Azione 05 del 29 gennaio 2024

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Anno LXXXVII 29 gennaio 2024

Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura

edizione

05 MONDO MIGROS

Pagine 2 / 4 – 5 ●

SOCIETÀ

TEMPO LIBERO

ATTUALITÀ

CULTURA

Ad Airolo in collaborazione con l’Università della Svizzera italiana nasce la Casa della sostenibilità

Non serve sempre decretare un vincitore, esistono anche giochi infiniti che ci arricchiscono la vita

Un inizio tutto in salita per Beat Jans, il nuovo ministro di Giustizia e polizia

La National Gallery compie due secoli e tra i suoi tesori conserva la tela dell’esecuzione Lady Jane Grey

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Ma quanto è folle Un occhio di riguardo la nostra normalità per le differenze di genere Amo e al tempo stesso detesto l’idea di «normalità», di cui discute a pag. 8 Stefania Prandi con l’autrice del libro Sono normale?. Lasciamo da parte l’ardua definizione del concetto, che è diversissima a seconda del contesto: oggi per un abitante di Gaza sono normali le bombe che piovono dal cielo, per un ticinese del fondovalle lo sono le code di veicoli sulle strade tra le 6 e le 8 del mattino. Ciò detto, amo la normalità in quanto antidoto alla fascinazione per tutte quelle posture fisiche o mentali che pretendono di essere «valori» per il solo fatto di distinguersi dalla «norma». Con la scusa di rifuggire la banalità e l’omologazione delle vite, delle scelte e dei pensieri ordinari – tipo andare in vacanza al mare o in montagna, ritenere che la Terra sia rotonda, dar retta ai medici invece che a internet – c’è chi sdogana teorie e prassi scellerate, supponenti e il più delle volte stupide. Tipo disprezzare le persone semplici e/o con ambizioni comuni e rifiutare per principio le tesi dominanti: non perché possono essere sbagliate, ma perché sono universalmente diffuse. Dimenticando che se lo sono, il più delle volte è perché hanno superato empiricamente la selezione naturale del tempo, dimostrando nei fatti di essere valide. Bene che esistano spiriti intelligentemente critici, pronti ad andare controcorrente, male che alcuni si spaccino per tali senza una reale cognizione di causa, per il bisogno narcisistico di distinguersi a tutti i costi dalla massa. In tempi incattiviti come i nostri, la normalità è quindi uno strumento di autodifesa dall’arroganza, dall’assurdo, dalle bufale confezionate e diffuse a getto continuo per i più svariati, e di solito meno nobili, interessi. C’è una normalità «sacra» che dobbiamo tenerci stretta e per la quale i nostri antenati hanno dovuto sacrificare tempo, ingegno e a volte la vita stessa. Comprende tutte quelle condizioni esistenziali, quei servizi, quei comportamenti, quelle idee e quelle caratteristiche che rendono possibile e auspicabile la vita in società: la pace, ad esempio, le libertà fondamentali, l’accesso ai servizi minimi per un’esistenza dignitosa (casa, cibo, acqua, cure mediche, sicurezza) e il corrispondente impegno di ognuno di noi per «guadagnarseli» (se possibile lavorando, rispettando le leggi e i codici di vita civile, pagando le tasse...). In molti Paesi questo tipo di normalità è

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un sogno, un lusso alieno. In piccola parte può esserlo anche da noi: pensiamo a quanto sia illogica la differenza salariale tra uomini e donne per le medesime prestazioni e/o i medesimi meriti, ad esempio. Brutta è invece la normalità del «grigiore», del «quieto (e smunto) vivere», dell’adesione acritica alla voce del più forte, o alla moda del momento: non perché è moda, che ha quasi sempre una sua dignità, ma perché la seguono tutti e un momento dopo non vale più nulla, «costringendo» il gregge globale a sposare la moda successiva sborsando il conquibus necessario per raggiungerla. La normalità più pericolosa, tuttavia, è quella che pretende di imporre uno standard etico basato sulle caratteristiche fisiche e mentali della maggioranza della popolazione, quelle dell’«uomo medio». Se, per dire, il referente universale della normalità è un maschio caucasico tra i 20 e i 30 anni, alto 1,77, tendenzialmente eterosessuale (vedi l’articolo di Lorenzo De Carli a pag. 3), i «diversi», tutte le persone che differiscono dal modello originale, rischiano di apparire inadeguate e minacciose. Allora «il concetto di “normalità” può creare aspettative irrealistiche, causando disagio e senso di fallimento a livello individuale e una vera e propria discriminazione a livello sociale», come osserva nell’articolo citato all’inizio l’esperta Sarah Chaney. Ma chi è meno normale? Chi sceglie di vivere controcorrente o chi sta nelle righe senza accorgersi dell’insensatezza che ci sommerge? Suggeriamo la lettura di Papalagi, un libro di Erich Scheurmann scritto, nella finzione letteraria, da un capo tribù polinesiano in visita in Occidente a inizio 900. Ogni Papalagi (uomo bianco), scrive il capo tribù, «ha un mestiere. È molto difficile spiegare che cosa sia un mestiere. È qualcosa che si dovrebbe aver voglia di fare, ma il più delle volte non se ne ha». O ancora: «Il Papalagi è povero perché desidera tanto ardentemente le cose. [...] Quanto più un uomo è un vero europeo, tanto maggiore è il numero delle cose di cui ha bisogno». È solo un pamphlet satirico, ma svela quanto sia stravagante la nostra normalità: i nostri sprechi, gli eccessi non solo alimentari, il correre da destra a manca che sfibra noi e avvelena il pianeta, per esempio. Alla fine, anche la nostra follia è diventata normale.

Lin Pan

Carlo Silini


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