Azione 34 del 22 agosto 2016

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 22 agosto 2016

M sh alle p opping agine 37–4 6/

Azione 34

Società e Territorio Uno studio americano dimostra che possiamo agire sulla memoria e cancellare i ricordi negativi

Ambiente e Benessere La Lega svizzera contro il reumatismo organizza il 7 settembre al Palacongressi di Lugano una giornata dedicata alle spalle; il dottor Numa Masina ce ne anticipa i contenuti

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Politica e Economia La regina Elisabetta, unica certezza dei britannici

Cultura e Spettacoli Versailles apre le porte alle opere naturali dell’artista islandese Olafur Eliasson

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Daniele Oberti

Vita e natura in Valle di Lodano

di Elena Robert pagina 5

Un passato che si incunea nel presente di Peter Schiesser Migranti accampati dove capita in attesa di proseguire il cammino, nascosti nei treni o a piedi lungo l’autostrada nella speranza di raggiungere l’agognata Germania o il nord Europa – frotte di giovani a zonzo in città a caccia di Pokémon go, per annullare una noiosa attesa o per trasformarla in gioco: per i primi è la fuga da un inferno in cerca di un paradiso, per i secondi è il rifugio in un presente artificiale che ampli una realtà venuta a noia. Due realtà che si sfiorano, con indifferenza si ignorano, immagine perfetta del vero scontro di culture in atto in questo secondo decennio del XXI secolo. È uno scontro non solo fra mondi diversi, ma anche fra modi diversi di intendere il tempo in cui si vive. Negli ultimi cinquant’anni, in Occidente si è affermato il mito dell’eterna giovinezza; ci si veste a 50 come a 20, ci si comporta come se potessimo dilatare all’infinito la giovinezza, sostenuti in questo dall’allungamento della speranza di vita. Il passato non ha più importanza, tutta la nostra attenzione va al presente, le nuove tecnologie hanno annullato distanze e attese. Non più l’immagine del vecchio saggio conta nella nostra società,

ma il giovane che non invecchia mai, che ha vinto la sfida con il tempo (o almeno così crede) e inconsciamente anche con la morte. Il mondo visto attraverso uno smartphone brilla come mai prima nel corso della storia umana. Ma il mondo reale non è così, non dappertutto, e oggi ci invade con tutto il peso di un passato che credevamo si potesse dimenticare: i profughi che sfidano il mare e la morte per sfuggire alla guerra e alla ricerca di opportunità migliori ce lo mostrano nei loro volti, nelle loro storie. E sono storie che hanno radici che non si possono ignorare (soprattutto se le hai subite brutalmente): è l’eredità del tempo in cui le potenze occidentali colonizzarono il mondo intero e della susseguente decolonizzazione, avvenuta dopo la seconda guerra mondiale. Raramente i nuovi Paesi giunti infine ad un’indipendenza offrirono un futuro migliore ai propri cittadini, in Africa, in Arabia, in America latina, in Asia i governi (autoritari, se non dittatoriali) erano spesso marionette che obbedivano all’Occidente o all’Unione Sovietica (altra forma di colonizzazione occidentale). Per venire ai Paesi arabi: il laicismo imposto da regimi come quelli esistenti in Egitto, Turchia, Siria, Iraq, Libia, Algeria e via elencando, si è progressivamente scre-

ditato, incapace di offrire un futuro migliore ai cittadini, nonostante la ricchezza generata dal petrolio e da altre risorse naturali, e ha lasciato spazio ad un rinascente fondamentalismo islamico. L’abortita Primavera araba è stata la logica ribellione di società cresciute demograficamente ma tuttora sottosviluppate, in cui i giovani non vedono un futuro. Il bubbone è rimasto in incubatrice per decenni, ora è scoppiato e il passato è tornato a reclamare vendetta. Una vendetta che si è trasformata in numerosi bagni di sangue, in un terrorismo che giunge fin sulle porte di casa nostra, in un revanscismo culturale-religioso intollerante, in una fuga senza fine e ormai senza confini, ma che molti in Occidente pensano ancora di poter ignorare: le frotte di profughi creano apprensione, potendo li confineremmo in luoghi discosti o li rinvieremmo altrove; gli attacchi terroristici ci scioccano, ma poi proviamo a riprendere una vita normale nell’inconscia speranza che non ne accadano più. Tuttavia, se vogliamo tentare di capire che cosa sta succedendo nel mondo e in casa nostra dobbiamo riappropriarci della conoscenza di ciò che è avvenuto in passato, anche al di fuori dei nostri confini, anziché cercare rifugio in un comodo presente virtuale.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Società e Territorio I boschi di Lodano Un libro e un’esposizione per conoscere la Riserva naturale della Valle di Lodano

L’autismo in prima persona L’autobiografia di Pier Carlo Morello, giovane autistico laureatosi all’università di Padova, è un libro emozionante e poetico

La locanda Aescher Oliver Scharpf ci accompagna nel canton Appenzello alla scoperta di uno dei ristoranti più spettacolari del mondo pagina 8

Un quartiere per più generazioni Modelli abitativi Il laboratorio sperimentale Morenal è un progetto privato che ripensa l’omonimo complesso

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residenziale di Monte Carasso a favore di famiglie e anziani con il sostegno della Confederazione

Stefania Hubmann

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Cancellare i ricordi negativi Psicologia Uno studio americano dimostra

che possiamo agire sulla memoria senza l’uso di farmaci: ciò apre nuove possibilità per il superamento dei traumi

Stefania Prandi È possibile cancellare i brutti ricordi senza l’uso di medicine e senza ricorrere a soluzioni futuristiche come quella immaginata da Michel Gondry nel celebre film Se mi lasci ti cancello, con Jim Carrey and Kate Winslet. A questa conclusione è arrivato lo studio americano realizzato da Jeremy Manning, professore di Scienze psicologiche e del cervello al Dartmouth College e da Kenneth Norman, docente di Psicologia al Princeton Neuroscience Institute. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica «Psychonomic Bulletin and Review», è il risultato di diversi anni di lavoro sulla memoria e di un esperimento condotto su un campione di persone alle quali è stato chiesto sia di ricordare sia di dimenticare un elenco casuale di parole associate a immagini. Subito dopo la richiesta di dimenticare, la risonanza magnetica funzionale ha dimostrato che i partecipanti avevano eliminato dalla memoria non solo le parole, ma anche le immagini dai loro cervelli. Secondo i ricercatori, lo studio dimostra che è possibile rimuovere i ricordi sganciandoli dal contesto al quale sono legati e che ha permesso di «fissarli» nella memoria. Già al tempo dell’Antica Grecia i teorici della memoria avevano scoperto che recuperiamo i ricordi in base alle situazioni – che includono suoni, immagini, odori, sapori – e ai luoghi in cui ci troviamo. Ascoltando alla radio una certa canzone, ci può tornare in mente un momento piacevole, ma può anche succedere che iniziamo ad essere tormentati dalla scena di un evento triste o addirittura tragico. Ci sono memorie dolorose, che potrebbe essere utile rimuovere, perché ci fanno

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

soffrire impedendo di vivere il presente con serenità. Secondo lo studio, per cancellare volontariamente i ricordi negativi bisogna cambiare il modo in cui si pensa al contesto in cui si sono formati. «Ricordare e dimenticare sono due lati della stessa medaglia, – spiega il professor Manning ad «Azione» – nel mio laboratorio, il principale interesse è migliorare la memoria, ma per capire come riusciamo a ricordare dobbiamo anche individuare il modo in cui il processo si interrompe quando dimentichiamo. Inoltre, è vero che ricordare porta dei benefici, ma anche dimenticare può essere utile. L’esempio più ovvio è rappresentato dalle esperienze traumatiche che non vogliamo rivivere in continuazione. Un esempio meno scontato è che saremmo continuamente distratti se dovessimo ricordare ogni minimo dettaglio del nostro passato. I nostri cervelli devono decidere quando e che informazioni recuperare sulla base di quello che riteniamo essere più rilevante e utile in ogni momento». Anche se la capacità di dimenticare non può essere considerata alla stregua di una terapia in senso stretto, esattamente come non lo sono le tecniche di respirazione oppure di visualizzazione usate nello yoga o nella mindfulness, può avere diverse applicazioni utili e ancora inesplorate. Secondo Manning, potrebbe essere usata per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress, per slegare l’esperienza di un trauma nel passato al ricordo che ritorna all’improvviso. «Pensiamo al caso di una persona che sia stata aggredita per strada, mentre ascoltava una certa canzone con le cuffie: ogni volta che la sentirà di nuovo, magari per caso alla radio, verrà perseguitata da quella memoria traumatica. Per interrompere il Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Jim Carrey in una scena di Se mi lasci ti cancello. (Marka)

meccanismo, il paziente viene istruito a costruire gradualmente associazioni mentali «sicure» allo stimolo innocuo (la canzone che stava ascoltando, il posto in cui stava camminando, i negozi vicino, le persone che aveva incontrato)». Uno dei modi per eliminare il ricordo, è far rivivere gli stimoli, anche attraverso simulazioni al computer, in un nuovo contesto oppure in una situazione che faccia sentire al riparo dai pericoli. «Per sapere se il trattamento sta funzionando, presentiamo al paziente lo stimolo che gli procurava ansia o paura e vediamo qual è la sua risposta. Se lo stimolo continua a evocare la stessa memoria, significa che il processo non è compiuto; al contrario, se porta a ricordi diversi, vuol dire che ha fatto effetto». I risultati ottenuti fino ad ora possono inoltre servire per analizzare l’intensità del trauma che si rivive e

per capire in che modo intervenire, se sono comunque necessari dei farmaci e in che quantità. Un dato interessante è che ci sono persone che sembrano avere più facilità a dimenticare volontariamente di altre. Lo studio americano ci permette anche di immaginare che in futuro potremmo essere capaci di ricordare le parti migliori della nostra vita e dimenticare tutto il resto. «Ci sono tecniche a nostra disposizione che ci possono aiutare in entrambi i sensi, che però richiedono non solo di cambiare il modo in cui ci relazioniamo ai nostri ricordi, ma anche di modificare il modo in cui viviamo. Uno sforzo non da poco». Per Ed Cook, campione di memoria (esiste un campionato mondiale che premia i più abili a ricordare), autore del libro Remember, Remember: Learn the Stuff You Thought You Never Could

(Ricorda, ricorda: impara quello che pensavi non avresti mai potuto imparare) e inventore della piattaforma gratuita Memrise, la ricerca di Manning e Norman ci può aiutare a riflettere su come sta cambiando il modo in cui selezioniamo i ricordi a causa delle tecnologie, e all’interazione che hanno le foto, ad esempio, sul nostro vissuto. Sul «Guardian», Cook ha scritto che scattando in continuazione foto e condividendole sui social network è come se diminuissimo l’esperienza di prima mano, affidandoci al fatto che abbiamo una scorta di immagini che producono nuovi ricordi. In questo modo, invece che vivere i momenti più importanti, li fissiamo su un supporto, ottenendo visioni meno intense, emozionali e veritiere, collezionando ricordi che sembrano tutti perfetti, diversi da quello che sono stati veramente.

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Offrire un’anima a un complesso residenziale grande e anonimo per riscattarlo da una storia segnata dall’emarginazione. Un’anima che nasce da iniziative concrete volte a creare, in sinergia con la forte componente architettonica firmata a metà degli anni Novanta dall’architetto Luigi Snozzi, un modello abitativo adeguato alle attuali esigenze della società, da guardare come esemplare non solo dalla realtà locale o regionale, ma anche dal resto della Svizzera. Il complesso e il progetto sono quelli del Morenal di Monte Carasso, l’anima quella di una «collettività viva, unita, orgogliosa di sé, rispettosa di tutte le sue componenti e che anzi si arricchisce delle diversità che ognuno porta». L’obiettivo del Laboratorio sperimentale Morenal nelle parole della capo-progetto Sabrina Guidotti riflette il nuovo corso del quartiere, composto da 76 appartamenti che per dimensioni (dai piccoli 1,5 e 2,5 locali ai comodi 3,5 e 4,5) sono in grado di accogliere residenti di tutte le generazioni, dalle famiglie con bambini agli anziani, senza dimenticare persone in situazioni difficili come invalidi e richiedenti l’asilo (due le famiglie accolte). La metamorfosi del Morenal punta all’integrazione, prima fra tutte quella intergenerazionale, tema di stretta attualità anche dal punto di vista dell’abitazione. Se al momento della sua costruzione il complesso poteva apparire sproporzionato e distante dagli standard abitativi dell’epoca, il carattere visionario dell’opera gli permette di essere ancora oggi attuale, con alloggi privi di barriere architettoniche e che preservano l’intimità familiare. Già presenti anche diversi spazi commerciali – dal supermercato al bar, agli studi professionali – in modo da garantire in loco i servizi indispensabili per chi per ragioni diverse affronta con difficoltà gli spostamenti. Il riposizionamento del complesso – voluto anche in vista della scadenza dei sussidi federali e cantonali di cui beneficiano gli inquilini – passa quindi da limitati interventi strutturali in contrapposizione a un articolato progetto di «servizi, offerte e opportunità sia per gli inquilini che per la popolazione del territorio circostante». A un anno e mezzo dall’inizio del nuovo corso, Sabrina Guidotti è fiduciosa. Precisa: «L’interesse è crescente. Per gli apparta-

Il complesso residenziale Morenal era stato progettato negli anni Novanta dall’architetto Luigi Snozzi. (S. Hubmann)

menti più piccoli, riservati agli anziani e alle persone invalide, vi è già una lista d’attesa. Anche le famiglie iniziano a essere attratte dai numerosi servizi e dalle facilitazioni per i bambini. Il quartiere si sta trasformando con una rotazione naturale degli inquilini». In effetti, giungendo al Morenal, il cambiamento è visibile e percettibile. L’ampia superficie verde, pari a circa tremila metri quadrati, ha permesso di ricavare un parco per lo svago con alberi, fontana, giochi, tavoli con panchine e grill elettrico. In una parte del prato sono state realizzate diverse tipologie di orti: collettivi per inquilini e popolazione locale, rialzati per gli anziani (con Atelier 93 e Casa anziani di Sementina) e didattici per gli allievi della locale scuola elementare. Internamente è stata ricavata una sala multiuso, pure a disposizione di residenti e non. Sono inoltre ospitati il Centro extrascolastico L’Aquilone (con l’Associazione Famiglie Diurne Sopraceneri), il Consultorio genitore-bambino 0-4 anni (con il Servizio di assistenza e cura a domicilio del Bellinzonese) e l’Antenna di quartiere animata dal custode sociale. C’è quindi nuova vita al Morenal, con anziani e bambini che si incontrano e sperimentano insieme anche il confronto con l’architettura, come è avvenuto durante il Laboratorio estivo «Crescere con l’architettura». Durante l’anno scolastico è inoltre attiva la mensa che ospita i bambini delle scuole elementari, mentre Pro Senectute organizza corsi per gli anzia-

ni. Ogni attività è legata a un partner mirato e qualificato. In questa prima fase del progetto si sono quindi tessuti legami importanti con le istituzioni e le associazioni presenti sul territorio. «L’estesa rete di collaborazioni – spiega Sabrina Guidotti – è una condizione imprescindibile per il successo del progetto, promosso da un privato ma realizzabile solo attraverso la creazione di un circolo sinergico fra tutti gli attori. Ad oggi sono stati realizzati quasi tutti i servizi previsti. Al termine del prossimo anno le attività promosse dovranno essere parte di un modello di funzionamento autonomo, sostenibile dal punto di vista organizzativo, gestionale e finanziario. Solo così il progetto potrà continuare e fungere da modello per altre realtà». Promossa dalla famiglia Guidotti, cui si deve la costruzione del Morenal, l’iniziativa di riposizionamento del complesso continua anche dopo il passaggio di proprietà. Lo scorso 19 maggio è stata infatti annunciata la vendita degli immobili al fondo immobiliare Residentia, costituito dallo studio fiduciario Pagani SA e da Banca Stato e primo nel suo genere nella Svizzera italiana. Una scelta che Sabrina Guidotti spiega così: «La decisione è stata presa per ragioni diverse legate a un senso di responsabilità verso il complesso, la famiglia e il territorio. Completare e, se possibile, sviluppare il progetto di un quartiere con alto valore sociale era la condizione sine qua non della vendita».

L’intenzione della nuova proprietà, resa nota in conferenza stampa, è quella di costruire un nuovo blocco di appartamenti integrandoli nella trasformazione in corso. Trasformazione che si è già distinta vincendo nel 2014 il premio «Abitare bene a tutte le età» nell’ambito del concorso organizzato dall’Associazione ticinese terza età in collaborazione con l’Associazione Generazioni & Sinergie. Al progetto guarda inoltre con interesse anche la Confederazione. Il Laboratorio sperimentale Morenal figura infatti fra i 33 progetti modello per uno sviluppo sostenibile del territorio caratterizzati da un approccio innovativo e sostenuti nel periodo 2014-2018 con un importo complessivo di circa 3,7 milioni di franchi. Il Laboratorio di Monte Carasso, inserito nel settore della creazione di un’offerta di alloggi sufficiente e adeguata, beneficia di un contributo di 150mila franchi a fronte di un costo complessivo di circa 800mila. Essendo in avanzata fase di realizzazione, il Laboratorio Morenal ha richiamato l’attenzione degli altri capo-progetto del medesimo settore che giungeranno a Monte Carasso in settembre per approfondire e confrontare problematiche e soluzioni. Doris Sfar, capo settore dell’Ufficio federale delle abitazioni, apprezza in particolare proprio il concetto di laboratorio che distingue il progetto ticinese. Esso permette di testare e consolidare idee

vie delle città, fuori dai negozi e dai locali, oltre all’insegna del wifi, sempre più spesso vediamo piantine appese ai muri in vasetti colorati di alluminio o pallet di legno riciclati trasformati in fioriere volanti e punti di colore e di profumo. Proprio come il Giardino della signora Gerold e le sue 80 varietà tra piantine, insalate, erbe, verdure e frutti che vanno ad arricchire le ricette del menù che offre solo prelibatezze di stagione. Nei giorni in cui questo luogo si trasforma in un mercato potete invece acquistarle, oppure, quando il programma lo prevede, potete partecipare ai work-shop che faranno di voi futuri giardinieri e contadini di città. In questo possono venirvi in aiuto anche diverse applicazioni interessanti come iScape Free che vi dirà come pro-

gettare un giardino o un orto che sia esteticamente perfetto ma anche in grado di dare la migliore posizione alle diverse specie coltivate, Garden Manager utile per ricordare tutte le scadenze e i compiti stagionali oppure Pollice verde che raccoglie tutte le informazioni riguardanti i periodi di semina, le fasi di coltivazione, le esigenze principali di oltre sessanta specie vegetali. Se invece il giardinaggio non fa per voi ma sentite il richiamo della natura e vi trovate in quel di Zurigo fate un salto nel Giardino della signora Gerold, oppure, ovunque voi siate, guardatevi intorno perché la cultura del giardinaggio urbano abbinato a realtà e culture culinarie come questa vanno pian piano diffondendosi ovunque, da Berlino a Londra fino a Singapore. E a Zurigo c’è più di una

innovative in vista dell’elaborazione di un modello applicabile, con i dovuti accorgimenti, anche ad altre realtà. «Questo progetto è stato scelto – spiega Doris Sfar – perché destinato a gruppi di popolazione fragili ai quali si offre una struttura abitativa adeguata e soprattutto un insieme di servizi. Il fatto che fosse un complesso già oggetto di sussidi per l’abitazione rappresentava inoltre un ottimo punto di partenza. Nella decisione di sostenere il Laboratorio sperimentale Morenal hanno influito anche la volontà di far evolvere un edificio esistente e l’impegno del settore privato. Sono due aspetti essenziali per le future politiche dell’alloggio. Gli alloggi datati sono numerosi e non si può prescindere da un loro adeguamento alle nuove esigenze sociali. L’iniziativa proveniente da un promotore privato corrisponde al medesimo obiettivo, anche perché l’ente pubblico non ha i mezzi, né l’esperienza, né le risorse umane per affrontare da solo questa sfida». Quali le caratteristiche del progetto ticinese rispetto ad altre iniziative? Risponde Doris Sfar: «Il progetto ticinese è più concreto. Non si limita a un concetto organizzativo, ma tocca anche aspetti operativi. Rappresenta un approccio integrato che tiene in considerazione numerose dimensioni con concetti, come quello del custode sociale, che nel resto della Svizzera sono ancora poco conosciuti». Riuscire a trasformare una situazione di crisi in un’opportunità è per Doris Sfar un altro merito del progetto Morenal. Anche la vendita degli immobili può essere vista come un’ulteriore occasione per consolidare un’iniziativa rivolta al futuro e che sperimenta in funzione dei bisogni di una realtà sociale in continuo mutamento. L’appartamento nel quale è stata inserita la domotica (in collaborazione con l’azienda Life Motive Swiss) è per ora unico nel suo genere, ma l’uso della tecnologia a supporto di inquilini anziani o disabili apre nuove prospettive di autonomia abitativa. Un’autonomia arricchita da una rete di sostegno e servizi mirati, da momenti ricreativi comuni, dall’incontro con gli altri. Da quartiere trainato, il Morenal sta quindi diventando un quartiere faro, promotore di una rinnovata modalità di convivenza sociale. Informazioni

www.morenal.ch

La società connessa di Natascha Fioretti Esseri digitali e giardini urbani Di recente sono stata a pranzo in un luogo magico, tutta avvolta di profumi e odori di piante e verzure di ogni sorta che, raccolte dalla terra dell’orto e transitate sul piatto, davano l’idea di stare in una verde e rigogliosa campagna alla tavola di una ospitale contadina con il fragoroso risuonar dei campanacci delle mucche al pascolo in sottofondo. Nella realtà, invece, sentivo gli usuali rumori del traffico urbano e mi trovavo in una delle zone più di moderne e di tendenza di Zurigo, quella del Gerolds-Areal. Qui, tra il vertiginoso Prime Tower e il quartier generale delle borse Freitag, laddove vecchi container ci raccontano di un passato in cui si costruivano navi e si assemblavano motori, mentre oggi, all’insegna di una ricetta urbana che

coniuga modernità e qualità di vita, si incontrano e fioriscono arte, design, gastronomia, cultura, shopping e architettura, nasce il Giardino della signora Gerold (Frau Gerolds Garten). Una verde oasi che tanto ci dice di noi uomini globalizzati digitali e della nostra voglia di circondarci sì di tutte le comodità e connessioni possibili ma ci racconta anche di una nostalgia per gli elementi naturali e di un bisogno quotidiano di muoverci tra piante, alberi, aiuole fiorite, orti, erbe aromatiche, così come di una recondita necessità di ritornare a sintonie ancestrali e tempi scanditi dalla luce del giorno e dalle stagioni piuttosto che dalle notifiche del calendario di gmail che annunciano il prossimo appuntamento. Sarà per questo che, a passeggio tra le

realtà, date un’occhiata dall’altra parte della Limmat, a Wipkingen, e troverete The Artisan dove, oltre all’attenzione per un cibo naturale e biologico coltivato in casa, anche le birre sono rigorosamente locali e artigianali. Siamo, dunque, esseri umani urbani digitali e iperconnessi, cittadini del mondo abituati a contesti rumorosi, ricchi di attrazioni e spazi dai design vertiginosi dove ogni comodità e servizio sono a portata di mano ma nel cuore restiamo homo naturalis il cui stile di vita si realizza pienamente solo nel rapporto stretto, intimo, e costante con la natura. Un rapporto che abbiamo troppe volte bistrattato e oltraggiato dall’alto del nostro ego industrializzato ma che ora, forse, siamo pronti a voler recuperare, in particolare le giovani generazioni.


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Società e Territorio

Profumi di boschi Valle di Lodano Un libro e un’esposizione ripercorrono le vicende umane della valle

e la nascita della Riserva naturale

Elena Robert Prima come boscaiolo per tre anni, poi dal 1947 come alpigiano, Guido Ferrari nella Valle di Lodano si è guadagnato la vita, stringendo con il territorio un vincolo intenso. Nel 1944, ventitreenne, vi si trasferì lasciando Craveggia in Val Vigezzo. Per non arruolarsi e per salvare la pelle nella guerra partigiana, entrò più volte come clandestino in Ticino lavorando nei boschi della Valle di Lodano. Superati gli anni del conflitto, trascorsi nascondendosi da una parte e dall’altra del confine, tornò in Svizzera come stagionale finché decise di stabilirvisi anche per sposare una ragazza di Lodano. Ha trasmesso con passione il suo profondo amore per la terra che lo ha accolto fino alla fine della sua esistenza, avvenuta nel 2015. Qualche anno prima era maturata l’idea, promossa e coordinata dal Patriziato, di valorizzare per le generazioni future l’importante patrimonio boscato di Lodano attraverso una Riserva forestale che inglobasse l’intera valle. Il suo territorio si sviluppa dal paese (340 m), ubicato sul lato orografico destro del fiume Maggia, a 15 chilometri da Locarno, su un dislivello di quasi 2000 metri in una valle sospesa dai ripidi versanti interamente coperta di boschi, ad eccezione della piccola fascia sul fondovalle, della piana alluvionale di Castèll (804 m) e di cinque alpi principali sotto le vette delle cime Cramalina (2322 m) e G’üia (2186 m). La lungimiranza del Patriziato ha fatto sì che una volta istituita la Riserva forestale nel 2010 grazie al contributo finanziario fondamentale di Confederazione e Cantone, si sia andati ben oltre l’idea iniziale. Si è infatti potuta attivare la valorizzazione del paesaggio locale in un’ottica unitaria e con un’impostazione interdisciplinare attraverso svariati progetti e iniziative, interventi sul territorio, indagini storiche e ricerche scientifiche su tredici gruppi naturalistici. Si è svolto anche uno studio preliminare sulle piazze dei carbonai, il primo un po’ approfondito ad essere realizzato in Ticino: censimento, analisi antracologiche (dei frammenti di carbone di legna)

e datazioni radiocarboniche hanno evidenziato la presenza di 217 piazze, la maggior parte delle quali utilizzate nell’Ottocento e fino alla prima guerra mondiale, un 10 per cento è della seconda metà del Settecento. In un caso la datazione risale all’epoca tardomedievale. La «nuova» Valle di Lodano non attende altro che di essere riscoperta, a piedi naturalmente. Tutti i progetti si sono concretizzati sull’arco di sei anni e fino al 2015, con sostegni finanziari di enti diversi (tra cui il Fondo d’aiuto Migros), il coinvolgimento degli attori interessati e con apporti di volontariato. Una gestione sostenibile del territorio impostata esemplarmente che ha comportato un investimento complessivo di 1,5 milioni di franchi. I molteplici aspetti di questa impresa diretta e coordinata da Christian Ferrari, presidente del Patriziato di Lodano (Guido è suo nonno) e le risultanze scientifiche sulle peculiarità della valle vengono raccontati soprattutto in una importante pubblicazione. I contenuti sono ripresi in un’esposizione al Museo di Valmaggia (aperta fino a fine ottobre). La preziosa testimonianza di un protagonista come Guido Ferrari non poteva che diventare il filo conduttore delle tematiche contemplate dal volume, a lui dedicato, ma anche della mostra dove si ha la possibilità di ascoltarne la voce in stralci di interviste realizzate per la pubblicazione. Ed è un vero piacere, tenuto conto anche della efficacia della traccia sonora che accompagna il visitatore lungo il percorso espositivo portandolo nel cuore del bosco a vivere il taglio tradizionale di alberi eseguito con ascia, seghe, cunei e mazza. Guido Ferrari riconosce di aver vissuto un’esistenza intensa fatta di istanti sereni, penosi e di terribili sgameladi (sfaticate): oggi gli siamo grati di averci regalato molti suoi ricordi, basilari per tentare di immaginare spirito, modi di vivere, esperienze, boschi e paesaggi oggi profondamente mutati. Il bosco, elemento dominante della Valle di Lodano, è stato sfruttato intensamente, i tagli sono terminati a metà degli anni Sessanta e negli ultimi cinquant’anni si è molto esteso. Anche il cambiamento della composizione del

Veduta dell’Alpe Pii, i cui edifici sono stati ristrutturati nell’ambito del Progetto Paesaggio Valle di Lodano. (Daniele Oberti)

bosco è stato sostanziale. Ne sa qualcosa Guido Ferrari che dagli anni Quaranta a oltre metà degli anni Cinquanta ha vissuto quasi tutti i tagli nella valle. Il fitto bosco di abeti bianchi vecchi e maturi, ricorda, ha lasciato lo spazio al faggio e alla betulla. Lo rilevano anche i confronti tra le foto aeree di allora e di oggi. Grazie all’istituzione della Riserva forestale il bosco avrà ora la possibilità di rigenerarsi per altri cinquant’anni, e chissà, magari oltre. Sono stati portati a termine importanti approfondimenti sui contenuti forestali, tra i quali la carta completa della vegetazione. Gli obiettivi sono naturalistici-scientifici (conservare tra l’altro il patrimonio genetico del faggio, salvaguardare quello dell’abete bianco, monitorare le tipologie forestali) ma anche ricreativi-educativi (valorizzare i contenuti naturalistici e favorire l’educazione ambientale). Oltre alle abetine, nella Valle di Lodano un elemento di pregio è la faggeta, ritenuta eccezionale per il suo valore naturalisticoscientifico. Alcuni carotaggi di tronchi hanno rilevato la presenza di faggi vecchi fino a 170 anni, ma ce ne sono anche di più anziani. La faggeta della Valle di Lodano, oggetto di approfondimenti

scientifici da parte dell’Istituto federale del bosco, la neve e il paesaggio WSL di Birmendorf, rientra nel novero delle foreste di faggio di grande rilevanza naturalistica in Europa, perché l’unica in ambiente alpino inclusa in una riserva, della tipologia Faggeta a Luzula nivea su terreno acido. Un tassello utile per la comprensione della ricolonizzazione del faggio nelle Alpi avvenuta 6mila anni fa: infatti, anche se quest’associazione arborea è diffusa in Ticino non lo è altrettanto in Europa né nell’arco alpino. «La Riserva forestale di Lodano, oggi di 766 ettari, si può considerare un unicum nel Ticino» ci dice Davide Bettelini, della Sezione forestale, responsabile del Gruppo Riserve forestali: «Dal suo fondovalle fino al limite del bosco è rappresentativa infatti di tutte le principali tipologie forestali della Valle Maggia. A livello svizzero il suo comprensorio è considerato di grandi dimensioni. Si tratta della prima riserva costituita in Valle Maggia, anche se il Locarnese, pioniere nell’istituzione di riserve in Ticino, nel 2010 ne contava nella regione già cinque: Arena, Parco Maia, Palagnedra, Onsernone e Bosco Sacro di Mergugno. Le tredici riserve

del Cantone occupano un totale di 5431 ettari, per un’estensione pari a una volta e mezzo il Piano di Magadino». «Il Locarnese è interessato attualmente da altri progetti – precisa Bettelini – primo fra tutti quello della Riserva della Val Porta, in Val Verzasca, che sarà istituita a breve. Inoltre stiamo esaminando lo studio preliminare realizzato per la Val Lavizzara e Bignasco, mentre per la Valle del Soladino è in corso uno studio analogo». Informazioni

AA.VV., a cura di Christian Ferrari, Bruno Donati e Mirko Zanini, Profumi di boschi e pascoli. Vicende umane, Natura e Riserva forestale in Valle di Lodano, Patriziato di Lodano, 2015 (www.valledilodano.ch). Profumi di boschi e pascoli. Sui sentieri secolari della Valle di Lodano, esposizione al Museo di Valmaggia, Cevio, fino al 30 ottobre 2016. Orari: ma-do 13.30-17.00, lu chiuso (www. museovalmaggia.ch). Escursione accompagnata dalla guida Luca Goldhorn, sabato 1. ottobre 2016: goldhornluca@outlook.com

La «fabbrica» Broggini di Losone Archeologia industriale Storia della falegnameria fondata da Alessandro Broggini che ottenne anche una menzione

all’Esposizione nazionale di Ginevra nel 1896

Nel corso del primo Ottocento gli abitanti di Losone sono ancora principalmente dediti all’agricoltura, all’emigrazione stagionale, all’artigianato e al commercio. Sfruttano le acque delle rogge derivate dai fiumi per irrigare le pianure, e per ottenere l’energia idraulica ricorrono ai riali impetuosi che scendono dalla montagna. Il più importante fra questi, la Brima, fornisce la forza motrice a diversi mulini. Ma ecco che le acque calme dello scenario economico del paese iniziano ad agitarsi quando l’intraprendente imprenditore Alessandro Broggini negli anni settanta dell’Ottocento progetta di avviare una fabbrica per la lavorazione del legno basata sulla forza meccanica. I Broggini, agiati patrizi di Losone, sono proprietari di campi, di vigne e un mulino. Alessandro emigra da giovanissimo a Roma dove lavora con il cognato in un grosso emporio come fabbro e costruttore di attrezzi agricoli. Nel 1872, ritornato in patria, mette in piedi una fabbrica di spazzole sfruttando la forza motrice dell’acqua

del suo mulino sulla Brima. Siccome l’energia prodotta risulta insufficiente, Alessandro progetta l’anno successivo la costruzione di una condotta forzata per ottenere una maggiore pressione, da un’altezza più elevata, necessaria al funzionamento delle turbine idrauliche. Ma il patriziato losonese, dimostrando una certa chiusura alla novità, non intende concedergli il passaggio delle condotte sui propri fondi e Alessandro si appella al Consiglio di Stato che gli dà ragione. Grazie a questa decisione l’imprenditore può trasformare la sua fabbrica di spazzole in un complesso industriale più moderno con segheria e fabbrica di mobili. L’impresa prospera notevolmente anche per l’impiego di applicazioni in ghisa. Nella fabbrica vengono utilizzati i più moderni macchinari per la lavorazione del legno e a fine Ottocento occupa una quarantina di operai. Coadiuvato dai propri figli nel 1896, Alessandro partecipa all’Esposizione nazionale di Ginevra dove ottiene la menzione onorevole nel campo dei mobili (la ditta è presente anche nelle altre esposizioni svizzere di Berna, Losanna e Zurigo). Grazie

alle sue capacità imprenditoriali e ai suoi vantaggiosi contatti riesce ad acquisire un’ampia clientela guadagnandosi un’ottima reputazione che lo fa considerare tra i pionieri dell’industralizzazione del Locarnese. La falegnameria Broggini produce essenzialmente mobili di ogni genere e cassettine per frutta, sigari e confetti e fabbrica pavimenti vari. Inoltre esegue lavori per la ferrovia del Gottardo, per le dogane svizzere e per compagnie di spedizioni. L’apertura della linea del Gottardo rende facilmente agibile il trasporto di

Laura Patocchi-Zweifel

Laura Patocchi-Zweifel

enormi quantità di legnami rari ed esotici che Alessandro importa dall’Italia per l’esecuzione di lavori particolari. Nel 1901 un grave incendio distrugge quasi completamente la fabbrica. Gli edifici, gran parte dei macchinari e tutti i mobili e parquets accumulati nei magazzini vanno in fumo. «Bruciarono fra l’altro 8000 cassette destinate alla fabbrica di sigari di Brissago. Altrettante casse per la birra in bottiglia. Tutti i lavori in legno destinati al nuovo edificio postale di Locarno». Fortunatamente il previdente imprenditore ha provveduto ad assicurare la fabbrica presso La Basilese – pratica piuttosto rara in quell’epoca e riportata dalla stampa. Rapidamente risarcita dai danni dopo alcuni mesi l’azienda può riprendere l’attività. Alessandro Broggini è stato anche un esponente di spicco nella politica locale. A Losone assume l’incarico di esattore comunale, segretario municipale, segretario prima e poi presidente del patriziato, e pure membro di diverse commissioni del Consiglio parrocchiale. La sua influenza a Losone durante l’ultimo quarto dell’Ottocento è

di notevole importanza. Ammiratore di Stefano Franscini e fervido sostenitore delle idee liberali lotta con determinazione per contrastare la corrente conservatrice capeggiata dallo storico prete don Siro Borrani. Alla sua morte nel 1910 Alessandro Broggini lascia ai suoi quattro figli una ditta sana e di ottima reputazione. Dieci anni dopo la sua morte l’impresa conta una settantina di collaboratori. La «fabbrica» festeggia il suo centenario nel 1973 e in seguito a varie circostanze cessa la sua attività. Nel 1998 il sedime viene adibito a magazzini e attualmente ospita una carrozzeria. Bibliografia

Romano Broggini, Losone, Ass. Legato delle 3 squadre del Basso Losone, 2003. Leonardo Broillet, Un pioniere d’industria nel Locarnese a cent’anni dalla scomparsa: Alessandro Broggini (1833-1910), in Bollettino SSL 14/2011. Fausto Fornera, Losone patrizi e patriziato nel contesto comunale, Locarno, 2004.


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Società e Territorio

I maestri del silenzio Pubblicazioni Un libro emozionante e poetico che racconta l’autismo in prima persona

Maria Bettetini «Voglio essere autistico che educa i normodotati gravi». Ora comprendo queste parole, ora che ho letto Macchia, autobiografia di un autistico (Salani editore). Mi sono avvicinata alle sue pagine immaginando una scrittura fluida, un po’ banale, quella di chi si fa scrivere o ri-scrivere da altri la storia della propria vita. Pensavo quindi di dedicare al libro poco più di una veloce lettura «diagonale». Non mi aspettavo di incontrare tanta poesia, di provare la fatica e insieme la gioia che sento

Pier Carlo Morello è un autistico severo, ha 35 anni, non parla ma sa scrivere e si è laureato in Scienze umane e pedagogiche a Padova quando leggo Omero. L’editor avrà corretto la punteggiatura, colmato i salti temporali, ma le parole sono certo sue, di Pier Carlo Morello, il ragazzo autistico con Laurea Magistrale. Il giovane che ha saputo usare la disabilità come spinta a inventare un linguaggio poetico alto, ma davvero alto, ha commosso me che trovo insopportabili le lagne dei poeti che non siano quei tre, quattro grandissimi. Le persone affette da disturbo che rientra nello spettro dell’autismo, come si dice correttamente lasciando trapelare l’abissale ignoranza umana sul tema, sono persone che non riescono ad associare i suoni alle cose. I loro sensi, spesso iperdotati, è come se non si scambiassero le informazioni. Così capitava che «a scuola la maestra diceva di guardarla per sentirla meglio, non capiva che per bambino autistico può essere impossibile: o guarda o sente. Strategie mancano a operatori». Nella prima parte della sua vita, Pier

Carlo incontra educatori non preparati, non all’altezza: «Ero un sacco vuoto. Camminavo tra le aule seguito dalla maestra di sostegno che tormentava la mia vita con laboriose attività da malati di mente». Incapace di parlare e di ascoltare (spesso gli autistici sono stati presi per sordi), da bambino capisce che le emozioni, i pensieri, la percezione della realtà, possono tutti essere espressi da immagini, per costruire un linguaggio figurato dalla ricchezza ineguagliata. Pier Carlo chiama i malati come lui «macchie dell’umana evoluzione», che capitano tra le mille variabili dei «sani e belli». Ciò che ha dentro è «sacco», sacco bramoso di conoscenza, capace di comunicare solo tramite il miracoloso computer: «Leggo su schermo meglio che su carta. Cervello autistico nativo digitale è. Io ho autistica tendenza a inglobare sapere». La sua mente è come uno scanner, che prende tutto ciò che percepisce e lo riproduce così com’è. Per questo la trasformazione della cosa in parola e della parola in cosa è difficilissima, perché comporta un lungo lavoro di riconoscimento e di accoppiamento dei singoli suoni. È invece relativamente facile indicare un’immagine, pronta e confezionata per l’uso. Sempre con la calma della scrittura sulla tastiera, mai con la fretta, che crea angoscia, del parlare e dell’ascoltare. Sempre questo è il motivo della difficoltà di compiere delle scelte per chi è portatore di «macchie». Anche al banale «come la vuoi la pizza», tutte le pizze del menù sono scannerizzate dalla mente, tutte allo stesso modo, come sceglierne una? L’intelligenza di Pier Carlo lo porta a costruire delle risposte fisse per le domande sul cibo e su altri argomenti che per i normodotati implicano scelte facili e immediate. Una notevole intelligenza, quella di Pier Carlo, e per primi dei suoi genitori che lo hanno amorevolmente sostenuto senza imprigionarlo. E non lo dico per la vicenda dei savant, di quelle persone autistiche che hanno evidenti doti straordinarie, in genere del tutto

inutili alla vita. Alcuni contano in un istante i componenti di mucchi di oggetti (come gli stuzzicadenti di Dustin Hoffman in Rain Man), alcuni riproducono alla perfezione un paesaggio o un oggetto che hanno visto di sfuggita, e senza aver preso lezioni di disegno (come il piccolo August, nella continuazione della saga di Millennium). Ma

l’intelligenza di Pier Carlo è diversa: sa leggere dentro e fuori di sé con la spietata chiarezza di chi non censura nulla (anche perché si tratterebbe ancora di una scelta), pertanto oltre alle sue debolezze individua quelle degli altri, sotto tutti i punti di vista. Di sé afferma che «quando ero piccolo, credevo di non esistere; pensavo di essere la coda della

mamma». Fin da allora «il tempo passava nel vuoto assoluto. La mia vita non aveva interessi. I giorni erano senza giochi. Avevo solo paura». Tanto che un vigile che rimprovera la sua mamma lo fa reagire così: «scioglievo immagini di lupo con porcellini; sentivo mio sacco saturo d’ansia e ho riso». Capisce al volo chi si occupa di lui per dovere e chi invece gli si avvicina per dare affetto, l’unica via alla sicurezza. Così, dopo la fatica con i primi educatori, il bambino incontra persone preparate, medici esperti, volontari affettuosi: mai verrà meno la gratitudine per il continuo appoggio, che lo porterà a superare la maturità dell’istituto agrario, ad avere prime esperienze lavorative, a frequentare poi Scienze dell’Educazione a Padova, prima la laurea triennale, poi quella magistrale. Qui ha raggiunto il culmine della soddisfazione e della felicità? Proprio no, perché è venuto a sapere che alcuni «soloni» dell’università non volevano fargli discutere la tesi, impedendogli così di ottenere il titolo. Certo, la sua discussione è scritta, sempre col pc, ma è una seria discussione sull’argomento di cui è certo il più esperto, sull’autismo. Sempre quel giorno, alcuni giornalisti lo descrivono come un falso autistico, troppo bravo per essere vero. Ancora una volta la disincantata intelligenza lo porta a scorgere in tanta malignità l’invidia di genitori che forse non avevano visto laurearsi il figlio normodotato. «Soloni di saperi sulle menti sono contrariati» dalla riuscita dei suoi studi. Pier Carlo grida che «l’autismo può volare e si deve credere nelle sue possibilità. Piantatela di creare catene». Piantatela di dare responsabilità alle madri, che per decenni sono state ritenute colpevoli dell’autismo dei figli. Piantatela di voler trattare tutti allo stesso modo, e di pretendere che vi sia solo una via di comunicazione tra esseri umani. Accettate le vie ricche, alternative dei «maestri del silenzio», come i bambini dell’asilo dove lavora chiamano chi di sé dice «macchia sono di umana evoluzione». Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Cibo a volontà Vagabondare tra i canali televisivi e curiosare tra le rubriche di maggiore audience può essere un modo per cogliere aspetti significativi del nostro tempo: un tempo che, come spesso mi capita di pensare, è caratterizzato da innumerevoli e vistose contraddizioni. Dunque, eccone una: notizie dei telegiornali e reportages strazianti ribadiscono di continuo il problema della fame nel mondo, dei popoli denutriti, delle innumerevoli bocche da sfamare. Poi, sul versante opposto, si moltiplicano le rubriche dedicate alla cucina: cuochi di grido insegnano a cucinare piatti raffinati, rassegne gastronomiche illustrano squisite nuove offerte alimentari, si spiega l’arte della nouvelle cuisine o si riscoprono i gusti e i pregi delle cucine tradizionali. Non c’è canale televisivo, mi pare, che non offra trasmissioni sul tema; e anche presso le case editrici le pubblicazioni concernenti cibo, diete

alimentari, ricette gastronomiche e alta cucina si moltiplicano a decine e decine. Si direbbe, dunque, che il detto evangelico «Non di solo pane vivrà l’uomo…» oggi vada riletto così: «… ma anche di affettati misti, costolette d’agnello, branzino alla brace, sushi, frutta esotica…» – e via a non finire. La globalizzazione dei mercati ha poi introdotto alimenti e ricette esotiche che divengono rapidamente di moda. A ben vedere, il fenomeno non è poi tanto nuovo. Dopo tutto, l’emigrazione italiana in America esportò con grande successo pizza e spaghetti, al punto che Giuseppe Prezzolini ebbe a scrivere, nel suo libro Maccheroni & C., che la cultura italiana si era affermata negli USA ben più grazie agli spaghetti che a Dante: «Che cos’è la gloria di Dante appresso a quella degli spaghetti? Gli spaghetti sono penetrati in moltissime case americane dove il nome di Dante non viene mai pro-

nunciato». Quanto ai Paesi europei, si può tornare più indietro, al secolo dei Lumi: nell’Europa del Settecento ebbe luogo una vera rivoluzione culinaria dovuta all’importazione di cibi e bevande esotiche: caffè e cioccolata s’imposero rapidamente; poi, specie nei Paesi nordici, il tè, l’ananas, il tabacco… La cioccolata soprattutto ebbe grande successo: inizialmente chiamata «brodo indiano» (lo storico Piero Camporesi ha appunto scritto sul tema un bel libro con questo titolo), fu importata dal Messico principalmente dai Gesuiti, che ne magnificarono anche le doti terapeutiche; il gesuita padre Strozzi ne diffuse la ricetta in raffinati versi latini. I Domenicani, invece – sempre in bisticcio con i Gesuiti – si affrettarono a inveire contro l’uso delle erbe aromatiche presenti «nella bevanda del Messico detta cioccolata». Ma questi erano battibecchi tra avversari; per contro, anche il famoso

medico e poeta della corte toscana Francesco Redi sostenne le strabilianti virtù del cioccolato, compresa la sua capacità di rinvigorire il corpo contro l’invecchiamento. Alla fine, i Gesuiti ebbero la meglio: tant’è vero che la Santa Sede, dopo aver consultato alcuni illustri teologi, decretò che la cioccolata non rompeva il digiuno quaresimale. Anche il caffè ebbe i suoi esaltatori: veniva raccomandato contro le emicranie e come rimedio alle depressioni d’umore. Quanto al tabacco non dirò nulla, perché gli elogi che il vegetale ricevette a quei tempi oggi non sarebbero politicamente corretti. La varietà alimentare, dunque, per chi se la può permettere, è cosa naturale e del tutto comprensibile. La ripetizione, in genere, alla lunga induce monotonia e sazietà. A questo proposito calza a pennello l’aneddoto riferito al re di Francia Enrico IV. Il confessore di cor-

te gli rimproverava costantemente le non poche scappatelle extraconiugali e regolarmente gli imponeva le relative penitenze. Il sovrano, ovviamente, non si mostrò irritato e non fece opposizione; anzi, durante i pranzi e le cene alla mensa reale fece servire al reverendo deliziose pernici, ma non una sola volta, bensì costantemente, per giorni e giorni; fino al momento in cui il religioso non seppe trattenersi e sbottò in un infastidito «toujours perdrix!». Al che, prontamente, il sovrano domandò di rimando: «Toujours la reine?». Direi, dunque, che l’odierna ricerca di varietà, di cibi esotici, di cucina innovativa – insomma, questa passione che sembra tanto radicata e sempre più dilagante alle nostre latitudini, non costituisce un fenomeno nuovo e solamente nostro. Nuova e nostra, se mai, è una caratteristica che accompagna quasi tutto l’attuale modo di vivere: l’esagerazione.

posto, a fianco di una famiglia locale che tracanna mezzi di mosto alla spina dopo essere venuta su a piedi. A destra la vista sulla formazione calcarea intramezzata d’erba e pinete scoscese è qualcosa, ma il vero rapimento è prerogativa della locanda di montagna che da metà Ottocento vive guancia a guancia con la roccia. Il legno chiaro della facciata a scandole s’intona con le venature brunastre dell’incredibile scogliera alpestre che la sovrasta. Alle finestre dei fermapersiane figurati tipo Vreneli. I rösti che vanno per la maggiore sono al formaggio con sopra due uova al tegamino o pancetta. O con tutto quanto, come qui accanto. Girano anche come contorno ai bratwurst cosparsi di salsa alle cipolle. Sbircio in cucina: il giovane Knechtle con camicia a quadri spadella rösti a tutto spiano. Da qualche anno, assieme alla moglie Nicole, ha preso il testimone dal padre Beny che dà ancora una mano ai fornelli. Più di cento chili di patate al giorno, se fa bello come oggi.

E si parla di diciotto tonnellate, varietà Agria, a stagione. La scorta è al fresco, nella cantina dietro all’altare cavernicolo della Wildkirchli. Alle mie spalle si può vedere lassù il Säntis, giù un pezzo del Seealpsee. In primo piano ora però, sul tavolo essenziale di metallo rosso, arriva il rösti-panorama. Sono ottimi, ma forse non all’altezza di quelli basilesi provati alla Bierstube Stadtkeller, più croccanti e dorati. Questione di gusti, lì li cucinano a crudo, qui invece lessano le patate, riposano per due giorni, poi diciotto minuti in padella. Degna di nota la manciata di erba cipollina. Assaporo in parallelo la piega della roccia sopra la locanda Aescher. Come titolava un lungo reportage della «Schweizer Illustrierte»: Rösti on the rocks. Stacco lo sguardo sulle nuvole emigranti. Che posto, da andarci almeno una volta nella vita. Se però non volete fare troppa strada per i rösti, quelli dell’Osteria Riva di Vezia sono comunque una cannonata.

stata affacciata la proposta di ridurre la pausa del mezzogiorno, tipicamente mediterranea, per anticipare il rientro a casa serale. Da noi, paese lento, o saggio, questione di opinioni, approdò a partire dagli anni 60. E, non fu, come sempre avviene nei confronti del nuovo, un passaggio indolore. Anche a Zurigo, capitale finanziaria, economica e punta avanzata del costume nazionale, l’orario continuato non ebbe la vita facile. Ne ha rievocato gli antefatti, la «Neue Zürcher Zeitung», giorni fa, in un articolo dal titolo suggestivo «Un pezzo da museo»: alludendo a un momento di vita, ormai consegnato alla storia. Magari da rimpiangere, in nome di valori morali, sanitari, oltre che economici andati persi. Gli oppositori della pausa all’inglese paventavano, infatti, la disgregazione familiare, l’eccesso di svaghi e bagordi nelle serate prolungate, oltretutto costose e rumorose, e l’avvento di «un’alimentazione da distributore automatico»: timori, per altro, non tutti insensati. Con ciò il mezzogiorno breve e il po-

meriggio lungo dovevano poi produrre effetti confortanti, persino virtuosi. Insomma, non soltanto «happy hours», con troppi brindisi, ma anche sedute in palestra e, poi, serate a teatro, ai concerti o sui banchi di un corso per adulti. Come dire, il tempo sottratto al lavoro non è, necessariamente, perso. In proposito si deve ricordare lo sconcerto, provocato alla fine degli anni 70, quando le nostre scuole introdussero il sabato inglese (sempre loro, quando si tratta di saper vivere!). E proprio da due docenti, in apparenza dell’ala progressista della categoria arrivò, all’«Azione», la proposta di lanciare una protesta nei confronti di questo sabato mattino messo a disposizione della «smania consumista». Cercai di spiegare che, proprio sulle pagine del settimanale Migros, quest’appello mi sembrava inopportuno e ormai fuori tempo. Si stava assistendo al culto del weekend, due giornate non lavorative, però non necessariamente riposanti. Il tempo libero, ormai irrinunciabile, comporta dei rischi. C’è anche chi lo spreca.

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf La locanda Aescher «The Huffington post», sito d’informazione americano seguitissimo, ha piazzato la Gasthaus Aescher al primo posto nella classifica dei dieci ristoranti più interessanti al mondo. Davanti a un ristorante-isolotto al largo di Zanzibar e uno dentro una grotta in Messico. D’altra parte, sulla copertina di un recente libro a cura del National Geographic che raccoglie i duecento-venticinque posti più spettacolari del mondo, c’è proprio questa semplice casa di legno incastonata nella parete vertiginosa di roccia. Mentre da cinquantasei anni, fa capolino dipinta, in margine al panorama sottostante, sull’etichetta dell’amaro fatto con quarantadue erbe alpine: l’Appenzeller. Appenzello: mai stato, motivo in più per andarci. Già dai finestrini abbassati del treno HerisauWasserauen si gusta il paesaggio agreste al massimo. L’Aescher è famosa anche per i suoi rösti, secondo alcuni, i migliori del mondo, ma diffido sempre di queste infantili conclusioni categoriche.

L’addetto alla cabinovia che porta su in sei minuti all’Ebenalp ha una cintura con le vacche e un orecchino a forma di vacca come nei più classici stereotipi sull’Appenzello. Tutto l’Appenzello lo si abbraccia in un colpo d’occhio appena si scende per il sentiero tra i pascoli: dolci colline sconfinate di un verde terapeutico, chiazzate dal verde più scuro dei boschi e punteggiate dalle pochissime case e fattorie. Quelli dell’Appenzello interno, dove cammino ora, dicono che per sapere se sei nell’Appenzello interno o esterno, devi guardare le mucche. Se sono più belle delle persone, sei in Appenzello esterno. Tre mucche pascolano pigre, una decina di parapendisti si prepara a spiccare il volo. Corrono giù per i prati e poi hop, in cielo. All’entrata della grotta, colpisce il blu degli aconiti detti anche strozzalupi; simbolo del cavaliere errante nella mitologia nordica. Nel 1904 in questa grotta, Emil Bächler (1868-1950) scopre denti di lupi, teschi d’orsi, e soprattutto punte di

freccia scolpite dall’uomo di Neanderthal. All’uscita di questo percorso buio e umido, c’è una riproduzione così così della casetta abitata fino al 1853 da una serie di eremiti. Si sbuca sul sentiero a strapiombo, costeggiato da un parapetto. A fianco della seconda cavità carsica, creata secondo diverse leggende dal diavolo e luogo di sabba sfrenati con streghe danzanti, c’è il curioso campanile della Wildkirchli: chiesetta selvaggia in legno rosso costruita nel 1621. Dentro la caverna, le panche e l’altare. Dietro l’altare, una porta. C’è molta gente in giro all’ora di pranzo circa, il giorno di ferragosto. Passo lungo una cengia in stile ponte di legno coperto con due finestre senza vetri che incorniciano il paesaggio in due cartoline capolavoro. Ecco l’Aescher (1454 m) che non delude le aspettative, anzi; come in foto se non più bella. La terrazza è presa d’assalto, una coppia di giapponesi aspetta un tavolo, intercetto del dialetto ticinese e un «wow» texano. Da solo non aspetto molto per trovare

Mode e modi di Luciana Caglio Gli orari di lavoro plasmano la città Ogni palazzo un bar, e un bar con mini servizio ristorante. È l’immagine che offre Lugano, ma non quella turistica, bordo lago, esteticamente più godibile, destinata agli ospiti di passaggio o al nostro tempo libero, da riempire con svaghi serali e festivi, proposti a iosa. Si sta, invece, parlando di quell’altra Lugano, già un po’ periferica, che da Corso Elvezia e via Pioda, incrociando via Balestra e risalendo verso Molino Nuovo, ha visto sorgere, appunto,

quelle costruzioni vetro-cemento, dotate, come detto, di bar, anzi snackbar. Locali che possono sembrare tanti, anzi troppi, e giustificano dubbi sulle loro prospettive di sopravvivenza commerciale, soprattutto se visti nella luce, sempre un po’ spettrale, del vuoto di Ferragosto. La realtà, però, smentisce, almeno in parte, un pessimismo, del resto prettamente ticinese. Infatti, questi bar con tavola calda o fredda rispondono a un’esigenza ormai di

Pausa pranzo in cima a un grattacielo, la celebre foto fu scattata nel 1932 durante la costruzione del Rockefeller Center.

forza maggiore: adeguarsi all’orario di lavoro cosiddetto continuato. Ciò che ha creato una nuova categoria di consumatori, e, in pari tempo, un momento d’incontro, tipico della nostra società del terziario. Impiegati, funzionari, insegnanti, avvocati, studenti alle 12 non rientrano più a casa per il pranzo in famiglia, sostituito dallo spuntino, in piedi, o seduti per un boccone al volo. È un piccolo rito quotidiano, una nuova normalità, che però la dice lunga. Conferma, dietro le apparenze banali, l’importanza, addirittura il peso dei ritmi e delle esigenze professionali sulla vita individuale e familiare, con effetti poi su quella pubblica, sulle relazioni fra colleghi e, non da ultimo sulla città stessa, nel suo corpo, nelle sue strutture e nei i suoi servizi. L’orario di lavoro si è rivelato una forza rivoluzionaria. Esempio rappresentativo è proprio la pausa del mezzogiorno drasticamente abbreviata, dalle canoniche due ore ai 30/45 minuti della versione cosiddetta all’inglese. Proveniva, infatti, dal Regno Unito, dove già nel 1890 era


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Ambiente e Benessere La biodiversità di Alptransit I lavori per la costruzione della nuova galleria ferroviaria hanno previsto opere di compensazione sull’impatto ecologico

In crociera sulla rotta mitica Il piacere per il rischio spinge facoltosi avventurieri sulla via del passaggio a Nord-Ovest

Noi come un platano Adriana Bonavia Giorgetti nel suo nuovo libro racconta il suo rapporto con un albero speciale

L’invasione dei pesci leone Dalle barriere coralline dei caraibi il lionfish ha raggiunto ora il Mediterraneo

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I resti di un grande cantiere Paesaggi Molti interventi ideati anche per compensare le perdite ambientali causate dai lavori per la nuova ferrovia

e per la realizzazione della Galleria di base del San Gottardo portano un contributo alla biodiversità

Marco Martucci pagina 14

Oggi, che persino la festosa inaugurazione è ormai già un ricordo, con i cantieri smantellati, i nastri trasportatori di roccia spariti, gli alloggi di operai e tecnici vuotati e portati via, i trenini che conducevano i minatori dentro la montagna fermi da tempo, si stenta quasi a crederlo: dopo diciassette anni, la Galleria di base del San Gottardo è pronta per entrare nel quotidiano, nella nostra vita di ogni giorno. Fuori, del grande lavoro, non è restato quasi più nulla da vedere. Ed è giusto che sia così. Perché l’opera del secolo, la galleria ferroviaria più lunga e profonda del mondo, è nascosta fra le pieghe rocciose delle Alpi. Eppure, all’esterno, qualcosa c’è stato e qualcosa è anche cambiato. Per molti anni, ai due portali di Erstfeld e Bodio e presso gli attacchi intermedi di Amsteg, Faido e Sedrun, la presenza dei cantieri, con l’occupazione di suolo e i movimenti di materiale, persone, veicoli, s’è fatta sentire. Anche oggi, a cantieri ormai praticamente chiusi, rimangono opere esterne, costruzioni e binari che, pur ben inserite nell’ambiente, hanno modificato il paesaggio. Un’opera di queste dimensioni non può non aver avuto un impatto sul territorio, sia transitorio, durante i lavori, che permanente. Di questo si è tenuto conto mediante esami d’impatto ambientale già in fase di programmazione e durante la progettazione, grazie ai quali le conseguenze sul territorio sono state sensibilmente contenute, anche coinvolgendo autorità cantonali e comunali, popolazione e associazioni ambientaliste. All’interno dei cantieri è stata introdotta una nuova e importante figura, quella dell’ingegnere ambientale.

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Guardiamoci le spalle Salute Parte a settembre la nuova Campagna

Maria Grazia Buletti Lasciarsi alle spalle qualcosa, voltare le spalle, essere con le spalle al muro… e ancora: avere un fardello sulle spalle, dare una pacca sulle spalle, avere spalle da boscaiolo. E poi: dove spuntano le ali se non sulle spalle? In Svizzera, il 30 per cento delle persone è colpito da dolori alle spalle o deve fare i conti con una loro limitata mobilità. Senza dubbio, si tratta di un’articolazione complessa e molto sollecitata, non solo dal gergo comune ricordato nelle nostre prime righe, ma fisiologicamente in parecchi dei nostri movimenti comuni ai quali non facciamo neppure caso. Per questo, la Campagna 2017 della Lega svizzera contro il reumatismo accende i riflettori sulle patologie della spalla che possono causare dolori e limitazioni funzionali, facendo tappa il 7 settembre al Palacongressi di Lugano, con una giornata di sensibilizzazione (info: www.reumatismo.ch/ti ). Abbiamo parlato di quella che gli addetti ai lavori definiscono «un’articolazione meravigliosa» con il dottor Numa Masina (nella foto con un paziente), reumatologo che ha subito confermato la versatilità e la capacità di movimento di questo apparato: «Seppur anatomicamente piuttosto fragile (ndr: è sostenuta da una robusta muscolatura e tendini che costituiscono la cuffia dei rotatori), quest’articolazione è fondamentale perché ci garantisce una libertà di movimento a 360 gradi. Grazie alle spalle muoviamo le braccia e possiamo raccogliere qualcosa in basso e riporla in alto; ci permettono di adempiere alla nostra

igiene personale attraverso una miriade di gesti che paiono scontati come pettinarci, lavarci il viso, vestirci, allacciare un reggiseno o una cerniera sulla schiena». Tuttavia, l’importanza di quest’articolazione va di pari passo con la sua fragilità: «A livello biomeccanico, la spalla è un’articolazione molto complessa, caratterizzata da una piccola superficie articolare tenuta assieme soprattutto dai tendini e da qualche piccolo legamento». Proprio qui è insita la causa della maggior parte delle patologie che possono colpire le spalle, causando dolore e mobilità ridotta: «Dal sollevamento pesi alla verniciatura dei soffitti, i movimenti o i carichi non consueti (in particolare i lavori che implicano un movimento delle braccia al di sopra della testa) possono provocare dolori che interessano per lo più le parti molli: le diagnosi più frequenti sono la sindrome da impingement, le lacerazioni dei tendini e le borsiti». Il dottor Masina traccia così un quadro di quello che potrebbe scaturire da dolori alle spalle, aggiungendo che va considerata anche la calcificazione dei tendini (tendinosi calcifica) o che le spalle si possono irrigidire (frozen shoulder), così come non va dimenticato il fatto che i dolori alle spalle potrebbero essere secondari ad altre patologie: «Un dolore percepito a livello della spalla potrebbe avere un’origine cardiaca o, in generale, provenire da un problema della colonna cervicale». L’importanza della motilità di quest’articolazione e l’eventualità che i dolori alle spalle vadano seriamente indagati (in quanto potrebbero anche originare da altri problemi) ci permet-

Stefano Spinelli

nazionale della Lega svizzera contro il reumatismo

tono di comprendere che quando sentiamo male o non possiamo eseguire i movimenti consueti è buona cosa rivolgersi al proprio medico di famiglia che eseguirà le indagini del caso per individuare la diagnosi corretta, che potrebbe anche non essere di natura reumatologica. Un primo esame clinico eseguito dal medico di famiglia, che conosce bene il proprio paziente, è dunque consigliato al fine di avere una corretta valutazione delle patologie della spalla: «Esso è indispensabile per determinare la possibile causa del problema, e soprattutto serve a escludere patologie internistiche che potrebbero pure essere all’origine di dolori nella regione della spalla, come dimostrano gli esempi che abbiamo portato». Ed ecco che, come dicevamo, nella sua valutazione il medico porterà una diagnosi differenziale che consideri pure una patologia cervicale o toracica: «Ad esempio, potremmo trovarci dinanzi a una patologia polmonare, a un’infiammazione sistemica (ad esempio una polimialgia reumatica nei pa-

zienti anziani), a dolori muscolari diffusi come potrebbe essere il caso in una sindrome fibromialgica, o in casi più rari a patologie addominali». Secondo la diagnosi clinica e secondo la valutata necessità, altri esami possono coadiuvare la ricerca delle cause di dolori alla spalla: «A partire dalla radiografia convenzionale, primo esame di scelta, che permetterà di valutare l’eventuale presenza di alterazioni degenerative o post-traumatiche, o la presenza di calcificazioni periarticolari, seguita se necessario, dall’ecografia della spalla (che evidenzierà meglio le parti molli, tendini e borse), fino un artroMRI della spalla». La corretta identificazione del problema che origina i dolori porterà alla proposta di un’adeguata terapia che, per cominciare e nella maggior parte dei casi, passa per misure conservative: «Parliamo di farmaci, comprese le infiltrazioni di cortisone, fisioterapia o altre misure locali come ad esempio l’applicazione delle onde d’urto». Il dottor Masina sottolinea come solo in assenza di una

risposta soddisfacente alle varie corrette terapie conservative, col persistere di importanti dolori che influenzano negativamente la qualità della vita, si potrà prendere in considerazione un intervento chirurgico: «Questo potrebbe essere finalizzato alla ricostruzione della cuffia o all’impianto di una protesi, o in casi selezionati altri interventi anche più complessi». Parole d’ordine: pazienza e disciplina, perché la convalescenza e la riabilitazione possono rivelarsi molto lunghe. Il reumatologo invita dunque a partecipare alla giornata del 7 settembre promossa dalla Lega svizzera contro il reumatismo in collaborazione con la sua sezione ticinese: «È un’interessante opportunità perché un paziente bene informato è il migliore garante della propria salute». Rendiamoci dunque conto di quanto le spalle ci permettono di fare, con una frase presa a prestito dallo scrittore David Grossman: «Non puoi indicare una stella a qualcuno senza che l’altra tua mano gli si posi sulla spalla».

Dalla Galleria sono stati estratti 28,2 milioni di tonnellate di roccia; quantità sufficiente per costruire ben cinque piramidi come quella di Cheope in Egitto Qua e là, l’ambiente naturale è stato arricchito, attraverso opere di compensazione, con nuove e pregiate componenti. Una delle tante sfide affrontate e brillantemente risolte dai costruttori della Galleria di base è stata la gestione dell’immensa quantità di roccia estratta dalla montagna: 28,2 milioni di tonnellate corrispondenti a circa 14

Le nuove isole sorte nell’area del delta della Reuss nei pressi di Flüelen. (AlpTransit)

milioni di metri cubi, quanta ne sarebbe bastata per costruire non una, ma cinque piramidi come quella di Cheope in Egitto. E si tratta di roccia di qualità diverse, dal granito centrale dell’Aar al granito di Medels, dallo Gneiss della Leventina alla famosa Dolomia della sacca di Piora. Una varietà che ha reso complesso l’avanzamento del traforo – a confronto, nel Tunnel della Manica, di 50 km, la roccia era sempre la stessa – e ha complicato il successivo smaltimento del materiale scavato. Anche in questo caso, circa un terzo della roccia estratta è stato riutilizzato nella produzione di calcestruzzo, in gran parte reimpiegato nella galleria. Già nel cantiere, in quattro appositi impianti a Bodio, Faido, Sedrun e Amsteg, la roccia è stata frantumata, lavata, setacciata e trasformata in materiale di qualità. La parte non utilizzabile come materiale da costruzione è stata deposta all’esterno, in modo il più possibile compatibile con l’ambiente e il paesaggio. Per il trasporto della roccia si è cercato di evitare l’utilizzo di mezzi pesanti, privilegiando il treno e i nastri trasportatori, coperti per ridurre l’emissione di polveri. Perfino chiatte sono state utilizzate per trasportare il materiale proveniente da Erstfeld e Amsteg alla foce della Reuss, dove è stato immesso nel Lago dei Quattro Cantoni. Così, con due milioni e mezzo

La piccola montagna alla Buzza di Biasca. (AlpTransit)

di tonnellate di roccia è stato rinaturato il delta della Reuss nei pressi di Flüelen, creando un paesaggio con isole riservate alla natura e in parte destinate allo svago degli abitanti. Al portale sud, la roccia frantumata è stata trasferita attraverso un apposito cunicolo di circa 3 km, scavato nella montagna per evitare un gran numero di trasporti con automezzi, fino alla Buzza di Biasca dove, durante anni, è cresciuta una piccola montagna. Prima era un grande mucchio di sassi che veniva bagnato quando la polvere, mossa dal vento e monitorata in tutta la zona, superava un certo limite. Alla fine, il mucchio è stato rinverdito con erba e centinaia di alberelli, betulle e altro. Ora, inserito nell’ambiente, è ben visibile sulla destra di chi viaggia lungo la strada in direzione del Lucomagno, all’uscita di Biasca. A chi è ignaro dei lavori per la Galleria di base, sembra una piccola altura come tante altre. Per rendersi conto di come, a lavori ultimati, questa grandiosa opera, sia nei tratti a cielo aperto sia per quanto è stato fatto dentro la montagna, si sia inserita in modo tutto sommato armonioso nell’ambiente circostante, è consigliabile una visita nei dintorni del portale sud. Ci si può spostare in parte in automobile, ma meglio sarebbe a piedi o in bicicletta, lungo un percorso alla scoperta di sorprendenti gioielli di natura, nati con la nuova ferrovia. Un poco verso nord, dalle parti di Pollegio, su una delle strade in terra battuta fra linea ferroviaria, autostrada e fiume, alle porte della Leventina – siamo quasi a Personico – s’incontra un canaletto che porta l’acqua verso il Ticino. È acqua che esce di continuo, giorno e notte, alla temperatura di circa 26 °C, dalle viscere della montagna, dallo scavo della Galleria di base. Non può andare direttamente nel fiume, è troppo calda, durante i lavori era anche sporca e dev’essere prima ripulita e raffreddata. In appositi bacini, nelle vicinanze della Centrale d’esercizio Sud delle FFS a Pollegio, l’acqua perde il suo calore e continua a raffreddarsi anche nel percorso fino al fiume. Sarà possibile utilizzare questo calore, energia geotermica gratuita e pulita, con

innovativi progetti che altrove, come al Lötschberg, si sono realizzati come teleriscaldamento, allevamento di pesci pregiati e coltivazione di frutta tropicale. Scendendo verso Biasca ecco la nuova massicciata: scarpate su cui s’alternano prati fioriti con arbusti e pietraie, preziosi spazi per farfalle, grilli, rettili. Un poco più avanti, ecco una grande opera di compensazione ambientale, la zona umida di Pasquerio, rivitalizzazione di quanto, prima dei lavori, a stento si vedeva. Ora, delimitato da un bello steccato in legno di castagno, ci sono il torrente, lo stagno popolato da rane, piante acquatiche, rive arricchite con sassi e arbusti. E, intorno, piantagioni d’alto fusto, un boschetto, frassini, salici, aceri e pini silvestri, al posto delle precedenti robinie. Più a sud, vicino allo svincolo autostradale di Biasca, ecco un prato magro, un querceto e una parte di rive del Brenno abbellita con vegetazione autoctona. Da qui, alzando lo sguardo, si notano i grandi castagni della vecchia selva che, dalla chiesa dei Santi Pietro e Paolo va verso la cascata di Santa Petronilla, sopra la stazione di Biasca. Sono castagni da Selva castanile nei pressi della cascata Santa Petronilla. (AlpTransit)

frutto: tutta la selva è stata accuratamente risistemata e messa a nuovo: gli alberi potati, i sentieri ripristinati. Anche qui, compensazione ecologica. Nella parte sud di Biasca, il riale Dragone è stato rivitalizzato: le sue sponde sono più naturali, con sassi, briglie in legno e, a fianco, siepi con arbusti locali. Un muro a secco protegge un nuovo stagno, alimentato dalle acque del torrente: ospita piante e animali tipici. Non molto lontano, con il terriccio tolto per far posto al cantiere e tenuto da parte, si sono ottenuti campi coltivabili. E tutto quanto, dallo stagno alle scarpate della ferrovia, alle siepi, ai prati magri, ai torrenti è collegato in una rete naturale che consente anche il passaggio degli animali. Tutti questi interventi, compresi quelli che, a uno sguardo affrettato e superficiale potrebbero apparire minimi e poco significativi, ideati anche per compensare le perdite ambientali causate dalla nuova ferrovia, portano un contributo alla biodiversità. Pensiamoci quando, manca poco ormai, lanciati a gran velocità, passeremo, per brevi istanti, da queste parti.


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Ambiente e Benessere

Viaggiatori d’Occidente Una crociera controversa riporta l’attenzione

Esplorazioni di terre estreme

su una rotta leggendaria

Bussole Inviti a

Il passaggio di Nord-Ovest

letture per viaggiare Claudio Visentin

«La sala riunioni al primo piano dell’Admiralty House di Whitehall era il centro nevralgico della più grande e potente flotta al mondo… In quella stessa stanza, nel 1804, John Barrow aveva assunto la carica di secondo segretario dell’Ammiragliato, che con un breve intervallo fra il 1806 e il 1807 avrebbe mantenuto per i quarantuno anni successivi…».

Daisy Gilardini

Il 16 agosto la Crystal Serenity è salpata da Anchorage (Alaska) alla volta di New York, dove arriverà dopo un mese di navigazione; a bordo millecento passeggeri e oltre seicento membri d’equipaggio. Se non si guarda la carta geografica, potrebbe sembrare una crociera come tante. Ma già il prezzo del biglietto – da venti a centoventimila dollari – rivela il carattere eccezionale dell’esperienza: per la prima volta una grande nave da crociera percorrerà il leggendario Passaggio di nord-ovest, lungo la costa settentrionale del Canada, nel Mar glaciale artico. Sin dal tempo della scoperta del continente americano si cercò questo passaggio, che avrebbe permesso di raggiungere l’Asia passando dall’Atlantico al Pacifico senza dover circumnavigare tutta l’America meridionale. E anche dopo l’apertura del Canale di Panama (1914) il Passaggio di nord-ovest consentirebbe comunque di accorciare il tragitto di migliaia di chilometri. La ricerca del passaggio si fece più intensa nella prima metà dell’Ottocento (vedi la bussola qui a fianco). Diverse spedizioni furono allestite ma dovettero arrendersi dinanzi ai ghiacci, alle tempeste, alle malattie. La più ambiziosa fu tentata nel 1845 con due grandi navi – «Erebus» e «Terror» – e 133 uomini ai comandi di Sir John Franklin. Nonostante la qualità dei vascelli e la preparazione degli equipaggi, di quella spedizione si persero le tracce: nessuno tornò per raccontarla. Probabilmente il mare si aprì davanti a loro grazie a una stagione favorevole, ma solo per richiudersi poi alle spalle, imprigionando le navi nella morsa del ghiaccio. Le missioni di soccorso inviate invano alla ricerca della «spedizione perduta» servirono quanto meno a completare la mappatura di quelle acque. Finalmente nel 1905 il famoso esploratore norvegese Roald Amundsen, dopo tre anni di navigazione su un peschereccio, con pochi compagni e minime scorte, riuscì a collegare i due oceani. Amundsen dimostrò dunque l’esistenza del passaggio, ma anche la sua scarsa utilità pratica: infatti era navigabile solo per una finestra temporale di poche settimane e neppure tutti gli anni. Tornando ai giorni nostri, cosa spinge dunque gli organizzatori di questa crociera a ripercorrere un cam-

mino tanto pericoloso? Confidano negli effetti del cambiamento climatico. I ghiacci, infatti, si stanno ritirando molto più rapidamente di quanto si era ipotizzato, tanto che nel 2015 la calotta polare ha raggiunto il record di riduzione invernale. Invece di preoccuparsi per l’equilibrio climatico globale, che potrebbe essere stravolto dallo scioglimento dei ghiacci, i Paesi vicini – Russia, Usa, Canada, Danimarca e Norvegia – già litigano tra loro per la sovranità su quest’area e, com’è noto, guardano con malcelato interesse alle riserve di gas e petrolio nascoste sotto l’Artico (il cui utilizzo aggraverebbe ancor più la situazione…). Tra tante preoccupazioni, per la navigazione commerciale potrebbe cominciare una nuova era. A partire dal Duemila, infatti, il passaggio resta aperto sempre più spesso e sempre più a lungo. Diverse navi mercantili, yacht privati e piccole navi da crociera hanno già compiuto la traversata negli ultimi anni e la rotta potrebbe consolidarsi in futuro.

Certo anche così il viaggio non è privo di pericoli. Per cominciare il Mare artico è notoriamente inaffidabile e le sue condizioni possono cambiare in poco tempo. Inoltre una Terra più calda non determina un aumento uniforme e generalizzato della temperatura quanto piuttosto cambiamenti climatici imprevedibili. Si creano continuamente nuovi percorsi, dove però vagano grandi masse di ghiaccio provenienti da nord: per sciogliersi impiegano anni e non è facile tenerle sotto controllo. Soprattutto il passaggio non è mai stato tentato da una nave di queste dimensioni e con tanti passeggeri a bordo, non tutti in buone condizioni fisiche. Non a caso sono state prese imponenti precauzioni: una nave d’appoggio rompighiaccio con due elicotteri a bordo, sonar, previsioni metereologiche sempre aggiornate, esperti piloti ecc. Ma chi saprebbe gestire un’evacuazione d’emergenza di questa scala in terre tanto remote? Basti pensare che a ciascun passeggero è richiesta un’assicurazione di cinquantamila dollari, ov-

vero il costo di un eventuale salvataggio in caso di pericolo. E se anche tutto va per il meglio, altri saranno tentati di ripetere l’impresa con minori precauzioni. Perché dunque questo azzardo? Da quando le crociere sono diventate sempre più sicure, nonostante tutti gli intrattenimenti a bordo, la noia incombe e si è aperta una gara a sfidare il pericolo senza necessità. Così fu nel caso del naufragio della Costa Concordia al largo dell’Isola del Giglio nel 2012 e non si può escludere che qualcosa di simile possa ripetersi nelle gelide acque artiche. Anche senza scomodare la nota vicenda del Titanic (vedi «Azione» n.8 del 22 febbraio 2016), che urtò contro un iceberg nonostante navigasse cinquemila chilometri più a sud, potrebbe insegnare qualcosa la storia della piccola nave da crociera MS Explorer: per prima nel 1984 navigò il Passaggio di nord-ovest e fu poi affondata da un iceberg nel 2007, mentre si trovava nell’Oceano antartico. Ma la Crystal Serenity ha un nome di miglior augurio…

Concluse le guerre napoleoniche nel 1815, la gigantesca flotta britannica era sovradimensionata e al tempo stesso priva di una missione. John Barrow ebbe l’intuizione di indirizzare tutte quelle energie compresse verso le regioni del mondo che ancora attendevano di essere esplorate: Timbuctù, le sorgenti del Nilo, l’interno dell’Africa, l’Antartide, il Polo nord e naturalmente il leggendario Passaggio di Nord-Ovest. Il padre di innumerevoli esplorazioni era il burocrate per eccellenza, sommerso nella corrispondenza quotidiana (quarantamila lettere l’anno!). Pochissimi i viaggi nella sua vita, interamente divisa tra casa e lavoro. Quando a ottantun anni fu finalmente pensionato, gli consentirono di portar via la scrivania sulla quale aveva sempre lavorato: non era più possibile immaginarli separati. Certo, Barrow non era un genio: fu parziale nella scelta degli uomini, commise molti errori e diede troppo credito alle sue intuizioni, immancabilmente sbagliate. Ma seppe risvegliare e mantenere accesa l’immaginazione dell’opinione pubblica e sostenne i sogni di una generazione inquieta di giovani ufficiali, che portarono le loro impeccabili uniformi coi bottoni blu nel Sahara e tra i ghiacci polari, riducendo sempre più gli spazi bianchi sulle carte geografiche. Non fatevi spaventare dalla mole. Il libro scorre rapido tra esplorazioni di terre estreme, incontri con popoli sconosciuti, tragiche condizioni sopportate con eroismo, infiniti aneddoti. Bibliografia

Fergus Fleming, I ragazzi di Barrow, Adelphi, 2016, pp.552, € 35,00.

Frasi bisenso tra Edipo e Pitagora Enigmistica Giochi di parole e di numeri in cui la logica è la chiave per la soluzione secondi di meditazione», può essere interpretata anche come una definizione dell’esposto. Il «cucchiaino», infatti, è uno strumento (mezzo) piccolo (minuto), che viene utilizzato per raccogliere qualcosa (di raccoglimento); inoltre, in accordo con il diagramma numerico: mezzo è composto da 5 lettere, minuto da 6, di da 2 e raccoglimento da 13. Alla luce di queste considerazioni, cercate di risolvere i seguenti giochi. 1. BEATRICE E PICCARDA (3 5 3 1’10 3’8) di Beppe da Giussano; 2. CIRCO (1’4 3 8) di Favolino; 3. COLONIE (2 9 5 7) di Sacripante; 4. CORROMPERE (2 7 2 3 8) di Bardo 5. DEBITO NON PAGATO (11 5 7) di Re Enzo; 6. DESCO CON RISOTTI E SPAGHETTI (2 6 3 5) di Gipo; 7. GENERALISSIMI USA (1 7 3 9) de Il Retico;

8. INCONTRO DI BOXE (3 2 8) di Traiano; 9. PRINCIPESSA (2 8 2 3 8 5) de Il Grigio;

10. SKETCH NON TAGLIATO (6 6) di Kripton; 11. TRONO (2 4 3 1’7) di Boy; 12. VISTOSE MESSI (8 8) de il Pedone.

Soluzione

L’Enigmistica è un’arte basata essenzialmente su meccanismi linguistici (e non numerici); nonostante ciò, si possono individuare diverse analogie tra questa disciplina e la Matematica, soprattutto a livello di impostazione logica, nella ricerca delle soluzioni. Per dimostrare la validità di questa tesi, gli enigmisti italiani Giovanni Riva (Lasting) e Ornella Di Prinzio (Lora), alcuni anni fa hanno pubblicato un interessante saggio: Enigmistica & Matematica – Edipo si diverte con Pitagora (che può essere richiesto a: Giovanni Riva – Via Torino, 22 – IT20040 Usmate MI). L’opera contiene, tra l’altro, una nutrita raccolta di classici giochi enigmistici, la cui soluzione corrisponde a un noto termine matematico. Qui di seguito vi propongo alcune frasi bisenso (che in passato, venivano

denominate crittografie mnemoniche), tratte da tale raccolta, impostate con un simile criterio. Come ho già avuto modo di affermare in queste pagine, un gioco del genere si presenta mediante la proposizione di un esposto (una breve frase o una sola parola), affiancato da un diagramma numerico (una successione di numeri, che indica la lunghezza in lettere delle parole componenti la soluzione). Per riuscire a risolverlo, bisogna cercare di individuare una frase di comune conoscenza che, oltre al suo senso più immediato, ne possegga un altro più debole, idoneo a definire l’esposto. Prendiamo in considerazione, ad esempio, la seguente frase bisenso. (di Tina). CUCCHIAINO (5 6 2 13) La soluzione è: mezzo minuto di raccoglimento. Questa frase, infatti, oltre a possedere l’istintivo significato di «trenta

1. Due rette che s’incontrano all’infinito (rette = donne oneste, come Beatrice Portinari e Piccarda Donati; infinito = Paradiso). 2. L’area del trapezio (area = spazio; trapezio = attrezzo da circo, per esibizioni acrobatiche). 3. Le proprietà delle potenze (proprietà = possedimenti; potenze = nazioni egemoni). 4. La funzione di una tangente (funzione = finalità; tangente = bustarella). 5. Sottrazione senza riporto (sottrazione = detrazione; riporto = restituzione). 6. La tavola dei primi (primi = primi piatti). 7. I vertici del pentagono (vertici = massime autorità; Pentagono = quartier generale del ministero della difesa Usa). 8. Due al quadrato (quadrato = ring). 9. La derivata di una funzione reale (derivata = discendente; funzione reale = mansione di monarca). 10. Numero intero (numero = esibizione; intero = integrale). 11. La base per l’altezza (base = sostegno; altezza = titolo di un re). 12. Prodotti notevoli (prodotti = frutti; notevoli = rilevanti).

Ennio Peres


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Ambiente e Benessere

Dalle radici al cielo Il seme nel cassetto Adriana Bonavia Giorgetti, già autrice

del fortunato L’arte di coltivare l’orto e se stessi, esplora le necessità dell’essere umano in Meditare dentro un platano

Lagerstroemia, in tutte le forme bella Mondoverde Una varietà di alberello

che non vanta solo la bellezza dei fiori ma anche quella della sua corteccia

Nell’immagine compariva anche il suo creatore, Antonio Grassi, vivaista vecchio stampo: pistoiese, innamorato delle piante e con più di quarant’anni di lavoro nel suo vivaio, con una particolare passione per le Lagerstroemie, tanto da diventare uno dei maggiori produttori in Europa e di avere una propria selezione che porta il suo nome. Oltre alla «Rosea Grassi», esiste anche «Bianco Grassi», arbusto eretto dal fiore candido che non vira sul giallognolo al momento della sfioritura, ma pure «Violacea Grassi» e «Rosso Gras-

zio vegetazione, mentre durante l’inverno sarà sufficiente una leggera concimazione con dello stallatico. Amante del sole, potete piantarla anche in prossimità alla vostra abitazione: avendo un apparato radicale poco sviluppato non rovinerà le fondamenta e i muri esterni, adattandosi molto bene alla creazione di aiuole fiorite con cespugli bassi di veronica, lavanda, salvia, bulbose estive o erbacee perenni. Richiede poche cure, come una potatura da effettuarsi in febbraio-marzo dei rami laterali che hanno fiorito e il taglio dei rametti che crescono lungo il fusto o dal colletto nel caso intendiate coltivarla ad alberello. I fiori, dai colori vivi e sgargianti, non solo nelle varietà selezionate da Antonio Grassi, sono portati su lunghe pannocchie che raggiungono anche i venti centimetri e sbocciano da giugno fino a ottobre, mostrando i loro petali arricciati e dalla consistenza della seta. Nella stagione estiva la si può moltiplicare tramite talea apicale, prelevando porzioni terminali di rami non fioriti lunghi 10-12 centimetri. Dopo averli spogliati delle loro foglie e lasciandone solo 3-4 per rametto nella parte apicale, si interrano in vasetti con terriccio ricco di sabbia e si provvede a bagnarli regolarmente due-tre volte alla settimana.

si», tutte ben resistenti al freddo invernale. La Lagerstroemia indica è originaria della Cina, viene coltivata ad arbusto oppure ad alberello e in quest’ultimo caso viene valorizzato anche il tronco della pianta che, tenuto singolo e spoglio dai rami per i primi 150-200 centimetri, si mostra con la sua corteccia a placche grigie, marrone chiaro e marrone scuro. La corteccia si sfalda quando la pianta diventa adulta, valorizzandola con i suoi colori pastello anche in inverno, allorché la pianta è priva di foglie e di fiori. Adattandosi alla maggior parte dei terreni, ad esclusione di quelli argillosi, si trapianta in piena terra in primavera, da aprile fino alle prime settimane di giugno, concimando la pianta con prodotti a base di azoto e successivamente integrando con fosforo e potassio a ini-

Ritirateli in una serra fredda o una cantina luminosa da novembre, diminuendo l’irrigazione; fate trascorrere un altro anno e nella primavera successiva potrete piantumarle in piena terra. Se disponete di poco spazio ma non volete rinunciare a una bella Lagerstroemia, cercate la varietà nana «Petit Red» dai fiori rosa e rossi che raggiunge al massimo gli 80 centimetri di altezza e il metro di larghezza. Tra quelle che raggiungono altezze intorno ai 3-4 metri vi sono alcune varietà molto appariscenti, come Lagerstroemia indica «Caroline Beauty», rosso intenso, «Rubra Magnifica», dal rosa più delicato, «Durant Red» di rosso cupo e la bianca «Nivea». Per chi invece vuole valorizzare maggiormente la corteccia di queste piante, consiglio L. indica per furieri «Sioux» con squame verde oliva che si staccano rivelando venature rosate.

Laura Di Corcia

Anita Negretti

Fra gli esercizi spirituali di Rudolf Steiner, volti a rinvigorire l’anima del discepolo (o della discepola), uno ha come oggetto il mondo vegetale: il padre dell’antroposofia consigliava di guardare ogni giorno una pianta, osservandone crescita e cambiamenti, collegando quindi il proprio mondo interiore a quello dell’arbusto. Questo è lo spirito che ha animato la ricerca di Adriana Bonavia Giorgetti, già autrice del fortunato L’arte di coltivare l’orto e se stessi, che in Meditare dentro un platano (pubblicato nel 2003 ma ristampato quest’anno da Ponte alle Grazie) racconta del suo rapporto con un albero speciale, un platano posto al centro del suo giardino, una pianta possente e vigorosa alla cui ombra è possibile lasciarsi andare a «quell’azione-non-azione che consiste nel meditare». Le pagine scorrono veloci, intervallate da citazioni atte a dimostrare che non esiste separazione, che siamo un tutt’uno: le piante, presenze nouminose, non fanno altro che ricordarci questa verità, sono testimonianze mute di un altrove, di un oltre che pervade le nostre vite allorquando ci apriamo ad ascoltare la voce remota che arriva da quel luogo.

Qualche mese fa ho visto la fotografia di una varietà particolarmente bella e generosa di fiori di Lagerstroemia indica. Si trattava di «Rosea Grassi» con petali rosa scuro, quasi rosso, fiori doppi e portamento eretto. In piena terra raggiunge i tre o quattro metri e coltivata ad alberello regala angoli di colore nei giardini.

Bonavia Giorgetti: «Avvertiamo l’esigenza di riportarci all’interiorità e da qui riguardare il compiuto» Riflessioni dense, quelle di Adriana Bonavia Giorgetti, che in modo spontaneistico ma non per questo superficiale accostano i grandi temi della vita, concentrandosi soprattutto sulla relazione con sé stessi. Che cosa può insegnarci un platano? La sua tensione ascendente, la spinta a svilupparsi in direzione opposta alla terra che i botanici chiamano «geotropismo negativo», ci ricorda che il nostro compito in questo mondo è di crescere, e non solo in un senso fisico. «Il processo che per l’albero è natura per l’uomo è scelta, volontà, conquista» scrive l’autrice. «L’uomo è chiamato ad andare oltre la naturalità

Tra quelle che raggiungono altezze intorno ai 3-4 metri vi sono alcune varietà molto appariscenti

e la materialità senza ignorarle, senza negarle. Guai se dimentica le radici, guai se dimentica l’aspirazione verso l’alto». Non c’è solo un vettore verticale, che punta al cielo; il tronco, concentrico, robusto, progettato per sostenere lo slancio, ci ricorda l’importanza di avere un centro, un’interiorità alla quale è giusto tornare dopo le fasi di apertura. «Avvertiamo l’esigenza di riportarci all’interiorità e da qui riguardare il compiuto» precisa per l’appunto la scrittrice. «È il movimento che ci riequilibra e ci ricarica per prepararci a un nuovo ciclo di espansione. Guardo ai ritmi che mi do io: sono sempre sani? No. Mi faccio prendere dall’azione, dal senso del dovere verso persone e situazioni». Il platano ci insegna la forza della lentezza e l’abbandono: donando i suoi pollini al vento, si affida alla saggezza della natura, insegnandoci il valore della fiducia nel giusto progredire delle cose. È un libro che si apre anche all’incanto, Meditare dentro un platano, una descrizione estasiata del miracolo della natura: il polline dorato che quando cade dall’albero ricrea lo scenario prezioso e aureo dei quadri di Simone Martini, la danza delle foglie, che il platano denutre a partire dall’autunno per sopravvivere, il movimento taoista che anima ogni cosa sulla Terra, perché tut-

to è complementare, a partire proprio dal mondo vegetale e quello animale, visto che il primo produce ossigeno indispensabile al secondo e viceversa… Sono considerazioni che, accostate, rimandano a un ordine, a una legge benevola che anima il cosmo. Le piante, i giardini – non è la prima volta che in questa rubrica lo facciamo notare – sono sempre stati al centro delle riflessioni dei grandi filosofi e scrittori che per il loro tramite cercavano spiegazioni alle grandi domande, quelle essenziali: questo nuovo libro, che insieme ad altri già presentati in precedenza privilegia la forma diaristica, le riconduce a un ambito privato, alla quête personale che alcuni fra noi seguono per raggiungere l’equilibrio e la serenità d’animo. Ci saremmo aspettati qualche riferimento in più sul platano, che rimane una presenza un po’ evanescente, perché manca l’intenzione di evidenziarne le peculiarità, distinguendolo da altri alberi: forse uno sforzo in questa direzione avrebbe arricchito il libro, donando maggior carattere e compattezza a riflessioni sulle quali ad ogni modo val la pena soffermarsi e riflettere. Bibliografia

Adriana Bonavia Giorgetti, Meditare dentro un platano, Ponte alle grazie, 2016, pp. 144, € 13.50.

Donare il sangue Anche Migros ha partecipato alla campagna

internazionale «Missing Type»

Lo scorso 15 agosto ha avuto luogo la campagna internazionale «Missing Type», organizzata per sensibilizzare la popolazione e promuovere le donazioni di sangue. In quella giornata, nelle venti nazioni in cui si è tenuto l’evento, dalle insegne delle aziende che hanno partecipato alla campagna sono sparite le lettere A, B e O, lettere che contraddistinguono i quattro gruppi sanguigni. L’appariscente assenza – di cui si è data spiegazione il giorno successivo – voleva servire a rendere attenta la popolazione sul fatto che in mancanza di donazioni viene a crearsi una pericolosa carenza di sangue. Anche Migros ha preso parte alla campagna: sul suo sito internet il logo

dell’azienda era visibile senza la lettera O, mentre da tutti i suoi comunicati e dai commenti su social media e in intranet mancavano le lettere A, B e O. Anche lo stabile principale sulla Limmatplatz di Zurigo mostrava un nome aziendale in tono con la campagna. In Svizzera solo il 5 per cento della popolazione dona sangue. Per garantire anche in futuro il necessario approvvigionamento sono però necessari nuovi donatori giovani. Solo così è possibile compensare la perdita, dovuta all’età, di donatori fedeli. Maggiori informazioni sulla campagna e sulle modalità per diventare donatore di sangue sono disponibili sul sito missingtype. trasfusione.ch.

Didier Descouens

Ci si accorge che serve solo quando manca...


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Ambiente e Benessere

I pirati dei Caraibi alla conquista del Mediterraneo Mondosommerso Il pesce leone sta creando non pochi danni alla biodiversità

espandendosi tra l’altro in modo impressionante

Sabrina Belloni, foto di Franco Banfi Non lasciatevi ingannare dal titolo. No, non si tratta del sequel della famosa saga cinematografica prodotta da Jerry Bruckheimer, bensì della più concreta, probabilmente irreversibile, invasione di pesci leone (Pterois Volitans e Pterois miles). Il pesce leone è un pesce bellissimo, elegante, scenografico, lieve, con lunghe pinne pettorali e dorsali dai colori vividi, disposte a raggiera, che sembra danzare radente sopra le barriere coralline tropicali, tendendo agguati alle sue prede nelle ore crepuscolari: uno spettacolo naturale che ogni subacqueo e snorkeler si fermerebbe a guardare per ore. Bellissimo e perfettamente integrato nel suo areale naturale delle barriere coralline del Mar Rosso, dell’Oceano Pacifico e dell’Oceano Indiano, dal SudEst asiatico fino all’Australia, dal Giappone meridionale alla Polinesia, esso è invece letale per gli ecosistemi dell’Oceano Atlantico (Pterois Volitans) e recentemente del Mar Mediterraneo (Pterois miles) ove non incontra alcun predatore naturale e in cui si è insediato a causa di errori e disattenzione umana, conseguenti alla globalizzazione mondiale e alle modificazioni del nostro mondo in evoluzione perenne.

Il pesce leone resiste negli ecosistemi atlantici e mediterranei grazie all’assenza di predatori naturali È quasi certo che la conquista dell’Ocea-no Atlantico sia partita dalla Florida negli anni Novanta e sia stata determinata dal rilascio (volontario e/o accidentale) di alcuni pesci tenuti in acquari privati. Dalla Florida la specie si è diffusa sia verso nord (dove si è fermata allo stato della North Carolina a

causa della temperatura dall’oceano più rigida) sia verso sud, raggiungendo progressivamente il Golfo del Messico, il Mar dei Caraibi, il Mar delle Antille sino a lambire recentemente le coste settentrionali del Sud America (Colombia). Si teme che nei prossimi 5/10 anni riuscirà a insediarsi lungo le coste del Brasile. L’invasione del Mediterraneo è invece molto più recente e verosimilmente è stata favorita dall’ampliamento del canale di Suez, oltre che dall’incremento della temperatura superficiale del mare. Come sostenuto da Demetris Kletou, del Laboratorio di Ricerca a Limassol, per ora sembra che la presenza dei pesci leone sia limitata alla costa sud-orientale dell’isola di Cipro, ma si hanno evidenze di un prepotente insediamento anche in altre aree dell’isola. Il fatto che desta maggiore preoccupazione è che per la prima volta in Mediterraneo sono stati documentati accoppiamenti in diversi gruppi di Pterois, come indicato dal professor Jason Hall Spencer della Scuola di Scienza e Ingegneria Marina dell’Università di Plymouth. Il radicamento del pesce leone negli ecosistemi atlantici e mediterranei è dovuto all’assenza di predatori naturali,

a una sorprendente capacità di adattamento e al veloce tasso riproduttivo: in condizioni ottimali, ogni femmina arriva a deporre le uova ogni quattro giorni, producendone circa due milioni ogni anno: due masse gelatinose galleggianti che si lasciano trasportare dalle correnti oceaniche anche per un mese intero e riescono a coprire lunghe distanze prima di schiudersi. Lo Pterois è considerato una vera macchina da guerra nel colonizzare nuove aree e depauperarne inesorabilmente la biodiversità; costituisce quindi una crescente preoccupazione per i biologi e per l’industria ittica, a causa dell’impatto deleterio sulla catena alimentare delle barriere coralline e quindi, progressivamente, su quella delle acque più profonde. È un vorace carnivoro non selettivo, che si nutre di crostacei e di pesci al loro stadio larvale e giovanile, arrestandone quindi lo sviluppo e impedendone la riproduzione, e che entra in competizione diretta con le specie native degli ambienti in cui si insedia. Non essendo un predatore selettivo, mangia sia specie ittiche carnivore, sia specie erbivore, determinando così il moltiplicarsi delle alghe sulle barriere coralline e quindi la moria per asfissia dei coralli, dovuta alla rottura dell’equilibrio dell’ecosistema di barriera. In un recente monitoraggio, un esemplare è stato visto divorare 20 piccoli pesci nell’arco di mezz’ora; lo Pterois riesce a inghiottire prede che misurano sino ad 1/2 della sua lunghezza e dopo un lauto pasto, il suo stomaco può espandersi sino a 30 volte la sua dimensione normale (fonte Max Nilson ed altri, 2009). L’incredibile velocità di diffusione di questa specie in areali non nativi, lascia sbalorditi gli scienziati che stanno studiando questo fenomeno. In poco meno di tre anni è riuscita a espandersi in tutto il Mar dei Caraibi: fortunatamente nessuna delle 30 specie di organismi «alieni» (non originarie della Florida) è riuscita a tanto. Nella totale assenza di predatori naturali, l’unica forma di controllo che sembra essere praticabile è contene-

re l’attuale popolazione di pesci leone dell’Oceano Pacifico sollecitandone la cattura da parte dei subacquei, per rifornire i mercati del pesce e i ristoranti. Tolte le pinne pettorali e dorsali che contengono un potente veleno, le carni del pesce leone sono saporite e le pietanze proposte dai ristoranti dei Caraibi sembrano ottenere un discreto successo, che si sta diffondendo nei ristoranti di New York, Washington e Chicago. Non mancano tuttavia altre iniziative di cui si sono resi protagonisti Paesi come l’Honduras e il Messico (Banco Chincorro), laddove le guide subacquee catturano con appositi arpioni i pesci leone per darli in pasto a squali, ai coccodrilli e alle sparute cernie rimaste. Si è quindi sviluppato un turismo di nicchia, con subacquei che arrivano da ogni parte del mondo per immergersi

con squali e coccodrilli, attirati e controllati dalle guide che li nutrono con i pesci leone. Queste iniziative recenti sono ben lungi dal riportare la situazione ex-ante l’insediamento della specie invasiva e la ripresa dell’equilibrio degli ecosistemi nativi; tuttavia sembrano contribuire a rallentarne la diffusione, così da avere maggiori chance di trovare una soluzione definitiva. Le invasioni di specie estranee sono la causa principale della perdita di biodiversità e dimostrano il contributo negativo e sostanziale che le azioni umane stanno determinando in conseguenza della globalizzazione e dei cambiamenti di vita a livello mondiale. L’espansione dei pesci leone in ambienti non nativi mette in evidenza la complessità della gestione delle specie introdotte modificando i fragili equilibri degli ecosistemi marini. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Lombatina d’agnello in crosta di pinoli e menta Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 scalogno · 2 spicchi d’aglio · 1 cucchiaio di burro · 1 dl di vino rosso · 2 dl di salsa per arrosto chiara · sale, pepe · 6 cucchiai d’olio di colza · 100 g di pinoli · mezzo mazzetto di menta · 2 cucchiai di pangrattato · 4 lombatine d’agnello di 150 g.

1. Scaldate il forno a 250 °C. Tritate lo scalogno e l’aglio e fateli appassire nel burro. Unite il vino, la salsa per arrosto e fate sobbollire per dieci minuti. Condite con sale e pepe e tenete in caldo. Frullate la metà dell’olio con i pinoli e la menta. Incorporate il pangrattato e condite con sale e pepe. 2. Condite la carne con sale e pepe e rosolatela nell’olio rimasto per due minuti. Accomodate la carne in una teglia foderata con carta da forno. Distribuite la crosta di pinoli e menta sulle lombatine e cuocetele al centro del forno per sei minuti. Estraete dal forno la carne. Avvolgetela nella carta alu e fatela riposare per cinque minuti. Unite il liquido della carne formatosi nel cartoccio alla salsa. Tagliate la carne e servitela con la salsa.

Un esemplare gratuito si può richiedere a: telefono 0848 877 869* fax 062 724 35 71 www.saison.ch * tariffa normale

Preparazione: circa 30 minuti. Per persona: circa 36 g di proteine, 50 g di grassi, 9 g di carboidrati, 2650

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Ambiente e Benessere

Medaglie a colori da far… impallidire Sportivamente Prima di Rio de Janeiro i Giochi «in redazione» duravano un paio di settimane.

Poi ci portavano via il video a colori facendoci sentire quasi derubati. Oggi è tutta un’altra storia

Ricordo bene quell’autunno in cui entrai al «Corriere». Non però da giornalista sportivo. No. Come succedeva anche nei grandi giornali italiani di allora (1964), i redattori della cronaca cittadina dovevano affiancare quelli dello sport per riuscire a coprire tutti gli avvenimenti più importanti. Quella prima volta, molte cose io non le sapevo ancora e così caddi nell’equivoco che la televisione a colori che ci portarono per un paio di settimane fosse una specie di premio per il lavoro svolto dai miei valenti colleghi. Per vedere meglio, in modo più vero, le Olimpiadi di Città del Messico, però bisognava avere «l’apparecchio per i colori» e noi non l’avevamo. Il nostro era un piccolo televisore in bianco e nero. Il «grande direttore» di allora, Giovanni Regazzoni, tuttavia, ci lasciò intendere che non era il caso di preoccuparsi: ci avrebbe pensato lui! E infatti, proprio il giorno di apertura dei Giochi, arrivarono in redazione due impiegati col classico grembiule blu di una ditta di radio e tv. Ci chiesero dove potevano posare il televisore, poi lo accesero: restammo subito tutti colpiti però per la sua grandezza prima ancora che per i colori. A quell’ora non c’era ancora il collegamento con la capitale messicana e le altre poche stazioni trasmettevano esclusivamente in bianco e nero. «Alura, cum’è che la va ’sta television?», chiese il direttore. Quasi imbarazzati, dovemmo dirgli che era ancora un po’ presto per il collegamento. A salvarci fu la redattrice Fosca Tenderini (se ben ricordo il nome), della tv ticinese, con la sua trasmissione in studio per ragazzi. Colori secondo noi perfetti, grazie all’illuminazione che ci voleva. E il direttore Regazzoni, con mia grande meraviglia, si accomodò allora per seguire il programma per ragazzi, chiedendoci poi se fossimo del suo stesso parere: «A sa ved ben, o no? Ma quei altri stazion i

tri, per irretire gli avversari. Allo sparo del «pronti via» della finale rimase fermo per qualche secondo, mentre gli altri partirono a razzo. Poi iniziò la rimonta ai 2000 metri e andò a imporsi per tre millesimi di secondo davanti a un russo. A Rio de Janeiro un atleta senza capellino cercò comunque di imitare Woottle, e solo per pochi centimetri non centrò la medaglia d’oro. A casa, da perfetti pensionati, abbiamo ammirato stavolta le donne elvetiche, a cominciare da quelle del beach volley. Bikini ridotti al massimo consentito (io credo), un paio di belle ragazze che incantarono più di un cronista non solo svizzero. Insomma, un bel vedere! Qualcuno si insospettì (non chiedetemi chi fosse) per le nostre lunghe soste sui canali che trasmettevano le gare di pallavolo sulla sabbia, mai rovente come le bionde protagoniste. Altro che Mondiali di calcio. E poi Hingis e con l’improvvisata compagna Bacsinszky che approdano in finale nel tennis e conquistano un’insperata medaglia d’argento. La vodese Timea Bacsinszky ha confessato che quando si mise a fare la tennista non sopportava Martina Hingis, oggi 35enne… Ora sono grandi amiche. Evviva i Giochi! E ancora un’altra donna va citata: Heidi Diethelm, 47 anni, prima medaglia dei rossocrociati in Brasile nel tiro con la pistola sportiva che ha aperto la strada agli altri: dal bravissimo Fabian Cancellara, oro nella crono di ciclismo su strada, ai campioni olimpici svizzeri nel quattro di coppia pesi leggeri. E infine la brava ma un po’ sfortunata ginnasta Giulia Steingruber, bronzo nel volteggio. Inutile, qui, soffermarsi su Usain Bolt, imprendibile negli scatti. Ma le Olimpiadi – a non guardarle tutte – ci hanno fatto divertire! Il nostro direttore d’un tempo, Giovanni Regazzoni, avrebbe fatto gli occhi così, con tanti muscoli maschili e femminili esposti a colori, dalla tv in hd.

gan mia, neanca un canal a culur?». E si metteva a far passare tutti i canali, quasi con la stessa frenesia di chi oggi fatica non poco nell’uso corretto del telefonino, ossia una persona in là con gli anni…

«A casa, da perfetti pensionati, abbiamo ammirato le donne elvetiche, a cominciare da quelle del beach volley» Gli spiegammo che no, che non c’erano ancora arrivati, a cominciare dalla Rai. Noi, per fortuna, avevamo la Fosca (Tenderini) e i suoi ragazzi, e quindi quest’aggiunta dei Giochi di Città del Messico. Per il resto credo fosse tutto in bianco e nero; anche il telegiornale da Zurigo. Il giorno che vennero a riprendersi l’apparecchio a colori era come se fossero entrati in casa i ladri. Ci rimanemmo male. Le prime Olimpiadi «speciali», raccontate col sorriso soprattutto da Luigi Morandi, affiancato da Libano Zanolari per l’atletica leggera, furono quelle di Mosca (1980) e aggiunsero un tocco «magico» alle trasmissioni. Prima di tutto perché il «Luison» Morandi, ex atleta ed ex nazionale rossocrociato, sapeva di questo sport vita e miracoli, grazie anche alla fattiva collaborazione di un giornalista oltre che archivista italiano consultato in tutte le occasioni importanti dal nostro collega. Quattro anni dopo, a Los Angeles, parteciparono anche due ticinesi, entrambi nel decatlon: Vetterli e Rüfenacht. Non mi si chieda ora il risultato: credo che fossero locarnesi e si difesero con onore, illuminando di gioia il volto di Luigi. Il nostro L.M., come firmava sul «Corriere», si era comunque invaghito

Keystone

Alcide Bernasconi

già a Mosca della graziosa Ottey, elegante nelle prove di scatto (100 e 200 metri) e bella senza paragoni in quei tempi in cui le atlete erano generalmente bruttine (senza offesa; salvo tre o quattro nelle corse più brevi, raramente sulle distanze più lunghe). La Ottey era la più brava, ma non vinse mai un oro alle Olimpiadi. Nata negli USA, poi trasferitasi in Giamaica, fu la migliore in assoluto per circa vent’anni e noi la seguimmo sempre con

la stessa ammirazione del nostro «Luis». Ricordo anche una gara che ci sorprese tutti, nel 1972 a Monaco di Baviera, dove un mezzofondista americano, Dave Woottle, che nessuno conosceva bene, stupì il pubblico correndo la distanza degli 800 metri sempre all’ultimo posto. Quello strano tipo, con in testa un vistoso cappellino da golf, pareva facesse apposta a correre piano, rimanendo a volte staccato per trenta o quaranta me-

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Sudoku Livello difficile

Giochi Cruciverba Tra amici: «Sei già stato in vacanza quest’anno?» «Sì, sono andato in Sardegna a cavallo tra giugno e luglio» Cosa risponde l’amico? Lo saprai a soluzione ultimata, leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 5, 2, 5, 2, 8, 2, 2, 9)

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Orizzontali 1. Sporgono dai fianchi 6. La Ventura della tv 11. Una razza canina 12. Un verbo generoso 13. Il nonno di una volta 14. Si ripete a San Silvestro 16. La ragazza del boy 17. Antica barca veneziana,

24. Si porta in spalla 25. Ripetuto indica monotonia 26. Nominati, scelti 28. Sono sposate 29. Ispida, pungente 30. Città dell’Afghanistan occidentale 31. Riferisce segreti 32. Un testimone dei Promessi Sposi

anagramma di poeta 18. Segno particolare 19. È un anagramma di «astro» 20. Le iniziali del pittore Dalì 21. Articolo romanesco 22. Insieme di persone 23. Prendono per la gola

Verticali 2. Claude-Louise ingegnere

e scienziato francese 3. È un disinfettante 4. L’atrio dell’hotel 5. Prefisso che vuol dire vino 7. Sciocche, ignoranti

5

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti in numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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alla carne 20. Abbelliscono le unghie 22. Si lava con la lingua 23. Il malato immaginario di Molière 24. Da soli non contano niente 25. Un segno zodiacale 27. Il labbro degli inglesi 28. Incontrato a Londra...

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8. Strato che ricopre 9. Vive nei mari del nord 10. Preposizione articolata 13. Nome femminile 14. Inconfutabile 15. Dei bocconcini in cucina 17. Ci sono anche quelli per spolverare 19. I vegetariani lo sostituiscono

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9 Soluzione della settimana precedente

ANIMALI A NANNA – Ore di sonno giornaliere: IL CAVALLO TRE, IL PIPISTRELLO VENTI

M O R S O

I L L E T E L L E I A R S B P I O R A T O

C A L P I E C R E E L M O C A R

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V I A T N I O S D E O V N E I N

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Gratin di patate e pomodori Piatto principale per 4 persone

40% 1.25 invece di 2.15 Raccard Tradition in blocco maxi per 100 g

Ingredienti 800 g di patate resistenti alla cottura, 3 spicchi d’aglio, 2 cipolle, 3 cucchiai di burro per arrostire, sale, pepe, 4 pomodori, 8 fette di formaggio per raclette di 30 g Preparazione Tagliate le patate e l’aglio a fettine di 2 mm. Dimezzate le cipolle e tagliatele a fettine. Rosolate le patate nel burro per arrostire a fuoco medio per ca. 10 minuti. Aggiungete le cipolle e l’aglio dopo 5 minuti di cottura. Condite con sale e pepe. Scaldate il forno a 200 °C. Affettate i pomodori. Distribuite le patate, i pomodori e il formaggio a strati nelle pirofile. Gratinate al centro del forno per ca. 20 minuti. Cospargete di pepe e servite subito. Suggerimento Accompagnate con un’insalata. Tempo di preparazione 20 minuti + gratinatura ca. 20 minuti Per persona ca. 22 g di proteine, 25 g di grassi, 36 g di carboidrati, 460 kcal/1900 kJ

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Ricetta e foto: www.saison.ch

Tutto il gusto di un gratin perfetto.


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Politica e Economia La globalizzazione: 3 parte Dopo il crac del 2008 il legame perverso fra finanza e globalizzazione si sviluppa in altre direzioni

Miracolo alle porte? La rivoluzione tecnologica in atto, se ben interpretata dalle industrie, può portare a una nuova, forte crescita economica

La costruzione del Califfato Quarta parte sulla storia dell’Isis: a partire dal 2013 lo Stato islamico dalla Siria dà l’assalto al suo Paese d’origine, l’Iraq

Campagna miliardaria Negli Stati Uniti la raccolta di fondi è determinante per un’elezione presidenziale

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Meno Europa più monarchia L’inghilterra dopo Brexit La presenza

di Elisabetta è fonte di sicurezza e dà ai britannici la conferma di essere un popolo esclusivo. Della regina c’è sempre più bisogno

Cristina Marconi Come un faro nella tempesta, Elisabetta II è rimasta uno dei pochi simboli nazionali a ricordare al Regno Unito di che pasta è fatto un Paese il cui volto è cambiato in maniera irreversibile in poche settimane. E ad incarnare quella grandezza a cui i britannici che hanno votato per l’uscita dall’Unione europea vagheggiano di poter ritornare: meno Europa, più Commonwealth. Lei, imparziale per protocollo, non ha votato, ma qualcosa sul suo punto di vista sull’Europa, negli anni, era comunque trapelato: poco prima del referendum del 23 giugno era circolata la notizia che la sovrana avesse preso l’abitudine di chiedere ai suoi commensali di indicarle «tre buone ragioni» perché il Regno Unito dovesse restare nell’Unione europea. Nel 2011 la regina, durante una cena a cui era presente l’allora vicepremier molto europeista Nick Clegg, aveva addirittura dichiarato che «l’Europa sta andando nella direzione sbagliata». Nel 2012 il giornalista della BBC Frank Gardner aveva incautamente raccontato di una sovrana frustrata per il fatto che non fosse possibile estradare Abu Hamza, l’imam radicale della moschea di Finsbury Park famoso per l’uncino e la benda sull’occhio, per una sentenza della Corte europea per i diritti dell’uomo. In entrambi i casi c’erano state scuse a profusione da parte degli interessati, accusati di aver violato la regola secondo cui sulle conversazioni private con la regina deve esserci il massimo riserbo. Ma il messaggio, ad ogni modo, era passato: se non proprio Brexiteer, la sovrana è scettica. Sul suo trono dal 1952, Elisabetta II non è mai intervenuta in maniera diretta nel dibattito politico. Uno dei pochi strappi alla regola si è verificato a pochi giorni dal referendum sulla Scozia, quando uscendo dalla messa ha auspicato che gli elettori «pensino molto attentamente al futuro» prima di votare. E infatti Edimburgo è rimasta nel Regno Unito. Sul referendum sull’Unione europea non si è pronunciata, attenendosi a discorsi generici come quando disse che le divisioni in Europa sono «pericolose» poco prima che l’ex premier David Cameron avviasse i negoziati con Bruxelles. Più esplicito, e per questo criticato, era stato l’erede al trono William, secondo cui «in un mondo sempre più turbolento, la nostra capacità di unirci in un’azione

comune con altre nazioni è essenziale». Ma la regina sa bene che il ruolo della famiglia reale è quello di incarnare un punto di riferimento al di sopra della politica e che qualunque presa di posizione rischierebbe di mettere anche il futuro di Buckingham Palace davanti alla ghigliottina referendaria. Meglio astenersi e lanciare messaggi sibillini, come quando poco dopo il 23 giugno, al vicepremier nordirlandese Martin McGuinness che le chiedeva come stesse ha risposto: «Bene, ad ogni modo sono ancora viva. Siamo stati molto impegnati, stanno succedendo un bel po’ di cose». Salvo poi precisare vezzosamente che a Palazzo ci sono stati «due compleanni», e che questi, e non il voto storico sull’Unione europea, sarebbero i grandi eventi in corso. Theresa May, che è andata ad incontrarla con le sue famose scarpe leopardate, è il tredicesimo primo ministro con cui Elisabetta ha a che fare, e la seconda donna dopo quella Margaret Thatcher il cui fantasma è insistentemente rievocato dagli osservatori e dai media. Con la Thatcher, si narra, i rapporti non erano facili e negli incontri sempre un po’ tesi: le due donne erano vicine per età ma lontanissime per cultura e sensibilità e il thatcherismo arrembante, con lo sguardo sempre rivolto agli Stati Uniti meritocratici e liberisti, era una vera e propria minaccia per la monarchia, che non aveva ancora saputo reinventarsi come negli anni 90 e 2000, dove tra la morte di Diana e il legame di William e la commoner Kate, Buckingham Palace ha imparato a gestire i sentimenti popolari in maniera efficace. C’è un libro del giornalista Stephen Bates, intitolato Royal Inc., in cui si racconta come la Royal Family sia diventata «il marchio più famoso del Regno Unito», adottando la «strategia del vasetto di Marmite: fai finta di essere una parte eterna e statica dell’arredamento nazionale, pur cambiando in maniera sottile e costante per rimanere rilevante». L’operazione è riuscita alla perfezione e, almeno fino a quando Elisabetta sarà in vita, Buckingham Palace ha poco da temere. È quindi probabile che Theresa May trovi nella sovrana una consigliera saggia e navigata, senza quei tratti di rivalità emersi probabilmente con la Thatcher. Anche perché la May sembra interpretare al meglio il concetto di potere espresso recentemente dalla sovrana. Mentre lo scenario politico britannico sembrava andare in mille pezzi

La regina Elisabetta riceve Theresa May a Buckingham Palace. (AFP)

nei giorni successivi al referedum, Elisabetta ha fatto un discorso sibillino dei suoi, apparentemente astratto ma molto concreto nel messaggio principale: state calmi. Senza mai nominare il referendum, ai deputati del parlamento scozzese ha detto che dovrebbero provare «speranza e ottimismo» per i prossimi anni. «Ovviamente viviamo e lavoriamo tutti in un mondo sempre più complesso e impegnativo, in cui gli eventi e gli sviluppi possono ed effettivamente si svolgono ad una velocità ragguardevole, e mantenere la capacità di restare calmi e concentrati può essere a volte duro», ha spiegato la sovrana. Precisando che «il segno distintivo della leadership in un mondo che si muove così rapidamente è assegnare uno spazio sufficiente per il pensiero calmo e la contemplazione, tale da permettere una più profonda considerazione di come le sfide e le opportunità si possono affrontare al meglio». E la vittoria di Theresa May è stata dovuta innanzi tutto alla sua calma e alla sua capacità di lasciare sbagliare gli altri mentre faceva valutazioni a lungo termine. Quello che si diranno le due signore ogni mer-

coledì sera da oggi in poi lo sapranno solo gli unici ammessi agli incontri: gli amati cani corgi della regina. La presenza della regina è una fonte di sicurezza per britannici e dà loro il senso e la conferma di essere un popolo esclusivo. Anche per questo la sua figura, dopo la Brexit, è tanto più necessaria, anche perché uno degli argomenti più utilizzati durante la campagna euroscettica è che il Regno Unito non ha bisogno di Unione europea perché il suo interlocutore naturale si trova tra i Paesi del Commonwealth. Qualcuno ha parlato scherzosamente di «sindrome dell’arto fantasma» per descrivere il rapporto che i britannici hanno con il loro passato coloniale: razionalmente sanno che non esiste più, ma continuano ad agire come se non fosse vero. E anche se il Regno Unito si disunisse e perdesse la Scozia, la regina continuerebbe comunque ad essere sovrana della nazione scozzese, così come dell’Australia, del Canada, della Nuova Zelanda, delle Isole Solomon e delle Falklands. Continuerà ad essere la guida del Commonwealth, anche se lì la sua posizione è

più delicata: già nel 1999 la monarchia è stata sottoposta a un referendum in Australia, vinto con 10 punti di margine, e non è detto che il successore di Elisabetta riesca a mantenere lo stesso prestigio di cui la sovrana novantenne gode ovunque. «Ci sono lavori (il pensiero va al papato) che fanno leva sull’autorità morale e sono spesso legati all’idea di un sacrificio e di un servizio che durano tutta la vita, e la monarchia è uno di questi», ha scritto Alexander Chancellor sullo «Spectator». «C’è qualcosa di ipnotico, anche di straordinario, nel fatto che lo stesso individuo porti a termine le stesse funzioni istituzionali di routine – aprire il parlamento, portare a termine le investiture, ecc. – anno dopo anno». Il giovane William avrebbe la stessa gravitas della nonna? O peggio ancora l’eterno erede Carlo, fin troppo propenso ad intervenire in politica con ingerenze che il pubblico non accetterebbe mai? In passato Elisabetta ha detto che non abdicherà e ora che tutto traballa nel Regno Unito, salvo Buckingham Palace, c’è sempre più bisogno di lei.


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Politica e Economia

2008, fine degli anni ruggenti Inchiesta sulla globalizzazione Dopo il 2008 il legame perverso fra finanza e globalizzazione

si sviluppa in altre direzioni e inizia una nuova fase di convulsioni politiche che alimentano populismi e rivolte di destra e sinistra – 3. parte

Federico Rampini La frana dei titoli bancari nel post-Brexit. I risultati inquietanti degli «stress test» su diversi istituti di credito europei. L’allarme del Fondo monetario internazionale sul rischio sistemico di un colosso come la Deutsche Bank, il cui bilancio è strapieno di titoli derivati. La saga interminabile del Monte dei Paschi di Siena. Non accennano a placarsi in questa estate 2016 i sussulti di una crisi bancaria infinita, che riporta alla memoria la madre di tutti i crac, l’evento scatenante, il Ground Zero dello shock sistemico.

Risale alla fine degli anni 70 quell’idea che la libertà globale dei movimenti di capitali e lo sviluppo degli strumenti finanziari moltiplichi il rendimento dei piccoli risparmiatori 15 settembre 2008: un assembramento di telecamere circonda il grattacielo al numero 745 della Settima Strada, Manhattan. Riprendono «gli ultimi minuti della Lehman Brothers», la banca d’investimento che ha appena fatto ricorso al Chapter 11, la legge sul fallimento. Le immagini dei dipendenti che escono con i loro effetti personali nelle scatole di cartone, fanno il giro del mondo. La maggioranza degli americani e degli europei, per quanto allibiti, ancora non sospettano la gravità dello shock sistemico che sta per innescarsi, le conseguenze drammatiche che colpiranno l’economia reale, l’ecatombe dei posti di lavoro. In quelle ore si consuma una svolta storica: si chiudono gli anni ruggenti della globalizzazione, il ruolo della finanza finisce sotto accusa, inizia una fase di convulsioni politiche che alimentano populismi, rivolte di sinistra e di destra, fino a fenomeni come Brexit e la candidatura di Donald Trump. L’implosione di Wall Street nel 2008 è stata preceduta da segnali premonitori. Nel 1997 la crisi asiatica con le svalutazioni a catena nei «dragoni» dell’Estremo Oriente; nel 1998 il crac dello hedge fund Ltcm salvato con mezzi d’emergenza dalla Federal Reserve di Alan Greenspan; nel marzo 2000 l’esplosione della bolla speculativa di Internet e il tracollo del Nasdaq. Tremori lievi se paragonati al sisma del 2008, seguito dalla più grave crisi dopo la Grande Depressione degli anni Trenta. Ma due studiosi di storia degli shock finanziari, Kenneth Rogoff e Carmen Reinhart, osservano che i crac diventano sempre più frequenti, sempre più ravvicinati. Sul banco degli imputati finisce la deregulation finanziaria degli anni Novanta, avallata anche da governi di sinistra sulle due sponde dell’Atlantico. In particolare sono sotto accusa Bill Clinton e i suoi segretari al Tesoro Robert Rubin e Larry Summers: decisero di abrogare la legge Glass-Steagall che separava i mestieri della banca di deposito (quella che gestisce il risparmio di tutti) e dell’investment bank che investe in partecipazioni azionarie e titoli a rischio. La «Terza Via» di Clinton e Tony Blair è sospetta di subalternità al neoliberismo. È una storia che viene da lontano. Risale alla fine degli anni Settanta la

A Manhattan la sede di Citigrup Inc., la più grande azienda di servizi finanziari al mondo. (Keystone)

diffusione dei titoli derivati, teorizzati da Milton Friedman, premio Nobel dell’economia e patriarca dell’ideologia mercatista. Ha fatto proseliti anche nelle socialdemocrazie europee e nel partito democratico americano, quell’idea che la libertà globale dei movimenti di capitale, e lo sviluppo di strumenti finanziari sempre più sofisticati, moltiplica le opportunità di rendimento per i piccoli risparmiatori. Alla lunga il bilancio è diverso. Negli anni Ottanta e Novanta si allargano le diseguaglianze sociali, i redditi dei lavoratori ristagnano. Wall Street offre la sua scorciatoia per risolvere il problema: credito facile a tutti, anche a chi non può ripagare. Su questo sfondo matura il colossale disastro dei mutui subprime. All’uscita dalla crisi il processo alla finanza genera nuove tendenze politiche, oltre a una diffusa sfiducia verso «gli esperti» che non hanno previsto nulla. La prima novità in America nasce a destra, è il Tea Party Movement: la scintilla iniziale che lo infiamma è proprio la protesta contro «i salvataggi dei banchieri a spese del piccolo contribuente», la sua prima manifestazione di massa è a Washington il 12 settembre 2009. Esattamente due anni dopo è la volta di Occupy Wall Street, ispirato a movimenti della sinistra radicale europea come gli Indignados spagnoli e le loro denunce contro «l’Europa dei banchieri». Il 17 settembre 2011 comincia l’occupazione di Zuccotti Park a pochi metri dalla Borsa di New York. Occupy Wall Street lancia la battaglia contro uno sviluppo economico che beneficia l’«un per cento», così i ragazzi di Zuccotti Park collegano la finanziarizzazione dell’economia e la crescita delle diseguaglianze. Cavalcando questo tema emerge sulla scena una nuova schiera di politici di sinistra: Bernie Sanders, Elizabeth Warren, Bill de Blasio. Ma anche a destra la filiazione è chiara, dal Tea Party all’iperpopulista di oggi. Donald Trump, pur essendo un affarista immobiliare il cui business è legato a dop-

pio filo con le banche, si presenta come il paladino della middle class, attacca Hillary Clinton perché «ha ricevuto 675’000 dollari per le sue conferenze alla Goldman Sachs, viene finanziata da Wall Street». Barack Obama tra le prime riforme del suo mandato ha incassato nel 2010 la legge Dodd-Frank: mette dei limiti alla speculazione sui derivati, ma non arriva al punto da smembrare le mega-banche, né ripristina la muraglia cinese tra i due mestieri del credito come ai tempi del Glass-Steagall. In tutto l’Occidente le autorità di vigilanza impongono ricapitalizzazioni bancarie. Ma non vengono scongiurati crac come Banca Etruria, scandali come Popolare di Vicenza. E quando arriva lo shock di Brexit, i titoli più penalizzati nella caduta delle Borse sono proprio quelli bancari. La metastasi non è curata. Né le sue manifestazioni più estreme: in sette anni di ripresa americana, una quota sproporzionata della nuova ricchezza è andata ancora a concentrarsi nell’1% dei privilegiati.

In questo momento è il concetto stesso della megabanca globale ad essere rimesso in discussione Il legame perverso tra globalizzazione e finanza si sviluppa in altre direzioni. Dopo la crisi del 2008 cresce in Occidente l’indignazione per l’elusione fiscale consentita in modo legale alle multinazionali: si stima in 250 miliardi all’anno il gettito che sparisce. Apple, un simbolo del capitalismo digitale, innovativo e dinamico, con i suoi 200 miliardi di cash esentasse parcheggiati nel paradiso fiscale irlandese, si trasforma in una banca impropria. I bilanci degli Stati soffrono per l’austerity ma i colossi del capitalismo transnazionale pagano aliquote microscopiche rispetto al ceto

medio. Le rivelazioni di WikiLeaks dette «Panama Papers» sono l’ultima beffa: il Gotha dei miliardari è un pianeta separato, le regole sono diverse per loro. Se questa è la globalizzazione, dice Bernie Sanders, «qualcuno ha truccato il gioco, non siamo più in democrazia, ma in un’oligarchia». «It’s the economy, stupid!» Questo slogan risale alla prima campagna elettorale di Bill Clinton. Correva l’anno 1992 e alla Casa Bianca c’era George Bush padre. Dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, seguita dalla prima Guerra del Golfo, uno shock petrolifero aveva mandato l’America in recessione. Non una crisi grave, nulla di paragonabile al 2008. Però quella recessione bastò a far scendere i consensi verso Bush. James Carville, stratega della campagna elettorale di Clinton, capì che l’elezione del ’92 si sarebbe giocata sui temi economici. «It’s the economy, stupid!» divenne un pro-memoria diffuso tra i collaboratori della campagna democratica. Clinton ebbe anche l’enorme fortuna che entrasse in gara un terzo candidato, l’indipendente Ross Perot, decisivo nel sottrarre voti a Bush padre. E oggi? Si può contare sulla stessa saggezza convenzionale? Resta valida l’idea che l’elettorato si fa influenzare in modo determinante dalla situazione economica? E se questo fosse vero, in che modo giocherà nel risultato dell’8 novembre? I dati ufficiali dicono che l’economia americana sta bene. Cresce da sette anni, ha riassorbito lo shock del 2008, ha una disoccupazione vicina ai minimi storici. Questo spiega in buona parte il livello di consenso di cui gode Obama, al 54%, molto elevato rispetto ad altri presidenti giunti a fine mandato. Tutto ciò gioca a favore di Hillary Clinton, la cui elezione viene percepita almeno in parte come «un terzo mandato Obama». Se l’indice sintetico dei sondaggi assegna alla Clinton le maggiori chance di vittoria, una spiegazione va cercata nel fatto che molti americani

non se la passano troppo male. L’indice di Borsa è ai massimi, il dollaro è fortissimo, molti indicatori economici segnano «scampato pericolo» rispetto ai timori di qualche mese fa. Le contro-argomentazioni? Bisogna pur trovare una logica se Trump è arrivato fin qui impostando una campagna prevalentemente negativa. Anche Sanders aveva accentuato i toni negativi, a sinistra. Tra le spiegazioni c’è il carattere diseguale della ripresa economica. Smembrare le grandi banche, tagliare le gambe ai padroni della finanza. Fino a poco tempo fa questi erano slogan di Sanders. Ma adesso se ne stanno appropriando… i banchieri stessi. O almeno alcuni di loro. Lo rivela un’indagine compiuta da McKinsey per il «Wall Street Journal». È una radiografia delle 10 maggiori banche globali, e della loro evoluzione dal 2008 a oggi. Che si può riassumere in una parola: ritirata. All’epoca della grande crisi, queste mega-banche operavano in 65 Paesi. Oggi solo in 55. Un caso estremo è quello della Citigroup che ha deciso di abbandonare 20 dei Paesi in cui operava. In certi casi si tratta di mercati emergenti, dal Brasile all’Africa, che si sono rivelati meno redditizi di quanto si credeva. Ma non è solo in atto un riposizionamento geostrategico. È il concetto stesso della megabanca globale, ad essere rimesso in discussione. La spiegazione è legata in parte alle riforme varate dopo il 2008, a cominciare dalla legge Dodd-Frank. Più sono grandi, fino ad essere etichettate come «globalmente sistemiche», più le banche sono oberate di nuovi obblighi. Un caso estremo, quello della Royal Bank of Scotland salvata dal crac attraverso una nazionalizzazione, ha portato a ritirarsi dentro i confini nazionali e ad abbandonare l’attività di investment banking. Cioè proprio quello che vorrebbe imporre un ritorno al Glass-Steagall Act, una separazione dei mestieri tra banche di deposito e banche d’investimento.


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Politica e Economia

Come costruire un califfato Storia dell’Isis Dalla Siria all’Iraq, lo Stato islamico avanza lasciando dietro di sé una scia di sangue

e proiettando la figura del califfo al-Baghdadi a livello planetario – 4. puntata

Marcella Emiliani Sfruttare il caos e la guerra di tutti contro tutti, frutto del fallimento della primavera araba in Siria, nel 2013 costrinse lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (con acronimo arabo Daesh) ad andare alla resa dei conti con Jabhat al-Nusra che, dopo essere divenuto il principale gruppo jihadista che si opponeva al regime di Bashar al-Assad, aveva rifiutato di fondersi con l’Isis. Ma proprio questa mini-guerra intestina tra le formazioni eredi di al-Qaeda permise all’Isis di radicarsi sul territorio nei governatorati siriani di al-Raqqa e Deir al-Zur (o Deir el-Zor), ottenendo così due risultati importantissimi: sperimentare tecniche di governo e costruzione del consenso nonché testare le proprie capacità di autofinanziamento senza le quali il suo miraggio di creare un califfato sarebbe rimasto un’utopia. L’Isis, o Daesh che dir si voglia, in questo caso usò la violenza per «imporre» quella sicurezza che rappresentava una delle massime aspirazioni della popolazione martoriata ormai da due anni di guerra civile. Si trattava indubbiamente di una sicurezza blindata che il gruppo seppe abilmente pubblicizzare come provvedimento temporaneo sulla via della costruzione del califfato. Ma l’illusione durò poco: inizialmente i miliziani dell’Isis si diedero un gran da fare per rimettere in funzione l’approvvigionamento idrico, quello dell’elettricità, le banche, insomma tutti i servizi necessari al funzionamento di città grandi e piccole, soprattutto a Raqqa che avevano proclamato propria «capitale» siriana, ma poi arrivarono le vessazioni e le violenze. Innanzitutto la pulizia confessionale cioè l’eliminazione di quanti non potessero dimostrare di essere musulmani sunniti o non condividessero l’Islam feroce dell’Isis (le loro donne peraltro erano segregate come schiave sessuali a disposizione dei «liberatori» e la stessa sorte toccò anche a molte, che illudendosi di diventare guerrigliere, avevano raggiunto l’Isis dal Medio Oriente o dal resto del mondo); l’imposizione del puritanesimo più rigido e anacronistico; il ripristino delle peggiori punizioni corporali (hudud) ripescate dal più buio medioevo islamico; l’estorsione ai commercianti o a qualsiasi imprenditore del volgare pizzo chiesto, armi in pugno, come zakat, l’elemosina prescritta dal Corano… un copione di efferatezze che

si sarebbe poi ripetuto in ogni località conquistata negli anni successivi dal Daesh in Siria e in Iraq. In Occidente, via via che coraggiosi reportage giornalistici riferivano di fatti come questi, ci si chiedeva come si potesse costruire il consenso su basi simili, finché non ci venne raccontato che in molti casi quanti finivano sotto la ferula dell’Isis, più dell’Isis temevano le feroci rappresaglie del regime di Damasco (alauita-sciita) e dei Shabiha, i gruppi para-militari guidati dal fratello del presidente siriano, Hamer al-Assad. Ma la Siria portò al Daesh quella che sarebbe diventata la sua principale fonte di auto-finanziamento: il petrolio. Sebbene i pozzi siriani non possano vantare riserve né livelli di produzione neanche lontanamente paragonabili a quelli del Golfo, per l’Isis rappresentarono una vera manna. I giacimenti di al-Omar e di al-Kharata, situati nel governatorato di Deir el-Zor, erano in grado di produrre dai 34’000 ai 40’000 barili al giorno che – smerciati di contrabbando via Giordania e Turchia – secondo le stime del «Financial Times» – nel 2013-14 portavano nelle casse di Abu Bakr al-Baghdadi un milione e mezzo di dollari al giorno (al prezzo di 45 dollari al barile). Tra gli acquirenti del greggio Isis c’erano gli stessi siriani che avevano bisogno di carburante per uso sia privato che industriale. Il greggio fin da subito si rivelò talmente importante per il gruppo che, pur avendo avuto la possibilità di impiantarsi anche nel nord-ovest della Siria, vi rinunciò perché lì non c’erano campi petroliferi. Inoltre, pur di attirare tecnici qualificati del settore, l’Isis promosse una vera e propria campagna di reclutamento via internet in cui offriva stipendi da favola a chi avesse avuto il coraggio di trasferirsi dai pozzi degli emirati del Golfo al governatorato siriano di Deir el-Zor e lavorare per l’organizzazione terroristica. Ma da pagare c’erano anche i guerriglieri, gli sceicchi sunniti locali per comprarne la lealtà e i funzionari che amministravano il primo abbozzo di Stato islamico impiantato in Siria. L’autofinanziamento, infine, rappresentava l’unica maniera di sopravvivere economicamente a fronte del calo delle donazioni provenienti da monarchie ed emirati della penisola arabica che proprio nel 2013 ne arrestarono il flusso. Finalmente anche Paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati

Arabi Uniti si resero conto di quali serpi si erano coltivati in seno pur di abbatere Bashar al-Assad e contrastare l’espansionismo sciita-iraniano in Medio Oriente. E a dare il via al blocco delle donazioni pubbliche (ma quelle private continuarono e continuano a pervenire alle formazioni jihadiste) fu proprio l’Arabia Saudita che mise fuori legge la Fratellanza musulmana, culla del jihadismo moderno, ovunque si fosse impiantata nel mondo, dopo il fallimento della primavera egiziana che l’aveva vista andare al potere con le elezioni per essere poi spazzata via dalle proteste di piazza e dal golpe di Abd al-Fattah alSisi del 3 luglio 2013. In tutti i casi, alla fine del 2013 il Daesh poteva presentarsi attraverso la sua grancassa mediatica come una formazione vincente, campione del «vero sunnismo» in concorrenza diretta con l’Arabia Saudita che del sunnismo è per così dire il vaticano. Per di più era in grado di retribuire i propri miliziani. Questo contribuì a ingrossare i suoi effettivi con l’arrivo di numerosi foreign fighters e il drenaggio di uomini da altre organizzazioni jihadiste, attratti dalla «gloria» del futuro califfato e dai salari che pagava (da 200 a 400 dollari al mese a seconda del grado militare). Ora e solo ora al-Baghdadi poteva dare l’assalto al suo Paese d’origine: l’Iraq. In Iraq per prima cosa puntò sulla roccaforte sunnita della provincia occidentale di al-Anbar, conquistando le sue città principali: Falluja, che cadde sotto il suo controllo il 4 gennaio 2014, e Ramadi che gli costò una battaglia lunga sei mesi, dal 21 novembre 2013 al 17 maggio 2014. Subito dopo l’Isis pun-

La seta indiana Qadeel Baloch uccisa dal fratello per salvare l’onore

della famiglia, era diventata una sorta di Kim Kardashian pakistana

Io me le immagino come bianche, evanescenti Villi: gli spiriti del balletto Giselle. Ma là sono le ragazze morte prima di sposarsi a trasformarsi in spiriti della notte che inducono gli uomini a danzare fino alla morte, per me invece sono tutte le ragazze morte da questa parte del mondo per motivi cosiddetti d’onore. O per dote, o semplicemente perché erano ragazze e pretendevano di vivere come le loro coetanee di questa parte del mondo. Pretendevano di andare al cinema, a ballare, di andare al ristorante con gli amici. Pretendevano di guidare un motorino, di tingersi i capelli, di mettere jeans e top scollati. E noi, i miei amici ed io, siamo di nuovo qui, nel caldo di questa estate in cui la pioggia stenta a portare sollievo, ancora una volta costretti ad aggiornare

l’elenco delle bianche Villi che danzano ormai sempre più numerose nella notte del subcontinente. L’ultima aveva ventisei anni, si chiamava Fauzia Azeem ma tutti in Pakistan la conoscevano come Qadeel Baloch. Non era un’attivista, non era una pasionaria, non era né una Malala né qualcosa di remotamente simile. Era famosa solo perché era famosa, Qadeel: una Kardashian in salsa pakistana, diventata un fenomeno mediatico tramite Facebook e Instagram dove la ragazza postava le sue fotografie. Qadeel che sorride, Qadeel che fa il broncio, Qadeel con i capelli rossi, Qadeel con la coda di cavallo, Qadeel in abiti da cerimonia o con top succinti. Fotografie glamour, corrette con Photoshop: remotamente allusive, vagamente sexy che le erano fruttate una quasi istantanea notorietà e avevano fatto as-

nei dibattiti, a difendere il diritto suo e quello di ogni ragazza di essere semplicemente sé stessa: si può essere intelligente anche con i top scollati e i tacchi alti. Specialmente se questi ultimi, in una società come quella pakistana, significano rompere il muro di ipocrisia che te li fa indossare tra quattro mura o a casa di amici ma che ti impedisce di metterli in pubblico. Era forte, Qadeel. Ma ha commesso un secondo errore, fatale. Si è permessa di ridicolizzare in diretta Tv uno dei tanti tristi mullah che funestano la vita pubblica e anche privata dei pakistani. Gli ha tolto il cappello e se lo è messo in testa, lo ha preso in giro. Il sant’uomo è stato ridicolizzato e cacciato dalla Commissione che ha il compito di osservare la luna per proclamare l’inizio e la fine del Ramadan. Non è passato molto tempo, che Qadeel ha cominciato a ricevere minacce di morte. Si è rivolta alle autorità chiedendo aiuto e protezione, ma nessuno le ha dato ascolto. È stata ammazzata da suo fratello minore, che l’ha strangolata dopo avere drogato il bicchiere di latte che lei beveva la sera. Latte, non tequila. Ammazzata per motivi d’onore, perché aveva gettato discredito sul-

la famiglia. Famiglia che, si è scoperto adesso, Qadeel manteneva: incluso l’assassino, ovviamente. La cui mano, però, potrebbe essere stata armata da qualcuno. Qualcuno che la voleva morta ma che non voleva farne un caso di intolleranza religiosa, ad esempio. Perché un omicidio comune avrebbe richiesto un colpevole che rischiava la pena di morte, un delitto d’onore, secondo la legge pakistana, può essere sanato semplicemente pagando alla famiglia della vittima il cosiddetto «prezzo del sangue»: soldi in cambio di una vita umana. Lo Stato, per la prima volta, si è costituito parte civile per evitare che la morte di Qadeel resti impunita, ma nessuno sa davvero come andrà a finire. Di certo, ci sono soltanto le tremila ragazze uccise tra il 2008 e il 2014 per motivi d’onore. Di certo, ci sono soltanto tremila bianche Villi che danzano ai crocicchi. E spero con tutto il cuore che Qadeel, il suo rossetto volgare e i suoi abiti «indecenti» per la morale locale continuino a danzare per sempre dentro agli incubi del mullah, dentro agli incubi del suo assassino e di tutti coloro che pensano che, in fondo, se l’è andata a cercare.

Guerriglieri curdi in Iraq difendono un passaggio dagli attacchi dell’Isis. (AFP)

Troppo moderna per vivere Francesca Marino

tò diritto sull’obiettivo più prestigioso, Mosul, la seconda città dell’Iraq nella provincia settentrionale di Ninive a ridosso del Kurdistan iracheno. Mosul capitolò dopo quattro giorni di combattimenti il 10 giugno 2014 con i 22’000 soldati dell’esercito che, abbandonati dai propri comandanti, alfine si arresero o si diedero alla fuga lasciando sul terreno divise, elmetti e anche le armi di ultima generazione fornite all’Iraq dagli Stati Uniti che andarono a rimpinguare gli arsenali del Daesh. Da Mosul fu poi relativamente facile l’11 giugno conquistare Baiji e Tikrit (città natale di Saddam Hussein) per poi dirigersi nuovamente verso il nord-est dove riuscì a impadronirsi dei giacimenti petroliferi di Ajil e Allas, nel governatorato di Kirkuk. La città di Kirkuk venne salvata in extremis dai guerriglieri curdi (i peshmerga) ostili all’Isis e al suo progetto di califfato. Nel nuovo Iraq, i curdi hanno ottenuto un’autonomia, che somiglia tanto all’indipendenza, e la presidenza della repubblica che spetta a loro in base al sistema di quote per comunità etnico-confessionali previsto dalla Costituzione. Dopo aver combattuto fin dalla creazione dell’Iraq per questa forte autonomia non sono affatto disposti a rinunciarvi per la gloria di Abu Bakr al-Baghdadi. Ovunque è passato, l’Isis ha lasciato dietro di sé una lunga scia di sangue. Fare l’elenco completo dei massacri che ha compiuto sarebbe un’impresa macabra, ma due vanno segnalati come veri e propri crimini contro l’umanità. Il primo venne compiuto il 12 giugno nei pressi di Tikrit a Camp Speicher, una base militare aerea, in cui furono

trucidate e sepolte in fosse comuni centinaia di reclute, in gran parte sciite. Il numero esatto ancor oggi non si conosce. Human Rights Watch lo stima in un minimo di 560 e un massimo di 770. La propaganda Daesh ha invece strombazzato la cifra di 1700. La seconda carneficina è avvenuta invece il 3 agosto 2014 e nei giorni successivi nel corso della conquista della città di Sinjar nel governatorato settentrionale di Ninive ai danni della esigua minoranza degli yazidi. Lo yazidismo è un credo monoteista, imbevuto di esoterismo, di origine probabilmente persiana, nato ben prima dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’Islam e dai musulmani è considerato alla stregua di un’eresia. I suoi fedeli sono concentrati proprio nel distretto di Sinjar in Iraq. Nella conquista della città omonima l’Isis uccise almeno 500 uomini, rapì 300 donne per trasformarle in schiave e potrebbe aver sepolti vivi un numero imprecisato di civili inermi, tra cui anche bambini, mentre altri 50’000 si davano alla fuga sui monti circostanti. Il massacro di Sinjar, come ha riconosciuto l’Onu, è stato un vero e proprio tentativo di genocidio compiuto dall’Isis dopo la proclamazione ufficiale del Califfato avvenuta il 29 giugno 2014. Su questo altare di morte Abu Bakr al-Baghdadi si è autonominato califfo, cioè capo dei musulmani di tutto il mondo. E – ormai proiettato a livello pianeta – ha reso noto che il nome del suo sedicente califfato da quel momento in poi sarebbe stato semplicemente Stato islamico (con acronimo inglese Is). Per dimostrare che faceva sul serio ordinò di diffondere immediatamente su internet le immagini dell’abbattimento del filo spinato che correva lungo il confine tra Iraq e Siria, un confine coloniale frutto dell’Accordo Sikes-Picot tracciato sulla carta geografica da Francia e Gran Bretagna il 16 maggio 1916, quando ancora l’Impero ottomano non era crollato nel corso della Prima guerra mondiale. Immagini altamente simboliche, indubbiamente. Fu invece molto più concreta la reazione degli Stati Uniti dopo il massacro di Sinjar perché l’8 agosto iniziarono a bombardare i convogli dell’Isis e le loro roccaforti nel nord dell’Iraq in appoggio ai peshmerga curdi ancora impegnati a creare corridoi umanitari per gli yazidi e a riconquistare la cittadina, impresa che riuscì loro il 19 dicembre successivo.

surgere la ragazza al rango di socialite locale. Una innocua falena che amava il rossetto rosa acceso e le pose studiate, col cervello vuoto e troppo tempo a disposizione. O, almeno, così pensavano i più fin quando la ragazza si limitava a pubblicare foto e citazioni da cioccolatini. Poi, però, ha cominciato a parlare di diritti, di rompere le regole, di società patriarcale. Ha cominciato a raccontare di come a diciassette anni era stata costretta a sposare un uomo molto più grande di lei, a interrompere gli studi, a subire abusi e violenze da parte del marito. Ha cominciato a raccontare di un figlio che era stata costretta a riportare al padre perché non era in grado di mantenerlo né di pagargli le cure mediche. Di come aveva trovato la forza di scappare dal marito, di trovare un lavoro e di finire la scuola. Ha cominciato ad avere voce


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Politica e Economia

Miracoli economici, passato o futuro? Prospettive Nessun argomento razionale porta a credere che nel Ventunesimo secolo ci si debba rassegnare

a bassi tassi di crescita economica – La rivoluzione tecnologica offre la possibilità di una crescita importante Edoardo Beretta In fasi difficili, in cui molti economisti paventano lo spettro della «stagnazione secolare», può apparire straniante il riferimento al primo Secondo Dopoguerra entrato invece prepotentemente negli annali per i ruggenti tassi di crescita. I cosiddetti «miracoli economici», che in ciascuna nazione europea hanno avuto dinamiche, forze propulsive e tempistiche proprie, paiono forse a chi li abbia vissuti ormai un tempo remoto, mentre alle nuove generazioni un profano accostamento di termini. Come dire: simile vitalità economica appartiene al passato, allorquando le società capitalistiche continentali potevano ancora contare sul dinamismo

Slow economy e crescita economica non si escludono: l’attenzione alla sostenibilità ecologico-sociale non contrasta il progresso tecnologico e produttivo imprenditoriale tipico solo di epoche post-belliche (dove, evidentemente, il cambiamento sarebbe stato solo in meglio). Gli stessi concetti di slow economy o «decrescita», con cui si suole indicare l’impossibilità di crescita sostenibile a fronte di livelli di benessere già elevati ci hanno abituato a ridimensionare le

nostre aspettative. Ecco che molte politiche di rilancio adottate – ad esempio, incentrate sull’edilizia – difficilmente potranno avere la stessa efficacia o frequenza di adozione per il cronico sovra-utilizzo territoriale. Gli anni 50 e 60, «culla» temporale del miracolo economico europeo, sono stati anche segnati dal drastico miglioramento degli standard di vita – si pensi solo all’avvento di massa di elettrodomestici di uso quotidiano –, che hanno a loro volta funto da moltiplicatore di esigenze e preferenze di consumo in società proiettate verso il futuro. Ecco, pertanto, che tassi di crescita compresi fra 0,5 per cento e 1,5 per cento tipici ormai di Paesi industrializzati vengono prospettati quali già ottimi risultati (immemori di quelli roboanti poco sotto le due cifre registrati nell’immediato secondo Dopoguerra o persino di quelli più modesti delle decadi successive). Discorso chiuso, quindi? Non proprio. Concetti quali slow economy e «miracolo economico» non devono necessariamente autoescludersi. Se è vero che i sistemi economici stessi (almeno solo per assicurarsi la sopravvivenza futura) non potranno più astenersi dal prestare attenzione alla sostenibilità ecologico-sociale del proprio percorso di avanzamento, sarebbe rinunciatario non ambire più ad una crescita sostenuta – a maggior ragione, con la straordinaria innovazione tecnologica. L’establishment economico-politico mondiale non ha ancora «fiutato» quanto prossimi si possa essere ad un nuovo miracolo, che rinnovato nel

suo aspetto poggerebbe solamente sul progresso tecnologico e produttivo in quotidiano divenire. L’ambito aziendale, come già rilevato in La flessibilità lavorativa «positiva» («Azione», 30.3.15, pp. 24-24), richiede però ancora troppo spesso di limitarsi alla «logica del cartellino», impedendo che si consolidi un approccio al lavoro orientato al risultato economico, ma poco interessato – pur nel pieno rispetto della tutela dell’impiego – a variabili quali luogo di svolgimento ed orario di lavoro. Che dire, invece, dell’informatica? Anch’essa (da intendersi nella sua più ampia accezione di «insieme di strumenti tecnologici» comprensivi di smartphone o app) è sovente proposta o aggiuntivamente rispetto al lavoro tradizionale, sottoponendo non raramente la forzalavoro a maggiore stress, o relegata a

strumento ludico-intrattenitivo. Se la tecnologia rappresenta un ausilio nella creazione di relazioni sociali, è certo che in ambito economico non possa ridursi a ciò. Un altro argomento esibito come totem nel rigettare la possibilità di nuovi miracoli economici è spesso la «sclerotizzazione» delle società postindustriali caratterizzate per migliore speranza di vita, ma minori tassi di natalità. Paradossalmente, ciò che pare essere in parte positivo, cioè condizioni di vita sempre più favorevoli alla longevità, è usato come «ariete» per giustificare rendite pensionistiche spesso in discesa o innalzamenti dell’età pensionabile. L’analisi non è, evidentemente, così semplicistica. Le stesse conclusioni sono trasponibili all’orario di lavoro (spesso stagnante nel suo trend al ri-

basso) o a livelli salariali in troppe parti d’Europa poco al passo con i tempi. Come dire: siamo più prosperi che nel secondo Dopoguerra, ma per mantenere tali standard dobbiamo accettare – in pieno contrasto con la logica della produttività – maggiori sacrifici. Accettare tali asseriti nessi causali equivale, però, a non avvedersi che qualcosa stia andando per il verso sbagliato. Il «buco nero», che impedisce oggigiorno di approfittare a piene mani degli ultimi decenni, non è giustificabile con gli argomenti tradizionalmente «sfoderati», bensì soltanto con l’inadeguatezza della mentalità economica rispetto a quanto richiesto nel 2016. In un mondo, in cui le miriadi di possibilità fossero sfruttate a dovere, si potrebbe avere performance in costante crescita accompagnata da riduzione degli orari lavorativi, sostenuta da tecnologia «sana» e caratterizzata da opportunità lavorative ed imprenditoriali sempre in espansione. Certamente non è utopismo, si tratterebbe solo delle nuove sembianze del «miracolo economico 2.0», a cui le principali nazioni del mondo possono (e devono) ancora ambire. Lo sforzo di superamento dei limiti mentali (spesso autoimpostici) sarà certo notevole, ma lo si deve in ultima istanza a noi stessi. In caso contrario, avranno ragione le «Cassandre». Nota

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Politica e Economia

Due miliardi di dollari per una campagna elettorale Costi della politica Negli USA la raccolta di fondi è determinante per un’elezione presidenziale.

Vi partecipano in molti, tra cui anche alcune aziende svizzere Ignazio Bonoli Probabilmente in nessun altro Paese, come negli Stati Uniti, la campagna per l’elezione del presidente è incentrata sulla capacità e sull’abilità dei candidati di raccogliere fondi. Quindi chi riesce a raccogliere più denaro, oltre al suo personale o di famiglia, ha buona probabilità di dirigere per quattro anni (o al massimo otto) la più grande potenza mondiale, tanto in campo politico, quanto economico. Va anche precisato che questa raccolta di fondi è chiaramente regolamentata dallo Stato. Il quale prevede anche un finanziamento pubblico per le campagne presidenziali, attraverso un fondo statale, alimentato dai contribuenti attraverso la dichiarazione dei redditi. Questo finanziamento è strettamente limitato, sia per i fondi pubblici, sia per i finanziamenti. Il candidato può però superare il limite globale se rinuncia ai fondi pubblici. Questa limitazione alla raccolta di fondi privati è stata ulteriormente allentata da una decisione della Corte Suprema che ha soppresso ogni tetto massimo e dichiarato illecito l’uso di questi fondi solo a scopi di corruzione. Di conseguenza, i partiti hanno anticipato le elezioni primarie per la scelta del candidato al quale è così dato più tempo per utilizzare al meglio i fondi raccolti. In ogni caso, ogni contributo viene rigorosamente controllato dalla Federal Election Commission e reso pubblico. Molti fondi sono raccolti anche attraverso i rispettivi partiti, in particolare nella seconda fase elettorale. Per esempio, per Hillary Clinton il 77% dei fondi proviene da donazioni

Hillary Clinton, la cui campagna si stima costerà 2 miliardi, è riuscita finora a raccogliere più fondi di Donald Trump. (Keystone)

di fondi di investimenti e banche, fra le quali anche la Goldman Sachs. La legge americana vieta però i finanziamenti diretti da parte di aziende. Ma anche in questo caso c’è la scappatoia: si possono creare i cosiddetti PAC (Political Action Committees), che raccolgono fondi presso i dipendenti delle maggiori aziende. Anche alcune aziende svizzere approfittano di questa possibilità per favorire i candidati alla presidenza. Di regola l’economia tende a sostenere i repubblicani, ma una parte dei fondi messi a disposizione va soli-

tamente anche ai democratici. Alla vigilia delle rispettive «Conventions», il più impegnato dei PAC era quello dei dipendenti di UBS Americas, che aveva già raccolto circa un milione di dollari, il 60% destinato ai repubblicani e il 40% ai democratici. Superate le primarie, la ricerca di fondi si intensifica, poiché le spese per la campagna presidenziale raggiungono livelli faraonici. Si calcola che, alla fine, Hillary Clinton avrà speso circa 2 miliardi di dollari. Avrà creato uno staff di circa 700 persone e avrà raccolto

fondi da terzi per quasi un miliardo di dollari. Dall’inizio fin dopo le primarie erano già stati raccolti 300 milioni. Qualche problema le viene creato anche dai finanziatori, alcuni dei quali dall’estero. Per esempio, molti sospetti nascono dal grosso finanziamento dall’Arabia Saudita. Per Donald Trump, invece, il bilancio appare più modesto. Però in America è pericoloso dire che si spende poco e per questo Trump ha dichiarato che la campagna gli costerà un miliardo di dollari. A titolo di confronto si

può dire che già una campagna per l’elezione al Congresso costa circa un milione di dollari. Trump ha però raccolto finora 60 milioni soltanto. Ma per lui il problema non si pone, poiché dispone di un patrimonio enorme ed è infatti considerato uno degli uomini più ricchi al mondo. I maligni fanno perfino notare che si rifinanzia la campagna con lauti incarichi affidati a società di sua proprietà (centri congressi, ristoranti, alberghi, ecc.). A rifornire questo immenso mare di soldi partecipano, come detto, anche alcune aziende svizzere. Dopo UBS, anche la Genetech (Gruppo Roche) ha raccolto quasi 350’000 dollari (57% ai repubblicani, 43% ai democratici). Nettamente favorevole ai repubblicani è invece la Farmers Group (della Zurigo) con il 77% contro il 23%. Meglio distribuiti sono i fondi del Credit Suisse (57% e 43% per 260’000 dollari). Novartis divide i circa 250’000 dollari esattamente a metà, mentre Syngenta versa il 73% dei 230’000 dollari circa ai repubblicani. Importi minori sono versati anche da Zurigo Assicurazioni, Lafarge – Holcim, Swiss Re e Nestlé Waters. Da notare che il finanziamento avviene essenzialmente attraverso i due partiti e i dati sono pubblici e ripresi qui dal Center for Responsive Politics. Si tratta comunque di una parte soltanto dei finanziamenti ai partiti. Una parte altrettanto importante viene versata per le campagne per l’elezione alla Camera dei rappresentanti e al Senato. Non si tratta in ogni caso di grandi cifre, come per altre istanze nazionali o extra-nazionali, ma in un ambiente politico come quello americano è importante «marcare presenza».

Tassi ipotecari ai minimi storici – ma non per tutti La consulenza della Banca Migros

Albert Steck Coloro che possiedono già un’abitazione si sentono in una botte di ferro, poiché beneficiano di mutui ipotecari sempre più convenienti. Chi invece sta pensando di acquistare una casa si trova ad affrontare una situazione mai così difficile per il finanziamento.

Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros

Coloro che possiedono già un’abitazione si sentono in una botte di ferro. I tassi del loro mutuo ipotecario sono scesi ai minimi storici. Ma per beneficiarne è necessario superare gli ostacoli posti al finanziamento, mai così ardui. Lo dimostra la nostra analisi dei costi teorici della proprietà abitativa, basata su un prezzo medio di un appartamento (attualmente 700’000 franchi) e un anticipo dell’80 percento. Con un oggetto di questo tipo la banca calcola attualmente costi mensili di 3190 franchi per verificare la capacità finanziaria di un potenziale acquirente. L’importo non è mai stato così elevato (v. grafico). Ma i costi effettivi di questo immobile ammontano appena a 1610 franchi, quindi la metà dell’importo teorico. In altri termini, per chi può tuttora permettersi un’abitazione in proprietà non ha importanza che i prezzi siano continuamente aumentati. I tassi d’interesse molto bassi riescono a compensare ampiamente questi costi aggiuntivi. Dieci anni fa i costi effettivi di un appartamento di medio standard, pari a 1940 franchi al mese, erano molto più

I costi scendono, gli ostacoli per il finanziamento salgono

fi Costi teorici

fi Costi effettivi Luglio 2006

Luglio 2008

Luglio 2010

Luglio 2012

Luglio 2014

Luglio 2016

I costi teorici e quelli effettivi riguardano un appartamento medio, il cui prezzo è salito da 490’000 a 700’000 franchi dal 2006. Maggiori informazioni sul calcolo sono pubblicate all’indirizzo blog.bancamigros.ch.

elevati, sebbene il prezzo d’acquisto fosse di 490’000 franchi. Infatti il tasso ipotecario pesava tre volte di più. Viceversa i costi teorici, pari a 2400 franchi al mese, erano molto inferiori rispetto a oggi. Per un potenziale acquirente era dunque notevolmente più facile finanziare l’oggetto dei suoi sogni. Il fatto che questo divario tra i costi teorici e quelli effettivi si allarghi continuamente è frutto di una volontà

politica. L’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari FINMA e la Banca nazionale svizzera hanno creato un margine di sicurezza per impedire una bolla speculativa. Dal grafico risulta chiaramente quanto sia cresciuto questo margine. Ma il vero motivo del rischio di surriscaldamento è la politica dei tassi zero adottata dalle banche centrali. Infatti, il sistema più semplice per sventare il

pericolo di una bolla dei prezzi sarebbe un aumento dei tassi, ma le autorità monetarie sono recalcitranti di fronte a un simile intervento. E la grossa discrepanza tra i costi teorici e i costi effettivi dell’abitazione non si colmerà per il momento. Attualità su blog.bancamigros.ch: Tassi ipotecari ai minimi storici – ma non per tutti


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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Una polemica ingiustificata La Svizzera possiede due statistiche sulla disoccupazione. Niente di eccezionale se si pensa che, ancora qualche decennio fa, i servizi responsabili rilevavano, anno per anno, il numero delle mucche con quattro statistiche diverse. Le due statistiche sulla disoccupazione sono quella della SECO e quella dell’Ufficio federale di statistica che chiameremo statistica ILO perché rispetta i criteri dettati dall’Ufficio internazionale del lavoro, una istituzione dell’ONU che, come si sa, ha sede a Ginevra. Sulla rappresentatività di queste due statistiche è nata, qualche settimana fa, in

Ticino, una polemica nella quale gli uni sostenevano la statistica SECO e gli altri la statistica ILO. In discussione erano soprattutto le definizioni di disoccupazione utilizzate dalle due statistiche ma anche la tendenza evolutiva che le stesse descrivono. La polemica è nata per il fatto che la statistica SECO, da diversi mesi, indica che il tasso di disoccupazione in Ticino è in diminuzione e, come i lettori che ci seguono hanno già appreso da altri articoli che abbiamo scritto in proposito, ha ridotto oramai la sua differenza con la media svizzera a meno di zero. La notizia che, proporzional-

Evoluzione della disoccupazione in Ticino dal gennaio del 2015.

mente, in Ticino, nel luglio di quest’anno il tasso di disoccupazione era sceso sotto la media nazionale è stata accolta positivamente dalle cerchie padronali e ha invece suscitato commenti critici a destra e a sinistra del nostro spettro politico. I critici hanno sostenuto che la statistica SECO non è un buon indicatore della disoccupazione e che, se ci si vuole fare un’idea di quanti disoccupati ci sono effettivamente in Ticino occorre far capo alla statistica ILO. Il problema, che nessuno degli intervenuti nella polemica ha segnalato, è che SECO e ILO definiscono la disoccupazione in modo diverso, approdando quindi, con le loro statistiche, a risultati diversi. I disoccupati della SECO sono quelli iscritti come tali negli uffici di collocamento cantonali. SECO li rileva mese per mese come se fosse un censimento. Perché un lavoratore figuri nella statistica della SECO come disoccupato deve quindi essere assicurato contro la disoccupazione. È probabile che questo lavoratore abbia più di 20 anni e meno di 65. La statistica ILO definisce invece il disoccupato come

una persona, in età tra i 15 e i 74 anni, che non ha un lavoro e ne sta cercando uno. Questi dati vengono rilevati con un’inchiesta telefonica a campione. È fuor di dubbio che i dati della SECO, che dipendono da un iter burocratico, siano più precisi di quelli della ILO che si basa unicamente sulle risposte di coloro che si lasciano intervistare al telefono. Di più la statistica ILO è solo trimestrale (ad oggi non si conoscono i risultati del secondo trimestre del 2016) e viene mensilizzata utilizzando i dati della statistica SECO. Ma è altrettanto vero che la statistica ILO offre un’idea di quante persone siano disoccupate e non godono, per diverse ragioni, delle prestazioni dell’assicurazione contro la disoccupazione. Nel grafico che accompagna questo articolo abbiamo descritto l’evoluzione delle due serie sulla disoccupazione dal gennaio del 2015 (abbandono del cambio minimo con l’euro) a oggi. Le due curve sono abbastanza simili. Per fare una comparazione, il periodo osservato può essere suddiviso in tre sottoperiodi. Il primo, da gennaio a giungo del 2015

vede la disoccupazione SECO diminuire fortemente (oltre la misura normale data dalla stagionalità dell’occupazione ticinese), mentre la disoccupazione ILO resta costante. Il secondo periodo, da luglio a ottobre dello scorso anno vede la disoccupazione salire, ma in misura minore nella statistica SECO che in quella della ILO. Infine nel terzo periodo, da novembre del 2015 al marzo di quest’anno, l’evoluzione delle due serie è parallela. Se tralasciamo i mesi estivi del 2015, durante i quali la statistica ILO fa una gobba dovuta probabilmente all’aumento – regolare per il periodo – dei giovani senza lavoro, l’evoluzione dei dati delle due statistiche è altamente correlata. Disponessimo anche dei dati per il secondo trimestre 2016 della statistica ILO potremmo vedere ancora meglio come le due serie evolvano in modo parallelo. Non c’è quindi nessuna ragione, quando si discute di come si sviluppa la disoccupazione in Ticino, per opporre i risultati della statistica SECO a quelli dell’ILO. A meno che non lo si faccia per partito preso.

americani, che proteggono navi che non possiedono, trasportano petrolio di cui non hanno bisogno, destinato ad alleati che non saranno di alcun aiuto». La tendenza isolazionista e rottamatrice degli assetti geopolitici istituzionali è antica, insomma, ma ora si coniuga con un elettorato americano sempre meno propenso all’apertura, perché impoverito da un processo di integrazione e di liberalizzazione malfunzionante. Per questo Tanenhaus oggi sostiene che i conservatori, intesi come l’ultima svolta, quella reaganiana appunto, non sono più il Partito repubblicano: è molto più reaganiana Hillary Clinton di Donald Trump. Karl Rove, architetto della stagione bushiana, ha appena pubblicato un libro sul presidente William McKinley, il cui sottotitolo è: «Perché le elezioni del 1896 sono ancora importanti». Rove è prima di tutto un consigliere politico e questo suo approccio permea

la ricostruzione di quella campagna elettorale, con un messaggio ben preciso: la situazione attuale assomiglia a quella del 1896, allora un candidato che correva con lo slogan «The people against the Bosses», la gente contro i capi, vinse contro il candidato del populismo economico, William Jennings Bryan, e riuscì a portare una trasformazione della politica americana in senso liberale ma equo di cui il Paese ha beneficiato a lungo. Rove ha in passato definito Trump «un idiota completo» e del resto il suo capo, George W. Bush, con tutta la famiglia, non si è presentata alla convention repubblicana di Cleveland. Ma il tentativo del guru bushiano è quello di continuare a investire sulle idee del partito, nella speranza di poterle coniugare con il trumpismo. Anche Ross Douthat e Reihan Salam, autori anni fa del saggio Grand New Party in cui sostenevano la necessità di riconquistare il voto della «working

class» per rilanciare il potenziale del sogno americano, sono di recente intervenuti sul «New York Times» con un saggio dal titolo La cura al trumpismo. I due autori pensano al futuro, a come il Partito repubblicano potrà riaversi dallo shock del trumpismo, e indicano una via che ristabilisca da un lato un internazionalismo massacrato dalla retorica anti Nato e pro Putin di Trump ma che tenga conto, sul versante della politica interna, della domanda di maggiore sicurezza e di integrazione controllata. L’unica incognita resta naturalmente il tempo: se Trump dovesse perdere le elezioni di novembre, come buona parte dell’establishment repubblicano dolorosamente si augura, il processo di smaltimento degli eccessi del trumpismo potrebbe iniziare subito ed essere più rapido. Se invece Trump dovesse battere Hillary Clinton, la restaurazione conservatrice assumerebbe tutto un altro volto.

pensare agli episodi raccontati da Émile Zola nel suo Germinal, romanzo scritto pressappoco negli stessi anni del Gottardo e pubblicato nel 18841885. Zola parla di miniere nel nord della Francia e non di gallerie ferroviarie, ma il contesto è quello: lavoratori sfruttati e malpagati, cavalli calati nei cunicoli e mai più riportati alla luce del sole, terribili disgrazie provocate dal grisù. Scrisse l’autore nel preparare la trama: «Germinal è un’opera di pietà e non di rivoluzione. Ho voluto urlare ai fortunati di questo mondo, a coloro che ne sono i signori: “state attenti, guardate sotto terra quei miserabili che lavorano e soffrono. Si è forse ancora in tempo per evitare la catastrofe finale. Ma affrettatevi a diventare giusti, altrimenti c’è il rischio che la terra si apra e le nazioni precipitino in uno degli sconvolgimenti più spaventosi della Storia”». E come dimenticare l’inchiesta che nel 1876 i parlamentari del Regno d’Italia Sonnino e Franchet-

ti condussero sul «lavoro dei fanciulli nelle zolfatare siciliane», dipingendo un quadro drammaticamente analogo. Gotthard va quindi collocato in quella tappa specifica dello sviluppo industriale della seconda metà dell’Ottocento, una fase in cui carbone e vapore erano l’uno l’elemento trainante dell’altro, tessendo sul continente una tela a maglie sempre più fitte, simile – per usare una metafora cara a Carlo Cattaneo – agli aghi disegnati dal gelo su una superficie vetrata. Tuttavia quella impennata economica, chiamata anche all’epoca «progresso delle nazioni», richiese un prezzo umano altissimo, e non soltanto nelle viscere del massiccio alpino, dal Gottardo al Sempione. Tante infatti furono le necropoli in cui rimasero sepolti «i calmi soldati del lavoro», come li definì lo scultore Vincenzo Vela. Non un episodio, un incidente isolato, ma una lingua di fuoco che saetta sotto la crosta terrestre dell’Europa e delle Americhe

divorando ogni essere vivente. Enormi disastri, come quello di Courrières nel bacino minerario francese di Pas de Calais nel 1906 (1099 vittime); Monongah, nella Virginia occidentale nel 1907 (362 morti riconosciuti), Dawson nel Nuovo Messico nel 1913 (263). E poi, in tempi più recenti, la sciagura di Marcinelle-Charleroi (Belgio 1956, 262 vittime) e la valanga di Mattmark (Vallese 1965, 88 caduti). Il film di Urs Egger arriverà sul piccolo schermo, suddiviso in due parti, l’11 e il 12 dicembre. Per molti telespettatori sarà l’occasione per mettere a confronto questa impegnativa produzione con un altro lungometraggio che ha segnato la cinematografia elvetica del secondo dopoguerra: San Gottardo di Villi Hermann, uscito nell’ormai lontano 1977. E anche per leggere i libri nel frattempo pubblicati di Paolo Di Stefano (La catastròfa, edizioni Sellerio) e di Toni Ricciardi (Marcinelle, 1956, Donzelli editore).

Affari Esteri di Paola Peduzzi Lo shock del trumpismo Il Partito repubblicano americano sta ancora digerendo il suo candidato alla presidenza, quel Donald Trump che ha scippato il conservatorismo statunitense di buona parte del suo bagaglio culturale. Ancora non sono stati pubblicati saggi che spieghino l’ascesa di Trump, anche perché la stragrande maggioranza dei commentatori è stata fino all’ultimo convinta che la bolla trumpiana sarebbe presto scoppiata. Semmai Trump stesso è autore di libri e protagonista di biografie, spesso antiche ma oggi di nuovo d’attualità: il candidato repubblicano va molto fiero del suo tomo sull’arte del negoziato, per quanto i negoziati con il resto del suo partito non siano andati finora tanto bene, mentre i giornalisti a caccia di dettagli che spieghino il successo di Trump saccheggiano i libri su di lui, sul suo impero dai destini incerti e sulla sua famiglia. Nonostante la questione non sia stata ancora del tutto codificata, gli intel-

lettuali conservatori sono certi che il Partito non sarà più come prima, dopo questa stagione trumpiana, cioè che gli elementi che Trump ha portato nel dibattito sono destinati a rimanere. Anche perché esistevano già: l’esponente del Gop del 2016 rappresenta appieno la cultura conservatrice mainstream negli anni Sessanta e Settanta, prima che arrivassero le rivoluzioni reaganiane e bushiane che hanno portato il partito su terreni più liberali e internazionalisti. Sam Tanenhaus, autore di un celebre saggio sulla Morte del conservatorismo e per anni direttore della sezione Libri del «New York Times», ha raccontato in molti suoi articoli degli ultimi mesi il ripescaggio che Trump ha fatto di posizioni della «Old Right». Tanenhaus ricorda che per il candidato stesso questa ispirazione non è affatto nuova: nel 1987, Trump pubblicò una lettera aperta su alcuni giornali americani, in cui sosteneva che «il mondo ride dei politici

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti «Germinal» nelle Alpi Locarno, 2 agosto. Piazza grande gremita. Si proietta Gotthard, ambizioso e costoso prodotto filmico della SSR-SRG diretto da Urs Egger. Una lezione di storia sulla costruzione della prima galleria ferroviaria, dal 1872 al 1880 (inaugurazione nel 1882). L’epicentro degli avvenimenti è Göschenen, grappolo di case improvvisamente invaso da una folla di operai italiani, soprattutto piemontesi. Una forza-lavoro sperimentata ma rude e indisciplinata, che sconvolge la vita della piccola comunità urana. Dentro, nel buio della caverna, uomini e bestie sfidano la montagna, una lotta contro gli elementi: lo gneiss che spezza le punte delle trivelle, i crolli delle impalcature, le irruzioni delle acque, gli sconquassi della dinamite, gli incidenti, le malattie. Un girone infernale che mieterà, alla fine, un numero di morti che non sarà mai possibile accertare con esattezza. Anche perché il «verme» del Gottardo proseguì la sua opera a lungo, oltre la conclusione dei lavori.

Nel film non poteva mancare la storia d’amore: un’energica montanina contesa da un ingegnere germanico e da un minatore italiano: il primo schierato con l’impresa di Favre, il secondo mosso da sentimenti anarchici. Un «triangolo» improbabile, ma che serve al regista per mettere in scena i conflitti materiali e ideali dell’epoca: le migrazioni, la modernità considerata da una parte della popolazione un frutto satanico, le prime rivendicazioni operaie, lo scontro tra il Capitale e il Lavoro. Un tributo di sudore, lacrime e sangue. Ma non un’eccezione nella società di allora, un sistema dominato da un capitalismo privo di briglie, retto da imprenditori che potevano contare sulla complicità di una classe politica senza scrupoli. Che infatti non esitava a reprimere nel sangue le rivolte operaie. E qui, nell’osservare certe scene e certi comportamenti, viene naturale


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Cultura e Spettacoli Locarno, un bilancio A pochi giorni dalla conclusione del Festival del cinema, alcune considerazioni pagina 30

Il mare di tutti noi A Stresa il musicista Jordi Savall presenterà il suo progetto dedicato al Mare Nostrum

Mens sana in corpore... Già nell’antichità vi era chi biasimava l’esaltazione della prestanza fisica, chiedendo maggior rispetto della sapienza intellettuale

I giardini del mondo Il Museo Rietberg di Zurigo invita a compiere un viaggio nei giardini della storia

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Your Sense of Unity, una delle opere di Eliasson presenti a Versailles.

Il mago della luce Mostre L’artista islandese Olafur Eliasson a Versailles

Gianluigi Bellei Se volete fare un’esperienza indimenticabile andate a Versailles e visitate il celebre castello. Voluto da Luigi XIV, il Re Sole, per isolarsi da Parigi e creare una reggia dove vivere con la famiglia e i suoi più fedeli accoliti, ha bisogno di diversi decenni di preparazione per la sua realizzazione. Inizia nel 1661 André Le Nôtre a progettare il giardino. Nel 1668 incominciano i lavori delle colonne delle ali decorate su progetto di Louis Le Vau e nel 1678 Jules HardouinMansart assume la direzione generale. Charles Le Brun decora gli interni e nel 1682 il Re e la corte finalmente vi si trasferiscono. Il parco è così complesso che proprio Luigi XIV ha scritto per la corte un libretto intitolato Manière de montrer les jardins de Versailles. Sei le versioni del testo, fino a quella definitiva del 1704. Dopo la caduta della Bastiglia nel 1789 il castello viene depredato e finisce quasi in rovina. Nel Novecento a più riprese si restaura l’intero edificio e oggi ne possiamo ammirare i cortili, i giardini, le varie camere interne e gli innumerevoli saloni, compresa la Galleria degli specchi con gli enormi lampadari e i suoi 70 metri di lunghezza. Esperienza indimenticabile perché

Versailles è il monumento più visitato di Francia; vi arrivano oltre 10 milioni di turisti all’anno. Qualche decennio or sono la visita era piacevole e distensiva: si entrava dal cancello principale e si ammiravano le varie sale comodamente. Oggi il piazzale antistante è pieno zeppo di pullman dai quali escono orde di persone che formano due enormi file ai lati del palazzo. Si entra incolonnati come allo stadio e sempre così, fra spinte, gridolini, selfie, ci si incammina verso l’uscita. Non si può vedere nulla. Nessun quadro, nessun mobile, travolti dalla marea di persone in movimento alla quale evidentemente poco interessano. Una delle cose che sono cambiate rispetto ai fasti dei decenni d’oro è l’odore. Al castello non esistevano i gabinetti, a parte quello del Re, e durante le feste gli innumerevoli invitati urinavano e defecavano dietro le pesanti tende dei saloni. Se a volte vi siete chiesti perché il profumo si è sviluppato in quegli anni proprio alla corte del Re, ora lo sapete: per coprire la puzza maleodorante delle sale. Senza dimenticare che a quei tempi ci si lavava veramente poco. Oggi quell’olezzo non c’è più! In compenso c’è quello acre del sudore e dell’alito di centinaia di persone che premono

accanto a voi. Esperienza indimenticabile, dicevamo, adatta a chi ama gli sport estremi, che si ricorderà per tutta la vita. In ogni caso noi ci siamo andati per vedere la mostra temporanea di Olafur Eliasson. Noi. Perché tutti gli altri nemmeno se ne sono accorti della mostra, pensando che quegli specchi altro non fossero che quelli del castello. Eliasson nasce a Copenhagen nel 1967. Studia all’Académie royale des beaux-arts in Danimarca. Nel 1995 apre il suo studio a Berlino dove lavorano un’ottantina di persone fra artigiani, architetti, tecnici, cuochi. I suoi lavori hanno per oggetto la luce, l’acqua, il sole. Nei titoli usa spesso il termine «your» quasi a voler integrare e far così partecipare gli spettatori alle sue creazioni. Celebre la sua installazione alla Tate Modern di Londra del 2003 The Weather Project. Nella Turbine Hall del museo Eliasson crea un grande sole al tramonto che inonda con la luce tutto lo spazio. I visitatori così non vanno al museo per vedere le mostre bensì per sdraiarsi, mangiare, dormire, godersi il panorama… L’artista «progetta il tempo atmosferico» e lo fa in modo impalpabile, surreale, immaginifico. Porta frammenti di natura dentro i musei e

ricrea attraverso la tecnologia fenomeni naturali. Un artista ecologista con una forte impronta sociale. Sua è Little Sun, una piccola lampada a energia solare destinata ai paesi che non hanno accesso all’elettricità, progettata assieme all’ingegnere Frederik Ottesen nel 2012. Gialla come il sole, appunto, da una parte è dotata di un pannello solare che le consente di caricarsi e dall’altra di una lampadina incastonata in un incantevole girasole. Ha esposto nei maggiori musei del mondo come il Museum of Modern Art di New York o il Martin-Gropius-Bau di Berlino (vedi «Azione» 14 giugno 2010). Sua l’installazione alla Fondation Louis Vuitton di Parigi. Ha rappresentato la Danimarca alla cinquantesima Biennale di Venezia del 2003. A Versailles lavora su due temi: l’acqua nei giardini e gli specchi nel castello. Tre gli interventi nei giardini fra i quali spicca Waterfall alla fine del Grand Canal: un’altissima colonna che si riempie di acqua e sgorga in basso come una cascata visibile dalle 11 alle 12.30 e dalle 15 alle 18.30. All’interno del castello sei sono gli interventi, tutti da scoprire. Come scrive Alfred Pacquement, curatore dell’esposizione, i saloni e le loro decorazioni non vengo-

no trasformati ma si moltiplicano e amplificano i loro punti di vista. «L’artista esalta la fluidità delle sale barocche che gli permettono di costruire un’altra realtà». Deep Mirror è un cerchio, come Solar Compression molto fotografato dai turisti che si possono riflettere nello specchio (selfie su selfie). Ma l’opera che maggiormente interpreta la dilatazione delle forme e la moltiplicazione delle immagini è Your Sense of Unity dove una serie di specchi, uno accanto all’altro, amplificano quelli della mirabolante Galleria degli specchi. Insomma, i lavori di Eliasson si perdono, volutamente, negli spazi di Versailles sia per sottrazione sia per moltiplicazione: un pregio e un difetto nello stesso tempo, tanto che le creazioni dell’artista si confondono e a volte si annullano. Dove e quando

Olafur Eliasson. A cura di Alfred Pacquement. Château de Versailles, Versailles. Apertura: castello 9.0018.30, chiuso lunedì; giardino tutti i giorni 8.00-20.30. www.chateauversailles.fr – www.olafureliasson.net – www.littlesun.com


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Cultura e Spettacoli

Per un festival ancora migliore

Lo scrittore britannico Eric Ambler (19091998). (Keystone)

Festival del cinema Una Piazza altrettanto piena ma meno distratta

potrebbe fare crescere ulteriormente la kermesse Fabio Fumagalli Prima dei contenuti del Festival 2016 (a cominciare dalle scelte della Giuria, sempre significative, nel bene e nel male) sarebbe finalmente il caso di riflettere sul contenitore. Sulla sua espansione fulminea e così radicale da apparire probabilmente irreversibile, quasi a immagine, sebbene più futile, dei tempi che viviamo. Ma allo stesso tempo sorprendente e dalle conseguenze che potrebbero mutare i contorni della manifestazione. La constatazione più utile riguardo all’edizione di quest’anno non nasce allora dalla qualità o da certi limiti del programma, che non differiscono in maniera sostanziale da quelle degli ultimi anni (ad eccezione forse dell’edizione 2015, nata sotto una stella particolarmente felice). Occorre però rendersi conto che siamo di fronte a situazioni spesso dettate dal caso, ossia dalla fortuna di ritrovarsi fra le mani la pellicola giusta al momento giusto. Preferibilmente evitando che i pescecani del mercato se ne accorgano. Il punto è un altro. Locarno, lo si vede senza ricorrere alle statistiche che sottolineano una leggera stasi della Piazza, si sta trasformando e consolidando di anno in anno. È una continuità, una stabilità invidiata anche dalle concorrenti più agguerrite; una progressione strutturale, accompagnata da un affinamento professionale che giustamente viene a premiare gli sforzi dei responsabili. Si tratta di una espansione probabilmente imprescindibile; ammirevole, specie in considerazione dei limiti umani, geografici e strategici del territorio locale. Questa espansione però non deve avvenire solo orizzontalmente, ma anche in profondità. Moltiplicare le sezioni, diversificare gli ambienti, rinnovare età, provenienza o condizione culturale dei frequentatori è decisione condivisibile. Parallelamente vanno rimessi in questione gli spazi e le situazioni dedicati al consumo cinematografico, così come sono da considerare i sovvertimenti in atto in quella che un tempo era l’oasi dorata del cinema. Per le stesse ragioni occorre però dimostrare un’intraprendenza straordinaria, così da rompere altri schemi, forse più intimi e meno tecnici, e per questo meno evidenti. Centosettantamila spettatori sparsi qua e là, aggiunti alle decine di migliaia di frequentatori di una Rotonda che è stato saggio integrare nella kermesse, sono una bella cifra. Questo però non significa doversi dannare per trovare delle soluzioni

cosiddette popolari (sebbene anche il concetto di «popolare» viva una sua evoluzione e considerato che di immagini popolari è ormai satura la nostra quotidianità). Sulla Piazza si deve tornare a riflettere. Nessuno ha stabilito che l’immensa folla debba essere cieca e sorda a quanto lontano dal mainstream. Ma è pur vero che quest’anno sono stati fatti degli sforzi per parzialmente risollevare una qualità sfociata nel grigiore. Senza contare capolavori prelevati da Cannes come I, Daniel Blake di Ken Loach o Poesia sin fin di Jodorowsky (che forse bisognava avere il coraggio di passare in prima serata) o opere dal raffinato intimismo come Stefan Zweig – Vor der Morgenröte di Maria Schrader e Le ciel attendra, sull’Isis, l’approfondimento era garantito. Jason Bourne, di un Greengrass relativamente in forma e il bollywoodiano Mohenjo Daro del Gowariker di Lagoon illustravano giustamente due aspetti importanti della produzione e dei gusti attuali. Mentre il curioso thriller sulla guerra civile in Mozambico Comboio de Sal e Açucar girato dal brasiliano Licinio Azevedo può giustamente ambire, nella sua efficacia drammatica, al titolo di rivelazione. In quanto al tanto biasimato film sugli zombie The Girl With All the Gifts di Colm McCarthy, non era forse conforme a quanto ci si aspetta in generale da una festa d’apertura, eppure non era privo di motivi d’interesse. Non è soltanto una questione di scelte. Dal momento che ancora siamo nell’ambito di una rassegna cinematografica che ambisce storicamente al riconoscimento internazionale, è nei suoi aspetti schematici, nella sua accettazione assopita (certo, capitano anche le ovazioni a Ken Loach) che la Piazza appare sempre un’immensa, spettacolare e giustamente festosa assemblea digestiva. Forse proprio a causa del suo progressivo conformarsi all’attributo di «popolare», o nel timore di guastare il clima consensuale che fa parte della nostra tradizione, la platea sotto le stelle ha perso quegli attributi dialettici e di confronto che sono propri dell’agora. Una piazza è fatta anche per reagire, godere o dissentire, come accadeva ai tempi, fra acclamazioni e fischi. Certo, anche a Cannes e Venezia è in atto una sorta di tacita rassegnazione, ma questo non dovrebbe indurre anche l’ultimo pubblico dello spettacolo-cinema ad abbandonare la propria potenziale foga. Non si tratta – per carità! – di sostituire al piacere l’elitarismo e l’intellettualismo. Ma perché non tentare, per dirne una, di rompere qualche schema,

come quello dell’inamovibile successione di presentazioni e proiezioni? La formattazione, costituita da quei 115 minuti canonici, sta massacrando le sale. Perché non fondere allora ancora di più la presentazione degli ospiti (quando inseriti nel contesto logico del festival) con un’illustrazione più esauriente della loro opera? Isabelle Huppert, una delle più grandi attrici al mondo, è apparsa sul palco accolta dall’apprezzamento garantitole da una lunga notorietà. Il suo omaggio a Michael Cimino, intelligente e sensibile, è stato magnifico; altrettanto emozionante dell’ormai celebre incontro avuto da Cimino stesso con il pubblico di Locarno. Ma ecco altri applausi... questa volta per fare smettere la Huppert di parlare. Forse, più che dei rischi di una platea sconfinata, sono le conseguenze di quel «popolare» di cui sopra. Sarebbe bastato improvvisare, presentando magari mezz’ora delle sublimi immagini di Il cacciatore o di I cancelli del cielo. Questo è solo un episodio, ma ci si chiede perché un rito, a volte inamidato, non possa tentare di avvicinarsi a una folla a tratti distante? Ciò permetterebbe al Concorso, già a livelli più che dignitosi, di crescere ulteriormente. Si affinerebbe il potere di contrattazione dei programmatori e crescerebbe, questa volta in qualità, la manifestazione tutta. Del palmarès si è già detto. La Giuria ha scelto bene, sottolineando con l’oro l’austero ma magnificamente incondizionato Godless di Ralitza Petrova. La regista bulgara non si limita a denunciare la dilagante corruzione del proprio Paese, ma rivela anche lo straordinario stato di grazia attuale del cinema dell’Est Europeo. Si poteva forse evitare di premiare due volte Godless: permettendo così di segnalare anche Slava, l’altro film bulgaro. Si doveva sottolineare maggiormente l’istintiva leggerezza poetica di Mister Universo. E non dimenticare del tutto una delle rivelazioni maggiori, Marija, girato a Dortmund dallo svizzero Michael Koch: una magnifica protagonista in un film giusto e forte, come raramente ne nascono da noi, una scrittura cinematografica essenziale su un tema attuale come quello dell’immigrazione. Il verdetto ha premiato film piuttosto cupi, ma non è colpa dei giurati se i tempi sono questi; e la selezione andava in quel senso. Si sarebbe potuto alleggerire premiando la commedia dai toni falsamente festosi dell’egiziano Yousry Nasrallah. O l’allargato panorama asiatico proposto dal giapponese Tomita di Bangkok Nites, una delle rare escursioni extraeuropee.

Ken Loach è stata una delle star dell’edizione 2016 del Festival. (Stefano Spinelli)

Spy stories e perle di saggezza Narrativa È giunta l’ora (per chi non l’avesse

ancora fatto) di rivalutare Eric Ambler

Mariarosa Mancuso Vengono i brividi a pensare a quanti romanzi di pretese letterarie e scarsi risultati abbiamo letto trascurando Eric Ambler. Tempo buttato via, si poteva dedicare con maggiore divertimento a un grandissimo scrittore che ha un solo difetto (e non è neppure suo): essere finito nello scaffale dello spionaggio. Alla fantascienza qualche decennio fa si arrivava con l’antologia di Fruttero & Lucentini Le meraviglie del possibile. Al giallo si arrivava perché in fondo a tutti piace sapere come va a finire (per un periodo lungo del secolo scorso, le trame erano segno di cattiva letteratura). Le spy story restavano territorio inesplorato. Soprattutto per le ragazze. Aiutò un Segretissimo di tanti anni fa, intitolato La maschera di Dimitrios (ora da Adelphi, con una splendida foto di Peter Lorre in copertina). Istanbul, metà degli anni Trenta: un pezzo grosso dei servizi segreti – nonché scrittore a tempo perso – racconta a un giallista di successo la storia avventurosa di Dimitrios Makropoulos: uno che in materia criminale aveva gusti (e talenti, e raggio d’azione, si va da Sofia a Bucarest) piuttosto ampi. Abbiamo sempre avuto – parlando di romanzi, s’intende, nella vita li fuggiamo come la peste – un debole per gli scrittori dilettanti. Fu così che la scintilla scoppiò. Vengono i brividi a pensare quanti romanzi con faticosi inizi – e in questo caso c’è sempre qualcuno che dice «vai avanti, poi migliora», ma perché dobbiamo leggere uno così stupido, o snob, che non cerca di conquistarci con la prima frase? – abbiamo letto trascurando Eric Ambler. Uno che i romanzi li comincia così: «In fin dei conti, se non fossi stato arrestato dalla polizia greca sarei stati arrestato dalla polizia turca». È l’inizio di Topkapi, l’ultimo Ambler pubblicato da Adelphi, che in catalogo ne ha già tanti. Anche Il caso Schirmer tradotto da Giorgio Manganelli, a segnare un’epoca un cui neanche il traduttore era famoso, figuriamoci lo scrittore: quanto a distrazione e trascuratezza, eravamo in compagnia. In copertina, un fotogramma del film girato da Jules Dassin nel 1946, con Melina Mercouri (posa da seduttrice, si intravede un letto) e Peter Ustinov (posa meno identificabile, a torso nudo con un bustino di corde). Tre righe dopo vediamo compari-

re all’aeroporto di Atene un turista che pare americano, tale Harper. Sappiamo com’è vestito, sappiamo com’è fatta la sua valigia («finta pelle, con chiusure in similoro», e se non vi si apre un mondo, vabbé, c’è il dubbio che forse non vi piacciono le storie), sappiamo che il narratore lo segue con intenzioni non proprio oneste. Poche pagine, e già ci sentiamo completamente risarciti, dimenticando certi romanzi che abbiamo dovuto leggere quest’estate per sconsigliarli. Come si fa a non voler saper tutto di uno che si dichiara «fiero del mio buonsenso e del senso dell’umorismo» (ultimo paragone, poi smettiamo, con i cattivi scrittori che «presi la scatola dei biscotti dalla credenza e la posai sul tavolo di cucina»: lo fanno tutti, e a meno che sui biscotti non stia appollaiato almeno un Pokémon, in un romanzo proprio non interessa). E ha una sola regola nella vita: «Mai fingere di essere migliore di quel che si è». Già benissimo, poi arriva il rinforzo: «Penso di poter dire in tutta onestà di non averci mai provato». Non è che abbiamo perlustrato il romanzi in cerca di citazioni da annotare. È che sono lì, irresistibili come la trama. Colui che in vita sua mai ha cercato di mostrarsi migliore si chiama Arthur Abdel Simpson (ma preferisce nascondere il secondo nome Abdel, modo sicuro di mostrarsi migliore, per un apolide di madre egiziana e padre britannico). Fingendosi autista, ruba ai turisti stranieri i traveller’s cheque, e lo vorrebbe fare anche con Harper, prima che la vittima rovesci il tavolo. Ficcando il nostro uomo in un intrigo più grande di lui: le spie di Ambler sono spesso improvvisate, in situazioni da professionisti. Era nato a Londra nel 1909, i suoi genitori lavoravano in uno spettacolo di marionette (lui li aiutava, imparando a tenere il pubblico sveglio e divertito). In seconde nozze sposò Joan Harrison. Se il nome non vi dice niente: era il braccio destro di Alfred Hitchcock, promossa sul campo da segretaria – era il 1933 – a sceneggiatrice. Divenne produttrice, per la serie televisiva Alfred Hitchcock presents. In una nobile gara, Eric Ambler inventò – e scrisse tutti i 68 episodi – della serie Checkmate, in onda sulla CBS dal 1960 al ’62. Due investigatori yankee, il criminologo britannico che li aiuta, gran successo di pubblico e di critica.


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Cultura e Spettacoli Quasi un eroe antico? Usain Bolt, il fenomeno delle Olimpiadi 2016. (Keystone)

Le attenzioni di Pagine d’Arte Pubblicazioni La rivista, presentata all’inizio

dell’anno, presenta molte novità

Eliana Bernasconi

Bello e bravo, o utile alla polis? Dopo le Olimpiadi Dall’esaltazione dell’atletismo

alla sua svalutazione Elio Marinoni

Le XXXI olimpiadi dell’èra moderna, appena concluse a Rio, hanno confermato la perdurante attualità dell’ideale dell’atleta «bello e bravo», trasmessoci dalla civiltà greca antica. Grande risalto è stato dato dai media (specialmente online) ai visi e ai corpi delle atlete e degli atleti più belli: dalle giocatrici di beach volley ai nuotatori, dalle aggraziatissime specialiste del nuoto sincronizzato alle campionesse e ai campioni dell’atletica leggera. Per contro, sono state evidenziate come note dissonanti la pancia esibita dal nuotatore etiope Robel Kiros Habte e la silhouette non proprio filiforme di tre tiratrici d’arco italiane, bollate come «il trio delle cicciottelle» in un titolo della testata sportiva «QS», anche se poi – in un sussulto di political correctness – l’editore si è sentito in dovere di licenziare in tronco l’incauto direttore. Un’eccezione al canone dell’atleta «bello e bravo» è ovviamente costituita dall’atletica pesante: la stazza sovrappeso di certi sollevatori o lanciatori del peso o del martello non suscita infatti alcuna ilarità.

Il senso di «mens sana in corpore sano», espressione sempre attuale, in realtà era un poco diverso... Accanto all’esaltazione dell’atleta e della sua performance, espressa nell’ideale della kalokagathía (fusione di bellezza e di valentia) si è però sviluppato, già a partire dall’età arcaica della civiltà greca antica, un filone di letteratura filosofica che contesta l’etica del «primeggiare» e il valore della prestazione atletica, contrapponendo ad essa la maggiore utilità sociale e politica della sapienza. A partire dal VI secolo a.C., varie voci critiche nei confronti dell’atletismo si levano da parte di esponenti dell’intelligentia greca. In un’elegia composta tra il 540 e il 520 a.C. Senofane contrappone alla valentia atletica la sapienza, considerata più degna di onori pubblici in quanto è essa a migliorare la pólis: «Ma se uno conquista la vittoria per la velocità dei piedi / o nel pentathlon, là dov’è il sacro recinto di Zeus, / […] in Olimpia, o nella lotta / o per l’abilità nel doloroso pugilato / o in quella terribile gara che chiamano pancrazio,

più glorioso diventa agli occhi dei concittadini / e nei giochi ottiene il posto di onore, / e il vitto a spese pubbliche dalla città / e un dono che per lui è un cimelio; / e anche vincendo coi cavalli avrebbe tutti questi onori / eppure non ne sarebbe degno com’io lo sono. Ché meglio / della forza di uomini e cavalli è la nostra sapienza. / È davvero un’usanza irragionevole, né è giusto / preferire la forza al pregio della sapienza. / Poiché anche se c’è tra i cittadini un abile pugile / o qualcuno che eccelle nel pentathlon o nella lotta, / o anche nella velocità dei piedi, che è la più onorata / tra le prove di forza che si fanno nella gare degli uomini, / non per questo la città vive in un ordine migliore». (Senofane, fr. 2 Untersteiner, trad. di A. Pasquinelli). Le medesime argomentazioni ritornano, con accenti simili, in un frammento della perduta tragedia Autolico di Euripide (485 ca.-406 a.C.), fra i grandi tragici il più interessato alla filosofia e quello in cui più corrosiva è la critica dei valori tradizionali: «Dei numerosi malvagi che si trovano in Grecia, non v’è razza peggiore di quella degli atleti […] Io biasimo anche l’uso degli Elleni, che in loro onore organizzano feste e allestiscono gli inutili piaceri dei banchetti. Quale vantaggio procura alla città natale col premio di una corona un uomo che abbia lottato con successo, o uno veloce di piedi o chi abbia lanciato un disco, oppure chi abbia colpito con efficacia una mascella? […] Bisogna invece, come io credo, incoronare con fronde i saggi e gli onesti e chiunque nel migliore dei modi regga la città con moderazione e giustizia, e chiunque ancora con le sue parole tenga lontane le azioni malvagie, eliminando battaglie e sedizioni. Questo è bene per la città e per tutti i Greci». (Euripide, fr. 282 Nauck). A dire il vero, la critica corrosiva di Senofane e di Euripide appare viziata dal suo radicalismo polemico: tornando all’oggi, non tornerà forse utile la vittoria conquistata nel singolare femminile dalla bella e brava tennista portoricana, assicurando così la prima medaglia d’oro nelle storia delle olimpiadi alla repubblica di Puerto Rico? La critica dell’atletismo non è estranea a un genere minore come quello della favola, il cui fondatore (il frigio Esòpo) sarebbe vissuto più o meno al tempo di Senofane. A lui il favolista latino Fedro fa risalire la critica del senso stesso della gara atletica (per una corretta interpretazione del passo va però tenuto presente che nell’anti-

chità gli atleti non erano divisi per categorie di peso): «Il saggio frigio, avendo visto il vincitore di una gara ginnica vantarsi smodatamente, gli domandò se l’avversario fosse superiore di forze. Al che quello: “Non dire una tale enormità: le mie forze si sono dimostrate molto maggiori”. “Ma allora” disse “che gloria hai meritato, stolto, se più forte hai vinto uno meno vigoroso? Saresti sopportabile, se affermassi di aver vinto con l’abilità e il coraggio uno più forte di te”». (Fedro, Fabulae, A 11) Al dualismo corpo/anima di tradizione platonica sono ispirati gli ammonimenti del filosofo stoico Seneca (I secolo d.C.) in una lettera a Lucilio. Seneca non esclude la pratica degli esercizi fisici, ma si esprime a favore di una gerarchia che ponga al primo posto e dedichi più tempo alla cura dell’anima che a quella del corpo: «Cura soprattutto la salute dell’anima, e poi quella del corpo, la quale non ti costerà molto, se vorrai star bene. […] Per quanto ti è possibile, limita le esigenze del tuo corpo e fa sì che l’animo liberamente si espanda. A molti guai va incontro chi si cura troppo del corpo […] la fatica degli esercizi inaridisce lo spirito e lo rende inetto […] ad attendere agli studi profondi[…] Non mancano esercizi facili e brevi, che […] non fanno perdere tempo […]: la corsa, il movimento delle mani con qualche peso, il salto in alto o in lungo. […] Pratica quello che vuoi; si tratta di esercizi elementari, agevoli. Qualunque cosa tu faccia, tosto ritorna dalla cura del corpo a quella dello spirito». (Seneca, Lettere a Lucilio, 15, 2-5, trad. di U. Boella, UTET, Torino 1969). Il superamento dell’antinomia corpo/anima e l’auspicio di un uomo «integrale» si trova infine in una satira di Giovenale (II secolo d.C.), che contiene la famosissima espressione mens sana in corpore sano, abusata da un gran numero di società sportive ed erroneamente interpretata come l’asserzione di un dato di fatto (ossia che la sanità mentale è la conseguenza della salute fisica), mentre nella formulazione del poeta di Aquino si tratta di un ideale a cui tendere: «Se comunque si vuol chiedere qualcosa e dedicare agli dei nei tempietti le viscere e la sacra carne di un bianco porco, si deve pregare di avere mente sana in un corpo sano (orandum est ut sit mens sana in corpore sano)». (Giovenale, Satire, X, 354-356, trad. di Giuliana Boirivant, Bompiani, Milano 1991).

Orientarsi sui temi dell’arte contemporanea non è semplice, la sovrabbondanza di proposte, l’informazione globalizzata, la difficoltà di differenziare tra spettacolarizzazione, valore artistico e valore di mercato possono confondere. Le pubblicazioni di Pagine d’Arte sono indubbiamente una guida che con competenza e passione suggeriscono scelte sicure. Parliamo della rivista e dei libri distribuiti da decenni nelle librerie e biblioteche del Ticino. Illustrare l’attività di questa piccola ma fertile casa editrice, dal 1996 presente anche nel mercato editoriale francese, può risultare complesso. Iniziata in sordina nel 1981 con una piccola rivista trimestrale e cresciuta nel tempo, Pagine d’Arte conta oggi un numero sorprendente di collane in italiano e francese, di opere su carta e cartelle di incisione, di cataloghi legati al Museo Villa dei Cedri, di monografie, saggi critici, racconti e scritti poetici su arte e letteratura. A inizio d’anno, alla libreria Segnalibro di Lugano, Fabio Soldini, con l’editore Matteo Bianchi (per quasi 20 anni direttore di Villa dei Cedri a Bellinzona) e Carolina Leite hanno presentato a un pubblico di artisti, autori e amici il primo esemplare della storica «Rivista-Bollettino» di Pagine d’Arte, completamente trasformata nell’aspetto grafico e per determinati aspetti anche nell’impostazione. Fabio Soldini ha descritto le caratteristiche e le nuove funzioni di questo rinnovato periodico, uscito a gennaio 2016, con la denominazione di Libretto numero 21/22 &catalogo, che a differenza di quanto avveniva in passato non è semestrale ma annuale, riunisce le funzioni di rivista e catalogo della casa editrice, si propone di raccontare dall’interno la relazione che si instaura con i vari artisti e autori, argomenti quindi strettamente connessi all’attività editoriale. Una sorta di diario di bordo delle collane in italiano e francese, un’informazione sull’attualità dei libri in corso. Il primo numero, riadattato con sapiente cura anche nei piacevoli caratteri grafici del testo, nasce come i precedenti da una redazione di volontari armati di entusiasmo, e in particolare grazie al lavoro della studiosa d’arte e artista Rosanna Carloni, da sempre promotrice della realizzazione. Vi troviamo molti spunti e stimoli di lettura, come l’editoriale di Matteo Bianchi e Caroline Leite che traccia la

Particolare della pubblicazione uscita in gennaio.

storia in prospettiva della Casa editrice, o l’approfondito dossier sulla vita e l’opera di Giulia Napoleone, straordinaria ottantenne da sempre amica del Ticino: le sue immagini raffinatissime, intense e poetiche la pongono fra i migliori interpreti dell’incisione contemporanea. Viene presentato anche il catalogo ragionato dell’opera di Massimo Cavalli, 766 incisioni curate dall’atelier di calcografia di Gianstefano Galli che coprono l’intero arco della sua produzione, dall’informale naturale di scuola lombarda all’astrattismo. Si parla delle Edizioni Rovio, prestigiose collezioni di cartelle e libri di noti artisti, che entrano da questo anno nella grande famiglia di Pagine d’Arte; vi troviamo l’aggiornamento sulle novità 2016, come la collana che pubblica 16 tavole sull’Apocalisse di Dürer, commentate da Alberto Manguel, e 16 tavole di Piranesi con uno scritto di Marguerite Yourcenar. Si parla pure di Frans Masereel, il grande pittore fiammingo ideatore del romanzo grafico che illustrò opere di letteratura mondiale con intense xilografie colme di passione, di una novella inedita di Stefan Zweig del 1925. La collezione invisibile è la tenerissima storia di un collezionista di stampe antiche divenuto cieco dopo la guerra, che continua a vivere nella felicità che gli dona il possesso delle sue stampe ignorando che sono ormai state vendute. Il Libretto & catalogo contiene inoltre segnalazioni e anticipazioni di novità estratte dal catalogo delle collane in lingua francese. Da segnalare anche due significativi saggi: uno è La nostalgia della bellezza, di Raffaele La Capria, in cui il critico parla di armonia e bellezza nell’epoca tremenda, poco favorevole alla contemplazione, che viviamo; l’altro ripropone la conferenza del 1963 del grande intellettuale svizzero Denis de Rougemont sul «Federalismo culturale». Precursore di molti temi attuali e ardente difensore dell’Europa delle regioni, Denis de Rougemont già allora sosteneva un federalismo attuabile solo se legato alla causa della cultura. La linea editoriale di Pagine d’Arte è quindi aperta a molti contributi, eclettica ma sempre improntata alla relazione fra arte e natura, tra parole e figure e tra immagini e testi, basti pensare ad esempio alla poetica del collage. Pagine d’Arte ancora una volta vuole riflettere l’idea di cultura in una società molto frammentata attraverso il linguaggio di artisti e autori forti e affermativi.


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Cultura e Spettacoli

Savall, la ricerca della verità sull’uomo Musica A colloquio con il musicista Jordi Savall, che giovedì 25 agosto al Festival di Stresa

presenterà il progetto Mare Nostrum Enrico Parola Poteva diventare un grande violoncellista, ma Jordi Savall non ha mai concepito la musica come carriera; per l’artista catalano, 75 anni il 1° agosto, la musica è viaggio e scoperta. Appena diplomato passò alla viola da gamba, strumento più antico e negli anni 60 praticamente sconosciuto; ne ricostruì il repertorio e ne fece addirittura la colonna sonora per il celebre film su Luigi XIV Tous le matins du monde. Fu a Basilea, dove si recò nel 1968, che la musica antica gli spalancò orizzonti prima inimmaginabili; in quell’anno sposò il soprano Montserrat Figueras (scomparsa nel 2011), diresse la Schola Cantorum Basiliensis e iniziò a fondare i suoi complessi strumentali e vocali: l’Hesperion XX, la Capella Reyal de Cataluna, le Concert des Nations. Compagni di viaggio con cui condivideva la stessa filosofia: «Desideravamo trovare gli elementi che per dieci e più secoli hanno legato storia e musica, speravamo di capire meglio la nostra storia approfondendo quella musicale. Devo dire che abbiamo scoperto e capito tanto». Esemplare è il progetto che giovedì presenta allo Stresa Festival, sponda piemontese del lago Maggiore: Mare Nostrum, ricca antologia dove si intrecciano danze e canti sefarditi, ebrei, turchi, berberi. «Oggi il Mediterraneo è forse la fossa comune più grande del pianeta», riflette Savall, che aveva iniziato a concepire questo progetto nel 2011, non pensando che il titolo avrebbe denominato l’operazione di recupero proprio dei profughi imbarcatisi dalle coste africane. «Oggi ci dimentichiamo che i contorni umani del Mediterraneo sono stati foggiati attraverso migrazioni e invasioni. Nel 1609 i giudei ebbero tre mesi di tempo per lasciare la Spagna, i Moriscos, gli spagnoli di origine musulmana, soltanto tre giorni. Scapparono e con loro fuggirono strumenti, canzoni, una cultura intera: a un popolo che non ha più nulla rima-

ne comunque la musica, la sua voce che canta e gli dà identità». Ciò che Savall più sottolinea è però «che la musica, seguendo l’uomo nei suoi spostamenti e nei suoi incontri, ci racconta che c’è stato un tempo in cui il Mare Nostro era davvero un ponte tra le civiltà, un luogo di scambi e di incontri: ho ritrovato una stessa melodia adattata a testi scritti in latino, in catalano, in spagnolo-sefardita, in arabo, in berbero e in greco; o una splendida melodia di una ninnananna berbera che si ritrova identica dal Sahara ai Pirenei fino alla Provenza». Scoperte che hanno ribaltato luoghi comuni: «Studiando la musica dei turchi mi sono reso conto di quanta ignoranza ci sia in Occidente riguardo alla loro storia e alla loro civiltà. Le musiche ottomane recano segni evidenti di un dialogo con i musicisti greci, sefarditi e armeni, raccontano di come nell’impero ottomano vi fosse un’ampia libertà religiosa per i non musulmani: ortodossi, cristiani ed ebrei poterono continuare a praticare la loro fede in terra islamica, così come la molteplicità delle lingue parlate trasformava Istanbul e le altre città ottomane in altrettante torri di Babele». Non contraddice quanto appena detto, ma certifica il rispetto di Savall per la realtà e le verità storiche la tournée con le musiche tradizionali armene fatta lo scorso anno per ricordare il centenario del genocidio di un popolo «il cui sterminio è negato ancora dal governo turco. Sono musiche meravigliose che parlano di amore e pace; ascoltandole, magari intonate dal loro strumento tradizionale, il duduk (un oboe di albicocco, ndr.) si intuisce la forza interiore di questo popolo, come sia riuscito a sopravvivere a una tale tragedia». A proposito di vessazioni e stermini, il progetto cui ora sta lavorando sono «i canti e i suoni degli schiavi: furono 30 milioni tra il 1450 e il 1850, di cui tre milioni morirono: un altro olocausto di cui nessuno ha finora chiesto scusa».

Jordi Savall appare anche nel documentario Mare Nostrum degli svizzeri Michelle Brun e Stefan Haupt. (www.marenostrum-film.ch)

Ritornando al Mediterraneo, Savall ne ricostruisce anche una geografia musicale tutta sua: «Fino all’avvento della polifonia il mondo conosciuto dall’uomo medievale, o almeno quello che ruotava attorno al Mediterraneo, era musicalmente unito e unitario; quando l’Occidente iniziò a sovrapporre e incrociare le voci, inventando il contrappunto, iniziò anche a distaccarsi dal Nord Africa e dal Medio Oriente, dove si continuò con la sola monodia». Mare Nostrum però si ferma prima, alle monodie che rintoccavano lungo tutte le sponde del Mediterraneo: «Eseguiamo alcune delle 413 celebri Cantigas de Santa Maria raccolte tra il 1250 e il 1280 sotto la direzione di Alfonso El Sabio; già le 41 miniature del codice

manoscritto che le ha conservate mostrano l’intreccio delle tre religioni monoteiste – si vedono strumenti arabi e spagnoli – e secondo alcune fonti pare che per elevare i testi delle Cantigas re Alfonso attinse alla musica più in voga al tempo, quella degli arabi sottomessi all’autorità cristiana». Se tanti sono i tesori riportati alla luce dal sommerso dei secoli, il percorso di Savall non è stato per nulla semplice e scontato: «Ho dovuto imparare o almeno conoscere tanti strumenti: lira, rebab, viella, oud… Anche le loro storie sono affascinanti: a Roma ho trovato un rebab, una sorta di grande violino scolpito in un unico pezzo di legno e suonato in tutto l’Oriente, di seicento anni, il doppio di uno Stradivari. Ha

ancora una voce meravigliosa che come una conchiglia echeggia il suo mondo passato: questo strumento ha viaggiato per migliaia di chilometri, è stato sulla gobba dei cammelli, nella stiva di chissà quante navi, in mille case diverse». Dopo mezzo secolo di viaggi, scoperte e concerti che cosa le ha insegnato la musica? «Vorrei rispondere con Don Chisciotte: “Dove c’è musica non ci può essere del male”, ma dopo Auschwitz e tante altre atrocità è lecito credere ancora che la musica e la bellezza possono renderci più sensibili e più umani? Quando le riduciamo a mera estetica no, per questo dobbiamo cercarne la dimensione spirituale: al fondo della mia ricerca musicale non c’è niente di meno che la verità sull’uomo e il suo destino».

Da un monte in Valle Onsernone Cartoline musicali I saluti di questa settimana ce li manda Donat Walder, musicista sfegatato,

nonché fondatore della mitica band dei Vomitors

Zeno Gabaglio Donat Walder

È nato a Locarno nel 1975. Nel 1991 si è unito ai Blacktrust, indubbiamente il più promettente gruppo thrash metal ticinese dell’epoca. Nello stesso anno – in ottima compagnia – ha fondato i Vomitors; gruppo che, dopo otto album e centinaia di concerti, continua imperterrito a rallegrare il proprio vasto e irriducibile pubblico. Ha inoltre realizzato una decina di CD con

Donat Walder in contemplazione.

altri gruppi e in collaborazione con enti no-profit quali OTAF e Fondazione Diamante. Nel 2009 ha dato vita ai Dadotratto il cui secondo album – Dichiarazione d’inesistenza, del 2016 – rappresenta la sua più recente pubblicazione discografica. Cartoline

A Marcel Aeby Caro Marcel, ti mando una cartolina che inevitabilmente raffigura Jimi, anche se probabilmente ne hai già altre

mille, essendo tu il più grande collezionista svizzero di memorabilia hendrixiane. Stavo finendo la quarta media quando, dopo circa un anno e mezzo di introduzione ad alcuni frammenti dello stile di Hendrix, un giorno mi hai detto «Bom, penso che ci sei…». Non significava ovviamente che io avessi già appreso tutto ciò che c’era da apprendere, ma che secondo te ero pronto a proseguire da solo. E, indipendentemente dal genere, sono convinto che in quello che suono ancora oggi c’è sempre una buona dose di Jimi Hendrix, e di Marcel Aeby. E sono contento che sia così. A Steve Vai Caro Steve, è da un’estate lontana che ti scrivo questa cartolina, da un monte in Valle Onsernone dove stavo aiutando l’amico Urs a costruire una tettoia. La sera ascoltavo Passion and Warfare, sdraiato su un’amaca con il sole appena tramontato. Il tuo modo estatico di modulare i suoni e di cercare la nota perfetta si confondeva con questo paesaggio fuori dal tempo, con il vento che faceva risuonare le betulle, con la serenità che tutto sembrava pervadere. Avevo sedici anni. (Ho sedici anni e tutto sembra possibile. Forse anche che un giorno

io possa suonare come te. Poi però mi imbatto in un tuo piano di studio che prevede dieci ore di esercitazioni quotidiane e tutto diventa chiaro: non sarò mai così disciplinato e rimarrò un musicista molto più basilare e triviale. Ma forse almeno l’estasi è possibile anche senza tutta quella disciplina, chi lo sa). A Fearghal McKee Caro Fearghal, il 15 aprile 1996 a Zurigo c’era Lou Reed: carismatico sì, ma per niente memorabile. Di spalla c’era però un gruppo irlandese chiamato Whipping Boy: indimenticabile. Dopo vent’anni mi capita ancora spesso di ascoltare il vostro album Heartworm, che rimane uno dei dischi più belli e toccanti in assoluto, un raro capolavoro di poesia e profondità musicale. Purtroppo poi qualcuno nell’industria musicale vi ha lasciati cadere. Comunque sia, Fearghal, ti auguro tutto il meglio: We don’t need nobody else.

piccolo teatro. Qualche tempo dopo Lalo e io ti avevamo accennato a uno spettacolo che avremmo voluto realizzare insieme a te e già c’era un titolo: «Mangia e bev in santa pas!». La tua risposta fu uno dei tuoi inconfondibili sorrisi. Abbiamo comunque avuto modo di collaborare ad altri progetti, e quella pièce è rimasta solo un’idea. Pazienza; ora goditi la tua santa pas: evviva il clown! A Daiv, Domenico, Giacomo, Lalo, Lorenzo, Matteo e Mila Cari tutti, vi mando una bellissima cartolina da Riazzino. Raffigura un ToiToi in fondo a una rampa di cemento armato. Non sarà il massimo della poesia e dell’estetica, ma almeno così avete un’indicazione geografica precisa. Vorrà pur dire qualcosa, se ci troviamo regolarmente in prossimità di un ToiToi, dopo tutto questo tempo… Cartoline musicali – elenco

A Dimitri Caro Dimitri, a te invio una cartolina di Verscio, o Varzio che dir si voglia. Il 17 agosto 1991, un quarto di secolo fa, con Lalo, Poncio e Donovan abbiamo tenuto il primo concerto dei Vomitors, ed eri stato proprio tu a ospitarci, nel

1. A Marcel Aeby 2. A Steve Vai 3. A Fearghal McKee (Whipping Boy) 4. A Dimitri 5. A Daiv, Domenico, Giacomo, Lalo, Lorenzo, Matteo e Mila.


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Cultura e Spettacoli

Tutti i giardini del mondo Mostre Molti i risvolti e i colori al Museo Rietberg di Zurigo Marco Horat Il giardino è per definizione la rappresentazione simbolica dell’universo, visto da punti di osservazione differenti: cosmico, religioso, sociale, psicologico, naturalistico, della conoscenza, a seconda della Weltanschauung delle culture alle quali facciamo riferimento. Per ricordare alcuni elementi vicini al nostro sentire: l’Eden ebraico e cristiano con l’albero della vita e quello della conoscenza del male e del bene che costò caro ad Adamo ed Eva, era un giardino talmente bello da diventare in modo paradigmatico il Paradiso terrestre; tra le sette meraviglie del mondo antico erano ricordati i Giardini pensili di Babilonia. La cultura europea è estremamente ricca di espressioni di giardino: protagonisti ne sono l’Italia, la Francia, l’Inghilterra, a seconda degli ambiti e dei periodi storici. «Gli antichi romani – dicono ad esempio gli specialisti – hanno portato il giardino alla raffinatezza più elaborata, mescolando elementi architettonici, statue, grotte, fontane e getti d’acqua al fascino colorito di una vegetazione obbediente al gusto e alla volontà dell’uomo». Elementi che troveremo anche sotto altri cieli in altri periodi storici. Per non dire poi delle tradizioni di Egitto, Cina, Giappone, India, Messico, Persia e mondo musulmano. Un argomento dunque molto serio e ricco di implicazioni culturali. Avevo scoperto anni fa con un certo stupore come attorno ai giardini storici ruotasse un grande interesse: anche in Ticino prosperava ad esempio un’a-

genzia viaggi, diretta da un tedesco, che portava gli appassionati a visitare giardini famosi di tutto il mondo. A Intra, non a caso sulle sponde del Lago Maggiore, in una regione cioè ricca di giardini famosi, si tiene regolarmente un congresso al quale intervengono ogni anno specialisti internazionali e dove è possibile trovare praticamente tutta la letteratura prodotta negli anni sull’argomento. Per il 2016 il tema proposto dalle Giornate del patrimonio, che si celebrano in autunno, sarà proprio «Il giardino». Infine a Zurigo, presso il cosiddetto Zürichhorn, è stato creato nel 1993-94 un suggestivo Giardino cinese in collaborazione tra la città sulla Limmat e quella di Kunming, chiamato «Tre amici in inverno», quale ringraziamento delle autorità cinesi per l’aiuto tecnico ricevuto da parte svizzera nella realizzazione dell’impianto idrico della loro città; per chi non lo avesse mai visto, è l’occasione per una piacevole scoperta tra rocce, stagni, pagode e ponticelli, cascate e alberi esotici. Cade quindi a proposito come non mai la mostra aperta al Museo Rietberg di Zurigo – istituzione famosa per le sue collezioni artistiche extraeuropee di grande livello – intitolata Giardini del mondo, una passeggiata attraverso i giardini di tutto il mondo dal Giappone all’Inghilterra e dall’Antico Egitto fino ai tempi moderni. Vi si vuole presentare sia giardini famosi di varie culture attraverso preziosi reperti, soprattutto figurativi, sia le storie dei personaggi che dai giardini si sono fatti ispirare nel campo dell’arte e della riflessione filosofica e spirituale. Un ricco pro-

Gli amanti Krishna e Radha in un giardino paradisiaco, opera di un successore di Nainsukh di Guler, India (1775-1780). Prestito di Barbara e Eberhard Fischer. (© Museum Rietberg Zürich, foto: Rainer Wolfsberger)

gramma di manifestazioni collaterali, centrate sul giardino stesso che circonda il museo zurighese appositamente adattato alla circostanza, completa la stimolante offerta con visite guidate, conferenze, film, un garden party, il mercato delle erbe, editoria e altro ancora. Un viaggio da compiere mettendo in gioco tutti i sensi. Tra i giardini storici evocati al Rietberg nella vasta rassegna che corre attraverso i secoli e i continenti, sono importanti quelli asiatici, anche perché l’istituzione zurighese è ricca di testimonianze di altissimo livello, acquisite grazie anche a prestiti da vari musei e a donazioni private. Vediamo due soli esempi.

La raccolta di antiche stampe indiane di Epoca Moghul (dal 1526 fino all’800 quando, dopo lotte interne, il Paese cadde nelle mani degli inglesi) che illustrano, con mille dettagli da scoprire con una lente di ingrandimento, scene tratte da poemi amorosi ed epici che si svolgono all’interno di un giardino idealizzato. Famosa la corte Moghul per il lusso dei palazzi ma anche per i grandi giardini ispirati al mondo mesopotamico e islamico con superfici d’acqua, canali e viali circondati di fiori e di vegetazione, che venivano accuratamente ritratti dagli artisti di corte e dove anche i profumi evocati avevano valori simbolici ben recepiti dai destinatari: il profumo del

gelsomino si riferiva alla figura del Re, quello della rosa agli innamorati, il fiore di loto alla ricchezza. Altrettanto famosi sono i giardini giapponesi «immagine e sintesi del mondo» presenti in tutta la letteratura dalle origini, il Genji Monogatari di Murasaki Shikibu dell’anno 1000 fino al dopoguerra, a significare l’inimitabile rapporto tra uomo e natura costruito nei secoli e che forse nemmeno la vita moderna è riuscita del tutto a distruggere nelle megalopoli del Sol Levante. I giardini sono presenti nella letteratura, ma naturalmente anche nella pittura e soprattutto nel mondo delle incisioni, dalle opere di monaci buddhisti a sfondo religioso alle magnifiche xilografie laiche di Kitagawa Utamaro (1753-1806). Chi è stato in Giappone ha forse visitato il Ryoan-ji di Kyoto realizzato verso il 1500 da Zeami, il giardino secco Zen più famoso al mondo. Si tratta di uno spazio che circonda il tempio principale, fatto di rocce e di ghiaia accuratamente pettinata in lunghi solchi paralleli o circolari; da qualsiasi parte lo si guardi una delle 15 rocce rimane sempre nascosta alla vista, forse a significare l’impossibilità per l’uomo di cogliere fino in fondo la Verità. A Zurigo ora vi è l’occasione di vivere un’esperienza analoga di riflessione ed emozione, oltre che di festa. Dove e quando

Giardini del mondo. Zurigo, Museo Rietberg. Orari: ma-do 10.00-17.00; me 10.00-20.00. Fino al 9 ottobre 2016. www.rietberg.ch

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Nell’era dell’agonismo informativo Alla tentazione irresistibile di essere il primo a dare una notizia ho sempre ceduto, non posso lamentarmi se ora, per la legge del contrappasso, ne subisco le conseguenze. Con un’aggravante generata dall’avvento di smartphone e strumenti analoghi che consentono, quasi obbligano, a restare in contatto con il resto del mondo. Di recente mi è successo in tre occasioni, durante quei tipici rituali estivi che sono le presentazioni di libri alla presenza dell’autore. Si può chiedere ai volonterosi spettatori di silenziare il telefono cellulare, ma non si può impedire loro di tenere accesa una qualsivoglia tavoletta e di gettarvi ogni tanto un’occhiata per tenere sotto controllo il mondo. Stando seduto sul palco degli oratori li osservi ma non puoi farci niente se non augurarti che in quell’ora scarsa di chiacchiere attorno a un libro il mondo se ne stia relativamente tranquillo. Santa Margherita Ligure, 15 luglio, ore 22 circa: questa volta, a rompere l’incanto, è uno dei

relatori, con l’attenuante di essere stato da poco nominato direttore di un quotidiano della Liguria. Ha in mano uno smartphone e ne osserva lo schermo mentre un’autrice di gialli sta illustrando le circostanze che l’hanno fatta sentire in obbligo di scrivere il suo ultimo libro. Il neo direttore si alza di scatto e a passi veloci va a rifugiarsi nel retro del palco. Dopo qualche minuto ritorna e sente il bisogno di giustificarsi annunciando: «C’è un golpe in Turchia da parte dei militari». È fatta. Tutti i presenti meno uno (chi scrive queste note) iniziano a consultare con una frenesia che stupisce (vista la loro età) gli strumenti dell’ultima generazione e si comunicano l’un l’altro le scarne notizie identiche su tutti gli schermi: bloccati i ponti sul Bosforo, chiusi gli aeroporti, Erdogan in volo, bombardato il parlamento. Tutti rispettano la regola aurea che non conosce eccezioni: all’arrivo di una notizia inaspettata non bisogna mai mostrarsi sorpresi. Chi ha parenti

piazza, sono in netta maggioranza. È un dettaglio importante poiché in questo caso l’evento scatenante è di ambito regionale. La notizia la dà un signore anziano seduto in quarta fila, alzando il braccio che impugna lo smartphone quasi volesse farmi leggere cosa c’è scritto sul piccolo schermo per avallare le sue parole scandite come se stesse leggendo i titoli del quotidiano del giorno dopo: «Terremoto a Torino». Approfondendo la notizia si è saputo che l’epicentro era nelle valli valdesi, la scala Mercalli si era fermata a 3 punto 9, senza danni a cose o persone, solo un grande spavento. Ma la frittata era fatta. Non si tratta di un andazzo recente, è solo aggravato dai nuovi strumenti. Il 19 aprile del 2005, nel Teatro Civico di Alba, verso le 18, era in programma la conferenza stampa di presentazione delle nuove pagine di cronaca locale dedicate alla città dal quotidiano di Torino, «La Stampa», con l’allora direttore Marcello Sorgi seduto in prima fila. La notizia che

in piazza San Pietro a Roma era stata avvistata la fumata bianca per l’elezione del nuovo papa aveva spinto i presenti a prendere posto in platea. Sul palco mi ero affrettato a dare la parola al sindaco. Il poveretto aveva iniziato a parlare da cinque minuti quando Massimo Sorgi porta il cellulare all’orecchio e si lascia sfuggire un nome: Joseph Ratzinger, che rimbalza di fila in fila mentre brividi di eccitazione percorrono la platea. Il sindaco riprende a parlare mentre dalle quinte del teatro uno degli organizzatori mi fa dei segni chiudendo il pugno: digli di stringere. Non è necessario, arriva una seconda botta, sempre dal direttore: si chiamerà Benedetto sedicesimo. Un tempo, per collocare un evento culturale sul calendario, si cercava di non farlo coincidere con partite di calcio europee, con il festival di Sanremo o con gli scrutini elettorali. Non basta più, è necessario praticare scongiuri affinché non accadano eventi tali da scatenare l’agonismo informativo dei presenti.

sintesi della storia del pensiero, resa però necessaria per rendersi conto di quanto l’uomo abbia cercato di relativizzare i suoi giudizi, di rinchiuderli in griglie che potessero garantire un minimo di oggettività, e insieme di quanto non sia mai cambiata la certezza – e la crudeltà – del giudizio sulla bellezza. Attenzione però: non sulla bellezza di cose, oggetti d’arte, panorami, ché su questa si discute e si discuterà sempre. Piuttosto sulla bellezza dell’umana persona. Fin da piccoli lo si impara: se un bambino è più bello del fratellino o della sorellina, lo scoprirà subito, dai commenti e dagli sguardi di coloro che lo circondano. Crescendo, non avrà altro che conferme: a scuola, con i primi amici, in famiglia, e poi per strada, in palestra, e poi in ufficio e nei negozi, i belli lo sanno, di essere belli, come ahimè anche i brutti sanno di non esserlo. La crudeltà dei bambini e in seguito degli adolescenti non può esser trattenuta da nessun invito all’educazione, e non tarda a scatenarsi l’inferno per chi è sovrappeso, bassino,

in qualche maniera non proprio bello. È vero, si può essere non bellissimi e non bruttissimi, in questo caso le arti vengono in soccorso, e la differenza può venire anche solo da un taglio di capelli, una dieta, degli abiti adeguati. Spesso poi si dà anche il tentativo estremo, secondo me del tutto sconsigliabile, di omologarsi in ogni aspetto alla moda, che nel caso dei ragazzini è molto rigida e non tollera deroghe. Si spera così di venire accettati dal gruppo se non per la naturale bellezza, almeno per l’artificiale standardizzazione. A ben pensarci, sono molti gli adulti che si comportano così. Che sciocchezza. Piuttosto, grandi e piccini sono accomunati anche da un’altra disgrazia: delle donne si nota sempre l’aspetto fisico, e per prima cosa; degli uomini, solo se notevolmente bello o brutto o strano. Ecco perché nei giorni scorsi ha suscitato indignazione il riferimento di un giornalista a tre atlete italiane, definite «cicciottelle». Esagerata indignazione, che ha portato al licenziamento (o temporaneo allontanamento)

del giornalista. D’altra parte è vero che del nuotatore etiope che è arrivato, nei 50 metri stile libero, quindici secondi dopo i colleghi, che quindi ha nuotato quasi come noi comuni mortali quando ci sforziamo, di lui nessuno ha detto che era cicciottello o aveva la pancetta, e la verità è che questo signore è decisamente sovrappeso. Filosoficamente il corpo è ciò che ci permette di essere «individuati», di essere me e non te, infatti il pensare e il sentire possono fondersi e sovrapporsi, i corpi no, nemmeno nei momenti di estasi, quando cioè si ex-sta, si sta come fuori dal proprio corpo, che appunto non concede, in vita, di essere trasportato in altre dimensioni o in altri corpi. Evidentemente le donne sono maggiormente individuabili. O forse dovremmo smetterla di prenderci noi per prime le misure e rilassarci, e accettare i bonari commenti di chi non sa cos’altro dire. Sì perché, che resti tra noi, per le tre ragazze, la definizione di cicciottelle è decisamente un atto di benevolenza.

non sentono, hanno tutto il giorno la testa dentro ’sto telefonino…». Pare che la toilette sia diventata il luogo preferito in cui catturare pokémon, i mostriciattoli del videogioco giapponese che impazza ovunque. Un bambino, al Lido di Camaiore, per non farselo sfuggire, camminando con il suo cellulare in mano, è andato a sbattere contro un palo: «Sbaaam!». Niente mare, niente bagno, niente sole, niente amici: i bambini circolano a testa bassa a caccia di pokémon dalla mattina alla sera. E non solo i bambini, anche gli adulti. Virale. Il responsabile del Bagno Venezia è infuriato: «Se cercate un pokémon lo trovate nello scarico del cesso, ce l’ho buttato io stamattina» (6 di stima). «L’uso eccessivo del cellulare, computer e smartphone sta diventando un problema mondiale», dice la psichiatra Gabriella Gobbi, intervistata dall’«Avvenire» dopo aver partecipato al convegno internazionale sulla malattia mentale che si è tenuto a Seul in luglio:

«La rapida crescita economica dell’Est asiatico ha portato i giovani a un consumo smodato di questi mezzi fino a farne una vera e propria dipendenza psicologica». D’accordo l’Est europeo, ma da noi è così diverso? Non ci giurerei. Pochi giorni fa un quattordicenne di Parabiago (Milano) è stato travolto dal treno veloce Venezia-Ginevra mentre attraversava i binari con la testa dentro il telefonino, come direbbe la nonna citata. Non è certo il primo caso, è solo l’ultimo. Un anno fa un maestro elementare che si trovava al Cedar Point, «capitale mondiale delle montagne russe», in Ohio, accorgendosi di aver perso il cellulare, è impazzito, per cercare di recuperarlo ha scavalcato le recinzioni ed è stato investito dal vagone in arrivo. Si chiama PIU, ovvero Problematic Internet Use, interessa una percentuale elevatissima di ragazzi (tra il 10 e il 30 per cento), ma non solo ragazzi, e procura disturbi del sonno e depressione. Un gruppo di scienziati, studiando il cervel-

lo dei PIU, ha riscontrato alterazioni cognitive. Sarà così? Non è escluso che tra qualche mese un altro scienziato verrà a rassicurarci, a dirci che no, è tutto sbagliato, i telefonini cosiddetti intelligenti sviluppano l’intelligenza dei bambini e non provocano alcuna depressione, anzi non c’è niente di meglio per la nostra salute mentale… Dimenticavo di raccontare le migliori vignette recenti di Altan, ovvero gli editoriali più efficaci dell’estate. 1. Un uomo in poltrona, con la faccia verde e gli occhi fuori dalle orbite, guarda dritto davanti a sé biascicando: «Ok, sono terrorizzato. Contenti, adesso?». 2. Un signore in cravatta sta per uscire di casa annunciando alla moglie, seduta in poltrona: «Esco». E lei, imperturbabile: «Hai valutato le conseguenze per l’economia mondiale?». 3. Il solito uomo con nasone seduto in cucina legge il giornale: «Uomo uccide la moglie e poi si suicida». La moglie in piedi davanti ai fornelli: «Fate sempre tutto al contrario voialtri».

o amici coinvolti con la Turchia si sente autorizzato ad aggiornare gli altri: «Mia figlia e mio genero hanno in mente di andare sul Mar Nero con un gruppo di amici. Adesso lo chiamo». All’incalzare di notizie provenienti dal Bosforo chi ha ancora voglia di sentirsi illustrare i pregi di romanzi e di racconti gialli? È molto più eccitante la realtà. Sette giorni dopo, il 22 luglio, siamo a Carignano, cittadina alle porte di Torino; qui il format è diverso, si sperimenta la «cena con l’autore», organizzata da un dinamico circolo culturale. Quasi al termine della cena un commensale, seduto al lungo tavolo che ha l’autore al centro, ci informa che a Monaco di Baviera è in atto una sparatoria contro gli avventori di un McDonald’s. Qui il danno è lieve: la presentazione del libro è già avvenuta. Non è finita: trascorrono altri otto giorni, siamo al 30 luglio, ad Albissola, nella Riviera di Ponente della Liguria, una delle località preferite dai piemontesi in vacanza che qui, su questa bella

Postille filosofiche di Maria Bettetini Donne, rilassiamoci! «Riconosco di dovere alla bellezza almeno l’ottanta per cento dei miei successi», dichiarava l’altro giorno un giovane attore, piacente oltre che sincero. L’occasione delle Olimpiadi e dell’estate con i suo abiti di necessità più leggeri, corti, sbracciati, rende inevitabile una riflessione sulla corporeità. Prima di tutto sulla profonda ingiustizia che induce la natura a distribuire in modo così ineguale i doni a essa collegati. Non c’è chirurgia estetica, dieta, attività sportiva che trasformi i naturalmente brutti in naturalmente belli. All’ingiustizia si unisce la assoluta oggettività del giudizio umano: di nuovo, non c’è influsso culturale, epoca, meridiano o parallelo che porti a confondere i belli coi brutti e viceversa. Potrà piacere la donna più in carne o più smunta, l’uomo più palestrato o più magrino e debole, ma si tratta di finezze. Una ragazzina mostrava all’amica la foto del fidanzato, bellissimo. L’amica: no, ma a me non piacciono i tipi così. Non ha potuto dire «brutto», anche se l’avrebbe tanto desiderato, si è dovuta

trincerare dietro un vezzo personale, un gusto stravagante, l’amica ribollente di invidia. Bello, brutto: una sicurezza. E dire che da secoli la mente umana cerca di sminuire, se non eliminare, la certezza dei giudizi. I Sofisti ritenevano di poter convincere di una cosa e del suo contrario, gli Stoici mettevano in guardia dagli errori percettivi, i medievali si lambiccavano sul ruolo dell’intenzione, quindi della volontà, negli errori. Poi, da Cartesio, il tentativo di stringere tutta la realtà nelle maglie degli esperimenti scientifici, riducendola il più possibile per semplificarla e poterla così leggere con certezza: nella realtà esistono solo materia e pensiero; la realtà è costituita da un’unica sostanza; il mondo per noi è dato solo dalle percezioni che ci colpiscono soggettivamente. La realtà è lo Spirito che si svolge costituendo la Storia, la realtà è fondata sui rapporti economici, sull’inconscio, sulle parole, sull’interpretazione, sullo sguardo dell’Altro, l’eros, la lotta politica, la scienza dura, il nulla, forse? Mi scuso per questa povera

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Virale? Mi piace! Un uomo in mutande e pantofole tiene in mano il telefonino e lo punta verso il gabinetto aperto per scattare una fotografia a qualcosa che probabilmente galleggia lì dentro: «Con questa – dice – mi faccio un milione di followers». È una vignetta di Altan (6), che sull’«Espresso» pubblica, ogni venerdì, il miglior editoriale che in genere si possa leggere sui giornali italiani nella settimana. Il numero dei followers è l’ossessione della nostra società liquida, globale, multitasking. L’importante è conquistare amici e followers, con ogni mezzo: succeda quel che succeda, devi cercare di totalizzare il maggior numero possibile di «seguaci» digitali e in effetti fotografare il contenuto del tuo gabinetto potrebbe infiammare gli animi della blogosfera, diventare virale. «Virale» è l’aggettivo del decennio: fino a qualche anno fa dicevi «virale» pensando all’epatite, l’aggettivo segnalava pericolo (il contagio virale era da evitarsi accuratamente); oggi il lessico tecnologico l’ha trasfor-

mato in sinonimo di «vincente». Un video virale è un filmato molto diffuso sul web, che riesce a guadagnare milioni di «mi piace». Il sogno di ogni operatore del marketing è produrre viralità, idem per la pubblicità. Anch’io vorrei tanto essere virale ma non mi riesce. Forse dovrei seguire il consiglio di Altan? Le parole cambiano: un tempo dicevi «navigare» e pensavi a Cristoforo Colombo e alle sue caravelle, oggi navighi anche se ti trovi in montagna purché tu riesca a disporre di una connessione, di un computer o di uno smartphone. Si chiamano neologismi semantici: vecchie parole che acquistano un’accezione nuova. Una volta dicevo «sito» e pensavo all’archeologo, adesso dico la stessa parola e penso a un link o a un browser (senza sapere esattamente che cosa sia). Siamo ossessionati dalla tecnologia. «Li vedo che si portano il telefonino anche al gabinetto per non smettere di giocare», mi diceva pochi giorni fa una nonna a proposito dei suoi nipoti: «gli parli e



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Idee e acquisti per la settimana

shopping Tempo di grigliate: i racks d’agnello Serie I consigli dell’esperto

Patrick Dodi, responsabile assortimento carne e salumeria per Migros Ticino.

Patrick Dodi, cosa sono i racks d’agnello?

I racks sono costituiti dalle costolette – o carré – dell’agnello e rappresentano la lombata comprendente le costole. Sono preparati in modo che le singole costolette si possano staccare facilmente. È un taglio molto apprezzato per la sua tenerezza e il suo aroma delicato. Oltre ai racks, cosa propone ancora l’assortimento di carne d’agnello di Migros Ticino?

Alla Migros si possono trovare, sia al banco a servizio che al libero servizio, altri tagli di agnello adatti per essere cotti alla griglia come le lombatine, i filetti, gli spiedini speziati e le fette di gigôt con osso. Molte persone sono un po’ scettiche verso la carne ovina perché pensano che abbia un sapore troppo pronunciato...

Di fatto la carne di agnello ha un sapore leggermente più marcato rispetto ad altri tipi di carne. Tuttavia quella che proponiamo dei nostri supermercati non possiede un gusto così forte al punto tale da comprometterne l’apprezzamento. Infatti la carne proviene da agnelli piuttosto giovani, ed il noto «sapore ovino» rimane più spiccato negli animali meno giovani. Chiaramente si tratta anche di una questione di gusti e di abitudini: c’è infatti chi opta per la carne di agnello proprio per il suo particolare sapore. Quali sono le erbe aromatiche che si abbinano bene a questo tipo di carne?

L’aroma che per antonomasia si sposa a meraviglia con la carne d’agnello è l’aglio. Dal mio punto di vista non dovrebbe mai mancare nella marinatura utilizzata per condire la carne. Altre erbe aromatiche che si accostano bene all’agnello sono il rosmarino, la salvia e il timo. Da dove proviene principalmente la carne d’agnello venduta alla Migros?

I racks d’agnello alla griglia sono particolarmente teneri e gustosi.

La maggior parte della carne giunge dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, paesi notoriamente tra i più importanti a livello mondiale nell’allevamento ovino. Tuttavia nell’assortimento non mancano nemmeno alcuni tagli di carne di agnello di origine svizzera, come per esempio in autunno quella provenien-

te da animali allevati sugli alpeggi in pascoli liberi. Ha una ricetta appetitosa per i nostri lettori «grigliatori»?

Preparate una marinata utilizzando olio (preferibilmente di oliva), sale, pepe, aglio (schiacciato) e rosmarino. Condite i racks d’agnello spennellandoli per bene

e in modo uniforme. Metteteli a cuocere interi sulla griglia in prossimità della brace: il calore dev’essere forte per una ventina di minuti e i pezzi vanno rigirati regolarmente con l’ausilio di una pinza per evitare che brucino. Il risultato ideale lo si ottiene quando la carne all’interno rimane ancora bella rosata.

Per altri consigli culinari ci si può rivolgere senza problemi ai macellai Migros?

Certo, il nostro personale è sempre volentieri a disposizione della clientela per dare dei ragguagli sulla migliore preparazione del taglio di carne acquistato. Non esitate a chiedere.


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Idee e acquisti per la settimana

Mutti: tutto il sapore dei pomodori maturati al sole Novità Alcuni prodotti del noto marchio

italiano sono ora disponibili a Migros Ticino

due Sughi Mutti – pomodoro/basilico e pomodoro/peperoncino – sono stati creati per regalare un sapore unico e genuino a tutti i primi a base di pasta. Infine, l’assortimento annovera ancora il Sugo Intenso: un battuto di cipolla e sedano, rosolato con pomodori succosi e dolci. Questo sugo dal carattere corposo si lega alla perfezione con paste ruvide e porose, ma non disdegna nemmeno paste all’uovo, gnocchi, ravioli e tortelli. Pronto all’uso, è sufficiente scaldarlo brevemente in padella e saltarlo insieme alla pasta. Mutti Passata di pomodoro 2 x 400 g Fr. 3.90 Mutti Sugo pomodoro e basilico 280 g Fr. 2.50 Mutti Sugo pomodoro e peperoncino 280 g Fr. 2.50 Mutti Sugo intenso 200 g Fr. 2.10 In vendita nelle maggiori filiali Migros

Flavia Leuenberger

Da oltre 100 anni l’azienda parmense Mutti è specializzata nella lavorazione dei pomodori. Oggi come allora i migliori ortaggi italiani vengono raccolti a piena maturazione e subito trasformati a poche ore dall’arrivo in stabilimento. L’azienda lavora a stretto contatto con agricoltori selezionati e offre loro assistenza in ogni fase della coltivazione, con un occhio di riguardo per i criteri di sostenibilità ambientale. La delicata lavorazione avviene con l’obiettivo di preservare tutte le preziose proprietà naturali del pomodoro, facendo sì capo a tecnologie innovative, ma nel rispetto dei valori della cucina italiana più tradizionale, semplice e genuina. La Passata Mutti si distingue per la sua inconfondibile cremosità, omogeneità e per l’assenza di bucce. Il suo sapore dolce è ideale per tutte le preparazioni che non richiedono tempi di cottura lunghi, come sughi per pasta, carni bianche, uova, oppure anche come fondo per pizza. I

Il minestrone anche d’estate

Latte detergente Acqua alle Rose

Minestrone Estivo 620 g Fr. 5.40 In vendita al banco frigo delle maggiori filiali Migros

La voglia di piatti freschi e nutrienti è pienamente soddisfatta grazie al Minestrone Estivo «Bontà di Stagione». Elaborato secondo ricette tradizionali in grado di valorizzare la qualità delle materie prime appena raccolte,

è al 100 per cento naturale, privo di conservanti e può essere gustato caldo – riscaldandolo nel microonde o in pentola – oppure anche freddo durante la stagione più calda. È ricco di verdure fresche di stagione quali ca-

rote, sedano, coste e zucchine, come pure patate, piselli, cipolle e fagioli. La confezione da 620 g è sufficiente per 2 porzioni. Ancora più appetitoso grazie ai crostini di pane croccanti contenuti nell’imballaggio.

Acqua alle Rose, con la sua classica profumazione, è da sempre l’elisir di bellezza più amato dalle donne, un insostituibile alleato per la cura e la bellezza del viso. Dal mitico tonico la linea si è ampliata in seguito con l’introduzione delle creme viso e dell’acqua micellare. Di recente il lancio, a completamento della gamma, di una novità: il latte detergente. Idratante e delicato, questo innovativo prodotto deterge e strucca la pelle in profondità, senza lasciare residui. Gli estratti di Rosa Damascena e Olio di Argan mantengono il naturale livello di idratazione della cute esaltandone la luminosità. È ideale per tutti i tipi di pelle e può essere utilizzato in combinazione con il Tonico Rinfrescante e con le Creme viso. Latte detergente Acqua alle Rose 200 ml Fr. 8.50


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Cesta ULISSE Rattan, marrone, Ø 50 cm, altezza 30 cm 4446.709.000.00

59.90 micasa.ch 1 Figura decorativa KAMA, legno di mango, naturale, 30 x 9 x 48 cm, 39.90 4446.705.000.00 2 Lavagna magnetica BARTHOLOME, calamite incl., MDF, legno di pino, naturale, 120 x 80 cm, 199.– 4320.157.000.00 3 Scatola ADINA, MDF, metallo, 6,5 x 6,5 x 4 cm o Ø 9,5 cm, altezza 5,5 cm, a partire da 5.90 4446.723.000.00 4 Lampada a stelo NOVA, legno di noce, paralume in tessuto nero, escl. lampadina, max. 105 W / E27, CEE A++ fino a E, altezza 160 cm, 299.– TRA incl. 4207.560.000.00 5 Cuscino ornamentale ESTRELLA, 100 % cotone, grigio o azzurro, 45 x 45 cm, 24.80 4507.231.401.80 6 Cuscino ornamentale AGATE, 100 % cotone, nero / bianco, 45 x 45 cm, 14.80 4507.225.401.20 7 Coperta GREGORIO, 50 % poliestere, 50 % cotone, nero, 150 x 200 cm, 59.– 4516.490.433.20 8 Divano a 3 posti WAGNER, vera pelle, marrone, 216 x 90 x 76 cm, 1999.– 4056.824.000.00 9 Lanterna CURDIN, vetro, ottone, color bronzo, Ø 16 cm, altezza 18 cm o Ø 18 cm, altezza 28 cm, a partire da 29.90 4447.031.018.00 0 Tavolino da salotto LANDIS, struttura in metallo, nero, piani in legno massiccio di quercia, oliato, 110 x 60 x 40 cm, 599.– 4021.330.000.00 La scelta e la disponibilità variano da filiale a filiale. Solo fino a esaurimento dello stock.


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Idee e acquisti per la settimana a, S Ry

Noi firmiamo, noi garantiamo

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Pezzi di Patria all’estero In Canada si sogna il nostro caffè e in Costa Rica la cioccolata. In Brasile, invece, c’è nostalgia dei fagottini alla pera, mentre non si va in California senza portarsi dietro la protezione solare dalla Svizzera. I prodotti della Migros uniscono persone e Paesi di tutto il mondo

Nell’ambito di uno scambio studentesco, Rya rimase un anno in Costa Rica. Oltre che della sua famiglia, durante quel periodo sentiva la mancanza dell’amata cioccolata della Migros. Da casa non ricevette alcuna visita, ma almeno le arrivò un pacchetto di cioccolato da suo fratello.

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Per cosa i parenti tedeschi di Caroline vanno matti lo scoprirete a pagina 43.

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Senza noci non si va in Iran

Parvin vive in Svizzera da 40 anni, ma visita regolarmente la sua famiglia d’origine in Iran. E ogni volta cucina per la sorella Mahin. Nel menù non mancano mai le noci di macadamia della Migros. A Maschhad, città natale di Parvin, sono infatti introvabili.

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Risoletto Classico 42 g Fr. 1.30

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Sun Queen Noci di macadamia, salati 100 g Fr. 3.80

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Nostalgia di caffè in Canada.

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Heidi e il figlio David si augurano che la Migros apra finalmente una filiale anche negli Stati Uniti. A loro manca specialmente la cioccolata ai pistacchi di Frey e lo sciroppo. Per fortuna ogni tanto arriva in visita la loro amica Daniella con i rifornimenti dalla Svizzera. Sciroppo di lampone 1,5 l Fr. 4.25

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4 A San Paolo del Brasile, i fagottini con ripieno di pera e i vermicelli procurano grande felicità. Saprete perché leggendo a pagina 42.

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Quando Marie-Luise andò sull’Isola della Réunion a visitare il suo amico Jean-Paul e chiese un po’ di latte per il caffè, lui tirò prontamente fuori dal frigo una bottiglia di panna per caffè della Migros. Se l’era portata dalla Svizzera qualche mese prima. Marie-Luise rimase di sasso, perché era proprio la sua panna preferita.

Valflora Panna per caffè 500 ml Fr. 1.70

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Exquisito Caffè in chicchi 1 kg Fr. 12.80

Il motivo per cui Désirée a Los Angeles pensa ogni giorno alla Svizzera lo scoprirete a pagina 43.

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Nelly si ricorda di quel 27 dicembre 1981 come se fosse ieri. All’epoca viveva a Montréal con suo marito e i suoi amici basilesi Michéle, Alain e Lilian. Ironia della sorte, proprio per la festa di compleanno dell’amica Michéle, le scorte del caffè preferito di Lilian erano esaurite. Mentre si chiacchierava a tavola, saltò fuori che l’Exquisito della Migros era il preferito anche di Michéle e Alain. E così, tutti assieme, attesero con ansia la visita dei genitori di Nelly per rifare la scorta.

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po ga Sin , e d , Jo n séphine e Géraldi

Una posta al formaggio! Géraldine e la sua famiglia hanno vissuto a Singapore. Nonostante gli ottimi prodotti locali, rimpiangevano molto l’offerta di generi alimentari freschi della Migros e soprattutto l’amato Gruyère. Nonno Sepp, anche lui goloso di quel formaggio, alleviava la nostalgia spedendone di tanto in tanto un bel pacco per posta. Cave d’Or Gruyère al kg Fr. 26.50


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Idee e acquisti per la settimana

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In Germania carichi di pipe

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Caroline (24 anni) racconta: «Mia mamma viene dal Saarland, in Germania. Quando io e mio fratello eravamo piccoli, spesso veniva a visitarci la nonna, per accudirci e cucinare. Fu allora che scoprì gli “Hörnli” (le pipe), di cui avevamo sempre grosse scorte per la sua grande gioia. Da allora, dopo i suoi soggiorni in Svizzera la nonna se ne tornava sempre a casa portandone un po’ con sé. Tempo dopo, fu la volta dei Rösti, di cui tutt’oggi non ne ha mai abbastanza». Siccome Caroline ha rapporti molto stretti con la sua parentela tedesca, va trovarla a St. Wendel appena ha un po’ di tempo a disposizione. A volte, per restare lì anche solo due giorni si fa otto ore d’autostrada, tra andata e ritorno. Allora riempie il bagagliaio dell’auto con ogni tipo di pasta e di Rösti. E non solo per i nonni: anche zia Annette e zio Dirk sono ormai stati infettati dal virus delle pipe. E per le cugine Anika e Jana deve portare scorte per un mese di gomma da masticare Skai. «Sono anche le mie gomme preferite e da quando gliele ho fatte assaggiare non riescono a farne a meno», aggiunge la 24enne. E quando la parentela tedesca di Caroline fa a sua volta il viaggio per la Svizzera, non può mancare una grossa spesa alla Migros. / MM

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M-Classic Pipe 500 g Fr. 1.50

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4 Concorso

Vinci una spesa sul bus Migros

«I miei genitori sono emigrati in Brasile già negli anni ’50», racconta Cristina in perfetto dialetto svizzero-tedesco. Infatti, nonostante sia nata e cresciuta a San Paolo è molto legata alla terra dei sui avi, dove ha anche vissuto per 14 anni dopo gli studi. Sono molti i prodotti della Migros che l’hanno accompagnata durante l’infanzia. Perché ogni volta che con la famiglia veniva in Svizzera era d’obbligo far la spesa alla Migros. E chiunque veniva a trovarli in Brasile, si portava dietro quel che in Sudamerica era ignoto o troppo caro. «L’oggetto più quotato era il pelapatate, che molte volte veniva regalato», rammenta Cristina con un sorriso. «Altri souvenir molto apprezzati erano i biscotti, il formaggio, la cioccolata Tourist e quella dietetica, i vermicelli in tubetto e naturalmente i fagottini alla pera», dice Cristina precisando che questi ultimi sono i suoi favoriti: «Per farli durare di più, li taglio e me li gusto pezzo per pezzo». La sua amica Dora, conosciuta ai tempi dell’asilo, provvede al rifornimento spedendo regolarmente da Zurigo pacchi di questi deliziosi dolcetti. / MM

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Sun Look è sempre con Désirée, quando va al mare sulla spiaggia di Venice.

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Migros Bio Fagottini al ripieno di pera 150 g Fr. 1.90

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Per due anni Désirée e suo marito Simon viaggiarono attorno al mondo, prima di stabilirsi a Los Angeles nel 2015. «Mi piace molto vivere qua», afferma la davosiana, «ma ci vuole tempo per abituarsi e familiarizzarsi completamente». È cresciuta come «bambinaMigros» e ha nostalgia di molti prodotti, nonostante l’enorme offerta di merci esistente negli USA. «A casa abbiamo

sempre una scorta di dentifricio Candida e una quantità di latte solare della Sun Look. Quest’ultimo non deve mai mancare, perché è l’unica protezione solare che tollero, essendo allergica a quelle americane», spiega Désirée. E dalla sua tazza Valflora, che si è portata dietro da una recente visita in Patria, ama bere soprattutto tè alle erbe e caffè della Migros: «Questa tazza mi fa ricor-

dare la Svizzera ogni giorno». In settembre arriveranno a trovarla i genitori. «Ma prima di partire devono andare a fare la spesa», dice ridendo Désirée, «perché gli abbiamo spedito una lunga lista, che oltre a Sun Look e Candida, include del tè, del caffè e molto cioccolato. Senza dimenticare una grossa fetta di formaggio di Davos. Speriamo che riesca a passare la dogana!». / MM

La scatola di dolciumi nella credenza della nonna o i biscotti Blévita durante la gita scolastica. Quali prodotti Migros ti legano ai tuoi familiari o ai tuoi amici? Risveglia il ricordo del tuo «Momento Migros» inviando la nostra cartolina postale alla persona che era assieme a te in quell’occasione. In questo modo partecipi automaticamente al concorso delle cartoline e potrai vincere una spesa del valore di 500 franchi sull’originale bus della Migros proprio sotto casa tua. Il concorso scade il 28 agosto. Informazioni e partecipazione: momenti-migros.ch


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Idee e acquisti per la settimana

1 La selezione inizia già durante la raccolta delle patate nei campi: solo quelle perfette diventeranno Farm Chips. 2 Dopo i controlli d’entrata, i tuberi sono lavati. Non vengono però sbucciati, perché le patatine dovranno avere un aspetto rustico, come se fossero fatte in casa.

Offerta speciale 20%

3 Le patate più grosse sono tagliate a metà. In seguito si effettua una selezione a vista. Le patate con troppe macchie vengono rimosse.

di sconto sulle Farm Chips Nature, Origano e Rosmarino in conf. doppia dal 23 al 29 agosto

4 Dopo essere state affettate, le patate vengono nuovamente lavate per eliminare la fecola in eccesso.

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5 La frittura delle chips è praticamente inodore. La grande friggitrice è chiusa ermeticamente, le esalazioni sono filtrate e defluiscono attraverso un imponente tubo. 6 Le Farm Chips sono fritte tutte allo stesso modo. Le differenti varietà sono il risultato della differente speziatura, che avviene in un tamburo miscelatore. Nella foto il collaboratore Hernan Barragan versa le spezie. 7 Appena speziate, le patatine confluiscono in un macchinario a raggiera con 14 forme, ognuna delle quali corrisponde a una porzione. 8 Ogni forma pesa esattamente la porzione di chips. 9 Ecco come sono i sacchetti di patatine prima di essere riempiti e sigillati.

Collaboratrice di lunga data nel reparto di lavorazione delle patate presso la Bischofszell Alimentari SA, Maria Würms conosce bene tutte le singole fasi di produzione delle Farm Chips.

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Farm Chips Nature 150 g Fr. 2.70

Farm Chips

Come fatte in casa La Bischofszell Alimentari SA usa solo patate svizzere per produrre le Farm Chips della Migros. Per far sì che queste croccanti specialità si distinguano dalle normali patatine, bisogna applicare una cura particolare Testo Claudia Schmidt; Foto Stefan Kubli

Con circa 15 milioni di sacchetti di patatine all’anno, la Bischofszell Alimentari SA produce uno degli snack più popolari della Svizzera. La produzione delle Farm Chips è davvero accurata, perché esse differiscono in vari aspetti dalle convenzionali pommes chips. Si inizia con un controllo della merce in entrata da parte di uno specialista. Per le Farm Chips si usano soltanto patate svizzere d’alta qualità. I tuberi prescelti vengono poi lavati, selezio-

nati una seconda volta e infine affettati con un macchinario. Rispetto alle normali pommes chips, le Farm Chips hanno uno spessore maggiore e richiedono perciò anche speciali impianti di frittura. Durante la fase successiva, le patatine che presentano macchie scure vengono rimosse. Ancora calde, le fettine vengono speziate all’interno di grossi tamburi. La temperatura è importante, perché spezie ed aromi non aderiscono bene sulle chips fredde.

Come i tuberi, anche le erbe aromatiche delle Farm Chips sono tutte di produzione svizzera. Dopo una decina di minuti, la lavorazione è conclusa. Il risultato è costituito da patatine dorate, croccanti e aromatiche, gustose come quelle fatte in casa. Inoltre, l’uso di patate con la buccia ne sottolinea l’aspetto genuino. Al naturale o alle spezie, le Farm Chips danno un tocco di sapore ad eventi di ogni tipo. / MM

L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche le Farm Chips.


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Idee e acquisti per la settimana

Cascara Ice Tea

Rinfrescante tè dalle drupe del caffè L’Ice Tea Cascara è un infuso di drupe di caffè e in estate regala una bella sferzata di freschezza. Cascara sta ad indicare le drupe di caffè essiccate che avvolgono i chicchi. Da secoli questo aromatico tè viene preparato in Centroamerica e Sudamerica. I tè sono dolcificati con succo concentrato di agave, mentre gli aromi aggiunti sono puramente naturali. Cascara è disponibile nella bottiglietta PET da mezzo litro in quattro deliziosi varianti di gusto.

Cascara Ice Tea Sambuco & Camomilla 50 cl* Fr. 1.65

Cascara Ice Tea Pitaya & Mate* 50 cl Fr. 1.65

Cascara Ice Tea Pur 50 cl Fr. 1.65

Cascara Ice Tea Rabarbaro & Finocchio 50 cl* Fr. 1.65 *Nelle maggiori filiali

Il tè freddo Pur di Cascara ha il sapore di arance e la sua dolcezza ricorda il miele.

L’M-Industria produce molti prodotti Migros, tra cui anche gli Ice Tea Cascara.


Azione

ARTICOLI DI NOSTRA PRODUZION E ORA IN AZIONE. Maggiori informazio ni a partire dalla 4a pagina.

a partire da 2 pezzi

50%

40% 1.25 invece di 2.15

Azione assortimento Tutti i detersivi Total a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione

Raccard Tradition in blocco maxi per 100 g

30%

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2.30 invece di 3.30

1.80 invece di 2.70

1.70 invece di 2.90

Fettine di pollo Optigal, al naturale o speziate Svizzera, per es. al naturale, 2 pezzi, per 100 g

Pesche noci gialle Italia / Francia / Spagna, al kg

Uva bianca senza semi Italia, vaschetta, 500 g

25%

50% Azione assortimento Tutte le acque minerali Aproz in conf. da 6 per es. medium, 6 x 1,5 l, 2.85 invece di 5.70

3.60 invece di 4.90

20% Pavesini, Gocciole e Gocciole extra dark per es. Pavesini, 200 g, 2.45 invece di 3.10

Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli giĂ ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.8 AL 29.8.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Mirtilli Paesi Bassi / Polonia, in conf. da 250 g


. o z z re p o m i tt o , a z z e h c s e fr Massima 30% 3.55 invece di 5.10 Filetti di agnello Australia / Nuova Zelanda, imballati, per 100 g

40% 11.40 invece di 19.– Salmone selvatico Sockeye MSC pesca, Alaska, 280 g

40% 6.90 invece di 11.50 Prosciutto crudo dei Grigioni surchoix in conf. speciale Svizzera, 152 g

25%

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4.20 invece di 5.60

3.15 invece di 4.55

Filetto di tonno (pinne gialle) Oceano Pacifico / Maldive, per 100 g, fino al 27.8

Piatto misto ticinese prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.8 AL 29.8.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

40% 1.15 invece di 2.– Costine di maiale Svizzera, imballate, per 100 g

20%

20%

Azione assortimento

1.05 invece di 1.35

Tutte le mozzarelle Alfredo per es. bocconcini di mozzarella, 150 g, 1.15 invece di 1.45

Tilsiter dolce per 100 g

30%

25%

25%

25%

1.– invece di 1.45

18.20 invece di 24.35

3.60 invece di 4.80

3.20 invece di 4.30

Galletto speziato Optigal Svizzera, in conf. da 2 pezzi, per 100 g

33% 2.55 invece di 3.90 Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, affettato fine in vaschetta, per 100 g

Caseificio Leventina prodotto in Ticino, in self-service, al kg

Patate Amandine Svizzera, imballate, 1,5 kg

25%

25%

2.70 invece di 3.60

2.60 invece di 3.50

Angurie mini Italia, al pezzo

Insalata filante Ticino, in conf. da 200 g

Pomodori peretti S. Marzano Ticino, sciolti, al kg

Hit 2.95 Carote Migros Bio Svizzera, sacchetto, 1 kg



30% 9.45 invece di 13.50 Tavolette di cioccolato Giandor Frey da 100 g in conf. da 6, UTZ classic, bianco o noir, per es. classic, 6 x 100 g

20% Azione assortimento Tutte le palline Frey Adoro, UTZ per es. al latte, 200 g, 6.55 invece di 8.20, offerta valida fino al 5.9.2016

50% 15.– invece di 30.10 Cioccolatini Selection Frey, in busta da 1 kg, UTZ assortiti

40%

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6.– invece di 10.–

5.60 invece di 8.10

Petit Beurre con cioccolato al latte in conf. da 4 4 x 150 g

50% 7.20 invece di 14.40 Gelati da passeggio alla panna nei gusti vaniglia, cioccolato o fragola in conf. da 24 per es. al cioccolato, 24 x 57 ml

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Gomme da masticare M-Classic in conf. da 3 spearmint o strawberry, per es. spearmint, 3 x 80 g

33% Caffè Exquisito in chicchi o macinato in conf. da 3, UTZ per es. in chicchi, 3 x 500 g, 13.80 invece di 20.70

20% Azione assortimento Tutti gli zwieback per es. original, 260 g, 2.55 invece di 3.20

50% 6.05 invece di 12.10 Cornetti al prosciutto Happy Hour surgelati, 24 pezzi

20% Chips Royal o Farm in conf. da 2 per es. chips Farm al naturale, 2 x 150 g, 4.30 invece di 5.40

30% Azione assortimento Tutte le confetture o gelatine Extra in vasetto da 500 g (prodotti Alnatura esclusi), per es. confettura di fragole, 2.05 invece di 2.95

20% Miscela di noci o mirtilli rossi Sun Queen in conf. da 2 per es. miscela di noci, 2 x 200 g, 7.20 invece di 9.–


. s ro ig M i tt o d ro p i im s s ti n ta u Sconti s 20%

3 per 2

Azione assortimento

Detersivi per i piatti Handy in conf. da 3 per es. Classic, 3 x 750 ml, 3.60 invece di 5.40, offerta valida fino al 5.9.2016

Salse per grigliate M-Classic per es. salsa cocktail, 250 ml, 1.95 invece di 2.45

a partire da 2 confezioni

1.–

di riduzione l’una

Azione assortimento Tutta la pasta Tradition a partire da 2 confezioni, 1.– di riduzione l’una, per es. tagliatelle TerraSuisse, 500 g, 2.95 invece di 3.95

a partire da 2 confezioni

20% Azione assortimento Tutti gli spinaci surgelati (prodotti Alnatura esclusi), per es. spinaci alla panna tritati, 800 g, 2.55 invece di 3.20

–.80

di riduzione l’una

Azione assortimento

50%

30% Prodotti Handymatic Supreme in confezioni speciali per es. detersivo in polvere Supreme All in One in conf. da 2, 2 x 1 kg, 12.25 invece di 17.50, offerta valida fino al 5.9.2016

20%

Azione assortimento

Azione assortimento

Tutti gli ammorbidenti Exelia per es. Florence, 1,5 l, 3.25 invece di 6.50, offerta valida fino al 5.9.2016

Tutto l’assortimento Pedic (prodotti Bellena e Hansaplast esclusi), per es. deodorante spray per piedi, 125 ml, 3.– invece di 3.80, offerta valida fino al 5.9.2016

L’INDUSTRIA MIGROS E I SUOI PRODOTTI.

Tutti i tipi di riso M-Classic da 1 kg a partire da 2 confezioni, –.80 di riduzione l’una, per es. Carolina, 1.45 invece di 2.25 Latte, bevande a base di latte, yogurt, formaggio fresco, salse, maionese.

Caffè, caffè in capsule, frutta secca, spezie, noci.

Ice Tea, succhi di frutta, prodotti pronti, prodotti a base di patate e prodotti a base di frutta.

Carne fresca, pesce, salumi, pollame.

20% Azione assortimento Tutto l’assortimento Mifloc per es. purea di patate, 4 x 95 g, 3.60 invece di 4.55

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.8 AL 29.8.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

50%

Pane, prodotti da forno, pasticceria, paste.

Formaggio per raclette Raccard, Gruyère AOP, Appenzeller, fondue. Biscotti, Blévita, gelati, dessert in polvere, frittelle di Carnevale, prodotti da forno per l’aperitivo.

4.95 invece di 9.90 Tutte le bevande dolci Jarimba in conf. da 6, 6 x 1,5 l arancia e mango, limone e fiori di sambuco o Himbo, per es. Himbo

Acqua minerale, sciroppo, succhi di frutta.

Prodotti trattanti, sostanze cosmetiche attive, detersivi e detergenti, margarine, grassi commestibili.

Diverse varietà di riso, riso al latte, varietà speciali di riso.

Cioccolato, gomma da masticare.


Altre offerte. Frutta e verdura

Cake alla tirolese, alla finanziera e all’abricot, per es. alla tirolese, 340 g, 2.85 invece di 3.60 20% Tutti gli antipasti Anna’s Best o bio, per es. hummus al naturale Anna’s Best Vegi, 175 g, 2.70 invece di 3.40 20%

Lattuga Iceberg, Svizzera, il pezzo, 1.30 Hit

Azione assortimento Tutto l’assortimento di sottaceti o di antipasti Condy per es. pannocchiette di granoturco, 190 g, 2.05 invece di 2.60

Pesce, carne e pollame Rose spray Fairtrade, mazzo da 10, disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 50 cm, per es. arancioni, 10.90 invece di 12.90 2.– di riduzione

33% Carta per uso domestico Twist in confezioni speciali Recycling o Classic, per es. Classic, 16 rotoli, 8.40 invece di 12.60, offerta valida fino al 5.9.2016

Gamberetti crudi e sgusciati, d’allevamento, Bangladesh, per 100 g, 2.85 invece di 4.10 30% Spezzatino di manzo TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g, 1.95 invece di 2.80 30%

Phalaenopsis, 2 steli, in vaso da 15 cm, disponibile in diversi colori, per es. rosa, 19.15 invece di 34.90 45%

Altri alimenti

Tutti i succhi di mela da 1,5 l o da 6 x 1,5 l per es. succo di mela diluito frizzante TerraSuisse, 1,5 l, 1.75 invece di 2.20

15% 30% Tutti i sofficini al formaggio o agli spinaci M-Classic in conf. da 2 surgelati, per es. agli spinaci, 2 x 600 g, 10.05 invece di 14.40

Azione assortimento

Tutte le acciughe, le sardine e gli sgombri M-Classic in conf. da 3, per es. acciughe cantabriche, MSC, 3 x 33 g, 8.40 invece di 10.50 20%

Cappelletti M-Classic in conf. da 3, per es. prosciutto e formaggio, 3 x 250 g, 9.– invece di 12.90 30%

Alimenti per bebè Alnatura o Nestlé (latte di tipo 1 escluso), per es. pappa lattea al miglio Alnatura, 250 g, 4.40 20x PUNTI **

Slip da donna mini, midi o a vita bassa Ellen Amber in conf. multipla, disponibile in diversi colori e misure, per es. slip midi in conf. da 4, bianchi, tg. S, 12.90 Hit ** Top da donna Ellen Amber in conf. da 2, disponibile in nero o grigio chiaro e in diverse misure, per es. nero, tg. S, 19.90 Hit ** Tutto l’assortimento di costumi da bagno da uomo o da donna, per es. pantaloncini da bagno da uomo, blu medio, tg. M, il pezzo, 17.35 invece di 24.80 30% ** Zaino Casual, disponibile in diversi colori, per es. blu marino mélange, il pezzo, 14.80 invece di 19.80 25% **

Fazzoletti di carta e salviettine cosmetiche Linsoft o Kleenex in confezioni multiple, per es. salviettine cosmetiche Linsoft in scatola quadrata in conf. da 3, FSC, 3 x 90 salviettine, 4.55 invece di 5.70 20% ** Pigiama per bambini, disponibile in diversi motivi e misure, per es. pigiama da bambino con motivo Minion, blu, tg. 98/104, il pezzo, 16.90 Hit ** Boxer aderenti da uomo Nick Tyler in conf. da 3, disponibili in nero, blu o giallo e in diverse misure, per es. blu, tg. M, 14.90 Hit **

Pane e latticini

Azione assortimento

Olio d’Oliva del Salento, 7,5 dl, 13.50 invece di 16.90 20%

Near Food/Non Food

Lesso magro di manzo TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g, 1.95 invece di 2.50 20%

20%

Tutti i succhi di mela da 1,5 l o da 6 x 1,5 l, per es. succo di mela diluito frizzante TerraSuisse, 1,5 l, 1.75 invece di 2.20 20%

Fiori e piante

Zucchine, Svizzera, al kg, 2.60 invece di 3.95 40%

20%

Tutte le conserve di ananas, a partire da 2 pezzi 20%

Pigiama o camicia da notte da donna Ellen Amber, Bio Cotton, disponibile in diversi colori e misure, per es. pigiama, blu notte, tg. S, il pezzo, 24.90 Hit **

Tutti gli snack Asco o Max in conf. da 3 o da 5, per es. Asco A’Petito con manzo in conf. da 3, 3 x 88 g, 5.50 invece di 6.90 20% Deodoranti Rexona in conf. da 2, per es. roll-on Cobalt, 2 x 50 ml, 3.95 invece di 4.70 15% **

Novità

Pasta per plunder Anna’s Best, 400 g, 3.40 Novità ** Zinco e istidina Doppelherz, conf. da 30 pillole, 7.90 Novità ** Kezz Curry Zweifel, 110 g, 3.50 Novità **

Tutto l’assortimento di prodotti a base di ovatta Primella o bio per es. dischetti d’ovatta Primella, conf. da 80 pezzi, 1.60 invece di 1.90, offerta valida fino al 5.9.2016 *In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 5.9 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.8 AL 29.8.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Alta qualità a basso prezzo. 40%

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Tutto l’assortimento di reggiseni o biancheria intima da donna (Mey, Skiny, Wonderbra o Schiesser Women esclusi), per es. slip maxi Elegance Ellen Amber, Bio Cotton, bianchi, tg. S, il pezzo, 5.85 invece di 9.80

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.8 AL 29.8.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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finora 399.–

Trapano avvitatore ad accumulatore METABO 10,8 10,8 V, 2 Ah, tecnologia agli ioni di litio, numero di giri a vuoto max. 1400 min-1, Ø massimo di perforazione in legno/acciaio: 18/10 mm, momento torcente massimo 34 Nm, set di 82 utensili 6166.693

Azione assortimento Azione valida fino al 29.8.2016, fino a esaurimento dello stock.

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Insieme si dà il meglio.

PUNTI

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ivo Salatini per aperit croccanti, ni. tipicamente italia

4.50 Mini lingue al rosmarino Sélection 150 g

Brillantezza persistente e alta i. resistenza ai graff

19.80 Bicchieri a calice Estelle Cucina & Tavola per es. Rosso, 2 x 42 cl

Porzioni ideali per un aperitivo.

5.90 Tortilla Anna’s Best Vegi 2 pezzi, 2 x 200 g

Per sprigionare . l’essenza del vino

49.80 Decantatore Diva Schott Zwiesel* 1 l, il pezzo

Fonte di energia.

5.40 Mandorle con timo e rosmarino Migros Bio 170 g

Elegante caraffa di o in vetro con beccucci acciaio.

49.80 Caraffa Fresca Schott Zwiesel* 1 l, il pezzo

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Intensa brillantezza, biodegradabile al 99%.

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5.90 Ammorbidente alla lavanda Migros Plus in conf. di ricarica* 1,5 l

* In vendita nelle maggiori filiali Migros. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.8 AL 5.9.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

5.90 Detersivo per piumini Yvette* 250 ml


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Idee e acquisti per la settimana

Jarimba

Aromi naturali Ecco due nuove ricette per due classiche limonate: Jarimba Himbo, prodotta con la stessa tecnica usata già dagli anni sessanta, e la variante Arancia-Mango. Entrambe contengono ora nuovi aromi naturali. Per la varietà di gusto Limone-Fiori di Sambuco ciò era previsto già dal momento del suo lancio.

*Azione 50% su tutte le limonate Jarimba nel pacco da sei dal 23 al 29.8

Jarimba Himbo 6 x1,5 l Fr. 4.95* invece di 9.90

Jarimba Limone-Fiori di Sambuco 6 x1,5 l Fr. 4.95* invece di 9.90

Le bevande Jarimba sono prodotte solo con aromi naturali.

Jarimba Arancia-Mango 6 x1,5 l Fr. 4.95* invece di 9.90

L’M-Industria produce numerosi prodotti Migros, tra cui anche le limonate Jarimba.


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Idee e acquisti per la settimana

Da sapere

Come fare con il cibo complementare

Alimenti per bebè

Per pargoletti belli e paffuti

A partire dal quinto mese, il bambino è pronto per assumere i primi cucchiaini di pappa dalla consistenza fluida. Qualche consiglio affinché il debutto con le pappe abbia successo

Durante il primo anno di vita, un neonato triplica il proprio peso e cresce di circa 25 centimetri. La Migros propone un vasto assortimento di alimenti che offrono al bebè una dieta sana e variegata, tra cui 113 novità 1

3

2

La prima pappa A partire dal quinto mese di vita, o al più tardi dal settimo, il latte materno o quello artificiale non basta più, poiché cresce il fabbisogno alimentare del poppante. In questo lasso di tempo i genitori iniziano a dare al figlioletto cibo complementare. Si consiglia una pappa di verdure, che dopo un po’ può essere combinata con patate, carne o pesce. Particolarmente gradite sono carote, pastinaca o zucca. La maggior parte dei genitori iniziano sostituendo la poppata di mezzogiorno con una pappa di verdure. Per imboccare il piccolo è adatto un cucchiaio di plastica di forma rotonda. Spesso il bimbo sputa la pappa, ma solo perché deve prima abituarsi al gusto e alla consistenza.

Santiago (8 mesi) ama la pappa di mela, banana e farro di Alnatura.

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Meno latte

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Più i pasti con le pappe sono sostanziosi, meno il piccolo beve latte. Appena il pasto con il cucchiaio si attesta tra i 150 e i 200 g, dopo non ha più bisogno di poppare.

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Niente di duro per il bebè A partire dal 7° mese spuntano i primi denti e si sviluppa la masticazione. Tra i 10 e i 12 mesi di vita, il bebè mangia bocconcini di consistenza morbida. A partire da un anno può mangiare le stesse cose del resto della famiglia. L’unica cosa che non riesce a masticare sono i cibi duri come le noci.

7

Tutto quel che gli piace

La dieta del bebè

1.-5. mesi

Il neonato si nutre esclusivamente di latte materno o latte artificiale.

5.-7. mesi

Introduzione di alimenti complementari. L’allattamento al seno continua fino a quando mamma e bambino lo desiderano.

da 8. mesi

Il bebè mangia pappe di maggiore consistenza e a partire da un anno anche cibo normale.

1 Barretta di Müsli per donne che allattano: Milupa Profutura Mama, 5 x 40 g* Fr. 6.90

4 Latte per svezzamento dopo i 6 mesi: Milupa Milumil 2, 600 g* Fr. 16.80

2 Per merenda: Nestlé Yogolino Mela e fragola, merenda da spremere, 90 g* Fr. 1.95

5 Ideale come spuntino: Alnatura Mela con banana e spelta, 190 g* Fr. 1.50

3 100% naturale: Nestlé NaturNes 4 frutti, merenda da spremere, 90 g* Fr. 1.70

6 Zuccherato al fruttosio: Alnatura Barrette di frutta con mela e pera, 25 g* Fr. –.80

7 Come dessert o spuntino: Hipp Merenda allo yogurt banana-mango-ananas, 4x 100 g* Fr. 3.40 8 Pasti completi e salutari: Bio Hipp Pappa di latte all’avena e mela, 500 g* Fr. 7.50

*Nelle maggiori filiali

Nel cucchiaio si può mettere tutto quel che piace al bambino. Si dovrebbe aggiungere solo un nuovo ingrediente alla settimana. Più presto si nutre il piccolo in modo variato, più presto lui si abitua ai nuovi cibi. Si dovrebbero evitare sale, spezie salate e zucchero.


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Idee e acquisti per la settimana

aha!

Sapori senza glutine Pasta, farina, prodotti da forno: Migros amplia di continuo il suo assortimento certificato aha! Chi, per motivi di salute o per libera scelta, preferisce nutrirsi con prodotti senza glutine o frumento, non deve più privarsi dei suoi piatti preferiti e ora può goderseli senza pensieri

L’insalata si prepara facilmente e si abbina alla perfezione con qualsiasi grigliata.

Testo Sonja Leissing; Foto Daniel Aeschlimann; Styling Mira Gisler; Ricette Annina Ciocco

Migros Bio Veganaise, senza glutine né lattosio, vegana 170 g** Fr. 1.95

Gli amanti della pasta saranno entusiasti di queste deliziose lasagne.

aha! Condimento in polvere, senza glutine né lattosio, vegano 90 g Fr. 2.80

Lasagne con zucchine e mozzarella Piatto principale per 4 persone Per 4 pirofile di ca. 6 dl 20 g di burro* 30 g di miscela di farina* 5 dl di latte* noce moscata sale, pepe 500 g di pomodori, ad es. San Marzano 1 cipolla 2 cucchiai d’olio d’oliva 350 g di zucchine 1 mazzetto di basilico 150 g di sfoglie di pasta per lasagne* 150 g di mozzarella*

Migros Bio Quinoa Tricolore, senza glutine 400 g** Fr. 4.95

Preparazione 1. Per la besciamella, sciogliete il burro in padella a fuoco basso. Incorporate la farina rimestando e poi aggiungete il latte. Mescolate bene con la frusta e fate sobbollire per ca. 10 minuti, continuando a rimestare. Condite con noce moscata, sale e pepe.

Insalata di quinoa al mango con vinaigrette alle erbe

Tempo di preparazione ca. 40 minuti + cottura in forno ca. 30 minuti

Per persona ca. 17 g di proteine, 17 g di grassi, 49 g di carboidrati, 1750 kJ/420 kcal * In vendita nella qualità aha!

Migros Bio Quinoa bianca, senza glutine 400 g Fr. 4.95

Piatto principale per 4 persone

2. Tritate finemente i pomodori e la cipolla. Soffriggete entrambi nell’olio per ca. 20 minuti. Salate e pepate. Affettate finemente le zucchine con l’affettaverdure e conditele con sale e pepe. Tritate una buona metà delle foglie di basilico e unitele alle zucchine. 3. Riscaldate il forno a 180 °C. Disponete a strati nelle pirofile le sfoglie di pasta per lasagne, i pomodori e le zucchine. Terminate con uno strato di pasta per lasagne e coprite con la besciamella. Tagliate la mozzarella a pezzettini e distribuiteli sulle lasagne. Gratinate al centro del forno per ca. 30 minuti. Prima di servire, tagliate a striscioline sottili il basilico rimanente e distribuitelo sulle lasagne.

TerraSuisse Polenta Semolino di mais macinato fine, senza glutine 500 g Fr. 1.80

aha! Lasagne Fogli di pasta, senza glutine né uova, 250 g ** Fr. 3.90

Ingredienti 150 g di quinoa rossa* 150 g di quinoa bianca* 6 dl di brodo di verdura* 1 mango 4 cipollotti 2 cucchiai di succo di limetta 3 cucchiai d’aceto alle erbe 8 cucchiai d’olio d’oliva 1 spicchio d’aglio piccolo ½ mazzetto di prezzemolo liscio ½ mazzetto di menta 50 g d’insalata di spinaci 100 g di formaggio per insalata*

tagliatela a dadini piccoli. Tritate finemente i cipollotti senza il verde e tagliate ad anellini sottili il verde. 2. Emulsionate succo di limetta, aceto e olio. Unite l’aglio schiacciato e le erbe tritate. Disponete su un piatto i cipollotti tritati e la quinoa rossa. Aggiungete sopra la quinoa bianca con il verde dei cipollotti e i dadini di mango. Coprite con l’insalata di spinaci. Sbriciolate sopra il formaggio e servite con la vinaigrette.

TerraSuisse Bramata Semolino di mais macinato grosso, senza glutine 500 g** Fr. 1.80

Tempo di preparazione ca. 30 minuti Preparazione 1. Sciacquate separatamente le due varietà di quinoa con acqua fredda e cuocete ognuna in metà del brodo per ca. 10 minuti. Levate le pentole dal fuoco e lasciate gonfiare la quinoa per ca. 5 minuti. Pelate il mango, staccate la polpa dal nocciolo e

Per persona ca. 17 g di proteine, 28 g di grassi, 53 g di carboidrati, 2250 kJ/540 kcal

L’etichetta aha! certifica prodotti particolarmente indicati anche per soggetti che soffrono di intolleranze e allergie.

Migros Bio Quinoa rossa, senza glutine 400 g** Fr. 4.95

Parte di

* In vendita nella qualità aha! ** nelle maggiori filiali

Generazione M rappresenta l’impegno della Migros a favore della sostenibilità. Un obiettivo al quale anche i prodotti aha! apportano un prezioso contributo.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Idee e acquisti per la settimana

*Azione 50% di riduzione all’acquisto di due detersivi Total fino al 29 agosto

Total

Il cacciatore di macchie Il grande banco di prova per un detersivo è la sua efficacia contro le macchie. Sporco ostinato come grasso o macchie resistenti spesso si possono trattare solamente alle alte temperature, fatto che può danneggiare sia i tessuti che l’ambiente. La nuova e migliorata ricetta dei detersivi Total, grazie all’aggiunta di nuove generazioni di enzimi, risulta ancora più efficace contro le macchie. La formula 3D Power conferisce pulizia impeccabile e colori brillanti. Le fibre rimangono a lungo come nuove. L’innovazione fondamentale è rappresentata dagli enzimi che si attivano a temperature più basse rispetto ad ora. Gli enzimi sono proteine solide che scompongono macchie e lanugine in parti solubili. Total contiene differenti enzimi che reagiscono diversamente per gli specifici tipi di macchia.

Total Express White 1,32 l Fr. 7.95* invece di 15.90

Total Aloe Vera 2 l Fr. 7.95* invece di 15.90

Total Color 2,475 kgl Fr. 7.95* invece di 15.90

L’M-Industria produce numerosi prodotti, tra cui anche i detersivi Total.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Idee e acquisti per la settimana

Handy

Un Handy per ogni occasione Il detersivo per piatti più popolare della Svizzera amplia la sua gamma: il concentrato al limone con dosatore e la schiuma detergente multiuso garantiscono ora ancora più igiene in cucina

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Novità Handy 1 for all e Handy Power Lemon

Qualità collaudata

Il classico detersivo Handy garantisce stoviglie immacolate nelle cucine svizzere sin dal 1958. Sugli scaffali dei negozi Migros passano mediamente ogni anno quattro milioni di confezioni di Handy. Handy 750 ml Fr. 1.80 Tutti i prodotti Handy sono testati dermatologicamente.

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Un tuttofare in cucina

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Dosaggio pratico

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Potenza profumata di fresco

La schiuma detergente Handy 1 for all è adatta sia per lavare i piatti a mano sia per pulire la cucina. Le stoviglie diventano splendenti proprio come i fornelli, le piastrelle e le superfici d’appoggio. L’applicazione della schiuma consente di risparmiare sull’uso.

Handy Power Lemon, che finora era disponibile solo periodicamente, oggi ha un posto fisso nell’assortimento. È altrettanto efficace e potente contro il grasso dell’Handy Power Orange. La differenza tra i due sta nel nuovo tappo con dosatore, che facilita il dosaggio.

Il detersivo per piatti concentrato Handy Power Orange è particolarmente potente. Rispetto al classico Handy basta la metà della dose per ottenere un risultato ottimale. Ha un potere sgrassante e profuma d’arancia.

Handy 1 for all 250 ml Fr. 2.40

Handy Power Lemon Dispenser, 500 ml Fr. 2.80

Handy Power Orange 500 ml Fr. 2.40

Nelle maggiori filiali

Nelle maggiori filiali

Foto: Yves Roth

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 agosto 2016 ¶ N. 34

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Idee e acquisti per la settimana

Zoé

Idrata la pelle giovane Zoé Youth Crema Viso perfezionante 50 ml* Fr. 15.80

La nuova linea Zoé Youth è specialmente sviluppata per i bisogni delle pelli giovani. Tutti e quattro i prodotti migliorano l’aspetto cutaneo e regalano una fresca radiosità

Zoé Youth CC-Cream perfezionante 40 ml* Fr. 14.50

Zoé Youth Siero perfezionante 30 ml* Fr. 14.80

La CC Cream nasconde le irregolarità e i rossori, sostiene la luminosità della pelle e protegge dai dannosi raggi UV grazie al fattore di protezione 15. Zoé Youth Cura Occhi perfezionante 15 ml* Fr. 13.80

*Nelle maggiori filiali

La crema viso si assorbe rapidamente ed è ideale per il make-up.

Foto: Lucas Peters; Styling Mirjam Käser

l siero idrata intensamente lasciando il viso più splendente.

La cura per gli occhi copre le occhiaie e previene la disidratazione.

L’M-Industria produce numerosi prodotti Migros, tra cui anche la linea per la cura della pelle Zoé Youth.


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LA PRIMA PILA RICARICABILE AA & AAA* AL MONDO FATTA

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Le pile usate devono essere riconsegnate al punto di vendita !

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