Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 22 settembre 2014
Azione 39
Società e Territorio Il progetto di integrazione professionale dell’Associazione Contate su di noi
Ambiente e Benessere La botanica e lo spirito nazionale: sulle bandiere e gli stemmi di alcune nazioni campeggiano specie vegetali, anche molto particolari
Politica e Economia Martin Dahinden lascia la direzione della DSC; un bilancio
Cultura e Spettacoli A 250 anni dalla morte del compositore francese Rameau
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di Luigi Baldelli e Pietro Veronese pagine 24-25
Luigi Baldelli
Ebola, la peste dei poveri
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Doccia scozzese di Peter Schiesser Alla fine, tutto si è risolto con un grosso spavento. La Scozia rimane parte della Gran Bretagna, lei che, prima ancora di sigillare nel 1707 l’unione con l’Inghilterra, le aveva dato il re (Giacomo VI) che ereditò il regno dalla grande Elisabetta I nel 1603. La Gran Bretagna, quell’impero che si vantava di non vedere mai il sole calare nelle sue terre, non si vedrà amputare (pure) la testa dell’isola. Politicamente, al suo interno, i laburisti britannici non perderanno d’un colpo 41 dei loro 258 deputati a Westminster (dei 59 che la Scozia manda a Londra), ciò che avrebbe spezzato le speranze di scalzare i conservatori di Cameron alle elezioni del 2015. Più in là, sul continente... il continente deve temere un po’ meno per la sua unità: Bruxelles non dovrà inventare una nuova formula istituzionale per accogliere fra gli Stati membri dell’Unione europea un Paese nato dalla scissione di uno Stato membro dell’Ue (che dal canto suo deciderà presto se separarsi o meno dall’Ue); e Stati nazionali come Spagna e Belgio vedono al suo interno frenate, almeno momentaneamente, le forze disgregatrici.
Le future analisi del voto ci spiegheranno perché hanno prevalso gli unionisti, con un margine anche discreto, considerate le incertezze della vigilia (55-45%). Si può però notare subito che laddove c’è stata la più alta partecipazione al voto (già da primato di per sé, con un 86%) si è imposto il no. È stata lealtà alla corona? Paura delle conseguenze di una secessione? Scarsa disponibilità ad andare incontro ad altre incertezze, in un mondo che ne genera di nuove tutti i giorni? Certo, in caso di affermazione del referendum, il risveglio sarebbe stato duro, la politica e l’economia sarebbero entrate in fibrillazione. In che modo separare in «questo è mio, questo è tuo» aziende economiche così spesso anglo-scozzesi? In che misura suddividersi l’enorme debito pubblico della Gran Bretagna? Dove finiscono le acque territoriali della Scozia e quindi i suoi giacimenti di petrolio e di gas nel Mare del Nord? Due grandi banche, Royal Bank of Scotland e Lloyds/HBOS, avevano annunciato che in caso di secessione avrebbero traslocato la loro sede a Londra – quante altre banche e aziende avrebbero seguito il loro esempio? Votando contro la secessione, la Scozia si è risparmiata di dover rispondere a un sacco di domande, la più incerta delle quali probabilmente è: come prepararsi al lento,
progressivo declino della produzione di petrolio. Secondo calcoli recenti fatti dal «New York Times», dagli anni Settanta sono stati estratti 40 miliardi di barili di greggio e di gas, si stima che le riserve ammontino ancora a 12-24 miliardi di barili; dai 2,5 milioni di barili al giorno estratti nel ’90 e dagli oltre 4 milioni nel 2000, si è scesi agli odierni 1,5 milioni, con un’industria estrattiva che richiede urgenti (e costosi) ammodernamenti. Sarà un problema che dovrà affrontare la Gran Bretagna intera, a questo punto. Il voto scozzese è stato un esempio di alta democrazia: Londra ha concesso la possibilità di votare e gli scozzesi hanno deciso di restare sotto la corona. In Catalogna e nelle Fiandre queste condizioni non sono date, il voto dei catalani di novembre non ha carattere legale. La lotta per l’indipendenza è più difficile e più carica di rancori in entrambi i Paesi. Ma c’è un’altra cosa che il voto scozzese ha mostrato: vista la tenacia degli indipendentisti, Londra ha promesso ancora più autonomia a Edinburgo, che già non ne ha poca oggi. Con colpevole ritardo il «centro» ha capito che il termine devolution deve evolvere ulteriormente. E questa è una lezione che dovrebbero ascoltare e capire anche gli altri Stati europei in cui sorgono tendenze secessioniste.