Cooperativa Migros Ticino
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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 10 giugno 2014
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Keystone
Mundial meravigliao
di Bernasconi, Caracciolo e Nocioni pagine 21, 23 e 24
Trionfo dell’oblio di Peter Schiesser È risaputo: la storia la scrivono i vincitori. O la cancellano. Come faceva Stalin, in Unione Sovietica, che faceva togliere dalle foto ufficiali chi cadeva in disgrazia. Come ha fatto il Partito comunista cinese in questi 25 anni, cancellando dalla memoria collettiva della Cina il massacro di Tiananmen, di cui cadeva l’anniversario il 4 giugno. Ci riesce persino oggi, nell’era di internet, censurando tutti i termini che possono ricordare quella data, quell’«incidente». Le centinaia, forse migliaia di morti di quelle giornate hanno semplicemente cessato di esistere, sprofondate nell’oblio, come quella brevissima stagione in cui in Cina stava nascendo una «primavera politica». Il mondo comunista era in fermento, in quel lontano 1989. Con la Perestrojka, Gorbaciov stava tentando di riformare il sistema comunista sovietico, l’Europa orientale avrebbe da lì a poco spezzato le catene che la legavano a Mosca, in novembre sarebbe caduto il Muro di Berlino. Anche in Cina, con il passaggio ad un sistema economico capitalista inaugurato da Deng Xiao Ping nel 1979, avevano trovato spazio idee politiche riformiste. Ma il potere resisteva e chi al suo interno
mostrava troppe simpatie per un’apertura politica che mettesse in pericolo il potere assoluto del Partito comunista veniva isolato e cacciato. Avvenne nel 1987 con Hu Yaobang, segretario generale del PC cinese, spinto alle dimissioni. Ma il desiderio di una libertà di pensiero e di riforme democratiche, la protesta contro lo strapotere del PC e della già allora dilagante corruzione, il disagio per una svolta al capitalismo che stava creando squilibri sociali in tutta la Cina, restò forte e si coagulò in manifestazioni e proteste pubbliche in occasione dei funerali di Hu Yaobang, dall’aprile del 1989. Per sette settimane, studenti, poi anche lavoratori, osarono portare la protesta a Tiananmen, la grande piazza alle porte della cittadella del potere. Una protesta che trovò sostenitori anche all’interno del PC, lo stesso segretario generale Zhao Zyang, a capo della corrente riformista, mostrò tolleranza verso i manifestanti e le loro richieste. Ma il grande vecchio, Deng Xiao Ping, convinto che la Cina sarebbe andata incontro al caos e a una guerra civile, ordinò una repressione feroce. Quella stagione venne soffocata nel sangue, i ranghi del PC furono epurati (Zhao Zyang, destituito, passò il resto della vita agli arresti domiciliari). In Unione Sovietica il tentativo di riformare il sistema comunista fallì, l’URSS si dissolse, l’Europa
orientale si staccò dall’orbita di Mosca. In Cina il PC riuscì a mantenere il potere e offrì ai cinesi la possibilità di arricchirsi in cambio della rinuncia alla libertà e alla democrazia. La scommessa pare vinta: la Cina comunista è diventata una potenza economica di primo piano. Ma quanto a lungo può un Paese, un sistema politico, reggere senza fare i conti con la propria storia? Gli sforzi del PC cinese per impedire il ricordo di Tiananmen ancora oggi – con la piazza centrale di Pechino presidiata da migliaia di militari in occasione del 4 giugno – mostrano che il potere teme tuttora quel passato. Segno che è tutt’altro sicuro di aver recuperato l’autorità morale persa 25 anni fa impiegando l’esercito popolare contro i propri cittadini. È vero che la stragrande maggioranza dei cinesi non ha interesse a rivangare il passato, troppo concentrata a costruirsi un futuro individualmente migliore. Tuttavia, i motivi che spinsero studenti e lavoratori a protestare nel 1989 (mancanza di libertà di pensiero e di democrazia, corruzione, squilibri sociali) sono presenti anche oggi. Per far dimenticare il bisogno di democrazia, il PC riesce a compattare la popolazione dietro ad un rinascente nazionalismo: la popolazione è spinta a unirsi in nome di una Cina potente. Per ora funziona. Ma fino a quando?