Azione 15 dell'11 aprile 2016

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 11 aprile 2016

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Azione 15

Società e Territorio Anche le città ticinesi studiano strategie per evitare isolamento e apatia sociale

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Politica e Economia L’insegnamento del francese suscita discussioni in Turgovia

Ambiente e Benessere La vita può svilupparsi nello Spazio o, quantomeno, per ora è dimostrato che nelle astronavi possono nascere e crescere i vegetali

Cultura e Spettacoli Ulay si è esibito a Ginevra in una performance dolorosa, lunga e intensa

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Chi perde e chi vince a Palmira

La voce della Baia di Ushuaia

di Monica Puffi

di Stefano Faravelli

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Stefano Faravelli

Dopo le stragi di Parigi e Bruxelles siamo ancora paurosamente annichiliti di fronte a questo islamismo armato che s’aggira per l’Europa e che ci ha dichiarato guerra. Siamo riottosi di fronte al male subìto dalle nostre città, eppure tenacemente convinti che opporsi al nemico che ci odia sbandierando i nostri valori di pace, solidarietà e amore ci metterà al riparo dalla dominazione jihadista e dalla sottomissione del nostro mondo cosiddetto libero. Durante il lutto recente non ci siamo accorti, complice il silenzio di gran parte della stampa e di tante cancellerie occidentali, che in un’altra parte di mondo lontana dai riflettori del Bataclan, dalle luci degli aeroporti, dalla pagine di Facebook invase dalle bandiere francese e belga lo Stato islamico ha subito una pesante sconfitta militare proprio su quei territori che controlla. Negli ultimi quattordici mesi, secondo l’«Economist», il Califfato ha perso circa un quarto delle aree sotto il suo controllo e questo comporta un grave danno per le sue finanze e per l’esportazione di petrolio. Ma cosa più importante in Siria ha perso Palmira, dichiarata dall’Unesco «patrimonio dell’umanità». L’antica cittadella è stata liberata il 27 marzo dall’esercito di Damasco dopo giorni di strenua lotta contro i jihadisti dell’Isis, quando l’Europa ancora sotto shock per i recenti attentati celebrava la Pasqua. Nel maggio del 2015 fu messa a ferro e fuoco dai califfi barbuti che, non contenti, fecero scempio della sue antiche mura e del suo curatore, l’anziano archeologo, Khaled al Assad, decapitandolo barbaramente e appendendo il corpo a una colonna romana. L’Isis diffuse sui social network quelle immagini che fecero il giro del mondo. L’AFP è stata la prima agenzia di stampa a fotografare oggi i soldati dell’esercito di al-Assad che sventolano la bandiera siriana fra i resti archeologici di Palmira. È una di quelle notizie che meritano di definirsi storiche per il suo valore simbolico ma anche per il significato geostrategico che essa implica: in primo luogo la sua liberazione rappresenta il compimento del dovere morale – giunto molto tardivo – per essere riusciti a riappropriarsi di ciò che appartiene all’umanità intera e non soltanto a un manipolo di barbari fanatici che denigrano i valori della civiltà; in secondo luogo significa riconquistare il controllo dello snodo strategico verso Raqqa, la capitale de facto siriana dello Stato islamico, e verso Mosul, roccaforte del califfato in Iraq. «L’Isis ha appena subìto la peggiore sconfitta in più di due anni eppure – ha osservato Robert Fisk sull’“Independent” –, né il primo ministro del Regno Unito David Cameron né il presidente degli Stati Uniti Barack Obama hanno detto una sola parola riguardo a questo avvenimento». Scrive Fisk: «Sono rimasti tanto muti come la tomba a cui l’Isis ha inviato tante delle sue vittime». Nemmeno dalla Nato sono venuti commenti ufficiali su questa vittoria militare in grande stile. Il motivo di questo silenzio assordante è presto detto: la «Sposa del deserto», sfigurata ma non distrutta, non è stata strappata al califfo di al-Baghdadi dall’Occidente e la barbara uccisione del suo curatore non è stata vendicata da chi vuole esportare la democrazia in Medio Oriente. Secondo il «Washington Post» la liberazione della città rappresenta una vittoria storica per il rais siriano Bashar al-Assad e il suo esercito (coadiuvato fra l’altro da Hezbollah libanesi e forze iraniane), che ora è forse in grado di preparare l’assalto contro Raqqa. Ma è anche una vittoria altrettanto importante per l’alleato russo che con i suoi raid aerei ha dato il colpo di grazia ai jihadisti. L’attivismo russo fa da specchio all’inerzia occidentale. Nei giorni precedenti la conquista di Palmira l’esercito siriano si domandava perché gli Stati Uniti non avessero bombardato i convogli dei terroristi che vedevano avanzare nel deserto dopo aver rotto le linee dell’esercito siriano. Non fu data risposta allora, perché tanta indifferenza anche oggi, si chiede Fisk? Probabilmente è meglio tacere che dover ringraziare al-Assad, non certo uno stinco di santo che fino a ieri si voleva far cadere foraggiando i ribelli. Meglio tacere che dover ringraziare Vladimir Putin, fino a ieri in isolamento internazionale per l’annessione della Crimea. Intanto i militari russi sono già in azione per bonificare l’aerea archeologica di Palmira disseminata di mine dopo il ritiro del Califfato. Poi sarà la volta degli archeologi, anch’essi russi, a guidare una task force per la ricostruzione. Churchill dopo la vittoria alleata di El Almameni durante la Seconda guerra mondiale commentò: «Questo non è l’inizio della fine, che sia la fine dell’inizio…?». La guerra in Siria sarà probabilmente ancora lunga e molto potrà accadere. A Ginevra riprenderanno i negoziati per cercare una soluzione a cinque anni di conflitto. Palmira è stata solo la fine dell’inizio, importante e molto simbolica, ma il male non è stato estirpato. Soprattutto nell’Occidente che si ritrova i tagliagole in casa.

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