Azione 27 del 4 luglio 2016

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 4 luglio 2016

M shopping alle pagine 41–50 / 63 -71

Azione 27

Società e Territorio Che cosa succede nel nostro cervello quando abbiamo uno scatto d’ira?

Ambiente e Benessere Continua la serie di approfondimenti sugli sciamani con i riti e le iniziazioni dei medici tradizionali d’Australia

Politica e Economia L’aiuto allo sviluppo deve servire anche a chi lo presta?

Cultura e Spettacoli La storia delle Olimpiadi, terza puntata della serie

pagina 11

pagina 3

pagina 29

di Caracciolo, Venturi, Peduzzi, Rampini, Rigonalli, Bonoli

pagine 21-26

Keystone

Un terremoto in Europa

pagina 33

Una vittoria che scotta di Peter Schiesser Una settimana dopo il terremoto scatenato dalla decisione della Gran Bretagna di lasciare l’Unione europea (argomento cui dedichiamo l’intera sezione di Politica&Economia), emerge una sconcertante certezza: il campo del «leave» non ha nessun piano su come affrontare il Brexit, poiché non si aspettava di vincere. Molti suoi leader si sono affrettati a relativizzare le promesse fatte durante la campagna: i 350 milioni di sterline alla settimana che la Gran Bretagna versa a Bruxelles non verranno devoluti interamente alla sanità pubblica, verosimilmente questa riceverà «la parte del leone» di quanto resta dei fondi una volta compensati i sussidi europei che verranno a mancare per l’agricoltura della Gran Bretagna (quell’Inghilterra agricola che ha votato in favore del «leave»), come afferma Ian Duncan Smith, anziano leader dei Tory. «Non credo che le persone abbiano votato per il “leave” per paura degli immigrati» ha scritto sul «Daily Telegraph» Boris Johnson, ex sindaco di Londra e figura di spicco fra gli anti-europeisti, segnalando un cambiamento di tono (e di contenuti) che tiene infine conto

della tesi sostenuta dal fronte opposto: è impossibile chiudere le frontiere senza provocare un impoverimento dell’economia come pure dello Stato, considerato che gli immigrati versano più di quanto richiedono alle assicurazioni sociali. Tuttavia, il segnale più forte dell’incompetenza a gestire la fuoriuscita dall’UE, il fronte del «leave» lo invia mostrando di non avere neppure le idee in chiaro su quando attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Il premier dimissionario Cameron non intende farlo. A parte il nazionalista Nigel Farage, tutti i leader conservatori non hanno alcuna fretta di disdire il contratto che li lega all’Europa. A parte il fatto che si tratta di un impegno immane, con migliaia di leggi e accordi da rivedere, il motivo fondamentale è evidente: si avrà bisogno dell’Europa anche in futuro. Da Boris Johnson in giù, si ripete che i legami con l’Europa non verranno recisi, che ci sarà ancora libero commercio, ma si tace ai sostenitori del «leave» che ciò sarà possibile solo al prezzo di una libera circolazione delle persone. La realtà però resta quella e i leader europei l’hanno ribadito. I tentativi di aprire delle discussioni su come rientrare dalla finestra dopo aver sfasciato la porta sono

stati frustrati sul nascere da Bruxelles: prima ve ne andate, e poi vediamo come ritrovarci. Sono i limiti del populismo: cresce fino a quando non deve assumersi responsabilità, poi o va a pezzi perché gli slogan semplicistici non bastano a gestire una realtà complessa, oppure nel caso di una dittatura va a fondo distruggendo l’intero Paese. Il problema è che oggi il 52 per cento dei votanti britannici ha preso questa direzione, anche se qualcuno oggi già si pente. La frittata è fatta, e qualcuno dovrà tentare di aggiustare alla bell’e meglio i cocci. Ma l’impresa è ardua: se il legame con l’UE resta troppo stretto (con la libera circolazione delle persone e i pagamenti all’Unione) si può evitare un indebolimento eccessivo dell’economia e la secessione di Scozia e forse dell’Irlanda del nord, ma si scontenterebbe i sostenitori del «leave», ingrossando le fila dell’Ukip di Farage; se il legame venisse rescisso, con l’intenzione di aprirsi al resto del mondo, non si potrà evitare di liberalizzare ancor di più l’economia (riducendo salari e protezione dei lavoratori) per tener testa alla concorrenza di mercati emergenti con bassi costi del lavoro. Chi voleva sfuggire alla globalizzazione potrebbe restare non solo deluso, ma penalizzato.


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