Azione 33 del 15 agosto 2016

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 16 agosto 2016

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Società e Territorio Pokémon, una nuova forma di storytelling della specie umana

Ambiente e Benessere L’invisibile microbiota, fondamentale e prezioso alleato della nostra salute

Politica e Economia Reportage da Sirte, Libia, dove si stringe la morsa attorno all’ISIS

Cultura e Spettacoli Lingua, poesia e violenza: il mondo frammentato di Celan

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Stefano Spinelli

Festival, l’imbarazzo della scelta

di Fumagalli e Rossi pagine 25-26

In attesa che il sultano si plachi di Peter Schiesser Il sultano si è sentito ferito nell’orgoglio. Ed ora mette il broncio all’Occidente. Il presidente turco Erdogan non le ha mandate a dire nella prima intervista alla stampa occidentale, su «Le Monde» (9.8.’16). Troppo blande le reazioni occidentali di sostegno alla sua persona e alla democrazia turca dopo il fallito colpo di Stato di metà luglio, troppo indigeste le critiche per l’ondata di arresti ed epurazioni nell’esercito, nel mondo accademico, nei media e per le pressioni sugli attivisti dei diritti umani: Erdogan accusa direttamente gli Stati Uniti di essere coinvolti nel tentato golpe con un diretto appoggio al suo rivale e regista (secondo il presidente turco) del fallito golpe Fethullah Gülen, in esilio volontario in Pennsylvania, di cui lamenta la mancata estradizione, e accusa l’Unione europea di mettere in pericolo l’accordo sull’immigrazione che ha bloccato l’afflusso di profughi dalla Turchia. Intanto, vola a Mosca dal suo «amico» Putin, con cui ristabilisce e rinnova i rapporti lanciando l’idea di un’«Asse dell’amicizia». Un sultano ferito è già di per sé scomodo. Se poi è tormentato dalla

paranoia, come molti commentatori sostengono, la questione si aggrava. Se qualcuno vede nemici ovunque, al momento in cui appaiono e riesce a sconfiggerli si sente confermato nella sua paranoia, ma anche nel suo sentimento di onnipotenza. In questo momento si sente forte e sostenuto dal popolo, nonostante l’orgoglio ferito, ma tuttora anche inviperito. Per gli Stati Uniti e l’Ue si pone il problema di come comportarsi con il sultano e nel contempo salvare le relazioni con un Paese troppo importante dal punto di vista strategico. Attendere che Erdogan sbollisca la rabbia, blandendolo e tentando di farlo ragionare? Ma come reagire se il presidente turco pone come condizione a Washington l’estradizione del «terrorista» Gülen, e a Bruxelles l’entrata libera dei cittadini turchi nell’Ue, come previsto dall’accordo sull’immigrazione? L’Occidente non può ammettere deroghe di quel calibro al suo sistema di diritto: in assenza di prove gli Stati Uniti non possono estradare una persona che rischia la pena di morte nel proprio Paese («ma ci chiedono di estradare negli USA i terroristi islamici», risponde Erdogan), l’Ue non può venir meno a principi di rispetto dei diritti e della vita umana, ancor meno di fronte ad un regime che da democratico si

sta trasformando in assoluto. I prossimi mesi saranno importanti e delicati, ci mostreranno se sarà ancora possibile considerare la Turchia un alleato dell’Occidente, all’interno della Nato (quindi in funzione anti-russa) e quale Paese cerniera fra Europa e Medio Oriente, oppure se il caos mediorientale si complicherà ulteriormente, con conseguenze imprevedibili. Se per l’Occidente è inaccettabile dal punto di vista dei diritti umani e dei valori della democrazia ciò che sta avvenendo in Turchia a chi è sospettato di aver anche soltanto avuto simpatie per i golpisti e ad altri oppositori, va comunque considerato il ruolo chiave che la Turchia è in grado di esercitare in vari contesti. Il sultano è imprevedibile, e questo rende più delicato il compito, ma se non si vuole perdere di vista una stabilità a medio e lungo termine, non si può prescindere dall’intrattenere dei rapporti costruttivi con la Turchia, che sia oggi dominata da un reggente autoritario e domani da qualcun altro. Nessuno, neanche l’opposizione turca, vuole un regime militare, questa è una vittoria della popolazione che non va dimenticata. Se la democrazia turca si è indebolita, v’è un motivo in più per sostenerla.


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