Cooperativa Migros Ticino
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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 18 agosto 2014
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Il Pardo ingabbiato
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Impreparati alla Guerra santa di Peter Schiesser Tredici anni fa, con l’attacco di al Qaeda alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono a Washington, l’Occidente era convinto che Osama bin Laden rappresentasse il maggior pericolo immaginabile. Nessuno avrebbe mai predetto che un allora oscuro predicatore iracheno, Ibrahim Awad Ibrahim al-Badry (alias Abu Bakr al-Baghdadi), avrebbe un giorno issato la bandiera nera di un sanguinario fanatismo islamico e fondato un Califfato, uno Stato Islamico, il cui obiettivo dichiarato è distruggere l’Occidente e chiunque, anche musulmano, non si pieghi al suo potere. E nessuno avrebbe mai immaginato che gli americani, gli iraniani, i curdi iracheni turchi siriani iraniani (in passato in lotta fra di loro), gli sciiti iracheni e i turchi – alleati inconfessabili nel melmoso scenario mesopotamico – sarebbero stati gli uni travolti e gli altri letteralmente tramortiti, testimoni impotenti in Iraq delle più efferate violenze (decapitazioni pubbliche e uccisioni in massa) e di una pulizia etnica ai danni di cristiani, come di ogni corrente islamica lontana da certa ortodossia sunnita. Di fronte alla minaccia di un genocidio – di musulmani yazidi, di cristiani - gli Stati Uniti non potevano non intervenire. Le missio-
ni dell’aviazione militare ordinate dal presidente Barack Obama hanno inferto qualche perdita ai miliziani del Califfo, frenato la loro avanzata, risollevato il morale dei peshmerga curdi (anch’essi dapprima fuggiti di fronte all’avanzata dell’ISIS, come prima di loro i militari dell’esercito regolare iracheno), permesso la salvezza di migliaia di yazidi. Ma poi? Come impedire che questo surreale Califfato islamico riesca a chiamare a raccolta un numero sempre crescente di persone per una crociata contro l’Occidente? Bruciati dalle guerre in Iraq e Afghanistan scatenate da George Bush junior all’indomani dell’11 settembre, i governanti americani giurano che non manderanno truppe per contrastare al-Baghdadi in Iraq (in Siria per ora non intervengono in alcun modo). Ma questo impegno potrà valere soltanto fino a quando il Califfo si limiterà a minacciare le minoranze religiose in Iraq e non prenderà di mira direttamente gli Stati Uniti e i suoi interessi, sia rivolgendo la sua crociata contro l’Arabia Saudita e/o la Giordania, sia inviando suoi commando in missioni suicida in Occidente. Non si tratta di ipotesi remote, se consideriamo che migliaia di musulmani europei si trovano a combattere in Siria, nelle fila di al-Nusra (affiliata alla «vecchia» al Qaeda) e dell’ISIS (oggi sempli-
cemente IS, Stato Islamico), e chi sopravviverà tornerà un giorno in Europa, più che volonteroso di importarvi la guerra santa promossa dal Califfo. Inoltre, mentre noi rifiutiamo di credere che nel Ventunesimo secolo sia possibile che donne e bambini vengano trucidati, sepolti vivi, persone decapitate e le loro teste mozzate mostrate pubblicamente a mo’ di monito, in Siria, in Iraq e chissà dove ancora, frotte di persone, compresi ragazzini di dieci-undici anni, rispondono con entusiasmo al richiamo della guerra santa contro l’Occidente e contro ogni infedele (vedasi i documentari di Vice Tv su Youtube). Sarebbe un’illusione credere che eliminando al-Baghdadi – come si eliminò Bin Laden – la minaccia di questa guerra totale e asimmetrica contro l’Occidente possa essere soffocata. Se per l’Occidente l’11 settembre 2001 aveva significato un brusco risveglio dalla pace seguita al crollo dell’Unione Sovietica, la creazione del Califfato è la dimostrazione ultima che nel ventre dell’Islam cova un odio e una volontà di riscatto che conosce (quasi) solo l’arma della violenza. In questo contesto, al-Baghdadi va visto come il sintomo, non come la causa, è l’espressione inconscia di un moto collettivo - barbaro, immaturo, assurdo quanto si vuole, ma terribilmente reale, di fronte al quale l’Occidente appare oggi totalmente impreparato.