava la loro cultura è minacciato e abbia perso improvvisamente valore.

La forma del romanzo, un monologo allucinato dal ritmo incessante, mi ricorda Memorie del sottosuolo di Dostoevskij. C’è lo stesso clima mentale del personaggio, un disprezzo assoluto per le cose del mondo, per la vita.

Questo è un grandissimo complimento. Quando avevo quindici anni la mia prima importante esperienza di lettore è stata la lettura di Delitto e castigo, il mio primo vero incontro con il mondo della letteratura. Leggendo quel libro ho deciso che sarei diventato uno scrittore. Dostoevskij partecipa in modo febbrile alla descrizione dei suoi personaggi, quasi si trattasse di una ossessione, una malattia. Ho sempre guardato con ammirazione alla sua letteratura che per me è stata una meta costante alla quale aspiravo sin da quando ho iniziato a scrivere i primi libri.

Tollak è violento, brutale, detestabile, ma anche tenero, sentimentale, onesto, attraverso il suo romanzo e alla scrittura riusciamo ad entrare in contatto col suo mondo complesso, sfaccettato, con la sua psicologia piena di contraddizioni. È questo il miracolo e la funzione della letteratura, portarci dentro le segrete dell’animo umano? Il personaggio di Tollak è ripugnante, ma quando si scoprono gli altri aspetti della sua persona, del personaggio la sua immagine cambia completamente. La letteratura può cogliere anche aspetti nascosti, segreti, le finezze ma anche le asprezze di un carattere, è il suo dono, quello di afferrare il personaggio nel suo insieme, nella sua complessità. La letteratura ha anche altri scopi, altre ragioni, ma secondo me questo è il suo principale, rivelare aspetti altrimenti indicibili, inesprimibili se non con la forma del racconto, del flusso delle parole.

Bibliografia

Tore Renberg, La mia Ingeborg, Fazi Editore, Roma, 2024.

Anche Masaki Iwana (Tokyo, 1945 – Réveillon, 2020), altro danzatore nipponico appartenente a quella corrente che, con Ōno e compagni, prese il nome di butoh, iniziò a danzare verso quell’età, abbandonando la propria carriera di attore. Fu un cammino duro, per il quale pagò un prezzo alto sia in termini fisici che spirituali ma, come usava dire (cito a memoria, ma sono parole sue), la capacità di sopportare il dolore è proporzionata al desiderio di danzare di ciascuno E di desiderio di danzare parla La mia danza (Pic Film, 2023), il nuovo film-documentario di Filippo Demarchi (classe 1988) presentato al Solothurn Film Festival 2023 e disponibile su Play Suisse. Concepita come una sorta di autobiografia intima, la pellicola interroga l’infanzia, la giovinezza e la vita adulta del regista ticinese alla luce di un’aspirazione artistica a lungo vissuta come un nodo conflittuale. Sì, perché Demarchi (nella foto), sin da piccolissimo, avrebbe voluto danzare ma qualcosa glielo ha impedito.

Come tanti, Demarchi è stato «condannato allo sport» da quella rigida consuetudine che vuole i bimbi coi tacchetti e le fanciulle in tutù

«Quando ero bambino, mio padre ha iscritto me a calcio e mia sorella a balletto», ci dice la sua voce fuoricampo in apertura al film, mentre alcune fotografie lo ritraggono assieme ai compagni di gioco. Come tanti, Demarchi è stato «condannato allo sport» (l’espressione è mia) da quella rigida consuetudine che vuole i bimbi coi tacchetti e le fanciulle in tutù. Infatti per anni, racconta, ha guardato con fascinazione sua sorella come se già sapesse che il proprio sogno era destinato all’illegittimità. D’altra parte si sa, la danza è «roba da femmine».

Il problema naturalmente è culturale. Se la nostra prima educazione fisica – e sentimentale, mi viene da aggiungere – passasse, oltre che attraverso un’arida idea di disciplina agonistica, da un cammino aperto alle possibilità dell’espressione corporea (danza, ballo, teatro, ecc.), non solo chi coltiva il bisogno di danzare si sentirebbe libero di farlo a prescindere dal proprio sesso, ma pure la nostra vita affettiva ne avrebbe giovamento: un abituale rapporto col corpo in relazione alla messa in forma dell’emotività eviterebbe tante problematiche sulle quali solitamente è necessario chinarsi quando ormai i giochi sono fatti.

Cineasta al suo settimo lavoro, Filippo Demarchi frequenta oggi la danza contemporanea per personale necessità

Nonostante si sentisse in difetto nei confronti del suo desiderio – sentimento di disagio che, scopriamo, pure era legato a una problematica consapevolezza della propria omosessualità – a un certo punto Demarchi si è buttato e, in barba a tutto e a tutti (a cominciare da sé stesso), mentre era a Parigi a studiare cinema si è iscritto a un corso. Ecco che pian piano, allora, quel seme inespresso ha preso a germogliare e, anche se sembrava tardi, la danza ha trovato posto nella vita del regista.

Nel realizzare questo film prendendo le mosse da una domanda paterna («Perché fai balletto?») a cui, sostiene, non sa come rispondere a causa di una sorta di diffidenza nei confronti delle parole, Demarchi compone un collage di foto e filmati del suo passato familiare e affettivo, di disegni e interviste ai genitori, di incontri con giovani ballerini alle prese coi primi, faticosissimi passi necessari a chi vuole intraprendere una delle pratiche artistiche più straordinarie e impervie che esistano.

E dietro a questo insieme di immagini e suoni, ciò che emerge è il difficile cammino necessario a chi vuole indagare il proprio desiderio e tenergli testa.

Cineasta al suo settimo lavoro, Filippo Demarchi frequenta oggi la danza contemporanea per personale necessità. È un amatore, ma in essa riesce a vivere quel silenzio che gli serve a esprimersi (perché di linguaggio sempre si tratta), a obliarsi e, al contempo, rendere conto di sé al fantasma ingombrante dell’altro, per tutti tanto difficile da fronteggiare.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 45
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Viotti, Stradivari e l’elogio della perfezione

Musica ◆ Nel bicentenario della morte ricordiamo la figura di Giovanni Battista Viotti omaggiato dalla sua Vercelli con una mostra

Giovanni Battista Viotti, chi era costui? Avvicinando il suo nome a quello, universalmente noto, di Antonio Stradivari, si può arguire essere un Carneade della musica classica. Sconosciuto al grande pubblico oggi lo è certamente, ma la sua opera e il suo operato hanno rappresentato un capitolo significativo nella storia musicale. Lo certifica la mostra Viotti e Stradivari. L’elogio della perfezione che la sua terra natale, Vercelli, gli tributa nel bicentenario della morte.

Fu proprio Viotti a fondare la Royal Academy, quando si rifugiò a Londra scappando alla Francia, nel 1892: era un protegé di Maria Antonietta e di casa a Versailles

«Scrisse 29 Concerti per violino elogiati da Mozart e Brahms;, fu osannato in tutta Europa - tra l’altro la tournée che lo impose sulla grande ribalta internazionale, nel 1780, partì proprio dalla Svizzera, con i concerti a Ginevra e Berna; in Francia, nello stesso tempo in cui Boccherini veniva ritratto da Goya accanto all’Infante di Spagna, era prediletto da Maria Antonietta e si poteva permettere di comprare e gestire un teatro; fu l’inventore dell’archetto moderno, che cambiò radicalmente il modo di scrivere la musica per violino; fu lui a lanciare in Europa il brand Stradivari facendone comprare i violini ai suoi allievi, che poi furono i grandi virtuosi della prima metà dell’Ottocento. Una curiosità che non è un dettaglio: fu lui a comporre la melodia della Marsigliese, undici anni prima

che De Lisle abbinasse alla melodia le parole poi divenute l’inno nazionale francese». Lo riassume così Guido Rimonda, violinista, direttore della Camerata Ducale e massimo studioso del compositore nato a Fontanetto Po il 12 maggio 1755, nonché anima del Viotti Festival e ideatore della mostra a cui sono collegati vari eventi, tra cui un ciclo di concerti in cui alcuni acclamati virtuosi dell’archetto, da Uto Ughi a Nikolaj Zneider, suoneranno con gli Stradivari posseduti da Viotti pagine del compositore piemontese.

«Guarneri, Guadagnini, Stradivari: sono solo alcuni dei grandi liutai italiani che crearono quei meravigliosi strumenti oggi contesi da solisti e collezionisti a suon di milioni, ma a imporre Stradivari come il più conosciuto, amato e oggi anche prezioso fu Viotti» rimarca Rimonda. «Credo perché i suoi violini gli permettevano di realizzare quanto il nuovo archetto permetteva: a quei tempi l’archetto era quello barocco, con la parte in legno curvata come un arco – da cui il nome – e quindi capace sì di una minuta articolazione dei suoni, ma incapace di “legare” lunghe frasi, cioè cantare tante note consecutive senza staccarle; Viotti, assieme al liutaio Tourte, cambiò la morfologia dell’archetto, creando il modello ancor oggi in uso e che permette di eseguire melodie molto più lunghe; è impressionante vedere come cambiano da lì in poi le partiture per violino, con melodie molto più lunghe: basta guardare i concerti di Mozart e quelli di Paganini per rendersene conto. Ai suoi allievi Rode, Kreutzer, Baillot, Beriot, consigliò gli Stradivari perché esaltavano la nuova cantabilità del violino; loro diventarono virtuosi idolatrati, come Kreutzer e

Rode, e teorici della tecnica, autori di manuali ancor oggi di riferimento, come Baillot con L’art du violon: nouvelle méthode, e così gli Stradivari, legato alle loro esibizioni o alle loro discettazioni, si imposero come i principi dei violini». Viotti arrivò a possederne addirittura dodici, i più importanti dei quali saranno esposti all’Arca (ex chiesa di San Marco) a Vercelli. Innanzitutto l’ex Bruce del 1709, oggi appartenente alla Royal Academy di Londra: «È considerato lo strumento col miglior suono tra tutti quelli creati dal liutaio cremonese, e ritorna per la prima volta in Italia; tra l’altro, fu proprio Viotti a fondare la Royal

Academy, quando si rifugiò a Londra scappando alla Francia, nel 1892: era un protegé di Maria Antonietta e di casa a Versailles, in più era straniero, facile comprendere come dopo la Rivoluzione non tirasse una buona aria per lui…» ricorda Rimonda; l’ ex Arnold Rosé del 1718, proveniente dalla Oesterreichische Nationalbank, e il San Lorenzo, dello stesso anno, celebre per i dipinti che impreziosiscono la cassa armonica, e l’ex Viotti del 1704, in prestito dalla collezione giapponese Munetsugu.

I violini (nella foto) saranno visibili fino al 2 giugno (info: www.viottistradivari.it) al termine di un percorso

immersivo che attraverso proiezioni, ascolti e attori, presenterà la figura e l’opera di Viotti oltre che di Stradivari. Non solo musica: accanto ai concerti il «brand Viotti» viene legato ad altre attrattive tipiche del Vercellese, ad iniziare dal riso. Lo chef Eugenio Moreni ha creato il Risotto Viotti cucinando il Carnaroli con cibi che ricordano il Piemonte e la Francia, le due «patrie» del compositore. Francia che deve a Viotti la melodia del suo inno: «La scrisse nel 1781, era un’Aria e variazioni per violino e orchestra; anche l’Accademia francese per la Marsigliese ha riconosciuto la paternità di Viotti». Altro che Carneade. Chapeau.

La storia di Vivaldi e Lucietta, la sua organista

Pubblicazioni ◆ Per Sellerio Federico Maria Sardelli ripercorre due esistenze raccontandole a specchio

Per raccontare una storia che inizia in Calle della Pietà a Venezia, Anno del Signore 1677, il direttore d’orchestra e pittore e compositore e satirico vernacoliere e musicologo livornese Federico Maria Sardelli ha sciacquato i suoi panni toscani nell’acqua non proprio trasparente della laguna.

L’autore ha scritto due vite parallele: quella immaginaria di una ragazza abbandonata, una putta di nome Lucietta intersecata abilmente con la vita di Vivaldi

Il primo luogo descritto è all’asciutto. Si tratta di una scafetta, un andito scavato nel muro di quella stretta calle della Pietà, dove venivano lasciati i bambini abbandonati. Sopravvivere alla scafetta era la prima stazione della selezione continua a cui venivano sottoposti i trovatelli: «Spesso mani maldestre, prese dall’agitazione del momento, forzano i piccini in quella stretta finestra di legno causandone la morte o gravi menomazioni».

Sul muro dell’Ospedale della Pietà campeggia una lapide voluta da Papa Paolo III Farnese, quello che indisse il Concilio di Trento e i romani motteggiavano, per via dei commerci del-

la sorella col papa Borgia, come «cardinal fregnese». «Fulmina in Signor Iddio maleditioni, e scomuniche contro quelli quali mandano, ò permettano siano mandati li loro figliuoli, e figliole, in questo Hospedale della Pietà». Ma nessuno in più di un secolo gli ha dato retta – «d’altra parte non saprebbero leggerla» quella lapide: i figli abbandonati dagli analfabeti indigenti sono un esercito; alla Pietà se ne contano una media annuale che oscilla intorno al mezzo migliaio. «I maschi escono a 16 anni, le femmine restano nella casa fino al matrimonio (raro), la monacazione (rara) o, quasi sempre, per l’intera esistenza.» Sardelli ha scritto due vite parallele: quella immaginaria di una ragazza abbandonata, una putta di nome Lucietta, che divenne provetta organista compiendo tutto il corso degli onori fino a diventare priora della Pietà, intersecata abilmente con la vita documentata di Antonio Vivaldi (nell’immagine un suo ritratto di anonimo del 1723), che prende le mosse dalla bottega-casa del padre barbiere-violinista di talento e segue i vari passaggi che conducono Antonio a ricevere gli ordini minori. Nel terzo «passaggio», il Patriarca di Venezia gli conferisce «il potere di cacciare il Diavolo da persone o luoghi, dopodiché Antonio prepara l’acqua e il sale necessari alla ce-

rimonia di benedizione. Nonostante questi suoi nuovi poteri, il Diavolo non la smette d’insidiare casa Vivaldi: il 30 gennaio il vaiolo si porta via il fratellino Iseppo Santo di tre anni e, tre giorni dopo, la sorellina Gierolima Michiella di soli diciotto mesi». Il cammino verso l’ordinazione sacerdotale iniziato all’età di 15 anni, si concluderà 21 giorni dopo il venticinquesimo compleanno, il 23 marzo 1703.

Come Lucietta nelle sue rarissime uscite fuori dalla Pietà, gli occhi di Sardelli «scattano in tutte le direzioni come saette a scrutare, registrare, esaminare e ritenere ogni viso, ogni mercanzia, ogni interno di casa rubato da una finestra socchiusa, ogni facchino

che passa, ogni gatto, ogni parrucca, ogni gondola. S’incantano passando davanti alla bottega d’un doratore, si divertono a vedere un barbiere al lavoro attorno ad un uomo colla schiuma sulla faccia, si beano del concerto sguaiato di comari che si chiamano dalla finestra, barcaioli che gridano in canale, bambini che giocano, mercanti che dall’uscio di bottega invitano i gonzi a comprare». Alternando con godibili fantasie su basi storiche e documenti d’archivio, vivacizzando i discorsi con l’inserimento del dialetto di Goldoni per dar voci agli umili (particolarmente riuscito quando descrive l’unico soggiorno in villeggiatura di Lucietta), della lingua italiana più artificiosa ma sempre goldoniana dei nobili, Sardelli trasforma la veduta veneziana in un brulicante sciame di vitalità. È uno specchio della vita grama di quelle ragazze che diventarono gli strumenti formidabili nelle mani di Vivaldi per i «Concerti» e i servizi religiosi che offrivano regolarmente alla Pietà, diventati un’attrazione primaria per i forestieri e i nobili in visita alla capitale lagunare (nelle funzioni liturgiche la musica è protagonista, il giovane maestro di coro Vivaldi stupisce gli Inquisitori di Stato con «una sinfonia di stromenti ordinata per ogni angolo della Chjesa di tant’armonia e con ta-

le novità d’idea che fecero supponere che tali componimenti venghino più dal Cielo che dagl’uomini»).

Lo spirito volterriano di Sardelli, di timbro schiettamente labronico, non ostacola l’empatia che induce nel lettore per la durezza della vita delle putte e l’ammirazione per le qualità musicali testimoniate nei concerti vivaldiani scritti per loro ad hoc, nonostante immerse fin dal primo vagito in un mondo spietato di regole, soperchierie, invidie, superstizioni, stenti, fame, preghiere, contrizioni, pene corporali e messe senza sosta: «Agli inizi del Settecento il solo Ospedale del Derelitti celebra 8906 messe all’anno. Alla Pietà la media è di 50 al giorno. Ogni chiesa, in antico regime, è un formidabile messificio». Dopo un ultimo incontro commosso e immaginario con la vecchia organista cieca, il Prete Rosso morirà a Vienna di febbre interna all’età di 63 anni. Per lui un funerale striminzito: sono previsti «un piccolo rintocco di campane» e sei coristi, neanche un organo. Lucietta si spegnerà sedici anni dopo alla Pietà, «inferma di anni undeci di mal di petto».

Bibliografia

Federico Maria Sardelli, Lucietta. Organista di Vivaldi Sellerio, Palermo, 2023. Wikipedia

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È nata a Monaco, ma ha fatto di New York la sua città da oltre venticinque anni. Barbara Probst è un’artista sui generis : usa la fotografia un po’ come una scultrice, un po’ come una regista, un po’ come una filosofa. È diventata celebre per le sue opere che sono serie di immagini della stessa scena, scattate simultaneamente da apparecchi diversi, collegati da un sistema radiocomandato. Un suo lavoro può essere composto da un minimo di due a un massimo di tredici immagini, che mostrano il soggetto da altrettanti punti di vista (come nel collage fotografico qui a lato). Difficile descrivere che cosa rappresentino queste immagini. A volte una o più persone in un interno. Altre scene di strada. Altre ancora parti di corpi che interagiscono con oggetti. In alcuni casi il complesso meccanismo di ripresa entra, esso stesso, nell’inquadratura. Il risultato è straniante. Spesso occorrono lunghi istanti prima che ci si accorga che le fotografie che compongono l’opera rappresentano la medesima scena. Quando diventa chiaro il meccanismo, la mente cerca di ricomporre una sorta di puzzle spaziale. Come se la «scultura» della scena acquisisse la tridimensionalità nel momento in cui lo spettatore mette insieme i frammenti dei diversi punti di vista. Subjective Evidence è il titolo dell’importante retrospettiva in mostra al Kunstmuseum di Lucerna, noi ce la siamo fatti raccontare dall’autrice cercando di capire che cosa si cela dietro queste fotografie così enigmatiche.

«Oggi, per me, le macchine fotografiche sono diventate come un segnaposto per gli occhi»

Perché ha iniziato a realizzare questi gruppi di fotografie? Era appena prima del 2000. Mi interrogavo su questioni diverse rispetto a oggi. Allora mi interessava il mezzo fotografico e il suo rapporto con la realtà. Che relazione c’è tra ciò che abbiamo davanti e l’immagine meccanica che otteniamo scattando una fotografia? Che tipo di pensiero produce in noi? E poi mi incuriosiva la connessione che esiste tra lo spettatore e l’opera d’arte. Io, in realtà, ho studiato scultura ed è anche per questo che avevo tutte queste domande sulla natura della fotografia. Così ho iniziato a realizzare degli scatti dello stesso soggetto ripreso, simultaneamente, da diversi punti di vista. Non c’è un’inquadratura più giusta delle altre e, viste insieme, queste immagini si possono confrontare e si può capire in che cosa sono diverse. Il primo «esperimento» l’ho fatto nel tetto dell’e-

dificio che ospitava il mio studio di New York. Era il 7 gennaio del 2000 alle 22,47. Ho usato dodici macchine fotografiche.

Che impressione le fece il risultato?

Ne fui abbastanza scioccata, perché erano dodici immagini davvero diverse tra loro. Ho avuto l’impressione che ci fosse qualcosa di enormemente profondo. Non potevo fermarmi lì: dovevo andare avanti per immergermi in quel tema. All’inizio non sapevo bene come fare. Poi, col tempo, il lavoro si è evoluto.

Come?

All’inizio cercavo di creare qualcosa di molto chiaro, spiegabile e logico. Ciò che facevo era orientato al pensiero, passava per la mia testa e doveva avere un senso preciso. Oggi mi sono liberata da questa sorta di pretesa e ho mantenuto soltanto l’idea di immagini simultanee. Così le mie opere oggi sono meno «spiegabili», si nota meno che gli scatti sono fatti nello stesso momento e nello stesso luogo, come avviene per i nudi. Oppure ci sono delle sequenze in cui alcune fotografie ritraggono il cielo, o qualche altro elemento che non ha connessione visibile con il resto della scena alla quale, pure, appartiene. Eppure si capisce, lo sguardo è legato al momento in cui sono state scattate anche le altre immagini. Oggi sono più interessata a violare le regole che, all’inizio, mi sono imposta.

Che cosa cerca oggi con la fotografia?

All’inizio, il punto era il medium. Oggi, per me, le macchine fotografiche sono diventate come un segnaposto per gli occhi. L’interesse non è su ciò che può fare la fotografia, ma come funziona la nostra perce-

zione. Ognuno di noi vede il mondo in modo diverso, perché lo vede da punti di vista differenti. Abbiamo desideri, esperienze di vita, background storici e culturali diversi. Siamo fisicamente diversi. Nessuno può dire di vedere più verità degli altri.

È una riflessione sulla conoscenza. Sul rapporto tra verità ed esperienza. Qualcosa di molto filosofico.

È un tentativo di avvicinarsi alla verità. Sì, è qualcosa che fanno anche i filosofi. Io provo a farlo con le immagini e non con le parole. Quante fotografie dello stesso soggetto servono per dire la verità? Forse la verità è qualcosa nella mente dello spettatore che cerca di creare un senso d’insieme.

Del suo lavoro, una volta, ha detto che la sfida era quella di «guardare dietro l’impermeabile cortina di immagini» per vedere la vera New York. Sì, in tutti gli uomini c’è un grande desiderio di vedere la verità. È una questione che io mi pongo spesso. La vita è un’illusione. È ciò che vediamo, ma ognuno vede qualcosa di diverso.

Ma se la verità non c’è, perché desideriamo conoscerla? E chi dice che non c’è? Io credo nella verità. Ma non so se sia possibile raggiungerla. Probabilmente sì. Di certo, cercarla è una cosa molto utile. È un desiderio che attraversa i secoli. Il punto è se tutto è soggettivo oppure possa esistere un qualche tipo oggettività.

È un tema importante, sia sul piano interpersonale sia su quello sociale.

Oggi è tutto molto «sì/no» o «bianco/nero». Più che in passato. Me ne sono accorta durante la pandemia. E ho provato grande disagio. Lì ho capito che il mio lavoro oggi potrebbe essere ancora più rilevante, dando un contributo a un modo di vedere le cose che tenga conto del fatto che possono coesistere più punti di vista.

Come sceglie che cosa fotografare? A me interessa più il modo in cui posso guardare qualcosa, piuttosto che ciò che guardo. Quello che fotografo, in sé, non è così importante. Torno spesso a usare gli stessi modelli e fotografo negli stessi luoghi. Una persona che uso per realizzare una scena di paesaggio può essere la stessa che fotografo in quelli che non mi piace chiamare ritratti, ma preferisco usare il termine close up, primi piani.

Perché?

Ciò che voglio rappresentare non sono tanto i protagonisti, quanto piuttosto il loro sguardo verso lo spettatore. Di solito si tratta di una doppia immagine. Due punti di vista in uno. L’opera si incentra sullo scambio di sguardi.

Eppure non si può prescindere da ciò che fotografa. Per rendere ciò che voglio comunicare devo produrre delle immagini che, in sé, hanno una certa forza. Non ho l’impressione di raccontare una storia, ma a chi guarda potrebbe sembrare così. Ma io faccio di tutto perché l’insieme appaia irrisolto o ambiguo. Si tratta di una specie di tableau vivant senza una trama.

Nei titoli delle sue opere è indicato, con precisione, il luogo,

il giorno e l’ora in cui lo scatto è stato realizzato. Perché?

Sono gli unici dati di fatto di quell’opera. Indicano il punto di partenza. Il resto riguarda la soggettività, come dicevamo prima.

A quali artisti del passato ha guardato e continua a guardare per nutrire il suo lavoro?

Soprattutto ai registi di cinema e agli scrittori. Amo molto, ad esempio, i romanzi di Alain Robbe-Grillet e il loro approccio anti-narrativo. Poi penso a Jean-Luc Godard. Ma il cinema mi interessa tutto, dall’horror al neorealismo italiano. Anche quello che si fa oggi. Forse perché il mio lavoro assomiglia a quello di un regista, che usa più cineprese da angolazioni diverse. Trovo molto utile guardare film di qualsiasi tipo e fotografie di qualunque genere.

Nessun artista contemporaneo?

Fred Sandback, lo scultore minimalista americano, famoso per le sue opere di filo colorato. In sé non ha molto a che fare con il mio lavoro, ma di lui mi interessa la provocazione che induce lo spettatore a vedere e percepire lo spazio in modo completamente diverso. In fondo, è quello che faccio anch’io. È molto esigente con lo spettatore. Credo che lo spettatore completi l’opera. Lo diceva anche Godard. Il suo montaggio costringe chi guarda a riempire i buchi narrativi. Senza la partecipazione dello spettatore il lavoro non è compiuto.

Dove e quando

Barbara Probst, Subjective Evidence, Kunstmuseum Luzern fino al 16 giugno 2024.

Ma-do dalle 11.00 alle 18.00.

www.kunstmuseumluzern.ch

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino CULTURA 49
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In fin della fiera

Quella volta che Kafka, D’Annunzio e Puccini s’incontrarono

«Nelle pause la comunità della nobiltà si muove lungo le tribune. Ci si saluta, ci s’inchina, ci si riconosce reciprocamente, si scambiano abbracci, si sale e si scende dalle gradinate delle tribune. (…) Gabriele D’Annunzio, piccolo, debole, danza, apparentemente timido, davanti al Conte Oldofredi, uno dei più importanti signori del Comitato». Firmato: Franz Kafka. Siamo a Montichiari, a 12 km da Brescia. È l’11 settembre 1909, è in corso il 1° Circuito Aereo Internazionale di Brescia. «La Sentinella Bresciana» parla di 40 mila spettatori. Perché nella folla si trova anche il 26enne Franz Kafka? L’idea è stata dell’amico di una vita, Max Brod, 25enne. Per stimolare Franz a riprendere a scrivere gli propone una gara: andranno a Brescia e scriveranno ciascuno una cronaca degli eventi, senza scambiarsi impressioni o suggeri-

Voti d’aria

menti. Max troverà un editore per le contrapposte versioni. Uscirà solo il resoconto di Franz, in forma ridotta sul quotidiano «Bohemia» il 29 settembre. La vicenda è stata ricostruita da Renato Pettoello nel libro Aeroplani a Brescia. Anche Max descrive il Poeta: «Ecco che passa D’Annunzio in persona. Gli uni lo mostrano agli altri, il Comitato lo saluta come un secondo Re d’Italia, i fotografi sono al lavoro. Egli osserva tutto, cita i suoi stessi versi su Icaro, versi molto belli, dinnanzi ai giornalisti riuniti getta lì che il suo nuovo romanzo si conclude con qualcosa che ha a che fare con la tecnica aerea. Lo sguardo curioso, anche commosso. Porta delle scarpe gialle con punte di lacca bianca (…..) è bello, piccolo e con la sua voce dolce e coi suoi movimenti vivaci e guizzanti potrebbe femminilmente cattivarsi tutti i sensi; lo vedo spesso in questi giorni e vi sono dei momen-

ti in cui egli compare mirabilmente dappertutto.» D’Annunzio ha 46 anni e sarà questa l’occasione per vivere il suo battesimo dell’aria, con un breve volo sul trabiccolo del vincitore del circuito di Brescia, Glenn Hammond Curtiss. Il Poeta non è l’unica celebrità presente a Brescia. Ancora Kafka: «Dalla tribuna guarda oltre il parapetto il viso forte di Puccini con un naso che si potrebbe definire il naso di un bevitore». Anche Max Brod lo nota: «Al ristorante siede Puccini. Ecco allora che potrei piangere, perché lo amo, le sue invenzioni mi hanno spesso salvato come un aiuto divino. Giro attorno all’uomo con larghi cerchi, attorno all’atleta con il naso grande e anche grosso, le gote rubizze e i robusti pantaloni di home-spun (stoffa grossa, fatta in casa)». D’Annunzio e Puccini (51 anni) si conoscono, si stimano, si frequenteranno per 28 anni, dal 1894 al 1922,

La gentilezza di madama Della Casa

Se è vero che a fare notizia non è il cane che morde l’uomo ma l’uomo che morde il cane, che dire del profluvio di articoli sulla gentilezza di Jannik Sinner? Il tennista che regge l’ombrello alla raccattapalle e chiacchiera con lei (5+). Il tennista che si siede su una sedia a rotelle e palleggia con il campione paralimpico (6). Il tennista che non rifiuta mai di regalare un autografo ai bambini (6-). D’accordo, ma non si sta esagerando con l’agiografia di san Jannik? In fondo, che cosa sta facendo di tanto eccezionale? Semplice gentilezza è non solo tenere la porta aperta a chi ti segue, ma rispondere con garbo a una domanda, essere tolleranti con quelli che la pensano diversamente, ascoltare chi parla, soccorrere le persone che hanno bisogno di aiuto. Ora però non colpisce che colpisca la gentilezza di san Sinner, perché i gesti gentili non sono affatto ordinari. Si potrebbe pre-

cisare che è molto più facile essere gentili quando si è ricchi, vincitori e gratificati dalla vita, che quando si è perdenti e in difficoltà. Elementare, Watson. Vi ricordate Catalano, il re delle ovvietà lapalissiane di Quelli della notte (6+)? Anche questa sarebbe un’ovvietà, se non fosse smentita quotidianamente dalla brutalità, l’arroganza, la maleducazione, dal bullismo dei potenti, dei ricchi straricchi, dei magnati, dei tycoon dell’economia e della politica che impazzano ovunque alzando la voce davanti ai microfoni.

Vi risparmio gli esempi, subito individuabili a occhio nudo. «La gentilezza è il linguaggio che il sordo può sentire e il cieco può vedere». È una frase di Mark Twain (6 all’intelligenza pura) che vale anche per la maleducazione, evidente a chiunque la voglia vedere o sentire. E però sempre più si aggiun-

A video spento

«Che Belva si sente?»

Belve, il programma ideato e condotto da Francesca Fagnani è tornato su Rai2 e questa volta in prima serata. La nuova stagione annunciata e lanciata con clamore a più riprese che ha visto sfilare Loredana Berté, Carla Bruni, Matteo Salvini, Francesca Cipriani, Alessandro Borghi e Fedez, ha dato come l’impressione che nella formidabile «macchina da interviste» qualcosa si sia inceppato. Come ho scritto anche sul «Corriere della Sera»: «L’unica belva è stata Loredana che si è autodefinita rissosa, pericolosa, ingestibile… Per reggere una prima serata, il programma ha dovuto un po’ virare sul varietà e questo ha fatto perdere quella secchezza necessaria all’incisività, alla perfidia, alla belluinità, che poi erano le vere prerogative della proposta». Ovviamente, è bastato che nella seconda puntata ci fosse un’ospite come Fedez perché il programma tor-

quando mancheranno due anni alla morte a Bruxelles del Maestro. Sono a Brescia perché condividono un interesse per i motori. Un biografo di Puccini elenca le quattro passioni del Maestro: la caccia, le donne, le automobili, le case. Entrambi coltivano un sogno che non si realizzerà: fare insieme un’opera lirica. Cinque saranno i progetti concepiti e abortiti. Era prevedibile: nell’opera il librettista è al servizio del musicista, deve assecondare tutte le sue richieste, tagliare, aggiungere, rifare infinite volte, lo testimoniano gli scambi epistolari. Le lettere che si scambiano Poeta e Maestro sono ricche di reciproci elogi, proclami di amicizia. Se Puccini espone una richiesta lo fa con deferenza: «Non mi stancherò mai di raccomandarti: laconismo: cioè l’economia delle tue belle parole – per la mia brutta musica!» (21.1.1913). Il Poeta propone al Maestro di lavo-

rare sul suo poema La Rosa di Cipro: «Nel poema ci sono tutte le corde: l’ansia, la solitudine, il presentimento, la tenerezza, lo spasimo, lo scherno, il riso, la preghiera, il trionfo, il crimine, l’agonia, la paura: tutte le corde. E tu potrai toccarle alternamente con mano delicata e robusta». L’ultimo tentativo è legato a La crociata degli innocenti. Puccini legge il libretto e ne scrive a Sybil Seligman: «D’Annunzio ha partorito una piccola, informe mostruosità, incapace di camminare o vivere!» Il Poeta si vendicherà ricordandosi del rifugio prediletto da Puccini, Torre del Lago, in riva al lago di Massaciuccoli. Nel suo Libro segreto sogna di essere su un velivolo che trasvola la Toscana: «Ecco la pineta di Migliarino, che si incenera senza ardere. Ecco il lago di Massaciuccoli tanto ricco di cacciagione quanto povero d’ispirazione».

ge la beffa: in genere, la brutalità, l’insulto, la parolaccia sparata di getto da uomini (soprattutto uomini ma non solo) di potere viene ritenuta un segno di simpatica spontaneità, sincerità, uno schiaffo al balletto ipocrita del «mi scusi», «per piacere», «mi permetta»… Dimenticando che la gentilezza, ovvero il rispetto dell’altro, non si limita alla cortesia ma è l’espressione fondamentale della civilizzazione. E non è detto che non venga ripagata: «Chi sa carezzar le persone, con piccolo capitale fa grosso guadagno» scriveva monsignor Della Casa nel suo Galateo. Fatto sta che oggi la gentilezza, nella diffusa maleducazione sboccata, è l’ultima forma di resistenza quasi rivoluzionaria. Viene scambiata per espressione di civiltà la femminilizzazione della grammatica, in nome dell’inclusività. Di recente, l’Università di Trento, per esempio, ha adottato il femminile co-

siddetto «sovraesteso», sia al singolare sia al plurale, nel Regolamento generale di Ateneo. E così, anche per soggetti maschili, si parla della segretaria, della presidente, della direttrice, della professoressa, della candidata, della decana, della bibliotecaria eccetera. Dunque, se dovessi ripensare questo articolo obbedendo allo stesso criterio grammaticale, dovrei scrivere della tennista Jannik Sinner, della scrittrice Mark Twain, della madama Giovanni Della Casa? Ora, mi pare un’idiozia (2), anche se forse suggerita da buone intenzioni rivendicative (3 alle buone intenzioni). L’italiano dispone della forma maschile e della forma femminile: c’è il deputato e c’è la deputata, c’è il ministro e c’è la ministra, c’è la bibliotecaria e c’è il bibliotecario, c’è la presidente e c’è il presidente, c’è la professoressa e c’è il professore, c’è l’assessora e c’è l’assessore. Per il plurale, l’italiano dispone di un maschi-

nasse al centro del villaggio (globale). Volenti o nolenti siamo stati tutti spettatori di questo feuilleton, «I Ferragnez», raccontato giorno dopo giorno sui social, una versione italiana del Truman Show: dalle dichiarazioni d’amore alle liti, dall’altare (il loro matrimonio in streaming) alla polvere (dopo i casi di finta beneficenza, il popolo del web si è accanito contro la diva con una violenza ferale), dalle vacanze di lusso alla separazione. Ma la soap «Ferragnez» sembra finita.

Torniamo a Belve : in principio il programma viene realizzato da Loft Produzioni, una casa di produzione legata al giornale «Il Fatto Quotidiano». Nel 2018 il programma entra nel palinsesto di Nove, canale Warner Bros. Discovery, e ci resta fino al 2019. Nel 2021 si sposta su Rai2. Gli ascolti sono buoni, crescono, ma non troppo. La cosa più sorprendente, in-

vece, è che i dati in streaming su RaiPlay sono ottimi: un sacco di gente recupera Belve il giorno dopo o quando gli pare, secondo i canoni della total audience. Di qui, l’idea della prima serata per l’attuale stagione. Le interviste della Fagnani, e questa è la caratteristica principale del programma, vanno oltre la superficie, un’attitudine non da poco in un universo televisivo di domande insipide e di occasioni perdute (basti pensare alle interviste di Fabio Fazio anche con personalità famose). Belve si fonda su una famosa convinzione di Elias Canetti che in Massa e potere sostiene che porre delle domande

è una forma di tirannide: «La libertà della persona consiste per buona parte in una difesa dalle domande». E il gioco della trasmissione consiste proprio in questo: porre delle domande non compiacenti, come di solito si fa in tv (ma anche nei giornali), e vede-

re l’effetto che fa. Poi il santo montaggio sistema tutto, mette a punto il ritmo del programma. Gli ospiti che si offrono alle domande di Francesca Fagnani appartengono a due categorie: gli sprovveduti e i sicuri di sé. Ma gli uni e gli altri escono sempre sconfitti, tanto da far pensare che il genere sia uno solo: quelli cui piace apparire a ogni costo. Anche a costo di venire sbranati. L’impianto della trasmissione, che prevede tre ospiti, si ripete di puntata in puntata: Fagnani pone domande alla persona intervistata, dandole del lei (mai del tu, perché come le ha insegnato Michele Santoro è poco elegante, indice di complicità). Nel corso dell’intervista, la giornalista fa sempre riferimento a un’agenda rossa stipata di post-it, citazioni, soprattutto di domande scritte (è raro che improvvisi una domanda). Il ritmo dell’intervista è incalzante, fa-

le generico o appunto sovraesteso, che non sarà inclusivo ma è una sorta di neutro derivato da una tradizione linguistico-culturale indubbiamente androcentrica. Essendo in uso da secoli, ha però il vantaggio di essere chiaro a tutti e la lingua non tende alla confusione ma alla chiarezza. Ovviamente è possibile che tutto questo assetto grammaticale cambi con il mutare dei rapporti sociali, può darsi che col tempo si introduca l’asterisco (*), la chiocciolina informatica (@), lo schwa ( ) o la u nelle forme del tipo: caru collega. Chi vivrà vedrà. Intanto, la cosa più incomprensibile e sbagliata (1) è pretendere di essere chiamata il presidente (maschile) se sei una donna, come vorrebbe la premier (e non il premier) Giorgia Meloni, che si dice fiera (fiero?) di essere la prima (il primo?) presidente del Consiglio donna. Se non si è gentili verso gli altri, in effetti, è difficile esserlo verso sé stessi.

vorito dalla scenografia che prevede non comode poltrone ma sgabelli. La prima domanda che Fagnani rivolge all’ospite è sempre la stessa: «Che Belva si sente?». Anche l’ultima: «Se potesse riportare una persona in vita, chi sarebbe e cosa le direbbe?». Fra i due interlocutori non si crea un dialogo, una conversazione. Le domande non nascono da un’argomentazione ma da un desiderio, spesso motivato solo dalla mimica facciale della conduttrice. Anche le risposte vengono accolte o con un sorriso o con qualche suono gutturale di perplessità. La vera critica che viene ora rivolta alla Fagnani è di aver perso la carica aggressiva delle prime apparizioni, il graffio delle domande inaspettate, il piacere della novità. Ma è sempre così con tutte le proposte di rottura: si nasce incendiari e si finisce pompieri.

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXVII 15 aprile 2024 azione – Cooperativa Migros Ticino 51 CULTURA / RUBRICHE ◆ ●
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25%

Piselli svizzeri o spinaci

svizzeri tritati, Migros Bio in confezioni singole o multiple, surgelati, per es. piselli svizzeri, 750 g, 3.90 invece di 5.25, (100 g = 0.52)

5 Offerte valide dal 16.4 al 22.4.2024, fino a esaurimento dello stock.
Migros Ticino

Fan della carne, attenzione: Carne e salumi

LO SAPEVI?

I prodotti con il marchio IP-SUISSE provengono da agricoltori svizzeri che si impegnano a preservare la biodiversità. Le aziende creano habitat per piante e animali rari. Inoltre, i coltivatori IP-SUISSE puntano su una produzione rispettosa degli animali e dell’ambiente.

4.95

invece di 7.– Pancetta a dadini IP-SUISSE in conf. speciale, 240 g, (100 g = 2.06)
29% 3.20 invece di 4.–
Sminuzzato di manzo IP-SUISSE per 100 g, in self-service
20% 3.20 invece di 5.40
Fettine di manzo à la minute IP-SUISSE in conf. speciale, per 100 g
40%
7 Offerte valide dal 16.4 al 22.4.2024, fino a esaurimento dello stock. Migros Ticino 6.70 invece di 9.60 Salametti Rapelli Svizzera, in conf. speciale, 4 pezzi, 280 g, (100 g = 2.39) 30% 6.50 invece di 8.40 Prosciutto affettato finemente IP-SUISSE 2 x 120 g, (100 g = 2.46) conf. da 2 22% 5.40 invece di 6.40 Bresaola Casa Walser Italia, in confezione da 100 g 15% 1.50 invece di 2.20 Luganighetta Svizzera, in conf. da ca. 500 g, per 100 g 31% 1.30 invece di 1.75 Puntine di maiale IP-SUISSE per 100 g, in self-service 25% 3.70 invece di 4.95 Cappello del prete (Picanha) IP-SUISSE per 100 g, in self-service 25% 9.40 invece di 15.80 Nuggets di pollo M-Classic prodotti in Svizzera con carne di pollo dal Brasile, 2 x 500 g, (100 g = 0.94) conf da 2 40%

Le costine perfette sono tenere e saporite. Per la marinata, si possono mescolare miele, ketchup, olio d’oliva e senape. Ricoprire la carne e lasciare riposare per almeno 30 minuti. Le costine sono deliziose sia al forno che alla griglia. Trovi diverse ricette su migusto.ch

Che novità mi gusto oggi? Carne e salumi 8 Tradizione spagnola con carne svizzera Succulento e dal sapore intenso Con spinaci ed 4.95 Prosciutto cotto croccante Malbuner Svizzera, 120 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 4.13) 20x CUMULUS Novità 5.95 Salame Riserva Milano Citterio Italia, 90 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 6.61) 20x CUMULUS Novità Emmentaler 4.95 Popeye Chicken Grill mi Svizzera, 240 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 2.06) 20x CUMULUS Novità 7.95 Bresaola di Fassona Citterio Italia, 90 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 8.83) 20x CUMULUS Novità 4.95 Lomo M-Classic Svizzera, 90 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 5.50) 20x CUMULUS Novità CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
2.80
di maiale M-Classic Svizzera, per 100 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali 20x CUMULUS Novità
Costine

Pesce e frutti di mare

Bontà dall’acqua alla padella

conf. da 2

33%

18.95 invece di 28.50 Salmone affumicato Migros Bio d'allevamento, Norvegia, 2 x 150 g, (100 g = 6.32)

30%

12.70 invece di 18.20

20%

10.35 invece di 12.95

Sushi Nigiri Classic 181 g, in self-service, (100 g = 5.72)

20x CUMULUS Novità

5.95 Salmone flambato affumicato Sélection, ASC d'allevamento, Norvegia, 80 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 7.44)

26%

6.95 invece di 9.50

Filetti di salmone senza pelle M-Classic, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 380 g, (100 g = 3.34)

In vendita ora al bancone

Gamberetti Black Tiger tail-off M-Classic, ASC d'allevamento, Vietnam, 180 g, in self-service, (100 g = 3.86)

Filetto dorsale di merluzzo Skrei, MSC, al banco per es. pesca, Atlantico nordorientale, per 100 g, 4.80 invece di 6.–20%

20x CUMULUS Novità

7.95 Carpaccio di polpo Fruits de mer pesca, Atlantico centro-orientale, 80 g, in self-service, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 9.94)

41%

6.95

invece di 11.90

Filetti Bordelaise Pelican prodotto surgelato, 2 x 400 g, (100 g = 0.87) conf. da 2

9 Offerte valide dal 16.4 al 22.4.2024, fino a esaurimento dello stock.

Formaggi e latticini

Bontà dolci e salate da gustare così o cucinare

20x CUMULUS Novità

Ora anche in qualità Gemma

3.20 Ricotta Migros Bio 250 g, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 1.28)

20x CUMULUS Novità

2.20 Quark magro Migros Bio 500 g, in vendita nelle maggiori filiali, (100 g = 0.44)

20x CUMULUS Novità

15%

1.90 invece di 2.25

Grande Caffè Zero, Cappuccino, Macchiato, per es. Zero, senza lattosio, 250 ml, 1.75, in vendita nelle maggiori filiali, (100 ml = 0.70)

Formaggini freschi aha! per 100 g

Senza zuccheri aggiunti, dolcificanti e lattosio

a partire da 2 pezzi

20%

conf. da 2

20%

4.30 invece di 5.40

Emmentaler e Le Gruyère grattugiati, AOP 2 x 120 g, (100 g = 1.79)

conf. da 6 –.30 di riduzione

Yogurt Saison e M-Classic disponibili in diverse varietà, per es. Saison ribes/limetta/rabarbaro, 6 x 200 g, 4.50 invece di 4.80, (100 g = 0.38)

Bevande energetiche Emmi disponibili in diverse varietà, per es. Protein alla vaniglia, 330 ml, 2.30 invece di 2.85, (100 ml = 0.70)

10 Migros
Ticino

20%

2.35 invece di 2.95

Le Gruyère piccante Migros Bio, AOP circa 250 g, per 100 g, prodotto confezionato

15%

2.10 invece di 2.50

Sbrinz AOP per 100 g, confezionato

15%

1.70 invece di 2.–

Asiago pressato DOP per 100 g, confezionato

Dolci e prodotti da forno

a partire da 2 pezzi

20%

Tutti i dessert in coppetta refrigerati (Daily esclusi), per es. coppetta svedese, 100 g, 2.40 invece di 2.95

conf. da 4

25%

Mini tortine disponibili in diverse varietà, per es. di Linz, 4 x 75 g, 4.50 invece di 6.–, (100 g = 0.50)

a partire da 2 pezzi

conf. da 4

1.50 di riduzione

13.50

invece di 15.–

Burro da cucina 4 x 250 g, (100 g = 1.35)

20%

Fagottini di spelta alle pere Migros Bio, bastoncini alle nocciole o fagottini alle pere per es. fagottini di spelta alle pere Migros Bio, 3 pezzi, 225 g, prodotto confezionato, 2.80 invece di 3.50, (100 g = 1.24)

Fai fondere il burro, soffriggici la salvia e servi con la pasta

20%

Farina per treccia e farina bianca, M-Classic, IP-SUISSE in confezioni singole o multiple, per es. farina per treccia, 1 kg, 1.65 invece di 2.10

11 Offerte valide dal 16.4 al 22.4.2024, fino a esaurimento dello stock.
Migros Ticino

Per sfornare o spadellare Scorta

a partire da 2 pezzi 25%

Tutte le capsule Café Royal incl. CoffeeB per es. Lungo, 10 capsule, 3.40 invece di 4.50

a partire da 2 pezzi –.50 di riduzione

Tutte le noci e tutta la frutta secca, Migros Bio

(prodotti Alnatura e Demeter esclusi), per es. gherigli di noci, 100 g, 2.60 invece di 3.10

a partire da 2 pezzi 30%

Caffè istantanei Cafino

(prodotti bio esclusi), per es. Classic, 550 g, 7.70 invece di 10.95, (100 g = 1.40)

Sullovicinoscaffale al tè

CUMULUS

Novità

3.95 Mitico Ice Tea Cold Brew

al limone o alla pesca, per es. al limone, 10 bustine 20x

Senza esaltatori di sapidità

conf. da 3 33%

Salse Bon Chef

alla cacciatora, al curry, alla panna o ai funghi, per es. salsa alla cacciatora, 3 x 32 g, 3.30 invece di 4.95, (10 g = 0.34)

a partire da 2 pezzi 25%

Tutto l'assortimento di sottaceti e di antipasti, Condy per es. cetrioli alle erbe, 290 g, 1.95 invece di 2.60, (100 g = 0.67)

a partire da 2 pezzi 30%

Tutte le salse Salsa all'Italiana 250 ml, per es. basilico, –.95 invece di 1.35, (100 ml = 0.38)

a partire da 2 pezzi 20%

Tutta la pasta Garofalo non refrigerata per es. spaghetti, 500 g, 2.40 invece di 2.95, (100 g = 0.50)

12

20%

Tutto l'assortimento Pancho Villa per es. Nacho Chips, 200 g, 3.05 invece di 3.80, (100 g = 1.52)

conf. da 2

40%

Pasta ripiena Anna's Best tortellini tricolore al basilico, tortelloni ricotta e spinaci o tortelloni di manzo, per es. tricolore al basilico, 2 x 500 g, 6.95 invece di 11.60, (100 g = 0.70)

conf. da 3

Prelibatezze per vegani e vegetariani

20x CUMULUS

Novità

5.80 Marinated Pieces V-Love Upcycled, IP-SUISSE

180 g, (100 g = 3.22)

30%

5.60 invece di 8.–Wedges Denny’s, Classic o Mexican prodotti surgelati, 1 kg

20x

Novità

5.50 Macinato upcycled V-Love, IP-SUISSE

300 g, (100 g = 1.83)

33%

Lasagne Anna's Best alla bolognese o alla fiorentina, in confezioni multiple, per es. alla bolognese, 3 x 400 g, 7.90 invece di 11.85, (100 g = 0.66)

25%

Pizze M-Classic surgelate, Margherita o Toscana, in confezioni speciali, per es. Margherita, 3 pezzi, 825 g, 6.05 invece di 8.10, (100 g = 0.73)

20x CUMULUS

Novità

5.50 Burger V-Love Upcycled, IP-SUISSE 2 pezzi, 220 g, (100 g = 2.50)

13 Offerte valide dal 16.4 al 22.4.2024, fino a esaurimento dello stock.
CUMULUS
a partire da 2 pezzi

20x

10.95

2.95

Prodotto in Svizzera – con crosta di zucchero

a gogò
e cioccolato 14
Tentazioni
Dolci
Ripieno fondente con frutti di bosco e panna
Novità
Ovomaltine Crunchy od Ovo Break per es. Crunchy, 200 g, 3.90, (100 g = 1.95)
20x CUMULUS
5.65
invece di 8.10
30%
Petit Beurre M-Classic cioccolato al latte o cioccolato fondente, 3 x 150 g, (100 g = 1.26)
conf.
da 3
CUMULUS Novità
CUMULUS Novità
CUMULUS Novità
20%
Williams Camille Bloch 100 g
20x
3.95
Goodies Knoppers 180 g, (100 g = 2.19)
20x
2.45 Ragusa Blond 100 g 20x
8.–invece di 10.–Toffifee 4 + 1 gratis,
5 x 125 g, (100 g = 1.28)
conf. da 5
27%
Toblerone-Milk, -White o -Tiny Milk in confezioni speciali e multiple, per es. Milk, 5 x 100 g, 9.60 invece di 13.25, (100 g = 1.92) conf. da 5 Palline Lindt Lindor alla fragola o al lampone 200 g, (100 g = 5.48)
CUMULUS Novità

conf. da 12

34%

20.55 invece di 31.20

Tavolette di cioccolato Lindt al latte finissimo o al latte con nocciole, 12 x 100 g, (100 g = 1.71)

a partire da 2 pezzi

–.60 di riduzione

Tutti i biscotti Tradition per es. Petit Gâteau al limone, 150 g, 3.60 invece di 4.20, (100 g = 2.40)

20x CUMULUS Novità

5.95 Mochi alla vaniglia Little Moons prodotto surgelato, 6 x 32 g, (100 g = 3.10)

20x CUMULUS Novità

5.95 Mochi ai lamponi Little Moons prodotto surgelato, 6 x 32 g, (100 g = 3.10)

20%

Tutti i salatini da aperitivo Party per es. cracker salati, 210 g, 1.65 invece di 2.10, (100 g = 0.79)

conf. da 24

30%

24.90

invece di 35.60 Red Bull Energy Drink o Sugarfree, 24 x 250 ml, (100 ml = 0.42)

Snack e aperitivi 15 Offerte valide dal 16.4 al 22.4.2024, fino a esaurimento dello stock.

LO SAPEVI?

I prodotti Candida Eco sono più sostenibili dei prodotti convenzionali per l’igiene orale. I manici degli spazzolini interdentali sono realizzati in carta certificata FSC ® anziché in plastica, mentre le pastiglie per la pulizia dei denti sono prive di acqua e quindi un’alternativa al dentifricio in tubetto.

coccolare pelle, denti e ambiente Bellezza e cura del corpo 16 Tutto l'assortimento Maybelline per es. mascara Sensational Sky High, il pezzo, 14.– invece di 19.95 a partire da 2 pezzi 30% Prodotti per l'igiene orale Meridol per es. spazzolino morbido, 6.80 invece di 8.60 conf. da 2 20% 8.95 invece di 11.20 Rasoi usa e getta Gillette Blue II in conf. speciale, 20 pezzi 20% Tutto l'assortimento Nivea Sun e Hawaiian Tropic (confezioni multiple escluse), per es. Protect & Dry Touch Spray IP 30 Nivea Sun, 200 ml, 13.15 invece di 17.50, (100 ml = 6.58) a partire da 2 pezzi
5.90 invece di 8.85 Prodotti per la doccia Nivea o Nivea Men per es. Creme Soft, 3 x 250 ml, (100 ml = 0.79) conf. da 3 33% 10.95 invece di 14.70 Dentifricio anticarie o Sensitive, Elmex per es. anticarie, 3 x 75 ml, (100 ml = 4.87) conf. da 3 25%
Per
25%
Candida Eco per es. scovolini interdentali, 15 pezzi, 6.60 20x CUMULUS Novità
Prodotti per l'igiene orale

Casalinghi

Per lavori

belli puliti

a

a

50%

Tutti i detersivi Total (confezioni multiple e speciali escluse), per es. 1 for all in conf. di ricarica, 2 litri, 8.– invece di 15.95, (1 l = 3.99)

20%

Tutti i detersivi per capi delicati Yvette (confezioni multiple e speciali escluse), per es. Wool & Silk in conf. di ricarica, 2 litri, 9.60 invece di 11.95, (1 l = 4.78)

Per armadiprofumare e cassetti

2.40 Deodorante per piccoli ambienti Migros Fresh Floral, Creme Spa o Fresh Textile, il pezzo

a partire da 2 pezzi 40%

Tutti gli ammorbidenti Exelia per es. Florence, in confezione di ricarica, 1,5 litri, 4.20 invece di 6.95, (1 l = 2.78)

conf. da 3 15%

Carta per uso domestico Twist

Deluxe, Classic o Recycling, in confezioni speciali, per es. Deluxe, FSC®, 12 rotoli, 13.– invece di 18.60 30%

Detersivi per stoviglie Handy Original, Lemon od Orange, per es. Original, 3 x 750 ml, 4.55 invece di 5.40, (100 ml = 0.20)

17 Offerte valide dal 16.4 al 22.4.2024, fino a esaurimento dello stock.
20x CUMULUS Novità
partire da 2 pezzi partire da 2 pezzi

Così i tulipani durano fino a 7–10 giorni: taglia gli steli alla base con un coltello e riempi il vaso di acqua fresca solo per un terzo per evitare che i fiori appassiscano in fretta. Controlla il livello di acqua ogni giorno e metti il bouquet all’esterno per tutta la notte.

Piaceri e comodità di varia natura Varie 18 Offerte valide dal 16.4 al 22.4.2024, fino a esaurimento dello stock. Garanzia 10
su
contenitore 9.90 Tulipani disponibili in diversi colori, mazzo da 24, il mazzo Hit 22.95 Contenitore portaoggetti con coperchio 40 x 30 x 18 cm conf. da 3 Hit 7.95 Calzini per bebè assortiti, disponibili in diversi colori, numeri 10/14–23/26 conf. da 5 Hit
invece di 4.95 Kalanchoe disponibile in diversi colori, in vaso, Ø 10 cm, il vaso 20% Tutto l'assortimento Exelcat e Dreamies per es. Exelcat Petits Menus al pollame, 15 x 50 g, 5.60 invece di 7.95, (100 g = 0.75) a partire da 3 pezzi
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
invece di 17.95 Bouquet di primavera il bouquet 27%
anni
ogni
3.95
30%
12.95

Prezzi imbattibili del weekend

Solo da questo giovedì a domenica

a partire da 2 pezzi

30%

Tutte le mozzarelle Alfredo Classico per es. mozzarelline, 160 g, 1.75 invece di 2.50, (100 g = 1.09), offerta valida dal 18.4 al 21.4.2024

conf. da 6

50%

Acqua minerale Aproz disponibile in diverse varietà, 6 x 1,5 l, 6 x 1 l e 6 x 500 ml, per es. Classic, 6 x 1.5 l, 3.20 invece di 6.40, (1 l = 0.36), offerta valida dal 18.4 al 21.4.2024

30%

4.95 invece di 7.10

Jamón Serrano Español Spagna, per 100 g, in self-service, offerta valida dal 18.4 al 21.4.2024

19

26%

9.55 invece di 13.–

Cosce di pollo Optigal speziate Svizzera, al kg, in self-service, (100 g = 0.96)

20%

2.75 invece di 3.45

Pulled Beef Anna's Best, Grill mi prodotto già cotto, Svizzera, per 100 g

20%

2.95 invece di 3.70

Spiedini di manzo degli ussari Grill mi Svizzera, 2 pezzi, per 100 g, in self-service

20%

Tutti i formaggi da grigliare o rosolare in self-service per es. Halloumi Taverna, 250 g, 3.80 invece di 4.80, (100 g = 1.52)

50%

3.25 invece di 6.55

Chips M-Classic in conf. XL alla paprica o al naturale, in conf. speciale, 400 g, (100 g = 0.81)

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide dal 16.4 al 22.4.2024, fino a esaurimento dello stock.
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