Cooperativa Migros Ticino
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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 11 agosto 2014
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Società e Territorio Architettura dello spettacolo: i cinema storici ticinesi
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Cultura e Spettacoli Mimmo Rotella in mostra a Milano con i suoi décollage
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Jacek Pulawski
Bagnini pronti al campionato
di Jacek Pulawski pagine 14-15
L’Europa è in pace, la guerra alla porta di Peter Schiesser Per noi, figli di un Paese solo sfiorato dalle tragedie del Novecento, è difficile capire quanto presente sia ancora il ricordo della Grande Guerra nelle nazioni che ci circondano. Oltre alle commemorazioni ufficiali, le distese di croci bianche che a decine di migliaia si allineano con precisione militare nei cimiteri bellici, tanti altri segnali ricordano che un secolo fa un’era ebbe fine – il tempo della supremazia dell’Europa nel mondo – e costò il sacrificio delle gioventù di Francia, Gran Bretagna, Germania, Austria, Italia… I segni più vistosi sono le lapidi commemorative nei villaggi che inviarono i propri figli al fronte, quest’anno ornate di bandiere e corone, e fa impressione trovarsi nella morbida campagna francese, in villaggi di qualche centinaio o migliaio di abitanti e leggere i nomi di 30, 40, 50, 100 giovani «caduti per la patria». Vite spezzate che hanno derubato l’Europa anche delle generazioni future che quei giovani avrebbero altrimenti donato al Vecchio continente. Ma la Grande Guerra fu solo l’inizio di una catastrofe ancora maggiore, che si completò con i fascismi, il nazismo, il bolscevismo.
Ne riscopro le tracce in una trentina di fascicoli del settimanale francese «Illustration» risalenti agli anni Venti e Trenta, ritrovati casualmente in una casa di campagna in Borgogna. In quelle pagine la Storia ha ancora il sapore della quotidianità, con le sue incertezze su ciò che accadrà e le speranze che tutto potesse ancora essere diverso. Vi si leggono le cronache dell’Anschluss dell’Austria alla Germania nazista, delle battaglie della Guerra civìl spagnola, i diari del ministro degli esteri tedesco Stresemann in merito al «Trattato di Locarno» del 1925, reportage dai vari Paesi europei che, come birilli, cadevano sotto il giogo di fascismi e nazionalismi locali, ma anche le condizioni di vita e di alimentazione in Germania a pochi anni dall’ascesa al potere di Hitler, e – in pieno contrasto con i nuvoloni neri che il giornale descriveva nei cieli d’Europa – illustrazioni di mete turistiche in Italia e in Svizzera, raffinate pubblicità sull’ultimo modello di frigorifero (1932!), profumi e gioielli, eleganti vestiti e cappelli, automobili che potevano raggiungere i 100 chilometri orari…, promesse di un consumismo allettante, all’ombra di una montante tragedia mondiale. Cent’anni dopo, l’Europa non è più quella. Non rischia più di
cadere in massa preda di follie ideologiche. Ce ne sono ancora, ma, pur ritrovando una certa massa critica, non hanno la forza di impadronirsi del potere. La complessità della vita odierna ha almeno questo vantaggio: c’è spazio per ogni ideologia e contraddizione, ma nessuna è più in grado di prevalere sull’altra. Certo, l’Europa vive una crisi, sia come costruzione ideale (Unione europea), sia in molti suoi Stati nazionali. Francia e Italia sperimentano un declino economico e le riforme strutturali si fanno attendere, lo stendardo della Gran Bretagna potrebbe fra un mese perdere la croce scozzese, e via elencando. Ma nessuno può oggi immaginare una guerra fra Paesi ormai profondamente legati. Tuttavia, se oggi le frontiere interne dell’Europa sono sicure, pericoli seri minacciano le frontiere esterne: il caos esplosivo in cui stanno sprofondando Siria, Iraq, Libia, Gaza e che sta inesorabilmente contagiando altri Paesi arabi, la guerra in Ucraina patrocinata da un novello zar russo con mire geopolitiche in Europa, non possono lasciare indifferenti, men che meno l’Unione europea. Sarebbe un errore fatale credere che la pace al suo interno sia garanzia sufficiente per la sicurezza futura del continente.