Anno LXXXVII 5 febbraio 2024
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura
edizione
06 MONDO MIGROS
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SOCIETÀ
TEMPO LIBERO
ATTUALITÀ
CULTURA
I preasili inclusivi di Atgabbes hanno compiuto trent’anni e rimangono un progetto attuale
Che cosa è il paraclimbing? Ce lo spiega Laila Grillo, esperta nell’arrampicata paralimpica
L’Occidente è stanco della guerra in Ucraina mentre Kiev potrebbe cedere da un momento all’altro
Incantano al cinema le giornate perfette di Wim Wenders, un’ode alla semplicità e all’umiltà
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Keystone
La vocazione di Henry Dunant
Pietro Montorfani
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Un cuore che batte in città Simona Sala
«Una volta che una città è diventata una meretrice sarà impossibile farla tornare vergine e se non si mette adesso il freno assoluto non vedo più speranza». Sono le dure parole pronunciate dalla storica tedesca Cecilie Hollberg, direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze a proposito della città in cui lavora e vive. Un luogo di residenza per lei straordinario quanto deve esserlo il suo posto di lavoro. Al netto della scelta lessicale (dove una donna opta per aggettivi richiamanti la sfera sessuale femminile, cadendo in un trito, per quanto efficace, cliché) e della stizza di coloro che si sono sentiti tirati in causa (dal sindaco di Firenze Dario Nardella al senatore ed ex sindaco Matteo Renzi, passando per il ministro della Cultura in Italia Gennaro Sangiuliano), le parole della storica dovrebbero perlomeno avere la forza di indurci a una riflessione. Hollberg, infatti, non denuncia la mancanza di splendore in quella che è universalmente rico-
nosciuta come la culla del Rinascimento, là dove l’apoteosi dell’arte abbraccia la versione migliore della nostra lingua, bensì la crescente invivibilità di Firenze, che in poco differisce da Venezia, ma anche da città più lontane, come ad esempio Lisbona. Quelle stesse città, infatti, la cui fortuna si basava proprio sulla vivacità dei suoi abitanti che, attraverso uno scambio continuo, davano un afflato costante, capace di attraversare secoli, a idee e visioni, sono diventate inabitabili proprio per loro, costretti a lasciare appartamenti e botteghe di qualsiasi tipo a piattaforme di locazione internazionali, turisti, boutique e negozi di paccottiglia, gli unici in grado di permettersi affitti diventati proibitivi. Chi ha la voglia e l’onestà intellettuale di chinarsi su quanto coraggiosamente sottende Cecilie Hollberg, acconsente. E di solito non si tratta di personaggi pubblici, che si crogiolano nel riverbero della grandiosità delle città o del ruolo che
rappresentano, bensì degli stessi abitanti, di quelle città. Quei fiorentini o veneziani, che inesorabilmente sono stati cacciati ai margini dei centri in cui erano nati e avevano vissuto, fattisi ormai troppo trendy e gettonati per permettere loro di goderne anche qualsivoglia forma di quotidianità. Alcuni anni or sono, con rassegnazione e grande dispiacere, anche il nostro collaboratore Piero Zanotto, nato e vissuto a Venezia, ci raccontava della difficoltà di vivervi, al cospetto di servizi sanitari e alloggi che sparivano giorno dopo giorno. Il fenomeno, che si tratti di gentrificazione o semplice profitto facile, per il quale le città sempre più spesso si privano della linfa delle loro strade, della luce delle loro finestre e dell’operosità tipica di ogni spuntar del sole, è sempre più diffuso, e ha cominciato a interessare anche città svizzere come Zurigo, dove uno dopo l’altro sono spariti bar e negozietti dal Niederdorf (insieme a molti dei personaggi originali che fanno l’autenticità di
ogni città), e ora sembra toccare alla Langstrasse, sempre più insidiata dall’avanzata della nuova e scintillante Europaallee, situata strategicamente lungo la ferrovia. Quello che una volta era il quartiere operaio per definizione rischia così di essere cancellato, in nome di un progetto locativo che vede le proprie mire unicamente negli impiegati delle multinazionali. Senza scomodare l’appellativo scelto dalla Hollberg, varrebbe la pena di pensare, prima di ogni progettazione, al senso che si vuole dare a una comunità, al peso che si ripone nel valore aggregativo affinché la coesione possa portare a un’idea di appartenenza. Il discorso potrebbe essere aperto anche alle nostre latitudini per sognare, ad esempio, un giorno in cui dopo le otto di sera la nostra Lugano non si svuoterà, e il riecheggiare dei passi nelle vie vuote del centro sarà sostituito dal rumore di televisori, di gente che mangia, insomma, di un cuore che batte.