Azione 24 del 10 giugno 2024

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edizione 24

MONDO MIGROS

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SOCIETÀ

Famiglia: il cartone animato Spellbound «normalizza» la separazione senza banalizzarla

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ATTUALITÀ Pagina 13

Momento decisivo per il PLR confrontato con le dimissioni di Burkart e le critiche rivolte a Cassis

Un viaggio nel mondo dell’artista Valérie Favre, in mostra in tre tappe al Museo Epper di Ascona

CULTURA Pagina 19

L’armonia che parte dallo sguardo

Mzee, primo tetraplegico al mondo a dominare il kitefoil, sfida i limiti con tecnologia, forza e passione

TEMPO LIBERO Pagina 29

Fattorie verticali per maiali e altre aberrazioni

«Ah beh, sì beh», cantava Jannacci nella canzone Ho visto un re parlando del contadino a cui avevano ammazzato anche il maiale. Perché tra i vessati del potere figurano pure i suini. Perfino oggi che la tecnologia gestisce le melmose – diciamo così – porcilaie d’un tempo. In Cina esistono infatti allevamenti di maiali in verticale: 26 piani, un piccolo grattacielo di campagna, che ospita 260 mila suini, li misura, li svezza, li pesa, li smista a seconda delle dimensioni. Li nutre, li lava e infine li uccide prima che arrivino ai 200 giorni di vita, perché oltre questo limite l’animale mangia sempre di più, ma cresce troppo lentamente e, considerando la legge dei grandi numeri, da lì in avanti la faccenda si fa poco redditizia. Su ogni piano ci sono 10 mila bestiole e qualche veterinario che sorveglia il processo di produzione, l’indirizzamento dei suini più in carne verso un sistema di rampe e montacarichi che

porta infine gli esemplari «maturi» al mattatoio. In Occidente li hanno ribattezzati «Pig Palace» e i reportages che li raccontano, come quello apparso su «Le Monde» la scorsa settimana, danno molto da riflettere. Visto che l’ingresso è negato ai giornalisti, l’inviato del quotidiano francese ha presentato dall’esterno quello del villaggio di Hongqiao, nella provincia di Hubei. Ma in Cina ne sono sorti già 200 in risposta alla crisi sanitaria dell’estate 2018: quando la peste porcina africana aveva raggiunto la Cina dalla Russia, il Paese si era dimostrato incapace di fronteggiare l’epidemia e il prezzo della carne era raddoppiato in un anno. Un vuoto nei frigoriferi e nel portafoglio della popolazione.

Anche senza essere animalisti, lasciano molto perplessi queste «fabbriche» che riducono gli animali a oggetti, creano scarsi posti di lavoro, ma garantiscono costi sostenibili per i cine-

si meno abbienti e – giurano le autorità – una maggior sicurezza sanitaria. Da qui, del resto, si è diffuso il Covid, probabilmente da un mercato di carni di pipistrello e altre prelibatezze selvatiche a Wuhan, finendo col contagiare il resto del pianeta, con le conseguenze che stiamo troppo rapidamente dimenticando. Il «miracolo» efficientista di queste porcilaie consente inoltre di collegarle ai metanodotti che alimentano il sistema energetico di altre aziende. Quello di Hongqiao fa girare un vicino cementificio. Come ai vecchi tempi, però, ci sono cose che la tecnologia più sviluppata e la volontà politica non possono o non vogliono eliminare. La puzza, per esempio, che si espande per chilometri e non va mai via. I campagnoli ne parlano al corrispondente di «Le Monde», chiedendo l’anonimato. Perché da quelle parti anche gli umani fan parte di una grande fattoria eterodiretta ed

è meglio che stiano zitti e buoni nel loro recinto. E il cinismo. Si dirà che trattarli bene o male, i maiali sempre al macello devono finire. Ma c’è modo e modo di farceli arrivare. E in quella differenza si misura il grado di civiltà del potere. Capiamo le scelte etiche di chi non mangia carne, contrario per principio a qualsiasi ipotesi di allevamento di animali a scopo alimentare in qualsiasi parte del mondo. Per tutti gli altri onnivori umani, le sfumature sono importanti. La legge elvetica stabilisce dimensioni minime per gli spazi degli animali e il numero massimo di quanti possono essere tenuti in determinate strutture. Nei «Pig Palace» cinesi il minimo che si possa dire è che ogni suino ci esaurisce l’intero ciclo vitale in condizioni di sovraffollamento, mancanza di luce naturale e zero possibilità di vita all’aperto. Poveretto, anzi, «pover purscel», canterebbe Jannacci. «Nel senso del maiale».

Carlo Silini
Maria Grazia Buletti Pagina 10

D a apprendista a Junior Product Manager

Info Migros ◆ Chi conclude un apprendistato in Migros ha molte opportunità di carriera: ne abbiamo parlato con il ticinese Alan Gashi

Perché un impiegato di vendita dovrebbe trascorrere tutta la vita in negozio? Le possibilità di carriera per chi decide di fare un apprendistato in Svizzera sono molte. Questo vale anche per Migros, che ogni anno offre circa 1500 apprendistati in 55 professioni.

«Siamo molto impegnati nella formazione degli apprendisti», afferma David Girod, responsabile della gestione delle risorse umane del Gruppo Migros. «Attraverso i nostri programmi di formazione e perfezionamento cerchiamo di migliorare l’occupabilità dei nostri laureati in apprendistato garantendo allo stesso tempo che possano continuare a svilupparsi internamente». Abbiamo incontrato il ticinese Alan Gashi, che dal ruolo di apprendistato in pochi anni è passato a quello di Junior Product Manager.

Alan Gashi, perché scegliere un apprendistato piuttosto che un corso di studi?

Penso sia una scelta molto personale. Nel mio caso, il desiderio di costruire la mia indipendenza economica e di entrare subito nel mondo del lavoro, acquisendo esperienza pratica, mi ha portato a scegliere l’apprendistato. Non nego che mi sarebbe piaciuto vivere «la vita da studente», ma non lo rimpiango. Ogni scelta ha i suoi pro e contro.

Qual è stata l’abilità più importante appresa durante l’apprendistato? La capacità di relazionarmi con le persone in un contesto professionale. Durante l’apprendistato ho imparato a osservare e a cogliere sia gli aspetti positivi sia quelli negativi delle interazioni, imparando così a comunicare in modo efficace e rispettoso. Questa competenza è stata fondamentale quando ho iniziato a gestire e coordinare un team, poiché mi ha permesso di costruire relazioni di fiducia e di creare un ambiente di lavoro positivo e collaborativo.

Quali consigli daresti a un giovane che inizia un apprendistato?

Il consiglio migliore che posso dare è: siate curiosi! Osservate chi ha più esperienza, non abbiate timore di chiedere chiarimenti se qualcosa non è chiaro. La curiosità è il motore dell’apprendimento. Una volta appreso qualcosa, dimostrate di saperlo mettere in pratica. Mettetevi in gioco, fatevi notare (con un pizzico di intraprendenza), ma sempre con umiltà e rispetto.

È necessario avere un piano di carriera fin dall’inizio?

Non necessariamente, soprattutto se si è giovani e ancora alla scoperta del mondo lavorativo. Tuttavia, a un certo punto avere un obiettivo chiaro a lungo termine è fondamentale per mantenere il focus e orientare le proprie scelte. Anche gli obiettivi intermedi sono importanti poiché aiutano a mantenere alta la motivazione. Occorre essere flessibili, perché la vita può riservare opportunità inaspettate, ma avere una direzione chiara, professionale e personale.

Hai incontrato molte difficoltà durante la tua carriera?

Le difficoltà fanno parte della vita e del lavoro, ed è normale incontrarle. Ricordo che già il primo giorno di lavoro mi sono sentito in difficoltà: la mancanza di esperienza e com-

petenze iniziali può essere scoraggiante. Tuttavia, ho imparato che affrontare le sfide un passo alla volta, con obiettivi intermedi e un atteggiamento positivo, è la chiave per superarle.

Ogni difficoltà superata mi ha permesso di crescere e acquisire fiducia nelle mie capacità. Gli errori sono inevitabili, ma rappresentano un’opportunità per imparare e migliorarsi.

E soprattutto, non bisogna mai avere paura di chiedere aiuto: il supporto degli altri è fondamentale.

Quali sono state le maggiori sfide?

La gestione del tempo è stata senza dubbio una delle sfide più grandi. Per superarla, ho imparato che è necessaria una pianificazione chiara e costante. Un altro elemento fondamentale è stato imparare a stabilire le priorità: non significa rinunciare a tutto il resto, ma piuttosto trovare un equilibrio tra impegni e obiettivi. Questo approccio mi ha permesso di affrontare le difficoltà senza perdere di vista il traguardo.

Hai commesso degli errori lungo il percorso?

Mi piace dire che dal primo giorno di lavoro fino a oggi ho commesso degli errori, e probabilmente continuerò a farne. Ma ciò che conta davvero è l’approccio: la capacità di affrontare i problemi, risolverli e sapere a chi rivolgersi in caso di necessità.

Quando si inizia in un nuovo ruolo o ambiente, è normale non sapere tutto. Il mio consiglio è di provarci sempre, ma prima informatevi su chi può supportarvi in caso di difficoltà. Un errore che consiglio di evitare è quello di sovraccaricarsi. Quando gli obiettivi, a breve o lungo termine, diventano irraggiungibili per mancanza di tempo o risorse, è importante fare un passo indietro, riorganizzare le idee, ridefinire le priorità e ripartire con un piano più realisti-

co. Questo approccio aiuta a lavorare con maggiore serenità e qualità.

Continuerai a formarti?

Assolutamente sì! La formazione continua è per me una priorità, perché mi permette di crescere non solo a livello professionale, ma anche personale. Ogni nuova competenza acquisita mi dà un senso di realizzazione, rafforza la mia autostima e mi fa sentire competitivo.

Cosa ti ha spinto a scegliere Migros?

Il mio ingresso in Migros è avvenuto un po’ per caso. Dopo le scuole medie stavo cercando di capire quale fosse la mia strada, facendo diversi stage in settori differenti. Durante lo stage in Migros ho scoperto qualcosa di inaspettato: ero affascinato dalla vendita e ho capito che poteva diventare una passione. Mi sono reso conto di come Migros non mi offrisse solo un lavoro, ma anche una vera e propria opportunità di crescita.

Perché sei rimasto in Migros per fare carriera?

Le possibilità di carriera erano evidenti fin dall’inizio, e il supporto ricevuto è stato fondamentale. Già a soli 18 anni, meno di un anno dopo aver terminato l’apprendistato, mi è stata data la possibilità di gestire un reparto come responsabile merceologico. Una grande dimostrazione di fiducia che mi ha motivato a dare il massimo. Da lì è iniziata una scalata che mi ha portato a ricoprire ruoli prima nei punti vendita, fino alla posizione di sostituto gerente di filiale e in seguito in ufficio presso la centrale operativa, dove ho iniziato a luglio 2024 come assistente marketing e dal 1° maggio, ricopro il ruolo di Junior Product Manager. Migros non è solo un’azienda, ma un luogo che valorizza il talento e offre opportunità a chi è disposto a mettersi in gioco.

Lasciate fiorire la diversità

Concorso ◆ Vincete un buono da 250 CHF

Nel corso della settimana del 9 giugno, alle casse Migros saranno distribuiti dei sacchetti contenenti semi di fiori. Il codice QR presente sulle bustine vi porterà al concorso che mette in palio 1000 buoni Migros del valore di 250 franchi ciascuno. Il Percento culturale Migros intende promuovere gli incontri e vi invita a utilizzare la vostra vincita per investire in un’esperienza con persone diverse. Ad esempio, potreste usare i soldi del buono per invitare delle persone a cena o a una sessione di narrazione nel vostro quartiere. Sul sito web del concorso troverete altre idee per i vostri incontri. Cliccate su una di queste, partecipate all’estrazione e utilizzate la vostra vincita per far fiorire la diversità, e non solo, nel vostro giardino.

Torna la Festa cantonale ticinese di Lotta svizzera

Il 20 settembre avrà luogo la Festa cantonale in un’arena da 5’000 posti appositamente creata a Biasca per l’occasione. L’evento accoglierà centi-

48.– per sabato 20 settembre 2025. Per partecipare al concorso, inviate una mail con i vostri dati a giochi@azione.ch (oggetto: Lotta svizzera) entro domenica

naia di atleti e migliaia di spettatori da tutta la Svizzera per un grande evento popolare e sportivo, unica tappa ufficiale in Ticino del circuito della Federazione di Lotta Svizzera ESV. La lotta svizzera (Schwingen) è lo sport nazionale elvetico, simbolo di forza, rispetto e radici culturali. Combina tecnica, potenza e fair play in un’atmosfera unica. È molto più di una competizione: è festa popolare, identità e passione per la tradizione svizzera. Quella ticinese è dunque un’occasione unica per ammirare i campioni della lotta svizzera in Ticino. Col suo spirito autentico e popolare, la Festa cantonale di lotta svizzera rappresenta un’occasione unica e privilegiata per scoprire e celebrare le radici culturali alpine svizzere in Ticino, valorizzando lo sport, la comunità e le tradizioni locali ticinesi/ svizzere. L’evento ha luogo ogni 3 anni e segue la Festa Federale (ESAF), si potranno così ammirare da vicino e dal vivo i campioni che hanno lottato a Glarona per il titolo svizzero della festa federale.

di tutta la Svizzera impegnati in gare spettacolari su segatura,

in una cornice paesaggistica e alpina d’eccezione. È già stata confermata la presenza di Joel Wicky, «vincitore della più blasonata Festa Federale del

2022 e già finalista anche a Zugo nel 2019» (Bruno Schiavuzzi, Presidente Comitato FCTLS).

Oltre alle gare, vi sarà un’atmosfera da festa popolare con prodotti tipici, stand gastronomici, musica e intrattenimento, oltre a uno spazio per le famiglie con attività per i bambini come il gonfiabile della ATLS (Associazione Ticinese di Lotta Svizzera) per provare a cimentarsi con questa disciplina sportiva. Per la chiusura è prevista una festa con griglia, raclette e animazione fino alle ore 24.

Dove e quando Festa cantonale di lotta svizzera, Biasca, 20 settembre 2025. www.fctls.ch

Alan Gashi Junior Product Manager a Migros Ticino
A Biasca non potete dunque perdervi l’evento sportivo con i migliori lottatori
I grandi campioni della lotta svizzera si sfideranno nell'Arena di Biasca
L’immagine dei sacchetti contenenti i semi di fiori che saranno distribuiti nel corso della settimana alle casse Migros

SOCIETÀ

Prevenire il bullismo

Il progetto Bullying VR permette ai giovani, con la realtà virtuale, di capire cosa si prova nei diversi ruoli di bullo, vittima e spettatore

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La modernità di Antonio Stoppani

Il sacerdote-naturalista con le sue osservazioni intuì già nel 1873 la portata dell’impatto dell’uomo sull’ecosistema globale

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E vissero tutti separati e contenti

Mondoanimale

Alcuni studi hanno dimostrato che il legame tra cani e umani si rafforza grazie alla «sincronizzazione neurale»

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Il caffè dei genitori ◆ I cartoni animati affrontano da sempre le dinamiche familiari difficili, ora Spellbound racconta con una nuova prospettiva il delicato e turbolento momento del divorzio dei genitori della giovane Ellian

I cartoni animati sviscerano da sempre la realtà familiare e le sue dinamiche difficili tenendo conto delle trasformazioni della società. È il motivo per cui con l’uscita su Netflix di Spellbound – L’incantesimo (novembre 2024) – prodotto dal regista di Toy Story ed ex capo della Pixar, John Lasseter, con la regia di Vicky Jenson di Shrek e la musica del premio Oscar Alan Menken – a Il caffè dei genitori ci domandiamo: è arrivato il tempo di normalizzare il divorzio dei genitori, con il messaggio «meglio separati che arrabbiati»? Seguirà spoiler. Alle famiglie sgangherate ci siamo abituati fin dalle principesse-orfane della Walt Disney (prima su tutte Biancaneve, 1937, con la perfida matrigna Grimilde); Qui, Quo e Qua allevati da zio Paperino perché troppo pestiferi per la loro mamma; Geppetto il padre single di Pinocchio (1940); e chi più ne ha più ne metta fino ad arrivare a Kung Fu Panda (2008) con Po cresciuto dall’oca-cigno Mr. Ping grazie al suo chiosco di spaghetti. I danni della famiglia iperprotettiva li abbiamo visti nel cartoon Alla ricerca di Nemo (2003); quelli della famiglia performante con la protagonista di Encanto (2021) Mirabel, l’unica della famiglia senza poteri magici, che mentre la casa va in frantumi rinfaccia a nonna Abuela di essere lei la causa di tutti i problemi a forza di costringere i familiari a essere all’altezza delle proprie aspettative. La famiglia disfunzionale sotto i (duri) colpi dell’adolescenza è bene rappresentata in Red (2022) in cui la tredicenne Mei Lee combatte quotidianamente tra l’essere la figlia modello e obbediente di sua madre e il caos della propria giovinezza: la felicità arriverà quando finalmente la protagonista riuscirà a ribellarsi ai giudizi materni e ad affermare se stessa senza più il timore di essere giudicata (rivendicando addirittura la sua libertà di essere un panda rosso).

Diciamocelo, però: i cartoni animati hanno sdoganato bambini orfani, abbandonati, disubbidienti, ribelli, in crisi, ecc. in una moltitudine di famiglie malmesse senza mai privarci però del gran finale al motto del «E vissero tutti felici e contenti». Mai fin qui il gran finale è stato: «E vissero tutti SEPARATI e contenti». È quello che succede invece alla 15enne Ellian (doppiata da Rachel Zegler) che deve reggere le sorti del regno di Lumbria dopo che i genitori Solon ed Ellsmere si sono trasformati in mostri. Perché quando Ellian dice «i miei genitori sono dei mostri» non è il modo di dire di un’adolescente, ma la realtà. La natura animalesca ha portato loro via la memoria e la capacità di parlare. Le voci adesso so-

no diventate grugniti e il desiderio di prendersi cura della figlia è superato dal bisogno di cibo. Completamente ignari di chi erano un tempo. Alla fine del cartoon il re (doppiato da Javier Bardem) e la regina (doppiata da Nicole Kidman) capiranno che la causa della loro trasformazione sono stati i continui litigi.

Nel film i genitori di Ellian sono sicuri di non poter più stare insieme ma normalizzare la separazione non vuole dire banalizzarla

Con lei che lo accusava di «trasformare un contrasto in un insulto» e lui che le ribatteva sdegnato «certo è sempre colpa mia». Scene da contrasti quotidiani: «Se trattenessi il fiato mentre tu arrivi al punto io soffocherei» e «Tu devi sempre ripetere ogni cosa».

Ne Gli Incredibili (2004) Bob Parr alias Mr. Incredibile, dotato di una forza sovrumana, in difficoltà ad abbandonare i propri super poteri per vivere una vita medio-borghese, si scusa con la moglie Helen (un tempo Elastigirl): «Sono stato un cattivo padre, cieco verso ciò che ho. Ero così ossessionato dall’essere sottovalutato che ho sottovalutato tutti voi».

In Spellbound i genitori di Ellian non si danno una via di ritorno: « Abbiamo lasciato che la rabbia ci consumasse – spiegano Solon ed Ellsme-

re alla figlia –. Non tiriamo più fuori il meglio l’uno dall’altra. Per questa ragione siamo diventati mostri. Non vogliamo più essere quelle due persone. Non possiamo più stare insieme». All’obiezione di Ellian che tutte le famiglie litigano restano irremovibili: «Non è possibile aggiustare ogni cosa – dicono –. Le cose non possono tornare come prima». Apriti cielo! La reazione più che comprensibile di Ellian è quella di ogni figlio davanti alla separazione dei genitori. Rabbia e paura. Delusione e incertezza. La testa che si fa domande e il cuore che fa male. «E ora chi pensa a me? – chiede ai genitori –. Se potete smettere di amarvi, potete smettere di volermi bene». Ci sono parole che possono rassicurare? I ricordi di mamma e papà insieme prendono il sopravvento: le cene intorno alla tavola apparecchiata tutti insieme, i giochi, la buonanotte. Per privare un figlio di tutto ciò basta dire: «Ci dispiace tanto, ma ti vogliamo bene»? Come far capire che c’è un amore eterno e immenso che non svanirà e che è quello nei confronti di un figlio? A Il caffè dei genitori ognuno ha la sua idea: sdoganare la separazione come una cosa che può succedere nella vita di due adulti non vuole dire che sia facile (né per chi la subisce ma neppure per chi sceglie). Tra di noi ci sono anche genitori che hanno scelto di tenere insieme il proprio matrimonio con lo scotch in nome dei figli. Nessuno può giudicare. Quello che, per la prima volta ci di-

ce il cartoon, è che per Ellian le rassicurazioni funzionano: «L’amore tra di noi non cambierà mai». La 15enne a questo punto parla con la bambina che è stata e le spiega che tornare indietro non si può: «Non temere la supererai».

Un anno dopo, Solon ed Ellsmere vivono in castelli separati, ma riescono a governare il regno e a crescere Ellian insieme in armonia. Nel giorno del suo 16esimo compleanno, Ellian festeggia in grande con la propria famiglia e gli amici, abbracciando felicemente sia i cambiamenti positivi che quelli negativi nella sua vita.

È il 1998 quando la Disney fa uscire Genitori in trappola, dove due gemelle 12enni, separate alla nascita subito dopo il divorzio dei genitori che decisero di prendere ciascuno la custodia di una delle figlie e ignare una dell’esistenza dell’altra, si incontrano per caso in un campeggio estivo. Il loro obiettivo sarà fare tornare insieme i genitori. Durante i titoli di coda del film vengono mostrate le foto del secondo matrimonio di Nick e Lizzie, circondati dalle gemelle… La morale di Spellbound è un’altra. L’amore può svanire. E i figli sono costretti a farsene una ragione. La mediatrice familiare Federica Invernizzi Gamba, laurea in Psicologia a Ginevra, dal gennaio 2020 direttrice del Consultorio familiare dell’Associazione comunità familiare ha visto il cartone animato per Il caffè dei genitori: «Ormai dal 2001 il Codice civile svizzero, all’articolo 111, prevede il

“divorzio su richiesta comune”, come a sostituirlo a quello per colpa. È la legge stessa dunque che, adeguandosi ai tempi, normalizza di fatto la separazione – riflette –. Ma normalizzare la separazione non vuole dire banalizzarla. Il più delle volte c’è ancora il coniuge che attribuisce all’altro la colpa dell’infedeltà o quant’altro, ed è comprensibile che sia così. Non dobbiamo dimenticare che la separazione è una scelta che concerne la coppia e non una scelta del figlio; sono pertanto gli adulti che devono assumersi la responsabilità di fare in modo che il cambiamento rispetti i bisogni dei figli. Il cartoon mostra, però, in maniera onesta due concetti importanti da interiorizzare: 1) la scelta è degli adulti e deve restare tale anche davanti al legittimo desiderio del figlio che i genitori restino insieme e al suo dolore per la separazione; 2) è sbagliato pensare che tutti i figli di genitori separati abbiamo problemi». Fulvio Scaparro, direttore scientifico dell’associazione di mediazione familiare GeA di Milano che sta per Genitori Ancóra, scrive: «Le situazioni non vanno salvaguardate ad ogni costo. È bene ricordare che la separazione non è una decisione di cui ci si debba vergognare ma un’eventualità implicita in ogni unione». Il vero impegno allora che dobbiamo prendere con i nostri figli, come per la prima volta ci mostra anche un cartone animato, è di non farci mostrificare dai litigi. Prima, durante e dopo. Senza pensare, però, che sia una passeggiata!

La 15enne Ellian, protagonista di Spellbound deve reggere le sorti del regno di Lumbria dopo che i genitori Solon ed Ellsmere si sono trasformati in mostri. (Netflix)
Simona Ravizza

Delizie di stagione

Attualità ◆ Nei prossimi giorni le ciliegie indigene tornano sugli scaffali dei supermercati Migros nel pieno della loro qualità

Oltre alle ciliegie provenienti dai Paesi mediterranei, nei prossimi giorni nell’assortimento Migros arriveranno i frutti di produzione svizzera. Tempo permettendo, le prime ciliegie svizzere giungono sul mercato agli inizi di giugno, ma i maggiori quantitativi sono attesi nel corso del mese di luglio. Secondo l’Associazione Svizzera Frutta, quest’anno si prevede un ottimo raccolto. Le principali regioni dedite alla produzione di ciliegie sono quelle di Basilea Campagna e Zugo, ma anche Argovia e alcuni Cantoni della Svizzera orientale come San Gallo e Turgovia possono contare su una buona produzione. In

Svizzera il consumo pro capite di ciliegie si attesta sui ca. 1.5 kg. Le varietà più importanti coltivate nel nostro Paese sono «Regina» e «Kordia», che si caratterizzano per le loro grosse dimensioni cuoriformi, il gradevole sapore dolce-acidulo e colore rosso scuro brillante. Grazie al loro elevato contenuto d’acqua, le ciliegie sono particolarmente povere di calorie, ma dal punto di vista nutrizionale contengono diverse importanti vitamine e sali minerali. Essendo molto sensibili alla pioggia, le colture di ciliegie vengono protette con speciali teli di plastica alcune settimane prima del raccolto. In questo

modo, i frutti sono protetti anche da uccelli, insetti e grandine. La raccolta viene effettuata esclusivamente a mano, al fine di non danneggiare le ciliegie e selezionare solo i frutti maturi al punto giusto. Al pari delle fragole, degli agrumi e dell’uva, le ciliegie sono frutti non climaterici, ossia non maturano più una volta raccolti. Per mantenerle fresche più a lungo, non togliere il picciolo fino al momento del consumo. Le ciliegie sono una vera delizia gustate fresche, ma si prestano bene anche per la preparazione di numerose ricette, dalle confetture alle torte, dai sorbetti ai succhi fino ai dessert più disparati.

Affinato all’aria degli alpeggi

Ricetta golosa Strudel di ciliegie

Ingredienti per 6 persone

• 8 00 g di ciliegie, ad es. ciliegie nere o rosse

• 1 limone

• 100 g di zucchero

• 1 cucchiaino d’aroma di mandorle amare

• 2 cucchiai d’amido di mais

• 10 g di burro per imburrare

• farina per la pasta

• 2 cucchiai di mandorle a scaglie

• zucchero a velo da cospargere

Pasta per strudel

• 200 g di farina

• 5 cucchiai d’olio di cartamo

• 1 dl d’acqua

• 1 presa di sale

• 20 g di zucchero

Preparazione

Mescolate tutti gli ingredienti per la pasta e impastateli per ca. 5 minuti fino a ottenere una massa liscia ed elastica. Mettete la pasta in frigo per ca. 30 minuti.

Snocciolate le ciliegie per la farcia. Grattugiate la scorza di limone e spremete il succo. Fate sobbollire le ciliegie con lo zucchero, l’aroma di

mandorle amare, il succo e la scorza di limone per circa 10 minuti. Mescolate l’amido di mais con poca acqua e incorporate alla salsa di ciliegie. Mescolate finché la salsa lega, poi lasciate raffreddare. Scaldate il forno statico a 200°C.

Fate fondere il burro. Cospargete di farina un grande canovaccio da cucina pulito. Spianate la pasta per strudel su poca farina in una sfoglia possibilmente molto fine. Trasferitela sul canovaccio. Mettete le mani infarinate sotto la sfoglia di pasta e tiratela dal centro verso l’esterno facendo ruotare la sfoglia. Dovreste ottenere un rettangolo di circa 55 cm x 35. Distribuite la farcia sulla parte anteriore della pasta, lasciando libero ai lati un bordo di 2 cm. Spennellate i bordi di burro e ripiegate quelli laterali sulla farcia. Con l’aiuto del canovaccio arrotolate con cura lo strudel e fatelo rotolare su un foglio di carta da forno posto in una teglia. Spennellate lo strudel con il burro e cospargetelo di mandorle a scaglie. Cuocetelo al centro del forno per ca. 35 minuti. Lasciate intiepidire. Spolverizzate di zucchero a velo e servite.

Attualità ◆ Il delicato prosciutto crudo Pioradoro viene mantenuto diversi mesi all’aria pura dell’alpe Piora

Un prodotto d’eccellenza disponibile questa settimana in offerta speciale alla tua Migros

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L’alpe Piora, il più vasto alpeggio ticinese, oltre al conosciuto e apprezzato formaggio dop, regala ai buongustai anche un altro prodotto esclusivo, il prosciutto crudo Pioradoro.

Qui, grazie a condizioni climatiche uniche nel loro genere, dove la purezza e i profumi dell’aria alpina trionfano, stagiona per alcuni mesi questo delizioso salume, assorbendo il meglio della natura e sviluppando lentamente le sue straordinarie caratteristiche, fatte di un sapore tipico dolce e delicato, dalla nota nocciolata, e da un’inimitabile fragranza. Solo le migliori cosce di maiale svizzero vengono selezionate per questa

lunga maturazione in quota, che avviene in antiche cantine a quasi 2000 metri d’altezza. La lavorazione artigianale prevede l’utilizzo di solo sale marino. Il prosciutto crudo Pioradoro si serve idealmente affettato molto fine, ad una temperatura di ca. 20°C, per poter godere pienamente del suo sapore autentico.

Prosciutto crudo Pioradoro

Prodotto in Ticino, al banco, per 100 g Fr. 5.35 invece di 7.20 dal 10.6 al 16.6.2025

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Nei panni del bullo, solo virtualmente

Ragazzi ◆ Il progetto di prevenzione del bullismo Bullying VR promosso dalla sezione ticinese di Croce Rossa Svizzera sfrutta la realtà virtuale. Ce ne parla lo psicologo Gabriele Barreca

«Non abbiamo bisogno di eroi, ma di ragazzi e ragazze in grado di assumersi le responsabilità». È questo il principio che guida il progetto di prevenzione del bullismo Bullying VR promosso dalla sezione cantonale Ticino di Croce Rossa Svizzera (CRS) sfruttando la realtà virtuale. Attraverso questo mezzo all’avanguardia gli adolescenti possono immedesimarsi, in sicurezza e con l’accompagnamento di esperti, in situazioni di bullismo legate al loro vivere quotidiano. L’innovativa e coinvolgente proposta è ora inserita nel programma del settore corsi (area psico-educativa) della sezione Ticino dopo essere stata testata e accompagnata dal Centro di Risorse Didattiche e Digitali (CERDD) in alcune sedi di Scuola Media. Coordinato dallo psicologo Gabriele Barreca, referente dell’area psico-educativa della sezione Ticino di CRS, il progetto è stato premiato lo scorso autunno con una menzione speciale all’evento internazionale Rome Future Week .

Per essere efficaci nella prevenzione del bullismo e del cyberbullismo fra i giovani, occorre entrare nel loro mondo e sfruttare ciò che calamita la loro attenzione. Utilizzare dei visori individuali per immergersi nella realtà virtuale con la possibilità di modificare il corso della storia attraverso

azioni concrete compiute dalle proprie mani, come buttare a terra un cellulare, risveglia la curiosità e l’interesse dei ragazzi. «La sperimentazione effettuata fra settembre 2024 e gennaio 2025 – spiega Gabriele Barreca –ha dimostrato che questo strumento innovativo attira i giovani e permette loro di capire cosa si prova in un contesto di bullismo nei tre diversi ruoli proposti: bullo, vittima, spettato-

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re. Fra le scelte anche quella di essere personaggio femminile o maschile. L’intervento del nostro team pluridisciplinare si articola in quattro momenti per complessive quattro ore. L’esperienza vera e propria nella realtà virtuale è preceduta da un’introduzione e seguita da una rielaborazione del vissuto e da una guida per applicare nel contesto scolastico e oltre quanto appreso durante la formazione».

Elaborato con MB Digital Innovation per la parte tecnica e con lo Studio Macaco per quella artistica, il progetto Bullying VR è un’iniziativa pionieristica nel suo campo, premiata alla Rome Future Week con una menzione speciale a livello di Premio Learning Accessibile 2024. Qual è quindi l’origine di questo progetto? Risponde il nostro interlocutore: «L’aumento dei fenomeni di violenza e prevaricazione mostra come le nuove generazioni abbiano bisogno di lavorare sulle proprie emozioni e di costruire relazioni sane. Lo spunto, dal punto di vista tecnico, è rappresentato da un’applicazione dedicata alla tragedia della diga del Vajont che fa rivivere le scelte di una coppia confrontata con l’imminente pericolo. I contenuti sono stati ripensati per il tema del bullismo e del cyberbullismo ai quali il settore corsi di CRS Ticino dedica con successo la sua attenzione già da una decina d’anni con il programma Sai del bullismo? Se sai non fai!»

La nuova proposta di sensibilizzazione ruota attorno all’esperienza che i visori di realtà virtuale Oculos 2 permettono di vivere. Spiega lo psicologo: «Al momento disponiamo di dieci visori che potrebbero aumentare a venti entro un anno. Siamo comunque pronti a partire il prossimo anno scolastico con le classi delle Scuole Medie come effettuato nella sperimentazione, ossia suddividendo la classe in due gruppi. L’effetto immersivo attraverso il visore di realtà virtuale è di forte impatto». Possiamo confermare quanto afferma Gabriele Barreca avendone fatto l’esperienza nella sede del settore corsi di CRS a Chiasso. Sentirsi accerchiati, nel ruolo di vittima, da compagni minacciosi quando si è seduti al proprio banco di scuola, ma anche dover decidere se abbandonare l’azione intimidatoria o procedere all’atto quando invece si interpreta la parte del bullo, provoca sensazioni forti che sicuramente non lasciano indifferenti ragazze e ragazzi.

re e segnalare il bullismo, sviluppando il senso di responsabilità e senza compiere atti di eroismo. Ricordiamo che un fenomeno di bullismo è tale se sono riunite tre caratteristiche: la persistenza, l’intenzionalità e lo squilibrio nella relazione fra bullo e vittima. Il pretesto per colpire una vittima è in genere banale (il colore delle scarpe o dei pantaloni, l’utilizzo degli occhiali) ed è una di queste situazioni a costituire l’antefatto della storia scolastica nella quale si trovano immersi i partecipanti a Bullying VR. Per questo progetto di CRS, come per le altre iniziative di sensibilizzazione, è inoltre essenziale il lavoro di rete che coinvolge tutte le agenzie educative, dalla scuola alla famiglia, dalle organizzazioni sportive agli altri enti attivi con bambini e adolescenti. La modalità d’intervento attraverso la VR (Virtual Reality), rileva Gabriele Barreca, è adatta ai giovani fra gli 11 e i 15 anni, ma non ai bambini delle scuole elementari, poiché troppo coinvolgente per questa fascia d’età. Per chi non può partecipare all’immersione nella realtà virtuale per motivi di salute (ad esempio in caso di epilessia), è prevista un’animazione bidimensionale. Da rilevare, infine, che l’applicazione di realtà virtuale istallata nei visori consentirebbe pure di tenere traccia in forma anonima delle scelte effettuate e quindi anche di elaborare delle statistiche, operazione esclusa però dal progetto proposto nelle scuole cantonali.

Bullying VR permette ai giovani di capire cosa si prova nei tre diversi ruoli proposti: bullo, vittima, spettatore

Il visore di realtà virtuale è ancora uno strumento di nicchia che pertanto stimola l’interesse degli adolescenti e che soprattutto – prosegue l’intervistato – «permette di sviluppare l’azione di prevenzione dal punto di vista empatico così da far giungere forte e chiaro al singolo partecipante il messaggio sulle conseguenze delle proprie azioni». Dei tre ruoli da sperimentare con il visore, quello dello spettatore non è meno importante degli altri. Tramite questo progetto chi assiste a un episodio di bullismo riesce a comprendere quale ruolo può svolgere e perché. Rimanere passivi o attivarsi? Affinché la seconda opzione possa prevalere, occorre riconoscere da un lato gli elementi che caratterizzano il bullismo e dall’altro gli adulti di riferimento ai quali rivolgersi (insegnante, genitore, allenatore), rimanendo nel segreto se ciò è necessario per tutelare il proprio benessere. L’obiettivo è infatti quello di favorire la capacità dei giovani di identifica-

La sperimentazione – effettuata alla presenza dei docenti di classe in quattro seconde medie rispettivamente delle sedi di Acquarossa, Mendrisio, Minusio e Tesserete – ha evidenziato come il programma possa far emergere durante il suo stesso svolgimento la presenza di problemi legati al bullismo. Gabriele Barreca: «Gli allievi sono guidati e protetti in questi giochi di ruolo così come nelle successive riflessioni, ciò che facilita l’esternazione di dubbi su situazioni vissute nella realtà. Non va inoltre dimenticato l’aspetto legato alla fragilità del bullo, da cogliere nell’esperienza di realtà virtuale e ripreso nell’approfondimento». La nuova proposta di CRS risponde a una richiesta crescente di formazione in ambito di bullismo e cyberbullismo. Integrare la realtà virtuale in questi percorsi significa in primo luogo renderli più attrattivi. Fra gli elementi innovativi del progetto figurano l’empatia e il coinvolgimento attivo da vivere in un ambiente sicuro, siccome gli allievi possono sviluppare strategie di intervento senza il timore di conseguenze negative reali. Costruito sulla base di modelli pedagogici e metodi didattici collaudati, il progetto favorisce la consapevolezza degli adolescenti riguardo al fenomeno del bullismo come pure le loro competenze sociali ed emotive per affrontarlo nella quotidianità. Essendo le nuove generazioni sempre più attive sul piano digitale, questo tipo di formazione si rivela particolarmente efficace. Il fine ultimo è il benessere e la salute mentale dei giovani attraverso un percorso che valorizza le loro risorse.

Informazioni: https://www.crs-corsiti.ch/ area-psico-educativa

CRS

L’uomo come nuova forza tellurica

Storia della scienza ◆ Antonio Stoppani, sacerdote-naturalista nato a Lecco, già nel 1873 intuì la portata dell’impatto della nostra specie sull’ecosistema globale e introdusse il termine «Antropozoico»

La consapevolezza che le attività umane, sebbene di durata irrisoria a scala geologica, abbiano un impatto determinante e duraturo sull’ecosistema Terra è ormai radicata in tutti noi. Non si tratta tuttavia di una presa di coscienza del tutto inedita. La ritroviamo infatti già nel cattolicesimo liberale di metà Ottocento, dibattuto nel trovare un compromesso con l’approccio scientifico. L’influsso dell’uomo sull’ecosistema globale è stato, infatti, minuziosamente descritto per la prima volta nel 1873 da Antonio Stoppani (1824-1891), che introdusse il termine «Antropozoico» per indicare un’era iniziata con «il primo indizio dell’uomo (…), nuova forza tellurica che, per la sua potenza e universalità, non sviene in faccia alle maggiori forze del globo».

Nato a Lecco nel 1824, fu ordinato sacerdote nel 1848, anno in cui diede tra l’altro un personale contributo alle vicende del Risorgimento, salendo sulle barricate delle Cinque Giornate di Milano. Ma Stoppani non fu solo un abate-patriota, fu geologo, paleontologo e infine direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano tra il 1882 e il 1890. A Besano (Varese), con il sostegno della Società Italiana di Scienze Naturali, nel 1863 diresse i primi pionieristici scavi paleontologici in quello che oggi è il sito UNESCO Monte San Giorgio. «Sforzi coronati da un successo fortunatissimo», scrisse nel rapporto alla società, che aprirono la strada alla ricerca scientifica sul Monte.

All’«Antropozoico» dedica dieci pagine del secondo volume del suo Corso di geologia pubblicato nel 1873. La visione di Stoppani non ammetteva alcun conflitto tra Sacre Scritture e scienza. Forte della sua concezione liberale di cattolicesimo, tenta di conciliare scienza e fede, rigettando ostinatamente l’idea darwinista (L’Origine delle specie era apparsa pochi anni prima, nel 1859). Le leggi della natura sono per lui la dimostrazione della

sapienza e potenza divina. Quale contrasto poteva mai sussistere tra fede e scienza, giacché quest’ultima conduceva a Dio attraverso la comprensione della sua opera? L’influenza dell’uomo sull’ambiente è conseguenza di quel «dominio sovrano che da Dio venne all’uomo trasmesso» che si riallaccia al passo della Genesi «Crescete, moltiplicatevi e riempite la Terra. Avranno timore e spavento di voi tutti gli animali della terra e tutti gli uccelli del cielo».

Se l’approccio è tale da spingere molti a etichettare Stoppani come un cieco anti-evoluzionista ormai fuori dal suo tempo, resta comunque lucidissima – e attualissima – la sua percezione dell’impatto dell’uomo sulla

Terra. Nel Corso di geologia ritroviamo, infatti, tutte le evidenze con cui siamo oggi confrontati. «Rivale dei poderosi agenti del mondo interno, l’uomo scompone ciò che la natura ha composto» si riferisce alla produzione dei metalli che introduce elementi inesistenti in natura, ora disseminati sulla superficie del globo attraverso i cosiddetti tecnofossili. «Già sorgono nuovi monti ove esistevano antiche valli» indica invece l’azione dell’uomo come agente modellatore del paesaggio, oggi prevalente su quella dovuta ai processi naturali di erosione. Guarda all’Inghilterra, culla della Rivoluzione industriale, «ovunque tarlata e minata da tanti insaziabili cercatori di carbone, di salgemma, di calcari e di

Luca Azzolini

La battaglia degli elefanti

Il

Un romanzo storico, su un tema - la seconda guerra punica - poco trattato nella pur ricca letteratura storica per ragazzi; un romanzo che racconta la guerra per parlare di pace; ma anche, e forse prima ancora, un romanzo d’avventura. Perché saper scrivere bene una bella avventura, col giusto ritmo e i giusti ingredienti, è la premessa per trasmettere anche tutto il resto, altrimenti anche i «messaggi» più nobili restano lettera morta. Luca Azzolini padroneggia certamente la sua scrittura, e dosando tempi, descrizioni, dialoghi, colpi di scena, ci porta dentro questo affascinante scenario: dalle rive del Rodano, dapprima nel bosco, poi nel campo e nelle tende dell’esercito cartaginese, quindi alle pendici delle Alpi, lungo le gole, tra tormente di neve, lupi, fatica, poi giù, in Italia, fino al campo di battaglia, dove le legioni romane, schierate compatte, con scudi e lance, tra il fragore dei calzari di cuoio, e lo scintillio degli elmi dai pennacchi rossi, si scontrano con lo schieramento pu-

nico, che «è un mare di colori e lingue diverse». I Celti, i Numidi, i Baleari, gli Iberici, gli Oschi, i Sanniti e altri popoli ancora, ognuno con le caratteristiche proprie, descritte con pochi tocchi suggestivi, molto visivi, filmici, senza pesantezza alcuna. Siamo nel 218 avanti Cristo, quando l’esercito cartaginese, guidato da Annibale, superò le Alpi per attaccare Roma. Azzolini immagina una ragazzina, l’undicenne Alisia, appartenente al popolo dei Celti Allobrogi, che dai suoi boschi tra il fiume Rodano e l’Isère, intravvede delle sagome enormi, e ne rimane affascinata. Sono i trentasette elefanti dell’esercito

di Annibale, e diventeranno il destino della fanciulla, che non esiterà a raggiungerli, determinata a sfuggire alla vita di sacerdotessa del tempio che suo padre aveva scelto per lei. Alisia implorerà il vecchio Naravas, il custode degli elefanti, di tenerla con sé come aiutante, ma per evitare guai tra i soldati dovrà fingersi maschio, e così, con i capelli tagliati e in abiti maschili, intraprenderà la sua avventura di impavida eroina déguisée, figura peraltro tipica nel romanzo storico per ragazzi. Alisia, in quei mesi cruciali del valico delle Alpi, saprà dimostrare coraggio e senso di giustizia, a partire proprio dal suo grande amore per gli elefanti, in particolare della giovane elefantessa Aua, che stabilirà con lei un rapporto speciale, dandole la forza di cercare, sempre, anche in quei giorni di guerra, la pace.

Nicola Cinquetti

(illustrazioni di Alessandro Sanna)

Quando la sera la luna ci parla Lapis (Da 6 anni)

Nel linguaggio poetico significato e suono dovrebbero avere pari valore, il senso dovrebbe sprigionare dall’in-

Antonio Stoppani diresse nel 1863 i primi scavi paleontologici a Besano su quello che oggi è il sito UNESCO Monte San Giorgio con il sostegno (500 lire) della Società Italiana di Scienze Naturali. (Wikimedia)

metalli». E si chiede «che sarà quando tutta l’Europa sia lavorata come l’Inghilterra, e tutto il mondo come l’Europa?». Osserva, portando numerosi esempi, l’alterazione dell’uomo sulla distribuzione geografica degli animali e delle piante. «Così a poco a poco alle flore locali si sostituisce una flora universale, derivante dalla fusione di esse». È un concetto attualissimo, l’omogeneizzazione della biogeografia e degli ecosistemi per opera delle specie aliene (neofite e neozoa) disseminate dall’uomo, con conseguente diminuzione della biodiversità. Stoppani riconosce addirittura come l’influenza dell’uomo si estenda all’atmosfera in cui «riversa a torrenti i prodotti della sua industria, i gas de’ suoi fuochi

e de’ suoi grandiosi laboratori». Oggi conosciamo le conseguenze di ciò che lui vedeva come il «respiro dell’umana intelligenza». La sua conclusione «La Terra non uscirà dalle mani dell’uomo, se prima non sia tutta profondamente istoriata dalle sue orme», è da lui intesa come suggello della potenza del Creatore, ma ha oggi per noi, consapevoli dinnanzi alle conseguenze, il suono di un oscuro monito. Nel 1876 Stoppani pubblica Il Bel Paese, libro che lo renderà famoso in tutto il mondo consacrandolo quale primo divulgatore scientifico italiano, missione che assunse come un apostolato. Un vero best-seller, o piuttosto un long-seller adottato come libro scolastico fino al 1948 con oltre 150 ristampe, in cui veste i panni di un naturalista che, con l’oralità tipica della fiaba, racconta ai suoi nipoti le bellezze geologiche d’Italia. Un’opera che gli valse il premio letterario intitolato alla memoria dei fratelli Giacomo e Filippo Ciani quale «miglior libro di lettura per il popolo italiano» ma che contribuì a far passare in secondo piano l’importanza delle sue osservazioni prettamente scientifiche. Anche se la sua «Era Antropozoica» non fu mai accolta nelle scale geologiche ufficiali, al pari dell’Antropocene proposto da Crutzen e Stoermer nel 2000, gli effetti oggi palesi delle attività antropiche sugli ecosistemi ci devono portare a riconoscere l’incredibile pertinenza delle osservazioni del sacerdote-naturalista di cui è appena trascorso il bicentenario della nascita.

Bibliografia

Stoppani A., Corso di geologia del professore Antonio Stoppani. Vol. 2, Editore G. Bernardoni, Milano 1873. Stoppani A., Il Bel Paese, conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia, Editore Giacomo Agnelli, Milano 1876.

contro di entrambi. Questo è ciò che fa di una poesia una poesia, e Nicola Cinquetti ce lo mostra come sempre in modo luminoso: le sue sono davvero poesie che chiamano l’ascolto della viva voce, che implicano un orecchio che sa nutrirsi con meraviglia di suoni. In questa sua nuova raccolta il filo conduttore può essere proprio quello della musica delle cose. Ma non solo e non tanto cose «elevate» come celestiali cinguettii o dolci fruscii di foglie, perché la musica quotidiana delle cose è anche quella della centrifuga della lavatrice, del letto che scricchiola, del sale nello scuotere la saliera, persino dello sciacquone del water.

Non tutti sono suoni per forza gradevoli, di alcuni ci si rende conto solo quando si quietano, come la ventola del forno. C’è persino una poesia dedicata al silenzio, perché anche il silenzio è musica, e senza silenzio non c’è ritmo. Ma l’umiltà di questi suoni quotidiani non abbassa, non rende grossolano il tono della scrittura, che resta totalmente intensa, sospesa, evocativa. A volte sono componimenti brevissimi, in grado di renderci in modo folgorante un quadro di interno domestico mattutino, come questo, tutto allitterato in t: «Il mattino tinto di luce/il viso intontito del bambino/i biscotti intinti nel latte/il tintinnio del cucchiaino». Altre volte ci forniscono, in modo altrettanto folgorante, una prospettiva rovesciata, come quella della luna, nella poesia che dà il titolo alla raccolta (interpretando con delicatezza un topos della lirica, non solo leopardiana): «Quando la sera la luna ci parla / io lascio stare i compiti di scuola / e salgo sul balcone ad ascoltarla / così che lei si senta meno sola / allora lei mi dà un saluto e poi / mi chiede come state voi lassù? / ma io le dico guarda che per noi / sei tu che stai là in alto e noi quaggiù».

Viale dei ciliegi
di Letizia Bolzani
Castoro (Da 9 anni)

La forza di uno sguardo che crea complicità

Mondoanimale ◆ È dimostrato che il legame tra cani e umani si rafforza grazie alla «sincronizzazione neurale»

Nel corso di una lezione scolastica, quando un insegnante e i suoi studenti presentano un «accoppiamento neurale più forte a livello della corteccia posteromediale» (che per ora traduciamo in: «quando docente e allievi sono in sintonia cerebrale»), gli studenti apprendono più efficacemente quanto spiegato, ottenendo punteggi più elevati in un test volto a verificare le loro conoscenze sulla lezione.

Più tempo si passa insieme e meglio ci si conosce, più i cervelli di un essere umano e di un cane si sincronizzano

È quanto dimostrato da un recente studio cinese (Nguyen et al., 2022), giungendo alla conclusione che i cervelli di alcuni animali sociali di una stessa specie sono in grado di sincronizzarsi, proprio come conseguenza della natura sociale delle loro interazioni. Il fenomeno in questione è l’accoppiamento o sincronizzazione neurale (in inglese, neural coupling), utilizzato per descrivere ciò che avviene a livello di gruppi di neuroni nelle stesse aree cerebrali nel corso di un’interazione fra uno o più individui. Attraverso risultati convergenti di più studi, gli scienziati hanno dimostrato che, per quanto attiene agli esseri umani, la sincronizzazione av-

viene soprattutto durante una conversazione o la narrazione di una storia; mentre la ricerca di Silbert et al. del 2014 suggerisce che ciò possa favorire la comprensione tra oratore e ascoltatore.

La sincronizzazione neurale non è stata osservata solo nell’uomo, ma pure nel corso dell’interazione tra membri di altre specie (sempre fra di loro) quali topi, pipistrelli e altri primati (Tseng et al., 2018): «Questo collegamento tra cervelli potrebbe ricoprire un ruolo rilevante nel modellare le azioni degli individui inseriti in una rete sociale, favorendo lo sviluppo di comportamenti complessi che non potrebbero emergere in una condizione di isolamento, e contribuendo altresì a migliorare l’apprendimento e la collaborazione». La domanda che è sorta spontanea fra i ricercatori è: «Sarà dunque possibile che questo fenomeno avvenga anche tra esseri umani e i cani coi quali conviviamo da migliaia di anni?». Si è trattato di dare una spiegazione a situazioni che chiunque conviva con un cane sperimenta quotidianamente quando, ad esempio, lo guarda, lo accarezza e ha la netta sensazione di essere connesso con lui in un legame che reputa davvero speciale. Fino ad ora la spiegazione si appellava al fatto che i cani sono i migliori amici dell’uomo da migliaia di anni e, in effetti, questa specie è stata la prima ad essere addomesticata

dall’essere umano. Basti pensare che recenti analisi genetiche di antichi resti umani e canini suggeriscono che l’addomesticamento del cane (a partire dal lupo grigio, suo antenato) sia avvenuto inizialmente in Siberia nel tardo Pleistocene, circa 20mila anni fa, quando uomini e lupi erano isolati a causa del clima estremamente rigido dell’Ultimo Massimo Glaciale (tra 27'000 e 23'000 anni fa).

La lunga storia di complicità fra uomo e cane ha fatto sì che questi ultimi sviluppassero abilità straordinarie, tra le quali la capacità di individuare la presenza di malattie, e quella di riconoscere e rispondere ai nostri

stati emotivi, come riporta lo studio di Albuquerque et al. del 2016. La consapevolezza di questo profondo legame ha permesso ai ricercatori di indagare, per poi scoprire, la connessione fra le nostre due specie diverse dal punto di vista neurologico, giungendo alla conclusione che sì: «L’attività cerebrale di cani e umani può sincronizzarsi quando si guardano negli occhi».

La recentissima ricerca del 2024 targata Ren et al., ha registrato i segnali neurali attraverso dei copricapi dotati di elettrodi (elettro-encefalogramma, EEG), osservando come il contatto visivo diretto, combinato con il tocco affettuoso come acca-

rezzare il cane, crei una vera e propria connessione fra uomo e animale: «In entrambi si attivano, in modo sincronizzato, le aree del cervello legate all’attenzione». Questo effetto, già affascinante di per sé, diventa ancora più pronunciato con il tempo e la famigliarità: «Più tempo si passa insieme e meglio ci si conosce, più i cervelli di un essere umano e di un cane si sincronizzano».

Durante i cinque giorni di studio, le coppie cane-umano che trascorrevano più tempo insieme hanno mostrato una sincronizzazione cerebrale sempre più marcata. Questi risultati richiamano molte ricerche precedenti sulle interazioni umane (Zheng et al 2020) che dimostrano come «la conoscenza reciproca approfondisca l’armonia cerebrale», e suggeriscono che il legame tra uomo e cane affondi le sue radici nella biologia. Le considerazioni degli scienziati sono recenti e sono verificate per mezzo di studi che hanno prodotto tutti le stesse conclusioni, gettando una luce nuova sul rapporto millenario tra uomo e cane e offrendo una spiegazione alla nostra sensazione di quanto speciale esso sia. Allora, capiamo che gli occhi dolci dei nostri cani nascondono un mondo di significati e sono soprattutto la porta verso una connessione davvero profonda che nasce dalle parti più intime e cerebrali della nostra natura. E di quella del cane, naturalmente.

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L’altropologo

Russi, cioè Vichinghi ovvero Normanni

Ha forse sorpreso come un’ennesima bizzarria del Presidente della Confederazione Russa la recente minaccia ai Paesi Scandinavi di divenire i primi potenziali nemici candidati ad un attacco nucleare. Cosa mai c’entrino gli Stati della Scandinavia è una storia lunga.

L’11 giugno 980, Vladimir/Volodimir, nella storia scandinava noto come Valdemar o Valdemarr, veniva incoronato knyaz, Grande Principe, Duca di tutti i Russi di Kiev. Era figlio illegittimo di Sviatoslav I, Re di Kiev, e della di lui fantesca Malusha. Le cronache nordiche la descrivono come una profetessa o sciamana che esercitava in una caverna ed era stata portata a Palazzo per predire il futuro. Egli stesso convinto pagano, Vladimir avrebbe fatto erigere nella sua capitale templi dedicati agli dei di tutti i popoli da lui sottomessi, dai Balti ai Finni e tutta una serie di altre divinità slave. Poi, nel 988, la svolta. Dopo anni di vas-

sallaggio al potente Impero Bizantino, e da che aveva otto mogli e parecchie concubine, Vladimir si converte al cristianesimo. La decisione pare sia stata dettata da motivi di politica matrimoniale, ovvero per ottenere la mano di Anna, sorella dell’Imperatore bizantino Basilio II. Fonti arabe, musulmane e cristiane, sostengono invece lo avesse fatto per consolidare il legame politico con Basilio. Questi si era giocoforza dovuto rivolgere al potente vicino pagano il quale gli aveva prestato una forza di numerosissime truppe scelte per sedare una rivolta: atto peraltro dovuto in forza dei trattati di vassallaggio. Fattosi battezzare e sposata Anna, fatti distruggere i templi, Vladimir fece ereggere a Kiev la Grande Cattedrale di San Basilio: omaggio al cognato? L’alleanza era fatta, le due grandi potenze consolidate. Alla morte, Vladimir sarebbe divenuto Santo col titolo di Vladimir il Grande. A Costantino-

La stanza del dialogo

poli, invece, le truppe inviate da Kiev sarebbero passate alla storia come i pretoriani dell’Imperatore bizantino: la mitica Guardia Variaga costantinopolitana che resistette all’assedio dei crociati europei nel 1204. Ma chi erano i Russi o Variaghi di Kiev? Nella Cronaca degli Anni Passati del monaco Nestore di Kiev (10561114), i termini Rus’ o Varjagi designano le popolazioni che fra il IX e l’XI secolo giunsero nell’attuale Ucraina, Bielorussia e dintorni dai Paesi scandinavi. Altrove conosciute come Vichinghi o generalmente Normanni (Uomini del Nord), furono collettivamente chiamate Rus’ (i compagni, i federati) in lingua finlandese che così già designavano gli immigrati svedesi che nel IX secolo avevano colonizzato la zona del Lago Ladoga. I Normanni che più tardi si stanziarono nella regione del Dnepr per poi fondare il regno di Kiev assunsero la stessa denominazione data la prossimità

Affrontare l’adolescenza di un figlio

Cara dottoressa, la conosco perché è stata la docente di mia sorella, quando frequentava Psicologia all’Università di Pavia e spero proprio che lei ci possa aiutare. Glielo chiediamo in quattro: io sono la nonna, mia figlia minore è la mamma di Michelangelo (detto Miki), poi ci sono il padre e la zia Margherita che non ha figli.

Finora mio nipote ci aveva dato grandi soddisfazioni. Era un neonato bellissimo, più grande e più sveglio degli altri. A un anno vestiva già con i Jeans e una camicia a quadri. È stato precoce in tutto e bravissimo a scuola. Me ne sono sempre occupata io perché i genitori lavorano e, dato che sono maestra, l’ho sempre seguito con discrezione, senza prevaricare il ruolo degli insegnanti. Ora Miki ha compiuto 12 anni e non lo riconosciamo più. Ci tratta come estranei, non risponde alle nostre domande o lo fa con sgarbo. Qualche giorno fa si è rivoltato contro il padre come non aveva mai fatto. Ora siamo preoccupati,

spaventati e pertanto le chiedo: «dove abbiamo sbagliato?» Non gli abbiamo mai fatto mancare cure e affetto. Eppure questo è l’esito. Ci può aiutare? Con gratitudine e stima. / Enrica

Cara Enrica, a questo punto della vita non è importante chiedersi «dove abbiamo sbagliato?». Errori ne facciamo tutti ed è giusto riconsiderare i nostri comportamenti senza soffermarsi troppo sul passato. Miki sta affrontando l’adolescenza e la sua dimensione è il futuro. Finora è cresciuto come un pulcino nell’uovo ma sta rompendo il guscio per camminare con le sue gambe, per volare con le sue ali. È un compito imposto dalla specie e gli adolescenti devono realizzarlo senza indugio. Restano altrimenti eterni bambini, figli per sempre, senza diventare adulti, senza sottrarsi alle aspettative altrui.

L’aggressività di suo nipote si rivolge

La nutrizionista

contro i familiari perché sente il suo slancio vitale frenato dalle vostre preoccupazioni, dalle vostre paure. Certamente lo fate per amore ma anche l’amore deve cambiare atteggiamento col progredire dell’età evolutiva dei ragazzi. Se confronta, cara Enrica, i suoi dodici anni con quelli di suo nipote resterà sconcertata. Noi eravamo ancora bambini, ora sono adolescenti. I tempi sono cambiati e la crescita ha messo l’acceleratore. Il cervello tuttavia non è progredito con la stessa velocità. Soprattutto le aree cerebrali che governano le emozioni sono ancora immature. Si tratta pertanto di aiutarli a crescere, di allentare progressivamente la presa per favorire il distacco rimanendo attenti alle loro fragilità, disponibili alle loro richieste di aiuto. Trovare la giusta distanza non è facile perché si tratta di un’età incerta che procede tra avanzare e regredire, tra prove ed errori. L’importante è che ragazzi e ragazze si sen-

Le bevande light fanno ingrassare?

Gentile Laura, le scrivo per togliermi un dubbio, non ho problemi di peso, sono in salute. Quando esco a mangiare al ristorante o vado di pomeriggio a bere al bar, preferisco bere bevande light al posto di quelle zuccherate, perché preferisco il sapore e mi piace pensare di risparmiare qualche caloria. Inoltre l’acqua la trovo troppo cara. Una mia amica però mi ha detto che anche le bevande light fanno ingrassare, ma è vero?

La ringrazio per una gentile risposta. / Monica

Gentile Monica, la ringrazio per la domanda interessante. Le bibite dietetiche furono introdotte per la prima volta negli anni 50, erano pensate inizialmente per le persone affette da diabete ma in seguito furono commercializzate anche per chi cercava di tenere sotto con-

trollo il peso o di ridurre l’assunzione di zuccheri. Le bevande light spesso sono la copia della bevanda originale ma, al posto dello zucchero, per dolcificarle vengono utilizzate sostanze artificiali come l’aspartame, i ciclammati, la saccarina, l’acesulfame-k o il sucralosio col risultato che hanno pochissime o nessuna caloria. Perché quindi gira la voce che possano fare ingrassare? Esistono studi contrastanti in merito. In generale, tra gli specialisti, è risaputo che il sapore dolce può creare una sorta di dipendenza, e può indurre a desiderare ulteriore dolce. Questo perché quando consumiamo zuccheri, il cervello rilascia dopamina, un neurotrasmettitore che produce sensazioni di piacere e gratificazione. Si innesca così un certo meccanismo di ricompensa che crea una connessione tra il consumo di zuccheri e il benessere, portando a

etnica e culturale con gli svedesi. Fra i Rus’, noti per le loro abitudini manesche, si distingueva però una classe di commercianti. Per forza di cose – ovvero esigenze di business – inclini in primis alla trattativa o alla diplomazia intrattenevano con le popolazioni indigene slave rapporti a mutuo vantaggio. I varjagi, «commercianti, mercanti» in slavo, trattavano soprattutto la compravendita di legname. Le navi vichinghe/normanne erano infatti atte alla navigazione in mare. Occorrevano invece, nelle immense pianure fluviali dell’Europa Orientale, barche leggere, facilmente disincagliabili dai bassifondi sulle rotte paludose verso l’interno, dove più ghiotti erano empori e mercati. Dunque, ad un certo punto, col termine rus’ si finì per designare quelle etnie – ed erano tante – di origine orientale (poi note col nome collettivo di slavi) che si trovavano entro i confini dei dominii fondati dai Vichinghi/Normanni. La Storia, poi,

si diverte a fare brutti scherzi. Posto che gli immigrati scandinavi furono comunque destinati ad essere minoranza demografica, col tempo l’etnia politicamente dominante finì per essere assimilata linguisticamente e culturalmente ai sottoposti. La classe egemone si ibridò con le popolazioni autoctone per poi pertanto scomparire come entità distinta. Il disfacimento dell’Unione Sovietica ha comportato il risorgere di forme estreme di nazionalismo specie nelle regioni dove più l’universalismo modernista non ha mai visto sorgere il Sol dell’Avvenire. Altrove, in Europa, l’universalismo dei Lumi arranca contro sovranismi e anacronistiche chiusure. In particolare, in Russia, una per ora piccola minoranza è intenta a ricostruire l’Autentica, Unica e Sovrana lingua rus’ da porre al centro di non si capisce bene quale progetto di rinascita… Forse assieme ai mammuth del permafrost siberiano?

tano compresi, che considerino i genitori non avversari ma alleati. In questa fase l’impegno del padre o di chi lo rappresenta è fondamentale. Spetta a lui favorire l’indipendenza dei figli, assumere la responsabilità del distacco contrastando l’adesività dell’amore materno. Senza rischi non si cresce. Gli adolescenti hanno bisogno di figure paterne che li aiutino a definire chi sono, che cosa desiderino, da dove vengano e dove vadano. Quale società troveranno oltre la soglia di casa. Mentre la madre rimane disponibile all’ascolto e al dialogo, il padre dice piuttosto «facciamo delle cose insieme: condividiamo valori, passioni, interessi». Non si tratta di una imposizione ma di una proposta che i figli possono accettare o rifiutare senza per questo sentirsi in colpa.

L’adolescenza di un figlio o di una figlia è una prova che coinvolge tutta la famiglia e spesso spaventa. Ci giunge

però in aiuto il maggior pedagogista italiano, Daniele Novara, con il suo ultimo libro Mollami!: educare i figli adolescenti a trovare la giusta distanza per farli crescere. Il testo offre, con attenzione all’attualità, stile diretto e parole familiari, approfondimenti e suggerimenti lasciando tuttavia ai ragazzi la prima e l’ultima parola. Può essere un’occasione per i genitori di riflettere con altri genitori superando la convinzione che i nostri problemi siano soltanto nostri. Il ciclo della vita prevede tappe comuni a tutti e la condivisione apporta sempre comprensione e rassicurazione.

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni

a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a info@azione.ch (oggetto «La stanza del dialogo»)

desiderare ulteriormente il sapore dolce per ottenere la stessa sensazione di piacere. Questo può portare a una sorta di dipendenza, in cui il desiderio di zuccheri diventa molto forte e difficile da controllare. In merito a ciò alcune teorie hanno suggerito che la bibita dietetica, essendo comunque percepita con il sapore dolce, può aumentare l’appetito stimolando gli ormoni della fame, alterando i recettori del gusto dolce e innescando risposte alla dopamina nel cervello. Dato che le bevande analcoliche dietetiche non hanno calorie, queste risposte possono causare nelle persone un maggiore apporto di cibi dolci o densi di calorie, con conseguente aumento di peso. Tuttavia, la prova di ciò non è coerente negli studi sull’uomo. Altri studi simili infatti suggeriscono che non sia colpa delle bevande ma delle cattive abitudini alimentari già presenti nelle

persone che ne bevono di più; quindi l’aumento di peso che sperimentano può essere causato dalle abitudini alimentari esistenti e non dalla bibita dietetica. Non è un argomento chiaro anche perché gli studi sperimentali smentiscono il fatto che fanno aumentare di peso. In uno di questi, per esempio, è stato chiesto ai partecipanti di bere per un anno 710 ml di bevanda dietetica o di acqua al giorno per 1 anno. Alla fine dello studio, il gruppo che beveva le bevande dietetiche aveva perso in media 6,21 kg, rispetto ai 2,5 kg dell’altro gruppo con l’acqua. Non c’è chiarezza anche per il fatto che ci sono prove di pregiudizi nella letteratura scientifica. Gli studi finanziati dall’industria dei dolcificanti artificiali hanno risultati più favorevoli rispetto agli studi non industriali, che possono minare la validità dei loro risultati.

Cosa possiamo concludere quindi? Rivendendo tutto ciò non posso dare una risposta definitiva: è necessaria sicuramente una ricerca di alta qualità per determinare i veri effetti della bevanda dietetica sul peso. Quello che posso suggerirle è che, come per ogni cosa, ci sia il giusto buon senso. Se ci si limita a berla come fa lei ogni tanto come alternativa all’acqua, sicuramente non andrà a interferire sul suo peso. Se una persona fatica a bere l’acqua può bere senza «nessun effetto secondario» sgradevole anche il tè non zuccherato, sia caldo che freddo o l’acqua infusa di frutta o erbe aromatiche.

Informazioni

Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a info@azione.ch (oggetto «La nutrizionista»)

di Silvia Vegetti Finzi
di Laura Botticelli

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ATTUALITÀ

Per una vecchiaia serena Cosa possiamo fare per salvaguardare il nostro tenore di vita il più a lungo possibile

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Riunire la Chiesa divisa

Le missioni di Leone XIV, anche nei confronti delle ormai sofferenti casseforti vaticane

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Il fascismo che sopravvive Antonio Scurati racconta il declino e la fine del Duce ma ammonisce: il cadavere tornerà

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PLR alla ricerca di una nuova identità

Lo strappo fra Musk e Trump L’imprenditore critica la nuova legge di bilancio voluta dal presidente che però segna un punto

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Svizzera ◆ Le dimissioni del presidente nazionale del partito Thierry Burkart, le critiche a Ignazio Cassis e l’incognita Europa

Capi di dipartimento, presidenti e ministri federali: profili che a più livelli e per motivi diversi si ritrovano, in questi tempi burrascosi, al centro di critiche e polemiche. In Ticino si vivono giorni decisamente tesi. Spiazzando un po’ tutti, i ministri della Lega dei Ticinesi Norman Gobbi e Claudio Zali si sono messi in testa un’inedita rotazione dipartimentale. Seppur con toni e accenti diversi, il resto del mondo politico vi si oppone, anche a causa dei metodi discutibili con cui i due consiglieri di Stato hanno comunicato al Paese questa loro mossa, che per molti appare un azzardo bell’e buono, a tal punto che il duo leghista si è dovuto scusare davanti al resto della compagine governativa ticinese.

Mancano ancora due anni alle prossime elezioni federali, un appuntamento che per il PLR avrà la portata di una sfida storica

A Berna invece il Parlamento è alle prese con la sessione estiva delle Camere federali. E anche qui non sono mancate le sorprese, a cominciare dalle dimissioni del presidente nazionale del Partito liberale radicale. Thierry Burkart ha deciso di gettare la spugna dopo appena quattro anni alla guida del suo partito. A suo dire è arrivato il momento di concentrarsi solo sul suo compito di consigliere agli Stati per il Canton Argovia e sulla sua attività di avvocato. Per Burkart la tempistica della sua decisione è ideale, mancano ancora due anni alle prossime elezioni federali, un lasso di tempo sufficiente per permettere a chi verrà nominato al suo posto di riprendere le redini del partito e di impostare la prossima campagna elettorale. Un appuntamento che per il PLR avrà la portata di una sfida storica, per salvare il suo terzo posto tra le forze politiche nazionali e, soprattutto, per conservare entrambi i suoi due seggi in Consiglio federale.

In questa prima metà del 2025 si tratta della seconda partenza dal vertice di un partito, lo scorso mese di gennaio c’erano già state le dimissioni del presidente del Centro, Gerhard Pfister, che lascerà il prossimo mese di luglio, dopo quasi dieci anni alla guida di quello che un tempo si chiamava Partito democratico cristiano. I due partiti borghesi e moderati del Parlamento si ritrovano così ad aprire un nuovo capitolo. E per il PLR la sfida numero uno da affrontare porta il nome di Unione europea. Il o la prossima presidente verrà nominata dall’assemblea del partito il 20 ottobre, proprio nel giorno in cui il PLR dovrà definire la sua posizione in merito ai nuovi accordi che il Governo

ha negoziato e concluso con l’Unione europea. Proprio in questa ottica, la partenza di Burkart è apparsa a molti osservatori come una sorta di fuga, una via di uscita che gli permette di evitare l’ostacolo di questa discussione interna, che si preannuncia decisamente accesa in casa liberal-radicale. L’ormai quasi ex presidente non si è mai espresso in modo chiaro e netto a favore di questi accordi, seppur siano stati negoziati da Ignazio Cassis, ministro degli esteri proprio del PLR.

Cassis viene messo sotto pressione per quella che viene considerata una posizione troppo morbida nei confronti di Israele

Su questo argomento Burkart appartiene piuttosto al fronte degli scettici, di recente si è espresso a favore, ad esempio, di una votazione con doppia maggioranza, di Popolo e Cantoni, a cui sottoporre i nuovi accordi con l’U-

nione europea. Una posizione simile a quella dell’UDC, da sempre contraria ad un avvicinamento istituzionale con Bruxelles. Il Consiglio federale è invece favorevole a una votazione che richiede la sola maggioranza popolare. Il cambio della guardia in casa PLR giunge in un momento delicato anche per un altro motivo, legato pure questo a Ignazio Cassis. Da più parti il ministro degli esteri svizzero viene messo sotto pressione per quella che viene considerata una posizione troppo morbida nei confronti di Israele e della sua guerra a Gaza. Un atteggiamento che ha spinto ben duecento dipendenti del suo dipartimento a prendere carta e penna e a inviargli una lettera per esprimere la loro grande preoccupazione per «l’ampiezza della violenza e delle distruzioni inflitte alla popolazione civile, al personale umanitario e medico».

In questo scritto il capo della nostra diplomazia viene inviato a «condannare con fermezza le operazioni indiscriminate condotte dall’esercito israeliano a Gaza e in Cisgiordania».

Operazioni che rappresentano «una chiara violazione delle regole fondamentali dei diritto internazionale umanitario». Una presa di posizione interna al Dipartimento federale degli affari esteri che va ad aggiungersi ad un appello pubblico, presentato da una sessantina di ex-ambasciatori svizzeri che avevano criticato «il silenzio e la passività» dello stesso dipartimento e, più in generale, della Svizzera. Anche il partito socialista si è mosso in questo senso, raccogliendo oltre 130mila firme in poco più di una settimana. Contro la violazione a Gaza si è del resto espresso anche il Governo ticinese, con una lettera inviata al Consiglio federale alla fine del mese di maggio. Una missiva in cui l’esecutivo di Bellinzona fa notare come a suo modo di vedere «gli sforzi attuati dalla Svizzera a protezione della popolazione di Gaza siano insufficienti e che sia giunta l’ora che la Svizzera assuma una chiara e coraggiosa posizione di condanna nei confronti dell’occupazione israeliana».

Insomma, toni e parole chiare anche da parte del Governo ticinese, con una pressione politica che non fa che aumentare su Ignazio Cassis. E di riflesso anche sul suo partito. E questo proprio mentre a Berna in Parlamento stanno per essere affrontati diversi temi legati alla politica estera del nostro Paese. Questa settimana il Consiglio nazionale è chiamato a valutare il rapporto 2024 sulle relazioni del nostro Paese con il resto del mondo, mentre il 19 giugno è previsto il primo dibattito, al Consiglio degli Stati, sull’iniziativa popolare per una «salvaguardia della neutralità svizzera» lanciata dall’UDC. Un’iniziativa che chiede la «neutralità permanente e armata» e di non adottare «misure coercitive non militari (sanzioni) nei confronti di Stati belligeranti». Sarà l’occasione per discutere, anche alla presenza di Ignazio Cassis, non solo della nostra neutralità ma anche della presenza e del ruolo del nostro Paese nel mondo. Un tema, con una serie di interrogativi, che ha bisogno di risposte chiare.

Thierry Burkart al centro, con Karin Keller-Sutter e Ignazio Cassis. (Keystone)
Roberto Porta

Come preservare il patrimonio a partire dai 60 anni

La consulenza della Banca Migros ◆ Cosa possiamo fare

Riepilogo delle finanze

Innanzitutto occorre elencare tutti i valori patrimoniali (averi sul conto, titoli, proprietà abitativa, averi nella cassa pensioni e nel pilastro 3a, assicurazioni sulla vita ecc.). Annotare inoltre tutti i debiti contratti, come le ipoteche o i crediti.

Successivamente, calcolare le entrate dopo il pensionamento. È possibile determinare la rendita prevista dell’AVS (1° pilastro) richiedendo un calcolo anticipato della rendita. La rendita della cassa pensioni (2° pilastro) all’età di pensionamento è riportata nel certificato di previdenza. Ulteriori entrate potrebbero derivare, ad esempio, da redditi da capitale o da locazione.

Redigere poi un budget per il co-

Capitale anziché rendita

Nella maggior parte dei casi, anziché percepire una rendita è possibile prelevare interamente l’avere della cassa pensioni come capitale oppure optare per un prelievo in una forma mista tra entrambe le cose. Questo consente di investire il denaro risparmiato in azioni, immobili o in altri asset. In caso di decesso, il capitale prelevato può essere ereditato. Attenzione: a seconda della cassa pensioni occorre notificare il prelievo del capitale fino a tre anni prima.

sto della vita nella terza età: abitazione, cibo, hobby, salute. A questo proposito, considerare l’aumento dei costi per la salute e le cure, nonché le spese per viaggiare.

Per evidenziare eventuali lacune, confrontare infine le entrate con le uscite previste. Regola generale: per mantenere il tenore di vita consueto serve l’80% dell’ultimo stipendio. Il 1° e il 2° pilastro spesso coprono solo i due terzi, il resto andrebbe finanziato con averi del 3° pilastro e con il patrimonio. Già prima del pensionamento si dovrebbe comunque fare attenzione a ridurre i costi e i debiti superflui.

Consiglio: una pianificazione finanziaria professionale, ad esempio quella offerta dalla Banca Migros, fornisce una panoramica dettagliata della situazione finanziaria fino al pensionamento e successivamente, e individua il potenziale di ottimizzazione.

Rendite e averi previdenziali

AVS (1° pilastro)

I contributi irregolari o troppo esigui nell’AVS generano lacune contributive e quindi una riduzione a vita della rendita. Ecco perché, prima del pensionamento, è consigliabile richiedere a intervalli di un paio d’anni un estratto conto dell’AVS per individuare tempestivamente eventuali lacune. Quelle createsi nei cinque anni precedenti possono essere colmate retroattivamente.

Anche chi va in pensione anticipatamente è soggetto all’obbligo di contribuzione AVS fino al raggiungimento dei 65 anni, ovvero l’età di pensionamento prevista dalla legge. L’importo dei contributi AVS per chi non esercita un’attività lucrativa dipende dal patrimonio e dal reddito da rendita moltiplicato per il fattore 20. L’importo minimo ammonta attualmente a 530 franchi e a 26’500 franchi al massimo per persona all’anno. Chi non versa i contributi rischia una riduzione della rendita AVS.

Cassa pensioni (2° pilastro)

Eventuali lacune della cassa pensioni possono essere colmate anche dopo i 60 anni: ecco perché conviene verificare regolarmente gli averi di vecchiaia risparmiati nella cassa pensioni.

L’ammontare dei versamenti volontari dipende dall’entità della lacuna. Se e in quale misura è opportuno effettuare dei riscatti, deve essere valutato in base alla situazione individuale. Attenzione: nei primi tre anni successivi ai riscatti non è consentito effettuare prelievi di capitale.

Previdenza privata (3° pilastro)

Con l’avvicinarsi del pensionamento si riduce l’orizzonte d’investimento degli averi nei fondi 3a. Quanto più elevata è la quota azionaria, tanto maggiore è il rischio che, al momento del versamento, il fondo valga meno rispetto al momento dell’acquisto. Pertanto è opportuno ridurre la quota azionaria.

Anche a chi ha già raggiunto i 60 anni conviene effettuare versamenti nel pilastro 3a, poiché i contributi sono direttamente deducibili dal reddito imponibile, a patto di avere un reddito soggetto all’AVS. Il massimo vantaggio fiscale si ha versando l’importo massimo annuo (nel 2025 7258 franchi per chi è assicurato presso una cassa pensioni; le persone senza cassa pensioni possono versare il 20% del reddito da attività lucrativa fino a un massimo di 36’288 franchi).

Strategia d’investimento

Ridurre al minimo i rischi degli investimenti in titoli: diminuire nel portafoglio la percentuale di azioni e aumentare invece quella di obbligazioni a tasso fisso. Con l’avanzare dell’età vi è infatti meno tempo per compensare le oscillazioni dei corsi. L’orizzonte d’investimento per le azioni dovrebbe essere di dieci anni, mentre per le obbligazioni può essere più breve.

Dai 60 anni in poi è opportuno investire con una strategia più difensiva. Oltre ai fondi ampiamente diversificati (fondi strategici), vi sono azioni a dividendo offerte da società che distribuiscono regolarmente una parte dei loro utili agli azionisti sotto forma di dividendi. Da un punto di vista storico, le azioni a dividendo sono spesso soggette a oscillazioni meno marcate rispetto all’intero mercato.

Proprietà abitativa

Chi dispone di una proprietà abitativa dovrebbe fare verificare la sostenibilità dell’immobile in età avanzata.

Per ridurre l’onere finanziario mensile dopo il pensionamento potrebbe essere opportuno un ammortamento parziale. Sebbene sia possibile dedurre dalle imposte gli interessi ipotecari, questo vantaggio spesso diminuisce con l’età, perché con il pensionamento si riduce il reddito e di conseguenza anche la progressione fiscale.

Se la sostenibilità in età avanzata non è garantita, è opportuno valutare la vendita della proprietà abitativa o il trasloco in un’abitazione più piccola. In questo modo non solo si riducono i costi mensili, ma si libera anche capitale.

Prenotare una Pianificazione finanziaria

Per maggiori informazioni e una consulenza personalizzata della Banca Migros: Pubblicità di un servizio finanziario ai sensi della LSerFi.

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Jeannette Schaller Responsabile Pianificazione finanziaria presso la Banca Migros

Il compito di Leone XIV: riunire la Chiesa

Cattolicesimo ◆ Un Papa americano dovrebbe anche facilitare un nuovo slancio di «doni» Usa verso le sofferenti casseforti vaticane

Leone XIV (nella foto) è stato chiamato a governare la Chiesa in crisi esistenziale. Ad amministrare un colosso da un miliardo e 400 milioni di anime battezzate, variamente diffuso nei cinque Continenti. Metà dei fedeli sono nelle Americhe, con il Brasile in testa (182 milioni), assai più che in Europa, mentre l’Africa cresce grazie anche alla spinta demografica e l’Asia, dove si concentra il grosso dell’umanità, non supera il 3% di cattolici. Intanto, la crisi di vocazioni, ormai generalizzata, colpisce il clero in tutte le sue declinazioni e rende urgente un maggior coinvolgimento dei laici (uomini e donne) nella vita della Chiesa, ciò che apre polemiche e dispute nel corpo ecclesiastico.

Il nuovo pontefice deve impedire che gli scismi liquidi si consolidino configurando un arcipelago di cattolicesimi autonomi

In questo contesto ecco l’emergenza degli scismi liquidi. Così in Vaticano sono chiamate le tendenze autoreferenziali in diverse Chiese locali. Alcune conferenze episcopali si muovono – o stanno ferme – lungo binari propri, spesso in polemica con la Curia romana e con lo stesso Papa. Il compito del primo pontefice americano è dunque impedire che questi scismi liquidi si consolidino configurando un arcipelago di cattolicesimi autonomi, magari eretti in Chiese autocefale sul modello ortodosso.

Gli anni di Francesco (2013-25), specie gli ultimi, hanno reso evidenti questi movimenti sismici. Mai era accaduto che il pontefice venisse pubblicamente criticato, anzi insultato, dall’alto clero come con Bergoglio. In specie, ma non solo, dai fautori di una Chiesa più attenta alle tradizioni, alle antiche liturgie e alla dottrina, contro la smania di cogliere i «segni dei tempi», nel senso modernizzatore inteso dal concilio Vaticano II. Quasi un ritorno allo spirito reazionario del Va-

ticano I e del Sillabo (1864) di Pio IX.

A questo si è aggiunta la personalità del pontefice argentino. Profondamente latinoamericano nel culto del popolo – di fatto simile ai teologi della liberazione traduttori in linea cristiana del marxismo – e nella tendenza politica peronista. In geopolitica assimilabile alle aspirazioni bolivariste pro «Patria Grande» – le altre Americhe aggregate contro i gringos nordamericani. Un bel salto rispetto all’occidentalista Joseph Ratzinger, suo predecessore, fine teologo e deciso custode della tradizione. Per tacere di Giovanni Paolo II.

Bergoglio era consapevole di rappresentare uno scandalo per molti principi della Chiesa ed esponen-

ti del basso e medio clero. Lui stesso ammetteva amaramente, in privato, che sarebbe potuto passare alla storia come un Papa che avrebbe diviso la Chiesa. Eppure era convinto della necessità di scuotere il colosso prima che si addormentasse nelle braccia del Signore, quasi senza accorgersene. Il suo mantra della «Chiesa in uscita» che va incontro alla gente financo nelle estreme periferie umane e geografiche derivava da questa convinzione. E quando invitava il suo popolo a «far casino» («hagan lío!») l’intendeva sul serio. Insomma, l’importante e il possibile era aprire brecce, avviare processi che nel tempo avrebbero portato alla rinascita della Chiesa «dei poveri per i poveri».

I cardinali riuniti in conclave per eleggere il successore di Francesco rappresentavano le tre anime del clero. La missionaria, più o meno orientata a seguire le orme di Francesco per portare a compimento alcuni dei processi iniziati dal papa argentino; la tradizionalista, avversa all’eccesso di avventure e decisa a proteggere la fede da eresie di vario genere; infine chi veleggia fra le due correnti, accostando a dritta o a manca secondo occasione o mero opportunismo.

L’urgenza di individuare un Papa all’altezza della sfida esistenziale è stata aggravata dalla crisi finanziaria. Le casse vaticane sono semivuote. Più che di teologia, i cardinali si sono occupati nel preconclave di af-

frontare questo dramma. Un fattore importante nella scelta di Prevost è stata la sua origine statunitense, anche se ibridata dalla lunga esperienza in Perù oltre che a Roma. Oggi il cattolicesimo americano, assai diviso al suo interno con prevalenza dei conservatori, è il maggior contribuente alle finanze vaticane. Enti come la Papal Foundation, ad esempio, hanno contribuito a creare il consenso per il Papa americano, che avrebbe facilitato un nuovo slancio di «doni» verso le sofferenti casseforti vaticane. Il cardinale Timothy Dolan ha quindi lavorato a far convergere i voti dei confratelli statunitensi e non solo a favore di Prevost, considerato un «centrista», in sintonia con alcuni aspetti dell’approccio francescano ma di certificata, agostiniana cura dell’unità nella comunità.

Oggi il cattolicesimo americano, assai diviso al suo interno, è il maggior contribuente alle finanze vaticane

Insomma, il mandato è chiaro: Leone XIV deve riunire la Chiesa, o almeno evitare che si spacchi. Lui stesso su questo sta insistendo nei suoi primi interventi pubblici. Insieme allo spirito unitario, Prevost deve rianimare il governo della Chiesa. La curia è stata trascurata, aggirata, spesso umiliata da Francesco. Sarà suo compito riorganizzare i dipartimenti, riannodare i nodi spezzati fra centro e periferie, ristabilire l’autorità papale in un clima sinodale. Sullo sfondo geopolitico, l’ascendenza americana di Leone XIV sta mobilitando le correnti neotradizionaliste del cattolicesimo di Oltre Atlantico, che partecipano alla rivoluzione trumpiana in pieno corso. Nella stessa amministrazione Trump rappresentate da cattolici convertiti di grande peso e visibilità, quali il vicepresidente Vance. Riuscirà Prevost a tenere la barra dritta, senza farsi tirare la talare verso i più diversi approdi?

Il fascismo che sopravvive a se stesso

Recensione ◆ Antonio Scurati racconta il declino e la fine del Duce, ma ammonisce: il cadavere tornerà, i morti sopravvivono

A volte associazioni casuali spalancano improvvisi squarci di consapevolezza. Mi è successo leggendo l’ultimo libro di Antonio Scurati, M. La fine e il principio, quinto capitolo della formidabile serie dedicata a Mussolini, scoprendo nelle ultime pagine che Junio Valerio Borghese, il «principe nero» del fascismo, leader della famigerata X Mas, ideatore dell’abortito colpo di Stato in Italia del dicembre 1970, fu seppellito nella basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma. La stessa dove poche settimane fa è stato inumato papa Francesco.

Il libro indugia sulle modalità di trapasso di buona parte dei gerarchi neri, a volte nel letto sereno di casa

Il contrasto fra i due personaggi non potrebbe essere più stridente. E dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, in che misura il fascismo sia sopravvissuto a se stesso. L’ultima parte del volume, infatti, indugia sulle modalità di trapasso di buona parte dei gerarchi neri – a volte nel letto sereno di casa –ripartiti da nuove carriere ed esistenze un attimo dopo che i cadaveri del Duce, della sua amante Clara Petacci, e di diversi altri caporioni del fascismo furono vilipesi e poi appesi a testa in giù a Piazzale Loreto. Colpisce,

come scrive Scurati, che «la maggior parte dei picchiatori, fucilatori, torturatori, degli assassini fascisti la scampa. Si sottrae alla vendetta quanto alla giustizia».

Lo Stato fantoccio

L’epilogo di Benito Mussolini –nell’ultimo capitolo della serie inizia-

ta nel 2018 con M. Il figlio del secolo e proseguita nel 2020 con M. L’uomo della provvidenza, nel 2022 con M. Gli ultimi giorni dell’Europa e nel 2024 M. L’ora del destino – mostra un uomo incapace di darsi ragione della propria caduta, decretata il 28 luglio del 1943. Agli arresti ci resta poco. Liberato da un blitz dei paracadutisti del Führer e ricongiunto alla sua famiglia, Mussolini si vede assegnare da Hitler uno Stato fantoccio, la Repubblica sociale italiana, che dirige – senza reali poteri – da una villa sul lago di Garda. Apatico, smagrito, depresso, si confida soprattutto con l’amante che gli sbatte in faccia, lettera dopo lettera, lo spettacolo indecoroso della sua sconfitta. Quella raccontata nell’ultimo libro è la fase più atroce del Ventennio, seicento giorni di guerra civile, con le stragi della legione Muti e della banda Koch, la caccia forsennata agli ebrei, le feroci missioni partigiane, le asimmetriche vendette naziste (con un rapporto di uno a dieci; dieci morti per ogni morto provocato dalla controparte) e gli attacchi a tappeto dei bombardieri americani su Milano.

La bestia non vuole morire

mini più efferati dei fedelissimi, tipo Colombo appunto, comandante della legione Ettore Muti, già «teppista del Ticinese cresciuto nei bassifondi di Porta Cicca». Non condanna gli eccessi in quanto tali, al massimo critica debolmente le esecuzioni di massa e le campagne di tortura perché poco utili alla causa. Confida all’amante di volerla fare finita, ma alla fine, piagnucolando e lamentando i tradimenti di questo e di quello, pensa solo a sé stesso. La storia di quei seicento giorni è nota. Alla fine scappa sul lago di Como e per non farsi prendere sul camion di tedeschi in cui si nasconde indossa il pastrano nazista. Che non lo salverà. Poi lo vediamo trapassato dai proiettili davanti al cancello di Villa Belmonte, lui e Claretta Petacci, a Giulino di Mezzegra, nell’unico capitolo della sua esistenza ancora avvolto dalle nebbie. «La pietà è possibile, forse è persino dovuta, anche per chi non ne ha quasi mai avuta», concede lo scrittore.

Musica del passato?

Tutti i dittatori, quasi tutti, finiscono male. Lo abbiamo visto in tempi più recenti con Ceaușescu, Saddam e Gheddafi. Ma dalla violenza della transizione possono rinascere gli incubi. Facendo riferimento al corpo del Duce appeso a testa in giù a Piazzale Loreto scrive Scurati: «La vostra Repubblica nasce qui, su questa piazza, fondata su questo cadavere scannato a un uncino da macellaio (…) e sarà nata qui per sempre (…) non potrete mai cancellare le impronte insanguinate del popolo scaduto a plebaglia che calpesta il suo idolo di ieri». E, allora, tornerà, conclude Scurati. «Tornerà e vi ripeterà sempre la medesima nenia: io sono il popolo, il popolo sono io e al diavolo tutto il resto; il male non esiste, esistono soltanto uomini malvagi con il loro maleficio; la realtà non è complessa, è semplice, è bambina la realtà, tutti i problemi si riducono a uno soltanto, quel problema a un nemico, il nemico a uno straniero, lo straniero a un invasore». Musica del passato?

Tutti i dittatori, quasi tutti, finiscono male. Ma dalla violenza della transizione possono rinascere gli incubi

Nella città meneghina, del resto, risorgono i peggiori istinti della bestia ferita che non vuole morire, il fascismo già sconfitto che riparte dalle origini indecenti (non a caso il romanzo s’intitola M. La fine e il principio), da quella Piazza San Sepolcro che l’autore definisce «il nocciolo radioattivo dell’atomica novecentesca, il centro propulsore del mito fascista». Qui, nel 1919, l’allora agitatore politico Benito Mussolini, espulso con ignominia dal partito socialista, aveva offerto un sogno ai «facinorosi, gli spostati, i delinquenti, i delusi, i risentiti, i traditi» sopravvissuti alle trincee della Prima guerra mondiale. Il sogno fascista. Sempre qui, 25 anni dopo, «si incontrano i reduci di quella storia», tra cui Aldo Resega, Vincenzo Costa e Francesco Colombo e rilanciano una squadra d’azione che farà scempio dei nemici, tornando alla violenza sistematica delle origini. Accetta tutto il Duce, anche i cri-

Scurati ha vinto vent’anni fa il premio Campiello con Il sopravvissuto, e nel 2019 lo Strega con M. Il figlio del secolo Il suo è stato definito «un esperimento narrativo mai tentato prima nella cultura letteraria italiana», ovvero il racconto del fascismo attraverso le fonti di prima battuta (telegrammi, dispacci, diari, scambi epistolari, articoli di giornale del Mussolini giornalista e direttore de «Il popolo d’Italia»). Con lui è il fascismo a parlare di sé stesso, le sue parole vengono usate dall’autore dentro una trama narrativa potente, e poi «svelate», citazione per citazione, alla fine di ogni capitolo. Scurati è qualcosa di più di uno scrittore di successo. È il Grillo parlante di un’Italia che non ha ancora finito di fare i conti col proprio passato.

Bibliografia Antonio Scurati, M. La fine e il principio ed. Bompiani, 2025.

La scultura del 1933 di Renato Bertelli Testa di Mussolini (Profilo continuo). (Keystone)
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Strappo totale tra Musk e Trump

Stati Uniti ◆ L’imprenditore critica pesantemente la nuova legge di bilancio voluta dal presidente che però segna un punto decisivo Federico

Hanno provato per qualche giorno a gestire una separazione amichevole, Elon Musk e Donald Trump. Giovedì scorso, però, il divorzio è degenerato in uno scambio feroce di accuse, con Trump a dire che l’uomo più ricco del mondo era impazzito e Musk a sostenere che senza il suo aiuto finanziario l’ex amico non avrebbe vinto le elezioni. E un corollario velenosissimo: un tweet su X nel quale Musk sostiene che Trump faceva parte del giro di personaggi coinvolti nei crimini a sfondo sessuale legati a Jeffrey Edward Epstein, l’imprenditore e criminale statunitense, arrestato e condannato per abusi sessuali e traffico internazionale di minori, morto suicida nel 2019.

Prima del putiferio finale, l’imprenditore di Tesla, StarLink e SpaceX aveva già definito «abominevole e disgustoso» il progetto di legge di bilancio che il Congresso sta discutendo, su proposta della Casa Bianca. Secondo lui, se passa quella manovra finanziaria aumenterà a dismisura un deficit pubblico. Nei fatti, ha ragione lui. E se da un lato questa valanga di accuse è destinata a confermare le paure che anche i mercati finanziari nutrono sulla politica di bilancio americana, d’altro lato questa polemica è rassicurante. Quello fra il multimiliardario di Big Tech e il presidente è uno scontro politico fra un liberista e un populista.

I dubbi sulla legge di bilancio

I primi passaggi nell’uscita di scena di Musk erano stati più soft. Secondo il suo annuncio iniziale «il tempo previsto» per la sua missione governativa si è concluso. Si riferisce al suo incarico alla guida del DOGE, il Department of Government Efficiency, che avrebbe dovuto tagliare le spese pubbliche improduttive e ridimensionare la burocrazia. Ma sullo sfondo pesa il giudizio negativo che Musk ha espresso pubblicamente sulla nuova legge di bilancio che Trump vuol fare approvare dal Congresso: non riduce deficit e debito federale come dovrebbe (anzi, rischia di aumentarli). Tra l’altro il disegno di legge colpisce direttamente anche gli interessi economici di Musk: prevede infatti la riduzione delle agevolazioni fiscali per i veicoli elettrici (vedi Tesla). L’imprenditore cercava di presentare questa sua ritirata in termini non conflittuali, affermava di rimanere in ottimi rapporti con Donald Trump. Ora è chiaro che non è affatto così.

La notizia è clamorosa solo in apparenza. È un colpo di scena per chi si era affezionato al «teorema dell’oligarchia»: l’idea che l’America con l’elezione di Trump avesse smesso di essere una democrazia, per diventare un regime diretto da un ristretto gruppo di plutocrati, capitalisti onnipotenti. Il teorema non è sopravvissuto neppure per pochi mesi alla prova della realtà. Musk, che doveva essere il numero uno dei presunti oligarchi, si ritira con la coda fra le gambe. Da un lato perché, lungi dall’arricchirlo, il sodalizio con Trump finora gli è costato caro (calo dei valori di Borsa; caduta del fatturato Tesla). D’altro lato perché la missione politica di cui Musk si era innamorato – una drastica cura dimagrante per lo Stato – si è arenata fra mille resistenze: l’alleanza fra le lobby del pubblico impiego e la magistratura ha bloccato molte delle sue decisioni.

Sembra dunque che sia stato vittima anche lui dell’illusione di molti imprenditori prestati alla politica, che hanno creduto ingenuamente di poter trasferire nel settore statale il decisionismo e la velocità delle aziende private. Ma va ricordato che anche dei tecnocrati abili e competenti, grandi conoscitori dell’amministrazione pubblica, sono stati sconfitti quando hanno cercato di attuare delle «spending review»: vengono in mente i casi italiani di Mario Monti, Mario Draghi, Carlo Cottarelli. Per restare all’America, invece, c’è il precedente di Ronald Reagan, il presidente repubblicano e liberista che negli anni Ottanta cercò di ridurre il Welfare e lanciò degli slogan celebri: «Lo Stato non è la soluzione, è il problema»; «la frase più spaventosa della lingua inglese è: sono il Governo e sono qui per aiutarti». Reagan era un grande comunicatore e un politico astuto, ma lasciò un settore pubblico poco cambiato rispetto a quello che aveva trovato. Ora alla lunga lista degli sconfitti viene ad aggiungersi pure Musk. L’altro potere che ha sconfitto Musk sta alla Casa Bianca. Anche sul rapporto fra Trump e l’imprenditore di Tesla e StarLink si erano montate delle teorie: i due non possono andare d’accordo perché troppo egomaniaci. Pure questo luogo comune è stato smentito. Non c’è stato fra i due uno scontro di ego e di vanità personali. La battaglia è stata politica, e Trump l’ha vinta subito. Il nodo è proprio quella manovra di bilancio che affronta l’iter dell’approvazione al Congresso. Musk avrebbe voluto trovarci più robusti tagli di spesa, una riduzione drastica del disavanzo pubblico. Questa sua attesa era coerente con il suo liberismo, la fede nella superiorità del mercato, la diffidenza verso lo statalismo. Trump invece, dovendo scegliere fra l’ideologia di Musk – che ha qualche alleato in seno al «vecchio» establishment repubblicano – e i desideri della base operaia che lo ha riportato alla Casa Bianca, non ha esitato. In Trump l’istinto populista prevale sull’ideologia. La sua manovra di bilancio salvaguarda le voci principali del Welfare, dalla sanità pubblica (Medicaid per i meno abbienti e Medicare per i pensionati) alle pensioni della Social Security. I tagli di bilancio sono modesti, peraltro vanificati dall’aumento delle spese militari e per gli interessi sul debito. La prevalenza del populismo in

Trump equivale a una vittoria della sinistra. Dopo la crisi finanziaria del 2008, si affermarono a sinistra le dottrine economiche che incoraggiavano a fare deficit senza limiti e a stampare moneta per combattere la recessione. La Modern Monetary Theory, ad esempio, promuoveva l’idea che le banche centrali debbono aumentare la moneta in circolazione e spingere gli interessi verso lo zero. Fu condot-

ta, poi, una vigorosa battaglia ideologica contro il rigorismo nella finanza pubblica: per esempio contestando, in Europa, ogni legittimità per i parametri di Maastricht, Patti di stabilità e altre rigidità di bilancio. Idee sostenute dalla sinistra di Bernie Sanders, Elizabeth Warren, Robert Reich, Alexandria Ocasio Cortez. Per il vecchio partito repubblicano erano inaccettabili. Trump però ha cambiato la

natura del Grand Old Party, ne ha fatto un partito popolare e populista. La trasformazione è avvenuta anche sul piano delle idee: Trump vorrebbe una Federal Reserve che spinga gli interessi più in basso, e difende una parte della spesa sociale contro chi (come Musk) vorrebbe tagliarla. Per reagire al protezionismo di Trump, e al suo disinteresse verso la difesa dell’Europa, la Germania di Friederich Merz sta anch’essa abbandonando l’ortodossia economica. Con la riforma costituzionale Berlino rinnega le rigidità di spesa pubblica: lo fa per difendersi dalla Russia, e per rilanciare la domanda interna. Il populismo economico di Trump così ha ricadute anche al di fuori dello scenario americano. Musk aveva sperato in un altro percorso. Ma i suoi miliardi e il suo social X non spostano voti quanto le pensioni e la sanità: su questo l’istinto di Trump probabilmente è più pragmatico.

L’altro mito che esce distrutto è quello sullo strapotere mediatico di Musk. Possedere X non gli ha consentito di capire il prezzo che la Tesla avrebbe pagato per le sue scelte politiche: da eroe dell’ambientalismo è passato ad essere considerato un fascista i cui prodotti vanno boicottati o perfino vandalizzati. La proprietà di un social media non gli ha permesso di controllare o manipolare l’opinione pubblica.

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CULTURA

Dal romanzo alla serie: il nuovo regno è la TV Gli adattamenti letterari abbandonano il cinema per le piattaforme, grazie al bingewatching e a strategie editoriali che pur amando i classici non snobbano gli autori anonimi

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Cronaca di un’estinzione amministrata

In un romanzo tra scienza e suspense, Lida Turpeinen ricostruisce il destino della Ritina di Steller e di chi cercò di salvarne la memoria nel suo romanzo L’ultima sirena

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Valérie Favre, l’arte che sopravvive

Mostre ◆ A colloquio con Noah Stolz attorno a Confirmer l’invisibile, prima personale ticinese dell’artista svizzera, Prix Meret Oppenheim 2024

Daniele Bernardi

Varcando l’ingresso della Fondazione Epper al secondo piano di Via Carrà dei Nasi 1, prima di parlarmi della mostra in corso Noah Stolz mi presenta il padrone di casa: «Lui è Ignaz», mi dice indicandomi un volto con espressione greve in terracotta accanto alla porta. «E questo invece è Jung», continua poi, raccontandomi del rapporto fra il grande espressionista svizzero e il fondatore della psicologia analitica (termine che segna un passo di distanza dalla psicoanalisi freudiana). Un rapporto forse ancor più intimo con quest’ultimo lo aveva però Mischa Epper Quarles Van Ufford (Blomendaal, 1901-Basilea, 1978), moglie di Ignaz Epper e a sua volta artista, ma a oggi poco conosciuta rispetto al marito.

Noah Stolz, mi sembra d’intuire che l’esposizione Confirmer l’invisibile inauguri una nuova fase nella storia della Fondazione. Di che si tratta? Questa iniziativa dà seguito a un processo che ha preso corpo nel corso degli ultimi anni, quando mi occupavo di archiviare e di valorizzare l’opera di Marion Baruch e mentre preparavo, con l’artista italiano Riccardo Arena, una mostra ispirata all’archivio iconografico dei simboli ideato da Jung e dalla fondatrice di Eranos, Olga Fröbe. Pochi mesi fa la Fondazione Epper mi ha dato mandato di avviare un processo di «rinnovamento» che comprende, oltre all’allestimento di un archivio digitale delle opere della fondatrice Mischa Epper, l’organizzazione di un programma di eventi tesi a rispolverare i valori della Fondazione e, se possibile, a individuarne di nuovi. Ho immediatamente ravvisato nella figura e nell’opera di Mischa il vettore ideale per muovermi in questo senso. Nel corso dei prossimi due, tre anni, oltre a indicizzare l’opera e la notevole mole di documenti appartenuti all’artista olandese, mi occuperò di allestire un programma di appuntamenti e collaborazioni che sfocerà in una grande mostra retrospettiva itinerante e nell’edizione di una monografia. Credo che acquisire una maggiore consapevolezza riguardo alle potenzialità di questi materiali contribuirà a fornire alla Fondazione un importante strumento che le permetterà di orientarsi verso nuovi obbiettivi. I temi che Mischa ha probabilmente sollecitato in Jung e in tutta la cerchia che attorno a lui si riuniva sono universali, legati agli archetipi femminili, con al centro quello della Grande Madre. Ecco perché la mostra Confirmer l’invisible di Valérie Favre ha per me un’importanza cruciale: essa mi permette di introdurre questi argomenti in chiave contemporanea.

Veniamo all’artista in questione. Chi è Valérie Favre?

Favre è un’artista straordinaria, molto nota in Francia e soprattutto in Germania, dove ha lungamente vissuto e ora risiede. È nata a Evilard nel 1959, in una famiglia dell’industria orologiaia. Ci siamo conosciuti per caso, alla Domus Poetica di Bellinzona, durante una tavola rotonda nella quale ero moderatore. Mi ha subito interessato il suo lato outsider ; per vocazione o destino mi sono sempre occupato di outsider, forse perché ciò mi permette di esplorare grandi temi da punti di vista atipici, più vivi. Abbiamo subito legato proprio attraverso argomenti che riportavano alla figura di Mischa Epper. Ma naturalmente il percorso di Favre, che oggi è soprattutto conosciuta come pittrice, non è riducibile a questo. Il suo cam-

mino potrebbe definirsi pirotecnico e comprende irruzioni in ambiti quali il teatro, il cinema e la letteratura. Tuttavia, nel suo modo di procedere ricorrono numerosissimi elementi psicoanalitici e archetipici, spesso ispirati all’universo onirico ed elaborati in processi immaginativi.

La mostra dedicata a Valérie Favre è pensata attraverso tre appuntamenti espositivi, nei quali, tra l’altro, ogni allestimento è strutturato su tre sale. Quali sono le ragioni di questa scelta e cosa mettono in luce i diversi «capitoli»?

Contrariamente alle abituali mostre di Favre, Confirmer l’invisible è concepita a partire dall’opera grafica, dai suoi diari-quaderni intimi e dai bozzetti che mi sono stati messi a disposizione. Il materiale, che comprende

l’artista e Galerie Peter Kilchmann)

l’uso di più tecniche, era molto e copriva un arco di trent’anni. Rispetto alla pittura, il disegno ha una gestione meno semplice, perché spesso un’illustrazione segna la tappa di un processo mentale in corso e non un risultato definito. Ciò rende più ostica la fruizione da parte del pubblico che, in questo caso, deve essere introdotto in un ambito in cui sono appunto in gioco elementi psicoanalitici. Mi sono quindi affidato a una metodologia didattico-intuitiva incentrata sulle associazioni visive, che permette a chiunque di individuare le somiglianze e di muoversi nella mostra raccogliendo indizi, collegando tra loro le immagini simboliche e intuendone la complessità. Ho notato che Favre, pur sviluppando il suo lavoro per grandi temi paralleli, tende a ripetere e a far evolvere determinate figure simboli-

che. Ho quindi individuato le principali dinamiche messe in campo per restituirle attraverso i tre movimenti della mostra. L’articolazione tripartita ha permesso da un lato la distribuzione di un vasto insieme di opere su più tempo (e quindi su più spazio), dall’altro una maggiore esplicitazione della grande libertà che caratterizza l’agire di Favre, così come una più chiara messa a fuoco dei moti sotterranei che caratterizzano il suo protocollo di creazione. Il primo capitolo (05/04-24.05.25) è incentrato sulla visualizzazione dell’universo simbolico dell’artista, partendo dal simbolo universale dell’albero della vita per poi passare a una fitta rete di relazioni con altre figure che animano le opere di Favre. Nella terza sala affronto quindi la questione della coppia e del doppio, come elementi di connessione alla dimensione onirica e a quella della sessualità. Il secondo movimento (8.6.25-17.7.25) sarà dedicato alle due principali forze dinamiche che caratterizzano ogni opera di Favre, ovvero la necessità di organizzare mentalmente le forme e i simboli e la pura trascrizione del movimento psichico come forza disgregante che porta all’astrazione e alla dispersione. Il terzo movimento (31.8.25-18.1.26) rappresenterà la congiunzione delle precedenti parti e affronterà la questione della narrazione simbolica.

Un’opera fortemente onirica, quindi, quella di Valérie Favre. Quali forme prende in questo immaginario la contemporaneità a cui accennavi?

Decisamente quella della frammentazione, che tanto caratterizza l’opera di Favre assieme all’elemento della fluidità: qualunque cosa stia rappresentando, in ogni sua opera c’è sempre qualcosa che sfugge: un animale sorto dalle forme di un altro animale, uno spirito che scantona, un dissolversi di un simbolo in un altro simbolo, una perenne provvisorietà diffusa. E poi quella del violento bombardamento di immagini. Mi viene in mente una frase scritta in calce a un disegno in cui sono rappresentati gli ineludibili legami della coppia uomo-donna: «Sempre, sempre, sempre, quasi sempre, sempre». Se dovessi definire la sua opera con una frase, ne userei una dello scrittore John Green citata da Amanda Palmer: «L’arte è dove ciò a cui sopravviviamo sopravvive». Dove e quando Valérie Favre, Confirmer l’invisible, Ascona, Fondazione Epper. Secondo movimento: 8.6.2517.7.25; Terzo movimento 31.8.2518.1.26. Orari: me-sa 14.00-17.00. fondazioneepper.ch

La casserolle, autoritratto nelle vesti di Medusa, acquarello, formato A5, 2024. (Courtesy

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La nuova stagione della letteratura seriale

Film TV ◆ Lo streaming è diventato il punto di arrivo «naturale» per gli adattamenti letterari che un tempo dominavano il cinema

Un’immagine tratta dalla serie TV Tom Clancy’s Jack Ryan. (Prime Video)

Nel 2016, mentre presentava al Festival di Zurigo il suo esordio alla regia (Pastorale americana, dal romanzo di Philip Roth), l’attore scozzese Ewan McGregor partecipò a un incontro con il pubblico, e tra le domande ce ne fu una sul fatto che avesse da poco completato le riprese della terza stagione di Fargo, serie antologica basata sull’omonimo film dei fratelli Coen. Perché questa – per lui – insolita partecipazione a un progetto televisivo? Risposta: perché il piccolo schermo era diventato il territorio privilegiato per il tipo di storie che piacciono a lui, con un target più adulto e un budget medio per gli standard di Hollywood (circa 50 milioni di dollari). Una realtà che si è ulteriormente consolidata da allora con l’avvento dello streaming e piattaforme come Netflix, Prime Video e Apple TV+, e in non piccola misura per quanto concerne ciò che un tempo al cinema era una valida alternativa ai Blockbuster roboanti di turno, ossia gli adattamenti – spesso di genere drammatico o thriller – di romanzi di varia caratura.

Il passaggio di personaggi come Jack Ryan e Reacher dalle sale cinema ai divani segna la normalizzazione del blockbuster casalingo

Ne sa qualcosa, per esempio, John Grisham, l’avvocato divenuto re indiscusso del legal thriller, forse sorpreso quanto noi quando è uscita la notizia di una prossima trasposizione per il grande schermo del suo libro Il partner, dato alle stampe nel 1997 (protagonista e produttore sarà Tom Holland, il giovane Spider-Man del Marvel Cinematic Universe). Era infatti dal 2003, quando uscì La giuria, che gli intrighi giuridici dell’autore non arrivavano più nelle sale, con dirottamento seriale nel 2012 per Il socio (seguito degli eventi dell’omonimo bestseller, già film con Tom Cruise nel 1993) e nel 2018, su Netflix, per The Innocent Man, documentario basato sulle storie vere di alcuni uomini condannati al carcere per reati che non avevano commesso. E ne è conscio anche Michael Connelly, l’ex-giornalista di cronaca nera divenuto autore di bestseller che mettono a nudo il cuore nero di Los Angeles: due dei suoi romanzi sono diventati

lungometraggi per il grande schermo (e lo scrittore li ha successivamente integrati nel suo universo letterario come opere di finzione, con qualche frecciatina alle licenze poetiche dei registi), mentre il resto è da dieci anni in mano alle piattaforme: Prime Video ha mosso alcuni dei suoi primi passi nella programmazione originale grazie al poliziotto Harry Bosch, che proprio in questo periodo saluta il pubblico per cedere il posto alla collega Renée Ballard, le cui indagini debutteranno in estate; ed è su Netflix che l’avvocato Mickey Haller difende i propri clienti (ma senza l’aiuto di Bosch, che nei libri è il suo fratellastro, per via della suddivisione dei diritti dei singoli personaggi). Sempre su Prime Video, da qualche anno, spopolano icone dei generi crime e spionistici come Jack Reacher (personaggio letterario creato da Lee Child) e Jack Ryan (di Tom Clancy), laddove un tempo entrambi i personaggi dominavano i cinema (Reacher è stato interpretato da Tom Cruise, Ryan da Harrison Ford e Ben Affleck, tra gli altri).

Tutto ciò, come si può ben intuire, vale non solo per le opere di grande valore letterario, come ad esempio Il gattopardo (omonimo titolo del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa) che ha da poco avuto diritto a un nuovo adattamento seriale (con inevitabili polemiche a priori per la presunta lesa maestà nei confronti del film di Luchino Visconti, caposaldo del cinema mondiale), ma anche per bestseller più modesti, per non dire a volte anonimi sul piano strettamente artistico: se dal 2015 al 2018 è stata la sala oscura ad accogliere con successo la trilogia di Cinquanta sfumature di grigio (E. L. James), un altro trittico a base di erotismo malsano – stavolta con un sequestro di persona che si trasforma in grande amore – è diventato uno dei titoli di punta di Netflix. Dal 2020 al 2022, complici anche le restrizioni pandemiche che alimentavano le visioni casalinghe, la piattaforma ha ospitato i tre capitoli del fenomeno polacco 365 giorni (Blanka Lipińska); anche se, a dire il vero, solo il primo ha lasciato davvero il segno. Tra le motivazioni addotte – anche per il già citato Gattopardo – c’è la volontà di approfondire aspetti dei libri che il cinema, con la sua tendenza a limitare il tutto a due ore, massimo tre, non poteva o voleva toccare.

La regina dello streaming letterario

Classici pop ◆ Jane Austen resta al centro della scena audiovisiva con titoli che ne riscrivono il mito

Manuela Mazzi

Dunque, chi è la regina dello streaming letterario? Indubbiamente Jane Austen. L’autrice britannica, pur avendo scritto pochissimi romanzi, risulta infatti seconda solo a Shakespeare come impatto cinematografico per singola opera. Un dato che conferma quanto le sue narrazioni abbiano influenzato la cultura popolare, nonostante si situi tra i principali pilastri del canone letterario anglosassone.

È una delle ragioni per cui la Warner, scottata dal flop progressivo di Animali fantastici, ha deciso di fare tabula rasa con il mondo di Harry Potter e adattare nuovamente i sette romanzi originali, ma questa volta con una serie per il canale via cavo HBO e la piattaforma Max (il cui debutto in Svizzera è previsto per il 2026, lo stesso anno in cui il giovane mago tornerà a imparare incantesimi all’interno del castello di Hogwarts).

Ma c’è anche un’altra ragione, ben più cinica e per questo mai apertamente dichiarata: grazie alla pratica del bingewatching, ossia la visione consecutiva di almeno tre episodi di una stessa serie (fenomeno che aveva già decretato il successo in DVD di titoli come 24, che raccontava un’unica storia per l’intera durata di ciascuna stagione), è d’uopo allungare il più possibile il brodo, dato che l’abbonato medio rimane incollato allo schermo per la puntata successiva in modo abbastanza indiscriminato, senza fermarsi a riflettere su ciò che ha appena visto (motivo per cui molti dei primi Netflix Originals, come House of Cards, non avevano la classica struttura narrativa che caratterizza le serie a cadenza settimanale e quindi vantavano episodi che finivano quasi a caso, sapendo che tanto quello dopo era già dietro l’angolo).

Quale modo migliore per farlo se non con centinaia di pagine di materiale preesistente dal quale è possibile effettuare infinite espansioni? Un ragionamento, questo, che è alla base dei timori dei fan di James Bond alla luce dei recenti sviluppi dietro le quinte: dopo anni in cui il controllo creativo del personaggio era saldamente in mano a Barbara Broccoli e Michael G. Wilson (figli del produttore originale della saga cinematografica), il duo, soprattutto per sopraggiunte ragioni anagrafiche, ha finito per cederlo ad Amazon, già proprietaria di MGM che distribuisce i film in sala. E con questo non c’è più l’ostacolo che impediva all’azienda di sviluppare serie e miniserie ambientate nell’universo di 007. Una trovata che, se pensiamo alla situazione attuale di Star Wars su Disney+, rischia di annacquare seriamente un marchio che, come il franchise stellare ideato da George Lucas, si appresta a non essere più un grande evento, ma l’ennesima proprietà intellettuale onnipresente.

Permetteteci una parentesi. Si parla tanto di intelligenza artificiale e degli usi che se ne possono fare. Tra questi, va indubbiamente citata la ricerca, fermo restando che resta soggetta a errori di ogni sorta. Vogliamo però fidarci questa volta, avendole chiesto (con prove incrociate a più riprese) di fornirci anche le fonti. Non è facile trovare statistiche corrette perché esistono molte variabili. Per cui ci siamo poi inventati una sorta di «quoziente di adattabilità» (q.a.) chiedendo a ChatGpt di calcolare il numero degli adattamenti diviso il numero di opere di uno stesso autore, per capire quali sono quelli più adattati per il cinema o la TV. Ebbene i romanzi di Jane Austen raggiungono un q.a. pari a 8,33 (50 adattamenti, su 6 opere scritte), Shakespeare surclassa tutti con un 10,79 (410 adattamenti su 38 opere). Seguono Victor Hugo, Charles Dickens, Leo Tolstoj, J.K. Rowling, Agatha Christie, Jules Verne, Stephen King e H.G. Wells. L’indiscusso rendimento cinematografico delle opere firmate dalla Austen conferma la nostra intuizione, dal momento che solo nel 2025 sono in uscita ben tre lavori che riguardano il suo universo (riferiti anche a romanzi di altri autori che hanno la nostra autrice quale protagonista): il 4 maggio è uscito negli Stati Uniti, su PBS Masterpiece, Miss Austen, miniserie in quattro episodi tratta dal romanzo di Gill Hornby (Neri Pozza Editore). Prodotta dalla BBC e diretta da Aisling Walsh, la serie segue il viaggio di Cassandra Austen (interpretata da Keeley Hawes) che – corrono gli anni Trenta dell’Ottocento – tenta di recuperare e distruggere le lettere private della sorella Jane (interpretata da una vivace Patsy Ferran) per proteggerne la reputazione. Per quanto ci è dato sapere, il racconto non parla solo di letteratura, ma di sorellanza, solitudine e sacrificio. Al momento non abbiamo trovato informazioni né sull’uscita di una versione italiana né circa le piattaforme che la ospiteranno da noi. Un tocco francese arriva invece da una commedia dal titolo già programmatico: Jane Austen Wrecked My Life (Jane Austen ha distrutto la mia vita,

Ndr), che ha debuttato nelle sale francesi a gennaio, ed è sbarcata in questi giorni in America. Diretto da Laura Piani, il film racconta l’influenza ingombrante dei romanzi austeniani sulla vita sentimentale della protagonista, interpretata da Camille Rutherford. È una variazione leggera sul tema dell’eredità romantica, e gioca sul contrasto tra ideali letterari e disastri quotidiani. Anche qui, nessuna distribuzione italiana confermata finora. E poi c’è la nuova versione di Orgoglio e pregiudizio prodotta da Netflix. Sei episodi, sceneggiatura firmata da Dolly Alderton per la regia di Euros Lyn. Emma Corrin sarà Elizabeth Bennet, Jack Lowden vestirà i panni di Mr. Darcy, e Olivia Colman quelli della signora Bennet. La produzione è stata avviata proprio in questi giorni. Nell’attesa, ci stiamo riguardando molti dei film già preesistenti (tutti su Netflix). Da Orgoglio e pregiudizio del 2005 (splendido e intramontabile), alla versione più moderna di Persuasione (2022) che ha convinto pochi, ma ha incantato noi, tanto da sperare che la nuova miniserie ne segua le tracce, dando dell’opera una rilettura contemporanea, e rinfrescata da musiche anche fuori contesto, con uno sguardo nuovo ma affettuoso verso il romanzo fondativo del romanticismo moderno, secondo la nuova tendenza del racconto in costume contemporaneo, in termini di stile e forma estetica. Alla Bridgerton, oppure – di pubblicazione più recente – come il divertente Manuale per signorine. Dove vengono violati diversi must della narratologia, con protagoniste che si fanno spesso io narranti, bucando la quarta parete per parlare direttamente allo spettatore o, ancora meglio, coinvolgendolo con sguardi in macchina, quasi ammiccandogli per renderlo complice. E con colonne sonore che frappongono, alla musica classica, suggestioni moderne. Per non parlare dei dialoghi (ma in questo senso era già bella affilata la Austen), i tagli di montaggio, l’ironia metatestuale. Non illudiamoci troppo però: considerando l’approccio rispettoso del materiale originale da parte della sceneggiatrice Alderton e la tendenza del regista Lyn a enfatizzare l’atmosfera senza stravolgere l’ambientazione, è plausibile che la produzione apparirà più ortodossa di quel che molti vorrebbero. Sebbene, come detto, di questi tempi, mentre i remake si moltiplicano, i prodotti televisivi sembrano non volersi accontentare della «letteratura», preferendo metterci la firma, piegandola, adattandola, e rilanciando nuovi linguaggi. Staremo a vedere…

Dakota Johnson nei panni di Anne Elliot, in Persuasione (Netflix, 2022)

Voci provenienti dal fondo del mare

Pubblicazioni ◆ Sirene, scimmie d’acqua e colossi estinti: Lida Turpeinen riscrive la storia dimenticata della «Ritina di Steller»

Sirene e scimmie di mare sono veramente esistite in tempi lontani? O sono solo fantasie letterarie? Magari figure bizzarre e ammiccanti apparse nello scintillio abbagliante di quella distesa marina «incognita» dove tante navi con i loro equipaggi si sono avventurate e perse? E la Rithyna Stelleri mitico colosso dei mari, il cui scheletro imponente – uno degli unici tre esistenti al mondo – è esposto al Museo di Storia Naturale di Helsinki, che sembianze aveva? Perché da quel primo, fatale incontro con l’uomo avvenuto nel 1742 solo ventisette anni dopo, si estinse?

Lida Turpeinen, scrittrice finlandese, si è trasformata in detective e ha scavalcato i secoli per risolvere questo «giallo» storico-scientifico iniziato quando le carte geografiche riportavano le poche terre conosciute e il resto del mondo era un vasto mistero. L’ultima sirena (Neri Pozza editore, 2025), è il romanzo avvincente e insolito nato da questa indagine che ricostruisce la scoperta dell’imponente animale marino della famiglia dei sirenidi, la Ritina di Steller, e lo strano destino dei personaggi realmente esistiti che gli sono ruotati attorno in epoche diverse. Abbiamo intervistato Lida Turpeinen su questa magnifica avventura letteraria che, con le sue rivelazioni, è all’origine di alcune mostre, tra le quali una attualmente in corso al Museo Na-

zionale di Storia Naturale di Helsinki (fino al 17.8.2025).

Il suo libro ha ricevuto molti premi (tra cui l’Helsingin Sanomat Literature Prize per il miglior esordio), mentre le mostre celebrano una donna sino a oggi sconosciuta al mondo scientifico, come mai? Sì, e ne sono orgogliosa. Per sette anni ho spulciato diari di viaggio, resoconti di spedizioni di esploratori, etnografi e naturalisti; carteggi, lettere di marinai e, in alcuni casi, come per John Grönvall, che per primo ha assemblato lo scheletro della Ritina di Steller, mi sono tuffata in sca-

toloni colmi di disegni e fotografie. Ma erano tutti uomini. Non riuscivo a credere che non ci fossero mai state donne in questa vicenda scientifica. Finché ho «incontrato»: Hilda Olson, talentuosa pittrice e disegnatrice il cui ruolo capitale a livello scientifico, era ignorato da tutti. È lei che, grazie al mio libro, oggi viene celebrata a Helsinki in queste due mostre e ha finalmente la popolarità che meritava.

La storia inizia con la spedizione del 1741 di Vitus Jonassen Bering, capitano danese che sulla San Pietro imbarca il naturalista-te-

ologo tedesco Georg Wilhelm Steller, «stravagante e colto». Lei come lo sa?

M’interessava capire come poteva essersi svolto l’incontro tra l’uomo e una specie animale sconosciuta, ma più che raccontare quei momenti, volevo immaginare come Steller li avesse vissuti. Ci sono riuscita proprio grazie ai suoi diari e a quelli degli altri protagonisti della spedizione e alle tante osservazioni annotate da tutti – come usava in quell’epoca in cui si scriveva tanto – e che mi hanno permesso di costruire un racconto per immagini, stile graphic novel, vivido e pieno di curiosità, corredato da risvolti psicologici veri, o presunti.

Il viaggio, il naufragio, l’isoletta disabitata nel Pacifico, i sopravvissuti in preda alla fame e allo scorbuto, la morte di Bering. Quasi un’avventura conradiana?

All’epoca anche i naturalisti e gli etnografi scrivevano delle loro scoperte in uno stile letterario e ho capito che con qualche modifica, era lo stile giusto per il mio romanzo. Anche la descrizione dell’incontro su quell’isola tra Steller e uno strano animale: «Grande come un elefante, che non è un pesce, né una balena e nemmeno una foca grigia e la testa, che a distanza faceva capolino tra le onde, assomigliava a quella di un essere umano e non a quella di un abitante del mare», è piuttosto fedele a quanto scritto da Steller e dai naufraghi che si salvarono proprio grazie alle carni di quell’animale. Il mio libro è quasi un miracolo, visto che ho iniziato a indagare trecento anni dopo questi fatti. Cominciai intervistando il tassidermista del Museo di Storia Naturale di Helsinki sul perché lo scheletro della Ritina di Steller fosse arrivato al Museo solo un secolo dopo la

Manuela Mazzi

Non si può in letteratura parlare di sirene senza pensare all’opera di Laura Pugno. Se da una parte la storia della Ritina di Steller, ricostruita da Lida Turpeinen, lascia già ben intuire, più di qualunque teoria, gli effetti deleteri che nascono dall’essere umano quando interagisce con le creature che condividono il suo stesso mondo, parallelamente, mai come in Sirene (Einaudi, 2007; Marsilio, 2017) romanzo della scrittrice Laura Pugno, la brutalità della violenza silenziosa e istituzionalizzata verso la natura si fa narrazione, corpo, carne. Ci troviamo in un futuro bruciato e sommerso, letteralmente: le città si sono spostate sotto il livello del mare per proteggersi da un sole non più sopportabile, e le sirene – allevate in questo mondo distopico – non sono che bestiame da sfruttamento. Non si tratta più di uccidere l’animale ignoto appena scoperto, come accadde a metà dell’Ottocento con la Ritina. Qui, le sirene – né umane né del tutto animali, e molto aggressive – vengono nutrite, ingravidate, legate e costrette a prostituirsi per appagare i piaceri sessuali di uomini che poi scelgono di nutrirsi della loro carne al pari di un fresco sashimi: impossibile per noi lettori non arrivare con la mente a comprendere che in quel modo l’uomo non si fa solo cacciatore di animali altri, ma diventa cannibale.

sua scoperta e la sua estinzione. Cosa era successo?

Un altro mistero. Come ne è venuta a capo?

Mi hanno aiutato le tante ore passate con i ricercatori del Museo; con professori di zoologia e paleontologia, ma soprattutto le centinaia di lettere scritte da Anna Furruhjelm. Ecco un’altra donna fondamentale in questa storia: nel 1859 era la moglie del governatore svedese dell’Alaska russa. Lei racconta con leggerezza e perspicacia la vita in quei territori; le popolazioni indigene; le preoccupazioni e gli obbiettivi politici, commerciali, ma anche scientifici del governatore, incaricato di raccogliere informazioni su animali che, in pochi anni, sembravano essere scomparsi, proprio come la Ritina di Steller, che tutti i musei sognavano di avere.

Quindi è a quell’epoca che prende corpo l’idea della possibile scomparsa di una specie?

Sì. Si passa dal credere che la natura sia inesauribile, al concetto di estinzione. Ma il raccapriccio è massimo quando si percepisce che la nostra specie, l’uomo, potrebbe essere la causa della scomparsa di un’altra specie. Ed è già più che un sospetto quando lo scheletro di un esemplare della Ritina di Steller nel 1861, dall’Alaska arriva a Helsinki al professor Nordmann, famoso paleontologo e zoologo. E lui aggira la legge che vieta alle donne di occuparsi di scienza e ne affida i disegni al miglior disegnatore che conosca: Hilda Olson. E questa è solo una delle tante storie che racconto nel libro.

Bibliografia

Lida Turpeinen, traduzione di Nicola Rainò, L’ultima sirena, Neri Pozza editore, 2025, pp. 256.

Il dominio è già sistema, la crudeltà già prassi, l’abominio è già oltre ogni limite.

Il punto di forza del romanzo non è però nella denuncia esplicita, bensì nella creazione di un mondo in cui ogni gesto appare legittimo.

Se Turpeinen ci invita a soffermarci sull’animale perduto, Pugno ci mostra un orrore in cui l’estinzione è già incorporata nel consumo, nei corpi, nella vita quotidiana. In questo senso, Sirene funziona come un contrappunto distopico all’indagine documentaria: quello che Turpeinen argomenta gettando le basi della potenziale distopia, Pugno lo spinge verso l’incubo, amplificando il disastro fino a renderlo estetico.

L’opera di Laura Pugno non si lascia addomesticare in un semplice romanzo di denuncia. È, piuttosto, una forma di resistenza: un libro che parla con la voce della distopia per raccontare il presente, e che costringe a sentire – prima ancora che a pensare – la ferocia di un sistema in cui l’estinzione non è evento, ma un processo continuo. Dopo aver incontrato la Ritina nel saggio, ecco nella fiction la moltiplicazione del suo spettro che fa ritorno dall’abisso coi denti affilati.

Bibliografia

Laura Pugno, Sirene Marsilio, 2017, pp. 144.

Illustrazione di una famiglia di Ritina di Steller apparsa nel numero 26 di L’Ouvrière nel 1898. (Gallica/Wikipedia)
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In fin della fiera

La mia personale sala macchine

Parlaci di te, cerca una volta tanto di essere sincero. Non sono mai stato un maschio alfa. Non sono mai riuscito a farmi piacere il fumo, grave handicap per quelli della mia generazione. Alle feste nelle case dei miei compagni loro ballavano (e fumavano), io cambiavo i dischi. Non sono uno sportivo. Sono monogamo, sposato con la stessa moglie da 59 anni. Troppo faticoso tradire o peggio ancora avere due famiglie. Non ho mai subito fratture di ossa e non ne sento la mancanza. Quarant’anni di Rai e mai un giorno di malattia, se mi alzavo con la febbre, una volta arrivato sul lavoro spariva. Costretto ad andare in vacanza, non vedevo l’ora di ritornare al lavoro, imploravo i miei capi perché mi richiamassero per un caso urgente. Mio padre Mansueto era un bell’uomo, nel vano tentativo di assomigliargli porto i baffetti come i suoi. Adolescente, come molti miei coetanei, ero strega-

Voti d’aria

to da Cesare Pavese e ho fatto di tutto per assomigliargli almeno nel fisico, ho simulato un calo di vista per portare occhiali come i suoi.

È il 1952 (avevo 15 anni) quando esce, due anni dopo la sua morte, Il mestiere di vivere, il suo diario. Lo compro con i soldi della paghetta. Me ne vanto con Paolo Conte. Lui: lo sta leggendo mio padre, dice che Pavese non ci sapeva fare con le donne. Torno a casa, gli occhiali finiscono in un cassetto. Non ne usciranno più. Se mi piaccio? Non mi lamento, poteva andarmi peggio. Non ho mai aspirato a stare sul ponte di comando, il mio posto ideale è la sala macchine e lì, nel fumo e nel vapore, l’aspetto fisico non ha molta importanza. Nanni Loy, per il programma Viaggio in seconda classe di cui ero il produttore, aveva ideato per me una provocazione. Scena: scompartimento con alcuni viaggiatori adulti, e un posto libero.

Schiaffi, manate, manite

Chi pensasse che certe parole sono passate per sempre, con i cambiamenti sociali, dall’uso letterale all’uso metaforico, si sbaglia. Prendiamo lo «schiaffo», gesto simbolico dell’autoritarismo d’antan. Ebbene, eccolo ricomparire in contesti imprevisti. La «gifle» (lo schiaffo in francese) sferrata dalla Première Dame (5+) al consorte Emmanuel Macron (4-) sulla cima di una scaletta d’aereo si inserisce in un filone tutt’altro che estinto di schiaffeggiamenti morali ma anche fisici. Ci sono poi, attualissime, le facce da schiaffi, il cui culmine inarrivabile è toccato da Elon Musk: l’avete visto, con le sue simpatiche smorfiette sotto la visiera, nell’ufficio presidenziale della Casa Bianca? Divertente (2). Più simpatico di lui, solo il suo ex amico Donald (1), detto anche Taco (indovinato acronimo di «Trump Always Chickens Out» a indicare la ferrea coerenza di chi dichiara

una cosa per tirarsi indietro un attimo dopo). Il più celebre della storia resta lo schiaffo eponimo ricevuto nel 1303 da papa Bonifacio VIII ad Anagni. Era probabilmente, dicono gli storici, uno schiaffo metaforico, un oltraggio umiliante più morale che fisico (chissà quanto meritato, comunque 5½). Sempre nell’ambito figurato, imperversano gli «schiaffi al volo» in queste settimane tennistiche, ne abbiamo visti molti al Roland Garros e ne vedremo parecchi anche a Wimbledon. È un gesto tecnico apprezzato per rapidità e precisione. Tornando alla «gifle» di Hanoi, in verità pare fosse, più che uno schiaffo vero e proprio, una manata, forse una doppia manata a mani nude, ma niente di sonoro vecchia maniera: gli specialisti del labiale, convocati dai giornali di gossip, non hanno dato risultati convincenti ricostruendo blateramenti incomprensibili.

A video spento

Fenomenologia

del meme

Quando arrivo io vestito e truccato da presidente Leone, un cameriere stappa la bottiglia e me ne versa un bicchiere. Poi esce e inizia la conversazione con i passeggeri costretti dall’aiuto regista a fingere di non avermi riconosciuto. Ve lo siete perso? Ci credo, dato che non l’abbiamo girato. Disco rosso dai vertici Rai, sarebbe stato reato di vilipendio. Avessimo chiesto il permesso al presidente Leone sono sicuro che avrebbe detto di sì. Era un uomo spiritoso, collezionava le vignette che Forattini gli dedicava su Repubblica. Sognavo un invito al Quirinale, la proposta di fargli da controfigura nelle cerimonie di secondo livello, nei pranzi e nelle cene, una croce da cavaliere, la nomina a senatore a vita.

Ho scoperto di essere nato e aver vissuto nel ghetto di Asti fino ai 18 anni leggendo il romanzo I giorni del mondo di Guido Artom (Longanesi 1981). Le nostre case erano collegate da tunnel

sotterranei, perfetti per i nostri giochi, allestiti perché gli ebrei, fino alla firma delle Lettere Patenti da parte di Carlo Alberto il 17 febbraio del 1848 non potevano uscire di casa dopo il tramonto. Molti hanno avuto la fortuna di vivere un’esperienza rivelatrice, un’epifania. Per Fellini è stato lo spettacolo di un circo equestre visto da bambino. Tutti i suoi film hanno in filigrana e possono essere raccontati come esibizioni circensi. Mio padre era un operaio, compositore a mano nella piccola tipografia Segre. (Era il fratello di Pitigrilli, il delatore che per invidia fece mandare al confino il primo gruppo degli einaudiani. Tutto si tiene). Un giorno mio padre mi porta con sé. L’osservo in piedi di fronte a una cassettiera: prende con una pinzetta dallo scomparto di un cassetto caratteri e spazi, mettendoli sul compositoio d’acciaio fino a formare una riga, che depone sul telaio della pagi-

na, inchiostrando e tirando una prima bozza. Era per me l’invenzione della stampa. Da allora ho sempre letto di tutto. Andavo volentieri a comprare le uova, sei per volta, erano impacchettate in fogli di vecchi giornali. Tornato a casa li spacchettavo, mettevo le uova nella ghiacciaia, stiravo quelle pagine e le leggevo da cima a fondo. Il salto quantico di lettore è merito di zia Emma che mi regala L’isola del tesoro. Robert Louis Stevenson è un narratore. Una specie rara. Poi è arrivata la scoperta di una biblioteca civica che concedeva libri in prestito. Si chiama Alfieri, come tutto ad Asti. Compreso un biscotto, l’Alfierino. Nessuno mi aveva spiegato come si deducevano le collocazioni dei libri dalle schede. All’inizio andavo a tentoni, chiedevo un romanzo e mi arrivava un trattato per la lotta alla peronospora. Che leggevo, naturalmente, dalla prima all’ultima pagina.

Dopo la manata di Hanoi, abbiamo amaramente conosciuto la «manita»: quella sì sonora per definizione. «Manita» (5 d’obbligo) è un termine spagnolo, entrato nell’uso italiano dal 2014, quando il Milan fu sconfitto dal Manchester City per 5-1. Indica la mano con le cinque dita ben aperte ed è tornata d’attualità nella finale di Champions League. Cinque schiaffi molto brucianti per i tifosi nerazzurri (6 alla capacità di soffrire) dopo i giorni dell’enfasi nei commenti della vigilia: la Storia, il Destino… Tutto con la maiuscola e tutto ridotto in macerie dai ceffoni micidiali del Paris Saint-Germain. Certo, siamo sempre nel campo metaforico. Nulla, se si pensa alle migliaia di schiaffi molto (troppo) fisici e ben più violenti sepolti nel ventre antico della società patriarcale, oscuro e ribollente ancora oggi. Ultimo ma non ultimo, lo schiaffo di Afragola,

quello che il diciottenne Alessio Tucci (ovviamente senza voto) ha sferrato alla povera Martina Carbonaro, l’ex «fidanzata» quattordicenne, per manifestarle la sua «gelosia» una settimana prima di ucciderla con una pietra per manifestarle ancora meglio la sua «gelosia». «Volevo che tornasse da me», ha detto Tucci. Siccome Martina non tornava da lui, lui ha deciso di farla tornare dal Padreterno. Insomma, mai dire mai più. Ciò che pensavamo tramontato per sempre fa presto a tornare di moda. Ecco, infatti, balzare nelle cronache lo schiaffo (fisico), che ci sembrava fino all’altro ieri uno dei tanti oggetti desueti come il gettone telefonico (6 alla memoria) o il disco 45 giri (idem). Oggetto desueto? Tutt’altro, se la scorsa settimana, oltre alla manata di Hanoi e soprattutto al fattaccio di Afragola, a Napoli il marito di una paziente ha fatto irruzione al Po-

liclinico e con una sberla in faccia ha mandato al Cardarelli (l’altro ospedale cittadino) un giovane medico del reparto maxillo-facciale (sic!). Oggetto desueto? Tutt’altro, se qualche giorno prima un professore di Torino è stato schiaffeggiato da due studenti per averli gentilmente invitati ad allontanarsi dagli spogliatoi della palestra e di tornare in classe. Tutt’altro, se lo stesso giorno del fattaccio di Torino, a Roma un ventiquattrenne prendeva a schiaffi l’infermiere del Pronto soccorso dell’Umberto I colpevole di avergli chiesto di aspettare il suo turno. La parola «schiaffo», ci informano i vocabolari, deriva da una radice onomatopeica che significa scoppiare, stesso significato dell’altra parola (anch’essa onomatopeica) che pensavamo indicasse un oggetto desueto: la bomba (voto –50 mila, quanti sono i morti di Gaza sotto le bombe israeliane).

Ma che cos’è un meme? Nell’attuale panorama digitale, i meme sono un fenomeno culturale che ha guadagnato popolarità e influenza in modo significativo. I suoi contenuti umoristici o sarcastici si sono evoluti negli anni, diventando quasi un vero linguaggio condiviso che unisce le persone attraverso il potere della cultura pop. Cerco una definizione su Internet e trovo questa: «Pezzi di contenuto virale perlopiù umoristico, i meme sono uno strumento di comunicazione digitale ubiquo e in continua evoluzione. Figli dell’estetica internet anni 2000, i meme sono una sintesi grafica di […] pensieri, sentimenti, battute e idee… Da Facebook a TikTok, da Twitter a Instagram, […] i meme fungono da cornice interpretativa per eventi d’attualità, personaggi pubblici, fenomeni culturali e sentimenti condivisi, trasformandosi in un barometro costante dell’umore di Internet». Umore di In-

ternet, ma anche umore della società, senza più un sipario che divida questi due universi.

La parola «meme» (derivante dal sostantivo greco mìmema, che significava sia imitazione sia immagine) è stata coniata in ambito scientifico da Richard Dawkins che nel suo Il gene egoista. La parte immortale di ogni essere umano (1976), ipotizzava l’esistenza di un’entità – il memema, poi abbreviato in «meme» per assonanza al bisillabo «gene» – con la capacità di autoreplicarsi e auto-diffondersi per imitazione come il gene ma che, a differenza di quest’ultimo, agisce nella sfera culturale saltando da mente a mente come un virus.

Grazie all’accessibilità garantita dai nuovi mezzi di comunicazione, l’utente può attingere a un serbatoio pressoché illimitato di immagini che può manipolare all’infinito mettendo in atto pratiche, fino a questo momento, appannaggio esclusivo della cosid-

detta «arte alta» (détournement, appropriazione, riuso, montaggio, collage, accostamento di materiali eterogenei volti alla produzione di effetti surreali), mandando così definitivamente in crisi i concetti di unicità e originalità artistica e operando una dissacrazione che sembra intaccare ogni cosa. Presentando l’evento «Arte e meme: un riparo di ironia» (Triennale di Milano, 18 gennaio 2023), Valentina Avanzini e Martina Santurri scrivono: «Ma come funzionano i meme? Il loro meccanismo principale è l’ironia, non nel senso comune contemporaneo, che “fa ridere”, ma ironia intesa etimologicamente come “dissimulazione del proprio pensiero” (Treccani). Il meme è ironico perché è stratificato, perde traccia del proprio significato originario via via che assume nuovi livelli di lettura. Ogni meme, quindi, è composto almeno da un doppio layer, o codice, che potremmo leggere seguen-

do Erwin Panofsky secondo diversi livelli di analisi iconografica, a partire dal significato descrittivo per arrivare al significato espressivo, fino al contesto culturale che ha prodotto il determinato contenuto».

Gran parte del successo dei meme deriva dall’aspetto parodistico. La parodia è un modo efficace per far passare messaggi e opinioni, spesso in modo meno minaccioso e offensivo rispetto a una discussione diretta. Il termine va considerato come un «controcanto», o comunque un «canto deformato, distorto». La parodia è una distorsione di qualcosa di esistente, con finalità comico-satiriche. Per questo, non deve mai temere di esagerare. Se colpisce nel segno, non farà altro che prefigurare qualcosa che poi altri faranno senza ridere – e senza arrossire – con ferma serietà. Tuttavia, l’impressione è che si vada diffondendo il principio di sottopor-

re al sarcasmo qualsiasi cosa, come se ogni immagine venisse improvvisamente scalzata dal suo appoggio e cominciasse a vagare in una vorticosa corrente dissacratoria, subendo ogni oltraggio, ogni combinazione, per opera di un prestigiatore invisibile e impassibile. È una nuova situazione che presuppone che tutto il mondo sia avvolto dal vento venefico della parodia. Nulla è più ciò che dichiara di essere. Come insegna il personaggio Joker (acerrimo nemico di Batman, creato fumettista della DC Comics Bob Kane), l’irrisione è un succedaneo della violenza, è il gesto di chi potrebbe uccidere ma decide di non farlo, limitandosi a mostrare i denti. La sua faccia eternamente felice è una maledizione, è la condanna di una maschera di gioia che combatte invano la brutalità del mondo. Ci suggerisce che ridere e irridere sono la stessa cosa, l’un gesto il meme dell’altro.

di Aldo Grasso
di Bruno Gambarotta
di Paolo Di Stefano

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Testo: Dinah Leuenberger, Claudia Schmidt

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Smoothie alla nettarina e al cetriolo

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Smoothie a base di latte, frutta surgelata, banane e miele per questa bowl guarnita con bacche, granola e semi di chia. E il pieno di energia è pronto.

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Tofu croccante su indivia belga
La panatura di corn flakes conferisce alle fette di tofu una deliziosa doratura croccante, che si sposa a meraviglia con l’insalata d’indivia belga.
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Idea di ricetta

Penne con salsa alla panna, peperoni e pollo

Piatto principale, per 4 persone

400 g di filettini di pollo

12 mini peperoni di vari colori

3 cucchiai d’olio, ad es. di girasole o di colza

1 spicchio d’aglio

1 dl di brodo di verdure aha! senza lattosio e glutine, bello saporito

300 g di crème fraîche aha! senza lattosio sale

1 presa di pepe

500 g di penne aha! senza glutine

½ mazzetto d’erbe aromatiche, ad es. prezzemolo

1. In un tegame bello ampio unto d’olio rosola il pollo e i peperoni incoperchiati per ca. 5 minuti. Unisci l’aglio schiacciato poi sfuma con il brodo. Aggiungi la crème fraîche, poi regola di sale e pepe. Tieni in caldo.

2. Lessa le penne al dente in abbondante acqua salata.

3. Scolale e condisci la pasta con la salsa, i filettini di pollo e i peperoni. Guarnisci con le erbe aromatiche.

Minifiletti di pollo

Verdure alla griglia

Organizzare un bel grill party senza spendere molto è diventato facilissimo

Contorno, per 4 persone

Verdure alla griglia

400 g di melanzane

400 g di zucchine

2 mazzetti di cipollotti

1 peperone giallo

1 peperone rosso

6 champignon grandi olio d’oliva sale

Quark alle erbe

Ricetta idea

½ mazzetto di prezzemolo

½ mazzetto d’erba cipollina

1 rametto di timo

250 g di quark semigrasso

1 spicchio d’aglio

2 cucchiai d’olio d’oliva

¾ di cucchiaino di sale pepe

1. Taglia le melanzane e le zucchine per il lungo a fette spesse ca. 1 cm. Dimezza per il lungo i cipollotti grossi e lascia interi quelli sottili. Leva i semini ai peperoni e tagliali a pezzi grossolanamente. Dimezza i champignon in senso orizzontale.

2. Spennella verdure e funghi con un po’ d’olio e sala leggermente. Rosola un po’ per volta a fuoco medio sul grill o in una bistecchiera per 4-7 minuti da ogni lato.

Pancake al mais con insalata

Questi pancake ricchi di mais, cipollotti ed erbe aromatiche danno vita a un piatto principale originale, subito pronto e delizioso.

3. Trita finemente il prezzemolo, l’erba cipollina e il timo. Versa il quark in una piccola ciotola e spremici l’aglio. Aggiungi le erbe e l’olio d’oliva, poi mescola. Condisci con sale e pepe.

4. Disponi le verdure alla griglia su un piatto da portata e servi con il quark alle erbe.

Quark mezzo grasso
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Pane e salsiccia

Piccolo pasto, per 4 persone

8 salsiccette, ad es. cipollata con pancetta e merguez

1 baguette, ad es. baguette appuntita cotta su pietra ½ limone

1 cucchiaio di semi di sesamo tostati

1 punta di coltello di fleur de sel ca. 80 g d’insalata da taglio

6 cucchiai di salsa tartara

1. Scalda il grill a 200 °C. Griglia le salsiccette a fuoco medio per 6-8 minuti.

2. Scalda la baguette sul grill per circa 2 minuti. Tagliala prima in quattro parti, poi ogni parte di lato a metà senza dividere completamente (taglio a libro).

3. Grattugia finemente un po’ di scorza di limone e pestala con il sesamo e la fleur de sel.

4. Distribuisci prima le foglie d’insalata sul pane, poi la salsa tartara e infine il sale al sesamo. Farcisci con le salsicce e servi subito.

Insalata di anguria

L’anguria si sposa con pomodori, avocado, cipolle, coriandolo e formaggio per dare vita a un’insalata eccezionale da gustare con carne o pesce alla griglia.

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Anguria Mini al pezzo Fr. 4.–
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Anche sgranocchiare qualcosa tra i pasti non deve incidere sul portafogli

Hummus con za’atar al limone

La scorza di limone arricchisce la miscela di spezie orientale che affina la famosa purea di ceci. Un delizioso stuzzichino da accompagnare con una focaccia.

Bocconcini

alla carota e alle arachidi

Un finger food croccante, ideale per un aperitivo o un party, realizzato con una pasta alle carote ricoperta con arachidi allo sciroppo d’acero.

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Ceci M-Classic cotti 250 g Fr. 1.10
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Il Kosovo nelle pieghe della Storia Confini chiusi, eredità architettoniche e voci locali tracciano un itinerario fra minareti, santuari, lingue sepolte e villaggi invisibili

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Un super cocktail estivo

I succhi di frutta congelati conferiscono non solo aroma e freschezza, ma anche colore; ottimo pure nella versione analcolica

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RoboCop torna in città Sony regala Rogue City agli abbonati PS Plus, con armi pesanti, e tanta nostalgia dei mitici anni Novanta

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Kitefoiling sulla scia del vento keniota

Altri campioni ◆ Lo svizzero David Mzee è il primo tetraplegico al mondo a solcare le onde con il kitefoil

Davide Bogiani

Mombasa, Kenya: quando David Mzee atterra nella calda e caotica città costiera keniota, ha un obiettivo ben preciso: affrontare il kitefoiling – una delle discipline acquatiche più tecniche e spettacolari – e diventare il primo tetraplegico a praticarla in autonomia. Una sfida che intreccia tecnologia, forza mentale e passione per lo sport. Mzee, 36 anni, non è nuovo nel lanciarsi in sfide ardue e impegnative. Su alcuni laghi svizzeri così come sul lago di Garda, David si è infatti già cimentato con il surf, il wakeboard e il kitesurf. Ma il kitefoil è un altro pianeta: richiede un maggiore equilibrio, un controllo fine della tavola e dell’aquilone e la capacità di gestire forze intense. Si utilizza una tavola con un idrofoil (ala sott'acqua) e un aquilone (kite) per planare sull'acqua e quasi sollevarsi in volo.

Tutto, nel suo viaggio in Kenya, è curato nei dettagli. La destinazione è Kilifi, un piccolo paradiso a nord di Mombasa, dove il vento soffia costante e il mare si apre limpido sull’orizzonte. Per raggiungerlo servono due ore di strada tra buche, sabbia e traffico. Non è una situazione semplice per David, che deve affrontare e gestire le calde

temperature, cosa tutt’altro che scontata per una persona con un danno spinale. Eppure, David sorride. È felice. Ottimista, come sempre. Un sorriso e una determinazione dietro cui si cela una storia incredibile.

È il 2010, e David studia Scienze Motorie al Politecnico di Zurigo. Durante una lezione di ginnastica agli attrezzi, effettua un salto triplo. La fossa di gommapiuma non attutisce l’impatto sulla colonna vertebrale. All’atterraggio, né gambe né braccia rispondono. Diagnosi: tetraplegia. In un istante, il suo sogno di diventare insegnante di educazione fisica sembra svanire. Ma David non si arrende. La sua mente reagisce prima ancora del corpo. E dentro, nella fossa dell’atterraggio, quando è ancora cosciente, si concentra sulla respirazione e da subito sceglie di lottare per la vita. I primi mesi di riabilitazione sono durissimi. Ogni piccolo progresso è una conquista. Poi arriva il Rugby in carrozzella, uno sport dinamico e accessibile anche a persone con lesioni gravi. In pochi anni entra nella nazionale svizzera, trovando nuova forza e una comunità che lo sostiene. Nel 2016 accetta di partecipare a

uno studio sperimentale all’avanguardia, condotto dal CHUV di Losanna insieme all’EPFL, guidato dal neuroscienziato Grégoire Courtine e dalla neurochirurga Jocelyne Bloch. Gli viene impiantata una placca con 16 elettrodi nel midollo spinale, insieme a un generatore di impulsi elettrici, simile a quello usato nei pazienti con Parkinson. Il sistema, personalizzato sulla sua muscolatura residua, riesce a riattivare il cammino: dopo cinque mesi di riabilitazione intensiva, David riesce a camminare con un deambulatore. Una notizia che fa il giro del mondo.

Ora, in Kenya, la posta in gioco è diversa ma altrettanto alta. Il kitefoil è molto più di una performance sportiva. È la dimostrazione che l’innovazione, unita alla volontà, può portare oltre ogni barriera. Ma non basta il coraggio. Serve progettualità.

David ha disegnato e costruito da sé la struttura in alluminio che fissa la seggiola alla tavola. Con l’aiuto dell’ETH di Zurigo, ha stampato in 3D il prototipo. Ha studiato i punti d’attacco dell’aquilone, i meccanismi di sgancio rapido in caso di emergenza, l’inclinazione della seduta per ot-

timizzare l’assetto biomeccanico. Anche la muta è ideata su misura: deve proteggere, ma anche garantire il movimento di braccia e busto, sfruttando al massimo la muscolatura residua. Accompagnato da due barche di sicurezza, con tecnici e videomaker del gruppo Red Bull a documentare ogni passaggio, David entra in acqua. Le condizioni sono buone. L’aquilone si gonfia, il vento la solleva. David si stacca dalla superficie e plana sul suo foil, ad elevate velocità. Ce l’ha fatta. È il primo al mondo. E mentre i fotografi immortalano l’impresa, chi lo ha visto lottare ogni giorno negli anni precedenti sa che questo momento vale molto più del riconoscimento mediatico. È il coronamento di un percorso umano e scientifico, che – secondo lo stesso Mzee – ridefinisce i confini tra disabilità e performance.

I giorni seguenti, a Kilifi, sono una festa. Il padre di David, keniano, guida con orgoglio i festeggiamenti. La comunità locale si stringe attorno a lui. Gli amici e la famiglia, che lo hanno seguito a distanza, vivono con emozione ogni aggiornamento. È un’impresa condivisa, corale,

che va oltre i confini del singolo gesto atletico.

Rientrato in Svizzera, David ritrova l’abbraccio della moglie e delle sue due figlie. Ma anche quello dei suoi studenti: oggi, dopo aver concluso gli studi post-incidente all’ETH di Zurigo, è docente di educazione fisica in una scuola professionale a Wetzikon. Il primo docente tetraplegico in questa materia.

È anche questo uno dei suoi traguardi più grandi: mostrare che si può insegnare il movimento anche senza potersi muovere come prima. Che si può educare con l’esempio, con la mente, con il cuore. David è diventato un punto di riferimento per chi vive una disabilità, ma anche per medici, ingegneri, studenti, atleti.

Il suo messaggio è chiaro: «La tecnologia è uno strumento, ma è l’essere umano a darle un senso. E ogni persona, indipendentemente dal proprio corpo, può scegliere di vivere con intensità, creatività, coraggio». Volare sull’acqua, insegnare sport, tornare a camminare: tutto questo è possibile. «Non perché il mio corpo è tornato com’era. Ma perché non ho mai smesso di crederci», conclude David Mzee.

David Mzee. (Dave Brunner)
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Colori e sapori dell’Oriente.

Nel cuore spezzato dei Balcani

Aveva ragione il monaco kosovaro che incontrai al Monastero del Fiume Nero, nel profondo sud della Serbia: visitare il Kosovo, mi disse, è come passeggiare in un quadro di Ivan Generalić (ndr: un pittore naïf croato). Soprattutto se si percorre la strada che, dalla serba Novi Pazar, con la sua folla di minareti al vento e i confortanti divani ottomani, transita proprio ai piedi di questo trecentesco monastero, guardiano di frontiera incassato nella montagna, al fondo di una gola muta. La mancanza che il monaco Đorđe da sempre prova per il proprio suolo natio è forte. Ma un vecchio giuramento lo tiene legato al monastero, senza più ritorno. Vive di ricordi in questa pietra scavata nel buio, dove giocano piani e falsi piani, scalini incerti, cunicoli ciechi e porte che si aprono sul nulla. E dove grava ovunque un silenzio di ombre, impregnato di reliquie, libri di cuoio e incensi perpetui. Terra complessa, il Kosovo, mi rivela Đorđe, congedandosi da me con nostalgia. Forse incomprensibile. Ma vale la pena tentare, dirigendosi ai suoi intricati confini e calandosi nelle valli più anguste, per poi disperdersi tra quei monti che i suoi abitanti ancora credono forieri di leggende, segreti e misteri irrisolti. Laggiù, in quel fitto dedalo di pendii inospitali, si dice che un tempo vivessero montanari dal turbante bianco

La via che entra in Kosovo da nord serpeggia tra profili aspri e gole taglienti, solcando spazi avari di vita e densi di arcani presentimenti. Ed è proprio in questa trappola di quiete apparente, dove ogni orizzonte sembra essere perduto, che sorge in lontananza, come un miraggio, una delle città più redivive di tutti i tempi, in barba alla guerra che non perdona: Kosovska Mitrovica, dove serbi e albanesi sono tanto divisi dal fiume Ibar quanto simbolicamente uniti nel colossale Santuario della rivoluzione, trilite in stile brutalista del 1973 dedicato ai minatori di entrambe le etnie che combatterono a fianco dell’Esercito Popolare di Liberazione della

Jugoslavia contro le forze nazifasciste. Imperioso e solitario, svetta dall’alto con tutto il suo rude carico di cemento armato, fiero del celebre architetto che lo ideò: Bogdan Bogdanović, un uomo di grande ingegno ma di poche parole. Pare che, per la realizzazione dell’opera, si servì esclusivamente di scalpellini locali, in quanto inesperti e quindi più inclini a seguire le sue idee senza tante discussioni. Spirito orgoglioso e resiliente, quello del popolo kosovaro, che rinasce ogni volta come una fenice, anche quando a spazzare la propria eredità sono le bombe. Il centro storico di Peć è una di queste fenici, ricostruito fedelmente in ogni minimo dettaglio. A camminare lungo la via del bazar, si ha come la sensazione che tutto sia rimasto immutato dall’epoca degli Ottomani: le rumorose botteghe degli artigiani e gli intarsi di legno sui muri bianchi delle case, le mille finestre occhieggianti sotto i cornicioni e il duro selciato che ancora risuona di echi, richiami ed eterne contrattazioni. Poi cala la sera e ovunque si accende una festosa filigrana di luci, sospesa come un tappeto volante sulle teste dei viandanti. Eppure, oltre il brusio del mercato e delle merci che passano di mano in mano, oltre i lunghi caffè turchi e le conversazioni che non hanno mai fine, qualcosa sembra incombere all’orizzonte, verso ovest.

Montagne maledette, mi dice un negoziante scrollando il capo. Laggiù, in quel fitto dedalo di pendii inospitali, si dice che un tempo vivessero montanari dal turbante bianco, il cui copricapo serviva da lenzuolo funebre in caso di morte per conflitto a fuoco. Quelle foreste brulicavano di così tanti banditi e contrabbandieri, da non potercisi avventurare senza un fucile a tracolla. Poi arrivò il 1999 e le Gole di Rugova divennero rifugio dei guerriglieri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo. Sarà per questo che, all’Eagle Ranch, locanda sperduta, c’è una canna di mitragliatrice inchiodata a un albero della terrazza panoramica, residuato bellico rinvenuto nelle vicinanze che, a detta del proprietario del locale, spuntava dal terreno come un palo mal conficcato. L’Eagle Ranch: introvabile. Per raggiungerlo, bisogna dirigersi dalla parte opposta a quella

indicata sul cartello. Ho chiesto spiegazioni: mi hanno risposto che non vogliono scocciatori. Sono montagne insidiose, queste del confine ovest. Entrano nell’anima come un mantra. O forse è solo l’eco della preghiera che risuona dall’alto della cinquecentesca moschea di Hadun, a Gjakova, un luogo diventato leggenda. Da sempre, infatti, per raggiungere la balconata a loro riservata, le donne devono salire in processione su per il sottile minareto in pietra, caracollando per una tortuo-

sa scala a spirale che, gradino dopo gradino, conduce proprio dirimpetto al mih rāb, pulpito troneggiante fra sottili arabeschi, smaglianti laccature e pareti ricamati di parole. Ci sarebbe da perdere il senso del tempo, da quassù, se non si rischiasse di rimanere chiusi dentro per la troppa fretta del custode che, terminata la preghiera, serra la porta dabbasso senza tanti convenevoli. Fino al prossimo richiamo del muezzin.

Lo spirito di Gjakova è albanese. Basta entrare in una delle tante lo-

cande disseminate lungo la via principale, per intuirlo, e soffermarsi sulla moltitudine di suppellettili che dappertutto ammicca: cezve di rame, dallah in ottone e tazzine di porcellana senza manico, per il caffè; statue del valoroso Gjergj Skënderbeu; bottiglie di vino Amselfelder, vanto kosovaro; introvabili çiftelia, lunghi mandolini a due sole corde; e fotografie in bianco e nero di una Gjakova che non esiste più. In fondo alla via, invece, ancora esistono e resistono le ultime kulla del Paese, case patriarcali in pietra a tre livelli, simili a fortezze, dove all’ultimo piano si riunivano i maschi della famiglia per discutere di affari, ricevere ospiti o puntare i fucili su sospettosi malcapitati attraverso le invisibili fenditure dei muri.

Terra ostica, il Kosovo. Con una sola eccezione: il timido villaggio di Brod, incuneato nelle brumose alture del sud e raggiungibile incespicando per un’interminabile strada tutta buche, crepacci e impietosi tornanti. In questa enclave di vita antica, sopravvivono i gorani, gruppo etnico religioso che professa l’Islam e tuttavia scrive in cirillico e parla il torlacco, dialetto slavo meridionale al quale essi ostinatamente si aggrappano affinché non vada perduto per sempre.

A Pristina, invece, c’è un cuore di metallo che da tempo pulsa ormai una «lingua morta». È la Biblioteca nazionale del Kosovo, orgoglio in stile sovietico del 1944 la cui aggrovigliata struttura architettonica rimanda alle meticolose celle di un alveare. Sono circa 800 mila i volumi qui custoditi. Peccato che non li legga più nessuno. O, meglio, che nessuno li possa più leggere. I rari studenti che la frequentano, infatti, i libri se li portano da casa, perché quelli allineati sugli scaffali sono tutti scritti in lingua serba. E nella città di Pristina, di serbi ne sono rimasti appena una decina. Ormai si parla quasi solo albanese.

Informazioni

Su www.azione.ch, si trova una più ampia galleria fotografica.

Il fitto bazar di Pec´; sotto: l’angusta strada che attraversa la Valle di Rugova; in basso a sinistra: Interno di una casa ottomana a Gjakova; a destra: il Monastero del Fiume Nero.

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Ricetta della settimana - Frozen Aperol Spritz

Ingredienti

Bevanda

Ingredienti per 2 bicchieri di 3 dl

1,25 dl di succo d’arancia

1,25 dl di succo d’arancia

sanguigna o di melagrana

1,5 dl di prosecco

1 dl d’Aperol

100 g di cubetti di ghiaccio

4 spicchi di agrume, ad esempio arancia, limone o pompelmo

Preparazione

1. Distribuite i succhi di frutta separatamente negli incavi delle vaschette per il ghiaccio e metteteli in congelatore per almeno 4 ore.

2. Versate il prosecco, l’Aperol e i cubetti di ghiaccio in due recipienti di un mixer molto potente. In un recipiente aggiungete i cubetti gialli, nell’altro i cubetti rossi. Azionate il mixer e tritate uno dopo l’altro i due ghiacci, fino o ottenere due granite cremose.

3. Distribuitele nei bicchieri raffreddati creando degli strati, guarnite ogni bicchiere con due spicchi di agrumi.

Consigli utili

Per uno spritz senz’alcol sostituisci il prosecco con un vino spumante analcolico (ad esempio Rimuss Bianco dry) e l’Aperol con una variante analcolica (ad esempio Lyre’s Italian Spritz).

Preparazione: circa 10 minuti; congelamento: almeno 4 ore

Per pezzo: 1 g di proteine, 1 g di grassi, 33 g di carboidrati, 200 kcal

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Gang, droga sintetica e un eroe di metallo

Videogiochi ◆ Il ritorno di RoboCop in Rogue City su PlayStation Plus è

Sony ha deciso di regalare RoboCop: Rogue City a tutti gli abbonati di PlayStation Plus. È accaduto il mese scorso. Ne avevamo sentito parlare bene e la curiosità era tanta, quindi abbiamo colto l’occasione, preso in mano le armi (virtuali) e siamo scesi in campo nei panni del mitico agente mezzo uomo e mezzo macchina.

I meno giovani ricordano benissimo questa frase: «Vivo o morto tu verrai con me»; nella cultura pop degli anni Novanta divenne famosa grazie alla trilogia cinematografica e alla visione di un regista folle che realizzò RoboCop del regista Paul Verhoeven, con protagonista Peter Weller. Il film suscitò molto scalpore, all’epoca, per la sua violenza e per lo splatter gratuito, ma a dirla tutta, fu proprio questo a renderlo un successo.

Ambientato in una Detroit distopica, in un futuro non troppo lontano, la città è governata da gang violentissime in collusione con i politici locali. Nonostante la polizia si impegni al massimo per combattere il crimine e garantire la sicurezza dei cittadini, purtroppo non dispone dei mezzi necessari per fronteggiare efficacemente la situazione.

Durante una perlustrazione, l’agente Alex Murphy viene catturato e brutalmente ucciso. Sebbene venga dichiarato clinicamente morto, Alex rimane in vita. La Omni Consumer Product (OCP) decide quin-

di di sfruttarlo per il proprio progetto: creare un poliziotto robot con le parti rimanenti del suo corpo. Ed ecco che, per la gioia di grandi e piccini, nasce RoboCop, l’eroe di metallo creato come trovata pubblicitaria dalla OCP per sviare l’opinione pubblica e nascondere le proprie nefandezze. Tuttavia, quello che doveva essere solo un burattino di latta nelle loro mani si trasforma nel loro più acerrimo nemico.

RoboCop: Rogue City è uno sparatutto in prima persona, e vogliamo sottolineare che per chi è fan di RoboCop, poter giocare un titolo che ripercorre la storia di Alex «RoboCop» Murphy è una vera goduria. La trama di Rogue City vede Murphy combattere il crimine, ma in momenti cruciali mentre è in modalità combattimento, va in tilt e ha dei flashback (ricordi) di quando era umano, mettendo in pericolo se stesso e coloro che sta cercando di proteggere. Il cattivo di turno, oltre alle solite gang di Detroit, è un uomo distinto e misterioso che a quanto pare, esercita un certo potere su RoboCop. Il problema principale della città è la «Nuke», una droga sintetica che sta decimando la popolazione, e Alex fa di tutto per eliminarla e ripulire le strade.

Ci sono delle caratteristiche che contraddistinguono RoboCop: l’armatura, la pistola, il rumore inquie-

Giochi e passatempi

risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 9, 10)

tante dei suoi passi e la voce, tutto fedelmente riprodotto. E c’è una chicca: la voce di RoboCop in Rogue City è proprio quella dell’attore originale del film, Peter Weller. Però, a nostro avviso è un peccato che il gioco sia solamente in lingua originale, con la sola opzione dei sottotitoli.

Rogue City è un cinegioco: ci sono molte interazioni con i vari personaggi, con modalità interattiva e risposte a scelta da selezionare col proprio controller. Quest’ultima però, alla lunga l’abbiamo trovata alquanto noiosa, perché genera un forzato rallentamento dello sparatutto abituale. Ma per chi è amante di «cut scene » inte-

rattive, troverà molto divertente anche queste fasi di gioco.

La progressione è classica: più giochi, più accumuli esperienza (EXP) e guadagni. Così facendo potete migliorare e potenziare tutte le abilità del personaggio, la sua potenza di fuoco, il suo scudo e la sua armatura.

Chi ha visto i film sa che il suo visore gli permette di tracciare, illuminare e mirare ai bersagli quasi contemporaneamente, sparando in pratica a occhi chiusi. Questa azione è stata riprodotta fedelmente, supportando la mira per colpire i bersagli. Vi consigliamo di puntare alla testa, perché questi brutti ceffi non vanno giù

tanto in fretta. Avete anche la possibilità di raccogliere le armi dei nemici e usarle, come lanciarazzi, fucili di precisione o piccole mitragliatrici: abbiamo giocato RoboCop: Rogue City sulla PlayStation 5, e il feedback dei grilletti quando si spara è fantastico, dando un ulteriore valore aggiunto al titolo.

Attenzione però: RoboCop può correre, ma non può accovacciarsi né appoggiarsi o ripararsi presso un muro per poi sparare. Per cui, si è quasi sempre sotto tiro e l’energia va giù in fretta. In compenso si hanno delle fialette di «Nuke» – sì, abbiamo detto «Nuke», la stessa droga sintetica che decima le strade della città – per permetterci di rigenerare l’armatura.

Ancora un dettaglio da puntualizzare: i personaggi sono tutti riprodotti fedelmente dagli attori originali del film, e il gioco ripercorre il passato di Murphy, enfatizzando la sua umanità.

In conclusione, ci siamo divertiti parecchio! Certo, qualche difettuccio c’è: è solo in inglese (ma coi sottotitoli funziona), i movimenti sono un po’ legnosi e la grafica non fa gridare al miracolo. Però: la voce originale di Peter Weller, l’atmosfera super fedele ai film e un audio delle armi pazzesco con uno shooting divertentissimo valgono il nostro entusiasmo. Nonostante le pecche, per noi è un 7 pieno perché ci ha fatto gasare un sacco!

ORIZZONTALI

1. Peso per preziosi

6. Con… a Montecarlo

7. Pronome personale

9. Sigla di pagamento alla consegna

10. Letto a Parigi

11. Preposizione

12. Capitale europea

13. Cortile delle case spagnole

17. Un famoso West

18. Non si deve nutrire

19. Consentono la virata

21. Capostipite della razza nera

22. Pira

23. Il dittongo in quarta

24. Ettometro in breve

25. Un contorno per arrosti

26. Peccato a Londra

27. Un particolare sale

28. Interdetto

VERTICALI

1. Un formaggio

2. Il fiume di Bristol

3. Rosso a Londra

4. Le iniziali della Clerici

5. Una volta in latino

8. Una materia scolastica 10. Pronome personale

12. Si spoglia d’inverno 13. … ma buoni

14. Primo in assoluto

15. L’attore Roth

16. Satellite di Giove

17. C oagulato, rappreso in Francia

19. Una costellazione

20. Notte a Parigi

22. Nome di donna

25. Il regista Avati (iniz.)

26. Introduce un’ipotesi

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Relax. Grill. Snack.

Le costine perfette sono tenere come il burro, saporite e arrostite sul fuoco. Per la marinata basta mescolare miele, ketchup, olio d'oliva e senape. Ricoprire la carne e lasciare riposare per almeno 30 minuti. Se piove, anche in forno si rivelano perfette. Si calcolano circa 12 costine a persona.

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Conserve di frutta Sun Queen fette di ananas o mezze pesche, in confezioni multiple, per es. fette di ananas, 6 x 140 g, 6.– invece di 7.70, (100 g = 0.71)

Caffè istantanei Cafino (prodotti bio esclusi), per es. Classic, 550 g, 8.26

Piccole golosità

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testa ai piedi

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Tutto l'assortimento per la depilazione Veet e I am incl. prodotti Men e per la rasatura (confezioni multiple escluse), per es. crema depilatoria Sensitive, 150 ml, 6.80 invece di 8.50, (100 ml = 4.53)

4.80 Sapone liquido Le Petit Marseillais alla lavanda o antibatterico, in sacchetto di ricarica, 500 ml, (100 ml = 0.96)

Tutto l'assortimento Pedic e Compeed (confezioni da viaggio escluse), per es. crema Cura intensa, 75 ml, 3.38 invece di 4.50, (10 ml = 0.45)

Saponi I am in conf. di ricarica o in dispenser, per es. sapone cremoso Milk & Honey in dispenser, 2 x 300 ml, 4.– invece di 5.–, (100 ml = 0.67)

da 2 20%

Saponi Nivea o Dettol in confezioni multiple, per es. Nivea Creme Soft in conf. di ricarica, 2 x 500 ml, 8.80 invece di 11.–, (100 ml = 0.88)

da 2

Saponi liquidi pH balance in conf. di ricarica o in dispenser, per es. dispenser, 2 x 300 ml, 5.60 invece di 7.–, (100 ml = 0.93)

Skin Ink Foundcealer L'Oréal Paris disponibile in diversi colori, 15 ml, per es. 20 Light Neutral, (10 ml = 14.63) 20x

a partire da 2 pezzi 25% 16.90 Smalto Essie Gel Couture disponibile in diversi colori, per es. 563 Blushed Metal, il pezzo, (10 ml = 12.52)

Praticità a casa e fuori

Tutto l'assortimento di alimenti per cani, Max, Oskar e Asco per es. rotolini da masticare con pollo Max, 120 g, 3.80 invece di 4.75, (100 g = 3.17)

19.95 Pile alcaline Power Energizer AA o AAA in conf. speciale, 24 pezzi

Trolley da viaggio a guscio rigido Travel & Co. disponibile in diversi colori, misura L, il pezzo

15.95 invece di 19.95 Cesto portabiancheria pieghevole Home 37 litri, il pezzo 20%

29.95 invece di 99.95 Macchina per caffè in capsule Delizio Carina Midnight Black il pezzo 70.–di riduzione

Camicia da notte da donna Essentials disponibile in azzurro, tg. S–XXL, il pezzo

garanzia di

48.95 invece di 69.95

Stendibiancheria Pegasus 200 Leifheit il pezzo 30% 24.95 Asse da stiro pieghevole da tavolo Home il pezzo

Tutto l'assortimento di occhiali da sole e da lettura per es. occhiali da sole da uomo, il pezzo, 34.97 invece di 49.95

Tutti i pannolini Rascal + Friends (confezioni multiple escluse), per es. Newborn 1, 23 pezzi, 5.33 invece di 7.95, (1 pz. = 0.23)

Padella di verdure e carne bio Hipp con patate a cubetti e piselli, 250 g, (100 g = 1.26)

con gustoso salmone selvatico e carote bio Hipp 250 g, (100 g = 1.26)

Prezzi imbattibili del weekend

36%

3.95 invece di 6.25

Mirtilli Migros Bio Spagna/Paesi Bassi, vaschetta da 250 g, (100 g = 1.58), offerta valida dal 12.6 al 15.6.2025

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1.55

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Bistecche di collo di maiale marinate Grill mi, IP-SUISSE

4 pezzi, per 100 g, in self-service, offerta valida dal 12.6 al 15.6.2025

Acqua minerale Aproz

disponibile in diverse varietà, 6 x 1,5 litri, 6 x 1 litro e 6 x 500 ml, offerta valida dal 12.6 al 15.6.2025 conf. da 6 50%

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