Azione 42 del 12 ottobre 2015

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 12 ottobre 2015

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Società e Territorio Il futuro della grande Bellinzona nelle mani dei cittadini

Ambiente e Benessere La dottoressa Elisabetta Ferrucci, caposervizio di Pediatria all’ORL parla di ginecologia pediatrica

Politica e Economia Una mossa del cavallo l’intervento russo in Siria

Cultura e Spettacoli Un triplice omaggio all’artista Edgardo Ratti per i suoi novant’anni di vita

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di Peter Aeschlimann e Ralf Kaminski pagina 3

Keystone

Uno su dieci è povero

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Quanto profonda sarà la svolta a destra? di Peter Schiesser Pur non volendo credere ciecamente ai sondaggi, domenica prossima è lecito attendersi dei guadagni elettorali per l’Unione democratica di centro, il Partito liberale radicale e per il Partito socialista, e delle perdite per i Verdi, il Partito popolare democratico, i Borghesi democratici e i Verdi liberali. Tutto definito, dunque? Verrà annullata la svolta dal centro-destra al centro che si è avuta alle Camere federali quattro anni fa? Attendiamo il responso delle urne, ma, se anche così fosse, sarebbe fuorviante credere che questa correzione comporti uno spostamento a destra generale del Parlamento: il sistema politico svizzero, in particolare quello federale, non conosce alleanze fisse, a seconda dei temi si creano alleanze di centro-sinistra o di centro-destra. In particolare, un rafforzamento dell’UDC e del PLR non si tradurrebbe in un blocco coeso di centro-destra, il quale non potrà dettare legge su tutto nei prossimi 4 anni, poiché i due partiti non sono sempre alleati. E questo relativizza la portata della loro probabile vittoria. L’esperienza insegna infatti che nella politica federale servono

maggioranze solide per approvare nuove leggi, se si vuole evitare di venire smentiti in votazione popolare. Né il centro-destra né il centro-sinistra possono imporre la propria visione. Le Camere federali e il Consiglio federale sono costretti a trovare soluzioni il più possibile condivise – uno scampolo di politica di concordanza resiste quindi ancora sotto la cupola di Palazzo federale. Inoltre, i guadagni previsti per UDC e PS cambieranno poco gli equilibri politici nazionali, poiché già oggi questi due partiti, entrambi di governo, ad ogni buona occasione si trasformano in partiti di opposizione, che fanno dell’ostruzionismo la loro (più) efficace arma politica. Fintanto che l’UDC e il PS su determinati temi (in particolare nella politica di integrazione europea e nella politica sociale) rifiuteranno soluzioni concordate con gli altri partiti di governo, il loro peso politico conterà meno dei voti che raccolgono. Ci vorrà quindi un po’ di tempo per capire se e in che misura i previsti guadagni del centro-destra genereranno una svolta nei maggiori capitoli della prossima legislatura, dalla politica verso l’Unione europea (Accordi bilaterali e iniziativa anti-immigrazione), alla revisione del sistema previdenziale, alla concretizzazione della svolta energetica.

Un impatto diretto queste elezioni lo avranno invece sulla composizione del Consiglio federale, su cui il Parlamento voterà in dicembre durante la prima sessione della nuova legislatura. All’indomani del 18 ottobre ripartiranno le discussioni su come sia da intendere la «politica della concordanza», ossia su quale peso debba avere l’UDC all’interno del governo federale, se le spetterà o meno un secondo consigliere e se debba ottenerlo a scapito del PLR o di quale altra forza politica. Se le urne confermeranno i sondaggi pre-elettorali, il centro risulterà forse troppo indebolito per poter riconfermare, assieme ai voti dei deputati socialisti e verdi, Eveline Widmer-Schlumpf in Consiglio federale. Ma se anche così fosse, l’UDC non avrebbe la via spianata per far eleggere qualsiasi suo candidato: un esponente della (maggioritaria) ala blocheriana rischierebbe di non trovare appoggi sufficienti, neppure nel campo borghese, poiché in Parlamento e in Consiglio federale ci sono ancora maggioranze a favore degli Accordi bilaterali, e figure anti-europee non sono benvenute. L’Europa, grande assente di queste elezioni, tornerà a pesare sull’elezione del Consiglio federale.


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Società e Territorio pagina 4

Il manuale del Decs Il Decs annuncia un nuovo manuale di educazione alla sessualità e all’affettività ed è subito polemica. Le riflessioni di Franco Zambelloni

Telefono amico Il servizio di ascolto che garantisce l’anonimato ha quasi 45 anni, oggi risponde anche in chat e allarga le sue collaborazioni pagina 5

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«Della povertà non si parla» Intervista Nel nostro Paese un bambino su dieci è considerato povero. La direttrice generale dell’Unicef Svizzera

Elsbeth Müller spiega cosa significa e come si può porre rimedio a questa situazione. Si dice delusa della politica, che potrebbe fare di più, e critica i previsti tagli alla spesa sociale

Peter Aeschlimann, Ralf Kaminski * Signora Müller, secondo uno studio dell’Unicef, un bambino su dieci in Svizzera è considerato povero. Sembra una grossa cifra, ma cosa significa esattamente la parola povertà in un Paese ricco come il nostro?

In Svizzera una persona che vive sola è considerata povera se dispone di meno di 28’540 franchi all’anno. Per due adulti con due bambini la soglia della povertà è posta a 59’935 franchi. Ma per i bambini queste cifre sono indifferenti, per loro si pone la questione di cosa sia la povertà e di quali conseguenze abbia. Il problema principale è che i figli di famiglie povere sono esclusi dalla partecipazione sociale: non possono, infatti, partecipare a molte attività a cui prendono parte i loro compagni di scuola. Si parla sempre di «povertà relativa». Può definirla con più precisione?

Quando si parla di povertà relativa in Svizzera si tratta di vedere se gli interessati possono o non possono vivere in qualche modo con le loro entrate e i relativi sussidi finanziari. In un contesto cittadino la situazione è spesso diversa rispetto a una regione di campagna. Molti genitori che devono far quadrare i conti ogni mese cercano di non far sentire questa emergenza ai figli. Tuttavia, a questi bambini vengono a mancare le prospettive per il futuro, hanno meno opportunità di progredire nella vita conformemente alle loro capacità e ai loro desideri.

Aspettando la grande Bellinzona

Il Palazzo Comunale di Bellinzona. (Keystone)

18 ottobre Il voto consultivo popolare potrebbe far nascere la decima città svizzera per numero di abitanti,

un agglomerato che avrà i suoi punti di forza in Alptransit e nel polo scientifico e sanitario

Roberto Porta Diciassette comuni in un colpo solo. Non solo non si è scaramantici nel Bellinzonese ma l’aggregazione a diciassette, se dovesse andare in porto, sarebbe la più copiosa nella storia del canton Ticino, per il numero di comuni coinvolti. Solo Lugano, ma si badi bene in più tappe, è riuscita a superare questo primato, tra le aggregazioni ticinesi andate finora in porto. Se i cittadini della regione lo vorranno, il prossimo 18 ottobre, la nuova Bellinzona sarà la decima città svizzera per il numero di suoi abitanti, con su per giù 52mila domiciliati. Iniziato nel 2012, il percorso aggregativo della capitale e dintorni si confronterà tra pochi giorni con il suo esame di maturità, la prova del fuoco del voto consultivo popolare. A livello politico, o forse sarebbe meglio dire partitico, i giochi sembrano essere fatti, visto che tutti i partiti della regione si sono schierati a favore della megafusione, dando prova di un’inedita compattezza. Ma i partiti sono una cosa, i loro singoli membri un’altra e i cittadini un’altra ancora e così i giochi per la Bellinzona del futuro sono più aperti che mai. Difficile, se non impossibile, fare un pronostico sull’esito del voto di do-

menica prossima. In questo contesto di grande incertezza una sola cosa appare praticamente sicura: il voto negativo del comune di Sant’Antonino, intenzionato a difendere il proprio moltiplicatore d’imposta, il più basso dell’intera regione. Un moltiplicatore al 65% che ha fatto dire alla neo-sindaca Simona Zinniker che i tempi per il suo comune «non sono ancora maturi». La zona industriale che negli anni si è sviluppata a Sant’Antonino, e il gettito d’imposta che garantisce alle casse municipali, spingerà con ogni probabilità i cittadini del comune a preferire lo statu quo, a discapito di un’aggregazione che porterebbe il moltiplicatore attorno al 90%. Con il rischio – si ritiene ai piedi del Monte Ceneri – di veder far le valigie una parte delle società che si sono insediate nel comune. Al quasi certo rifiuto di Sant’Antonino si aggiunge – al capitolo «note dolenti» dell’aggregazione – anche il sentimento piuttosto avverso di chi teme che la grande e nuova città possa in qualche modo dimenticarsi delle singole particolarità locali e dei servizi amministrativi da garantire anche ai piccoli comuni del Bellinzonese, chiamati dal progetto aggregativo a trasformarsi nei quartieri della nascitura città. Della nuova entità istituzionale faranno parte, se i citta-

dini lo vorranno, anche comuni come Gnosca, Gorduno e Gudo – per fare alcuni tra i possibili esempi – che contano soltanto poche centinaia di abitanti. In questi nuclei il timore di finire ai margini della dinamica aggregativa sembra piuttosto diffuso. Certo, i promotori della fusione, capitanati dai sindaci di Bellinzona e Giubiasco, hanno girato in lungo e in largo la regione senza risparmiarsi nel promuovere la bontà dell’operazione. Serate pubbliche e incontri con la popolazione in cui è stato più volte detto e ribadito che il nuovo centro rimarrà attento alla nuova periferia e ai bisogno dei singoli quartieri. «La grande Bellinzona non sarà una nuova Zurigo», ha ripetuto più volte l’attuale sindaco della capitale, Mario Branda, come a dire che le dimensioni rimarranno a misura di cittadino. Ogni abitante della nuova città potrà comunque manifestare le proprie opinioni attraverso le commissioni di quartiere, organi rappresentativi pensati per convogliare e dar voce a richieste e bisogni della cittadinanza. Anche qui però non mancano i dubbi, visto che altrove, a Lugano in primis, le commissione di quartiere non sempre sono riuscite a svolgere fino in fondo il proprio compito. Altro punto critico sollevato: queste nuove en-

tità non sono nominate dai cittadini ma dal municipio della nuova città, manca dunque una rappresentatività diretta. Tornando agli aspetti finanziari, il nuovo agglomerato usufruirà di un gettito fiscale non proprio da primato, problema dovuto soprattutto allo scarso apporto in imposte delle persone giuridiche, e cioè le industrie e le società presenti nella regione. Da qui il ricorso al contributo cantonale in favore del nuovo agglomerato di 17 comuni, pari a quasi 53 milioni di franchi. A mo’ di paragone l’ultima tappa aggregativa di Lugano, con l’arrivo di sette comuni in gran parte della Val Colla, era stata sostenuta finanziariamente dalle casse cantonali con un contributo di poco superiore ai 40 milioni di franchi. 30 furono invece i milioni destinati alla nuova Locarno, se i cittadini di quella regione non avessero affossato il loro progetto di fusione comunale. Va comunque detto che nei comuni della regione il debito pubblico pro-capite si aggira attorno ai 2400 franchi, inferiore alla media cantonale di 3700 franchi. E questo basso tasso di indebitamento è di certo un vantaggio per il comune che potrebbe sbocciare il prossimo 18 ottobre. La nascita di un nuovo agglomerato non si limita però ai soli aspetti finanziari, è

e rimane soprattutto un progetto che guarda al futuro e che mira a rendere più dinamica e coesa un’intera regione. Su questo punto il Bellinzonese ha tra le sue mani due carte d’eccezione: la prossima apertura di Alptransit e il polo scientifico e sanitario, legato all’Istituto di ricerche biomediche (IRB), affiancato dall’Istituto oncologico della svizzera italiana. Trasporti e scienze della vita, questi i principali pilastri su cui poggerà la nuova Bellinzona. Un progetto che mira anche a dare all’intero Sopraceneri un nuovo dinamismo, anche per invertire la tendenza rispetto a quanto capitato nel corso degli ultimi decenni, in cui la regione ha più volte perso opportunità di sviluppo a causa proprio della frammentazione del territorio. Investimenti, molto spesso privati, finiti poi nel Sottoceneri. Il prossimo 18 ottobre, nel segreto dell’urna, non si gioca solo il destino del Bellinzonese ma anche quello di un cantone in cui le singole dinamiche regionali possano venire riequilibrate, tra Sopra e Sottoceneri. In questo senso chissà che un eventuale risultato positivo del voto all’ombra dei castelli non possa in qualche modo influire sul rilancio del discorso aggregativo del Locarnese. Ma questa è decisamente un’altra storia.

Eppure un bambino di strada di Rio de Janeiro sarebbe probabilmente felice di poter vivere la povertà in questa forma svizzera.

Penso che sia pericoloso fare un paragone del genere. Così si confonde il contesto. Ovviamente l’Unicef si concentra in primo luogo sulla povertà nei Paesi in via di sviluppo. Ma a prescindere dal fatto che si tratti dell’Africa meridionale o della Svizzera: ai figli di famiglie povere mancano le opportunità di fare nella loro vita quello che potrebbero fare se vivessero in condizioni migliori. È più difficile trasmettere questo messaggio se come termine di paragone si adotta l’evidente povertà esistente in Africa?

In Svizzera sappiamo di più sulle condizioni di vita delle mucche sovvenzionate che di quelle dei bambini. Può anche essere bello leggere quali sono le priorità della politica e dell’economia ma, come la maggior parte delle nazioni del mondo, anche la Svizzera ha firmato la Convenzione dell’ONU sui diritti dell’infanzia. Da essa derivano chiari obblighi dello Stato, per permettere a tutti i bambini di avere un’esistenza degna e la stessa certezza dei diritti, anche ai bambini sottoposti a procedura d’asilo, a profughi minorenni non accompagnati o senza documenti.

Quali sono i principali fattori di rischio in Svizzera collegati alla povertà dell’infanzia?

Samuel Trümpy

Di streghe e gatti neri Il 13 novembre torna la Notte del racconto, un evento che piace non solo ai bambini

I genitori. La loro situazione è decisiva. I fattori di rischio sono i divorzi, la disoccupazione o la tossicodipendenza. Anche l’invalidità o l’insorgere di gravi malattie possono mettere in seria difficoltà finanziaria una famiglia. Spesso si tratta di famiglie confrontate con diverse sfide, che scivolano sotto la soglia della povertà. I figli di questi nuclei familiari hanno un rischio maggiore di crescere in povertà.

Cosa possiamo fare per combattere la povertà infantile? È sufficiente regalare soldi?

Le donazioni sono importanti. C’è però un altro aspetto importante: le persone devono poter migliorare le loro condizioni economiche e per farlo ci vuole l’accesso al mercato mondiale. Non dobbiamo permettere che certi Paesi siano tagliati fuori dal mercato mondiale, tanto più che noi ne abbiamo approfittato per tanti anni.

La povertà si eredita?

Sì, lo si vede ovunque nel mondo. Specialmente se non è possibile uscirne accedendo all’istruzione. La crescente specializzazione del lavoro è un problema? Ci sono sempre meno lavori per i meno istruiti?

Sì e contemporaneamente devono sforzarsi sempre di più per garantirsi un reddito, ad esempio sono costretti a fare più di un lavoro. Questo tempo viene tolto alla vita familiare e provoca ulteriore stress. Perciò la questione più urgente è cosa fare con le persone che stentano sempre più a tenere il passo con il mercato del lavoro a causa della loro formazione.

Cosa fa l’Unicef nell’attuale crisi dei rifugiati?

I genitori soli sono particolarmente a rischio di scivolare nella povertà. Possiamo permetterci ancora di avere figli?

(sorride) Se si dovesse decidere di avere figli solo in base a criteri finanziari, ne nascerebbero sicuramente molti di meno. I bambini sono una risorsa enorme, anche se a volte assorbono le nostre energie. Non ho ancora conosciuto genitori che giudicano i loro figli troppo costosi. È interessante il confronto con altri Paesi industrializzati: in Olanda e Ungheria ci sono meno bambini che vivono in povertà relativa rispetto alla Svizzera. Probabilmente quei Paesi hanno raggiunto un miglior equilibrio. Come hanno fatto?

È fondamentale che i bambini possano crescere prima possibile nel cosiddetto gruppo dei pari. Per quelli poveri è perciò importante andare al più presto all’asilo. Questo fornisce loro la stessa preparazione didattica degli altri e grazie all’interazione con il gruppo possono sviluppare un atteggiamento sociale equivalente. Cos’altro può imparare la Svizzera dagli altri Paesi?

In Inghilterra ci sono i cosiddetti centri per le famiglie, in cui ci sono campi da gioco, asili nido, pediatri e dove ci si incontra e si discute intensamente. E soprattutto si tratta di centri aperti a tutti. In questo modo si facilita l’accesso alle famiglie povere. A nessuno piace proporsi come una famiglia con problemi, perciò sono proprio coloro che hanno più bisogno ad avere più difficoltà ad andare nei luoghi specificamente rivolti

Dirige la sezione svizzera dell’Unicef dal 1996.

a loro. Naturalmente ci sono anche nazioni che versano assegni famigliari più elevati, come ad esempio la Svezia, il Lussemburgo o la Danimarca. In quest’ultimo Paese tutte le famiglie hanno anche diritto agli asili nido gratuiti. Gran parte dei destinatari dell’assistenza sociale sono bambini e giovani. Cosa ne pensa delle nuove norme in materia?

Naturalmente esiste un’enorme pressione politica per abbassare i costi. È comprensibile che la popolazione non abbia alcuna comprensione per gli abusi dell’assistenza sociale. Danno fastidio anche a me. Tuttavia, non c’è un 90 percento di pecore nere, ma soltanto alcune. È importante che i giovani possano lavorare. È troppo facile togliere i soldi e al contempo non dare loro un’occupazione. Se si tagliano le risorse, bisogna contemporaneamente rafforzare l’integrazione professionale. L’idea che in Svizzera si possa fare tutto, basta volerlo, è molto diffusa; quindi se sei povero, è solo colpa tua. Qui da noi la vergogna per la povertà è particolarmente acuta?

La povertà è uno stigma sociale in Svizzera. Chi ne è colpito cerca di nasconderlo il meglio possibile. Non ne parla. E nel caso, lo fa con cautela, solo dopo che i problemi sono stati superati. In che misura ne soffrono i bambini?

Campagna donazioni di Migros Aiuti per i bambini svizzeri in difficoltà

Durante il periodo prenatalizio, Migros lancia una grande raccolta fondi per i bambini in situazione di difficoltà in Svizzera. I proventi delle donazioni saranno versati interamente a progetti selezionati dagli enti assistenziali Ca-

ritas, Heks/Eper, Pro Juventute e Soccorso d’inverno. Da subito è possibile sostenere la campagna con un SMS, da inviare al numero 455 con la parola chiave BAMBINI, seguita dall’importo della donazione. Ad esempio, per una donazione di 50 franchi inviate al 455 il messaggio «BAMBINI 50».

Sì, ci sono meno persone che vivono in povertà rispetto a soli 15 anni fa. In America Latina, per esempio, sono avvenuti enormi cambiamenti. Il prodotto interno lordo è aumentato in molti Stati, ad esempio in Vietnam: vent’anni fa tutto il Paese era considerato povero, mentre oggi la ripresa è visibile e percepibile. Di ciò ne approfittano anche i bambini.

triste quotidianità?

Sono convinta che un’infanzia carica di problemi possa condurre a forme poco costruttive per fronteggiare lo stress. La conseguenza è un comportamento sociale alterato, che a sua volta può manifestarsi anche in una tendenza alla dipendenza. È soddisfatta della politica in materia di povertà infantile?

Spesso i politici non realizzano che quel futuro di cui parlano continuamente è già nato. Vive sotto i nostri occhi, sono i nostri figli. Mi fa arrabbiare il fatto che non li prendano sul serio e soprattutto che non si curino di coinvolgere i bambini quando si prendono decisioni importanti che li riguardano. In questi casi, giovani e bambini potrebbero essere i migliori consiglieri.

Siamo presenti lungo tutto il tragitto dei rifugiati, al fine di garantire l’accesso a cibo e cure mediche e organizzare il ricongiungimento familiare. Si tratta di una sfida molto grande. Tuttavia, i nostri obiettivi principali in questa crisi restano la Siria e le nazioni confinanti. In Europa sono arrivati circa 107 000 bambini rifugiati, mentre in Giordania, Libano, Iraq e Turchia ce ne sono a milioni. Questi Paesi sopportano il peso maggiore, senonché per quei bambini abbiamo raccolto appena la metà dei soldi indispensabili. Nel suo lavoro lei è confrontata con molta sofferenza; come la gestisce?

Da un lato bisogna mantenere una certa distanza professionale, mentre dall’altro non bisogna rimanere indifferenti di fronte al destino dei bambini. E come ci riesce?

(sorride) Ci vuole buonumore. Bisogna però sapere con chiarezza come si può contribuire in concreto a migliorare una certa situazione. Cosa è fattibile e cosa è solo un sogno ad occhi aperti? Bisogna accettare che si tratti di un lavoro fatto di piccoli passi. Ma dopo tutti i miei viaggi, resto fiduciosa. Sono convinta che possiamo ottenere ancora molto di più. Per farlo ci vuole solidarietà e spirito di collaborazione tra tutte le nazioni. E ci vuole tempo. * Redattori di Migros Magazin

Allora la sua proposta è: i bambini al potere?

Mi basterebbe un loro coinvolgimento appropriato. Andate un giorno a spasso per Zurigo con dei bambini! Vi mostreranno esattamente dove qualcosa non funziona. Ad esempio, riguardo al traffico lento: i più piccoli hanno paura dei ciclisti non delle automobili. Sanno che devono fare attenzione alle auto, ma i ciclisti arrivano da dietro, e non si sentono. I bambini vedono i problemi in modo diverso. Hanno il diritto di essere ascoltati.

Ho il sospetto che i bambini sperimentino le ristrettezze soprattutto all’esterno. Ma recepiscono lo stress anche quando sono confrontati con mamma e papà. E a volte ne risentono anche direttamente, come quando i genitori spiegano loro che possono andare al luna-park, ma solo per mezz’ora.

Quali partiti devono recuperare di più su questo punto?

Lo studio dell’Unicef ha anche rivelato che il consumo di cannabis tra i giovani svizzeri è particolarmente elevato. Si tratta di una fuga dalla

Attualmente l’Unicef è attiva principalmente nei Paesi in via di sviluppo. Come si delinea lì la povertà infantile: ci sono miglioramenti?

Il mio appello va a tutti i partiti. Ho visto rappresentanti di partiti di destra che sono molto impegnati. E conosco rappresentanti di partiti di sinistra che non hanno assolutamente interesse per i bambini.

Unicef Impegno a favore dei bimbi del mondo

Elsbeth Müller (59 anni) dirige Unicef Svizzera dal 1996. Abita a Zurigo. L’Unicef è il Fondo per l’infanzia delle Nazioni Unite, con sede centrale a New York. È stato fondato nel 1946 e la sezione svizzera esiste dal 1959. Per l’Unicef sono oggi impegnate oltre 10’000 persone in 150 nazioni. L’Unicef si batte a favore della sopravvivenza dei bambini e del loro benessere. Tra i suoi compiti principali ci sono programmi nei campi della sanità, alimentazione, formazione e igiene, così come la protezione dei bambini dagli abusi e dallo sfruttamento. L’Unicef si finanzia grazie a contributi volontari. www.unicef.ch


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Società e Territorio

Voci notturne

Streghe e gatti neri Il 13 novembre si terrà in tutta la Svizzera la tradizionale «Notte del racconto»,

un appuntamento molto amato non solo dai bambini Letizia Bolzani Ci sono state culture che non usavano la ruota, ma non ci sono state culture che non narrassero storie. Anzi, è proprio la tensione narrativa ad essere costitutiva della cultura, la cui nascita equivale alla nascita del racconto: i grandi miti, lo sappiamo, sono fondatori di civiltà. A livello individuale, inoltre, è solo attraverso la narrazione che possiamo cogliere l’esperienza del tempo, come sottolineava il filosofo Paul Ricoeur in Temps et récit.

L’iniziativa dell’Istituto Svizzero Media e Ragazzi è nata nel 1991 e gode di un crescente successo in tutte le regioni linguistiche del Paese E, per citare un’altra auctoritas in fatto di racconto, lo psicologo Jérome Bruner ci ha resi consapevoli che è narrando che diamo forma e senso a ciò che viviamo, e che pertanto la narrazione è uno strumento indispensabile per la creazione della nostra identità. Tutto questo per dire che le storie sono essenziali, e vanno prese sul serio. Senza, non avremmo cultura e non sapremmo più chi siamo. Ben venga dunque, in una società sempre più liquida, frammentata, e dotata di tempi d’attenzione parcellizzati, una notte che onori le storie proprio come rito collettivo e comunitario. La Notte del racconto è un’iniziativa promossa dall’Istituto Svizzero Media e Ragazzi ISMR in collaborazione con Bibliomedia Svizzera e Unicef, e con il patrocinio della Presidente della Confederazione. Nata nel 1991, ha ormai al suo attivo diverse edizioni, con un crescente successo di organizzatori e di pubblico. Il concetto è semplice ed efficace: creare

Il manifesto dell’edizione 2015 della Notte del racconto è stato disegnato dall’artista Etienne Delessert.

eventi narrativi, raccontando o leggendo storie, in tutta la Svizzera, nella stessa notte. Le formule possono essere le più varie, così come le collocazioni: da quelle classiche, come le biblioteche o le aule scolastiche (che però, aperte di notte, acquistano un fascino tutto particolare), a quelle più insolite (le case private, le sale museali), a quelle en plein air (cortili, boschi, strade). «Ci sono Notti del Racconto intime all’interno di stalle – ci dice Fosca Garattini, direttrice ISMR Svizzera Italiana – e Notti che diventano invece delle vere e proprie feste di paese, intergenera-

zionali. E sono in ogni caso delle meravigliose occasioni di aggregazione della comunità». A volte si tratta di una notte vera e propria «in cui i bambini ad esempio dormono con i sacchi a pelo nelle palestre. Altre volte, per i più piccoli, si tratta delle prime ore della serata, ma già il buio, le lucine, gli allestimenti particolari rendono tutto più magico». Quest’anno poi la magia è di casa, perché il tema della Notte del Racconto 2015, che capiterà di venerdì 13 novembre, sarà «Streghe e gatti neri»: come sempre un tema ampio, che permette di scegliere generi e registri

narrativi con grande libertà. Dalle simpatiche streghette pasticcione, alle fiabe di magia, ai racconti «di paura». «Il tema viene scelto a livello nazionale – spiega Fosca Garattini – cercando di trovarne uno che vada bene per ogni regione linguistica e per tutte le età. A rotazione, per area linguistica, viene poi proposto l’illustratore del manifesto. L’anno scorso era toccato alla Svizzera Italiana, con Manuela Bieri che ha realizzato il manifesto sul “gioco”; quest’anno è la volta della Svizzera Romanda e l’illustratore è Étienne Delessert».

La fuga dal Labirinto continua... Anteprima Dal 15 ottobre nei cinema ticinesi Maze Runner - La fuga

© 2015 Twentieth Century Fox Film Corporation. All Rights Reserved

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Il film comincia esattamente dove si era concluso l’episodio precendente, Maze Runner - Il labirinto, uscito nel 2014. Dopo una lunga serie di incredibili avventure Thomas, il giovane protagonista, riesce a fuggire insieme ai suoi amici dal pericoloso labirinto che minaccia la «Radura», la loro terra. Un gruppo di uomini li fa salire in elicottero per portarli in salvo, ma… il loro atterraggio è tutt’altro che tranquillo. Vengono presi in custodia da soldati che li conducono in un bunker sotterraneo. Questo è l’inizio (inquietante) del nuovo episodio di una saga che, dopo un enorme successo in libreria, è approdata sui grandi schermi. Il labirinto è infatti un romanzo nato nel 2009 dalla fantasia dello scrittore americano James Dasher, un bestseller di successo in tutto il mondo. Il libro viene definito come un incrocio tra il Signore degli anelli, Hunger Games e Lost. A quel volume se-

guirono La fuga (2010) e un anno dopo La rivelazione. La serie di avventure descritte nella saga di Maze Runner sembrava pensata fin dall’inizio per una riduzione cinematografica. Gli ingredienti della trama sono tipici: un gruppo di giovani eroi coraggiosi tenta di sfuggire a un ambiente reso ostile dalla devastazione ecologica e tenuto sotto scacco da un potere politico dittatoriale. Per difendere la propria libertà i protagonisti iniziano un viaggio costellato da insidie in cui dovranno far ricorso a tutta la loro energia fisica e all’inventiva. E se la prima avventura si svolgeva in un labirinto di vegetazione, circondato da alte mura, in questa nuova puntata le imprese del gruppo di giovani si svolgono invece in un deserto di dune e sabbia, la «Zona Bruciata», che sarebbe in realtà il nuovo volto del nostro pianeta nel futuro.

Nelle intenzione degli autori, la storia di Maze Runner può essere interpretata come una metafora del passaggio tra adolescenza ed età adulta, con le ansie e le preoccupazioni, ma anche con l’assunzione di responsabilità, che tale cambiamento comporta. Il film è dunque in grado di catturare l’attenzione del pubblico giovane. Per ciò che riguarda la sua produzione, va detto che gran parte degli attori che hanno interpretato il primo episodio sono presenti anche in questo sequel. Tra loro il celebre interprete di Teen Wolf, Dylan O’Brien. Anche produttore e regista sono gli stessi: Wick Godfrey e Wes Ball. Il film, in cui non manca un intenso uso di effetti speciali, è stato girato nel deserto nel Nuovo Messico, nella zona di Albuquerque.

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I promotori della Svizzera italiana, ossia ISMR e Bibliomedia, sono gli unici a proporre un appuntamento fisso, sempre molto apprezzato, dedicato a chi vuole organizzare una Notte del racconto: «Nel corso della serata, che ogni anno si tiene in un luogo diverso della Svizzera Italiana, presentiamo una bibliografia di un centinaio di testi legati alla tematica e suddivisi per fascia d’età; ospitiamo un esperto di letteratura per l’infanzia che tiene una conferenza sul tema; e infine offriamo uno spettacolo come momento creativo e ricreativo. Gli organizzatori, tutti volontari, delle varie notti del racconto, escono sempre da queste serate con molte idee, motivazione ed entusiasmo». La bibliografia è scaricabile dai siti www.ismr.ch e www.bibliomedia. ch, così come tutte le informazioni per partecipare alla Notte del racconto. L’iscrizione, che scade il 21 ottobre, è libera, aperta a tutti e gratuita: iscrivendosi si riceve materiale promozionale e si dà modo ai promotori di avere un ritorno su ciò che accade in quella notte. Chi invece vuole far parte del pubblico troverà, sempre sul sito, l’elenco aggiornato dei luoghi dove potersi recare ad «ascoltare». «Negli ultimi anni al tradizionale pubblico infantile si sono aggiunti anche molti adulti e sono stati coinvolti maggiormente i ragazzi delle scuole medie» ci racconta Fosca Garattini. È un appuntamento consolidato e molto atteso, che coinvolge circa 130 postazioni nella Svizzera Italiana, tra grossi centri, paesi, valli. «Ed è uno dei molti progetti di promozione della lettura dell’Istituto Svizzero Media e Ragazzi ISMR, tra i quali ricordo il Libruco, la Biblioteca Vagabonda e la Biblioteca Vagabonda Speciale, la rivista «Il Folletto», Nati per Leggere e le altre attività visibili sul sito». Appuntamento dunque al 13 novembre, «e anche oltre, perché il piacere di raccontare e di ascoltare storie che la Notte del racconto trasmette non finisce lì, ma continua, e sarebbe bello che ognuno vivesse tutto l’anno la propria notte del racconto quotidiana!».

Gadget in palio per i nostri lettori In occasione dell’uscita in Ticino il 15 ottobre di Maze Runner - La fuga (www.mazerunner.ch), Twentieth Century Fox in collaborazione con Migros Ticino mette in palio: ■ 10 magliette ■ 10 agende di sopravvivenza ■ 10 set di autocollanti ■ Super premio: un kit di sopravvivenza. Regolamento: partecipazione riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghi concorsi promossi da «Azione» nel corso degli scorsi mesi. Per partecipare al concorso telefona allo 091 821 71 62 mercoledì 14 ottobre dalle 11.00 alle 12.00. Buona fortuna!

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 12 ottobre 2015 ¶ N. 42

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Società e Territorio

Il 143 ti ascolta anche in chat

Telefono Amico Nato negli anni Settanta il servizio di ascolto che garantisce l’anonimato

non ha perso la sua attualità e allarga le sue collaborazioni

Mostre A Rivera

fotografie e materiale didattico raccontano le scolaresche della Carvina

Stefania Hubmann Nell’era in cui siamo tutti connessi, sempre, velocemente e con il mondo intero, la solitudine pesa forse ancora di più. Anche a chi è fisicamente circondato da molte persone, può venire a mancare quel contatto umano che soddisfa il bisogno di ascolto, scambio o a volte di semplice sfogo, senza dover temere di essere giudicato. Sì, perché un’altra caratteristica della nostra società è la necessità di essere sempre al top. In caso di emergenza la soluzione può ancora essere una semplice telefonata. Basta comporre il 143, un numero di soccorso a tre cifre come quelli di ambulanza, pompieri e polizia. Risponde Telefono Amico, rassicurante e confidenziale presenza sul territorio della Svizzera italiana da quasi 45 anni, che festeggerà il prossimo anno. Di fronte a un crescente benessere materiale, il disagio individuale e sociale ha cambiato volto ma non è diminuito. Nel Ticino e Grigioni Italiano, come nel resto della Svizzera, il servizio ha visto un continuo aumento delle chiamate. Lo scorso anno la sede della Svizzera italiana ha registrato oltre 11mila colloqui di aiuto con un aumento del 3% rispetto al 2013. I volontari, colonna portante di Telefono Amico, sono formati per rispondere ai nuovi bisogni, fra i quali spiccano i problemi legati al gioco d’azzardo, e per offrire un’opportunità anche a chi predilige i nuovi mezzi di comunicazione. Dallo scorso gennaio è così stata attivata anche una chat alla quale si accede direttamente dal sito www.telefonoamico.143.ch. Nato all’inizio degli anni Settanta, quando alla parola telefono si associava solo l’immagine dell’apparecchio a filo, il servizio non ha quindi perso la sua attualità. I luoghi dove si chiacchiera in modo naturale, esprimendo in caso di malessere anche ciò che si sente dentro, tendono a scomparire. Chi chiama il 143 sa che trova ascolto e partecipazione alle proprie difficoltà con due garanzie fondamentali: l’anonimato e l’assenza di giudizio. Il servizio non offre soluzioni e non fa da tramite con enti specializzati, poiché questo non è il suo scopo. «Le persone che chiamano sono consapevoli dei nostri limiti. Non cercano una risposta facile a una situazione personale in molti casi complessa, ma hanno il bisogno immediato di raccontare il proprio disagio, di sfogare la propria rabbia o di esprimere le proprie ansie». Sintetizza così il profilo dell’appellante Luisa Reggiani, responsabile delle pubbliche relazioni di Telefono Amico. «L’ascolto è la chiave della nostra attività. Un ascolto volto

La scuola di ieri

Daniela Delmenico

Una voce amica in un momento difficile: la garantiscono i 46 volontari della sede regionale di lingua italiana. (Telefono Amico)

però ad attivare le risorse del singolo, chiamato sempre a fare il primo passo, sia che si rivolga a Telefono Amico, sia che decida di intraprendere altri percorsi per uscire dalla sua situazione di disagio. Al riguardo forniamo i recapiti dei servizi di consulenza presenti sul territorio. Il colloquio non è inoltre un passatempo, anche se siamo confrontati con una parte di appellanti che tende a chiamare regolarmente». Sono persone, precisa la nostra interlocutrice, che vivono in uno stato di equilibrio psichico precario, seguite da specialisti, ma con momenti di solitudine e ansia ricorrenti. L’anonimato e la presenza di numerosi volontari all’interno di Telefono Amico impediscono che si crei un legame personale. Questa tipologia di chiamata tende però ad aumentare ed è comune a tutta la Svizzera. Il servizio operativo nella Svizzera italiana è infatti una delle dodici sedi regionali attive sul territorio nazionale riunite nell’Associazione Svizzera del Telefono Amico. Nel 2014 quest’ultima ha registrato oltre 160mila colloqui di aiuto gestiti da 630 volontari e quasi 4500 contatti online. Proprio sulla base dell’esperienza delle sezioni della Svizzera tedesca e della Romandia, da quest’anno è stata attivata a titolo sperimentale anche nella nostra regione una linea chat a orari fissi con accesso diretto dal sito internet del 143. Al momento la chat è accessibile due ore alla settimana (il martedì sera in fasce alternate 18-20 e 20-22), registrando fino a metà settembre una sessantina di contatti. Luisa Reggiani: «L’esperienza è senz’altro positiva, anche se in

questo tipo di comunicazione manca l’aspetto emozionale legato alla voce. Considerata la caratteristica dell’anonimato, è difficile valutare la tipologia di chi scrive. Dalle informazioni fornite spontaneamente possiamo dedurre che la utilizza in prevalenza una fascia d’età giovane, fino ai 30 anni. I contenuti sono legati, come per i colloqui telefonici, soprattutto alle relazioni interpersonali». Con il resto della Svizzera Telefono Amico condivide quindi linee direttive, esperienze e alcune tematiche come la citata gestione degli appellanti abituali. L’obiettivo è di non rendere queste persone più dipendenti di quanto già non siano, anche rispetto alla linea telefonica di accoglienza. Accoglienza che nello specifico tende a mettere a dura prova la motivazione dei volontari. Un’altra caratteristica dell’ascolto da parte di Telefono Amico è la mancanza d’informazioni sul seguito della conversazione. «Non sappiamo come vanno a finire le storie», precisa Luisa Reggiani. «Non sappiamo se l’appellante compie ulteriori passi e in quale direzione. Se richiama troverà un’altra volontaria o un altro volontario. È la nostra regola di salvaguardia dell’anonimato e nel contempo una ricchezza nella misura in cui permette di offrire approcci diversi». Molteplici anche i motivi delle telefonate. Da un lato si constata, ad esempio, l’aumento del numero di chiamate da parte di uomini con difficoltà di carattere professionale, specchio dell’evoluzione del mondo del lavoro, dall’altro di chi ha problemi con

il gioco d’azzardo. Nel corso degli anni Telefono Amico ha instaurato due importanti collaborazioni con il Cantone, per quanto riguarda la Legge in aiuto alle vittime di reato e per la prevenzione del gioco patologico. Da quest’anno si è intensificata l’attività su questo fronte, rispondendo 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno anche al numero verde gratuito 0800 000 330 del Gruppo Azzardo Ticino-prevenzione (GAT-P). Essendo sempre attivo, il servizio permette di meglio cogliere l’attimo del bisogno rispetto alla prima esperienza del gruppo specialistico, limitata a due ore al giorno. Nei primi nove mesi dell’anno è già stata raggiunta la quota di 60 chiamate, pari a quanto totalizzato in precedenza sull’arco di un anno intero. A telefonare sono soprattutto familiari e persone dipendenti che chiedono informazioni sulle modalità di auto-diffida dalle case da gioco. I volontari, formati all’ascolto, sono stati in questo caso ulteriormente istruiti. Nella sede regionale di lingua italiana sono 46. Un corso di formazione di base è partito il mese scorso, ma si è sempre alla ricerca di nuove leve disposte ad assumere turni diurni di quattro ore e notturni di otto. L’intervistata sottolinea come si tratti di una forma di volontariato particolare, adatta a chi è disposto a lavorare dietro le quinte senza un riscontro diretto del suo operato. I volontari di Telefono Amico prestano però un prezioso servizio pubblico riconosciuto dalle autorità. Come affermano i suoi responsabili, il 143 rappresenta infatti il pronto soccorso dell’anima.

mira ad essere un hub del giornalismo digitale di domani. Qui sorge anche la sede e la redazione del settimanale «die Zeit», di cui indirettamente in questi giorni si è tornati a parlare grazie a Wolfgang Blau, direttore della testata online del settimanale dal 2008 al 2013, che nel 2011 ha ricevuto l’Online Journalism Award, diventando così la prima redazione tedesca ad aggiudicarsi questo premio rinomato internazionale. Un giornalismo e una strategia digitali vincenti, dunque, che il tedesco Wolfgang Blau ha potuto anche esportare diventando prima direttore dei contenuti digitali del «Guardian» e poi, la nomina è di questi giorni, responsabile dello sviluppo digitale di Condé Nast. Ma torniamo alla conferenza. Tenutasi dal 5 al 7 ottobre l’evento della World Association of Newspapers ha

chiamato al rafforzamento dei valori fondanti dei media di informazione indipendenti e ad una lungimiranza per lo sviluppo di news companies nell’era digitale. «Siamo qui per imparare ad utilizzare al meglio gli straordinari strumenti che sono nelle nostre mani oggi. Siamo qui anche per creare visioni future, fare previsioni su come sarà il giornalismo tra dieci o vent’anni», ha detto Marcelo Rech, Presidente del World Editors Forum aggiungendo: «soprattutto siamo qui per preservare l’integrità giornalistica delle nostre redazioni e la libertà di espressione». Pensando allo scenario svizzero di questi giorni, alla notizia dei tagli della SRG e dei possibili 49 posti di lavoro in meno alla RSI, quelle di Marcelo Rech sono parole cariche di peso e di significato e indicano, an-

L’evoluzione e i cambiamenti avvenuti nella scuola ticinese nell’arco di un trentennio stanno al centro della mostra inaugurata il 3 ottobre a Rivera, dal titolo Nel novero della scuola, cenni di storia dell’Istituzione scolastica nei nostri Comuni attraverso fotografie e materiale didattico, organizzata dalla Commissione cultura del Comune di Monteceneri. Giorgia Masoni, una delle curatrici della mostra, spiega che «l’esposizione propone una serie di fotografie di scolaresche degli ex Comuni di Bironico, Camignolo, Medeglia, Rivera e Sigirino – ora Monteceneri – e di Isone e Mezzovico-Vira scattate fra il 1920-1950. A queste immagini si affianca una serie di manuali scolastici, registri e quaderni appartenenti alla stessa epoca». La mostra nasce dall’intento di celebrare il nuovo Istituto scolastico dell’Alto Vedeggio, ma, come spiega Giorgia Masoni, «anche dalla volontà di valorizzare la storia della scuola di questa valle, inserendola nel più recente sviluppo storiografico cantonale segnato dalla nuova pubblicazione di Storia della scuola ticinese (N. Valsangiacomo, M. Marcacci (ed.) Per tutti e per ciascuno. La scuola pubblica nel Cantone Ticino dall’Ottocento ai giorni nostri, Locarno, Dadò editore, 2015) e dalla recente valorizzazione di materiali audiovisivi nell’ambito della ricerca storica». Oltre a far rivivere una parte importante della memoria della valle Carvina e, al contempo, dello stesso Cantone, questa mostra ha la capacità di accompagnare il visitatore in un viaggio personale. La scuola è stata ed è, infatti, per tutti uno dei primi luoghi di sociabilità e delle prime esperienze di confronto con l’altro. Le fotografie delle classi, delle aule, le pagine dei quaderni scritti a mano, così come i racconti proposti nei manuali esposti, consentono così al visitatore di tornare con la mente ai propri anni di scuola: alle prime amicizie, ai primi scontri, ai compiti a casa, ai momenti di ricreazione e a quelle ore di lezione che sembravano non passare mai. Dove e quando

La mostra, che si svolge presso la Casa dei Landfogti a Rivera, resterà aperta fino al 31 ottobre, tutti i venerdì dalle 17.00 alle 19.00 e i sabati e le domeniche dalle 14.00 alle 17.00.

La società connessa di Natascha Fioretti Da Amburgo a Monaco storie di giornalismo digitale

Settimana scorsa ad Amburgo in occasione del World Publishing Expo si sono incontrati i professionisti dei media di tutto il mondo. Non Berlino, non Francoforte o Colonia, la World Association of Newspapers and News Publishers ha scelto la città che si affaccia sul Mare del Nord per un buon motivo: è il luogo in Germania in cui il settore della stampa vanta la maggiore offerta di prodotti e di aziende del settore, in 10’000 qui lavorano per giornale e magazine e 20’000 sono le persone attive nella pubblicità e nel design. Non per niente Amburgo è anche la seconda città più popolosa della Germania ed è anche la città non-capitale più popolosa dell’Unione europea. Non per niente qui c’è la Hamburg Media School impegnata

a fornire un’educazione giornalistica all’avanguardia per formare i giornalisti del 21esimo secolo. Sempre qui è nata anche l’iniziativa Nextmedia Hamburg promossa dal ministero della città in collaborazione con le imprese del territorio (più di 650) che si propone di promuovere una discussione ed un confronto attorno a tre principali temi: Social Media, Storytelling e Crossmedia. Lo scopo è quello di gettare ponti tra i cosiddetti «old media» e i «new media» indagando i cambiamenti in atto grazie alla digitalizzazione. Una collaborazione tra pubblico e privato nata nel 1997 con lo scopo di sostenere lo sviluppo della metropoli mediatica di Amburgo incentivando la conoscenza e l’utilizzo delle nuove tecnologie applicate al campo dell’informazione e della comunicazione. Una città dunque che

cora una volta, che la strada è quella dell’innovazione e del cambiamento. A questo proposito, sempre dalla Germania ma questa volta da Monaco, arriva l’interessante progetto di Karsten Lohmeyer e Stephan Goldmann, due giovani giornalisti che hanno lasciato i loro posti di lavoro per dedicarsi al proprio progetto: www.lousypennies.de. Il nome – Pidocchiosi Penny – ci indica qual è lo scopo del sito di informazione: riflettere su come guadagnare online facendo del buon giornalismo. Può sembrare banale ma non lo è: Lousy Pennies è una piattaforma dedicata che mette insieme due parole chiave del giornalismo digitale del nostro tempo: qualità e guadagno. Tante le questioni che solleva, dalla cultura a pagamento in Rete a quanto guadagna un giornalista con i suoi contributi online. Leggere per credere.


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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Un manuale educativo Seguo, un po’ divertito, le polemiche scoppiate di recente all’annuncio della pubblicazione, da parte del DECS, di un manuale di educazione alla sessualità e all’affettività per gli allievi della scuola media. Io ho frequentato le scuole in tempi in cui anche solo accennare ad atti sessuali sarebbe stata una trasgressione inammissibile; ora mi è difficile non sorridere pensando a come, nell’arco di non molti decenni, sono cambiati i tempi, la moralità, i codici di comportamento. Ricordo che, quando ancora frequentavo il liceo, un giorno si lesse in aula un sonetto del Petrarca, quello che inizia col famosissimo verso: «Chiare, fresche e dolci acque…». Già il fatto che l’angelica Laura immergesse le «belle membra» in quella fresca fonte evocava fantasie un po’ trasgressive; ma quando poi si giunse ai versi «erba e fior, che la gonna leggiadra ricoverse co’ l’angelico seno», l’insegnante si affrettò a spie-

garci, con qualche imbarazzo, che qui il termine «seno» non alludeva affatto a una parte anatomica, ma, secondo l’etimologia latina, indicava i ghirigori, le insenature che le pieghe e l’orlo della veste disegnavano sul prato fiorito. Quanto poi alla masturbazione, che in questo manuale occupa un cospicuo capitolo, l’unico che un tempo ne parlasse era un sacerdote, quando ammoniva gli adolescenti che quell’atto osceno, oltre a costituire peccato mortale, causava cecità, balbuzie e varie altre patologie degenerative. Già: un’ignoranza superstiziosa si mescolava ancora abbondantemente con la convinzione religiosa. Nella città italiana dove sono cresciuto, c’è ancor oggi un pregevole e antico convento di monache; non molti anni fa, il vescovo locale decise di far installare un bidè in ciascuna cella, così che si potesse provvedere meglio all’igiene personale. Apriti cielo! Le poche suore rimaste

in quel convento insorsero vivamente. Ma come?! Era sempre stato detto loro di non toccarsi, per carità!, se non volevano finire all’inferno; e adesso si vedevano spedire all’inferno per ordine dell’autorità ecclesiastica! Dunque, nell’ambito della morale sessuale il cambiamento è stato radicale – per certi versi un vero e proprio capovolgimento. E il nuovo manuale del DECS rappresenta davvero i tempi nostri e l’atteggiamento d’oggi verso la sessualità: vi si trovano meticolosamente e correttamente trattati, con rigorosa nomenclatura scientifica, tutti gli aspetti della tematica, dalla minuziosa descrizione degli apparati genitali maschile e femminile, al processo di fecondazione dell’ovulo da parte dello spermatozoo; dalla masturbazione all’omosessualità – maschile e femminile; dai dolori mestruali agli opportuni accorgimenti igienici nella pulizia delle parti intime. Insomma, un pano-

rama esaustivo che non occulta nulla: tutto molto esplicito, nulla di osceno. Una cosa che trovo pregevole, in questo nuovo manuale, è che la sua lettura richiede una buona competenza linguistica: i termini tecnici e il linguaggio usato – pur non essendo cosa da specialisti – richiedono un’adeguata capacità di lettura. Ora, per quel che ne so, molti (troppi) allievi della scuola media dispongono di un lessico decisamente misero e non se la cavano gran che bene nella lettura (anche a prescindere dai dislessici in costante aumento). C’è dunque da sperare che questo manuale, suscitando la voglia di sollevare il velo del mistero, induca molti a perfezionare la competenza linguistica per addentrarsi nel testo. Ammesso, beninteso, che curiosità e mistero rimangano ancora, e che ragazzine e ragazzini non abbiano già provveduto personalmente a sollevare il velo, o praticamente, o via internet.

E, anche, a condizione che il manuale sia usato per davvero: il che non è affatto detto. Nel volume uscito di recente, Per tutti e per ciascuno, che ripercorre la storia della scuola ticinese, il bel capitolo scritto da Rosario Talarico è dedicato all’educazione igienica e sessuale; ebbene, vi si legge che un primo manuale di educazione sessuale fu pubblicato per volontà dell’allora DPE nel 1977. Ma vi fu una tale opposizione che quel manuale non venne mai distribuito «e le 10’000 copie rimasero depositate nei magazzini della casa editrice». Ora che i tempi sono cambiati, non si potevano recuperare quelle 10’000 copie? Evidentemente no, perché da allora sono passati quasi quarant’anni e nel frattempo la sessualità deve aver fatto passi da gigante; al contrario, evidentemente, di molte mentalità. Vedremo dunque se il nuovo manuale farà la stessa fine del suo antenato.

Lugano è qualcosa, ma la fila di alpi innevate laggiù, in una splendida giornata d’inizio ottobre come questa, lascia a bocca aperta. Soprattutto identificando Monte Rosa e Cervino. Eppure per me la sorpresa è il minigolf quissotto. Meravigliose rampe oggi sconclusionate ricoperte di muschio che neanche un tempio maya. 1954: il primo minigolf codificato a diciotto buche apre ad Ascona, su disegno di Paul Bogni; perciò questo minigolf risale di sicuro a dopo la metà degli anni Cinquanta. A quanto pare il Violet viene costruito intorno agli anni Trenta e abbandonato negli anni Ottanta. La fine dell’attrattiva funicolare (1907-1977) che da Santa Margherita, in faccia alla dogana di Gandria, portava in diciotto minuti al Belvedere di Lanzo, segna un po’ il declino di questa località di villeggiatura. Il Belvedere di Lanzo, va detto, è il nome innanzitutto della zona, in particolare del punto panoramico non lontano da qui, dove arrivava la funicolare e c’è un piazzale

con ancora un hotel e un bar. Mentre il Belvedere di Fogazzaro e Violet – in realtà una pittrice amatoriale americana di nome Ellen Starbuck – secondo le mie ricerche, sorgeva proprio qui accanto. Il maestoso Grand Hotel Belvedere, gestito dalla famiglia Camenzind che aveva anche l’ex Hotel Bristol di Lugano, viene demolito durante la prima guerra mondiale. Nonostante l’inquietante sgocciolìo interno e alcuni rumori, per amor di cronaca, entro nell’Hotel Violet di Lanzo d’Intelvi (895 m). Su un muro, un pentacolo rovesciato; esco subito. Di spalle vedo, all’ultimo piano, una camera con ancora le tende. Ai tavolini del bar Buffa, sullo spiazzo dell’ex funicolare dove la vista è ancora più pazzesca, sorseggio un cappuccino. La signora del bar dice che il Violet non lo venderanno mai e che anche l’Hotel Funicolare Tesoro qui accanto, aperto ma sempre vuoto, un tempo si chiamava Belvedere. Là nel bosco intanto spunta l’ultimo piano del Violet.

piuttosto, di una scelta di vita che ha alle spalle una voglia di cambiamento, il rifiuto della comodità, delle abitudini. E ha ormai creato, nel cittadino delle nostre democrazie, la convinzione di esercitare un diritto acquisito: sfidare il pericolo, ma dovutamente protetto. Lo Stato sarà chiamato a intervenire per trarlo d’impiccio. Come, effettivamente, succede in forme diverse, e spesso difficili. Pagando, appunto, riscatti, avviando trattative con partner suscettibili, inviando soccorsi in zone impervie. E tutto ciò sotto gli occhi di un’opinione pubblica più che mai sensibile al tema dei costi. In verità si giustifica il dubbio che, in certi casi, l’incidente era evitabile o prevedibile. Viene in mente la spedizione italo-ticinese, partita alla ricerca dell’arca di Noè, finita nelle mani del PKK, e riportata a casa a spese della Confederazione. Quali ne erano, veramente, le motivazioni? Obiettivo storico-culturale o sfizio fantasioso? Non è sempre facile stabilire una linea

di demarcazione netta fra rischio legittimato da uno scopo utile e rischio fine a sé stesso. In proposito, si registrano valutazioni contrastanti. Mentre, gli operatori di «Medici senza frontiere» dimostrano un’indiscussa utilità, accettata da tutti, i reporter al fronte sembrano invece inseguire una fama mediatica ben retribuita. In quanto a motivazioni, il discorso si allarga, del resto, a tutta la folta categoria dei volontari. Perché s’impegnano in attività, non pagate, e sempre più esigenti, sul piano delle conoscenze e della continuità? Indubbiamente, come emerge dagli studi in materia, anche il volontario ricava dallo svolgimento delle sue mansioni sentimenti di soddisfazione. Un tempo, quando il movimento volontaristico era gestito dalla chiesa, si puntava sul rapporto colpa-espiazione. Faccio del bene per farmi perdonare il male. Oggi, la psicologia vede nel volontario una componente narcisistica. Altruismo ed egoismo, affiancati.

A due passi di Oliver Scharpf L’Hotel Villa Violet a Lanzo d’Intelvi L’Hotel Villa Violet spunta nell’ultima colonna di un avvincente articolo apparso su questo settimanale il sette agosto di tredici anni fa. A firma di Alessandro Zanoli: Sui luoghi di un Fogazzaro minore. Il nostro redattore cerca in «una ricognizione geografica-narrativa sul terreno» l’Hotel Belvedere – luogo dove è ambientato in parte il romanzo indigesto già dal titolo: Il mistero del poeta (1888), di Fogazzaro appunto – e ne trova un altro, abbandonato: il Violet. Il Belvedere Zanoli lo trova «ma non emana un particolare fascino romanzesco» però poi, a pochi passi dal Belvedere, scopre dei cartelli che indicano la sorprendente presenza dell’Hotel Violet. Ben più letterario del primo visto che Violet Yves è il personaggio femminile del libro. Una cagionevole giovane inglese sposata, ospite dello stesso albergo dell’io narrante e della quale s’innamora. Metto la vespa nei posteggi vuoti dell’Hotel Belvedere: anonimo albergo giallastro mica tanto dell’Ottocento

con nessuna vista, se non nel nome. A meno che il belvedere non sia l’altopiano di Lanzo, habitat ideale di vecchie ville eclettiche e liberty dimenticate da un pezzo. Lanzo come Faido: i milanesi-Belle Époque non vengono più. Dall’altra parte della strada c’è una via Fogazzaro che porta a un agriturismo; svoltando a sinistra incontro una via Goldoni che è curiosamente un sentiero. Là tra i pini, la dépendance del Violet dove si legge Bar, Ristorante, Minigolf, a 50 m. Non c’è più nessun cartello a indicare il Violet, ma la riconosco dalle foto pubblicate sul sito di un’agenzia immobiliare di Sondrio che lo mette in vendita per due milioni di euro. Solo dei sigilli di plastica con su scritto pericolo amianto scocciati attorno a un palo del cancello turchese. Passo da un varco nella ramina e sfilo accanto alla casa dove ci sono scritte spray di dubbio interesse. Interessante è invece il lungo viale alberato ricoperto di foglie morte. Ed eccolo il Violet, attorno al

quale girano voci di sette sataniche, orge, fantasmi. Quattro piani color cappuccino slavato in mezzo al bosco con granparte delle finestre sventrate, a parte alcune con le imposte anche color turchese. Dello stesso colore, un po’ il leitmotiv del posto, dovevano essere le ringhiere dei balconcini in ferro battuto ormai arrugginite che compiono sinuosi zig zag. È l’unico elemento liberty rimasto. Le finestre al primo piano sono murate come pure l’entrata principale, dove due colonne di granito sostengono un balcone più grande degli altri, al primo piano, dove sopra, si legge ancora in maiuscolo: Villa Violet. Le uniche lettere in rilievo sopravvissute, sempre color turchese, sono la V, la I e la E di Violet. Formano così la parola vie sotto la quale qualcuno ha sprayato una battuta non fulminante. Tralasciando le altre solite scritte d’amore, odio, e sesso, una andrebbe repertoriata: trovati una strada su cui correre. Vado sul terrazzo di cotto colonizzato da erbacce varie, la vista sul Ceresio e

Mode e modi di Luciana Caglio Quando l’altruismo diventa una trappola È ricomparsa, negli ultimi giorni, la foto di Greta e Vanessa (qui a lato), le operatrici sociali italiane sequestrate dalle milizie islamiche, in Siria, e scattata il 15 gennaio scorso, al loro rientro in patria, dopo 150 giorni di prigionia. A ridare attualità all’episodio è, una volta ancora, il sospetto, forse non infondato, che la liberazione sia costata al governo di Roma 11 milioni di euro. Riaprendo così la delicata controversia sul pagamento di un riscatto con cui si salva una vita umana ma, in pari tempo, si finanzia l’autore del reato, e in questo caso una banda di terroristi. Al di là delle polemiche d’ordine politico e diplomatico, la vicenda di queste due ragazze, partite dal vicino e tranquillo Varesotto alla volta della lontana e insidiosa Siria, solleva interrogativi, che vengono spontanei. E ai quali, risponde proprio quella foto. Forza impareggiabile dell’immagine: sedute accanto al ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, Greta e Vanessa, rivelano

imbarazzo e smarrimento, sembrano quasi volersi nascondere. Come se, finalmente, si rendessero conto di avere affrontato una cosa ben più grande di loro, guidate da uno slancio umanitario, che può diventare una trappola. In cui, del resto, erano già finite altre ragazze, simili a loro, generose, curiose, incasinate. Così, dovevano essere, le due cooperanti bergamasche, rapite una

decina d’anni fa in Iraq, e rese famose dal sarcasmo di Vittorio Feltri, che le aveva chiamate «Vispe Terese». Con la raccomandazione, poi, di scegliere un luogo più accessibile dove fare del bene. La Val Brembana, per esempio, che è a due passi. Un’ovvietà, se si vuole. Il bisogno, in forme diverse, si manifesta anche nelle nostre più strette vicinanze. C’è sempre materiale a disposizione dell’altruismo. Basta non chiudere gli occhi. E, qui, si tocca un aspetto particolare dello spirito umanitario che, non di rado, coincide anche con lo spirito d’avventura. O disavventura che sia, il passo è breve. Non si tratta, sia chiaro, di una prerogativa prettamente giovanile. Certo, l’esuberanza e la spensieratezza dei vent’anni hanno la loro parte. Ma, e lo dimostra ormai un’abbondante casistica, la decisione di espatriare in paesi a rischio, per dedicarsi a una buona causa, umanitaria, professionale o culturale, non è questione di età. Si tratta,


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Ambiente e Benessere Tra le montagne del Canada Dal diario di Daisy un viaggio immersi nella natura di parchi nazionali isolati e poco battuti

La moda del Selfie Stick La pratica dell’autoritratto, destinato soprattutto a rimpolpare i propri profili sui social network, è la nuova usanza dei viaggiatori del nuovo millennio

Nuovo passaporto per cani Sistemi di sicurezza aggiuntivi nel rinnovato documento per animali da compagnia

Escursioni fuori porta A Lucca le storiche mura di cinta, riprendono vita facendosi… calpestare

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Ginecologia e prima età Medicina Una specializzazione pediatrica

in campo ginecologico, con una mano tesa alla delicata fascia d’età della crescita – Un servizio offerto dall’Ospedale regionale di Lugano dal 2012

Maria Grazia Buletti «Ci occupiamo delle problematiche ginecologiche connesse alla prima età, dal primo giorno di vita fino all’adolescenza di bambine, ragazze e giovani donne». All’Ospedale Regionale di Lugano (ORL) incontriamo la dottoressa Elisabetta Ferrucci, caposervizio del reparto di Pediatria e specializzata in ginecologia pediatrica: una disciplina ginecologica che implica la collaborazione di più figure mediche e funge da utile riferimento per la salute delle giovanissime. «Affrontare questa materia completamente nuova è stata una sfida che ha preso avvio nell’aprile del 2012. All’epoca iniziammo con consultazioni minime: quattro bimbe in media per due volte al mese; oggi le visite si sono moltiplicate e durante tutta la settimana mi occupo prevalentemente dei temi ginecologici, unitamente al comparto dell’adolescente femmina e di tutte le problematiche ad esso legate». La dottoressa Ferrucci spiega così la necessità di comporre un servizio specifico di ginecologia pediatrica. Periodicamente il servizio si avvale anche del supporto della dottoressa Francesca Navratil, ginecologa pediatrica zurighese di grandissima esperienza. «In medicina l’adolescente è una grande sfida; tuttavia questa è un’età che non trova uno specialista dedicato ed è un po’ “una terra di nessuno”: si tratta di pazienti troppo grandi perché vadano dal pediatra, però troppo giovani per essere sempre a loro agio con i medici di famiglia», racconta la nostra interlocutrice. I medici pediatri dell’ORL hanno altresì riflettuto sul fatto che nell’età dell’adolescenza i giovani sviluppano una certa difficoltà nell’accettazione di genere del proprio curante di riferimento: «È frequente che i maschi provino disagio nell’incontrare una pediatra donna, mentre le giovani non sono a proprio agio di fronte a un pediatra uomo». Nasce da qui il senso profondo di formare specialisti dedicati solo a una particolare fascia d’età, dove l’interlocutore medico donna farà sentire maggiormente a proprio agio le piccole e giovani pazienti: «Ci occupiamo delle bambine dal primo giorno di vita, continuando a seguire giovani adolescenti fino ai 16 anni d’età; in qualche

caso, su richiesta delle pazienti, si va avanti anche fino ai 18 anni quando esse vengono comunque indirizzate ai ginecologi». Un campo d’azione molto vasto che chiediamo alla dottoressa Ferrucci di contestualizzare e riassumere: «Nelle bimbe molto piccole possiamo confrontarci con problematiche di carattere malformativo o legate prevalentemente alla carenza di ormoni: tutto ciò che in una bambina riguarda la sfera genitale e i piccoli o grandi problemi che a questa sono legati». L’approccio cambia con la crescita: «Più avanti, per citare alcuni esempi, incontriamo giovani adolescenti con ciclo mestruale irregolare o doloroso, con un ciclo mestruale che non arriva o che d’improvviso scompare, fino all’età in cui entrano in considerazione gli aspetti legati al fatto che le adolescenti si affacciano all’età fertile e, crescendo, si trovano ad affrontare anche tematiche relative alla propria sessualità». La dottoressa Ferrucci osserva che oggigiorno Internet è sì una risorsa, tuttavia vi si trovano frequentemente anche indicazioni e concetti inesatti e distorti che risultano persino fuorvianti e pericolosi per le giovani. Per questo è necessario fornire un supporto specialistico: «Il nostro intento è rispondere in modo preciso, puntuale e personalizzato a ogni genere di domanda». Il ventaglio delle consultazioni comprende anche il triste capitolo degli abusi, siano essi supposti o reali, che oggi, racconta la dottoressa, non sembra siano aumentati rispetto a un tempo, ma si constata nelle mamme maggiore coraggio nel rivolgersi a un servizio come questo. «Già da una decina di anni è attivo presso la pediatria di Lugano il GIMI (ndr: Gruppo interdisciplinare per maltrattamenti infantili), una struttura unica in tutto il cantone, composta da un gruppo di specialisti che si avvale di psicologhe, pedopsichiatra, pediatri e, quando si tratta di presunti abusi della sfera sessuale, noi ginecologi pediatri». La dottoressa tocca l’importante aspetto della multidisciplinarietà: «Nello specifico degli abusi è ancora più importante potersi confrontare, individuare insieme il procedere più idoneo al caso, perché in queste difficili situazioni il gruppo fa la differenza nella presa a carico e dà sostegno ai sin-

Elisabetta Ferrucci, caposervizio all’ORL del reparto di Pediatria e specializzata in ginecologia pediatrica. (Stefano Spinelli)

goli curanti coinvolti». Oltre al campo degli abusi, il ginecologo pediatra è un medico che comunque lavora in équipe: «È fondamentale il rapporto con l’endocrinologo, con gli psicologi e gli psichiatri e con i radiologi, tanto per citare alcune specialità che entrano in considerazione secondo il singolo caso, anche se spesso il primo punto di riferimento rimane il pediatra curante che conosce la propria piccola paziente già dalla nascita ed è quello che ne ha la visione più completa e dettagliata». A questo proposito, con la nascita della ginecologia pediatrica all’ORL i pediatri sul territorio sono stati orientati, già nel 2013 attraverso un ciclo d’incontri a tema, sul suo campo d’a-

zione e sulla collaborazione multidisciplinare, a tutto beneficio della presa a carico di ogni paziente: «Una grossa fetta delle problematiche che affrontiamo è già stata valutata dal pediatra e questo è fondamentale per una presa a carico mirata ed efficace». Entrano in considerazione, secondo pertinenza, anche altre figure mediche, compreso il chirurgo pediatrico (quando si tratti ad esempio di problemi su base malformativa). Fondamentale è inoltre il confronto con i ginecologi: «Parliamo di ragazze più grandi, con problematiche di competenza prettamente ginecologica che emergono in adolescenza, e che possono necessitare di un referente chirurgi-

co o di una presa a carico che duri tutta la vita. Ad esempio è il caso (raro, ma possibile nella giovanissima) dell’endometriosi», malattia cronica e complessa che può limitare fortemente la vita della paziente. «Si stima che tra l’esordio dei sintomi addominali e la diagnosi di endometriosi possano passare anche sette anni durante i quali chi ne soffre è gravemente condizionato e ha una scadente qualità della vita». Un consulto specialistico dalla ginecologa pediatra permette, in tutti questi casi, di focalizzare in modo puntuale le problematiche specifiche legate all’età e di trovarvi prima possibile la migliore cura, a beneficio delle piccole e giovani pazienti.


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Canada: le montagne rocciose Il diario di Daisy Laghi dal colore turchese, ghiacciai e cime innevate

Daisy Gilardini, testo e foto Tutto è pronto, la macchina è carica con il necessario per le prossime due settimane: tenda, materassini, sacchi a pelo, provviste e naturalmente equipaggiamento fotografico. Da Vancouver ci dirigiamo a Nord verso le montagne rocciose che con un’estensione di 4830 chilometri – dalla Colombia Britannica in Canada fino al Nuovo Messico negli Stati Uniti – sono una delle maggiori catene montuose del Nord America.

Tra le gemme preziose del Parco nazionale di Yoho si trovano due incantevoli laghi alpini: l’Emerald e l’O’Hara Prima tappa il Parco Nazionale di Yoho, il più piccolo tra i parchi maggiormente famosi della zona ma anche il più bello e selvaggio. Tra le sue gemme preziose troviamo due tra i più incantevoli laghetti alpini: l’Emerald Lake e il Lake O’Hara. Come suggerisce il nome, l’Eme-

rald Lake è di colore smeraldo ed essendo il più accessibile dei due laghi è anche il più frequentato. Nonostante la nostra meta sia il Lake O’Hara, non possiamo non fermarci a esplorare. Optiamo per un giro in canoa. Il colore dell’acqua è estremamente invitante ma la mano si ritrae veloce al gelido tatto. In lontananza udiamo il canto di una strolaga maggiore: il richiamo selvaggio di madre natura.

Dopo la remata ci sgranchiamo le gambe seguendo il sentiero che in un’ora fa il giro del lago. Rientriamo all’imbrunire con il chiarore della luna riflessa nell’acqua smeraldo. Il Lake O’Hara si nasconde tra le vette innevate a un’altitudine di 2115 ms/lm ed è accessibile unicamente tramite il servizio navetta del Parco che bisogna riservare con ampio anticipo. Sono le sei di mattina e siamo i primi a salire sul bus. Con noi, solo le provviste e l’equipaggiamento per cinque giorni. Il campeggio è organizzato in modo impeccabile. I posti tenda sono sparsi nella foresta e sono tutti distanziati in modo da poter godere della propria privacy. In comune si dividono i bagni, una capannina per cucinare e gli armadietti – naturalmente a prova di orso! – dove conservare il cibo. Piantiamo la tenda e poco dopo siamo in partenza. Dal campo base si ha solo l’imbarazzo della scelta: 2.8 km Lake O’Hara, 6.4 km Lake Oesa, 5.9 km Opabin Plateau, 8 km McArthur Pass, 7 km Linda e Morning glory Lakes… solo per citarne alcuni. Vero e proprio paradiso per gli escursionisti questo piccolo parco racchiude lo spirito delle montagne

rocciose: riservatezza e magnifica bellezza. Dopo qualche giorno d’isolamento assoluto torniamo su vie più battute. Numerose sono le gemme da scoprire nei Parchi Nazionali di Banff e Jasper lungo la famosissima Icefields Parkway in Alberta. Da non perdere assolutamente i magnifici turchesi, Lake Louise, Lake Moraine, Bow Lake, Pyeto Lake, Vermillion Lakes e Maligne Lake attorno ai quali, durante i periodi autunnali, la vegetazione si tinge di colori sgargianti. Dopo le notti trascorse nell’umida tenda, l’invito a trascorrere qualche giorno nello storico Simpson’s NumTi-Jah Lodge come artisti in residenza è una stupenda novella. Il magnifico lodge sulle rive del lago Bow è stato costruito nel lontano 1950 e da allora poco è cambiato. L’atmosfera dei pionieri dell’epoca è ancora presente e le serate attorno al fuoco sono allietate da prelibate pietanze. Ci alziamo e usciamo ancora nel buio. L’aria pungente sul viso ci sveglia e lo spettacolo comincia. Un timido chiarore appare all’orizzonte e presto il cielo si tinge di rosso, riflesso nella calma del lago, lo scatto è perfetto. I

primi raggi baciano i colori delle foglie autunnali ricoperte di gelo, e la nebbia appare sul lago avvolgendo il lodge in una soffice coperta. Le luci all’interno si accendono e presto il profumo del pane fresco dal forno raggiunge la spiaggia. La giornata comincia. Dall’alba al tramonto esploriamo i numerosi sentieri alla scoperta di cascate e laghetti in compagnia di pica (piccolo roditore che sembra un grosso criceto), scoiattoli striati, capre delle nevi e pecore bighorn.

Consigli di viaggio Durante il periodo estivo da metà giugno a fine agosto, considerando il grosso afflusso turistico, è consigliabile riservare l’alloggio (anche in tenda e campeggi). In settembre il turismo cala ma è una delle stagioni più belle per visitare le montagne rocciose. I colori autunnali sono magnifici e in altitudine si possono avere le prime nevicate che rendono il paesaggio ancora più fotogenico.



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Ritratto con turista

Viaggiatori d’Occidente La nuova moda dei selfie rafforza il legame tra viaggio e tecnologia

Pisa: scacco alla torre Bussole Inviti a

letture per viaggiare

Claudio Visentin Cos’hanno in comune Disneyland, la Città proibita di Pechino, il Metropolitan Museum of Art di New York, il Museo Van Gogh di Amsterdam, la National Gallery di Londra, la Reggia di Versailles e la Cappella Sistina di Roma? Recentemente tutte queste prestigiose istituzioni culturali hanno proibito ai loro visitatori l’uso dei selfie stick, i bastoni di metallo telescopici ai quali si collega il proprio smartphone per scattarsi un selfie. La scelta è dettata soprattutto da ragioni di sicurezza e in parte dal desiderio di non infastidire gli altri visitatori con questi ingombranti arnesi.

Attenzione: l’impulso troppo immediato a condividere un’esperienza ci distrae dall’esperienza stessa Da quando furono inventati nel 2014 per scattare un selfie da una distanza maggiore e con un’angolazione più ampia di quella consentita dalla lunghezza del braccio, i selfie stick si sono diffusi ovunque con rapidità straordinaria: chiunque abbia viaggiato di recente lo avrà inevitabilmente notato. Il successo del selfie stick è naturalmente un corollario di quello del selfie stesso. La pratica dell’autoritratto destinato ai social network ha cominciato a diffondersi nel nuovo millennio, specie dopo il 2010, quando Apple introdusse la fotocamera frontale sull’iPhone4; ma solo negli ultimi anni la sua crescita è diventata esponenziale, inondando siti di condivisione come Instagram e Facebook. Il 2013 può essere considerato l’anno della definitiva affermazione del selfie: non a caso proprio allora l’Oxford Dictionary scelse selfie come nuova parola dell’anno 2013. Se alcune grandi attrazioni turistiche scoraggiano i selfie nei loro spazi, altri sono invece ben felici di incoraggiare la nuova moda. Molti alberghi per esempio prestano o regalano i selfie stick ai loro clienti e premiano quelli che postano autoritratti di momenti felici con la struttura sullo sfondo, per l’evidente effetto promozionale – oltretutto gratuito – di queste immagini. La diffusione dei selfie nel suo piccolo mostra quanto le nuove tecnologie abbiano trasformato il viaggio, forse più di ogni altro aspetto della società globale. Questa nuova moda può essere

Due turiste armate di selfie stick all’interno dell’Abbazia di Mont-Saint-Michel. (Ma.Ma.)

letta in positivo. I viaggiatori contemporanei fuggono da esperienze preconfezionate, vogliono fare nuove scoperte, emozionarsi, uscire dall’ordinario; e quando questo avviene vogliono documentarlo immediatamente sui social network, postando le portate della cena in un ristorante di tendenza, le vetrine dei negozi alla moda nelle grandi capitali, l’immagine di una spiaggia immacolata, l’incontro con i nativi ecc. Naturalmente anche la vanità ha un suo peso, tanto che il selfie stick è stato definito «lo scettro di Dioniso». Ci sono però anche aspetti negativi. Il viaggio è sempre stato un momento di distacco dal luogo e dalla società di provenienza, da tutti quei legami che ci definiscono ma al tempo stesso ci limitano. Sino a pochi anni fa, quando anche una semplice telefonata internazionale era una faccenda complicata e costosa, l’impossibilità pratica di contattare un viaggiatore prima del suo ritorno gli garantiva spazi di libertà molto ampi, dove mettere in gioco

la propria identità e sperimentare altre possibili vite. Oggi invece la diffusione capillare del WiFi in alberghi, ristoranti e bar soddisfa sin troppo il nostro desiderio di essere sempre connessi; la password per accedere alla rete è la prima richiesta dei turisti al loro arrivo. Ma l’impulso troppo immediato a condividere un’esperienza ci distrae dall’esperienza stessa: ancora non l’abbiamo veramente vissuta, fatta nostra, e già ragioniamo in termini di hashtag e follower, pensiamo a stupire i nostri contatti, immaginiamo lo sguardo ammirato e un poco invidioso di amici e conoscenti. Il selfie in sé può essere innocente, ma contribuisce a creare una cultura dell’eterno presente, della simultaneità tra chi parte e chi resta. Lo smartphone si interpone tra noi e la realtà, tutte le esperienze vengono fatte passare sul suo schermo piuttosto che attraverso i nostri occhi. Anche le riviste e i siti di viaggio sembrano aver assorbito questo approccio quando offrono liste da pro-

vare – «Venticinque angoli di Roma», «Dieci luoghi segreti di New York», ecc. – per poi spuntarle quasi fossero una lista della spesa. In questo modo però l’esperienza del viaggio si spezzetta in tanti momenti isolati per adattarsi al formato richiesto dai social network, e così facendo rischia di impoverirsi e banalizzarsi. La velocità della condivisione, per creazioni destinate a uno sguardo superficiale e frettoloso, diventa più importante della qualità delle immagini; la ricerca dello stupore si sostituisce allo sforzo di comprendere e raccontare un altro Paese. Nel dicembre 2013, Turkish Airlines diffuse quella che è stata considerata da molti la migliore pubblicità degli ultimi dieci anni. Nel video la star della pallacanestro Kobe Bryant e il famoso calciatore Lionel Messi si sfidano a colpi di selfie ai quattro angoli del pianeta, viaggiando freneticamente nel tentativo di superarsi con mete sempre nuove e fotografie sorprendenti. È una profezia del futuro del viaggio?

«L’idea di questa guida ce l’ho da molto tempo. Io, infatti, per molto tempo ho abitato nel quartiere di Sant’Antonio, e per andare all’università attraversavo l’Arno sul ponte Solferino. Quotidianamente. E, quotidianamente, vedevo mandrie di turisti attraversare il ponte. Turisti di tutte le specie – americani in pantaloncini con due autobotti di lardo al posto delle gambe, giapponesi mingherlini a coppie o a frotte, tedeschi in libera uscita con una lattina di birra in mano e otto in corpo – che attraversavano il ponte che li portava verso il Fatidico Obiettivo. La Torre…» Forse se il campanile più famoso del mondo fosse diritto, cioè se fosse stato costruito appena come si deve, pochi conoscerebbero Pisa. Infatti degli oltre due milioni di turisti che ogni anno visitano la città è tanto se uno su dieci si allontana da Piazza dei miracoli, dove può farsi scattare la foto di rito mentre finge di sostenere la torre (i cosiddetti Pisa pushers, le cui prodezze spopolano in rete). Nella loro innocente ossessione, i turisti ignorano ogni altro aspetto della città toscana; anche che ci sono altri due monumenti inclinati, il campanile di San Nicola e la torre campanaria della chiesa di San Michele degli Scalzi, quest’ultima persino più storta della Torre per eccellenza. Con un tono colloquiale e spesso divertente Marco Malvaldi ripercorre luoghi e aneddoti di Pisa, mescolando al racconto impressioni e ricordi personali, senza pretese di completezza né di realizzare una guida tradizionale: c’è la repubblica marinara con la sua imponente storia medioevale, la tradizione di una città universitaria dove gli studenti sono metà della popolazione, i locali e le passeggiate lungo l’Arno ormai prossimo al mare, combinati in un libriccino che vorrebbe piacere proprio a tutti, anche ai vicini livornesi, che dei pisani sono implacabili rivali. Ma forse questo è pretendere troppo… Bibliografia

Marco Malvaldi, Scacco alla torre, Laterza, 2015, pp.112, € 12

La strategia di Fibonacci Giochi matematici Il matematico pisano è passato alla storia per aver studiato una serie numerica

dalle caratteristiche particolari, che può essere utilizzata per alcuni giochi vengono detti numeri di Fibonacci (sinteticamente: F) e si ritrovano nei contesti più disparati (anatomia, botanica, economia, musica, arte figurativa, ecc.). Spuntano anche nella strategia vincente del seguente gioco. 1. Si dispone sul tavolo una certa quantità di pedine. 2. Il giocatore che effettua la prima mossa può togliere quante pedine vuole, ma non tutte. 3. Successivamente, al proprio turno, ciascun giocatore può togliere un numero di pedine a piacere, purché non superi il doppio di quelle appena prese dall’avversario. 4. Vince chi riesce a prendere l’ultima pedina. Se il giocatore si turno ha di fronte un numero N di pedine diverso da un

F, può compiere la seguente mossa vincente: ■ scompone mentalmente il numero N in una somma di F diversi tra loro, non consecutivi; ■ preleva un numero di pedine uguale al più piccolo F così determinato. Ad esempio, se N = 20, può calcolare: 20 = 13+5+2 e togliere 2 pedine. Non è molto semplice spiegare perché, ma questo particolare tipo di mossa impedisce all’avversario di compierne una analoga e, ripetuta correttamente, porta alla vittoria finale. Se, invece, il numero di pedine sul tavolo coincide con un F, il giocatore di turno può solo effettuare una mossa a caso, sperando in bene… Provate a verificare che ogni numero intero ≠ F può essere ottenuto

come somma di una serie di F diversi tra loro e non consecutivi.

Soluzione

Nel 1202, il celebre matematico Leonardo Fibonacci scrisse il Liber abaci, un ampio trattato di aritmetica e algebra, contenente anche interessanti quesiti di carattere ricreativo, come il seguente. Supponiamo che una coppia di conigli adulti sia allevata in una conigliera, ammettiamo che i conigli comincino a proliferare al compimento di due mesi generando, poi, una coppia maschio-femmina alla fine di ogni mese successivo. Se nessuno dei conigli muore, quanti conigli si troveranno nella conigliera al termine di 12 mesi (ovvero all’inizio del 13° mese)? Per risolvere questo problema, è necessario notare che: ■ il totale delle coppie presenti all’i-

nizio di ogni mese, si ottiene sommando la quantità di nuove coppie a quella del mese precedente; ■ la quantità di nuove coppie è esattamente uguale a quella di due mesi prima (ogni coppia, infatti, è in grado di generarne una nuova, solo dopo due mesi). Alla luce di queste due osservazione, è possibile individuare la quantità di coppie presenti all’inizio di ogni mese, ponendo i primi due termini uguali a 1, e ricavando ognuno dei successivi, dalla somma dei due che lo precedono, come qui di seguito indicato: 1; 1; 2 (1+1); 3 (2+1); 5 (3+2); 8 (5+3); 13 (8+5); 21 (13+8); 34 (21+13); 55 (34+21); 89 (55+34); 144 (89+55); 233 (144+89)… I termini così determinati (1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233…)

Per prima cosa, bisogna osservare che, se la regola in questione vale per tutti i numeri interi, compresi tra 1 e un generico Fn, allora vale anche per tutti quelli compresi tra i due F successivi (Fn+1 e Fn+2); infatti, è possibile aggiungere a Fn+1 tutti i valori compresi tra 1 e Fn. La regola vale sicuramente per i numeri interi compresi tra 1 e 5; infatti (evidenziando tra parentesi tutti gli eventuali F), si può notare che: (1), (2), (3), 4 = 3+1, (5); di conseguenza (iterando il procedimento prima descritto), possiamo affermare che la regola in questione vale per tutti i numeri interi. In particolare, per i numeri compresi tra 8 e 13, si ha: (8), 9 = 8+1, 10 = 8+2, 11 = 8+3, 12 = 8+3+1, (13).

Ennio Peres


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Documenti, prego Mondoanimale Il nuovo passaporto per animali da compagnia, in vigore da quest’anno, è in linea

con le direttive dell’UE a garanzia della correttezza di quanto certificato. Un altro cambiamento rilevante concerne l’attuale sezione VIII inerente il «Trattamento delle zecche»: «Con la denominazione “Altri trattamenti contro i parassiti” è prevista una sezione più approfondita». L’Usav invita a conservare per tre anni il numero del passaporto con il codice alfanumerico e la zona in cui si trovano il microchip o il tatuaggio, come pure nome e contatto del proprietario. Si tratta di cambiamenti che, oltre ad allinearsi con le norme UE, contribuiscono alla sicurezza, alla salute e al migliore controllo dei nostri animali da compagnia, come pure di quelli importati o che transitano nell’UE e in Svizzera. Obbligatorio da quest’anno, i veterinari possono ordinare il nuovo passaporto presso l’Usav. Parliamo di veterinari, poiché l’Usav puntualizza: «Il passaporto per animali da compagnia può essere emesso soltanto da veterinari con l’autorizzazione cantonale all’esercizio della professione e dai veterinari assunti presso una persona con tale autorizzazione». Questo perché la Confederazione è l’unico ente preposto a trasmettere i passaporti non ancora compilati e lo fa soltanto per i veterinari i cui nomi sono registrati insieme al numero di documenti emessi: «La verifica dell’autorizzazione avviene tramite la rispettiva registrazione nel registro delle professioni mediche (MedReg)».

Maria Grazia Buletti Tutti gli animali che accompagnano il proprio padrone oltre i confini della Svizzera devono avere il passaporto per animali da compagnia. Da anni, questo documento ha sostituito sia l’attestato d’identificazione dell’animale sia il certificato di vaccinazione necessari per viaggiare in Europa e ha il vantaggio di rimanere valido per tutta la vita del nostro migliore amico.

L’Usav rende attenti gli utenti sul fatto che i passaporti emessi fino al 29 dicembre 2014 rimangono validi A proposito di transito, importazione ed esportazione di animali da compagnia, l’Unione Europea detta precise regole che non sono però applicate in tutti i Paesi. Per questo, il consiglio è di informarsi sempre e con un certo anticipo presso il proprio veterinario o le autorità competenti del Paese di destinazione al momento in cui si decide di recarsi in una nuova località. A proposito delle norme che regolano gli spostamenti degli animali da compagnia, e in linea con le modifiche del regolamento europeo per la loro importazione, esportazione e transito, a inizio 2015 l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (Usav) ha sostituito il vecchio passaporto per gli animali da compagnia svizzeri con una sua nuova versione aggiornata. Il nuovo passaporto per cani, gatti e furetti contiene sistemi di sicurezza aggiuntivi, è stampato direttamente dalla Confederazione e da metà dello scorso mese di novembre è distribuito online. A tal proposito, l’Usav rende attenti gli utenti sul fatto che i passaporti emessi fino al 29 dicembre 2014 rimangono validi e non dovranno essere rinnovati. Procedendo con ordine, vediamo quali sono le novità che l’ufficio preposto ha introdotto con questo rinnovamento: «Ora, oltre all’importazione, l’Ordinanza disciplina anche transito ed esportazione di animali da compagnia». L’Usav indica che sono cambiate anche le disposizioni sull’antirabbica: «Ora una vaccinazione primaria è riconosciuta unicamente se è stata somministrata all’animale a partire dall’età di 12 set-

Attenti al Bassotto! Il nuovo passaporto per cani, gatti e furetti rispetta anche le regole dell’Unione Europea. (Keystone)

timane. Inoltre, se si dispone di una dichiarazione scritta del proprietario, è possibile importare cuccioli non vaccinati di età non superiore a 12 settimane e cuccioli vaccinati di età non superiore alle 16 settimane prima della scadenza del termine di attesa di 21 giorni». L’Ufficio federale di veterinaria si allinea in tal modo alle disposizioni del nuovo regolamento UE sugli animali da compagnia e specifica espressamente di essere responsabile della produzione e della distribuzione dei nuovi passaporti che nell’aspetto resteranno invariati

al precedente, ad eccezione di alcuni elementi grafici nuovi. Per quanto attiene all’emissione e ai contenuti, invece, l’Usav elenca i diversi cambiamenti ed esorta i veterinari a tenerne conto, a cominciare dall’obbligo di verifica del microchip prima di procedere alla vaccinazione: «Occorre verificare se l’animale è contrassegnato correttamente o se prima è necessario inserire il microchip; va in seguito vaccinato e infine devono essere correttamente compilati i rispettivi campi nel passaporto firmato dal pro-

prietario». L’Usav invita poi a indicare «se l’animale è stato contrassegnato tramite tatuaggio prima del 3 luglio 2011», chiedendo altresì di sigillare con un film autoadesivo trasparente per laminazione la pagina con le informazioni sull’identificazione dell’animale perché «è necessario che queste non vengano cambiate o contraffatte». Naturalmente, devono essere correttamente indicati anche nome, cognome e contatto del veterinario che ha emesso il documento, così come pure la sua firma deve essere apposta

Tutti noi pensiamo che i cani più pericolosi siano quelli di razze grandi e massicce, come ad esempio i Pitbull o i Doberman, per citarne solo un paio. Invece, uno studio dell’Università americana della Pennsylvania ha dimostrato che i cani che attaccano maggiormente l’uomo sono proprio i simpatici Bassotti. «Focus Junior», che spiega nel dettaglio la notizia di questa ricerca, riporta che in pratica il 6% dei Bassotti esaminati dagli studiosi aveva morso o tentato di mordere addirittura i loro proprietari e ben il 20% lo aveva fatto verso estranei. I Pitbull? Stracciati! Con appena il 2% (verso i proprietari)e il 7% (contro gli estranei) di morsi, o tentativi di morso! I Pitbull sono risultati sì più aggressivi, ma solo nei confronti degli altri cani.

Un banano nano e resistente al freddo Mondoverde Un albero dal portamento piramidale ancora poco conosciuto

Anita Negretti Qualche settimana fa, girovagando in una fiera di piante, mi sono imbattuta in un bell’esemplare di una pianta rigogliosa e carica di gustosi frutti dall’aspetto esotico. Avevo solo un vago ricordo del nome, che probabilmente mi era rimasto impresso nella memoria mentre consultavo qualche opera botanica. Si trattava dell’Asimina triloba, della famiglia delle Anonaceae, originaria dell’America settentrionale. Questa pianta non risulta essere una vera novità, visto che sono ormai trascorsi vari decenni dalla sua introduzione in Europa, ma è ancora poco conosciuta, non sempre viene citata nelle enciclopedie e nella letteratura orticola e solo sporadicamente la si trova in qualche giardino.

Si presenta come un albero di piccole dimensioni e ha un portamento piramidale; le foglie, verde intenso, diventano gialle prima di cadere in autunno. La

capacità di spogliarsi sul finire dell’estate conferma la buona resistenza al freddo dell’Asimina, che riesce a sopportare picchi di temperature fino a -30°C.

I frutti dell’Asimina triloba.

I frutti maturano a fine settembre o ai primi di ottobre; hanno la buccia verde che si riempie di macchioline, come accade per le banane. Maturando cadono a terra e si possono mangiare subito o dopo qualche giorno, quando diventano ancora più molli. Solitari, o riuniti in piccoli gruppetti, hanno una forma oblunga ed irregolare, pesano 50-70 grammi e hanno una buccia sottile che racchiude la polpa tenera, burrosa e saporitissima. Ricchi di magnesio e potassio hanno un sapore che ricorda quello dell’avocado, ma hanno la caratteristica di contenere meno grassi; all’interno della polpa si nascondono 2 o 3 grossi semi, dalla forma appiattita e dal color nero. Questa bella pianta decorativa, che si sviluppa come un alberello di 2-3 metri d’altezza, ha una crescita lenta

nei nostri climi e la fruttificazione inizia solo dopo 7-8 anni dall’impianto. L’Asimina triloba ha bisogno di spazio, poiché le sue radici sono a fittone, cioè scendono in profondità ed è consigliabile piantarla in piena terra, scegliendo posizioni soleggiate, terreni freschi, profondi e molto ricchi di humus. Si propaga facilmente interrandone i semi e inoltre non richiede potature, se non quelle di contenimento in inverno su esemplari adulti. Per quanto riguarda le innaffiature, si regola autonomamente con l’acqua piovana e con qualche nostro intervento nei periodi più siccitosi. Il mio consiglio è di acquistarne una appena vi è possibile, facendo vostra questa inusuale pianta da frutto decorativa.


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Ambiente e Benessere

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Lucca e le mura che si muovono Escursioni L’antica cittadina toscana,

un esempio di come anche delle mura possano diventare fulcro vitale

Elia Stampanoni Lucca è una città della Toscana a pochi chilometri da Firenze, Pisa o Siena. Raggiungerla in treno è già una bell’esperienza, dato che l’unico treno che vi arriva, da Firenze, si ferma in almeno una quindicina di frazioni, rendendo l’avvicinamento alla città una sorta di pellegrinaggio. Ma le rotaie sono anche il metodo più adatto per visitare Lucca, poiché all’interno delle mura di cinta, la città è off limits per le auto, o perlomeno per quelle dei turisti. Una zona «a transito limitato» definisce infatti un confine oltre il quale il pedone è padrone. Gli indigeni, qualche privilegio, l’hanno però mantenuto ed è quindi sempre meglio prestare attenzione nell’attraversare le strade. La via pedonale, con un divieto assoluto di circolazione, è invece di pieno dominio delle persone appiedate o dotate di bicicletta. Girare nella cittadina diventa allora una vera pacchia: immersi tra le vie della città ci si può perdere seguendo il fiume di gente, costeggiando abitazioni o edifici storici, transitando da musei, mostre, chiese o altri luoghi d’interesse. Non mancano negozi, cioccolaterie, pasticcerie, pizzerie e tante altre opportunità che rendono questa città un luogo privilegiato e interessante. La sera, terminato il lavoro, la gente del posto si riversa in strada, su un muretto o in un bar davanti a un buon caffè, aggregandosi ai turisti o ai pensionati, che quella posizione già la occupavano durante il giorno. Ma il fulcro di Lucca non è solamente il brulicare delle genti nel centro cittadino. Salendo sulla Torre dei Guinigi, dopo 230 scalini, si può per esempio osservare tutta la città dall’alto dei suoi 45 metri. La torre medioevale è caratteristica per il giardino e per le piante che crescono proprio in cima,

da dove si intravvedono anche le mura che circondano Lucca e che un tempo difendevano la città. Mai coinvolte in eventi bellici, furono erette nella forma attuale nel 1513, rinforzando le mura medioevali preesistenti. Dopo 137 anni l’opera fu completata e garantì pace e tranquillità alla Repubblica, fino all’arrivo di Napoleone. Le mura sono oggi una strada pedonale, una via sempre in movimento che scorre sulla cinta. Si sviluppano su 4,2 chilometri e una volta raggiunte ci si trova tra una folla di gente, persone che corrono, che camminano, che pedalano, che passeggiano con il cane (rigorosamente al guinzaglio) o che semplicemente s’incontrano. Le mura sono come una palestra all’aria aperta per gli abitanti di Lucca. Un vero toccasana per molti che nelle mura trovano le condizioni e gli stimoli ideali per muoversi. C’è chi corre il mattino presto prima di andare al lavoro, chi a mezzogiorno e chi alla sera. Ma gente in movimento, in un senso o nell’altro, se ne incontra sempre. Spesso anche i turisti si tuffano in quest’avventura sulle mura che, assieme alla Torre dei Guinigi o al festival del Fumetto (Lucca Comics), sono «un segno distintivo della città», come dicono e scrivono i lucchesi. Chi va a Lucca almeno un tratto del Giro delle mura dovrebbe farlo ed è anche possibile – e sfruttato – il noleggio delle biciclette per affrontare il periplo. In sella, ma anche a piedi ci si può immettere sul largo viale alberato, delimitato a destra e sinistra da grandi piante. Tutti girano in tondo e all’interno si possono ammirare le bellezze della città da un’altra prospettiva, mentre all’esterno dominano i prati e la periferia di Lucca, dove il traffico riprende il sopravvento. Ma qui sulle mura i lucchesi hanno saputo difendere uno spazio per muoversi, uno spazio pregiato, di cui ne sono molto fieri.

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Ambiente e Benessere

Nutrire l’Impero Mostra All’Ara Pacis della capitale italiana la storia dell’alimentazione da Roma e Pompei,

a fare da contraltare antico all’Expo 2015 di Milano Blanche Greco Cosa mangiavano gli antichi romani? Di cosa erano ghiotti? In che quantità e da dove arrivavano le derrate alimentari della Roma Imperiale che, dal 27 a.C al 337 d.C, divenne una metropoli di circa un milione di abitanti, a capo di un Impero che contava una popolazione stimata attorno ai sessanta milioni di persone? A questi e molti altri quesiti interessanti, risponde con dovizia di particolari e tanti oggetti curiosi e preziosi, la bella mostra presente al Museo dell’Ara Pacis a Roma, «Nutrire l’Impero. Storie di Alimentazione da Roma e Pompei», che si chiuderà il 15 novembre prossimo e che fa da degno contraltare, antico, all’Expo 2015.

Ogni romano, maschio, adulto e residente, riceveva tutti i mesi a titolo gratuito, cinque moggi di grano (35 kg) «Nutrire l’Impero» racconta il mondo dell’alimentazione in età imperiale, quando la «globalizzazione dei consumi» avveniva già intorno al bacino del Mediterraneo. E lo fa raggruppando in un’unica mostra, le molteplici scoperte archeologiche, spesso disseminate in vari musei; e mettendo insieme le tante storie che riguardano la Roma antica, ma anche Ercolano e Pompei: usi e co-

stumi, commerci, case e suppellettili, filosofia di vita, per comporre un unico grande e affascinante affresco che ci rivela come gli antichi romani fossero più vicini a noi di quanto non si pensi. Il fabbisogno alimentare, la cosiddetta «annona» di Roma (una complessa e ben organizzata istituzione statale), era cura e responsabilità diretta dell’Imperatore. Infatti nutrire la città, una tale concentrazione di persone, per lui voleva dire anche mantenere ben saldo il rapporto con il suo popolo poiché ogni cittadino romano, maschio, adulto e residente, faceva parte della «plebe frumentaria» e ogni mese riceveva, a titolo gratuito, cinque moggi di grano (circa trentacinque chili), sufficienti per il sostentamento individuale. Era questo un «diritto del popolo dominante» –riservato a circa duecentomila persone, secondo quanto fissato da Augusto – e comportava l’importazione di quasi ottantaquattromila tonnellate di grano all’anno. Ma se si prende in considerazione l’intera città e i suoi consumi, si stima che i rifornimenti di grano per la popolazione dovessero oscillare tra le trecentocinquantamila e le quattrocentoventimila tonnellate di grano all’anno, che si traduce in un grande via vai di navi. Imbarcazioni, come raccontano le varie carte geografiche in mostra e i ritrovamenti dell’archeologia subacquea, che all’inizio arrivavano dall’Africa, dalla Sicilia e dalla Sardegna, mentre durante l’alto impero – quando il «tributo granario» gravava sull’Egitto e sull’Africa – da Tunisia, Algeria e Libia.

Bassorilievo in marmo con pollivendola, prima metà del III secolo d.C.

Le grandi navi dell’antichità, di cui vediamo i modellini e che oggi ci sembrano piccoli gusci, attraccavano ad Ostia, oppure nei porti della costa, sino a Napoli, e le merci, trasferite su imbarcazioni più piccole arrivavano in città attraverso una rete di canali e di strade. I carichi più importanti risalivano il Tevere sino al cuore di Roma, dove ogni anno giungevano anche duecentosessantamila anfore d’olio, del peso di novanta chili l’una; e almeno un milione e seicentomila ettolitri di vino, senza contare il pesce salato, le lenticchie, i ceci, i fagioli, ma anche aceto, birra, olive, frutta secca, legumi, miele e garum, una salsa di pesce salata, di cui i romani erano ghiotti e che facevano arrivare in grande quantità dalla Penisola Iberica e dalla Tunisia, anche se la più prelibata era quella di Pompei. Il Monte dei Cocci, nel quartiere di Testaccio, oggi caro ai romani, è un’antica discarica di anfore, principalmente

olearie e di garum, provenienti dalla Spagna e dall’Africa e scaricate nel vicino porto sul Tevere di Emporium (dove c’erano anche molti magazzini). Qui, una volta svuotate venivano rotte e accatastate. La collina, visitabile, è alta cinquantaquattro metri, ha la circonferenza di un chilometro ed è composta di circa venticinque milioni di anfore, i cui pezzi erano ordinatamente impilati e periodicamente irrorati di calce per evitare spiacevoli effluvi. Ma le anfore, di diverse fogge e dimensioni a seconda della provincia di provenienza, erano anche i «documenti di viaggio» delle merci spedite, come dimostra un’anforetta in mostra, poiché recavano bolli e incisioni, nonché scritte a pennello che ne certificavano il genere, la quantità, la proprietà, l’identità del trasportatore, il tipo di pagamento, il porto di partenza e la data di consegna, ma anche la qualità del carico spedito. Per evitare frodi, infatti, se la merce era grano, ne conteneva

un campione, e tutto il carico doveva essere dello stesso tipo. Ma la mostra «Nutrire l’Impero» è anche uno spaccato della vita e del costume dell’epoca. Due statuette di terracotta, ad esempio, ci presentano i saccarii, ovvero i facchini che scaricavano il grano: la tunica corta senza maniche; un’alta cintura a mo’ di bustino; un lembo di stoffa da tenere sulla spalla sotto al sacco e una sorta di «turbante» per portare i pesi in equilibrio sulla testa. Mentre da alcuni bassorilievi, vediamo com’erano i negozi di alimentari e verdure per il popolo delle grandi città, le popinae, che avevano anche un fornello per cucinare le vivande e delle stanze per incontri occasionali. Il ceto abbiente invece consumava i pasti nei raffinati triclinia – raffigurati negli affreschi pompeiani – sale da pranzo con lettini da banchetto e delicato vasellame in vetro colorato, bronzo, o ceramica; o servizi da tavola in argento, come il sorprendente e raffinato «Tesoro di Moregine», (Pompei) a lungo esposto al Metropolitan Museum di New York. Infine, agio e ghiottoneria, o l’eccentricità di una cucina romana antica, come raccontata da alcune ricette di Apicio, si abbinano in mostra a due preziose coppe di Boscoreale decorate con scheletri danzanti, e a un piccolo scheletro d’argento, come quello che Trimalcione esibiva nel Satirycon di Fellini, e che, nell’antica Roma, i gaudenti ponevano sul tavolo dei banchetti per ricordare, malgrado le libagioni, la brevità della vita. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Seppie ripiene alle verdure e alle erbe Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 300 g di verdure, ad esempio zucchine, finocchi · 1 mazzetto di cipollotti · 1 mazzetto d’erbe, ad esempio origano, timo · 4 cucchiai di pinoli · 6 cucchiai d’olio d’oliva · 150 g di pangrattato · 1 uovo · 1 cucchiaino di sale · pepe dal macinapepe · 12 seppie eviscerate di circa 120 g · 20 g di burro · 500 g di pomodori ramati · 3 spicchi d’aglio · 1 dl di vino rosso

Un esemplare gratuito si può richiedere a: telefono 0848 877 869* fax 062 724 35 71 www.saison.ch * tariffa normale L’abbonamento annuale a Cucina di Stagione, 12 numeri, costa solo 39.– franchi.

1. Tagliate le verdure a dadini piccoli. Dimezzate i cipollotti per il lungo e tagliateli a pezzettini fini. Mettete da parte qualche erbetta per guarnire e tritate il resto. Fate soffriggere le verdure, i cipollotti e i pinoli nella metà dell’olio per circa 2 minuti. Trasferite in una scodella e lasciate intiepidire un po’. Aggiungete il pangrattato, l’uovo, le erbe e il sale. Mescolate bene e condite con il pepe. 2. Scaldate il forno a 180 °C. Farcite le seppie con la mistura di pangrattato e verdure. Distribuite il burro a pezzetti sulle seppie. Tagliate i pomodori a dadi, l’aglio a fettine. Scaldate l’olio rimasto in una brasiera e soffriggetevi brevemente l’aglio. Aggiungete i pomodori e il vino e portate a ebollizione. Accomodate le seppie sui pomodori e continuate la cottura al centro del forno per circa 50 minuti. Condite la salsa con sale e pepe. Guarnite con le erbe messe da parte e servite le seppie. Preparazione: circa 20 minuti + cottura in forno circa 50 minuti. Per persona: circa 80 g di proteine, 30 g di grassi, 44 g di carboidrati, 3300

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Ambiente e Benessere

Sempre in attesa delle «stelle» Sportivamente Hockey su ghiaccio e calcio ancora al centro delle discussioni

Alcide Bernasconi Dietro le quinte e nei corridoi degli stadi, è successo più volte che mi chiedessero, molto gentilmente – al contrario di quanto accadeva un tempo, quando l’usanza, del resto ancora attuale, era quella di aggredire i giornalisti – un parere che si dice sempre spassionato. «Ti che ta set un tecnic…» (si chiede di non ridere, perché trattasi solo di una forma di cortesia, chiaramente esagerata, rivolta ormai a un vecchio portatore di cronache) precede sempre la domanda a cui il non tecnico – quale sono – non sa dare risposte appropriate. Tuttavia, qualsiasi cosa si dica, senza dimenticare la dovuta cautela, va sempre bene, visto che si tratta del parere di un tecnic. Succede alla Resega come alla Valascia, mentre allo stadio di calcio i più ignorano che il ragazzo di un tempo aveva iniziato con la pratica del calcio quale sport di squadra, all’oratorio o sui campetti di periferia. Del resto nel calcio sono tutti dei tecnic, nelle discussioni al bar, dal barbiere e allo stadio, in attesa della partita.

Il pubblico resiste, pur con qualche flessione quando mancano i risultati e il gioco langue Del resto, quella di pontificare nel commento di ogni tipo di disciplina sportiva, è un’abitudine molto diffusa. Alzi la mano – come si dice – chi non ha mai conosciuto qualcuno che sapesse tutto di motociclismo, formula uno, ciclismo, ippica, atletica leggera, basket, pallavolo, e naturalmente di calcio e hockey, le discipline che alimentano le grandi passioni sportive dei ticinesi. Naturalmente questi tecnic a tut-

Ambrì, 18 settembre 2015: esultanza a fine partita, dopo il derby tra HC Ambrì Piotta e HC Lugano. (CdT Crinari)

to campo sanno disquisire anche delle gare con casse di sapone, le piccole formule uno pilotate dai ragazzini, che non abbisognano né di benzina né di elettricità per sfrecciare in gara, bensì solo di una discesa che fa da… motore. L’abilità sta dunque nella guida. Ma i tecnic potranno dirvi molto di più. Zeman è l’allenatore ideale per il Football Club Lugano? «Che ne so – rispondo – chiedetelo al presidente bianconero Renzetti che finora stravede per il “suo” tecnico (termine in questo caso non usurpato)». Per i giocatori non ce n’è un altro meglio di lui, per la loro squadra. Del resto essi si battono per scendere in campo e le loro risposte sono un po’ «politiche». E il Lugano di hockey, di Patrick Fischer? È sulla strada giusta? Ha tutti i giocatori dalla sua parte? Dopo un paio

di partite giocate come si deve, ancora non si è visto – pensiamo – il vero volto della squadra. Le prodezze dei singoli, finora, hanno determinato i risultati più probanti. Pensiamo al portiere Merzlikins, il quale ha convinto nelle ultime partite il suo allenatore più di quanto non abbia fatto nelle prime Manzato. E ricordiamo la spettacolare tripletta di Hofmann, che nella prima metà del primo tempo contro la capolista Fribourg aveva acceso la Resega come non accadeva da tempo. Giocoforza le nostre impressioni si fermano a una settimana fa, per via dei tempi di chiusura del giornale, ancora attendendo che si esprimano al meglio gli svedesi Tony Martensson, Fredrik Pattersson e Linus Klasen, nonché il finlandese Ilari Filppula. Stessa storia ad Ambrì, dove la

squadra, al contrario però, si è inceppata sul più bello dopo un avvio promettente di questa prima parte del campionato. Il pubblico accorre alla pista ancora con entusiasmo e i giocatori biancoblù avvertono la spinta dei tifosi. Tuttavia i leventinesi hanno mostrato finora del buono e meno buono. L’allenatore Pelletier ha provato a fare la voce grossa, anche con osservazioni pertinenti, ma il complesso ha evidenziato sbalzi di rendimento per via di alcuni uomini a rischio. Se il portiere Sandro Zurkirchen, pur con qualche esitazione di troppo in qualche gara, non si discute (è nettamente il migliore nel suo ruolo), la squadra fatica a trovare il suo miglior assetto possibile. Soddisfacenti per contro i due stranieri portati dalla KHL dal direttore sportivo Zanatta, il difensore finlan-

dese Mikko Mäenpää (incomprensibili a volte certe sue mosse azzardate nel proprio terzo di difesa) e l’attaccante canadese Cory Emmerton hanno permesso di dimenticare due acquisti deludenti della precedente stagione. In un campionato in cui si gioca a gran velocità, si sta muovendo a volte in modo sconcertante l’altro canadese Alexandre Giroux. Qualche vittoria porta la sua firma per i gol (non per il gioco espresso) ma in generale finora il suo rendimento è nettamente insufficiente. Lo diciamo perché in certe partite è letteralmente come se non ci fosse. C’è più d’un motivo perché le cose non funzionino nel modo sperato, ma è soprattutto Giroux stesso che si muove a fatica, un po’ come già accadeva nella scorsa stagione, nella quale però i gol messi a segno furono un argomento col quale egli rispose a ogni critica. Finora a lui è mancato l’apporto del miglior Inti Pestoni, con i suoi suggerimenti e le sue invenzioni. In un torneo in cui non è ancora emersa una squadra che domina in tutto e per tutto, occorre però non distrarsi e a questo proposito le sconfitte contro Langnau e Losanna sono state un eloquente campanello d’allarme per i biancoblu. L’informazione sportiva (giornali, radio, televisioni) non fanno che parlare di calcio, con doverose attenzioni pure alla Nazionale rossocrociata (dedicando spazio anche a Chiasso e Bellinzona), e di hockey, sempre ancora di grande richiamo per il pubblico con le circa cinquemila presenze su tribune e spalti a partita. Ma si chiacchiera molto e il mercato (chi partirà, chi resterà, chi arriverà) è spesso argomento preferito più del gioco stesso. Come sempre occorre anche un po’ di pazienza affinché le cose si aggiustino per cercare di ottenere le posizioni in classifica a cui puntano le due compagini ticinesi.

Giochi Cruciverba Trova il proverbio nascosto nel cruciverba, risolvendolo e leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 5, 3, 3, 6, 2, 5, 4, 3, 1, 7)

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37. L’attore Cosby 39. Nome maschile 40. Un famoso Ettore regista VERTICALI 1. Sincero 2. Aspro, pungente 3. Simbolo chimico del rodio 4. Uomo in latino 5. Nell’aereo e nella lavatrice 6. Canzoni medievali francesi 7. Preposizione 8. Si cerca quello del colpevole 9. Li eseguono le fanfare 11. In coppia con ella 14. La showgirl Yespica

Sudoku Livello difficile Scopo del gioco

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ORIZZONTALI 1. Il cacchione lo è dell’ape 5. Principali dèi della mitologia greca 10. Risuonano nelle vallate 11. Legno pregiato 12. Le iniziali dell’attrice Rohrwacher 13. Li emette l’asino 15. Il «de» olandese 17. Una figlia di Labano 19. Infossatura del polmone 20. Primo… scrittore 21. Li inventò Palamede 23. Prefisso che vuol dire naso 24. Striscia di legno sotto il materasso 25. Abbreviazione di laureato 27. Illuminano l’altare 28. È fiero della sua croce (Sigla) 29. Esprime dubbio nei fumetti 31. La Giunone dei greci 32. Persona responsabile 34. Due vocali 35. Aggregati naturali di minerali

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Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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16. Progenitore 18. Venerare 20. Il letto dei wagons 22. Comodità 23. Crescono nei terreni sassosi 24. Il «lo» tedesco 25. Assegnare, conferire 26. Vi si corre un Gran Premio 27. L’Ultima… opera di Leonardo da Vinci 28. Abita a Praga 30. L’atrio dell’hotel 32. Hanno la punta ricurva 33. I primi rudimenti 36. Poco oltre 38. Satellite di Giove

Soluzione della settimana precedente

Curiositá – Le punte: … DELLA FORCHETTA SI CHIAMANO REBBI D A V A N Z A L E

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Politica e Economia Merkel in affanno Lo scandalo Volkswagen e la crisi dei migranti indeboliscono il ruolo guida tedesco in Europa

Cuba-Usa: 2.parte Il disgelo delle relazioni fra l’Avana e Washington non piace a tutti a Cuba: molti rimproverano Obama di avere concesso aperture senza ricevere in cambio la democrazia

Emergenza criminale La camorra è un dato costitutivo di Napoli, secondo Franco Roberti procuratore antimafia

L’economia più competitiva L’analisi del WEF premia ancora la Svizzera, ma le decisioni della BNS impensieriscono

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AFP

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L’ascesa di Putin e il vuoto americano Siria Con l’intervento armato, la Russia avverte il mondo e gli Stati Uniti che non è disposta a mollare

al-Assad. Ma ciò significa anche che la guerra civile siriana è ancora nella sua fase iniziale

Lucio Caracciolo Con l’intervento armato in Siria, Putin ha compiuto con singolare tempismo una delle sue mosse del cavallo. Per uscire dall’arrocco ucraino, dove l’Occidente sperava di averlo confinato a dissanguarsi per la causa dei ribelli del Donbas, ha ordinato di schierare un robusto contingente militare nel NordOvest della Siria, rafforzandovi la storica presenza imperniata sulla base navale di Tartus. Decine di caccia, missili Cruise, droni ed elicotteri bombardano ciò che resta della Siria senza troppo distinguere fra lo Stato Islamico e gli altri jihadisti nemici di al-Asad. Vi sono anche truppe speciali da prima linea, i cui commando avanzati sono già sparsi fra Homs, Hama, Aleppo e Zabadani, a puntellare le sempre più scarse fanterie di al-Asad. In tutto, almeno 2’500 uomini, contractors inclusi. Rivelatore e simbolico l’impiego dei fucilieri di

Marina della brigata 810, di stanza a Sebastopoli – gli «uomini verdi» che sigillarono la Crimea con un colpo di mano nel febbraio-marzo 2014, permettendone l’annessione alla Russia. Molto significativa anche la scelta di Latakia e non Tartus come meta principale dei rinforzi russi. L’obiettivo è di impedire che il perno dell’Alauistan – ovvero del potenziale staterello alauita, ultimo ridotto del clan al-Asad – cada nelle mani dei qaedisti di Jabhat al-Nusra e di altri jihadisti. I soldati governativi inquadrati sotto la sigla Scudo della Costa non sarebbero in grado da soli di resistere a lungo alla pressione dei ribelli, nel contesto di una città che prima della guerra era a leggera maggioranza alauita, ma dopo l’afflusso di centinaia di migliaia di profughi interni sta assumendo un profilo nettamente sunnita. Una rivolta che parta dai quartieri meridionali di Latakia, dove si concentrano i sunniti, sarebbe più

che possibile. Ma se al-Asad perdesse Latakia, sarebbe finito. E con lui il piede russo nel Mediterraneo orientale. La Russia dimostra di saper sfruttare i vuoti prodotti dal non troppo creativo caos che gli Stati Uniti, quali apprendisti stregoni, vorrebbero controllare dopo averlo incentivato. In particolare, Putin vuole raggiungere i seguenti obiettivi. Primo: segnalare agli Usa e al mondo che Mosca non è disposta a mollare al-Asad, ovvero un sia pur minimo residuo di Stato siriano che consenta e legittimi la presenza russa nel Levante. Grazie all’ostentato spiegamento militare, oggi fare la guerra al regime siriano significa rischiare la guerra alla Russia. Quanto meno, si possono provocare inavvertitamente incidenti dalle conseguenze imprevedibili. Di qui la «linea rossa» subito allestita fra Pentagono e ministero della Difesa russo per evitare simili cata-

strofi, tecnicamente classificata deconflicting. Secondo: provare a uscire dall’angolo nel quale la Russia si trova costretta dallo scoppio della crisi ucraina. Questa è la dimensione globale del rafforzamento della testa di ponte russa in terra siriana. Inscrivendo l’intervento a sostegno di Damasco nel fungibile contesto della «guerra al terrorismo», il Cremlino cerca di ricostruire un terreno comune con l’Occidente. E pare riuscirci, entro certi limiti. Terzo: avvertire l’Iran che l’ex Siria non è di sua proprietà. Putin teme che al-Asad, pur di sopravvivere, si affidi totalmente alla protezione dell’asse allestito da Teheran con lo Hezbollah libanese e con il governo di Baghdad. Oltre a configurarsi come pesante concorrente nella partita delle condotte gasiere verso l’Europa, l’Iran del dopoaccordo con gli Usa potrebbe profittare della parziale riabilitazione per allarga-

re la sua area d’influenza regionale, anche a scapito della Russia. Americani ed europei sono stati colti di sorpresa dalla mossa russa. Ma al di là della propaganda, probabilmente a Obama non dispiace che Putin gli tolga qualche castagna dal fuoco mediorientale, magari finendo impantanato in un altro Afghanistan. Obama e molti leader europei – ma non tutti, non ad esempio Merkel e Renzi – insistono sulla necessità che al-Asad sgombri subito il campo. La storia insegna che i garbugli mediorientali non si sciolgono eliminando un capo, senza avere fra l’altro una soluzione di ricambio. In ogni caso, tutto lascia pensare che la guerra civile siriana sia ancora nella sua fase iniziale. Ci vorranno probabilmente molti anni perché si esaurisca. E alla fine è probabile che lo Stato Islamico sarà un’entità ancora effettiva, in controllo di una parte dei territori a cavallo della frontiera siro-irachena.


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Politica e Economia

Locomotiva in affanno

Germania 25 anni dopo la riunificazione tedesca lo scandalo della Volkswagen e la gestione

del flusso dei migranti rappresentano oggi due momenti difficili per il governo

Marzio Rigonalli Una settimana fa, la Germania ha ricordato il 3 ottobre 1990, giorno della sua riunificazione, senza trionfalismi e senza festeggiamenti eccessivi. Da quella data storica è già trascorso un quarto di secolo, 25 anni, che hanno cambiato radicalmente il Paese. Una ferrea volontà politica ed i sacrifici economici che sono stati chiesti ai tedeschi hanno garantito il successo di un’operazione per niente scontata. Oggi, le distanze economiche e politiche tra la parte occidentale del Paese e quella orientale sono diminuite – le due principali cariche dello Stato, la cancelleria e la presidenza, sono occupate da due persone provenienti dalla Germania dell’Est, Angela Merkel e Joachim Gauck – Berlino è diventata una delle principali capitali del mondo e la Germania, per il suo potenziale demografico e, soprattutto, per la sua forza economica, ha assunto un nuovo ruolo internazionale ed è diventata la forza trainante di un’Europa che si muove con fatica sulla strada dell’integrazione.

La Merkel registra una perdita di consensi e deve fare i conti con le critiche interne della CSU Nelle ultime settimane, però, sono sorti due nuovi problemi che hanno turbato la tranquillità del colosso tedesco e che gli stanno creando numerose difficoltà. Trattasi dello scandalo della Volkswagen e dell’arrivo di centinaia di migliaia di migranti. Sono ostacoli difficili da superare senza farsi male; sono vere sfide, che non possono essere risolte in poco tempo e il cui esito potrebbe avere ripercussioni sul futuro politico ed economico del Paese. L’utilizzo di un software per truccare i test sui gas di scarico di ben 11 milioni di autovetture ha ampiamente superato le frontiere della seconda casa automobilistica mondiale, frantumando pensieri, certezze, visioni, e forse anche miti, sulla sincerità, l’affidabilità ed il rigore dei tedeschi e della loro industria. Lo scandalo ha danneggiato il «Made in Germany», ha messo in discussione il modello di cogestione tedesco, che coinvolge manager, sindacati e politici, e di cui la Volkswagen è un simbolo, e soprattutto si è ripercosso sul piano internazionale, ledendo la credibilità, e quindi l’immagine, dei leader tedeschi ed indirettamente anche quella dei leader europei. Durante i mesi della lunga crisi greca, la cancelliera tedesca ed il suo ministro delle Finanze non si stancavano di ripetere come fosse importante rispettare le regole sottoscritte, per poter operare in un clima di fiducia reciproca e per poter costruire una vera collaborazione. Quale impatto avranno in futuro simili dichiarazioni? E quando è in gioco la lotta in favore della protezione dell’ambiente e contro il surriscaldamento globale, i leader europei sostengono volentieri di essere all’avanguardia e, talvolta, non mancano di impartire lezioni al mondo. Anche queste affermazioni vengono ridimensionate dall’urto dello scandalo della Volkswagen. L’industria tedesca riuscirà probabilmente a superare, senza troppi danni economici, questo brutto momento. Ne ha la forza necessaria. Anche l’Europa può trarre qualche insegnamento utile da questo scandalo, per esempio creando un organismo europeo, al quale

Angela Merkel al centro delle celebrazioni dei 25 anni della riunificazione tedesca. (Keystone)

verrebbe affidato il controllo delle autovetture, togliendolo così alle autorità nazionali, che spesso sono tentate di agire in difesa delle proprie industrie. La vicenda, però, continuerà a lasciare tracce negative ancora per molto tempo. Il software usato dalla Volkswagen ha sicuramente danneggiato l’immagine internazionale della cancelliera tedesca, ma non ha scalfito il suo potere interno. Diverso è il problema posto dal flusso dei migranti. Dopo una prima fase, durante la quale Angela Merkel ha aperto le frontiere tedesche alle decine di migliaia di migranti che erano transitati dall’Ungheria e dall’Austria, suscitando l’ammirazione di molti e, a quanto pare, guadagnandosi anche un posto di primo piano tra i candidati al Nobel per la pace, l’intensificarsi degli arrivi e i problemi vari posti dai migranti per la loro collocazione sul territorio e la loro integrazione, hanno provocato e stanno provocando numerosi problemi. Le prime resistenze sono arrivate dall’estrema destra. Vari centri per i rifugiati sono stati presi di mira, soprattutto nella parte orientale del Paese, con attentati e incendi. Ci sono state anche manifestazioni popolari contro i migranti. Dopo mesi di silenzio, all’inizio di settembre, il movimento Pegida («Europei patriottici contro l’islamizzazione dell’Occidente») è tornato a manifestare il lunedì sera a Dresda, nella Sassonia, riunendo migliaia di persone. E non sono mancati gli scontri tra migranti di diversa nazionalità e religione all’interno dei centri di accoglienza. L’opinione pubblica ha rapidamen-

te perso parte dell’entusiasmo che manifestava ai primi arrivi dei migranti ed è cresciuto il numero di coloro che cominciano ad avere paura di questo flusso. Sono persone che si chiedono in che modo e a che prezzo si riuscirà ad integrare così tanti richiedenti l’asilo, provenienti da orizzonti culturali e religiosi diversi. Si calcola che gli 800 mila migranti attesi quest’anno in Germania costeranno allo Stato dagli 8 ai 10 miliardi di franchi e che soltanto una piccola parte, forse 100 mila, saranno disponibili sul mercato del lavoro nel 2016. Le preoccupazioni diffuse nell’opinione pubblica si ripercuotono sugli indici di gradimento della cancelliera. Angela Merkel può contare ancora su una maggioranza di consensi: il 54% dei tedeschi approva la sua gestione, ma la percentuale è scesa di nove punti rispetto all’inizio di settembre e, probabilmente, scenderà ancora. Anche dalla classe politica arrivano critiche sul modo in cui vengono aperte le frontiere ai migranti. La CSU, l’Unione cristiano sociale bavarese e alleata di governo è molto critica. Il suo leader Horst Seehofer, che è anche primo ministro della Baviera, si è opposto sin dall’inizio ed ha moltiplicato le dichiarazioni contro le scelte della cancelliera. I socialdemocratici erano favorevoli all’inizio, ma da un po’ di tempo non esitano a prendere le distanze e a rilasciare dichiarazioni contrarie. Sigmar Gabriel, presidente della SPD, ritiene che l’anno prossimo bisognerà assolutamente ridurre il numero dei profughi, perché è in gioco la coesione della società tedesca. Tensioni sono sorte anche in seno al governo. Il ministro dell’Inter-

no, Thomas de Maizière, ha criticato più volte la gestione della cancelliera; ha denunciato una situazione non più gestibile ed ha chiesto d’introdurre regole per controllare il flusso dei migranti. Angela Merkel tiene conto solo in parte di queste critiche. Ha rinunciato alle frontiere aperte d’inizio settembre, ma è sempre pronta ad accogliere chi scappa dalla guerra e dalle dittature. La sua strategia si articola su alcuni punti fissi. Innanzitutto su una revisione del diritto d’asilo in Germania, che consenta una rapida distinzione tra chi ha diritto all’asilo e va integrato e chi, invece, deve essere rinviato nel suo Paese d’origine. Poi, su un migliore controllo della frontiera esterna dell’Unione europea, sulla creazione di centri di registrazione (hotspots) in Paesi come l’Ungheria, l’Italia e la Grecia, su maggiori aiuti ai tre Paesi confinanti con la Siria, la Turchia, la Giordania ed il Libano, che sono confrontati con un alto numero di profughi siriani, e sulla ricerca di una soluzione politica in Siria. Infine, su una maggiore collaborazione tra i Paesi dell’Unione europea. È una strategia molto elaborata, sul cui successo, però, non è possibile fare previsioni, perché le misure decise produrranno effetti solo dopo un certo tempo. Lo scandalo della Volkswagen e la gestione del flusso dei migranti rappresentano oggi due momenti difficili per il governo tedesco. Solo quando saranno superati, sapremo se la Germania continuerà ad essere ritenuta la sola locomotiva d’Europa e se Angela Merkel conserverà quel ruolo di protagonista che le viene volentieri attribuito nel divenire del Vecchio continente.

Notizie dal mondo Povertà estrema: nel 2015 al di sotto del 10 per cento Il numero di persone nel mondo che vive in condizioni di povertà estrema potrebbe scendere nel 2015 per la prima volta al di sotto del 10 per cento della popolazione mondiale. Questo è quanto emerge dai nuovi dati diffusi domenica 4 ottobre 2015 dalla Banca mondiale, un’organizzazione internazionale che comprende due istituti che si sono prefissati l’obiettivo di lottare contro la povertà e organizzare i finanziamenti per gli Stati in difficoltà. La definizione di povertà estrema è stata fissata a 1,25 dollari al giorno nel 2008 ed è stata rivista soltanto quest’anno. La Banca mondiale introdusse per la prima volta una soglia di povertà nel 1990, fissandola, a quel tempo, a un dollaro al giorno. Le previsioni fanno riferimento all’aggiornamento del 2015 della soglia minima, pari a 1,90 dollari al giorno, calcolata dalla Banca mondiale in base ai nuovi dati disponibili sulle differenze nel costo della vita tra i vari Paesi del mondo. Sulla base di questo nuovo indice, si prevede che 702 milioni di persone, pari al 9,6 per cento della popolazione globale, vivranno sotto la soglia minima di povertà nel 2015, valore in calo rispetto a quello attestato nel 2012, quando si stimava che il numero di poveri si aggirasse intorno ai 902 milioni di persone. «Queste proiezioni ci mostrano che siamo la prima generazione nella storia dell’umanità che può porre fine alla povertà estrema», ha dichiarato il presidente della Banca mondiale Jim Yong Kim. La povertà globale è diminuita in modo significativo nel corso degli ultimi decenni. Nel 1990, 1,9 miliardi di persone vivevano con meno di 1,25 dollari al giorno. Da allora questo numero si è più che dimezzato, attestandosi su un valore di circa 836 milioni di persone quest’anno, stando ai dati rilasciati dalle Nazioni Unite, la metà delle quali proviene dall’Africa subsahariana. Stop al ritiro americano dall’Afghanistan? Il Pentagono sfida Obama: chiede che lasci in Afghanistan molti più soldati di quanto il presidente vuole. Si riapre uno scontro già avvenuto in passato fra la Casa Bianca e i militari, stavolta la divergenza avviene dopo la riconquista di Kunduz, in Afghanistan, da parte dei talebani. Attualmente ci sono ancora 10’000 soldati Usa (su 13’000 della Nato) in Afghanistan, Obama vorrebbe ridurli a poche centinaia. Intanto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si è scusato personalmente per la strage all’ospedale di Kunduz. Il Pentagono ha avviato un’inchiesta interna che permetta di fornire una spiegazione su come si sia potuto verificare un errore costato la vita a 22 persone, tra personale medico di Medici Senza Frontiere (Msf) e pazienti. Sull’attacco all’ospedale di Medici Senza Frontiere il generale comandante capo Usa in Afghanistan ammette: non abbiamo rispettato le nostre stesse regole d’ingaggio. Msf ha chiesto spiegazioni dell’attacco e sono state avviate varie inchieste. Il governo di Kabul sostiene che dentro a quella struttura sanitaria si nascondevano terroristi. Secondo i militari Usa, l’attacco è stato sferrato in risposta a un assalto a colpi d’arma da fuoco dei talebani contro forze afghane governative assistite dagli americani. Anche l’Onu vuole un’inchiesta sull’attacco Nato. «Condannando fortemente» il bombardamento, il segretario generale Ban Ki-moon ha ricordato che ospedali e personale medico sono protetti dalla legge umanitaria internazionale e ha chiesto perciò un’inchiesta «completa e imparziale».


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Politica e Economia

Un disgelo regalato Usa-Cuba – 2. parte Non solo gli estremisti dell’ultra-destra repubblicana di Miami, ma anche i dissidenti e molti

cubani sono convinti che le aperture americane verso l’isola non convinceranno il regime a democratizzarsi

Angela Nocioni Il disgelo delle relazioni tra l’Avana e Washington non piace a tutti a Cuba. Non sono solo gli estremisti dell’ultradestra repubblicana di Miami a covare rabbia contro il nuovo corso diplomatico scelto dalla Casa Bianca verso l’isola. Anche a molti cubani mai espatriati, «cubanos comunes y corrientes» come si definiscono loro, cittadini comuni, la politica della mano tesa di Obama non piace per niente. A parte lo scetticismo generale e la diffusa disillusione rispetto alla possibilità di sostanziali cambiamenti possibili finché Raúl e Fidel Castro saranno al potere, atteggiamento largamente prevalente tra la gente in strada all’Avana dove la maggioranza delle persone sta a guardare ma accoglie con un filo di speranza le aperture americane, esiste una rabbia sorda, una delusione cocente di alcuni per la strategia scelta da Washington verso i fratelli Castro. I super critici non sono la maggioranza, sembrano anzi piuttosto isolati, ma sono inferociti con il nuovo corso della politica americana verso il regime. A Obama rimproverano, per usare un eufemismo, di aver svenduto in cambio di nulla tutte le migliori carte utilizzabili in sede di negoziazione. Lo accusano, in sostanza, di aver regalato quello che invece avrebbe potuto scambiare. Perché mai, chiedono, Castro dovrebbe accettare condizioni, per esempio concedere qualcosa sul terreno del rispetto della libertà di espressione, se il governo americano ha già accettato tutte le sue richieste senza ottenere nulla in cambio? Quali politiche di incentivo potrà mai sperare di usare Obama, se ha già concesso unilateralmente moltissimo, dal depennamento di Cuba dalla lista americana dei Paesi considerati terroristi, al via libera alle operazioni bancarie sull’isola, all’eliminazione del tetto massimo alle rimesse dei cubani americani? Seduti davanti a un posacenere stracolmo, in un salotto di un appartamento del Centro Habana soffocato dal vento caldo di ottobre, alcuni di loro accettano, in cambio dell’anonimato, di esplicitare il malumore. «Non vi siete accorti – si lamentano – che Raúl Castro il 30 dicembre, nemmeno due settimane dopo l’annuncio del disgelo delle relazioni diplomatiche tra Washington e l’Avana, ha fatto arrestare dalla sua polizia politica (in realtà s’è trattato di uno stato di fermo di qualche ora n.d.r.) decine di intellettuali ed artisti che si erano dati appuntamento per un flash mob pacifico in piazza della Rivoluzione e nel mondo nessuno ha mosso un dito? Mettiamoci nei panni di Raúl, e di Fidel, che comanda ancora su tutto anche se è formalmente in disparte. Perché dovrebbero fare riforme in senso democratico, se già Obama spalanca loro le braccia così come sono, cedendo ai capricci senza chiedere una contropartita?». Le risposte politiche possono essere molte. Ma vediamo intanto le domande degli scontenti. I cubani anti Obama chiedono: «In quale strampalato dossier il presidente americano ha letto che gli Stati Uniti avrebbero tentato, senza successo, di abbattere il regime cubano?». È questo uno degli argomenti di Obama per spiegare la sua scelta: cambiamo politica verso Cuba perché quella usata finora non è servita ad abbattere il regime. Loro ne contestano la fondatezza. «È da cinquant’anni che gli Stati Uniti non provano davvero a buttare giù Castro» dicono. «Fu una decisione di Johnson nel 1964 – strilla Felipe G., il più infuriato di tutti, l’unico tra i presenti a caldeggiare aperta-

Il dissidente cubano Angel Figueredo con la moglie dopo la liberazione. (AFP)

mente l’opzione militare – ad ordinare uno stop a tutte le operazioni di intelligence e militari per far cadere Fidel. Da allora in poi la strategia è stata soltanto diplomatica: embargo, dissuasione, contenimento, esattamente come gli americani decisero di fare, per tutte altre ragioni, con l’Unione Sovietica. La differenza è che l’Unione Sovietica era comunque un impero, anche se in decadenza. Il potere militare di Cuba invece era ed è ridicolo. Perché ora Obama ci viene a dire che abbattere Castro per via drastica non è stato possibile, se in realtà è dal 1964 che gli Stati Uniti hanno smesso di provarci?».

A Obama si rimprovera inoltre di avere escluso dal tavolo delle trattative la dissidenza interna L’avrebbe potuto fare mille volte Washington, lamentano loro. «Sai a Boris Eltsin, preso com’era dalle sue mille tragedie interne, quanto sarebbe dispiaciuto perdere Cuba? Pochissimo. Gli americani avrebbero potuto rovesciare la dittatura qui quando Fidel nel 1994 spalancò le frontiere per produrre una ondata migratoria fastidiosissima per le vicine coste americane o quando due anni dopo fece abbattere due piccoli aerei americani in spazio internazionale (erano gli «Hermanos al rescate», anticastristi militanti accusati dall’Avana di voler violare lo spazio aereo cubano e quindi abbattuti come si abbatte un nemico che sta attaccando n.d.r.). Sarebbe stato facile allora mettere alle strette Fidel, rimasto solo e senza alleati internazionali consistenti». La Cuba socialista, scommettono loro, si sarebbe sciolta in quel momento come neve al sole dei Caraibi e invece Washington decise di non farlo. O perché spaventata da una possibile

emigrazione di massa o per altre ragioni di opportunità politica. «Certo, non si può dire che abbia tentato e non c’è riuscita perché un tentativo deciso non ci fu. Clinton si limitò a varare la legge Helms Burton, un indurimento dell’embargo che prevede rappresaglie severe contro imprese anche non statunitensi nel caso in cui facciano affari sull’isola. Eppure Cuba non era un ex nemico, era un nemico a tutti gli effetti. Un pericoloso alleato dei peggiori nemici di Washington. Oltretutto una Cuba socialista, e quindi povera, popolata da 11 milioni di potenziali migranti verso le coste americane, è stata una minaccia migratoria per tutti questi anni. Cosa sperano di fare ora, di convincere con le buone il regime a democratizzarsi? E perché i due vecchi fratelli non dovrebbero continuare a fare quello che hanno sempre fatto, cioè usare i soldi freschi che arrivano a Cuba per nutrire sé stessi e la stretta cerchia dei capi delle forze armate, più gli altri papaveri del regime, escludendo tutti gli altri? In base a quale ragionamento prevede la Casa Bianca che invece Fidel e Raúl useranno quella ricchezza, che sono in grado di gestire con polso di ferro perché hanno un capillare controllo della società cubana, per importare nell’isola la democrazia che tanto disprezzano?». «È da ciechi – si scaldano – pensare che così facendo si eviterà l’esplosione dell’isola. Non ci sono istituzioni in grado di far digerire alla Cuba socialista un passaggio soft verso la democrazia. Non è in corso un processo in grado di trasformare in impulso democratico dal basso il flusso di soldi in arrivo. Esploderà Cuba, basterà una qualsiasi scintilla; è solo questione di tempo e nessuno sarà in grado di controllarla dall’esterno. Se gli americani hanno fatto tutto questo per risparmiarsi un’ondata di immigrati, beh, sono stupidi e tra qualche tempo avranno brutte sorprese». Rimproverano poi ad Obama – e anche a Papa Francesco e al cardinale

Ortega, l’arcivescovo dell’Avana che porta avanti il dialogo diplomatico tra la Chiesa cattolica e il regime – di avere completamente cancellato di fatto dallo scacchiere diplomatico della trattativa la dissidenza interna sull’isola. Li accusano di non prendere in considerazione i dissidenti come interlocutori per una transizione. Si può discutere del perché. Di certo non si può negare che i dissidenti siano stati del tutto bypassati, probabilmente a ragione, probabilmente perché li si è considerati non in grado di gestire con successo una trattativa con il regime. Di non essere, cioè, politicamente efficaci. E ci sono mille ragioni per arrivare a questa conclusione. Basta l’esame degli ultimi decenni per constatare come, indipendentemente dai diversi giudizi che si possono aver su di loro, l’azione dei dissidenti interni sia stata irrilevante. Un ambasciatore europeo, uno di quelli che sta qui da molti anni, sprofondato nella poltrona di casa sua, osserva: «I dissidenti non hanno possibilità di riuscita qui, perché è talmente capillare il controllo, talmente efficace il sistema di spionaggio interno e al contempo talmente saldo il potere economico in mano al governo, che è una pia illusione pensare di potersi contrapporre al regime costituendo dei partiti antagonisti al regime. A chiunque ci provi, la polizia politica è in grado di scavare il terreno sotto i piedi. Isola e asfissia ogni dissidenza sul nascere. Obama e la Chiesa cattolica stanno scommettendo sulla possibilità che la società cubana cambi piano piano, con iniezioni di libera iniziativa economica, senza toccare per ora la politica. Contano sulla possibilità che tra qualche anno il cambiamento socio-economico sia tale che il regime non lo sappia più controllare, così da costringere Castro, lentamente ma inesorabilmente, a una transizione. Non è detto che vincano la scommessa, la variabile più pericolosa è il poco

tempo a disposizione perché i Castro tra un po’ moriranno, ma la strategia non è sciocca». Gli anti Obama sono sordi a questo ragionamento, lo considerano una stupida trappola. Chiedono quindi conto del cambio di indirizzo politico della Casa Bianca, visto che quegli stessi dissidenti ora snobbati sono stati per anni ricevuti con grande simpatia a Washington e, assicurano, quasi tutti anche lautamente finanziati. «Ma come – chiedono loro – cosa devono pensare i vari dissidenti interni, anche quelli che hanno tentato un approccio più morbido col regime?». Da Osvaldo Payà (morto due anni fa in un incidente d’auto che sua moglie non ritiene tale) del Proyecto Varela, a Gustavo Arcos di Plataforma democratica, quelli che tentavano di usare l’argomento «risolviamo le questioni cubane tra cubani, senza l’intromissione statunitense», e ai quali Fidel ha sempre risposto picche, accusandoli di essere strumenti della Cia. Gli animi sono talmente esasperati, la rabbia così profonda, da rendere impossibile un confronto: ciascuno si limita a esprimere la propria indignazione. Eppure, tra i fumi dell’odio politico e i sogni frustrati di rivalsa, un interrogativo molto serio queste persone lo pongono. Se il regime cubano non s’è aperto alle richieste di garanzie democratiche quando era messo alle strette dall’assenza di alleati internazionali forti, quando ha perso l’Unione Sovietica, quando ha perso Hugo Chávez, se non lo fa nemmeno ora che sta perdendo i finanziamenti venezuelani e l’isola è in totale bancarotta, perché mai dovrebbe farlo dopo che le concessioni americane lo avranno riossigenato con un nuovo e provvidenziale afflusso di dollari? Annuncio pubblicitario


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Politica e Economia

Napoli città camorrista Emergenza criminale Dopo Roberto Saviano è Franco Roberti, procuratore Nazionale Antimafia, a dare ragione

a Rosy Bindi: «La camorra è un dato costitutivo di Napoli»

Alfio Caruso Nella tabella elaborata dal ministero dell’Interno sulle città a rischio, al primo posto risulta Milano: 8345 reati ogni 100 mila abitanti. La seguono Bologna e Torino, non scherza anche Roma con 6400 reati. Al 41mo posto ecco Napoli, 4370 reati. Eppure all’inizio di settembre è bastato l’assassinio mirato di un diciassettenne per dichiarare l’ennesima emergenza sociale, chiedere più uomini in divisa nelle strade, indurre il ministro Alfano ad inviare subito cinquanta investigatori, fino alle terribili parole del presidente della commissione antimafia, Rosy Bindi: «La camorra? È un dato costitutivo della città di Napoli, della società, della Campania». E se il giudizio della lamentosa signora, che sa di mafia quanto un comune mortale sa di buchi neri, può essere attribuito alla sua visione millenaristica, ben altro peso ha avuto il sostegno fornitole dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il quale non solo è napoletano di nascita e di formazione, ma ha anche lavorato per trent’anni in quella complicatissima realtà. La perentoria affermazione del solitamente taciturno Roberti sui germi malavitosi annidati nel dna di Napoli ha zittito la marea di politici, d’intellettuali, di giornalisti, di scrittori, di opinionisti, di attori sbizzarritisi in un coro d’indignazione. Oggi la patria di Pulcinella, di Totò, di Eduardo, di tre presidenti della Repubblica (De Nicola, Leone, Napolitano) appare irrecuperabile, persa nei mille imbrogli e nelle centomila illegalità. Al funerale del diciassettenne, mentre il famoso missionario comboniano Alex Zanotelli incitava a intervenire contro il malaffare, lo striscione con la scritta «La camorra ci ha ucciso» è stato strappato con protervia e portato via.

Napoli è diventata la città con la più alta percentuale di spopolamento in Italia L’angosciante realtà quotidiana ormai prevale sulla storia, sulle tradizioni, sugli splendori di una delle più affascinanti metropoli del mondo. Dal terremoto del 1980 Napoli ha perso 260 mila residenti precipitando sotto il milione di abitanti. Una riduzione proseguita persino nell’ultimo decennio quando altrove si è registrata una brusca inversione di tendenza: Roma ha aumentato la sua popolazione di oltre 200 mila abitanti, Milano di quasi 70 mila, Torino di circa 45 mila. A Napoli, invece, se ne sono andati altri 45 mila. Nella speciale classifica delle città con più napoletani, figura soltanto al quinto posto: la precedono San Paolo, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Sydney; la seguono New York, Londra, Toronto, Berlino, Monaco. Così Napoli è diventata la città con la più alta percentuale di spopolamento in Italia: vanno via le giovani coppie in cerca di fitti meno cari, vanno via i disoccupati in cerca di lavoro, vanno via gli studenti in cerca di scuole e università migliori. E ora, con la contestatissima riforma dell’istruzione voluta da Renzi, vanno via anche i professori in cerca di stabilità: almeno 1600. E non ci vogliono venire neppure gl’immigrati: nelle classi di Napoli i figli di genitori stranieri sono 3500, quanti a Udine, meno che a Piacenza; a Roma sono 39 mila, a Milano 35 mila, a Torino 23 mila. Sono aumentati soltanto i clan

della camorra: 50, la metà dell’intera regione. Prosperano sulla crisi economica, sulla mancanza di lavoro, anche quello nero, sull’enorme disponibilità di manodopera, soprattutto giovanile. È la conseguenza di un’evasione scolastica senza eguali nel resto del Paese, favorita pure dalle numerose bocciature: ben cinque istituti figurano nella top ten delle scuole italiane dove si boccia di più. Non stupisce, quindi, che meno dell’80% dei residenti abbia un qualunque titolo di studio (laureati il 5,6%, diplomati il 17,8%). La disoccupazione giovanile tocca vette incredibili, 41,7%. Sono decine di migliaia di ragazzi fra i 13 e i 18 anni, che non studiano, non lavorano e costituiscono l’inesauribile serbatoio delle bande: «ragazzi ombra», per i quali l’arresto può rappresentare il modo più sicuro di scampare alla morte. Sono loro a occupare militarmente i famosi quartieri, Rione Traiano, Forcella, la Sanità, paradossale grande periferia nel cuore della città e assurti a simbolo della medesima. Un tempo regno di «capifamiglia» del calibro di Giuliano, Misso, Mazzarella, oggi in mano a ventenni emersi da faide e retate. Quella di giugno ha indotto i giornali a titolare «Sgominata a Forcella la paranza dei bambini», vista l’età media dei sessanta ammanettati. Ai primi di luglio si è ricominciato con l’omicidio di un baby boss. Lo spaccio, il controllo di piazze e di vicoli accendono guerre, che le forze dell’ordine non sembrano in grado di contrastare. Sparatorie e ammazzamenti hanno oscurato iniziative, un tempo capaci di far gridare alla rinascita. Proprio alla Sanità sono spuntate l’orchestra giovanile Sanitansamble e la scuola di teatro; una ventina di giovani sono impiegati nelle visite guidate alle catacombe di San Gennaro: 60 mila turisti paganti in 4 anni. Purtroppo sono povere gocce di speranza in un mare di tormenti, la legalità che tende a essere sommersa dall’illegalità contornata da un consenso crescente perché solamente dai suoi traffici provengono gl’introiti necessari a sopravvivere. L’ultima inchiesta della procura accusa commercianti e professionisti di essersi prestati a essere l’interfaccia presentabile della malavita. La clamorosa indagine per voto di scambio mafioso sulla presidentessa della commissione regionale antimafia, Monica Paolino di Forza Italia, sembra confermare il vecchio e collaudato rapporto fra la camorra e la corruzione politica, benché i partiti in dissoluzione non siano più grado di garantire assunzioni, licenze, appalti. D’altronde sono spariti i posti di lavoro. L’esempio evidente è quello di Bagnoli. Dopo la dismissione dell’Italsider, un quarto di secolo addietro, il nulla. Ora c’è il commissario alla bonifica, Salvo Nastasi. È occorso un anno per nominarlo. E manca ancora l’atto ufficiale da notificare a De Magistris, il sindaco con la bandana, l’uomo sbagliato al posto sbagliato. Gl’industriali locali lo implorano di collaborare con Renzi. Ma lui si rifiuta, anzi annuncia che sarà scontro totale. Acuito dalla decisione del capo di governo, e segretario del Pd, di non ricandidarlo. Per molti l’ennesima recita in una città abituata a vivere di apparenze anche nella sua evoluzione architettonica. Nel 1751 il re Carlo progettò il «Real Albergo dei Poveri» per rinchiudervi senzatetto, mendicanti, accattoni, che rappresentavano una macchia sulle aspirazioni dei Borboni di far competere la propria capitale con Vienna, Madrid, Parigi, Londra, Berlino. Lo stesso accadde con una delle vie più importanti, corso Umberto I, denomina-

to dai napoletani il Rettifilo. Collega la stazione ferroviaria al porto e all’antico centro storico. Fu costruito intorno al 1880 su insistenza del capo di governo dell’epoca, Agostino Depretis, non per risolvere l’annoso problema abitativo, bensì per evitare che l’accesso al cuore della città comportasse il passaggio nel «Ventre di Napoli». Così la direttrice de «Il Mattino», Matilde Serao, aveva definito l’insieme di vicoli fatiscenti e puzzolenti, dove in pochi metri quadrati si addensavano le famiglie più povere,

dedite al contrabbando, alle truffe, alle estorsioni. E pure l’ultimo intervento urbanistico, il lungomare dal porto a Posillipo e al Vomero, residenza delle classi agiate, ha risposto alle stesse esigenze d’isolare i quartieri proletari. La costruzione di case popolari nella periferia di Secondigliano e Ponticelli ha accentuato il problema, anziché risolverlo. È il contesto dal quale scaturisce il complesso delle sette Vele di Scampìa, ultimato nel 1982 e consegnato a una dubbia fama dalla cronaca

recente, amplificata poi dal best seller Gomorra di Saviano. Sulla carta una città modello adatta a ospitare centinaia di nuclei familiari con parchi, giardini, grandi viali di scorrimento rapido. Nella realtà un insediamento caotico, dove in breve gli abusivi sono assurti a stragrande maggioranza. In pochi anni il complesso si è trovato ad accogliere circa 50 mila persone (oggi siamo arrivati a 80 mila) senza un negozio, senza un asilo nido, senza una palestra. Solo nel 1998 hanno aperto i mercatini rionali, tuttavia l’assenza più grave è stata, fino al ’97, quella di un commissariato di Polizia: sono stati regalati quindici anni d’impunità totale ai clan camorristi. Si sono sviluppati lo spaccio e il consumo di droga, il commercio di sigarette di contrabbando, le scommesse clandestine (nei box avvengono combattimenti di cani), lo smercio abusivo di prodotti ortofrutticoli. Gli analfabeti, il 3,1%, battono largamente i laureati, lo 0,7%; la disoccupazione giovanile è endemica, 55%. La decadenza ha contagiato anche lo spettacolo più amato, la squadra di calcio. Tramontata l’epoca d’oro di Maradona – acquistato con i soldi del Banco di Napoli, profeta degli unici due scudetti e dell’unica coppa europea –, il presente è composto da ambizioni mal riposte. La presidenza del produttore cinematografico Aurelio De Laurentiis ha fin qui vivacchiato. Eppure a impaurire è il futuro. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Perché il contante «scotta»? Strumenti monetari Le intenzioni e i provvedimenti recenti da parte di molti governi europei di delegittimarne

il ruolo di mezzo di pagamento, tuttora il più utilizzato, costituiscono una minaccia economica

Edoardo Beretta È impossibile non avvedersene: banconote e monete sono da tempo crescentemente osteggiate da vari soggetti istituzionali. Un primo dato di fatto è che i governi europei possano ormai contare, a fronte del Trattato di Maastricht (1992) e Fiscal Compact (2011), su sempre minori risorse da vendita di titoli di Stato e nuovo indebitamento (cfr. politiche di bilancio) oltre che dall’intervento autonomo su tassi d’interesse e di cambio (cfr. politiche monetarie). Pertanto, l’unica via rimasta è la politica fiscale, che individua altresì nella tracciabilità dei mezzi elettronici di pagamento un’accresciuta fonte di introiti. Nel contempo, i soggetti bancari possono avere interesse a supportare tali modalità di pagamento, poiché queste implicano commissioni o, comunque, un ruolo ancora più determinante nel sistema economico. In molti Paesi dell’Unione Europea sono state, quindi, recentemente introdotte rigide (e, soprattutto, discutibili) limitazioni all’utilizzo del contante. Certamente, quest’ultimo è già da tempo nel mirino internazionale: dalla maggiore percezione (individuale) delle proprie spese all’asserito contributo all’economia sommersa, dall’immediato saldo di una transazione fino alle ipotesi nordeuropee più recenti di contribuire a rapine e diffusione di germi. Per quanto alcuni argomenti possano parere opinabili, l’attualità del problema è fuori discussione, a maggior ragione

Esempi di restrizioni ai contanti nell’UE

I dati sono tratti da www.europeconsommateurs. eu/en/ consumertopics/buyingof-goodsand-services/ cash-paymentlimitations.

Belgio

3000 €

2014

Bulgaria

14’999 BGN (≈ 7.670 €)

2011

Francia

3000 € (residenti e commercianti nonresidenti)

Grecia

1500 €

2011

Italia

999.99 €

2012

Portogallo

1000 €

2012

Repubblica Ceca

Slovacchia Spagna

per il fatto che restrizioni «calate» verticisticamente dall’alto – senza che queste riflettano abitudini locali – possono diventare facilmente recessive in termini di consumi. Dipendendo questi ultimi sia dalla disponibilità di adeguate risorse finanziarie sia da fattori psicologici e contingenti: è sufficiente che anche solo un elemento del processo d’acquisto – in questo caso, il modo di pagamento – non corrisponda alle aspettative iniziali per rinunciarvi. Non si può, inoltre, tralasciare il principio fondamentale della libertà di scelta (freedom to choose secondo l’economista Milton Friedman),

15.000 € (consumatori non-residenti)

350’000 CZK (≈ 14’000 €) per giorno 5000 € (business-to15’000 € (persone fisiche business, consumer-tonon a carattere imprenbusiness, business-toditoriale) consumer) 2500 € (residenti)

15’000 € (non-residenti)

che va persa, ogniqualvolta la «mano pubblica» non rispecchi il volere del popolo. Dapprima timidamente e, via via, più decisamente si è giunti al clima odierno, spesso ostile nei confronti di quello che rimane, comunque, il principale mezzo di pagamento consentito per legge. Lascia perplesso l’approccio disomogeneo, con cui il trend delle limitazioni al contante si è espanso nel vecchio Continente – in contrasto, oltretutto, con le indicazioni della stessa Commissione Europea ben più garantiste sebbene ridotte da 15’000 € (2005/60/CE) a

2002

2013

2013 2012

7.500 € (2013/0025 (COD). Ad esempio, le Repubbliche scandinave dimostrano una preferenza per i mezzi di pagamento elettronici, ma altrettanto non lo è per altri Paesi (fra cui la «virtuosa» Germania, che non presenta restrizioni legali). Nemmeno negli USA si è arrivati a tanto, sebbene questi prediligano necessariamente le carte di credito/debito, anche solo per la difficoltà pratica di portare con sé troppo contante nel percorrere le vastità territoriali. Tale approccio nei confronti del cash non soltanto gli attribuisce caratteristiche negative o, persino, fraudolen-

te, bensì lo spoglia della sua immagine ancestrale di ricchezza, che da sempre è caratterizzata da ori luccicanti, monete tintinnanti e banconote fruscianti. Questo sentire comune può forse avere un minore impatto in tempi di congiuntura economica favorevole, ma prepotentemente riaffiora durante le crisi. Come non ricordare le immagini di correntisti (preoccupati per i loro risparmi) in fila davanti agli sportelli bancari per ritirare in contanti i loro depositi – e non trasferirli presso altri istituti bancari? Ne sono esempio il caso Northern Rock nel settembre 2007 o la continua emorragia di liquidità dalle banche greche e, prima ancora, cipriote. In breve, il contante è divenuto il nuovo oro, in cui rifugiarsi nelle turbolenze finanziarie. Le economie post-industriali potrebbero tecnicamente sì già essere cashfree, ma minimizzare i timori di cui sopra potrebbe essere fatale – a maggior ragione, se l’intento di convogliare gli individui verso i mezzi elettronici è percepito come ostile. La strategia di marketing pro pagamenti dematerializzati è poi incoerente, se accostata alla tassazione delle transazioni finanziarie (cfr. Tobin tax) o al rischio di prelievi forzosi sui conti correnti in caso di crisi (come, al contrario, avvenuto a Cipro nel marzo 2013). In ogni modo, fintanto che non si sentirà l’esigenza spontanea di abbandonare monete e banconote a partire dalla prassi quotidiana (bottom-up), ogni intervento pubblico restrittivo potrebbe costituire un minus annuo in termini di crescita economica. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Competitività delle economie, la Svizzera sempre al primo posto Classifiche L’indice elaborato dal World Economic Forum di Davos premia per la settima volta consecutiva

Ignazio Bonoli Tra i molti indici che vengono calcolati per misurare il polso all’economia, quello del WEF (World Economic Forum, che tra l’altro organizza il Forum internazionale di Davos) è uno dei più seguiti, almeno a livello svizzero. Anche questo indice conferma in sostanza la sempre ottima posizione della Svizzera nei confronti internazionali, ponendola al primo posto della classifica mondiale della competitività, per la settima volta consecutiva. Il WEF calcola infatti un indice di competitività (Global Competitiveness Index) che pubblica ogni anno, da sette anni, nel suo «Global Competitiveness Report» per il 2015-2016. Questo indice si basa sulla valutazione di un materiale statistico molto ampio, completato da interviste a dirigenti di aziende importanti, riuniti nel noto «Executive Opinion Survey». Nell’eseguire i rilevamenti statistici e nelle interviste, ci si basa su dodici criteri che si applicano ai settori delle istituzioni, delle infrastrutture, ai dati economici, alla salute e alla formazione scolastica di base, cui segue una formazione professionale più avanzata, alla dinamica del mercato delle merci, alla situazione del mercato del lavoro, allo sviluppo del mercato finanziario, al campo tecnologico, all’ampiezza dei mercati, alla qualità dell’am-

biente degli affari e all’innovatività. Questi criteri sono a loro volta suddivisi in tre sotto-indici, definiti «Basic requirements», «Efficiency Enhancers» e «Innovation and Sofistication». In tutto vengono utilizzati 114 indicatori. La classifica di quest’anno vede, come detto, in testa la Svizzera, seguita da Singapore e Stati Uniti. Al quarto posto figura la Germania, che recupera un posto rispetto all’anno precedente. L’Olanda (al 5° posto) guadagna invece ben tre posizioni, seguita da Giappone e Hong Kong. Quattro posti guadagna anche la Finlandia (ottava) seguita dalla Svezia e dalla Gran Bretagna, che guadagnano ognuna un posto. In fondo alla graduatoria figurano Burundi, Sierra Leone, Mauritania, Ciad e Guinea. Va comunque precisato che, per tener conto delle particolarità dei 140 Paesi al mondo presi in considerazione, vengono utilizzate cinque categorie di sviluppo economico. Ogni Paese viene attribuito a una di queste cinque categorie, nelle quali gli indicatori utilizzati vengono ponderati in modo diverso. Il grado di sviluppo economico di ogni Paese viene valutato in base al reddito pro capite, tenendo però anche conto di come questo reddito viene prodotto, in particolare per quanto deriva dall’esportazione di materie prime. Nella prima categoria vengono considerati soprattutto i Paesi in via di

Keystone

il nostro Paese. Alcune nubi si addensano però all’orizzonte

L’abbandono della soglia minima di cambio euro/franco e i tassi negativi introdotti dalla BNS potrebbero avere effetti negativi per l’economia svizzera.

sviluppo, per i quali hanno un ruolo importante sia l’assetto istituzionale, sia lo sviluppo delle cure della salute, dell’infrastruttura e del contesto macroeconomico. Gli Stati più avanzati sono situati nel terzo gruppo, mentre nel quinto figurano gli Stati industrializzati e i Paesi con un forte spirito innovativo. Nel secondo e quarto gruppo vengono invece inseriti quei Paesi che si trovano in una fase di transizione. Per quanto concerne la Svizzera, il rapporto evidenzia, accanto alla sem-

pre ottima valutazione, anche alcuni pericoli che potrebbero metterla in difficoltà. Tra questi, soprattutto l’accettazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, la cui applicazione potrebbe ostacolare l’immigrazione di personale altamente specializzato, di cui l’economia ha bisogno. Un fattore questo che potrebbe danneggiare l’elevata competitività del Paese. Un Paese dal livello dei prezzi molto elevato può mantenere la sua posizione di testa soltanto se la sua produttività

viene costantemente migliorata. Altri pericoli sono però costituiti dal costante miglioramento dei Paesi vicini e dalla persistente forza del franco svizzero. Si noti in proposito che il WEF classifica quest’anno l’Italia al 43esimo posto soltanto, ma con un guadagno di ben sei posizioni. Analogamente – secondo gli economisti del WEF – potrebbero avere influssi negativi sulla posizione svizzera la soppressione del tasso minimo di cambio del franco con l’euro e l’introduzione di tassi di interesse negativi da parte della Banca Nazionale. La posizione preminente della Svizzera è comunque dovuta soprattutto alla sua grande forza innovativa. Le note migliori sono attribuite sia agli istituti pubblici di ricerca, sia alle imprese svizzere. Buone note sono attribuite anche alla cooperazione fra istituzioni pubbliche e private, nonché all’attrattività esercitata nei confronti di specialisti esterni. Altri fattori dell’efficienza dell’economia svizzera sono il sistema di formazione duale, la buona infrastruttura, la flessibilità del mercato del lavoro, la stabilità macroeconomica e il sistema politico. In generale le statistiche del WEF dimostrano anche che i Paesi con un alto grado di competitività sono i più resistenti in caso di crisi, rispetto a quelli con alta regolamentazione pubblica e scarsa capacità di adeguamento. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Finanze del Cantone: sempre profondo rosso Per la miseria! Ancora un consuntivo del Cantone, quello del 2014, che si chiude largamente in rosso con, all’orizzonte, un preventivo, quello del 2016, con un grosso deficit. L’evoluzione delle finanze del Cantone, nel ventunesimo secolo, con il loro deficit permanente, rappresenta un caso unico nell’ambito della finanza pubblica federale. Il Cantone ha infatti chiuso solo 6 volte i suoi conti in nero: negli anni 2000, 2001, 2005, 2008, 2009 e 2011. Bisogna precisare che i conti del 2005 hanno registrato un’eccedenza di entrate solo perché la Banca nazionale, quell’anno, ha regalato al Ticino più

di mezzo miliardo. L’obiettivo dell’equilibrio tra entrate e uscite, specificato nella legge cantonale sulla gestione e sul controllo delle finanze, è quindi stato definitivamente perso di vista dall’erario ticinese. La politica finanziaria cantonale sembra stia invece seguendo il modello del cosiddetto «deficit strutturale» dei Paesi dell’Ue. E fintanto che i tassi di interesse continueranno a scendere non c’è santo che tenga: invece di tagliare la spesa o aumentare le imposte si preferirà lasciare crescere il debito pubblico. Precisato questo per non dare l’impressione di essere dei sempliciotti che credono

150000 100000 50000

0 -50000 -100000 -150000 -200000 -250000 -300000 -350000

Risultato d’esercizio del Canton Ticino in migliaia di franchi.

che esista l’albero degli zecchini d’oro (per quanto la BNS, nel 2005, e, in maggior misura, la Confederazione, anno per anno, abbiano ricoperto proprio questo ruolo) ci possiamo chiedere che cosa si potrebbe effettivamente fare se, nel parlamento e nell’elettorato ticinese prevalesse l’opinione che la legge sulla gestione delle finanze debba essere rispettata. Le possibilità non sono molte e tutte politicamente costose. La prima, quella che ha adottato l’attuale Consiglio di Stato, consisterebbe nell’evacuare una parte degli oneri finanziari del Cantone sui Comuni attribuendo loro competenze e funzioni che attualmente non hanno. Un mandato di analisi è già stato attribuito. Lo studio costerà 10 milioni. Il minimo che ci si possa attendere è che dallo stesso escano proposte per un travaso di almeno 100 milioni di franchi di spesa, dal Cantone verso i Comuni. È una cifra imponente ma attribuendo, o riattribuendo, ai comuni qualche funzione molto onerosa (p. es. la scuola elementare con tutte le spese di contorno) si potrebbe anche conseguire. Osserviamo

che, dalla sua creazione, praticamente, il Ticino è un cantone più centralista della media. Una cessione di competenze – e di oneri ovviamente – ai Comuni ticinesi, soprattutto ora che la prima parte del piano di aggregazioni è stata portata a termine, può essere ritenuta ragionevole. Il costo politico di questa variante non sarebbe però basso. Ci sarebbe una forte opposizione dei comuni. L’altra variante consisterebbe nel varo di un programma di ristrutturazione dell’amministrazione che, sopprimendo prestazioni e impieghi, consentisse al Cantone di risparmiare 100 milioni. Si tratterebbe di sopprimere più di 500 posti di lavoro e bisognerebbe quindi procedere a dei licenziamenti. Anche questa variante avrebbe quindi un costo politico molto elevato e sarebbe rifiutata dalla sinistra del parlamento. La terza possibilità è rappresentata dall’aumento delle imposte dirette per le persone fisiche e per le persone giuridiche. Un aumento pari circa al 10% permetterebbe di incassare i 100 milioni supplementari che, attualmente, occorrono

per riequilibrare il conto di esercizio. Per i partiti che attualmente compongono la maggioranza di centro-destra del nostro Gran Consiglio, l’aumento delle imposte dirette è però tabù. Insomma, per quel che riguarda le finanze, il parlamento cantonale è posto di fronte a un dilemma della stessa natura di quello dell’asino di Buridano che, per non aver saputo scegliere tra due tipi di nutrimento, morì di fame. «Come dite? Se non si può fare un compromesso tagliando un po’ meno la spesa e aumentando un po’ meno le imposte dirette?» Certo che si può fare, ma bisogna che tutto il parlamento l’accetti. E siccome questa volontà politica al momento (fintanto cioè che i tassi di interesse restano bassi) non esiste, si preferisce dilazionare. Il governo attribuisce mandati di ricerca. Il parlamento, invece, lascia lievitare il debito pubblico. C’è da credere che, poverini, i nostri politici si rifiutino di prendere le misure di risanamento a malincuore. Ma l’esito dell’esercizio non cambia: profondo rosso nel preventivo e, purtroppo, anche nel consuntivo.

frangente sono dalla stessa parte. Li ho intervistati entrambi nei giorni scorsi. La loro idea è che i divorziati risposati non si possono riammettere alla comunione non per una loro colpa personale particolarmente grave, ma per lo stato in cui oggettivamente si trovano. Il precedente matrimonio continua infatti a esistere, perché il matrimonio sacramento è indissolubile, come ha detto lo stesso Papa Francesco nel volo di ritorno dall’America. Per questo Ruini aggiunge che «avere rapporti sessuali con altre persone sarebbe oggettivamente un adulterio». Certo, «ogni singola persona e ogni singola coppia vanno considerate in concreto per vedere se la norma le riguarda o non le riguarda». Alla fine il Sinodo aprirà alla distinzione caso per caso. Il Papa ha già reso più semplice – e meno costoso – il percorso che porta alla dichiarazione di nullità del matrimonio. Più di questo l’ala rigorosa della Chiesa

non sembra disposta a concedergli. Poi c’è la questione delle unioni civili. Una questione più italiana che vaticana. Il matrimonio gay con adozioni c’è ormai in mezza Europa, e pure nel Nord America. In Italia c’è più modestamente la legge Cirinnà, dal nome della relatrice che faticosamente la sta portando avanti alle Camere: è ormai certo che le norme non saranno approvate entro l’anno, come prospettava Renzi. Secondo Ruini, il modello tedesco – cui ha guardato l’Italia – prevede che «le coppie omosessuali abbiano in pratica tutti i diritti del matrimonio, eccetto il nome. E la proposta di legge su cui si discute in Parlamento apre uno spiraglio pure all’adozione. Si sa benissimo, e alcuni sostenitori della proposta lo dicono chiaramente, che una volta approvata si arriverà presto ai matrimoni tra persone dello stesso sesso e alle adozioni. Personalmente condivido il commento del

cardinale Parolin, dopo il referendum in Irlanda: “Il matrimonio omosessuale è una sconfitta dell’umanità”. Perché ignora la differenza e complementarità tra uomo e donna, fondamentale dal punto di vista non solo fisico ma anche psicologico e antropologico. L’umanità attraverso i millenni ha conosciuto la poligamia, la poliandria, la compravendita delle mogli, ma non per caso il matrimonio tra persone dello stesso sesso è una novità assoluta: una vera rottura che contrasta con l’esperienza e con la realtà». E, ha concluso il cardinale, «se si andasse avanti per una certa strada, difficilmente le proteste mancheranno». Le hanno già chiamate le Armate di Ruini: i promotori storici del Family Day annunciano un milione al Circo Massimo contro la nuova legge. Il cattolico Renzi ha un problema in più. E pure Papa Francesco non potrà far finta di nulla.

di reperti e tesori artistici d’Europa, se non del mondo intero. Magari, anche solo ricorrendo a Google, avrebbe potuto appurare l’esistenza del legame, visto che la fondazione del museo lusitano e Micael Gulbenkian erano in lite (per un cavillo riguardante il marchio delle rispettive aziende, e il barone del petrolio l’ha praticamente vinta). La mia ingenuità mi ha anche spinto a immaginare che quel qualcuno, sempre sulla base del semplice abbinamento dei cognomi, avrebbe magari potuto contattare il «moroso», prima del precetto esecutivo, e proporgli un accordo: non dico promettendo colpi di spugna su quanto Micael Gulbenkian deve al fisco, ma perlomeno ventilando proroghe o accomodamenti sulle quote ticinesi, in modo da arrivare a future sinergie con la Fondazione e Museo Gulbenkian di Lisbona da una parte e il Lac di Lugano dall’altra. Ma forse sto vaneggiando: il corso della giustizia, soprattutto quando si tratta di fisco, in Svizzera e in Ticino non può e non

deve tener conto di scorciatoie e sentieri contorti. Sento già il rimprovero: come osi pensare che questi soldi di «morosi» possano essere tolti allo Stato? E per di più utilizzati soldi del fisco per colmare i vuoti di un museo? Eccoci di colpo nell’area del mecenatismo, inclinazione che alle nostre latitudini ormai è più rara delle vocazioni sacerdotali. Ne troviamo una conferma nella concomitanza (la seconda) fra il primo concerto dell’OSI nel nuovo auditorium del Lac e l’apertura della (174. ma!) stagione musicale della New York Philarmonia nella nuova David Griffen Hall del Lincoln Center, una sala di spettacolo che costerà circa 500 milioni di dollari a costruzione ultimata. I media della Grande Mela, al contrario di quelli «nostrani», più che a costi e sorpassi hanno rivolto attenzione alla donazione di 25 milioni di dollari elargita da Oscar Schafer: «L’ho fatto per ispirare altri a fare donazioni» ha detto il mecenate, subito nominato presidente della Filarmonica. Volendo analizza-

re questa notizia è abbastanza ovvio che occorre tener conto dell’insostenibilità di un paragone fra Lugano e New York. Però, guardando alle due inaugurazioni, dimenticando i numeri che riguardano abitanti e ricchezza delle due città ed evitando anche di confrontare i costi per le due strutture (oltretutto diverse), mi soffermo soltanto sul generoso gesto del cittadino privato Oscar Schafer. Si dirà, un milionario come tanti a New York, visto che è Ceo della Rivulet Capital Investements. Ma scavando un po’ scopro che la sua società, oltre ai tre fondatori e proprietari, ha solo 7 dipendenti. E allora diventa più facile non solo ritenere che anche da noi esistano simili milionari, ma anche ipotizzare che il Lac dovrà impegnarsi (dai dirigenti sino a politici e magistrati) a ridare vitalità ed entusiasmo anche al mecenatismo. Lo potrà fare attraverso quello che oggi si chiama fund raising. Ma soprattutto, se vorrà garantire continuità alle varie arti che ospiterà sotto il suo tetto, coltivando l’arte del donare.

In&outlet di Aldo Cazzullo La Chiesa e le riforme difficili Ma di cosa discutono i cardinali del Sinodo? Certo, non soltanto sulla possibilità di riammettere alla comunione i divorziati risposati. Ma alla fine la questione è diventata simbolica, quindi cruciale. Al di là della differenza di accenti – dialogo, chiusura – la questione delle coppie di fatto omosessuali non è all’ordine del giorno. La Chiesa non accetterà mai il matrimonio gay. Così come non è in discussione il celibato dei sacerdoti: la famiglia di cui si dibatte al Sinodo è sempre quella degli altri. Papa Francesco ha già mostrato una sensibilità aperta. Ma dal punto di vista dottrinale si muove con grande cautela. A prescindere da quel che pensa davvero lui nel segreto del suo animo. Bergoglio ha già innovato il collegio cardinalizio. Il prossimo conclave sarà molto diverso da quello che l’ha eletto: sarà più aperto al mondo e connotato da un segno più progressista, o meno conservatore.

Resta il fatto che Francesco è andato molto oltre le aspettative dei cardinali che l’hanno scelto; che si aspettavano un cambiamento, non una rivoluzione. Oggi il vertice della Chiesa è un po’ meno wojtyliano e ratzingeriano di qualche anno fa; ma non è certo pronto a seguire Bergoglio su strade inesplorate, ammesso che il Papa gesuita sia davvero pronto a esplorarle. Sulla comunione ai divorziati risposati però è davvero intenzionato a fare un’apertura, come ha suggerito il cardinale Kasper. Così come i «conservatori» sono davvero intenzionati a fermarla, questa apertura. Non mettendosi direttamente contro il Papa, ma fornendo gli argomenti secondo cui il Papa non potrebbe fare quello che ha in animo di fare. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, e Camillo Ruini, storico leader dei vescovi italiani, hanno formazione e opinioni diverse su molti punti. Ma in questo

Zig-Zag di Ovidio Biffi Il Lac non attende solo artisti Qualcuno, lanciando un «ancora…» alla lettura del titolo, penserà che anch’io mi sia lasciato soggiogare dall’evento principe dell’autunno ticinese. Allora preciso subito che batterò un sentiero ancora poco frequentato dai media di casa nostra. Lo farò ricorrendo, come spesso mi capita, a due episodi avvenuti quasi assieme ai festeggiamenti luganesi. Il primo ha avuto luogo a Lugano e indirettamente vede coinvolto lo stesso Municipio che, quasi «in corpore», era schierato a inaugurare il centro culturale di Piazza Bernardino Luini. Negli stessi giorni, sul Foglio Ufficiale, è comparso l’annuncio di procedure esecutive, per quasi mezzo milione franchi di imposte non pagate, nei confronti del cittadino portoghese Micael Gulbenkian, massimo dirigente della Heritage Oil Corporation. L’organo ufficiale del Cantone nei dettagli rivela che anche Confederazione e città di Lugano attendono pagamenti di imposte arretrate dall’imprenditore e finanziere portoghese, probabilmente

desunte dai guadagni della sua impresa che non per niente gli ha garantito sinora il soprannome di «barone del petrolio»: degli oltre 436’000 franchi di imposte non pagate, circa 54’000 spettano alla Città di Lugano, poco più di 158’000 al Cantone, il resto alla Confederazione. Non è dato sapere per quali motivi Micael Gulbenkian, CEO della Heritage Oil Corporation, non abbia pagato le imposte (calo dei prezzi del greggio?), né perché si sia arrivati alla procedura esecutiva. Tuttavia vedendo quel cognome nell’elenco di «morosi» (nel senso di chi è in mora, non di chi è innamorato) ho finito per abbozzare altre congetture. Chissà, mi sono chiesto, se a Lugano o a Bellinzona chi contabilizzava i ritardi e gli ammanchi fiscali del barone del petrolio, ha avuto il sospetto che quel cognome potesse avere un collegamento con il fantastico museo Gulbenkian retto da una omonima fondazione a Lisbona e sede di una delle più vaste e variegate collezioni


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Cultura e Spettacoli Gabai espone a Zurigo L’artista ticinese Samuele Gabai in mostra fino al 13 novembre alla Jedlitschka Gallery pagina 34

Lac e San Materno Tiziana Arnaboldi ha inaugurato la stagione del San Materno; a Lugano l’Ivanov di Filippo Dini

Il ritorno dei Duran Duran Gli idoli degli Anni ’80 delle ragazze di mezzo mondo tornano, ma non convincono

Burtynsky e il territorio Il grande fotografo in mostra a Milano illustra i disastri compiuti dall’uomo

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Dove sono gli uomini, oggi? Letteratura Heinrich Mann, fratello di

Thomas, ci ha lasciato in eredità una lettura inquietante e attuale del mondo del potere Luigi Forte Ci pensò il regista Joseph von Sternberg con il suo film L’angelo azzurro del 1930 a far conoscere a un vasto pubblico lo scrittore Heinrich Mann, fratello del Premio Nobel Thomas. E a consolidare la fama dell’autore del romanzo Il professor Unrat, da cui la pellicola era tratta, non fu da meno l’icona della femme fatale, Marlene Dietrich, nel ruolo della mitica sciantosa Lola Lola. Quel libro del 1905 confermava il talento narrativo di Heinrich incline, più che all’ironia di Thomas, alla caricatura e alla deformazione stilizzata tanto cara al pittore George Grosz. Lo scrittore di Lubecca, dov’era nato nel 1871, fu un democratico convinto, nemico di ogni deriva totalitaria, e prima ancora un intellettuale insofferente delle ipocrisie e dei vizi della borghesia tedesca. Già nel 1900 si era avventurato nella Berlino guglielmina con il romanzo Il paese della cuccagna, che ben figurerebbe fra Zola e il Bel ami di Maupassant. Qui la parabola dello scrittorucolo di provincia Andreas Zumsee si dilata nell’affresco di una società in cui apparenza e inganno, speculazione e arrivismo sono i presupposti di ogni uomo di successo. Dove il denaro è merce abbondante per i più cinici e spregiudicati e qualsiasi occasione è buona per riempirsi le tasche. «È sufficiente aver l’aspetto felice per diventarlo davvero in poco tempo», confessa con dubbia ingenuità Zumsee all’amico Köpf, che al suo arrivo nella capitale dalla natia Renania lo aveva introdotto nell’ambiente del caffè Kühlemann nella Potsdamer Strasse, frequentato da giornalisti e letterati. Da quel momento la vita di Andreas è tutta in discesa: entra nel salotto buono della matura signora Adelheid, moglie del potente banchiere Türkheimer, ne diventa l’amante e, grazie a lei, mette in scena una modestissima commedia incensata dalla stampa compiacente. Il mondo gli sorride e fra le braccia di Adelheid crede di rinascere. Tutto è a portata di mano per quel giovane gigolo che tra le lenzuola di una dama d’alto bordo si illude perfino di essere uno scrittore di vaglia. E Berlino, dove Heinrich Mann aveva trascorso da studente una vita piuttosto dissoluta, scorre sotto gli occhi del lettore in un turbinio di piaceri: dai salotti con belle donne, arte e cultu-

ra ai locali raffinati come il Kempinski, dove Zumsee e il reporter Kaflisch centellinano le loro flûte di champagne. È una città dai molti volti dove s’aggirano manipoli di cortigiani e servi che cercano la protezione di un potente, giornalisti e letterati da strapazzo che si vendono per un favore, spericolati finanzieri come il console generale Türkheimer. Ma è anche la città dove si creano e distruggono fortune, la scena impietosa dove cadono le maschere dell’illusione. Basta poco per essere cacciati dal paradiso: solo un pizzico di fatale arroganza, un ingenuo senso di onnipotenza, il narcisismo del provinciale che crede di aver scalzato il potere. La fine del suo inebriante sogno ad occhi aperti coincide con la seduzione della piccola Matzke, l’amante proletaria del banchiere. Il potere non perdona. Ciò che lascia in eredità allo sconfitto Zumsee è proprio Matzke che gli tocca sposare e un modestissimo posto di redattore per il resto della sua esistenza. Il lusso e le delizie della metropoli si dissolvono nell’umile destino del piccolo uomo che ha sognato l’impossibile: non solo il proprio riscatto sotto la maschera del parvenu, ma una vera cittadinanza nel Paese di cuccagna. Con lo sguardo disincantato dell’analista, Heinrich Mann riassume la parabola di un’intera classe sociale, compatta e solidale nel difendere con ogni mezzo i propri privilegi. Egli mette alla gogna quel sistema che prima della guerra sembrava ancora indissolubile e monolitico. Era lo stato-caserma di Guglielmo II, in cui poco dopo, troveremo di casa il professor Raat, soprannominato da suoi studenti Unrat, cioè spazzatura, immondizia, nell’omonimo romanzo del 1905. Tiranno, severo guardiano della rispettabilità piccolo-borghese pronto a reprimere ogni stimolo di individuale creatività, egli precipita nel baratro di una passione senile per la sciantosa Rosa Fröhlich che, alla fine, tenta di strangolare in presenza del suo vecchio allievo Lohmann. La vita gli è sfuggita di mano e sembra conoscere ben poco della sua stessa anima, «delle sue fughe nell’abisso, del suo tremendo divampare, del suo eterno e solitario arrovellarsi faccia a faccia con sé stessa». Al suo ex studente egli appare come un essere a metà strada fra un ragno e un gatto, con gli occhi dilatati del folle e le mandibole tremanti coperte di schiuma. Quel ritratto è la metafo-

Il Professor Unrat, creatura di Heinrich Mann, visto con gli occhi dell’illustratore Paul Rosié (Anni 50). (Keystone)

ra di un’epoca che ha rimosso, sotto la maschera di un apparente decoro, ogni vera, autentica espressione di vita. Il povero Unrat che cerca nell’amore per la sciantosa il riscatto dalla sua grigia e monotona esistenza, viene percepito come un anarchico, un outsider, pericoloso e potenziale corruttore in una società che non conosce deroghe. E la sua immagine sembra ormai proiettata verso un futuro in cui la compattezza dei veri o falsi valori borghesi tende a disgregarsi. Ci penserà la guerra, di lì a poco, a sabotare tutte le certezze tratteggiando un nuovo paesaggio urbano. Ma prima ancora lo scrittore aveva già pronto uno dei suoi capolavori, Il suddito – un bestseller da centomila copie – pubblicato però solo alla fine del conflitto mondiale. L’irresistibile ascesa politica e sociale del suo protagonista, il piccolo borghese Diederich Hessling, sembra destinata a non tramontare mai. Mann sa cogliere, al di là del suo tempo, una tipologia radicata nelle eterne debolezze umane e nel declino morale di un’intera società, di cui

Hessling è vittima e carnefice. Un mondo di gregari che delegano la soluzione dei propri problemi a un potere arrogante e cialtrone. Heinrich Mann condanna senza pietà quella borghesia di cui Diederich è un aggressivo e patetico rappresentante di provincia: opprime coloro che stanno in basso, ma tollera le bastonate dall’alto. La parabola sociale di Diederich si rispecchia in quella dell’ideologia guglielmina: il potere garantisce privilegi a chi lo serve rendendolo però insensibile e disumano. Egli abbandona la giovane amante Agnese al proprio destino, diventa un piccolo despota in famiglia e nell’azienda che ha ereditato dal padre, mette sul lastrico operai e calpesta senza esitazione i propri avversari. Nella fantasmagoria della provincia Il suddito coglie non solo la contrapposizione fra concezioni diverse della politica, ma la sua stessa crisi. Sulla scena del romanzo nessuno si salva: non il vecchio liberale Buck trasformatosi in un notabile, né l’operaio Fischer che non esita a schierarsi con Hessling che spasima per i nazionalisti.

Heinrich Mann non ha descritto solo i suoi tempi, ma prefigurato, in una galleria di straordinari ritratti, anche i nostri. «Dove sono gli uomini, oggi?», si chiede con sgomento il vecchio Buck difensore della sovranità del Parlamento e icona della storica debolezza della strategia liberale. Non sono rimasti che tipi come Hessling che sogna miti e surrogati per riempire il proprio vuoto morale. Con i suoi baffi ad angolo retto riproduce la vera maschera del suddito che mima la massima autorità, l’imperatore dai generosi mustacchi. Diederich è ormai solo una grottesca marionetta, l’icona del perfetto gregario che sguazza in un mondo capovolto dove lo spirito, a sentir lui, semina solo rovine. Chi ha venduto l’anima al potere e ha fatto del cinismo la propria regola di vita, non conosce riscatto, ma piuttosto il timore di essere contagiato da sentimenti umani. Bisogna dar atto a Heinrich Mann, morto in esilio a Santa Monica nel 1950, di aver visto lontano, ben oltre il suo tempo e assai vicino al nostro.


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Cultura e Spettacoli

Una vita per l’arte Mostre Omaggio a Edgardo Ratti con una serie di appuntamenti a Bellinzona, Balerna e Ascona; fino al 1. novembre

Alessia Brughera I novant’anni sono un’occasione preziosa per fare il bilancio di una vita. Edgardo Ratti li ha compiuti da poco e la mostra che il Museo Civico Villa dei Cedri a Bellinzona gli dedica è un doveroso tributo alla sua esistenza consacrata interamente all’arte. Il lungo percorso del maestro ticinese parla per lui. E ci racconta di un animo libero, autonomo, distante dalle tendenze seguite dai più, non tanto (o non solo) per scelta, quanto per assecondare la naturale inclinazione verso un operare schietto, autentico, inesorabilmente saldato alla cultura e alla tradizione della sua terra. Ratti stesso afferma che il suo lavoro, fin dagli esordi, ha preso linfa vitale proprio dalle strade, tra le piazze e in mezzo ai boschi, a stretto contatto con la gente di campagna. Popolare, lo si potrebbe definire, ma sarebbe un’interpretazione limitante, perché esso va ben al di là di una certa spontaneità naif e trasognata per diventare invece espressione di una sapienza antica, atavica, intimamente radicata nell’uomo. Nel suo cammino artistico Ratti si confronta con linguaggi e temi diversi; si cimenta nella pittura, nella scultura, nel disegno, mosso da un profondo legame con la natura che lo porta spesso a rappresentarla attraverso gli elementi a lui più vicini e familiari come l’acqua, la neve, la selva, e a prediligere materiali come il legno e la pietra. Il suo mondo si dipana tra il lago e i monti, tra i paesaggi che circondano rigogliosi le sponde del Verbano e quelli che si estendono silenti nelle valli prealpine: di questi spazi Ratti carpisce i segreti e racchiude l’essenza nelle sue opere, quasi a volerne conservare inviolato il vigore spirituale. Non solo di questo vive però la sua creatività, attenta com’è a recepire gli stimoli che provengono dalle esperienze e dalle frequentazioni che si presentano numerose già dagli anni del Ginnasio

a Bellinzona, dove l’artista incontra il suo mentore Augusto Sartori, autore di dipinti in cui le tematiche locali sono trasfigurate in garbate scene misticosimboliche. Quando poi prosegue gli studi all’Accademia di Brera, Ratti entra in contatto con gli orientamenti dello stile informale e del tonalismo lombardo. Da questo confronto, però, non fa altro che uscire rafforzata la sua dimensione personale, intollerante agli schemi e alle mode, sostenuta da un sempre più solido rapporto con la realtà e spesso intrisa di un’acuta sensibilità sociale. La mostra bellinzonese si apre con alcuni quadri ispirati alla natura che risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta: le strade che si intrufolano nei boschi, i girasoli secchi, la nebbia che si propaga sulle Bolle di Magadino. Opere realizzate ora con impasti materici dai colori vividi, ora con leggeri tocchi dalle tonalità chiare. Le cromie limpide e luminose prendono presto il sopravvento, accompagnando la produzione pittorica di Ratti fino agli anni Ottanta. Di questa fase troviamo ad esempio un autoritratto del 1985, in cui la sagoma rude dell’artista affiora quieta da uno sfondo pallido, e una coppia di dipinti del 1980 dal titolo Dorso e Maternità, in cui le figure posano delicatamente sulla tela bianca rendendosi appena percettibili nei loro contorni liquidi ed evanescenti. A fare da contraltare sono i lavori appartenenti al cosiddetto «periodo nero», caratterizzato da tinte cupe e dalla scelta di soggetti che esprimono il declino e l’abbandono umani. Interessante in questo senso è il ciclo che Ratti riserva ai ricoveri e agli anziani della sua terra, in cui individui derelitti e sofferenti assurgono a emblema della solitudine. Nell’opera La finestra, il pizzo, del 1990, viene immortalata con lucida intensità una vecchia donna su una carrozzella: la sua testa è china e di fronte a lei c’è una finestra dalla quale entra una fredda

San Nazzaro, Edgardo Ratti, 1958. (© Edgardo Ratti)

luce che rischiara appena il buio della stanza. A rompere l’atmosfera spoglia e tetra solo un elegante pizzo adagiato sullo schienale della sedia a rotelle. Poi Ratti ritorna al colore. Dagli anni Novanta nascono quadri di più grande formato dove ricompare prepotente il tema dell’acqua, di cui riesce a rendere nei suoi acrilici dagli azzurri e blu energici la vitalità dinamica e i riverberi luminosi. Per lui, cresciuto attorno al lago, questo elemento diventa il mezzo per riconsegnare la propria storia raccontandone la trama delle emozioni. Una sala della mostra è poi dedicata alle prove scultoree dell’artista. Fin dagli anni Settanta Ratti trova nella lavorazione della pietra e del legno una modalità espressiva nuova che gli permette di confrontarsi con gli effetti dei pieni e dei vuoti della materia. Le Crocifissioni e le Deposizioni, plasmate in volumi vigorosi, testimoniano il suo sguardo

rivolto da una parte alle sculture delle chiese romaniche ticinesi, simbolo della devozione popolare delle comunità contadine, dall’altra agli esiti di illustri colleghi quali Giovanni Genucchi, con le sue opere dalle forme pure ed equilibrate che si identificano con le forze della natura e divengono proiezioni di valori ancestrali. A Bellinzona sono raccolti lavori di una religiosità genuina in cui ruvidi Cristi dalle fattezze essenziali appaiono dolenti e fieri al tempo stesso. Nel Cristo deposto del 1988, Ratti intaglia nella fibra densa del legno di ulivo un corpo allungato ed emaciato, e lo distende poi su un carrozzino in ferro come fosse un bambino. Le ricerche degli ultimi anni, a partire dalle sperimentazioni del periodo che l’artista stesso definisce «costruttivista», sono ben documentate nelle sale finali. Qui è dato ampio spazio al ciclo delle «finestre», quadri-installazioni da

cui emerge l’impegno sociale di Ratti nella critica di una realtà che gli è sempre meno tollerabile. I tragici eventi della contemporaneità ci vengono mostrati nella loro cruda evidenza in una mescolanza di colore, disegno, fotografia e collage. Da queste aperture sul mondo l’artista ci fa assistere a spaccati di desolazione collettiva e personale: sfilano le immagini di guerra e povertà fatte di pianti e lapidi, macerie e disperazione, ma anche quelle di uomini in preda a tormenti privati o inconsapevolmente vittime delle più subdole forme di coercizione imposte dai meccanismi della società. Ratti ci presenta tutto ciò senza filtri, senza retorica, con quella risoluta lealtà che da sempre qualifica la sua arte. Alla rassegna di Bellinzona si affiancano altre due mostre dedicate all’opera dell’artista. Presso l’Agorà della Sopracenerina a Locarno sono esposte sculture in pietra e alabastro, mentre la Civica Galleria del Torchio di Balerna propone alcune delle vetrate più significative realizzate da Ratti, che con questa tecnica ha la possibilità di approfondire le sue indagini sulla luce. Dove e quando

Edgardo Ratti, una vita. Opere 19502014. Museo Civico Villa dei Cedri, Bellinzona. A cura di P. del Giudice. Orari: me-ve 14.00-18.00; sa, do 11.0018.00; lu e ma chiuso. villacedri.ch Edgardo Ratti. Sculture in pietra e alabastro. Agorà della Sopracenerina, Locarno. Edgardo Ratti. Vetrate. Galleria del Torchio, Balerna. Fino al 1. novembre 2015. In collaborazione con

Nuove dimensioni del sé Mostre L’artista ticinese Samuele Gabai fino al 13 novembre espone una serie di opere

alla Jedlitschka Gallery di Zurigo Eliana Bernasconi Mentre gli inviti alle sempre nuove esposizioni d’arte si susseguono incessanti, si sovrappongono in un ritmo quasi ansiogeno che potrebbe disorientare, diventa rassicurante reincontrarsi con l’opera di Gabai, e riscoprire la continuità di una poetica che permane sempre uguale e coerente a sé stessa, anche, e non sembri un paradosso, nel suo continuo divenire. Nato nel 1949, Samuele Gabai si accosta giovanissimo alla pittura, ha una grande attività produttiva e ha alle spalle una considerevole attività espositiva in Svizzera e all’estero. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private, in Musei cantonali e comunali, in Pinacoteche e importanti gallerie.

Alla pratica della pittura, del mosaico e dell’affresco unisce la passione per la stampa d’arte che gli ha consentito di realizzare numerose pubblicazioni a carattere bibliofilo in collaborazione con poeti, letterati, filosofi. In questa sua ultima esposizione alla Jedlitschka Gallery di Zurigo, fino al 13 novembre condivide lo spazio, in un curioso contrasto, con i lavori di Cornelia Kaufmann, artista dal linguaggio pittorico assai diverso. Già nella vetrina, illuminata tutta la notte, che guarda sulla centrale Seefeldstrasse nei pressi dell’Opernhaus Zürich, si possono vedere due piccole tele che raffigurano le nuvole: Per altri cieli (2012/13), l’artista congiunge qui il bordo inferiore della tela con tavole in legno di castagno annerito o bruciato,

Di Samuele Gabai, Presenze/ rosso, 2013.

a mo’ di predella; l’unione dei due materiali crea un sorprendente contrasto, un vivo dialogo materico. Le altre opere sono tutte molto grandi, superano il metro di lato, vanno dagli anni 2010 al 2015. Una tela Due in uno del 2010 (180x150 cm) in un misurato biancogrigio e nero, è accostata a un’altra grande tela Presenze (come vedremo tema costante nella sua opera) dove invece l’esplosione energetica dei gialli e dei rossi grida fortissimo. In Zelda (2009/10) impronte scure minacciano la colorata e sofferente immagine della donna che unì la sua drammatica vita a quella di Francis Scott Fitzgerald. In Sfatta Pomona, del 2011, i colori che si intrecciano chiari e gioiosi e vanno dal verde al rosso a un tenero rosa carne sembrano tessere il fondo della tela. Molti pastelli, tempere e disegni di piccolo formato e delle acqueforti, alcune delle quali degli anni 90, completano la mostra. Si potrebbe genericamente affermare che l’opera di Gabai rientra in partenza nel naturalismo lombardo, ma fin dagli inizi, come scrive Claudio Guarda, il suo discorso supera la referenzialità paesaggistica per farsi confronto-incontro con una natura che è forza primordiale generatrice di vita. I suoi quadri, negli anni ’70, si intitolano per esempio Roccia madre, Grembo, Torso, temi che non abbandonerà mai, anche quando nell’evoluzione successiva degli anni natura e uomo confluiscono in una

nuova simbiosi, in tele dove la roccia da grembo diventa essere umano; i titoli possono allora essere Sposi o Doppio grembo o Abbraccio. Dai temi della natura e dell’essere umano, scrive Invar-Torre Hollaus presentando una sua mostra alla Galerie Mäder di Basilea, l’artista trae il suo vocabolario espressivo, lo attinge da una infinita sensuale varietà di matericità e di impressioni. Il mondo percepito che ci restituisce non è certo un dato finito, ma è colto in un continuo modificarsi. L’attenzione per singoli temi come la natura, l’uomo, il grembo, le presenze di terra, di fango o di cielo è una caratteristica costante del suo agire artistico, temi che non hanno motivo di mutare poiché contengono l’infinito. Sempre in bilico tra informale e figurazione, il corpo, per l’artista nostro insostituibile tramite dell’essere al mondo, non è mai abbandonato completamente, ma sembra a volte farsi monco, dissolversi, e trasformarsi in immagine stravolta e sfuggente, labile e precaria, che non può essere colta mai in modo definitivo, ma può diventare presenza che spesso si raddoppia. «Un quadro riuscito», ci dice Gabai, attentissimo alla dimensione e alla forza materica della pittura «è qualcosa che ha una vitalità interna, che va oltre il concetto o l’immediatezza dell’immagine, e se guardi come è fatta la materia vedi un mistero di cose

che ti prendono e che solo in un secondo momento hanno a che fare con la figura: alla fine che ha importanza è la luce dei colori». Un quadro è sempre una «presenza» che spesso si raddoppia, testimoniando che si è avvicinata e ha preso atto del mistero dell’Altro, (forse «l’altro da sé» della filosofia). Presenze che sembrano mutare, dove la luce dell’infinita gamma di colori della tavolozza non viene dall’esterno ma rimane intrinseca alla materia coloristica, che è un intero universo di contrasti cromatici sapienti, con grumi di materia che fanno interagire luce e colore. Colore della materia informale simile a quello che filtra dalle antiche vetrate nella mistica medioevale e si fa luce colorata, e se il soggetto è il cielo può ricordarti il Salmo 18-19 della Bibbia (un accenno che non si trasforma per questo in religiosità): «narrano i cieli le glorie di Dio, le opere sue proclamano il firmamento». La percezione è sempre soggettiva e non può essere forzata, ma l’incontro con questa pittura, che l’artista può a volte contemplare molto tempo sul cavalletto prima di considerare terminata, con queste presenze frammentate, messe al mondo da una pennellata che ha una propria autonoma vita, potrebbe diventare, per un osservatore abituato a una pittura più rassicurante e tradizionale, un’occasione per aprirsi, scoprire in sé stesso e oltre nuove arricchenti dimensioni.


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Cultura e Spettacoli

L’angoscia di Ivanov, che non si crede Amleto Teatro Il dramma giovanile di Cechov messo in scena da Filippo Dini

Giovanni Fattorini In Italia, il primo a dirlo senza incertezze fu Giorgio Strehler, quando mise in scena Il giardino dei ciliegi (1974). In seguito (1979) lo disse anche Andrée Ruth Shammah, regista di un deplorevole Ivanov, Ivanov, Ivanov, dove il sessantenne Franco Parenti vestiva i panni del trentacinquenne Nikolai Andreevič Ivanov. Entrambi affermavano che Cechov era sempre stato travisato, in quanto lo si era letto in chiave accentuatamente drammatico-crepuscolare. Che si trattasse di un travisamento, lo comprovava l’aneddoto raccontato da Stanislavskij, secondo cui lo scrittore si sarebbe lamentato col celebre regista perché aveva fatto di Tre sorelle un dramma, una tragedia, mentre lui aveva inteso scrivere un vaudeville. In una nota di regia, Strehler osservava che il riferimento al vaudeville era da intendersi soprattutto come un’indicazione sui ritmi della recitazione, che dovevano essere sveltiti rispetto a quelli tradizionalmente in uso sui palcoscenici italiani. (Ma fuori d’Italia, un’impostazione registica in tal senso era già stata messa in atto dal grande Otomar Krejča). Nella sua messinscena del Giardino dei ciliegi, Strehler si studiò di arrivare a una giusta alternanza o sovrapposizione di ritmi lenti e ritmi veloci, individuando quelle parti del testo che richiedevano un andamento leggero, rapido, brillante, e quelle che esigevano toni sommessi, dolenti, o angosciati. Mettendo in scena Ivanov, Andrée Ruth Shammah prese alla lettera il riferimento al vaudeville. Anzi – forse scorgendo la giusta chiave interpretativa del dramma in una frase del protagonista: «questa mia psicopatia con tutti i suoi annessi e connessi può servire soltanto come un buon argomento di riso e nient’altro» – si spinse ben oltre. Grazie anche a una vistosa manipolazione del testo (tagli e interpo-

Una scena di Ivanov nella versione di Filippo Dini. (Foto di Michele Lamanna)

lazioni), costruì uno spettacolo che era sostanzialmente una farsa, una galleria di macchiette. In una nota del programma di sala, Filippo Dini ha scritto: «La regia dello spettacolo si fonda sulla differenziazione molto definita dello stile nei quattro atti. Ogni atto è stato concepito in modo quasi autonomo e a sé stante, come se si trattasse di quattro commedie diverse». Il secondo atto di Ivanov – con quegli andirivieni dei personaggi che entrano ed escono nel salone dei Lebedev attraverso due porte laterali e l’uscita sul giardino – richiama manifestamente il vaudeville. Come lo ha «differenziato» Filippo Dini? Ricorrendo quasi sempre al grottesco: a mio parere,

una soluzione didascalica e grossolana. Ivanov (1889) è un’affascinante opera giovanile, che sembra quasi rozza se confrontata con la mirabile polifonia dei drammi maggiori, e che tuttavia non presenta dei così violenti cambiamenti di registro. Anche il secondo atto è fatto di nuance. La «differenziazione» degli altri tre atti (dove non c’è traccia del vecchio cechovismo di maniera) è legata alla diversa configurazione degli spazi (le scene sono di Laura Benzi) e alla maggiore o minore prossimità fisica dei personaggi. (Che nel quarto atto il mobilio sia quasi interamente scomparso dal salone dei Lebedev risulta inspiegabile. La nudità dell’ambiente

è troppo scopertamente metaforica). Il terzo atto si conclude con una scena alla Nekrosius: Anna muore stando in piedi, mentre scambia un tenero abbraccio col marito. Nel testo non c’è, e contraddice il più volte dichiarato disamore di Ivanov per la moglie; ciò nondimeno è una scena di grande intensità, come lo è quella conclusiva del suicidio di Ivanov, che inelegantemente (direbbe Hedda Gabler) si spara nella pancia. Qualche appunto lo si potrebbe muovere anche all’impostazione di alcuni personaggi, ma gli interpreti (che all’infuori di Sabel’skij indossano abiti di oggi) sono tutti bravi: Sara Bertelà (Anna Petrovna), Nicola Pannelli (conte Sabel’skij), Gianluca Gobbi (Lébedev), Orietta Notari (Zinaida Sàvisna), Valeria Angelozzi (Saša), Ivan Zerbinati (dottor L’vov) Ilaria Falini (Babàkina), Fulvio Pepe (Borkin). Filippo Dini ha eliminato non poche delle battute di Ivanov, e in diversi casi a ragione, perché inutilmente ripetitive anche al fine di sottolineare il frequente lamentarsi del personaggio. L’operazione di sfrondamento sembrerà eccessiva ad alcuni, ma il regista-attore sa dare convincentemente corpo e voce a un uomo che ha perduto l’entusiasmo e l’energia giovanili; che si dice «disilluso, con l’anima inerte, stanco, fiaccato, senza fede, senza amore, senza scopo»; che si sente oppresso dal senso di colpa e incapace di comprendere le ragioni del proprio malessere: un individuo angosciato e auto-irridente, che si disprezza ed è lucidamente consapevole di non essere straordinario, di non essere Amleto. Ai nostri occhi: una reincarnazione del tragico principe di Danimarca, che si aggira nei soffocanti intérieur di un dramma borghese. Dove e quando

Lugano, Spazio Teatro LAC, 17 e 18 ottobre

Alpi e Monteverdi per Ascona, stilnovismo in musica al LAC In scena Tiziana Arnaboldi ha aperto la stagione del San Materno con un affascinante

miscuglio di generi, mentre al LAC è stata la volta di un Dante quasi contemporaneo forma e tipo di fruizione. Doveva pertanto diventare una sfida (termine abusato, d’accordo) ma anche sottolineare, con la sua riuscita, la direzione assunta. Un biglietto da visita che non lascia spazio alle obiezioni. Ora possiamo affermare che, se l’appetito vien mangiando, non possiamo che attenderci nuove e ancora più intriganti sorprese.

Il primo doppio appuntamento con la nuova stagione del Teatro San Materno non ha deluso le aspettative del numeroso pubblico che ha riempito gli spazi dello storico edificio asconese. E la scelta delle ore 17 domenicali per l’inizio delle rappresentazioni si conferma indovinata: un modo «simpaticamente culturale» per concludere un fine settimana. Il 4 ottobre scorso ha così preso avvio la programmazione ideata e diretta da Tiziana Arnaboldi che ha coreografato l’incontro dei suoi giovani danzatori sia in apertura e all’aperto con quattro corni delle alpi (della Banda di Tremona), sia con i movimenti danzati degli stessi sul palco per il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi (dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso). Note e canti eseguiti dal «Musicensemble» nato in seno al festival Teatro sull’Acqua di Arona: una manifestazione che valorizza i talenti giovanili in sintonia con le linee-guida del San Materno. Quello che è stato orchestrato per «l’apertura», ha mostrato tutta la forza e l’originalità nel mettere in

©RSI / Loreta Daulte

Giorgio Thoeni

relazione la danza con altre discipline artistiche. E per risultare chiaro e trasmettere contenuti, un dialogo ha delle regole. Nei due casi proposti il parallelismo tra la tradizione alpestre svizzera (i corni) e il madrigale rappresentativo di Monteverdi viene mediato dal linguaggio contemporaneo della danza. Con garbo evocativo e sciamanico nel primo caso, nell’eleganza pantomimica e figurativa nel secondo. Non era così evidente accoppiare due stili musicali per certi versi contrastanti, per storia,

Il sommo poeta fra sette note

Prima ancora di misurarsi con la sua Commedia, nella Vita Nuova Dante Alighieri racconta l’amore per Beatrice in un acquarello giovanile e autobiografico che descrive anche la forma e la storia della lirica amorosa. È il 1293-4, un periodo dove il canto poetico è forma di contrasto, di supremazia creativa, ma anche spunto di forte innovazione linguistica che Dante distribuisce in quarantadue capitoli accompagnati per la maggior parte dai suoi strepitosi sonetti. Nel quadro della sua prima stagione teatrale, il LAC ha proposto Teen Dante. Farei parlando innamorar la gente, un musical ideato, scritto e diretto da Mariella Zanetti, prodotto dalla RSI-Rete Due (Francesca Giorzi) in collaborazione con LuganoInScena,

il Conservatorio della Svizzera italiana e la Scuola Paolo Grassi di Milano. Liberamente ispirato alla Vita Nuova, lo spettacolo ci mostra un Dante adolescente e innamorato della sua Beatrice, bramoso di far parte del clan dei «cantori» più famosi: da Guido (Cavalcanti) a Lapo (Gianni), con un Brunetto (Latini) pronto a dargli consigli su come affrontare la vita. Intorno a loro un gruppo di ragazze, «groupies» delle star della poesia e coro dei patimenti amorosi del giovane Alighieri. Un’idea buona che ha però rivelato alcuni lati difettosi che, sul grande palco luganese praticamente senza scenografia sono in grande evidenza. Da scene ripetitive e poco avvincenti ad alcuni momenti cantati: più efficaci nelle versioni cameristiche (e orecchiabili), meno originali in veste «rock» (Giovanni Santini). Peccato per la lettura registica di Dante: personaggio troppo sussurrante e sofferente, troppo spesso intento a sbatacchiare il suo spolverino. Più efficaci e decise le ragazze. Ma tutti i giovani attori (freschi diplomati) sono stati ammirevoli interpreti, accanto all’ensemble musicale diretto da Francesco Bossaglia e a un ottimo Claudio Moneta.

Solo su Marte Cinemando

Da visionario a disinvolto, il cinema di un grande vecchio

Fabio Fumagalli **Sopravvissuto - The Martian, di Ridley Scott, con Matt Damon, Jessica Chastain, Jeff Daniels, Kristen Wiig, Donald Glover (Stati Uniti 2015) Tutto solo su Marte, abbandonato dai colleghi astronauti poiché ritenuto morto, Matt Damon dovrà mettere a profitto il proprio ingegno di biologo, botanico e fisico per tentare di mettersi in contatto con la NASA. Nella speranza di un suo utopistico salvataggio, la trasferta dura infatti quattro anni, e le scorte alimentari sono ridotte a poche decine di patate che il nostro valoroso riuscirà a coltivare sotto una tenda, utilizzando i propri escrementi come fertilizzante. Formidabile illustratore, Ridley Scott nasconde nel proprio animo la vocazione del moralista. E perché no? Dopo tutto, anche John Ford era riuscito a far lievitare la propria: in un idealismo, anche estetico, che finì per renderlo immortale. Il guaio, con l’autore di capolavori d’anticipazione come Alien o Blade Runner e miracoli di fusione dello storico con il fantastico come Il gladiatore è che le sue disquisizioni filosofiche, scientifiche, religiose, esistenziali finiscono regolarmente (oltre che, più di recente, in un discreto numero di bufale), in un’approssimazione generosa che annacqua gli entusiasmi di un universo formale un tempo leggendario. Concreto, conseguente, e pure godibile (addirittura da disinvolta commedia) nelle sue due ore e un quarto, Sopravvissuto – The Martian non sfugge alla parabola creativa del celebre regista. Anche se ambisce a sfiorare riflessioni (para)scientifiche, pure ricalcandone parte dei temi e delle preoccupazioni, siamo infatti lontani dalla vertigine di un infinito sempre più spirituale e astratto come in Gravity di Alfonso Cuaron; così come dagli inquietanti interrogativi spazio-temporali spregiudicatamente esplorati dal Christopher Nolan di Interstellar. The Martian ha il merito non indifferente di essere diretto e fruibile, poiché appena futurista. Il regista, come per un western dal panorama ormai scontato (il deserto rosso è quello della Giordania) non è che si preoccupi più di tanto di esplorare dimensioni sconosciute ed angoscianti; né, tantomeno, di sorprenderci con improvvise scene d’azione. Gli basta far chattare sugli schermi disseminati ovunque, e alternati in montaggio parallelo, protagonisti e relativi dilemmi; dislocati come sono fra l’inospitale terra marziana e quella in definitiva tanto umana di casa nostra. Il cineasta visionario dei meandri stranianti di Blade Runner pare infatti ormai più interessato a sfidare i rischi del buonismo che non quelli del rifugio nel fantastico. Ecco allora la sempre utile camerateria dei pioniere delle Nuove Frontiere, i buoni della NASA costretti a manipolare cattivi della politica e della finanza, le provvidenziali intuizioni dell’imberbe genietto informatico, preferibilmente di colore. Dalla Cina, servizievoli scienziati subentrano infine a dare una mano: anche perché Hollywood conta sulle loro sale, che solo da quelle parti continuano a prosperare. ***(*)National Gallery, di Frederick Wiseman; ***Amy, di Asif Kapadia; ***Taxi Teheran, di Jafar Panahi; ***Sangue del mio sangue, di Marco Bellocchio; ***Blancanieves, di Pablo Berger; **Dove eravamo rimasti (Ricki and the Flash), di Jonathan Demme


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Cultura e Spettacoli

Maïwenn o la verità ad ogni costo Personaggi La regista e attrice francese, attraverso un cinema a metà tra finzione e documentario,

tenta di rielaborare un passato sofferto Giorgia Del Don «La verità la voglio cercare, la voglio trovare!» esclama Violette, la protagonista di Pardonnez-moi, primo lungometraggio dell’enigmatica Maïwenn. Un grido questo che condensa tutta l’energia, la grinta e la disperazione che rendono Maïwenn la regista che è: determinata fino in fondo a scavare nel suo passato per dare una risposta alla rabbia che la logora. Malata d’amore, di un amore infantile, ingenuo e insoddisfatto ha trovato nel cinema il mezzo per esorcizzare un passato troppo ingombrante, l’antidoto a una sofferenza che si protrae dall’infanzia e che come una droga si insinua subdolamente nel presente. Costantemente all’erta, pronta in ogni istante a saltare alla gola di chiunque si opponga al suo bisogno di verità («con te la verità è religione» le disse una volta un amico) Maïwenn prosegue come una funambola verso il suo obiettivo, sempre pericolosamente in bilico, aggrappata a delle aspettative che la rendono (coscientemente) prigioniera. Se l’autobiografia fittizia che sta al centro della sua filmografia, un rimuginare ossessivo di un’infanzia abusata, non può placare il suo malessere personale, sarà invece lo «scoprirsi» regista a diventare per lei una vera e propria terapia. Il rispetto e la sicurezza in sé stessa date dal suo mestiere («è come se improvvisamente avessi ricevuto la mia carta d’identità» dice la stessa regista a proposito del suo primo film) le hanno permesso di ritrovare la

vera Maïwenn: una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. Maïwenn le Besco nasce trentanove anni fa nella periferia di Parigi da un padre bretone d’origine vietnamita che, secondo la figlia, si diletta a sfogare la sua violenza su di lei, e da una madre attrice e giornalista franco-algerina che nutre nei suo confronti una morbosità estrema che si trasforma in vero e proprio transfert narcisistico: sua figlia sarà la «star» che lei non ha potuto essere. Maïwenn non smette di gridare la sua rabbia che fa eco all’indifferenza dei genitori. Adulta, evoca per la prima volta la sua infanzia nel suo one woman show Le Pois chiche che dà il via a tutta la sua filmografia futura, a cominciare da Pardonnez-moi, suo primo lungometraggio in forma di pseudo autobiografia tanto spontanea quanto ambigua. Maïwenn appare per la prima volta sullo schermo a cinque anni in L’année prochaine… si tout va bien di Jean-Loup Hubert prima di ottenere il suo primo grande ruolo, a quindici anni, al fianco di Johnny Hallyday, in La Gamine di Hervé Palud. Nello stesso periodo, ancora adolescente, conosce Luc Besson e scappa con lui negli Stati Uniti. Di ritorno in Francia, senza soldi, riprende a recitare prima di consacrarsi alla scrittura del suo corrosivo Le Pois chiche. Seguirà un primo cortometraggio I’m an Actrice e un lungometraggio Pardonnez-moi (doppio César: miglior primo film e miglior speranza femminile per la stessa Maïwenn), sorta di ritratto famigliare nel quale, e

Maïwenn (a des.) insieme all’attrice Emmanuelle Bercot, che a Cannes ha vinto come miglior attrice in Mon Roi. (Keystone)

questo diventerà uno dei suoi marchi di fabbrica, realtà e finzione si mescolano in modo maliziosamente intelligente. Il seguente Le Bal des actrices gioca nuovamente, forse però con più maturità e meno urgenza, il gioco del falso documentario (mockumentary) indagando la personalità di diverse tipologie di attrici fragili e allo stesso tempo manipolatrici. Segue Polisse che dirige, scrive ed interpreta, e che racconta il quotidiano, ancora una volta a metà strada fra finzione e realtà, di una brigata per la protezione dei minori. Come consuetudine nei suoi film è ancora una volta l’eco della sua infanzia a risuonare: «Ho sentito varie volte un poliziotto dire a una persona sospettata che dovrebbe domandare perdono alla sua vittima, guardarla in faccia per aiutarla a ricostruirsi. Sì tutto ciò

riecheggia la mia infanzia». La verità, il pentimento, la liberazione sono sempre presenti nella sua vita, nel suo cinema. Attendiamo con ansia l’uscita del suo ultimo Mon Roi che ha già «stuzzicato» il palato dei cinefili che hanno avuto la fortuna di gustarselo a Cannes. Sebbene da alcuni anni si delinei nel panorama del cinema francese un gruppetto agguerrito di attrici/registe interessate ad esplorare il proprio vissuto sia sotto forma di finzione (Isilde Le Besco, sorella di Maïwenn, e il suo Demi-tarif o la scoppiettante Valérie Donzelli e il suo La guerre est déclarée per esempio) sia di documentario (prima fra tutte Sandrine Bonnaire che nel suo Elle s’appelle Sabine traccia la vita di sua sorella autistica), la filmografia di Maïwenn, che ha le sembianze di una vera e propria saga, riesce comunque a

ritagliarsi un posto d’eccezione. «Il mio fantasma sarebbe stato quello di fare un documentario con le vere persone di cui parlo. Adorerei capire cos’è successo all’interno della mia famiglia… ma non ho avuto le palle per farlo» dice lei stessa a proposito di Pardonnez-moi. Ebbene, questa sua incapacità di affrontare la realtà senza proteggersi dietro il filtro fittizio ha in qualche modo reso il suo cinema unico. Sempre a metà strada fra la realtà senza concessioni di un Tarnation (di Jonathan Caouette) e la pura finzione di un Demitarif (immersione nel paradiso perduto di tre bambini lasciati a sé stessi), i film di Maïwenn esprimono la loro verità non tanto attraverso la narrazione ma piuttosto attraverso la forza, l’immediatezza e l’intensità che sprigionano. Il suo sguardo distante e deciso sembra estendersi dalla sua storia personale a quella di tutta una nazione: una Francia sfinita e nervosa, al bordo dell’esplosione. Maïwenn ha scoperto il potere salvifico del dire la verità e non se ne priva affatto. Sebbene il suo cinema possa apparire di primo acchito narcisistico, lo humour che si sprigiona oltre l’orrore e la schiettezza che sembrano prevalere su quella «raffinatezza estetica» tutta francese, lo portano a un altro livello. Oltre il politicamente corretto e la freddezza analitica è l’ostinazione nel cercare la verità o una fantomatica speranza, a renderlo unico ed estremamente sincero. Un indispensabile UFO in quel panorama cinematografico francese contemporaneo a volte troppo sterile. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Business o creatività?

Musica Il ritorno degli inossidabili Duran Duran costituisce un vero

revival della disco-dance anni 70 e 80 che non tutti apprezzeranno

Testimonianza di condivisioni Fotografia A Sasso Corbaro una mostra

dedicata alla collettività Benedicta Froelich

Gian Franco Ragno

Per ragioni che restano tuttora misteriose, quest’inizio di autunno 2015 sta portando agli ascoltatori di musica leggera una vera e propria ventata dal sapore anni 80: dopo lo scoppiettante ritorno dei Bon Jovi, ecco infatti ripresentarsi alla ribalta la band che, forse più di ogni altra, ha rappresentato la pop culture musicale di quel decennio – non solo in termini di sound, ma anche del trionfo di una particolare forma estetica di kitsch quasi estremo, divenuta ormai iconica. Si tratta naturalmente dei Duran Duran, l’indimenticata formazione inglese capeggiata dall’accattivante Simon Le Bon, idolo di un’intera generazione di ragazzine; e a dispetto di chi li dava ormai per morti e sepolti, gli indimenticati eroi della scena new wave pubblicano ora il loro quattordicesimo album, l’intrigante Paper Gods – il quale, lungi dal costituire semplicemente una cavalcata nostalgica nel sound di trent’anni fa, riserva ai fan più di una sorpresa inaspettata.

Per festeggiare i cinquant’anni della Fondazione Pellegrini Canevascini, nata nel 1965 e dedicata a Pietro e Marco Pellegrini, e al Consigliere di Stato Guglielmo Canevascini, è in corso una mostra fotografica a Sasso Corbaro (sostenuta dal Percento culturale Migros Ticino) con il materiale proveniente dai diversi fondi confluiti nell’archivio della stessa, riguardanti la prima metà del Novecento. Si tratta di immagini dal grande valore storico e documentario, che idealmente si aggregano per formare, nelle sale, nuclei tematici quali le manifestazioni di piazza, le rappresentazioni del lavoro, il tempo libero e le escursioni, e infine le colonie di vacanze dei sindacati. Al loro centro le figure umane, gruppi di persone che sottolineano la dimensione di percorso comune, di legame ideologico tra i protagonisti. Un tratto di strada che è possibile rintracciare, non solo metaforicamente, nelle immagini di costruzione delle vie di comunicazione negli anni Trenta, nel doppio tentativo di frenare la disoccupazione e modernizzare il cantone. Perché quello sullo sfondo è un Ticino assai diverso da quello attuale – un Paese con problemi socio-economici e il dramma della guerra alle porte. Certo la fotografia, dalla metà Ottocento in avanti, è un rito sociale: ogni occasione, riunione e congresso è sanci-

Il disco presenta alcune sorprese, a tratti offuscate da produzioni commerciali e banali

Concorsi

Fin dal primo ascolto, è infatti impossibile trattenere un moto di sorpresa davanti alla title track dell’album, la sorprendente Paper Gods, il cui incipit rappresenta un’ingannevole incursione in atmosfere quasi gospel, tanto da sembrare tratta da un vecchio album degli Housemartins. Impressione rapidamente spazzata via dalla sezione centrale del brano, una cavalcata elettronica che costituisce forse una delle cose più estreme mai realizzate dai Duran Duran: non a caso, questa traccia è stata incisa con la collaborazione di Benjamin Hudson (meglio noto semplicemente come «Mr Hudson»), star del cosiddetto genere «indietronic» – il quale, insieme a nomi di rilievo quali Nile Rodgers e Mark Ronson, è anche uno dei produttori del disco. In effetti, l’intero Paper Gods mostra un distinto gusto per il sound elettronico nella sua

Grafica del brano Pressure Off, da Paper Gods dei Duran Duran.

accezione più ipnotica e sperimentale, in misura perfino più spiccata di quanto non accadesse nel periodo d’oro della band: basta ascoltare un pezzo come You Kill Me With Silence per rendersi conto di come tali tendenze abbiano qui raggiunto un vero picco di eccellenza, evidenziato dai cori suggestivi e dall’atmosfera ammaliante che caratterizzano diverse tracce di quest’album. Ciò è confermato anche dal solare Sunset Garage, il cui andamento imprevedibile e brioso non mancherà di soddisfare i fan più accaniti della band, e dall’irresistibile Butterfly Girl, dai cori femminili che rievocano le suggestioni tipiche del più puro pop edonistico. Tuttavia, è nei brani più lenti e riflessivi che Paper Gods si eleva sopra il banale mainstream radiofonico: si vedano What Are the Chances – piccola gemma che trascende dallo stile tipicamente anni 80 per divenire di appeal universale – e l’etereo e magnetico Only in Dreams; senza dimenticare The Universe Alone, traccia di chiusura del CD e interessante esperimento a metà strada tra la ballata e il più potente rock dagli accenti elettrici. Sulla medesima linea, risulta assai suggestivo anche l’ossessivo Change the Skyline, che beneficia dei vocals di Jonas Bjerre a impreziosire un brano il cui ritornello costituisce un perfetto esempio di puro songwriting pop. Meno riusciti appaiono invece i pezzi di stampo disco-pop, che emergono come di gusto inevitabilmente un po’ datato e retrò: come gli esuberanti ma noiosi Face for Today e Last Night in the City (quest’ultimo realizzato con la cantante Kiesza), e, soprattutto, Pressure Off, il quale, benché prescelto

come primo singolo estratto dall’album, appare francamente un po’ banalotto, nonostante la più che gradevole partecipazione di Janelle Monàe e Nile Rodgers. Lo stesso si può dire della presenza della chiacchierata attrice Lindsay Lohan, la quale presta la propria voce per un brano di gusto kitsch come Danceophobia, vera e propria apoteosi della dance music anni 70. Il che ci porta al vero problema di questo CD, che mostra uno spirito spesso eccessivamente «commerciale», da synth-pop di bassa lega, al punto da risultare in alcuni punti davvero pacchiano: e questo nonostante Paper Gods benefici della presenza di svariati ospiti speciali, tra cui l’ex Red Hot Chili Peppers John Frusciante e Steve Jones, già chitarrista dei Sex Pistols, che appaiono, tra le altre, rispettivamente in Northern Lights e nella piccola epopea dance Planet Roaring (entrambe bonus track presenti nella «deluxe edition» del disco). Così, sebbene l’intero album scorra con la stessa fluidità e disinvoltura di un meccanismo ben oliato, il sound soffre, ahimè, di una certa sovrapproduzione e di toni troppo enfaticamente dance; anche per questo, Paper Gods non possiede la forza e l’immediatezza di album storici della band quali Rio (1982) e Duran Duran (1993). Ciononostante, il CD rappresenta comunque un esercizio da manuale nel genere del revival pop-dance; anche se questo non è sufficiente a trattenerci dal confidare che il prossimo lavoro dei Duran Duran possa essere un po’ meno commerciale e appariscente – una speranza di certo condivisa da molti ammiratori del gruppo.

Delegazione all’Ufficio di conciliazione per lo sciopero Riecken-Walder, autore non identificato, 1929. (Fondo G. Rossi)

Leggere, leggere leggere! Esposizione d’arte Pinacoteca Zuest, Rancate Dal 18/10/15 al 24/1/2016

Raclette Rassegna di concerti Teatro Foce Lugano

Raclette Rassegna di concerti Teatro Foce Lugano

Libri, giornali, lettere nella pittura dell’Ottocento

Me 21 ottobre 2015, 21.30 Ministri Live

Ve 13 novembre 2015, 21.30 Elvis Perkins + Nick Kinsey

A cura di Matteo Bianchi. Attraverso una corposa carrellata di opere la mostra indaga i modi secondo cui il tema della lettura è stato trattato dai maggiori pittori del secondo Ottocento svizzero e italiano, spaziando dalla necessità dell’istruzione al piacere del testo.

Dopo un’attesa lunga due anni tornano a farsi sentire i Ministri, uno dei gruppi rock più importanti della scena italiana.

Figlio dell’Anthony Perkins di Psycho il cantautore americano è arrivato al debutto discografico solo dopo la trentina.

Ve 6 novembre 2015, 21.30 Levante

Gio 19 novembre 2015, 21.30 Colapesce, Baronciani

Cantautrice che è già un’icona pop. Nell’estate 2013 il suo singolo d’esordio Alfonso domina l’airplay radio, le piazze e i festival di tutta l’Italia.

Dopo lo straordinario successo de La distanza i due tornano insieme sul palco con un nuovo spettacolo. Un concerto disegnato.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 14 ottobre al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!

www.ti.ch/zuest

091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 11.00 alle 12.00

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

to con una solenne fotografia di gruppo. Normalmente l’autore è un professionista, poi arriveranno i fotografi-amateurs, con macchine fotografiche sempre più agili e compatte, dando il via anche a una maggior leggerezza e informalità delle riprese. È proprio l’organizzazione del tempo libero da parte delle associazioni di stampo socialista, fuori quindi dal campo di battaglia del lavoro, uno degli aspetti interessanti della mostra, come dimostra ad esempio, il gruppo degli Escursionisti rossi, nato nel 1919. Eppure, tra il centinaio di gruppi in esposizione, una delle immagini più efficaci non è quella che rappresenta, bensì quella che evoca. E qui vorrei sottolineare la potenza visiva di un’immagine del refettorio dalla casa vacanza dei sindacati di Varenzo, datata 1932, con cui si apre la mostra. In un tempo che sembra sospeso, illuminato mediante una luce filtrante, troviamo ampie tavole apparecchiate, ritmate formalmente dalle scodelle ben ordinate. Alle pareti, alcuni elementi appaiono ben riconoscibili: una riproduzione di un monumento a Pestalozzi, quella di un quadro di Albert Anker e i disegni eseguiti dai piccoli ospiti. Tutto sembra predisposto per farci partecipi di una grande attenzione al benessere e alla salute delle nuove generazioni, in un tempo in cui erano meno scontati. L’esposizione corona il deciso impegno della Fondazione – coadiuvata da Memoriav – nella conservazione e nella catalogazione delle fotografie, dando ad esse, di fatto, un valore e uno statuto di documento storico. Si tratta di un’operazione di grande merito scientifico, soprattutto tenendo conto che tali fonti, spesso, perdendo il loro produttore o il fruitore al tempo dello scatto, iniziano a smarrire nel corso del tempo significati, contenuti e informazioni. Il lavoro svolto in questi anni dai curatori Letizia Fontana, Nelly Valsangiacomo e Marco Marcacci sottolinea proprio il ruolo di tali prodotti visivi come possibili mattoni di una storia sociale del Cantone. Depositate presso l’Archivio di Stato del Canton Ticino, le immagini sono disponibili e consultabili in rete. Pronte per altre ricerche e nuove sfide. Dove e quando

Immagini al plurale. Bellinzona, Castello di Sasso Corbaro. Orari: lu-do 10.00-18.00. Fino al 1. novembre 2015

Agenda dal 12 al 18 ottobre 2015 Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino Festival Diritti Umani Lugano, Franklin University e Cinestar 14-18 ottobre 2015 www.festivaldirittiumani.ch Ohad Talmor Euroradio Jazz Orchestra Lugano Besso, Auditorio RSI 16 ottobre 2015, ore 21.00 www.rsi.ch Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento culturale Migros consultate anche percento-culturale.ch e Facebook


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Cultura e Spettacoli

Il magico stile di Edward Burtynsky FotografiaA Milano il frutto di otto anni di ricerche per testimoniare le tragiche e spesso irreversibili

ingerenze dell’uomo sul paesaggio

vo/messaggio di denuncia è relativamente facile da cogliere, c’è altresì – nel lavoro del fotografo canadese – un altro dualismo più sottile, che ci svela la curatrice della mostra, Enrica Viganò: «L’opera di Burtynsky è frutto di una profonda capacità d’analisi e di un’eccellente dote di sintesi. L’analisi prende le mosse da un vigoroso studio dell’impatto del progresso umano sul pianeta Terra per poi proseguire con la ricerca meticolosa di luoghi paradigmatici. La sintesi si rivela in immagini che hanno la potenza di raccogliere il molteplice e di trasformarlo in emblematico attraverso una bellezza che appaga i sensi ed esorta alla contemplazione. Egli ha negli occhi i dipinti dei paesaggisti dell’Ottocento, nell’anima un amore sconfinato per la natura e nello spirito l’indomito desiderio di migliorare il futuro dei nostri figli». La mostra Acqua Shock presenta 60 fotografie suddivise in sette sezioni e durante l’esposizione milanese sarà inoltre proiettato il documentario Where I Stand che illustra il processo di produzione di queste magiche immagini: in più di trent’anni di carriera, l’artista ha voluto o dovuto aggiornare la tecnica dei suoi scatti e ne svela i segreti: scopriamo così l’uso che Burtynsky ha fatto di droni, elicotteri e strutture per poter guardare dall’alto i suoi soggetti.

Giovanni Medolago Edward Burtynsky fu illustre ospite dell’edizione 2006 dell’Autunno Fotografico chiassese. Scoprire il suo lavoro, per il vostro cronista, fu un’autentica rivelazione. Le sue immagini, in grande formato e riunite sotto il titolo di Manufactured Landscapes, avevano un’incredibile forza comunicativa. Si trattava di sinfonie di colori racchiuse in inquadrature che talvolta rispettavano inaspettate simmetrie e talaltra offrivano singolari punti di vista su miniere ancora in attività o abbandonate da tempo, discariche più o meno abusive (impressionanti le montagne di pneumatici usati!) e, ancora, sterminati impianti petroliferi.

La fotografia di Burtynsky non intende solamente colpire esteticamente, ma anche sensibilizzare A distanza di qualche anno, Burtynsky si è lanciato in un progetto che riguarda un’altra volta il paesaggio, ma punta con particolare attenzione sull’acqua. Il frutto di questo lavoro, Acqua Shock («Esplorare e riportare indietro qualcosa che il mondo non aveva mai visto prima» era l’impegnativa motivazione del work in progress durato quasi dieci anni) è oggi esposto – per la prima volta in Europa – nel medievale Palazzo della Ragione di Milano, a due passi dal Duomo. Al pari di Sebastiao Salgado, anche il fotografo canadese (nato nel 1955 nell’Ontario da una famiglia di origine

Delta del fiume Colorado n. 2. San Felipe, Bassa California, Messico 2011. (© Edward Burtynsky / courtesy Admira, Milano)

ucraina, laureato in Fotografia e Studi sui Media all’università di Toronto) vuole sensibilizzarci su come il cosiddetto progresso abbia gravi ripercussioni sull’equilibrio ecologico del pianeta. Ma è una «denuncia ambientalista» che lo spettatore può far sua solo dopo aver letteralmente goduto e… digerito l’incredibile fascino visuale che le sue immagini riescono a trasmetterci. Per fare

un esempio, la ripresa aerea del delta del Mississippi, nel golfo del Messico, di primo acchito si presenta come un meraviglioso dipinto, e solo in un secondo tempo ci ricorda che quella zona fu teatro di uno dei più gravi casi di inquinamento del pianeta registrato, nel 2010, a causa della fuoriuscita di milioni di tonnellate di greggio da una piattaforma travolta da una tempesta. Spostatosi

in Cina, Burtynsky coglie la maestosità di un turbinio d’acqua (e anche qui potrebbe scappare un ooh! di meraviglia) creato da una delle migliaia – sì, migliaia… – di dighe costruite negli ultimi decenni: l’ingegno umano al servizio di un progresso che obbliga però milioni di contadini cinesi ad abbandonare le terre dove vivevano da secoli. Se questa dicotomia impatto visi-

Dove e quando

Edward Burtynsky. Acqua Shock, fotografie. Milano, Palazzo della Ragione, (Via dei Mercanti 1). Orari: ma, me, ve e do : 9.30-20.30; gio e sa 9.30-22.30. Fino al 1. novembre. Per info: www.palazzodellaragionefotografia.it

Per un bacio Giorgio Genetelli A Danedèe, sot i platan gnan la néu la sgére Posso dire che c’ero, quando il platano cascò. Non un fulmine e nemmeno un castigo: venne giù per debolezza e attesa, e tutte le questioni finirono. Duravano da mesi, con radici negli anni, e in quel giorno, il tempo di un istante, la caduta sbarrò il futuro a Climico e Palmazia. Non ero che un bambino di quarta elementare e questa non è la mia storia, ma la ricordo bene, o forse ricordo solo il dissapore che ne fluiva. I due giovani, all’alba di un divenire del quale si intuivano i germogli e non si immaginavano le putrescenze nel quale è finito oggi, avevano un gran voglia di slacciarsi e allacciarsi. Ma uno era figlio dell’Avvocato, l’altra orfana di padre e con la madre ladra e inadempiente sociale. Al limite, l’Avvocato avrebbe anche potuto difendere la Ladra in una delle tante rogne per vilipendio o appropriazione indebita, ma caricarsela sulle spalle come consuocera mai e poi mai. Quindi, caro il mio Climico, gli disse, dimentica la ragazza Palmazia, che tanto di donne ce ne sono centomila. Dal canto suo, la madre ladra consigliò alla figlia di seguire l’amore, ma di non farsi calpestare dai ricchi e dai maldicenti. Dunque, la ragazza avanzava nei sentimenti a testa alta, ma il ragazzo tentennava. Disposero, anzi, dispose lui, di vedersi di nascosto, fino al momento giusto. «E quale sarebbe? Quando saremo morti?» – chiese lei.

«Prima, ma dopo adesso» – rispose lui, più incerto che sicuro. La Palmazia, figlia di Ladra, poco disposta a stare nell’ombra per rubare l’amore, lo mandò a cagare e partì per l’Olanda, senza nemmeno una riga di commiato. Il Climico, che per una settimana e mezza si appostò nel boschetto sopra l’argine che negli ultimi tormentati tempi era il loro ritrovo segreto, aspettando invano la ragazza, cominciò a intuire che qualcosa non funzionava più. Pose alcune domande fumosissime al bar, ma dopo un paio di giorni si decise a presentarsi dalla Ladra. «È andata in Olanda» – disse la donna. «Sta via tanto?» – chiese lui, con l’ottusità di chi ci arriva sempre un po’ dopo. «Abbastanza». Con questa incertezza tra capo e collo, si arrese all’attesa, di non sapeva cosa e nemmeno per quanto tempo. Con somma gioia dell’Avvocato, passarono i mesi e anche un annetto, senza che della Palmazia comparisse quantomeno l’ombra. Lentamente, il Climico tornava nel grembo di quella borghesia che sembrava prontissimo ad abbandonare quando l’amore stava ancora ai nastri di partenza. Si era rimesso al trantran dell’università, tra codicilli da mandare a memoria, amici rampanti e donnine ansiose, ma ogni tanto pensava all’Olanda. Cominciava a essere davvero infastidito da tulipani e mulini o cose così. Poi tornava all’ateneo e la cerchia sociale sembrava lenirlo. Il problema era il paese, così fermo e vuoto senza la Palmazia, che di cer-

Gabriele Zeller

Il racconto Dell’attesa fatale di un amore, ostacolato da un destino beffardo – 1. parte tentò un pompino nell’aula semibuia preposta alle arringhe, cosa che in casi sani avrebbe eccitato anche un corniolo. Le bottiglie della vetrinetta del salotto, quelle che l’Avvocato affiancava a bicchierini dall’orlo dorato e a medaglie al valore da esibire a giudici e dottori, divennero una vera compagnia. In settembre, il Climico era in un bello stato d’avanzato alcolismo, sostenuto in modo dilettantesco. Rimuginava sull’Olanda, della quale immaginava una libertà scostumata, e sulla Palmazia che di certo vagava di fiore in fiore e se ne fotteva delle convenzioni e di lui stesso. Elucubrare in questo modo tormentato non migliorò le cose che gli toccavano per convenzione. Quindi, scardinava la vetrinetta dell’Avvocato. Biografia

to, ormai, si stava accoppiando con un qualche filibustiere dal passato torbido e dal futuro precario, spassandosela senza cautela. Il Climico s’arrovellava. Tornò dalla Ladra, ma non ebbe soddisfazione. «Mi scrive ogni tanto, sta bene». Sta bene… E io? Il Climico soffriva, ma non gli passava nemmeno per la testa che un vero cuore in amore avrebbe preso ali o rotaie per Amsterdam. No, preferiva struggersi un pochetto e poi dedicarsi agli studi, che i filibustieri a queste cose non ci pensano nemmeno, i coglioni. Ma non poteva andare avanti in eterno a questo modo. Si trombò, una

sera di campari col bianco, una futura avvocatessa , immaginando vulcani e trovandosi sotto le coperte una specie di ghiacciaio che stava all’amore come gli stivali al leone. Malinconico e silente, nonché fuggiasco dalle mire fidanzatesche dell’avvocatessa gelata, cominciò di corsa a peggiorare. E dopo una manciata di mesi, anche gli studi tracollarono. L’Avvocato non se ne accorse, impegnato com’era nel fatturare trapassi di proprietà e cause di divorzio. Il Climico prese a sbevazzare nei festivi e a dormire nei feriali, sempre più smunto e inappetente. Non si riebbe nemmeno quando la Gelata, in un sussulto tattico,

Giorgio Genetelli è nato nel 1960 a Preonzo, luogo di molte sue storie. Falegname, giornalista, scrittore, blogger e libertario a tempo pieno. Tra le sue opere, il romanzo Il becaària, pubblicato nel 2010 per ANAedizioni, e due raccolte di poesie dialettali nella collana Leporello. Anche lui, da Carèe. Informazioni

Coordinate per abbonarsi ai racconti del collettivo Arbok Group: impressione.anaedizioni@gmail.com (Franco Lafranca, tel. 079 655 96 26) giorgiogene@bluewin.ch (Giorgio Genetelli, tel. 078 807 92 10) http://arbokanaedizioni.blogspot.com


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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Talent ante litteram «Addormentarmi così, tra le tue braccia….» cantava mia zia Emma, la mia vice madre che aveva solo 16 anni più di me. Era il 1948, lei stava per sposarsi, trasferirsi con il marito a Livorno e lasciarmi orfano. Alla radio, accompagnata dall’orchestra di Pippo Barzizza, la cantava Lidia Martorana, che ora ha scritto un libro di ricordi (Una voce una vita, Neos edizioni). Una lunga vita felice, la sua, dove tutti gli accadimenti si incastrano uno nell’altro, senza sforzo apparente. Letto il libro, desideravo conoscerla e lei mi ha invitato nella sua casa di via Paolo Sarpi. Lidia è nata a Torino il 1° dicembre 1928, figlia unica di genitori siciliani che vi si erano trasferiti cinque anni prima da Caltanissetta: «sono vecchia, non anziana, il vecchio è un saggio, l’anziano è capace solo di lamentarsi». Nella scelta del luogo dove trasferire la famiglia c’è un primo segno del destino: la città era stata scelta liberamente dalla madre sulla base dell’idea che se ne era fatta senza mai averla visitata. Avesse optato per un’altra città, la vita di Lidia

sarebbe stata diversa perché a Torino c’è l’Eiar, l’antenata della Rai dove sono attivi i grandi maestri della musica leggera del tempo. Uno di questi è il professor Cocchi, che visita le scuole elementari della città alla ricerca di bambini intonati per formare un coro di voci bianche. Alla «Giacinto Pacchiotti» c’è la piccola Lidia, 7 anni, che in seguito all’audizione viene scelta con altre due compagne fra mille allievi. Il suo primo contratto radiofonico è del 1935, ottanta anni or sono! Di quella lontana stagione Lidia ricorda una carezza del maestro Pietro Mascagni. Nel 1941 il maestro Carlo Prato deve sostituire il Trio Lescano (erano olandesi ed ebree, rientrate in patria per le leggi razziali), organizza una serie di audizioni e Lidia, con altre due coetanee, forma il Trio Aurora, che inizia a esibirsi con grande successo in giro per l’Italia; sono accompagnate da una delle tre madri, a turno. A 13 anni, in piena guerra! «Tante volte abbiamo dormito nelle sale d’aspetto delle stazioni, della guerra ricordo le scie tracciate nel cielo notturno dai tiri

di casa dopo il tramonto. Torniamo alla storia di Lidia. Il 1946 il Trio si scioglie e solo lei continua a cantare, con il nome di Lidia Aurora; dall’anno seguente si presenta con il suo vero nome. Le fedeli ascoltatrici scrivono al «Canzoniere della Radio» chiedendosi se la cantante Lidia Martorana riuscirà mai un giorno ad eguagliare la bravura dell’indimenticabile Lidia Aurora. I Talent non sono un’invenzione recente e gli Italiani sono sempre stati un popolo di canterini. Nel 1947 la Rai indice un concorso per voci nuove e in 5.926 chiedono di prendervi parte. Anche Lidia Aurora che non viene accettata in quanto è già una cantante di successo. Aldo Tonini, il chitarrista di Barzizza, le suggerisce di rifare la domanda con il suo vero nome: accettata, grazie all’ottusità dei burocrati. Entra nell’elenco dei 19 finalisti, 8 a Torino e 11 a Roma. Il concorso si intitola «Voci senza volto» e i concorrenti devono esibirsi in pubblico con una mascherina sul volto. Altro segno del destino: Lidia si classifica seconda, ma il vincitore è Elio

Lotti che nel 1951 diventerà suo marito. Il vero cognome di Elio è Codognotto ed è cugino di Natalino Otto che ha sposato Flo Sandon’s; le due coppie formeranno quella che verrà chiamata «la famiglia canterina». Lidia ha la fortuna di cantare nella magica stagione delle grandi orchestre che suonano dal vivo; dove per esibirsi bisogna essere intonati. Gli artifici delle sale d’incisione che consentono a chiunque di cantare sono di là da venire. Più di 300 sono le canzoni che Lidia ha inciso con la Cetra e con l’Odeon e oltre 200 quelle di Elio Lotti. Oltre alla raccolta completa dei 78 giri nella casa di via Paolo Sarpi c’è una valigia di cartone che contiene, divise per anno, le centinaia di lettere che Lidia continua a ricevere. Le scrivono gli ammiratori e i collezionisti, infaticabili nella ricerca dei titoli mancanti. Lei risponde a tutti e ancora canta, con la sua bella voce intonata. La prossima volta che mi succederà di incontrarla, prenderò coraggio e le chiederò di cantare solo per me «Addormentarmi così… e non svegliarmi più».

poi subito la Tristezza col pianto dei neonati, poi Paura, che deve aiutare la bimba a non mettersi in pericolo; Disgusto, che deve farle evitare cibi e situazioni sociali che possono nuocere; infine Rabbia, un pupazzo rosso con la voce forte e la testa sempre pronta a infiammarsi. Il film poi continua con il trasferimento della famiglia a San Francisco e la delusione. Oltre alla nostalgia per le amiche, la squadra di hockey, il lago ghiacciato. Gioia la spinge a essere contenta lo stesso, ma qualcosa non va. Dopo mille avventure si comprenderà il ruolo di Tristezza, che aiuta a non fare gli eroi a tutti i costi e a condividere le difficoltà in famiglia. Queste emozioni, che vivono appunto crescendo e maturando con Riley, forse acquistano l’intelligenza che sembra non esistere nella mente della ragazza. Quindi la funzione di guida possono svolgerla Gioia e le altre, se diventano Gioiaintelligente, Tristezza-intelligente e così via. Anche accettando questa soluzione, però, qualcosa non funziona, perché l’u-

nica davvero intelligente è Gioia, infatti Tristezza è svogliata e depressa, Paura è fuori controllo, Disgusto vede solo ciò che le dà fastidio e Rabbia, beh, Rabbia è difficile che possa essere ragionevole. Analizzando l’argomento con l’aiuto delle scienze, veniamo a sapere che le emozioni sono diverse dai sentimenti e dagli stati d’animo. I sentimenti sono molti, dalla rivalsa alla fiducia, dalla vergogna alla colpa, alla nostalgia e sono come il colore di fondo delle nostre giornate: il sentimento di lutto o di solidarietà può perdurare a lungo nel nostro «inside». Le emozioni invece sono come fuochi artificiali, che prendono all’improvviso coinvolgendo tutta la persona, che arrossisce, impallidisce, si sente leggera o pesante a seconda delle emozioni. Le principali sono rabbia, tristezza, sorpresa, disgusto unite alle rispettive paura, gioia, attesa, accettazione. Se però nelle nostre vite sentimenti ed emozioni fossero a briglia sciolta, noi vivremmo strapazzati da sbalzi di umore, incapaci di portare a ter-

mine qualsiasi azione, insofferenti a ogni stabilità e progettazione. Pensiamo a una progettazione semplicissima, un caffè con una persona amica. È andata bene, emozioni e sentimenti ci hanno spinto ad accettare l’invito. Ci prepariamo, ma non troviamo due calzini di colore uguale. Rabbia, prendiamo a pugni l’armadio. Ci facciamo male, chiamiamo per dire che arriveremo in ritardo. L’occhio ci cade sul televisore acceso, c’è la miliardesima puntata di Beautiful. Bello, mi fermo a guardarla. Un languorino, vado al frigo: sorpresa! C’è ancora della torta alla panna, buona, ne mangio due fette guardando Beautiful. Suonano alla porta, uffa. Perché non sei venuta all’appuntamento per il caffé? Dolore e vergogna, mi era passato di testa. Scoppio in un pianto a dirotto, rovinando definitivamente la giornata della persona amica. Che però è serena, non mi capisce e quindi la caccio malamente. Senza il pensiero le emozioni vivrebbero ben pasciute, io vivrei proprio male.

che ci venga risparmiata la q in «cuore»). Ancora peggio, forse, una chicca come: «sei una ragazza che mi puoi interessarmi molto smp se ha te ti ffa’ piace». «Nò ke non mi fa’ piace, ansi me viene un pò dà vomita», verrebbe da (o dà?) rispondere. Più simpatici alcuni slittamenti lessicali, come quello del pizzaiolo che, rivelando che il segreto della pizza è tutto nella pasta, aggiunge: «è il suo tallone da killer…». Qualche giorno fa, a un semaforo pedonale, ho sentito un tizio dire a un collega che il capo aveva preso «fischi per schiaffi»: avrei dovuto precisare prontamente che lui aveva preso fiaschi per schiaffi o viceversa… Non staremo a rispolverare il «vivere allo stato ebraico» (al posto di brado), la «cappa di Damocle», la «spada di Damasco» o il mitologico «occhio del ciclope» (al posto di ciclone). Sono quegli equivoci lessicali di cui è insuperato maestro Nino Frassica (5½): rimanendo agli apostrofi, chi può mai dimenticare la sua famosa do-

manda al botteghino del cinema («C’è nerentola?»), con corrispondente risposta («No, non c’è»). Si tratta di giochi di parole ben conosciuti nella letteratura burlesca: il «medico culista» di Belli (6), o nella satira còlta: «il fiore giustifica i mazzi» di Bergonzoni (6–). Con i proverbi e con i motti bisogna sempre stare attenti. Lo sostiene anche Bianca Barattelli, in un breve saggio appena uscito dal Mulino, Scrivere bene (5+): «Nella vita scrivere bene è un ottimo biglietto da visita, ancora di più da quando l’era digitale ha moltiplicato i nuovi usi della scrittura». Ricorda la Baratelli di aver sentito un collega che, a sostegno della sua dedizione al lavoro, affermava di essere sempre in ufficio «dalla sera alla mattina», il che se preso alla lettera – visto che non si tratta di un guardiano del faro – potrebbe far nascere qualche interrogativo malizioso sulle ragioni del curioso orario. Sono, tutto sommato, nient’altro che lapsus («lapis», direbbe Frassica), errori veniali.

Errori ma non proprio orrori, su cui si può anche sorridere. Decisamente più insopportabili i tormentoni e i birignao della cosiddetta «lingua di plastica» (6 alla linguista Ornella Castellani Pollidori che vent’anni fa inventò questa formula per indicare l’invasione degli stereotipi linguistici). Tra i «plastismi» di ultima generazione, in ordine sparso: «emergenza», «blindato», «rimboccarsi le maniche» («bisogna rimboccarsi le mani», ha detto Buffon dopo l’ennesima figuraccia della Juve in Campionato), «il nostro Dna», «chiamarsi fuori», «piuttosto che…», «trendy», «modaiolo», «fico», «tablet», «giustizialista», «garantista», «soft», «light», «vintage», «glamour», «virale» e «quant’altro». Nessun errore, ma molti orrori che corrono di l’abbra in l’abbra. Modaioli, light, soft, trendy e, ovviamente, virali. Orrori che professori non garantisti ma moderatamente giustizialisti dovrebbero segnare con un bel lapis blu. O lapsus blù? Boh! B’oh! B’ho!

della contraerea». Chi è nato dopo il 1945 e non ha ricordi diretti, è portato a immaginare la popolazione di un paese in guerra nascosta giorno e notte nei rifugi per sfuggire ai bombardamenti. Non è così, la vita è più forte di ogni ostacolo, soprattutto se ogni giorno può essere l’ultimo. Non è colpa tua se hai venti anni in tempo di guerra. Quella mia zia organizzava in casa nostra delle feste da ballo. Senza essere ebrea la mia famiglia abitava in quello che era stato il ghetto di Asti. Di sera era in vigore il coprifuoco e nelle strade giravano le pattuglie a controllare che non ci fossero luci accese che avrebbero potuto orientare i bombardieri nemici! Perciò i vetri delle nostre finestre erano stati oscurati incollandoci sopra della carta blu, quella che serviva per incartare lo zucchero acquistato a peso. Era pericoloso farsi trovare in giro senza regolare permesso ma gli invitati di mia zia arrivavano percorrendo i cunicoli sotterranei che univano le case del ghetto, costruiti perché anche gli ebrei prima del 1848 avevano la proibizione di uscire

Postille filosofiche di Maria Bettetini Tu chiamale se vuoi emozioni Dentro, fuori. Inside, out. La semplicità di questo titolo è stupenda: come siamo fatti? Siamo degli «inside» che si confrontano con l’«out». Il film di animazione Pixar, distribuito dalla Disney, sta avendo molto successo, nonostante il tema sia impegnativo: un viaggio nella mente umana. Senza la pretesa di giudicare o recensire il film, credo che sia interessante vedere come sono state riprese alcune idee filosofiche. Due innanzitutto, la prima è la constatazione che nessuno è uguale a nessun’altro, ognuno di noi è unico, perché il suo «inside» è costruito dalla memoria personale e da un gioco di emozioni imprevedibile. Ed eccoci subito alla seconda idea, già messa in evidenza da Antonio Polito sulla prima pagina del «Corriere della Sera» del 4 ottobre: le emozioni si prodigano per la felicità della piccola protagonista, Riley, ma non sono guidate né governate da nessuno. Non esiste la ragione, come la si voglia chiamare, intelletto, mente, logos. Infatti le emozioni, diverse per ciascun

individuo, hanno un loro paradossale cammino di crescita e consapevolezza. Nessuna di loro, all’inizio, comprende la ragion d’essere di Tristezza, che sembra solo scombinare i piani di Gioia, Paura e Disgusto in ordine alla felicità della bambina. Poi, invece, gli eventi aiuteranno a comprendere che solo attraverso la Tristezza si riesce a ottenere consolazione e comprensione dagli altri, e viceversa a mettersi nei loro panni. Ma è l’emozione Gioia che capisce e matura, non la ragazzina! Introduciamo per un momento la trama di Inside Out, per evitare un delirio da iniziati. Nel Minnesota nasce una bimba a una normale coppia di genitori giovani e sereni lavoratori. La loro giovinezza è importante, perché spesso sono i compagni di giochi di Riley: con lei pattinano, corrono, giocano a prendersi, giocano a hockey, la grande passione di Riley. Dopo la nascita dunque una infanzia giocosa e felice. Le passioni entrano nella sua giornata: dapprima solo la Gioia di essere al mondo,

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Orrori virali e molto trendy «Scartare corteggiatori e potenziali amanti per gli errori grammaticali»: si tratta di una pagina di Facebook che segnala gli errori di grammatica agli utenti, dimostrando quanto sia preoccupante, negli anni Duemila, l’analfabetismo di ritorno. Ne ha scritto sulla «Repubblica» Stefano Bartezzaghi (5½), enigmista, saggista, semiologo, ipersensibile agli umori del linguaggio contemporaneo. «Vorrei baciare le tue dolcissime l’abbra» è un esempio flagrante (e per niente fragrante) di quanto la lingua possa scivolare nell’obbrobrio. Non basta gioire per il fatto che con i social network moltissimi hanno riscoperto la scrittura. Bisognerebbe vedere come si scrive. Pare che un tale Jeff Cohen abbia deciso di disertare un appuntamento galante che si era procurato via internet perché la sua corteggiatrice misteriosa gli aveva scritto: «Ci vediamo loro (their)» invece di «Ci vediamo là (there)». È importante anche il «come». La scorsa settimana, Emanuele Trevi,

sul «Corriere della sera», apriva un articolo affermando coraggiosamente che tra il leggere robaccia e il non leggere è meglio la seconda opzione (5+). Il «Wall Street Journal» parla addirittura di «crimini contro la grammatica», francamente un po’ esagerando. Nella classifica degli orrori ortografici italiani compare al primo posto il solito «se avrei», poi l’avere senz’acca («ke ai fatto?»), il «propio» e il «pultroppo». Senza dire del «qual’è» con l’apostrofo, del «pò» un po’ troppo accentato e poco apostrofato, del «quà», dello «stò» e del «sù». Fatto sta (e non «stà») che l’aspirante seduttore sgrammaticato ha (e non «a») il 14% di probabilità in meno di essere accolto felicemente tra le braccia della corteggiata. Certo, si capisce che passi la poesia di fronte a una confessione tipo: «Sei stata la ragazza che o amato di piu ma 4 giorni fa una raggazza mi arubbato il cuore…», come si legge nel sito Facebook citato (e c’è da meravigliarsi che il «fa» non abbia l’accento e


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A N G NI s SE RA INO gro re AS T C i b R OS TI li M tto N EL ia o D fil 26 lle al ne no fi

shopping

Il coregone del Lago Maggiore Attualità Presso i banchi del pesce Migros

trovate il coregone nostrano pescato da Ivano Conti di Porto Ronco

Il pesce dei nostri laghi è molto apprezzato dai consumatori ticinesi. Una delle specie più gettonate per la delicatezza delle sue carni bianche è senza dubbio il coregone. Questo pesce d’acqua dolce, dall’aspetto elegante e dal manto argenteo, è particolarmente diffuso nelle acque di tutto l’arco alpino e prealpino ed è conosciuto anche come lavarello. Il coregone in cucina si distingue per la sua versatilità ed è ottimo gustato in svariati modi – al vapore, grigliato, arrostito, in umido, fritto, in carpione oppure, una vera leccornia, al forno in crosta di sale. Ivano Conti di Porto Ronco è uno dei pochi pescatori professionisti rimasti. Da oltre 40 anni, col bello e il brutto tempo, quasi quotidianamente esce con la sua barca e le sue reti sul Lago Maggiore per pescare i coregoni. Il suo amore per il lago e la passione per la pesca nacquero quando aveva dieci anni grazie allo zio che gli svelò tutti i segreti sul lago.

Coregone intero 100 g Fr. 2.90 Filetto di coregone 100 g Fr. 4.50 In vendita ai banchi pescheria Migros

Il prosciutto cotto è senz’altro uno degli affettati più apprezzati per la sua versatilità e leggerezza. Inoltre esso è un’importante fonte di proteine e possiede un ottimo potere saziante. Il nuovo prosciutto cotto dei Nostrani del Ticino si contraddistingue per il suo aroma intenso e il sapore delicato. È prodotto con maestria dai salumieri della Salumi Val Mara di Maroggia. Le

cosce di suino ticinese utilizzate vengono accuratamente selezionate. Dopo essere state disossate, si procede alla mondatura che permette di eliminare il grasso superfluo e i nervetti. La salina, priva di polifosfati, nonché la lenta cottura a vapore successiva, conferiscono infine al prodotto il suo inconfondibile sapore. *Azione valida dal 13 al 19.10

Prosciutto cotto nostrano 100 g Fr. 3.10* invece di 4.50

Flavia Leuenberger

Novità: il prosciutto cotto nostrano

Ivano Conti, pescatore a Porto Ronco. (Giovanni Barberis)

Filetti di coregone allo zafferano Ingredienti 500 g di cavolo rapa 2 cipolle rosse 1 cucchiaio d’olio di colza 1,5 dl di fumetto di pesce 1,5 dl di panna qualche stimmi di zafferano 500 g di filetti di coregone sale pepe Preparazione Tagliate il cavolo rapa a bastoncini, le cipolle a fettine. Scaldate l’olio in una padella e rosolatevi le verdure per ca. 3 minuti. Unite il fumetto, la panna e gli stimmi di zafferano, mettete il coperchio e fate sobbollire per ca. 5 minuti. Mettete il pesce sul cavolo rapa, condite con sale e pepe, incoperchiate e terminate la cottura per ca. 5 minuti.


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Idee e acquisti per la settimana

Insalate autunnali ticinesi

Attualità Anche in autunno i campi della nostra regione sono particolarmente generosi.

Ecco alcune varietà per arricchire la tavola di gusto e vitamine nei mesi più freddi

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Flavia Leuenberger

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Formentino

Insalata molto apprezzata per il suo sapore dolce che ricorda vagamente le nocciole. Ottima servita con dadini di pancetta rosolati, uova sode e crostini di pane tostati. Non manca mai in tavola durante le festività più importanti dell’anno.

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Trevisana

Detta anche «radicchio trevisano», si distingue per il suo sapore al contempo amarognolo e aromatico, la consistenza croccante e le foglie dal colore rosso intenso. Si consuma anche cotta: celebre è per esempio il delizioso risotto alla trevisana.

3 Lattuga foglia di quercia verde e rossa

Si caratterizza per il suo cespo morbido, con foglie rosse o verdi, lunghe e dentellate in modo irregolare. Ha un sapore speziato con lieve aroma nocciolato. Deperisce velocemente, pertanto è bene condirla solo poco prime di servirla.

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Cicorino rosso

Il cicorino rosso possiede un sapore amaro e viene consumato principalmente fresco in insalata. Può essere anche grigliato e arrostito, ma in questi casi perde il suo colore rosso. Immergendolo brevemente in acqua tiepida, si attenua il suo gusto amaro.

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Cicoria bianca di Milano

Varietà autunnale di cicoria con foglie carnose dal color verde, avvolte su se stesse. Le sue foglie croccanti e rinfrescanti, dal gusto mandorlato, si staccano una ad una e si tagliano finemente. È una delle varietà più utilizzate per insalate, da sola oppure mista ad altre tipologie.

Flavia Leuenberger

Su desiderio di Migros Ticino, la Agroval di Airolo ha elaborato un nuovo irresistibile gusto di iogurt: la varietà ai cachi, che va ad aggiungersi alle oltre dieci cremose qualità già presenti sugli scaffali dei frigo dei supermercati Migros. Mentre il latte utilizzato proviene da mucche foraggiate con solo fieno ed erba fresca dell’Alta Leventina, la frutta viene invece raccolta in tutto il Ticino e trasformata in marmellata dalla Sandro Vanini di Rivera. «Il nostro impegno quotidiano è quello di trasformare il pregiato latte della regione in deliziosi prodotti mantenendo costante il nostro elevato standard qualitativo», spiega Andreas Dürr, responsabile della produzione presso la Agroval. «Un consiglio: mangiate due iogurt nostrani al giorno! Così facendo non solo ci si mantiene in forma, ma si sostiene anche l’economia locale». Iogurt di montagna ai cachi 180 g Fr. 1.05

Flavia Leuenberger

Lo iogurt L’uva da bere nostrano ora anche ai cachi

In Ticino la coltivazione dell’uva americana è particolarmente diffusa. I frutti di questo vitigno – conosciuti anche come «uva fragola» – vengono soprattutto consumati come uva da tavola, trasformati in succo d’uva e in ottima grappa tramite distillazione e, in minima parte, usati per la produzione di vino. La Sicas di Chiasso, dal canto suo, utilizza l’uva americana del Mendrisiotto per pro-

Sciròpp Üga Americana 0,35 l Fr. 6.90

durre un ottimo sciroppo. Privo di conservanti e coloranti artificiali, lo Sciròpp da Üga Americana non è solo ottimo da solo diluendone una parte in sei parti di acqua, ma si presta bene anche per aromatizzare gelati, granite, yogurt e altri dessert. È in vendita nelle maggiori filiali Migros nella bottiglia di vetro con tradizionale tappo a macchinetta e sigillo coi colori del Ticino.


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Ticinese di Sils, quando la tradizione locale incontra i gusti del Nord Attualità Un pane soffice e saporito da gustare michetta dopo michetta, semplicemente irresistibile!

Pane alla ticinese di Sils 300 g Fr. 2.50

Laugenbrot, che passione! Lo sanno bene Sabina Klein e Daniel Müller, entrambi di origine svizzero tedesca ma residenti in Ticino da svariati anni. La coppia è appassionata di questa tipologia di prodotti da forno, così tipica della Germania, Austria, Tirolo e della Svizzera interna. Per Laugenbrot si intendono tutti i tipi di pane che vengono immersi in un bagno di acqua bollente e soda caustica prima di essere cotti. Questo speciale trattamento dell’impasto fa sì che la crosta assuma un aspetto scuro e lucente e conferisce un gusto intenso e particolarmente salato al pane. «In genere compro pane nero, ma se devo scegliere del pane di farina bianca la mia scelta cade sempre sul ticinese di Sils della Migros», ci dice Sabina. Un pane che si sposa soprattutto con farciture di in-

saccati e affettati. «Spesso lo usiamo per fare uno spuntino, oppure una colazione salata. A Sabina piace molto gustarlo con del burro oppure con del lioner o fleischkäse, mentre io lo apprezzo di più tostato con della marmellata. Trovo che una leggera tostatura esalti ulteriormente il sapore e la morbidezza della mollica, soprattutto se il pane è rimasto dalla giornata precedente», aggiunge Daniel. L’impasto di farina di frumento bianca, reso soffice dalla presenza di olio di girasole, viene formato in cinque michette una accanto all’altra. Dopo l’ultima lievitazione si passa al bagno di soda caustica. Il ticinese di Sils è disponibile anche in versione mini. È ottimo gustato con una birra fresca: perché non riproporre, anche se in ritardo, una mini Oktoberfest a casa? / Luisa Jane Rusconi

Sabina e Daniel gustano spesso il pane ticinese di Sils. (Flavia Leuenberger)

Zafferano 3 Cuochi: 80 anni di successi

Novità Migros Ticino introduce nel suo assortimento la pregiata

spezia del noto marchio italiano

Zafferano 3 Cuochi 4 bustine Fr. 5.50 In vendita nelle maggiori filiali Migros

Gli amanti dello zafferano e del buongusto hanno di che rallegrarsi: il marchio leader in Italia dello zafferano di prima qualità approda sugli scaffali di Migros Ticino. Lo Zafferano 3 Cuochi da 80 anni è presente sulla tavola degli italiani con un prodotto eccelso che sa esaltare alla perfezione ogni piatto, dalla pasta alla polenta, dal riso alle salse, passando per le verdure, le uova fino alla frutta e ai dolci. La sua storia inizia nel 1935, quando il fondatore dell’azienda Gianni Mangini lancia il marchio e l’immagine grafica dei 3 Cuochi che diviene ben presto il simbolo di un’idea imprenditoriale di successo: vendere lo zafferano in busti-

ne garantendone l’ottima qualità. Con lo Zafferano 3 Cuochi potete essere certi di portare in tavola un prodotto totalmente naturale, sicuro e puro al 100%: in una bustina troverete solo una miscela di zafferani tra le migliori presenti sul mercato. Passione, l’impiego di tecnologie esclusive, rispetto della tradizione e innovazione fanno dello Zafferano 3 Cuochi uno dei marchi italiani più longevi nel settore alimentare. Alcune curiosità: il prezzo molto elevato dello zafferano è dovuto al fatto che tutto il processo di produzione è interamente manuale, dalla coltivazione alla raccolta fino alla lavorazione. Per produrre 1 kg di zafferano è necessario

raccogliere 150’000 fiori, che corrispondono a 500 ore di lavoro. Per preparare una bustina di zafferano vengono fatti essiccare e lavorati i pistilli di 20 fiori (ca. 60). Gli aromi naturali dello zafferano aiutano a digerire. Lo zafferano è ricco di proprietà antiossidanti che proteggono dall’invecchiamento. Cleopatra utilizzava lo zafferano per colorare d’oro la sua pelle. Infine, cliccando su www.3cuochi.it, fino al 30 novembre 2015 si potrà partecipare al primo contest in giallo: le ricette più originali con Zafferano 3 Cuochi verranno pubblicate nel nuovo Ricettario 3 Cuochi, la famosa guida di tutti i provetti chef.

Fiera del Libro al Centro Shopping Serfontana Dal 17 al 24 ottobre 2015 la Mall del Centro Shopping Serfontana ospiterà la Fiera del Libro. Durante questa simpatica iniziativa dedicata al mondo dell’editoria si potranno trovare libri per tutti, mentre parallelamente saranno organizzati eventi dedicati ai più piccoli e agli adulti. Per l’occasione si potrà usufruire di uno sconto del 20% su tutti i libri della Migros esposti nonché partecipare ad alcuni imperdibili appuntamenti, tra i quali: sabato 17 ottobre: nel pomeriggio sarà presente la scrittrice Chiara Pelossi; dalle 14.00 incontro indimenticabile per tutti i bambini con Scooby Doo; sabato 24 ottobre: dalle 14.00 incontro con Peppa Pig. Infine, per la gioia dei bambini, durante tutta la durata della manifestazione nella Mall sarà messo in funzione un castello gonfiabile.


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Pesce sostenibile

Ricette di

Prelibatezze dai laghi indigeni

www.saison.ch

Ora alla Migros anche nei reparti surgelati si può trovare pesce sostenibile proveniente da acque svizzere. I coregoni del lago di Zurigo ad esempio sono ideali per la cucina veloce, e non solo sottoforma di bastoncini Testo Anna-Katharina Ris; Foto Markus Bühler-Rasom, Veronika Studer; Ricetta Regula Brodbeck

Panino con filetti di coregone e salsa di cetriolo all’aneto Piccolo pasto per 4 persone

Ingredienti 250 g di cetriolo ½ cucchiaino di sale 250 g di yogurt greco, al naturale 1 cucchiaino di senape 1 spicchio d’aglio ½ limone 1 mazzetto d’aneto sale, pepe 300 g di filetti di coregone bio in pastella surgelati 1 baguette del forno di pietra, 260 g ca. 8 foglie d’insalata Metro dopo metro, Bernhard Zahner e il suo collaboratore Johnson Chidyanga ritirano la rete dal lago di Zurigo e sperano in una ricca cattura.

È ancora buio pesto, alle 4 di mattina, quando Bernhard Zahner, pescatore professionista sull’Obersee, esce con la barca. Le sue prede sono coregoni, che cattura con dieci reti, lunghe 90 metri e alte 2,5 metri ciascuna. Ritmicamente tira le reti alla superficie dell’acqua e ne toglie i coregoni. Zahner è un po’ preoccupato: «Gli ultimi anni non sono stati anni buoni per le catture sul lago di Zurigo. Presumo che l’acqua sia troppo pulita e contenga quindi troppo poche sostanze nutritive. Così i pesci trovano troppo poco plancton da mangiare.» Quando le sue catture sono troppo esigue, Zahner acquista ulteriori coregoni da altri pescatori professionisti del lago

Preparazione Private il cetriolo dei semi e tagliatelo a dadini piccoli. Mescolateli con il sale e lasciateli sgocciolare in un colino per ca. 30 minuti, poi strizzateli. Scaldate il forno ventilato a 250 °C.

di Zurigo o della Svizzera occidentale. Oggi torna a riva con dieci chili. Una cattura modesta. Lavorazione a mano

Zahner carica i pesci in macchina e ritorna a Gommiswald, dove lo aspettano già i suoi collaboratori per lavorare i pesci. Dapprima li filettano, li tagliano a pezzi, li marinano e li tuffano in una pastella. I pezzi vanno poi nella friggitrice e in seguito nell’abbattitore di temperatura, dove inizia il processo di surgelamento. Dal momento della cattura al congelamento passano solo poche ore. Ora manca solo l’imballaggio e il trasporto nella centrale di distribuzione Migros.

Impegno della Migros

Nell’ambito di Generazione M la Migros si è posta come obiettivo di vendere entro il 2020 solo pesce proveniente da fonti sostenibili. Nel segmento del pesce fresco venduto al banco di servizio questo obiettivo è già raggiunto, e con i coregoni nell’offerta dei prodotti surgelati si è fatto un ulteriore passo importante. Infatti il WWF classifica i pesci svizzeri da pesca selvatica generalmente come raccomandabili. La legge sulla pesca prescrive sia periodi di divieto di pesca sia zone protette e prevede direttive a proposito degli attrezzi da pesca e delle dimensioni minime. Si parla in generale di pesce sostenibile quando il WWF classifica i pesci

Mescolate lo yogurt con la senape. Unite l’aglio schiacciato e la scorza di limone grattugiata. Aggiungete le punte d’aneto e i dadini di cetriolo. Condite con sale e pepe. Infornate i filetti di coregone per 10 minuti seguendo le indicazioni sulla confezione. Tagliate la baguette a metà per il lungo e farcitela con le foglie d’insalata, la salsa e i filetti di pesce. Accomodate l’altra metà della baguette sul pesce e tagliate a pezzi. Tempo di preparazione ca. 10 minuti + sgocciolamento 30 minuti + riscaldamento 10 minuti Per persona ca. 20 g di proteine, 17 g di grassi, 52 g di carboidrati, 980 kJ/235 kcal

come al minimo «accettabili», o quando questi provengono da pesca certificata MSC. Per i pesci d’allevamento fanno stato i marchi Bio e ASC. Anche un tipo di garanzia di qualità

Chi desidera impegnarsi per la protezione globale dei patrimonio ittico, consumerà solo pesce proveniente da fonti sostenibili e ne verrà premiato anche con tanta qualità. I filetti di coregone in pastella della Migros, in ogni caso, sono un prodotto d’alta qualità, composti da pezzi interi di filetto. Se li si prepara a regola d’arte nel forno, in padella o nelle friggitrice, ci si potrebbe quasi sentire in un ristorantino di pesce sul lago.

Pesca selvatica dai laghi svizzeri

Il coregone è uno dei pesci svizzeri più apprezzati.

Parte di

Filetti di coregone in pastella surgelati 300 g Fr. 10.50


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 12 ottobre 2015 ¶ N. 42

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 12 ottobre 2015 ¶ N. 42

Idee e acquisti per la settimana

Concorso scolastico di bricolage

I vincitori Rappresentare la più bella destinazione per una gita era il compito del concorso per le scuole di Suisse Mania. Ecco i tre lavori più originali che abbiamo ricevuto:

Suisse Mania

Il grande test

9

7

Qual è il Cantone più giovane della Svizzera?

Testo Anna-Katharina Ris

Presto inizierà la volata finale per la Suisse Mania. Per altre due settimane si può collezionare, giocare e fare scambi. È tempo di un piccolo bilancio intermedio: cosa hanno imparato sulla Svizzera i collezionisti diligenti?

Per saperlo abbiamo approntato un piccolo test. Tutte le risposte si trovano nell’album della raccolta. Chi risponde correttamente ad almeno dieci domande può definirsi un conoscitore della Svizzera.

a) Giura

b) Ginevra c) Svitto

6

A Palazzo federale a Berna...

8

Quella del San Gottardo è la più lunga galleria stradale dell’arco alpino. Quanti chilometri misura?

Lo jodel è oggi una forma di canto a cappella. A cosa serviva in origine? a) Per andare in trance b) Per chiedere soccorso c) Per divertirsi a distanza

a) 9

a) ... hanno sede il Consiglio federale e il Parlamento della Svizzera

b) 17

Solo mercoledì 14 ottobre:

c) 26

4° jolly settimanale: Battello a vapore «Schiller»

b) ... è stata fondata la Svizzera

1

3

Le cascate del Reno sono le più grandi d’Europa. In quale cantone si trovano?

5

Il Cervino è una delle montagne più alte delle Alpi e la più famosa della Svizzera. In quale Paese si trova il suo versante meridionale?

a) Turgovia b) Sciaffusa

A Basilea si festeggia il più grande Carnevale della Svizzera. Come si chiama l’evento iniziale?

b) Francia c) Austria

Cascate di Reichenbach 1a e 2a elementare di Meiringen BE

2

Uno dei ponti più famosi è il Kappelbrücke. Dove si trova e di che materiale è fatto?

Questo mercoledì, ogni cliente che fa acquisti per almeno 60 franchi riceve il modellino del battello a vapore «Schiller», in servizio sul Lago dei Quattro Cantoni.

a) Carote

b) Abendjux c) Morgenstraich

12

Per quale frutta o verdura è famoso il Canton Turgovia?

a) Mittagsgspass

a) Italia

c) San Gallo

c) ... è conservato il Patto federale

11

a) Su una collina della Bassa Engadina

10

Tre anni fa Chocolat Frey, fabbrica di cioccolato della Migros, ha festeggiato un grande anniversario. Quale?

b) Sulle alture di Sciaffusa

a) 50 anni

Dove si trova il castello di Chillon?

c) Su un isolotto roccioso del Lago Lemano

b) Mele c) Albicocche

b) 125 anni c) 250 anni

a) È di legno e si trova a Lucerna b) È di pietra e si trova nei Grigioni c) È di cemento e si trova a Zurigo

4

Cosa c’è in un Birchermüesli tradizionale? a) Fiocchi di mais, latte e frutta

Set di bricolage gratuiti Chi fa spesa alla Migros mercoledì 21 ottobre riceve in omaggio un set di bricolage per costruire una mongolfiera in stile Suisse Mania.

b) Fiocchi di miglio, yogurt e noci di anacardio c) Fiocchi d’avena, mele e nocciole

Cercate il battello e vincete Chi trova il battello a vapore «Schiller» sulla pagina web Suissemania.ch prende parte al sorteggio di una carta regalo della Migros e con un po’ di fortuna può vincere un volo in mongolfiera per due persone, del valore di Fr. 600.–.

Zweisimmen, Rinderberg 6a classe di Zweisimmen BE

Hochmoor, Letzimauer 6a classe di Rothenthurm SZ

Risposte corrette 1b; 2a; 3a;4c; 5c; 6a; 7a; 8b; 9c; 10c; 11b; 12b


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 12 ottobre 2015 ¶ N. 42

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Idee e acquisti per la settimana

Rose Fairtrade

Magia floreale da commercio equo Foto Raphael Zubler; Styling Oriana Tundo, Natalie Betrams/Fairtrade Int.

Adesso nel cortile della scuola dell’azienda Waridi c’è una fontana d’acqua potabile.

Premio Fairtrade

Anche i lavoratori ne approfittano

È adatta per ogni occasione e attira sempre l’attenzione: la rosa. È la regina dei fiori e per la donna che la riceve è sinonimo di successo. Il variegato assortimento della Migros di rose provenienti da commercio equo certificato si è ora arricchito di due bouquet dal profumo seducente. Chi acquista rose con il marchio Fairtrade non fa felice solo chi le riceve ma anche i lavoratori dell’azienda floricola Waridi in Kenia, che possono beneficiare di migliori condizioni di vita e di lavoro (vedi box).

Una fontana d’acqua potabile nel cortile della scuola, un ponte pedonale sul fiume, un vivaio e reti antizanzare gratuite per le famiglie dei lavoratori: sono alcuni dei progetti di pubblica utilità realizzati grazie al premio Fairtrade nella piantagione di rose Waridi in Kenia. Un premio che i lavoratori ricevono in aggiunta al loro salario.

20X Punti Cumulus sulle rose spruzzo con marchio Fairtrade dal 13 al 26.10

Un comitato eletto democraticamente dai lavoratori decide a quali progetti va versato il denaro del premio. Inoltre, i lavoratori delle piantagioni certificate Faitrade hanno diritto a un salario minimo legale e alle prestazioni sociali, come per esempio la pensione. E sono soggetti ad orari di lavoro regolamentati.

Fairtrade Max Havelaar Bouquet di rose spruzzo a stelo lungo* Fr. 17.90 *Nelle maggiori filiali

Fairtrade Max Havelaar Bouquet di rose spruzzo Fr. 15.90

Il marchio Fairtrade Max Havelaar contrassegna prodotti provenienti dal commercio equo e coltivazione sostenibile. Con il termine rose spruzzo si designano le rose con tanti piccoli fiori sullo stesso stelo.

Parte di


AZIONE 40%

33% 2.30 invece di 3.50

2.15 invece di 3.60

Uva Italia Italia, al kg

Mele Gala, dolci Svizzera, al kg

a partire ni da 2 confezio

40% 10.80 invece di 18.– Carne di manzo macinata M-Classic Svizzera, al kg

–.50 DI RIDUZIONE L’UNA

1.– invece di 1.50 Tutta la pasta M-Classic –.50 di riduzione l’una, per es. pipe grandi, 500 g

50% 4.05 invece di 8.10 Tutti gli Ice Tea in bottiglie di PET, in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. al limone

50% 50%

50%

4.80 invece di 9.60

2.85 invece di 5.70

Tutto l’assortimento Migros Topline per es. shaker blu professionale, 0,5 l, il pezzo, offerta valida fino al 26.10.2015

Vittel in conf. da 6, 6 x 1,5 l

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 13.10 AL 19.10.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

19.90 invece di 39.80 Tutte le linee di stoviglie da tavola in porcellana o vetro Cucina & Tavola per es. set di stoviglie Basic, il set, offerta valida fino al 26.10.2015


I. T T U T R E P A Z Z E H C S E R F SEMPRE PIÙ 25%

33%

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15.– invece di 22.60

5.20

2.45 invece di 3.30

3.90 invece di 5.60

5.90 invece di 11.80

Sminuzzato di pollo Optigal in conf. da 3 Svizzera, 3 x 222 g

Zucca bio a spicchi Svizzera, al kg

La Trüta (la trota) bio Ticino, per 100 g, fino al 17.10

Petto di pollo M-Classic affettato finemente Brasile, 187 g

Prosciutto crudo dei Grigioni Surchoix in vaschetta gigante salvafreschezza Svizzera, 171 g

25%

25%

25%

30%

40%

3.30 invece di 4.40

4.30 invece di 5.80

2.90

3.30 invece di 4.40

3.10 invece di 4.50

4.20 invece di 7.05

Pomodori a grappolo Ticino, sciolti, al kg

Castagne Francia, rete da 500 g

Carote bio Svizzera, busta da 1 kg

Arrosto spalla di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Prosciutto cotto Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g

Cervelas TerraSuisse in conf. da 3 3 x 2 pezzi

30%

25%

20%

30%

30%

5.40 invece di 7.30

2.70 invece di 3.40

5.85 invece di 8.40

14.30 invece di 18.35

4.95 invece di 7.30

6.60 invece di 9.50

Minestrone alla ticinese Svizzera, imballato, al kg

Lattuga Iceberg M-Classic 350 g, 20% di riduzione

Mini Babybel retina da 18 x 22 g

Formagín ticinés (formaggini ticinesi) prodotti in Ticino, in conf. doppia, al kg

Entrecôte di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Pollo Optigal Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg

Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 13.10 AL 19.10.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


. IO M R A P IS R I D À IT IL IB S S ANCORA PIÙ PO 40%

6 per 4 3.90 invece di 5.85

4.95 invece di 6.20

3.90 invece di 4.90

6.85 invece di 8.60

3.90 invece di 6.50

3.40 invece di 4.25

Berliner in conf. da 6 6 x 70 g

Torta reale all'ananas, al nougat o torta svedese ai lamponi, intera o in conf. da 2 20% di riduzione, per es. torta svedese ai lamponi, 2 x 110 g

Cake o biscotti M-Classic 20% di riduzione, per es. nidi alle nocciole, 360 g

Tutti i gelati Crème d’or in vaschette da 750 ml o 1000 ml 20% di riduzione, per es. Grand Marnier, 750 ml

Panna intera Valflora UHT 2 x 500 ml

Tutti i tipi di aceto o di salse Ponti 20% di riduzione, per es. aceto balsamico di Modena, 50 cl

6.60 invece di 8.60

4.45 invece di 5.60

40% 2.40 invece di 3.–

16.– invece di 26.70

4.55 invece di 4.80

1.30 invece di 1.60

Tutti i biscotti Midor in sacchetto (prodotti Tradition esclusi), 20% di riduzione, per es. zampe d’orso, 380 g

Branches Classic Frey in conf. da 60, UTZ 60 x 27 g

Diversi articoli di cioccolato Kinder Ferrero in confezioni speciali o multiple (prodotti a base di latte del reparto frigo esclusi), per es. barrette di cioccolato Kinder in conf. da 4, 4 x 100 g

Tutte le salse in bustina Bon Chef, Tutto il caffè bio, Fairtrade 20% di riduzione, per es. macinato, 500 g a partire da 2 pezzi –.30 di riduzione l’uno, per es. salsa alla cacciatora, 46 g

Quinoa bio, Fairtrade 20% di riduzione, per es. quinoa bianco, 400 g

50%

30% 8.10 invece di 11.70

1.65 invece di 2.10

4.75 invece di 6.20

2.55 invece di 3.20

2.90 invece di 5.85

3.90 invece di 4.90

Tortelloni in conf. da 3 o gnocchi in conf. da 2 M-Classic per es. tortelloni, 3 x 250 g

Tutte le bevande a base di latte Starbucks 20% di riduzione, per es. Seattle Latte, Fairtrade, 220 ml

Tutti i tipi di miele Fairtrade 20% di riduzione, per es. miele di fiori cremoso, 500 g

Tutti i prodotti Farmer’s Best surgelati, 20% di riduzione, per es. spinaci alla panna, 800 g

Rösti Original in conf. da 3 3 x 500 g

Tutto l’assortimento di alimenti per animali o di lettiere M-Classic 20% di riduzione, per es. bocconcini assortiti in bustina, 12 x 100 g

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 13.10 AL 19.10.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


A L L E D O L IL BEL . A Z N E I N CONVE

ALTRE OFFERTE. FRUTTA E VERDURA

2.20 invece di 2.60

3.35 invece di 4.50

16.90 invece di 20.40

Prodotti per l’igiene intima Molfina in conf. da 2 15% di riduzione, per es. salvaslip Bodyform Air, 2 x 36 pezzi, offerta valida fino al 26.10.2015

Spugnette Miobrill in confezioni multiple 25% di riduzione, per es. Strong in materia sintetica, 3 x 3 pezzi, offerta valida fino al 26.10.2015

Calgon in confezioni speciali 15% di riduzione, per es. pastiglie, 54 pezzi, offerta valida fino al 26.10.2015

Lattuga Iceberg M-Classic, 350 g 2.70 invece di 3.40 20% Mele Gala, dolci, Svizzera, al kg 2.15 invece di 3.60 40% Uva Italia, Italia, al kg 2.30 invece di 3.50 33% Pomodori a grappolo, Ticino, sciolti, al kg 3.30 invece di 4.40 25% Carote bio, Svizzera, busta da 1 kg 2.90 Minestrone alla ticinese, Svizzera, imballato, al kg 5.40 invece di 7.30 25% Zucca bio a spicchi, Svizzera, al kg 5.20 Castagne, Francia, rete da 500 g 4.30 invece di 5.80 25% Banane Fairtrade, bio, Perù / Ecuador, al kg 2.25 invece di 3.– 25%

PESCE, CARNE E POLLAME

30% 9.25 invece di 11.60

15.70 invece di 23.50

a partire da 2 pezzi

40%

50%

7.55 invece di 12.60

72.50 invece di 145.–

Carta per uso domestico Twist in confezione multipla per es. Classic, FSC, 16 rotoli, offerta valida fino al 26.10.2015

Pentola a pressione Duromatic Ergo Kuhn Rikon 3,5 o 5 litri, per es. 5 litri, il pezzo, offerta valida fino al 26.10.2015

50% DI RIDUZIONE L’UNO

6.95 invece di 13.90 Detersivi Elan 50% di riduzione l’uno, per es. Spring Time in conf. di ricarica, 2 l

Per la tua spesa ritaglia qui.

Protezione per denti e gengive o contro il tartaro Vanish in confezioni speciali Listerine in conf. da 2 per es. White Gold, 1,33 kg, 20% di riduzione, per es. protezione per denti e offerta valida fino al 26.10.2015 gengive, 2 x 500 ml, offerta valida fino al 26.10.2015

Carne di manzo macinata M-Classic, Svizzera, al kg 10.80 invece di 18.– 40% Petto di tacchino arrosto M-Classic, Ungheria, 20x per 100 g 3.70 NOVITÀ *,** Cervelas TerraSuisse in conf. da 3, 3 x 2 pezzi 4.20 invece di 7.05 40% Petto di pollo M-Classic affettato finemente, Brasile, 187 g 3.90 invece di 5.60 30% Prosciutto crudo dei Grigioni Surchoix in vaschetta gigante salvafreschezza, Svizzera, 171 g 5.90 invece di 11.80 50% Sminuzzato di pollo Optigal in conf. da 3, Svizzera, 3 x 222 g 15.– invece di 22.60 33% Gamberetti tail-on ASC cotti, d’allevamento, Vietnam, 500 g 19.90 invece di 28.50 30% Prosciutto cotto, Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g 3.10 invece di 4.50 30% Terrina ai funghi porcini, prodotta in Svizzera, in conf. da 2 x ca. 65 g, ca. 130 g, per 100 g 3.20 invece di 4.65 30% Entrecôte di manzo TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 4.95 invece di 7.30 30% Arrosto spalla di vitello TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 3.30 invece di 4.40 25% Pollo Optigal, Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg 6.60 invece di 9.50 30% La Trüta (la trota) bio, Ticino, per 100 g 2.45 invece di 3.30 25% fino al 17.10

PANE E LATTICINI Tutte le bevande a base di latte Starbucks, per es. Seattle Latte, Fairtrade, 220 ml 1.65 invece di 2.10 20% Panna intera Valflora UHT, 2 x 500 ml 3.90 invece di 6.50 40%

Mini Babybel, retina da 18 x 22 g 5.85 invece di 8.40 30% Pane Ticinese, 300 g 1.85 invece di 2.20 15% Sandwiches Sils TerraSuisse, 420 g 3.10 invece di 3.70 15% Formagín ticinés (formaggini ticinesi), prodotti in Ticino, in conf. doppia, al kg 14.30 invece di 18.35 20%

FIORI E PIANTE Rose Fairtrade, lunghezza dello stelo 40 cm, in diversi colori, mazzo da 20 10.90 invece di 12.90 Bouquet di rose spray e profumate, Fairtrade, 20x il pezzo 17.90 NOVITÀ *,** Bouquet di rose spray, Fairtrade, il pezzo 20x 15.90 NOVITÀ *,**

ALTRI ALIMENTI Branches Classic Frey in conf. da 60, UTZ, 60 x 27 g 16.– invece di 26.70 40% Diversi articoli di cioccolato Kinder Ferrero in confezioni speciali o multiple (prodotti a base di latte del reparto frigo esclusi), per es. barrette di cioccolato Kinder in conf. da 4, 4 x 100 g 4.55 invece di 4.80 Cioccolatini Classics Frey, UTZ, 750 g 17.20 NOVITÀ *,** 20x Cioccolatini Selection Frey, 300 g o 750 g, UTZ, per es. 20x 300 g 9.40 NOVITÀ *,** Rêves d’or Frey, UTZ, 45 g 20x 4.90 NOVITÀ *,** Carrés aux fruits extra-fins Sélection, 120 g 20x 11.40 NOVITÀ *,** Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 6, UTZ, per es. Noxana al latte, 6 x 100 g 8.60 invece di 12.30 30% Tavoletta di cioccolato Nectar de coco Sélection, 80 g 20x 5.20 NOVITÀ *,** Cioccolato al latte con mandorle, aha!, UTZ, 100 g 20x 2.30 NOVITÀ *,** Tutti i biscotti Midor in sacchetto (prodotti Tradition esclusi), per es. zampe d’orso, 380 g 2.40 invece di 3.– 20% Biscotti Walkers Highlanders, Chocolate Chip o Chocolate Chunk in conf. da 3, per es. Highlanders, 3 x 200 g 9.95 invece di 13.50 25% Caffè Caruso Oro in chicchi o macinato in conf. da 2, UTZ, per es. in chicchi, 2 x 500 g 8.90 invece di 19.– 50% Caffè in capsule Delizio Nepal, Limited Edition, 12 pezzi 20x 7.90 NOVITÀ *,** Tutto il caffè bio, Fairtrade, per es. macinato, 500 g 6.60 invece di 8.60 20% Tutti i tipi di miele Fairtrade, per es. miele di fiori cremoso, 500 g 4.75 invece di 6.20 20%

Müesli Farmer Croc in conf. da 2, con clip gratuita per richiudere, per es. ai frutti di bosco, 2 x 500 g 7.60 invece di 9.60 20% Farmer Soft Choc alle castagne, UTZ, Limited Edition, 192 g 20x 4.40 NOVITÀ *,** Tondelli di riso M-Classic, aha!, Sweet Chili o Balsamico, per es. Sweet Chili, 50 g 20x 1.60 NOVITÀ *,** Tutti i tipi di frutta secca, di noci o di zucchero di canna, per es. datteri Migros Bio, 200 g 1.65 invece di 2.10 20% Pizza Finizza al prosciutto o alla mozzarella in conf. da 3, surgelata, per es. al prosciutto, 3 x 330 g 8.40 invece di 12.– 30% Tutti i prodotti Farmer’s Best, surgelati, per es. spinaci alla panna, 800 g 2.55 invece di 3.20 20% Filetti dorsali di merluzzo dell’Atlantico Pelican MSC, surgelati, 1 kg 15.60 invece di 26.– 40% Tutto l’assortimento Costa, prodotti surgelati, per es. gamberetti all’aglio, 200 g 6.– invece di 7.50 20% Calzone di pollo Optigal impanato, surgelato, 20x 2 x 125 g 4.80 NOVITÀ *,** Nuggets di pollo e formaggio Don Pollo, surgelati, 400 g 20x 6.50 NOVITÀ *,** Cosce di pollo con formaggio fresco e curry M-Classic, surgelate, 310 g 7.– NOVITÀ *,** 20x Tutti i gelati Crème d’or in vaschette da 750 ml o 1000 ml, per es. Grand Marnier, 750 ml 6.85 invece di 8.60 20% Tutti i succhi di frutta Fairtrade (succhi M-Classic Fairtrade esclusi), per es. succo d’arancia Gold, 1 l 1.55 invece di 1.95 20% Tutto l’assortimento Actilife, per es. Breakfast Actilife, 1 l 1.45 invece di 1.85 20% Vittel in conf. da 6, 6 x 1,5 l 2.85 invece di 5.70 50% Tutti gli Ice Tea in bottiglie di PET, in conf. da 6, 6 x 1,5 l, per es. al limone 4.05 invece di 8.10 50% Tutti i tipi di riso Fairtrade, per es. riso basmati bio, 1 kg 4.70 invece di 5.90 20% Rösti Original in conf. da 3, 3 x 500 g 2.90 invece di 5.85 50% Quinoa bio, Fairtrade, per es. quinoa bianco, 400 g 4.45 invece di 5.60 20% Tutta la pasta M-Classic, a partire da 2 confezioni, –.50 di riduzione l’una, per es. pipe grandi, 500 g 1.– invece di 1.50 Tutti i tipi di aceto o di salse Ponti, per es. aceto balsamico di Modena, 50 cl 3.40 invece di 4.25 20% Tutte le spezie Fairtrade, per es. zafferano macinato, 500 mg 3.55 invece di 4.45 20% Tutto l’assortimento Knorr Suprême, per es. zuppa di gallinacci, 95 g 20x 2.90 20x PUNTI ** Brodo alle erbe aromatiche 20x Knorr, 109 g 4.75 NOVITÀ ** Brodo di funghi porcini 20x Knorr, 100 g 4.75 NOVITÀ ** Chips Zweifel in confezioni XXL, al naturale o alla paprica, per es. alla paprica, 380 g 5.95

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 26.10 Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 13.10 AL 19.10.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 13.10 AL 19.10.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Tutti i cornetti precotti, refrigerati, in conf. da 2, per es. cornetti al burro M-Classic, 420 g 4.50 invece di 6.– 25% Torta svedese/torta svedese ai lamponi in conf. da 2, 20x 2 x 115,5 g 5.80 NOVITÀ *,** Torta al kirsch/al nougat in conf. da 2, 2 x 122 g 20x 5.80 NOVITÀ *,** Torta Foresta nera/torta reale in conf. da 2, 2 x 131 g 20x 5.80 NOVITÀ *,** Tutte le salse per insalata Anna’s Best e Tradition, per es. French Dressing Anna’s Best, 350 ml 3.– invece di 3.80 20% Salsa alla panna e ai funghi Anna’s Best, 200 ml 20x 3.30 NOVITÀ *,** Prodotti Cornatur in conf. da 2, per es. scaloppine di quorn al pepe e al limone, 2 x 220 g 8.80 invece di 11.– 20% Minestrone 15 verdure Orogel, surgelato, 450 g 2.95 invece di 3.70 20% Funghi porcini a fette, interi e misti Valtaro, surgelati, 300 g, 450 g e 500 g, per es. funghi misti Valtaro, 450 g 2.95 invece di 3.70 20%

NEAR FOOD / NON FOOD Tutto l’assortimento per la cura del viso o del corpo L’Oréal (confezioni multiple escluse), per es. crema da giorno ad azione intensa Age Perfect, 50 ml 20.85 invece di 26.10 20% ** Prodotti per la cura del corpo Le Petit Marseillais in conf. da 2, per es. docciacrema alla vaniglia, 2 x 250 ml 6.15 invece di 7.70 20% ** Tutti i prodotti Labello, per es. Classic, in conf. da 2 3.– invece di 3.80 20% ** Sweet Memories Shower I am, Limited Edition, 250 ml 20x 2.10 NOVITÀ *,** Burro invernale per i piedi Orange & Winterspices Pedic, Limited Edition, 150 ml 20x 7.50 NOVITÀ *,** Calzini da donna Nur Die o Rohner in conf. da 3, disponibili in diversi colori e misure, per es. Nur Die, bianchi, n. 35–38 9.90 ** Calzini da uomo Nur Der in confezioni multiple, disponibili in bianco, nero o antracite e in diverse misure, per es. calzini sportivi, in conf. da 3, antracite, n. 43–46 9.90 ** Salviettine umide per bebè Milette in conf. da 4, per es. Ultra Soft & Care, 4 x 72 pezzi 9.30 invece di 11.80 20% ** Tutti gli ammorbidenti Exelia, a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione l’uno, per es. Orchid, 1,5 l 3.25 invece di 6.50 ** Lampadine in confezioni multiple, per es. lampadine alogene Osram Classic A, 46W, E27, in conf. da 5 9.85 invece di 14.75 33% ** Contenitori trasparenti a 4 rotelle Rotho 15.– ** Tutto l’assortimento Migros Topline, per es. shaker blu professionale, 0,5 l, il pezzo 4.80 invece di 9.60 50% ** Tutte le linee di stoviglie da tavola in porcellana o vetro Cucina & Tavola, per es. set di stoviglie Basic, il set 19.90 invece di 39.80 50% **


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Salsa alla panna e ai funghi Anna’s Best 200 ml

Petto di tacchino arrosto M-Classic Ungheria, per 100 g

Cosce di pollo con formaggio fresco e curry M-Classic surgelate, 310 g

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Bouquet di rose spray e profumate, Fairtrade il pezzo

Calzone di pollo Optigal impanato surgelato, 2 x 125 g

Nuggets di pollo e formaggio Don Pollo surgelati, 400 g

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Bouquet di rose spray, Fairtrade il pezzo

Burro invernale per i piedi Orange & Winterspices Pedic Limited Edition, 150 ml

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Farmer Soft Choc alle castagne, UTZ Limited Edition, 192 g

Cioccolatini Classics Frey, UTZ 750 g

Cioccolatini Selection Frey, 300 g o 750 g, UTZ per es. 300 g

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11.40

4.90

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Carrés aux fruits extra-fins Sélection 120 g

Rêves d’or Frey, UTZ 45 g

Tavoletta di cioccolato Nectar de coco Sélection 80 g

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Torta svedese/torta svedese ai lamponi in conf. da 2 2 x 115,5 g

Torta Foresta nera/torta reale in conf. da 2 2 x 131 g

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 12 ottobre 2015 ¶ N. 42

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Idee e acquisti per la settimana

Vitamina C e E La vitamina C contribuisce al normale funzionamento del sistema immunitario e a ridurre stanchezza e affaticamento. La vitamina C è importante anche per le funzioni della pelle e delle ossa ed aumenta l’assorbimento del ferro. La vitamina E contribuisce soprattutto a proteggere le cellule dal processo ossidante. Essa si trova principalmente negli alimenti vegetali come oli, noci e semi.

Fibre alimentari Sebbene non siano digeribili, le fibre alimentari recitano un ruolo importante nell’apparato digestivo. Per un’alimentazione sana si consiglia di assumere almeno 30 grammi di fibre alimentari al giorno, per esempio attraverso cibi a pase di cereali integrali, frutta, verdura, noci e legumi.

Molte fibre naturali senza l’aggiunta di zucchero: Actilife Crunchy Mix Fibre 600 g Fr. 6.30 Nelle maggiori filiali

Contiene vitamine C ed E nonché betacarotene: Actilife Breakfast 1l Fr. 1.85 Acidi grassi Omega 3 Gli acidi grassi Omega 3 contribuiscono a mantenere normale il tasso di colesterolo nel sangue e sono importanti per le normali funzioni cardiache e cerebrali, nonché per la vista. Gli Omega 3 sono contenuti in alcuni oli vegetali come quelli di colza, soia, lino e germi di grano, nonché nei semi di lino e di noci, oltre che in vari tipi di pesci ricchi di grassi come il salmone, lo sgombro, il tonno o l’aringa.

Actilife

Riforniti di tutto Fonte proteica con molte vitamine e minerali: Actilife Crunchy Mix Sport 600 g Fr. 6.90

Contiene calcio, magnesio e vitamina D: Actilife Crunchy Mix Plus 600 g Fr. 5.70

Parte integrante di una dieta equilibrata e in combinazione con un adeguato esercizio, Actilife sostiene le capacità fisiche e mentali. Il suo assortimento comprende prodotti per la colazione come Müesli e succhi, nonché integratori alimentari, vitamine, sali minerali e altre preziose sostanze Testo Anette Wolffram Eugster; Illustrazione Paula Sanz

Acido folico Per le donne incinte è importante assumere una buona dose di acido folico, perché durante le prime settimane di gravidanza è indispensabile allo sviluppo del sistema nervoso centrale del nascituro. Acidi folici naturali si trovano negli ortaggi verdi, in alcuni tipi di cavolo e frutti, così come nelle leguminose e nei cereali integrali, ma anche nel tuorlo d’uovo e nel fegato.

Magnesio Un’assunzione sufficiente di magnesio, oltre a contribuire a mantenere normali le ossa e il funzionamento dei muscoli, riduce anche la stanchezza e l’affaticamento. Il magnesio è contenuto negli alimenti vegetali e animali, soprattutto negli ortaggi verdi, prodotti integrali, noci e semi.

Ferro Affinché il corpo sia ben rifornito d’ossigeno c’è bisogno di ferro a sufficienza nel sangue. Il ferro contribuisce al normale trasporto di sangue nel corpo e a ridurre la spossatezza e l’affaticamento. Il ferro contenuto nei prodotti animali è più facilmente assibilabile dal nostro corpo di quello d’origine vegetale. Actilife Ferro gusto fragola 30 pastiglie da succhiare Fr. 4.60

Con preziosi acidi grassi Omega 3: Actilife Omega 3 1l Fr. 1.85

Fornisce acido folico e ferro: Actilife Good Morning 1l Fr. 1.85

Calcio Il calcio è importante per la salute di ossa e denti. Contribuisce inoltre alla normale funzione muscolare. Le migliori fonti di approvvigionamento di calcio sono i prodotti lattiero-caseari e alcune acque minerali.

Actilife Magnesio al gusto di limone 20 pastiglie effervescenti 130 g Fr. 5.70


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Idee e acquisti per la settimana

I am

2

Pelle e capelli pronti per l’autunno

*Azione 20% sull’intero assortimento I am (escluse confezioni multiple) fino al 19.10

1

3

4

1 La cura delle labbra con complesso idratante, cera d’api e provitamina B5 cura e protegge. I am face Lip Care 2 x 4,5 g Fr. 2.30* invece di 2.90

5

2 La crema per le mani penetra subito e dona idratazione senza ungere. I am crema per le mani cura immediata 100 ml Fr. 2.55* invece di 3.20

6

3 Lo shampoo idratante con estratto di pappa reale e microproteine ripara la struttura dei capelli e protegge dalle doppie punte. I am Intense Moisture Shampoo 250 ml Fr. 2.–* invece di 2.55 4 La maschera per i capelli cura intensamente e ripara in profondità conferendo maggior morbidezza. I am Intense Moisture Mask 250 ml Fr. 4.45* invece di 5.60 5 Il leggero olio per i capelli conferisce lucentezza e morbidezza. I am Professional Oil Repair Gold Elixir 100 ml Fr. 7.40* invece di 9.30 6 La lozione per il corpo con estratto di cotone biologico, Aloe Vera e olio di sesamo dona alla pelle sensibile un’idratazione di lunga durata.

È ora di affidarsi a un programma benessere personale, per preparare pelle, capelli e anima all’incipiente inverno.

Aria secca in casa, freddo e vento sono i fattori di stress che di questi tempi tornano a insidiare pelle e capelli. Con prodotti curativi che idratano a fondo e hanno un effetto rigenerante si può comunque attrezzarsi in modo ottimale per la stagione fredda. L’ampio assortimento di I am vizia la pelle stressata e i capelli strapazzati con preziosi componenti come vitamina E, provitamina B5, estratto di malva o di cotone. La cosa

migliore è concedersi di tanto intanto un piccolo rituale di cure, seguendo ad esempio queste raccomandazioni: dopo averli lavati, applicare sui capelli una maschera, mettervi sopra la cuffia da doccia e avvolgerla in un asciugamano. Lasciar agire almeno una mezz’ora. Nel frattempo sollevare le gambe, godersi una tisana e ascoltare la musica preferita per sfuggire un momento al mondo circostante.

7 La doccia curativa con estratto di malva e provitamina B5 pulisce delicatamente e rende la pelle morbida e profumata. I am Shower Sensitive Care 250 ml Fr. 1.65* invece di 2.10 8 La lozione per il corpo con pantenolo, urea e vitamina E protegge la pelle per tutto il giorno dal rischio di diventare secca. I am Body Urea Body Milk 250 ml Fr. 3.80* invece di 4.80

8 7 Foto Lucas Peters; Styling Regula Wetter, Getty Images

I am Natural Cosmetics Sensitive Bodylotion 350 ml Fr. 7.80* invece di 9.80 Nelle maggiori filiali

Concorso

Regina di bellezza per un giorno Vi piacerebbe sentirvi per una volta come una star o vorreste regalare questa sensazione a un’amica? L’occasione ve la offre il concorso Beauty Day su www.i-am.ch. Rispondete a tre domande e con po’ di fortuna potete vincere una giornata dedicata alla bellezza con personal shopping, styling e seduta fotografica del valore di 3000 franchi.

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche i prodotti curativi di I am.


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Idee e acquisti per la settimana

Frey

Piccola tavoletta, grande scelta Foto Raphael Zubler; Styling Katja Rey

Se desiderate viziare voi stessi o i vostri ospiti con una scelta di deliziosi dolcetti, niente di meglio dei Napolitains assortiti. Tanto più che ne esistono due nuove varianti. Mentre la miscela «Selection» offre sette creazioni scelte – Latte extra fine, Noxana, Noir Special 72%, Giandor, Blanca, Blond e Noxana Crémant – la miscela «Classic» propone i sei apprezzatissimi tipi di tavoletta Latte, Latte-Nocciola, Crémant 47%, Les Adorables Frelitta, Blanc Croquant e Splendor.

Per momenti di particolare piacere: con l’espresso un Napolitain di Frey a scelta.

20X Punti Cumulus sui nuovi Napolitains di Frey dal 13 al 26.10

Frey Napolitains Selection assortiti 750 g Fr. 22.60

Frey Napolitains Classic assortiti 750 g Fr. 17.20 Nelle maggiori filiali

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche i Napolitains di Frey.


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Idee e acquisti per la settimana

Acqua dura e molto dura. Acqua medio-dura e abbastanza dura. Acqua dolce e molto dolce.

La natura del suolo e della roccia nella zona della sorgente determina il grado di durezza dell’acqua. Più l’acqua è dura, maggiore è il suo contenuto di calcare.

Potz e Migros Plus

Specialisti in calcare

Aderisce anche sulle superfici verticali: Potz Xpert Multi-Calc-Gel 750 ml Fr. 4.90

Decalcificante super potente ad azione immediata con protezione anticorrosione: Potz Calc 1l Fr. 4.90

Calcare indesiderato in cucina o in bagno? Pulendo regolarmente con prodotti speciali si eliminano anche le tracce più ostinate Testo Nicole Ochsenbein; Illustrazione Konrad Beck

Raccordi e apparecchi da cucina incrostati di bianco, che sono destinati prima o poi a rompersi. Non ci sono dubbi: si tratta di tracce di calcare. A seconda della concentrazione di calcio e composti di magnesio si parla di acqua dolce o dura. Il contenuto di calcare dipende, comunque, dalla composizione geologica della zona in cui si trova la rispettiva sorgente. Le acque più dure si trovano nelle regioni con molta sabbia e pietra calcarea come il Giura e l’Altopiano svizzero, dove l’acqua del suolo filtra attraverso la roccia assorbendone i minerali. L’acqua più dolce è quella di Alpi e Prealpi, così come quella del versante alpino me-

ridionale dove predominano le rocce cristalline.

Ideale per i bagni: Potz Calc Forte 500 ml Fr. 3.90

Biodegradabile al 100 percento: Migros Plus Decalcificante 1l Fr. 4.25

Innocuo ma brutto e fastidioso

Il calcare non compromette la qualità dell’acqua potabile. C’è però bisogno di un trattamento che lo sciolga, ad esempio nei punti dove l’acqua calda evapora oppure se viene in contatto con sostanze come il sapone formando fastidiose tracce di calcare. Tra i più colpiti ci sono i bollitori, le macchine del caffè e le docce. Si raccomanda perciò di pulire regolarmente gli apparecchi a rischio e le macchie superficiali usando dei potenti decalcificanti. Potz e Migros Plus offrono i prodotti idonei.

Specifico per le macchine del caffè: Potz Calc Espresso 2 x 125 ml Fr. 8.60

L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche quelli di Potz e Migros Plus.



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