Azione 11 del 10 marzo 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 S. Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 10 marzo 2014

Azione 11 7 pping 5-52 / 62-6 o h s M gine 4 alle pa

Società e Territorio Il comune di Bedretto e le sue frazioni: una realtà fatta di isolamento e volontà di autonomia

Ambiente e Benessere Secondo la medicina darwiniana ci ammaliamo perché la nostra biologia e il nostro comportamento sono adatti a condizioni di vita passate

Politica e Economia La Francia si appresta ad affrontare le amministrative in un doppio turno elettorale

Cultura e Spettacoli Al m.a.x.museo di Chiasso una grande mostra dedicata a Luigi Rossini incisore

pagine 10-11

pagina 25

pagina 35

pagina 3 pagine 23, 24, 25

AFP

A un passo dalla guerra

di Alfredo Venturi, Federico Rampini e Astrit Dakli

Su un piano inclinato di Peter Schiesser Siamo in guerra? Il Ticino è un’appendice territoriale e culturale pronta a staccarsi dal corpo confederale? Non esageriamo. Ma tantomeno sarebbe saggio distogliere lo sguardo da segnali di rovesciamento del piano dei valori e da un mutamento della percezione collettiva della realtà, emersi con prepotenza dopo la votazione del 9 febbraio. Prendiamo la recente visita in Ticino della consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf: concesso, avrebbe fatto meglio a presentarsi ai giornalisti dopo l’incontro con il Consiglio di Stato, non fosse che per dire, con eleganza, che non aveva nulla da dire. Avrebbe calmato momentaneamente l’ansia del cantone. Ma non era un po’ fuori luogo il tono astioso di tanti politici e giornalisti nostrani nei suoi confronti? Ed è degno di un modo elvetico di intendere la politica fischiare una consigliera federale, come è successo al suo arrivo ad Agno da parte di un gruppo di politici della Lega? È da rimarcare che oggi in Ticino è diventato «politically correct» provare sdegno e usare parole pesanti per una mancata dichiarazione di una consigliera federale e mostrare indifferenza se questa viene prima di tutto fischiata.

Non è uno spostamento di valori? Ad esso si accompagna una modifica della percezione collettiva della realtà. L’esempio migliore è rappresentato dai frontalieri. Se in passato erano generalmente considerati un guadagno per l’economia ticinese nel suo complesso, oggi sono generalmente percepiti come un problema. E la percezione è così forte che il loro apporto positivo non viene neppure più tematizzato, tanto viene schiacciato da argomenti negativi. Chi li considera un problema sottolinea che rispetto a dieci anni fa il loro numero è raddoppiato, superando quota 60 mila. Vero. Ma altrettanto vero è che sono raddoppiati anche (e solo ancora) a Ginevra, che ne conta qualche migliaio in più del Ticino. Ma lì, sulle rive del Lemano e del Rodano, il 60,9 per cento dei cittadini ha votato contro l’iniziativa dell’UDC. Quindi? Quali elementi – oggettivi o/e emotivi – fanno sì che un identico aumento, un numero simile di frontalieri, addirittura a fronte di una popolazione di un terzo inferiore (la città-cantone di Calvino conta 200 mila abitanti, noi 330 mila), ponga Ticino e Ginevra agli antipodi nella percezione del valore dei frontalieri? Forse perché da noi in molti si è fatta largo la convinzione che questo aumento sia andato a scapito dei ticinesi, in parole povere che i

frontalieri rubino oggi il lavoro ai ticinesi? Per sostenere questa tesi si sottolinea che oggi un impiego su quattro è occupato da frontalieri. Se però andiamo a spulciare qualche statistica, per esempio lo studio dell’Istituto di ricerche economiche del 2010, constatiamo (pag 34) che già nel 2008 la quota dei frontalieri raggiungeva il 24 per cento della manodopera globale (ossia un impiego su quattro). Quindi, se il numero dei frontalieri è cresciuto e la percentuale rispetto alla manodopera complessiva è rimasto uguale, significa che sono aumentati anche i posti di lavoro occupati da chi risiede in Ticino, se la matematica non è un’opinione. Eppure in questi sei anni la percezione è cambiata radicalmente. E si è colorata di molta emotività. È tipico di un mutamento collettivo improvviso che le emozioni prendano il sopravvento sulla razionalità, sul pensiero. Ma il passato insegna che può essere pericoloso opporre la «pancia» alla testa, l’emozione al pensiero. Poiché simili cambiamenti repentini creano sì un’unione collettiva, ma sulla base di emozioni che possono giungere al punto in cui non sono più individualmente controllabili. Poiché, come afferma chi studia la psiche umana, in realtà non siamo noi ad «avere» un’emozione, è l’emozione che si impossessa di noi.


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