Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 14 luglio 2014
M sh alle p opping agine 39-4 7/
Azione 29
Società e Territorio Nel Gambarogno alla scoperta di Cento Campi e dei suoi tetti di paglia
Ambiente e Benessere Il concetto di «crescita esponenziale» mette in discussione la capacità del nostro pianeta di ospitarci tutti
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Politica e Economia Ashraf Ghani nuovo presidente afghano ma è subito crisi
Cultura e Spettacoli Io, io e ancora io: Zurigo celebra l’artista Cindy Sherman
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di P. Ricard e J-P. Stroobants pagina 23
AFP
Un veterano dell’Europa
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Il labirinto arabo di Peter Schiesser Onestamente: nel 2010, quando a partire dalla Tunisia le prime proteste popolari scossero il mondo arabo, chi avrebbe mai immaginato lo scenario odierno? La sete di democrazia, di libertà, di prospettive di vita ed economiche migliori, in particolare delle nuove generazioni (confrontate con un benessere crescente nel resto del mondo), aveva innescato in brevissimo tempo una dinamica che sembrava inarrestabile: una primavera politica stava risvegliando le speranze delle genti del mondo arabo represse da regimi dispotici. La rapidità del crollo del regime di Ben Alì in Tunisia e le imponenti proteste al Cairo che disarcionarono Mubarak generarono un’illusione collettiva, all’interno e all’esterno del mondo arabo: che – come 25 anni fa con l’Unione Sovietica – bastasse una spallata per far crollare dei regimi che non potevano più trovare posto nella modernità globalizzante del Ventunesimo secolo. La reazione di Gheddafi alle proteste che montavano dall’est della Libia, pronto a bombardare Bengazi, poteva far intuire che non tutti i tiranni avrebbero semplicemente tolto il disturbo. Invece, la volontà di Gheddafi di far
guerra al proprio popolo fu vista come la reazione isolata di un folle despota, cui si poteva por rimedio aiutando, con bombardamenti aerei, gli oppositori del regime, e salvare così la primavera araba da questo tentativo di soffocarla. La spaventosa guerra civile in corso da oltre tre anni in Siria ha invece rovesciato completamente il quadro geopolitico. E la frattura interconfessionale fra sunniti e sciiti che ora sta disintegrando l’Iraq lo rende ancora più incomprensibile e imprevedibile. La primavera araba si è trasformata in un labirinto di campi di battaglia da cui nessuno oggi sa come uscire. Troppo frettolose sono state anche previsioni che la sete di libertà, benessere e democrazia delle giovani generazioni arabe avrebbe relegato ai margini della contesa politica le varie forme di terrorismo e jihad islamica. Si sentenziava che al Qaeda aveva ormai perso il treno. Oggi vediamo invece che ad essere stata superata dagli eventi è l’organizzazione di Osama bin Laden, non il terrorismo islamico, che in parte si sta trasformando militarmente e ideologicamente, assumendo persino le fattezze di un surreale califfato islamico, sorto sulle ceneri fumanti di Siria e Iraq (vedasi il ritratto del nuovo Califfo a pagina 29). Non si dimentichi poi la galassia di gruppi che
si richiamano ancora al fondamentalismo salafita e wahabita che ha influenzato bin Laden: gli uni oggi terrorizzano le regioni del Sahara e subsahariane con le armi provenienti dagli arsenali di Gheddafi, gli altri sfruttano l’instabilità di Paesi come la Somalia e lo Yemen come piattaforma per la loro lotta, anche contro l’Occidente. La parola resta alle armi, e nessuno, nemmeno le potenze occidentali, sa come disinnescare la polveriera araba. Se tre anni e mezzo fa nessuno era in grado di prevedere dove ci saremmo trovati oggi, tantomeno è possibile azzardare ipotesi sul volto che assumerà il mondo arabo fra cinque, dieci anni. La frattura tra Sunniti e sciiti si estenderà ad altri Paesi arabi? Il rischio di disintegrazione contagerà anche Libano, Giordania e altri Stati? Le potenze internazionali e regionali (Stati Uniti, Iran, Arabia Saudita, Russia e Turchia), parteciperanno in prima persona a queste guerre? Non c’è risposta. Solo una certezza: le condizioni – di sottosviluppo e di oppressione – che portarono alle primavere arabe non sono mutate. Pur zittite dalla furia delle guerre, le popolazioni arabe nel loro intimo chiedono ancora pace, benessere, democrazia, giustizia, libertà. Potrà rinascere questa speranza? E quando?