Azione 17 del 25 aprile 2016

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 25 aprile 2016

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Società e Territorio Empowerment per ragazze: intervista a Marie-Madeleine Gianni presidente della fondazione Bet She Can

Ambiente e Benessere Di cosa parliamo quando discutiamo di biodiversità? Un concetto complesso che si può studiare da vari punti di vista pagina 15

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Politica e Economia Renzi canta vittoria capitalizzando il non-voto, ma dovrà fare i conti con la riforma costituzionale

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di Matilde Fontana pagina 6

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La Vedetta torna sul Ceresio

Cultura e Spettacoli La città del cinema festeggia l’estro creativo di Mimmo Rotella con una mostra

Occhi puntati sul Mediterraneo di Peter Schiesser Con l’arrivo dei mesi più caldi, ci si chiede in Europa, ma pure in in Svizzera e in Ticino: rivedremo presto frotte di profughi in arrivo? In realtà il flusso era proseguito massiccio anche in inverno. Fino a quando, il 24 febbraio, Austria, Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia hanno deciso di chiudere le loro frontiere. Da allora i profughi provenienti dalla Turchia vengono bloccati alla frontiera tra Grecia e Macedonia e vivono in centri profughi, legali e meno, sparsi nel Paese. Una situazione insostenibile, sia per l’Unione europea, sia soprattutto per la Grecia, lasciata sola dai cugini europei. La risposta è stata l’accordo con la Turchia del 20 marzo. Il governo di Ankara si impegna a riprendere dalla Grecia i profughi siriani giunti illegalmente, inviandone altrettanti con le carte in regola e pronti ad essere registrati e a deporre una domanda di asilo, ottenendo in cambio promesse di facilitazioni nell’ottenimento di un visto europeo per i cittadini turchi e tre miliardi di euro, o forse più, da Bruxelles. L’accordo, anche settimane dopo la sua applicazione, resta molto perfettibile. Si legge di internamenti forzati nei centri di registrazio-

ne in Grecia e di rimpatri forzati di siriani dalla Turchia, Ankara ha migliorato lo status dei siriani ma non ha fatto altrettanto con iracheni ed afgani (NZZ 21.4.16). Tuttavia, l’accordo sostanzialmente funziona. Bloccati in Turchia e in Grecia, i profughi siriani, iracheni, afgani non hanno per ora altra via da tentare. Troppo lungo, costoso e rischioso il cammino su terra fino alla Libia. Resteranno in Medio Oriente, in attesa di poter arrivare legalmente in Europa, a meno che non si apra una via d’acqua tra Durazzo, in Albania, e la Puglia. Vale la pena rimarcare che la chiusura della via balcanica è stata imposta da una coalizione di Stati europei che in parte non appartengono allo Spazio Schengen, capitanati dall’Austria che con il suo agire ha rovesciato la politica europea targata Merkel (nata d’impulso con un grande e applaudito abbraccio ai profughi, sconcertando e allarmando, però al contempo un buon numero di cittadini del continente). Forse non è stato sottolineato abbastanza, ma l’Austria ha così rotto il duopolio decisionale franco-tedesco su cui si è retta ogni politica europea negli ultimi decenni. Visto in senso positivo, è una dimostrazione che oggi anche piccoli Paesi membri possono influenzare, e non poco, la politica dell’Unione europea.

Se le vittime delle guerre mediorientali sono per il momento bloccate, non altrettanto si può dire di chi vuole migrare dall’Africa imbarcandosi in Libia: quella via non è sigillata al pari di quella balcanica. Tuttavia, sforzi notevoli vengono fatti ed altri lo saranno per limitare al massimo il viaggio di profughi attraverso il Mediterraneo. Lontano dai riflettori, ma molto importante c’è anche lo sforzo di contenimento operato da Marocco, Algeria e Tunisia, da cui riescono a partire pochissimi profughi. Tre Paesi che, al contrario della Turchia, ricevono pochi mezzi finanziari e nessuna facilitazione per l’ottenimento di visti per l’Europa per i propri cittadini. Ma è bene non essere colti alla sprovvista. In questo la Svizzera si mostra previdente: Confederazione, Cantoni e Comuni si sono suddivisi le competenze e hanno definito piani d’azione per tre scenari (10mila profughi in un mese, 10mila durante tre mesi, 30mila in pochi giorni), puntando sulle guardie di frontiera e le polizie cantonali, prevedendo unicamente nel terzo scenario un ruolo sussidiario per l’esercito, essenzialmente logistico. Un esercito alle frontiere ma in sostegno ai profughi, non per respingerli. Possiamo riconoscercelo: siamo spesso un passo avanti agli altri, nelle cose pratiche.


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