Azione 42 del 13 ottobre 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 13 ottobre 2014

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Società e Territorio La Svizzera e la questione dell’insegnamento delle lingue nelle scuole elementari

Ambiente e Benessere Come evitare il mal di schiena ai ragazzi che vanno a scuola? Ne parliamo con il dottor Vincenzo De Rosa, chirurgo ortopedico pediatrico all’Ospedale San Giovanni di Bellinzona

Politica e Economia Fra poco meno di un mese negli Usa si vota per le elezioni di mid-term

Cultura e Spettacoli Gustave Courbet è protagonista indiscusso dell’autunno

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di Lucio Caracciolo e Costanza Spocci pagine 23 e 25

Keystone

La Questione curda

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Guerra di religione o di potere? di Peter Schiesser Beati gli storici, che possono provare a interpretare una realtà quando è compiuta e trascorsa. Potranno un giorno raccontare ai nostri figli o nipoti se quella deflagrata l’11 settembre del 2001 vada letta come una guerra dell’Islam contro l’Occidente ateo-cristiano, o se il terrorismo islamico, sublimatosi nel califfato dell’Isis, non debba piuttosto essere interpretato come ideologicamente e militarmente funzionale ad una presa di potere nelle terre dell’Islam stesso. Quindi, se si tratti di una guerra di religione o fra ideologie. A noi, nel presente, questa chiarezza è negata. Solo un esempio: il presidente americano ripete che l’Occidente non è in guerra con l’Islam, parallelamente frotte di persone, anche dall’Occidente, accorrono in Siria e Iraq per combattere e morire per la gloria del califfato, che dopo il Medio Oriente dovrà islamizzare l’Europa. Ernesto Galli della Loggia si era chiesto tempo fa sul «Corriere della Sera» quando si potesse parlare di guerra di religione: solo quando entrambe le parti la definiscono tale? O è sufficiente che uno dei due antagonisti lanci una guerra religiosa? Dipenderà anche dai numeri. Per quanto sanguinari, determinati

e ben armati, bastano 20-30 mila guerrieri per mettere in ginocchio il Medio Oriente e l’Occidente? Manteniamo le proporzioni: dei 400 mila musulmani che vivono in Svizzera, solo una ventina sono andati in Siria e Iraq per combattere tra le fila degli islamisti. E non è fra questi 400 mila che troviamo i gruppi di turisti arabi con le donne in burka, icone del nostro fastidio da laici verso un intollerante fondamentalismo religioso. Non credo che i musulmani che vivono in Svizzera si sentano in lotta contro l’Occidente, sta a noi – contrastando o meno l’islamofobia – decidere se ci vogliamo sentire in guerra contro tutti i musulmani, e quindi di assumerci la responsabilità di definirla «di religione». Tuttavia, sia che gli islamisti definiscano di religione la guerra che stanno conducendo, sia che noi vogliamo semplicemente definirla ideologica e di potere, non si può negare che la jihad oggi abbia un’incomparabile forza d’attrazione a livello planetario. Nel suo essere affermazione feroce di una purezza «religiosa» sull’empietà del materialismo occidentale, con il corollario di teste che rotolano nella sabbia, provoca paura, sconcerto, repulsione, chiusure e difese. Ma allo stesso tempo ci consegna un messaggio che l’Occidente non dovrebbe ignorare: quei giovani, alcuni giovanissimi, che si conver-

tono o che si radicalizzano, cercano un senso di vita e di appartenenza che non hanno trovato nel mondo occidentale del Ventunesimo secolo, atomizzato, materialista, consumista, svuotatosi di valori e punti fermi, vuoi perché emarginati in ghetti di periferia, vuoi per individuali costellazioni psicologiche. Perché costoro, fra le tante forme di lavaggio del cervello, si lascino attrarre da un fanatismo che più sanguinario è difficile, resta ancora da capire. Tolta quella percentuale «fisiologica» dell’umanità che prova gusto a torturare e uccidere, resta un numero importante di giovani fino a ieri pacifici, oggi disposti ad uccidere in nome di un dio. Questo è un problema che non può restare ignorato né irrisolto. Ma se questa fosse anche una guerra per la supremazia ideologica all’interno dell’Islam, non è sufficiente che l’Occidente non si senta in guerra con l’Islam. È necessario che l’Islam – inteso come cultura, filosofia, modo di vivere – ritrovi un suo posto nel mondo del Ventunesimo secolo. Forme di vita e di pensiero, impianti di valori come le impongono salafismo e wahabismo, sono fuori luogo, o meglio fuori tempo. La risposta all’islamismo, da parte del mondo islamico, non può essere che una riforma che allontani l’Islam dalla tentazione di una purezza imposta con la scimitarra.


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