Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 S. Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 27 gennaio 2014
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Azione 05
Società e Territorio Storia di Doro, piccola e incantevole frazione di Chironico, e dei suoi amici
Ambiente e Benessere Effetto placebo: visto che in molti casi funziona, perché non usarlo al posto dei farmaci o almeno per rafforzare la loro efficacia?
Politica e Economia Si è aperta a Montreux la conferenza internazionale di pace sulla Siria
Cultura e Spettacoli Il 2014 inizia con una mostra strabiliante e rivoluzionaria al Centro Pompidou di Parigi
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Aspettando la svolta energetica
A caccia di fossili sulla Jurassic Coast
di Peter Schiesser
di Amanda Ronzoni
Amanda Ronzoni
Impotenti contro le devastazioni delle catastrofi naturali, impotenti contro le resistenze della comunità internazionale a contrastare l’effetto serra. Potremmo sintetizzare così lo stato della lotta ai cambiamenti climatici, sei anni dopo l’appello degli scienziati riuniti nell’Intergovernmental Panel on Climate Changes dell’ONU (IPCC) sull’urgenza di un mutamento radicale e immediato nella politica energetica mondiale. Uragani, scomparsa dei ghiacci ai poli e in montagna, innalzamento del livello dei mari sono presto dimenticati da chi non ne è toccato, mentre la volontà di investire capitali a protezione del clima si riduce rapidamente non appena si affaccia una crisi economica. Ma l’eterna debolezza del genere umano, di rimuovere dalla mente l’esistenza dei problemi (tanto più pronunciata quanto più gravi essi sono), non aiuterà neppure questa volta a cancellarli dalla realtà. Ancora una volta, sono gli studiosi dell’IPCC a rammentarci come stanno le cose. In settembre hanno presentato la prima di tre parti di un importante rapporto sullo stato del clima, in cui si addossa alle attività umane la responsabilità dei cambiamenti climatici con un grado di certezza del 95 per cento; in ottobre, attraverso delle indiscrezioni, si è avuta conoscenza della seconda parte del rapporto (che sarà pubblicato in Giappone a marzo), in cui si mette l’accento sul fatto che i mutamenti climatici potrebbero far sì che la produzione agricola mondiale non sia più sufficiente per coprire i bisogni dell’umanità; pochi giorni fa l’agenzia Reuters e in seguito il «New York Times» hanno pubblicato anticipazioni della terza parte del rapporto, che si focalizza sulle politiche da adottare per limitare l’impatto dei cambiamenti climatici. In questa bozza della terza parte del rapporto, gli scienziati constatano che nel mondo la volontà politica di contrastare i mutamenti climatici è senza dubbio in crescita, ma viene vanificata da un aumento del consumo complessivo di carburanti fossili, in particolare nei Paesi emergenti, e che si spende tuttora di più per sussidiare energie fossili piuttosto che favorire il passaggio a quelle pulite. Tuttavia, sarebbe semplicistico addossare a questi Paesi tutta la colpa: la globalizzazione economica fa sì che molti beni consumati in Europa e negli Stati Uniti vengano oggi prodotti in Cina e in altre nazioni emergenti; di fatto, dislocando altrove la produzione industriale, noi ascriviamo ad altri Paesi una quantità di emissioni nocive che in realtà andrebbero sul nostro conto, sia per la parte creata producendoli, sia per quella generata trasportandoli attraverso cieli e mari. Le scelte economiche di molte aziende occidentali, che hanno creduto di poter ridurre i costi del lavoro sfruttando manodopera a bassissimo prezzo in quello che era il Terzo mondo al prezzo di un maggiore inquinamento «altrove» (e sappiamo quanto avvelenati in Cina sono aria, acque e terre) e di milioni di tonnellate di CO2 liberate nell’atmosfera, si ritorce ora contro il mondo intero. È ancora possibile raggiungere l’obiettivo di limitare a 2 gradi l’aumento della temperatura atmosferica rispetto all’era pre-industriale? Considerato che all’orizzonte non si profila un accordo internazionale per un nuovo trattato (e più efficace di quello di Kyoto), i dubbi sono molti. Secondo gli scienziati dell’IPCC, altri 15 anni di fallimenti nel ridurre in modo sostanziale le emissioni di CO2 e l’umanità sarà costretta pagare un prezzo enormemente più alto per liberare l’atmosfera dai gas ad effetto serra. Come scrive il «New York Times», gli studiosi dell’IPCC immaginano che le generazioni future dovranno investire somme astronomiche per risucchiare CO2 dall’atmosfera e stoccarlo nel sottosuolo, mentre sarebbe meno caro investire oggi i capitali per ridurre le emissioni. Purtroppo, una politica rivolta alle generazioni future ha poche possibilità di essere accettata, dai cittadini come dai politici che pensano alla loro rielezione e non al bene di figli e nipoti. Ce ne dà dimostrazione la Commissione europea che il 22 gennaio ha presentato le misure da implementare dal 2020 in avanti. La crisi economica, sommata ad un aumento del 40 per cento dei prezzi dell’elettricità nell’Unione dal 2005 ad oggi, ha portato la Commissione a ripensare la sua politica: in sostanza, proporrà ai capi di Stato dell’UE e al Parlamento europeo di rinunciare a porre obiettivi vincolanti ai Paesi membri in materia di sfruttamento di fonti rinnovabili. Quindi l’obiettivo di una quota del 27 per cento di energia pulita sul totale entro il 2030 varrà per l’UE complessivamente, ma i singoli Stati avranno mano libera per decidere se e come raggiungerlo. Forse nei prossimi anni, usciti dalla crisi, Stati Uniti, Europa, Cina e altri grandi opteranno per politiche più incisive. Oggi è solo dato sperarlo.
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