Azione 14 del 30 marzo 2015

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 30 marzo 2015

Azione 14 M sh alle p opping agin e 41 -50 /

Società e Territorio I sentieri escursionistici del Ticino, un patrimonio da gestire e promuovere

Ambiente e Benessere Quali sono gli obiettivi principali della chirurgia plastica, e quali sono le differenze tra quella ricostruttiva rispetto a quella estetica?

Politica e Economia È ipotizzabile un intervento militare in Libia?

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Cultura e Spettacoli Vite e felicità di ognuno di noi: uniche e irripetibili

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Cina, fragile dragone

Keystone

di Federico Rampini pagina 23

Un campanello d’allarme per l’AVS di Peter Schiesser È suonato il campanello d’allarme: nel 2014, per la prima volta dal 1999, il saldo di bilancio dell’AVS, ossia la differenza fra entrate e uscite, è risultato negativo. Era previsto, ma la stima di 32 milioni di franchi di maggiori uscite risulta ora decuplicata. E da qui al 2020 le autorità federali prevedono saldi di bilancio negativi tutti gli anni fino ad un massimo di un miliardo, dopodiché il divario esploderà, raggiungendo gli 8 miliardi nel 2030, data mediana in cui, si calcola, il fondo di compensazione AVS avrà consumato il suo patrimonio, attualmente di una trentina di miliardi. Siamo al punto di non ritorno? Non è la prima volta che succede da quando esiste l’AVS (1948), ricordano all’Ufficio federale delle assicurazioni sociali: avvenne negli anni Settanta e Ottanta a causa della crisi economica, poi ancora dalla metà degli anni Novanta, quando si è cominciato a sentire l’invecchiamento della popolazione. Nel 1999 il Parlamento votò un aumento dell’IVA di 1 per cento in favore dell’AVS e dell’AI (di cui 83% per la prima, 13% per la seconda) e la situazione si stabilizzò. A dir la verità, sarebbe peggiorata subito se non ci fossero stati i contributi

della manodopera straniera specializzata e ben pagata, arrivata in Svizzera dopo gli accordi sulla libera circolazione. E poi nello scenario descritto sopra non si tiene conto dei proventi che il capitale del fondo genera (nel 2014 1,7 miliardi di franchi), tuttavia questi possono solo ritardare una tendenza, non invertirla. La risposta dunque é: siamo al punto di non ritorno se le Camere federali non riusciranno a varare una riforma dell’assicurazione vecchiaia entro il 2020 che sia in grado di trovare una maggioranza in una votazione popolare. Ci riusciranno? L’esperienza e la fiducia nel pragmatismo elvetico lasciano sperare che alla fine una soluzione si troverà. Ma, solo quattro mesi dopo che il Consiglio federale ha licenziato il messaggio su «Previdenza per la vecchiaia 2020», i segnali che giungono dal Parlamento sono molto negativi per il ministro Berset. Secondo i suoi critici, il mega-pacco di riforme, in cui è contenuto l’aumento a 65 anni dell’età di pensionamento per le donne, l’età di pensionamento flessibile, una riforma della legge sulla previdenza professionale con diversi punti delicati, è votato al fallimento: più elementi critici contiene una riforma, più oppositori si coalizzeranno. Ai tre maggiori partiti borghesi, UDC, PLR, PPD, non è andato a genio che Berset non abbia tenuto

conto delle critiche espresse durante la procedura di consultazione. E ancora meno considerano accettabile che il risanamento dell’AVS e la revisione della legge sulla previdenza professionale avvengano per 9 decimi incrementando le entrate e solo per 1 decimo tramite risparmi. La commissione per la sicurezza sociale e la salute del Consiglio degli Stati affronta da alcuni giorni il messaggio del Consiglio federale e si capirà presto in quale direzione si muoverà la Camera dei Cantoni. Da informazioni stampa, i partiti borghesi sembrano orientati a suddividere il pacchetto in più riforme e ad affrontarne alcune subito, altre più avanti (altre mai), in particolare vorrebbero al più presto innalzare a 65 anni l’età di pensionamento delle donne e diminuire al 6% il tasso di conversione per i capitali del secondo pilastro. Non sono notizie tranquillizzanti: nel recente passato revisioni dell’AVS e della previdenza professionali troppo unilaterali sono state bocciate dal Popolo, o dalle stesse Camere. Se poi si considera che in tema di assicurazione vecchiaia e malattia è oggi estremamente difficile trovare una maggioranza popolare, come sostiene in una sua analisi il politologo svizzero tedesco Michael Hermann, la scadenza del 2020 per trovare una soluzione solida appare fin troppo vicina.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 marzo 2015 ¶ N. 14

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Attualità Migros

M Nuovo supermercato Inaugurata Migros Faido Migros a Melano Filiali È stato aperto al pubblico giovedì 26 marzo

Filiali Sede rinnovata, dall’ambiente piacevole

È ubicato in via Cantonale 89, al piano terra del nuovo stabile di proprietà del Municipio che a breve ospiterà la Casa Comunale. Progettata dagli architetti Nicola Baserga e Christian Mozzetti di Muralto, la struttura è stata realizzata secondo i parametri Minergie ed è dotata di un piccolo impianto fotovoltaico. Su una superficie di vendita di 450 mq il supermercato propone un assortimento orientato alle necessità quotidiane, con un’offerta di ben 7000 articoli alimentari e non, focalizzata sui prodotti freschi, mentre sono 34 i posteggi a disposizione della clientela. Il supermercato, caratterizzato da un’importante isolazione termica, è dotato di impianti per la produzione di freddo di ultimissima generazione a basso consumo che utilizzano gas neutri per l’ambiente e il cui calore è recuperato per riscaldare l’intero stabile. Inoltre i congelatori e i frigoriferi sono dotati di sportelli, ciò che permette di ridurre il consumo energetico del 45 per cento, mentre gli impianti di illuminazione sono a tecnologia LED, con un consumo elettrico inferiore del 50 percento rispetto agli impianti convenzionali. Il supermercato (il trentunesimo di Migros Ticino) occupa 10 persone, 9 delle quali domiciliate nel cantone, sotto la guida del gerente Dario Calori. L’apertura ha comportato un investimento di 1,2 milioni di franchi, per oltre il 90 per cento appaltato a ditte e artigiani della regione o svizzere. Migros Ticino conferma così la

Su una superficie di vendita di 1100 mq il negozio ha mantenuto il vasto assortimento di oltre 10’000 articoli sia del settore alimentare, tra i quali numerosi prodotti freschi e della linea dei Nostrani del Ticino, così come del settore non alimentare, con un’offerta che spazia dai tessili ai casalinghi. I lavori hanno tenuto conto sia degli obiettivi di risparmio energetico fissati dalla Cooperativa, sia della comodità per clienti e collaboratori. In particolare sono stati sostituiti i congelatori e i frigoriferi – e anche questi ultimi sono ora dotati di sportelli – che utilizzano gas neutri per l’ambiente e la cui illuminazione è a tecnologia LED, mentre le casse sono state rimpiazzate con nuovi mobili con lo scivolo per la spesa. L’offerta è completata dalla presenza di un chiosco. Le misure di risparmio energetico sono state ottenute in particolare

Il gerente Dario Calori e il suo staff. (Flavia Leuenberger)

sua volontà di sviluppare, migliorare e ammodernare regolarmente la sua rete di vendita in tutto il cantone con infrastrutture a basso consumo energetico rispettose dell’ambiente, cercando di integrare impianti per la produzione

Caccia al tesoro botanico Eventi La ospiterà il Parco Ciani di Lugano,

lunedì 6 aprile, giorno di Pasquetta

L’appuntamento è ideato e organizzato da Gardens of Switzerland (un network che contribuisce alla promozione e alla conoscenza della storia dell’arte dei giardini e della botanica

elvetica attraverso convegni, corsi e pubblicazioni) con la collaborazione della Scuola Club Migros Ticino e il Patrocinio della città di Lugano: la Caccia al tesoro botanico sarà un’ottima occasione per avvicinare i bambini e le loro famiglie al giardino e alla natura, facendo loro scoprire e riconoscere in maniera giocosa gli alberi e le piante presenti nel parco. E mentre i bambini saranno impegnati, per gli adulti verranno proposte visite guidate alla scoperta della flora e della storia del parco. Scuola Club offrirà piccoli premi di cioccolato e la merenda per i bambini. L’appuntamento è per il 6 aprile 2015, dalle ore 14.00 a Villa Ciani (fronte lago).

di energia sostenibile, autonomamente o in collaborazione con aziende ed enti pubblici ticinesi. Migros Melano è aperta dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 18.30, il sabato dalle 8.00 alle 17.00.

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Edy Frei insieme ai suoi collaboratori.

Migros News Migros la marca più amata Nell’ambito del nuovo studio Brand Predictor è stata chiesta l’opinione di 4145 persone in Svizzera in merito a marche nazionali ed estere. In base al sondaggio la marca Migros, al 2° posto nel 2014, è oggi la marca più amata in Svizzera. La marca M-Budget si classifica a sua volta al 2° posto, vantando un’immagine pubblica eccezionale. Nella classifica delle marche più affidabili Migros si piazza nel 2015 al 1° posto davanti a Toblerone e Chocolat Frey. In quella delle marche più dinamiche MBudget è al 1° posto, davanti a YouTube e Zalando. Gli specialisti del settore sono in grado già oggi di pronosticare le marche al top dei prossimi anni. Secondo le loro valutazioni Migros sarebbe annoverata anche nel 2017 come marca più affidabile e continuerebbe a piazzarsi al 1° posto tra le marche al top. Incontri al vertice

informazioni

Segreteria Scuola Club Migros Ticino: +41 091 821 71 50. Costo iscrizione: 5.– Fr. da effettuare in loco. In caso di pioggia l’evento verrà annullato.

Azione

grazie alle installazioni di nuova generazione, che permettono di ridurre al minimo i consumi e l’impatto ambientale, mentre il sistema di riscaldamento recupera il calore dei frigoriferi per l’acqua sanitaria utilizzata per le attività del supermercato e per i 12 appartamenti ubicati ai piani superiori. Per il calore la filiale si approvvigiona tramite teleriscaldamento dalla centrale termica a cippato realizzata dal Comune di Faido. La ristrutturazione del supermercato ha richiesto un investimento di 850 mila franchi, quasi interamente appaltato ad aziende e artigiani ticinesi o svizzeri. La gerenza del negozio, che occupa 21 collaboratori residenti in Ticino, è affidata a Edy Frei. Il negozio è aperto dal lunedì al venerdì dalle 08.00 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 18.30 (alle 20.00 il giovedì); il sabato dalle 08.00 alle 17.00.

Alla fine del 2015 si terrà a Parigi una nuova conferenza sul clima organizzata sotto gli auspici dell’ONU. L’in-

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

contro dovrebbe condurre alla firma di una nuova convenzione globale. In che modo ciò modificherà il mondo? A quali aspettative si espone la Svizzera in questo contesto? Tali domande sono state discusse il 6 marzo scorso durante l’«aperitivo Kyoto» organizzato dal WWF a Zurigo, dove la consigliera federale Doris Leuthard ne ha parlato con i rappresentanti del mondo economico e dell’industria. L’ultimo intervento è stato quello del presidente della Direzione generale della FCM, Herbert Bolliger, il quale ha affermato, che Migros sta attualmente implementando in modo autonomo interventi ecologici molto più ambiziosi delle misure che la politica richiede al mondo economico. Migros, infatti, si è impegnata a ridurre le sue emissioni di gas a effetto serra del 20 per cento tra il 2010 e il 2020. Nello stesso periodo di tempo la Svizzera chiede che il suo quantitativo totale di emissioni diminuisca del 12 per cento. La luce del futuro Migros inserisce nel suo assortimento le lampadine a LED e con esse equipaggia le sue filiali. Ma cosa rende la luce LED così ricercata ed attraente nella tecnologia di illuminazione moderna? Tali lampadine offrono molti vantaggi: necessitano infatti, a parità di emissione di luce, di un quantitativo dimezzato di corrente elettrica rispetto

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alle lampadine a risparmio energetico e addirittura quattro volte minore rispetto alle lampade alogene. A lungo andare il loro utilizzo porterebbe sicuramente ad un risparmio. Inoltre durano molto più a lungo (fino a 20’000 ore), emettono una luce chiara e non comportano danni alla salute poiché non contengono mercurio, come succede ad esempio per le lampadine a risparmio energetico. L’unico loro svantaggio è il costo, che rispetto ad altri tipi di lampadina è leggermente maggiore. Attualmente si stanno compiendo ricerche specifiche per migliorare le tonalità della luce LED, come ad esempio la temperatura e la luminosità dei colori. Salmone sostenibile Migros amplia la sua offerta di pesce proveniente da fonti sostenibili. L’azienda nei suoi reparti surgelati ha messo in vendita due nuovi prodotti a base di salmone, sotto l’etichetta ASC, e senza aumento di prezzo. ASC è l’acronimo di Aquaculture Stewardship Council, un’organizzazione pubblica, che promuove l’allevamento di pesce e di frutti di mare ecologici. Attualmente il 98 per cento di tutti i prodotti ittici di Migros derivano da fonti sostenibili. Entro il 2020 l’azienda vuole proporre un assortimento di pesci e frutti di mare completo, tratto soltanto da fonti sostenibili.

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Società e Territorio Le storie dei migranti Gli studi di Paolo Barcella sugli emigranti si basano oltre che su fonti tradizionali anche su scritti di gente comune come lettere, temi scolastici o diari

Oggetti smarriti Visita all’ufficio e al deposito Oggetti Trovati della Polizia della Città di Lugano pagina 6

Ti-Press

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Lungo i sentieri del Ticino Escursionismo La fitta rete di itinerari del nostro cantone si snoda per 4200 chilometri, la maggior parte dei quali

gestiti dall’associazione Ticino Sentieri Roberto Porta Chi va per sentieri probabilmente non lo sa, ma sotto la suola dei propri scarponi, tra sassi e cespugli si nasconde persino un articolo iscritto nella Costituzione federale. «La Confederazione emana principi sulle reti di sentieri e sui percorsi pedonali». Una frase, quella dell’articolo 88, decisamente in «burocratese» ma che ci dice in sostanza che l’escursionismo in Svizzera viene considerato un’attività nobile, con la Confederazione che si impegna a dar una mano ai cantoni nel promuovere e curare la fitta rete dei sentieri elvetici. In tutto il Paese questi itinerari pedestri raggiungono una lunghezza totale di ben 65mila chilometri, ciò che su per giù equivale ad una volta e mezzo la circonferenza della Terra. Un vero e proprio patrimonio nazionale che, tra i cantoni, vede il Ticino nel gruppo di testa per le proposte escursionistiche che il suo territorio è in grado di offrire. Da Airolo a Chiasso la rete di percorsi si snoda lungo ben 4200 chilometri. Di questi 3800 sono considerati di interesse cantonale e sono gestiti dall’associazione Ticino Sentieri che su mandato di Bellinzona e in collaborazione con gli enti turistici locali si occupa della manutenzione di questi itinerari. Sugli

altri 400 chilometri sono invece i Comuni a dover vegliare. Un lavoro nell’ombra, quello della manutenzione di queste vie, il cui valore viene spesso sottovalutato. «Eppure stiamo parlando di un impegno davvero notevole – ci dice Marco Valenti, presidente della commissione tecnica di Ticino Sentieri – si tratta in particolare di riparare i percorsi se ci sono stati danni della natura, di tagliare rami o alberi pericolanti e di falciare erba e cespugli». Ma anche di costruire ponti, far saltare rocce o assicurare pareti a rischio, anche con l’oneroso impiego di elicotteri. In autunno arriverà in Gran Consiglio il nuovo credito quadro per il prossimo quadriennio in favore proprio di Ticino Sentieri, «finora dalle casse del cantone ci sono stati garantiti sei milioni su quattro anni – aggiunge Valenti – per il futuro speriamo di poter aumentare questa cifra a cui si aggiungono circa 14 milioni di finanziamento in arrivo dagli enti turistici». Ticino Sentieri ha alle sue dipendenze all’incirca 80 persone, a cui di tanto in tanto si aggiungono persone senza lavoro che svolgono un programma occupazionale, militi della protezione civile o anche richiedenti l’asilo. Un lavoro senza sosta per garantire agli appassionati una gita piacevole e sicura

ma anche per conservare intatti percorsi che fanno parte di un bagaglio storico e culturale di rilievo, perché la storia del canton Ticino passa anche da questa rete di sentieri. Storie di alpigiani, di commerci, di contrabbando o semplicemente di viandanti che si intrecciano tra loro lungo i percorsi che solcano le Alpi. Seppure in un modo diverso rispetto al passato «il valore del sentiero è oggi molto alto – ricorda ancora Marco Valenti – un recente sondaggio ha rilevato che l’escursionismo è ormai il primo sport svizzero, la popolazione sta rivalutando le attività all’aperto e il sentiero è senza dubbio lo strumento principale che ci permette di stare a diretto contatto con la natura». E non solo per chi si muove a piedi ma anche per chi pratica il mountain biking, con a volte, va pur detto, problemi di convivenza tra escursionisti e ciclisti. E chi dice sentieri, dice spesso anche capanne. «La rete dei nostri sentieri è buona – fa notare Giorgio Matasci, presidente della FAT, la Federazione alpinistica ticinese – la gente oggi vuole camminare e cerca sentieri marcati e sicuri. Il Ticino sa offrire tutto questo ma sono convinto che si potrebbe fare ancora meglio. In capanna ci si arriva solitamente bene, i problemi nella qua-

lità dei sentieri e della loro segnalazione cominciano dopo, nelle traversate in quota o nei collegamenti da rifugio a rifugio, in questi settori si potrebbe fare di più». E questo su tutti i fronti, dalle stesse società alpinistiche, ai patriziati, passando dai comuni e dagli enti turistici. Uno sforzo globale perché il settore delle capanne non è da sottovalutare in un’ottica turistica. «Negli anni buoni, quando il fattore meteo ci aiuta – sottolinea Matasci – nelle nostre capanne ospitiamo fino a 25mila persone all’anno». E la qualità dei sentieri è un fattore importante per invogliare gli appassionati, anche quelli occasionali, a salire in quota. A farlo dalle nostre parti sono soprattutto i turisti, l’80% circa delle persone che pernottano in una capanna ticinese sono svizzero-tedeschi, romandi o cittadini germanici. In altri termini il ticinese medio è piuttosto latitante in alta quota, o perché è più pigro o perché preferisce svolgere altre attività nel tempo libero. Nel corso degli ultimi anni le capanne si sono trasformate in piccoli alberghi di montagna, la maggior parte di loro è gestita da un custode a tempo pieno e dispone di una cucina di tutto rispetto. Comodità a cui va aggiunta la qualità del sentiero per rendere una gita davvero attrattiva. «Non dobbia-

mo dimenticare – rileva Marco Valenti di Ticino Sentieri – che l’escursionista svizzero tedesco è spesso abituato ai propri sentieri, in molti casi collinari, e vuole ritrovare qualcosa di simile anche da noi». In altri termini, anche in questo settore, la qualità del prodotto fa e farà sempre di più la differenza. Ma al di là delle escursioni più o meno impegnative con meta finale una delle tante capanne ticinesi non vanno dimenticati nella categoria «sentieri» gli itinerari definiti tematici, che si snodano a volte anche lungo i fondovalle. In questo ambito negli ultimi anni, in Ticino ma anche nel Moesano, c’è stato un fiorire di proposte per tutti gusti. Ne citiamo solo alcune. Da Indemini a Gerra Gambarogno si snoda il cosiddetto «Percorso delle fatiche delle donne di Indemini», una scarpinata di circa otto ore tra andata e ritorno sulle tracce delle donne che in passato portavano al mercato del piano i prodotti del loro lavoro. C’è poi un più comodo «Sentiero delle meraviglie» nel Malcantone o un più invitante «Itinerario tra i vigneti» nel Mendrisiotto. Senza dimenticare, in ogni caso, l’impegno di chi lungo i sentieri e grazie al proprio lavoro, a volte anche volontario, aiuta l’appassionato a muoversi… sicuro dei propri passi.


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Preparazione: scaldate il forno a 250 °C. Tritate lo scalogno e l’aglio e fateli appassire nel burro. Unite il vino, la salsa per arrosto e fate sobbollire per 10 minuti. Condite con sale e pepe e tenete in caldo. Frullate la metà dell’olio con i pinoli e la menta. Incorporate il pangrattato e condite con sale e pepe. Condite la carne con sale e pepe e rosolatela nell’olio rimasto per 2 minuti. Accomodate la carne in una teglia foderata con carta da forno. Distribuite la crosta di pinoli e menta sulle lombatine e cuocetele al centro del forno per 6 minuti. Estraete dal forno la carne. Avvolgetela nella carta alu e fatela riposare per 5 minuti. Unite il liquido della carne formatosi nel cartoccio alla salsa. Tagliate la carne e servitela con la salsa. Tempo di preparazione ca. 30 minuti Per persona ca. 36 g di proteine, 50 g di grassi, 9 g di carboidrati, 2650 kJ/640 kcal


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Società e Territorio

Mamma, non piangere Migranti in classe Gli studi dello storico Paolo Barcella si sono concentrati prima sugli emigranti italiani in Svizzera

attraverso gli scritti di gente comune e ora sui diari di guerra di Ugo Frizzoni, medico di origini grigionesi

Daniela Delmenico «Anno 1968 ore 17 di un pomeriggio triste, il più triste della mia vita, appena diciottenne, mi accingevo a salutare i miei genitori, per andare a lavorare in una terra mai vista, tanto lontano dalla mia casa che si trova in un paese dell’Italia meridionale; paese sfortunato: tanto bello, ma, tanto povero che vede, ogni giorno partire tanti suoi cari figli! “Mamma, non piangere andrò a lavorare finalmente dove potrò guadagnare quei soldi che mi permetteranno di aiutarvi, e poi, sai mamma, mi sento un poco come una principessa che va, in un paese meraviglioso” dicevo a mia mamma con un sorriso sulle labbra ma, con la morte nel cuore». Così comincia il tema scolastico di Rosalia, una ragazza italiana emigrata in Svizzera per lavorare, mentre cercava di conseguire la licenza media italiana, presso una scuola italiana in Svizzera. Lo scritto di Rosalia fa parte di una serie di documenti raccolti dallo storico bergamasco Paolo Barcella, che si è a lungo occupato della questione dell’emigrazione italiana in Svizzera del Secondo dopoguerra. Dopo la laurea in Scienze politiche a Milano, conseguita con una tesi sulla storia dei cattolici negli Stati Uniti, Paolo Barcella entra per caso in contatto con alcuni migranti di La-Chaux-de-Fonds e con il Centro Studi Emigrazione dei Padri scalabriniani di Basilea che gli commissiona una ricerca sulle missioni cattoliche italiane in Svizzera. Svolge così la sua prima ricerca sulla realtà svizzera, utilizzando una tipologia di fonti abbastanza particolare, le fonti orali, la cui validità e il cui interesse aveva già avuto modo di testare in alcuni lavori sulla storia di Bergamo. Racconta Barcella: «è così che è nato il mio interesse per la storia dell’emigrazione italiana in Svizzera: ho cominciato a sviluppare un progetto di ricerca che doveva essere il proseguimento di questa ricerca sui missionari cattolici e che poi è diventato la mia tesi di dottorato e il volume Venuti qui per cercar lavoro. Gli emigrati italiani nella Svizzera del secondo dopoguerra». Pubblicato nel 2012, il libro analizza il fenomeno migratorio del secondo

dopoguerra, da un punto di vista economico e istituzionale ma soprattutto attraverso le testimonianze dei migranti. Con l’editore, la Fondazione Pellegrini Canevascini, Barcella ha iniziato una collaborazione: «il lavoro che svolgo per la Fondazione Pellegrini Canevascini mi ha permesso di mantenere i rapporti con la realtà ticinese e con quella Svizzera più in generale, e quindi di continuare a lavorare sull’emigrazione. È così nata l’idea di concentrarmi sullo studio delle seconde generazioni di emigrati, e sulle cosiddette “generazioni 1.5”, ovvero quelle persone nate in Italia ma giunte in Svizzera già in età adolescenziale». Da questo interesse, e dagli studi che ne sono seguiti, è nato il secondo libro di Barcella, Migranti in classe. Gli italiani in Svizzera tra scuola e formazione professionale, pubblicato in aprile 2014 dalla casa editrice Ombre Corte. Come racconta lo storico «anche per questo lavoro mi sono servito, accanto ad altri documenti più convenzionali e ufficiali, delle fonti orali, e come per Venuti qui per cercar lavoro, di quelle che vengono chiamate le scritture di gente comune, come le lettere e i temi scolastici». Sono questi appunto – accanto ad altri documenti dell’archivio dell’ECAP CGIL Svizzera – il cardine su cui poggia l’analisi condotta in questa seconda pubblicazione: di grande interesse sono soprattutto i temi scolastici trovati nell’archivio della Missione cattolica italiana di Winterthur, che raccoglie gli scritti prodotti dai migranti allievi della scuola Dante Alighieri della missione stessa. Attraverso questi documenti, Barcella racconta e analizza la storia degli italiani nelle scuole italiane in Svizzera. «Queste scuole sono in un certo senso il risultato di due correnti, di provenienza diversa ma con ugual direzione: da un lato la politica svizzera del Gastarbeiter, i lavoratori ospiti, risultato della volontà della classe dirigente della Confederazione di far rientrate i lavoratori in Italia una volta che non fossero più stati necessari; dall’altro la forte volontà della maggior parte dei migranti di tornare il prima possibile in patria. In questo modo però si creava una situazione problematica,

Stazione di Berna, 1965: Gastarbeiter italiani con le famiglie. (Keystone/Peter Studer)

soprattutto in quei numerosi casi in cui il rientro in Italia non avveniva. A quel punto i figli di emigrati che avevano frequentato la scuola italiana in Svizzera avevano gravi problemi di integrazione: basti pensare che non conoscevano nemmeno la lingua». I temi raccolti presentano spesso storie autobiografiche, in cui gli scriventi raccontano la loro condizione di emigrati e la loro esperienza in Svizzera: «in molti casi emerge la contraddittorietà dell’esperienza migratoria. Nello stesso tema infatti si trovano narrati gli aspetti positivi della vita in Svizzera, ma anche elementi che la rappresentano in maniera totalmente opposta… è un aspetto che colpisce, perché è evidente che i migranti stessi vivevano sulla propria pelle questa contraddittorietà. Un secondo aspetto interessante, dei molti che emergono alla lettura di questi testi, sono le caratteristiche delle scritture femminili. Sembra infatti che le donne tendano a dare un valore maggiormente positivo alla loro esperienza in Svizzera, questo perché per molte di loro emigrare

significava emanciparsi da una realtà rurale, trovare un lavoro e sentirsi in qualche modo libere». In Migranti in classe, Barcella studia anche la formazione professionale dei migranti italiani, nata a partire da sindacati o associazioni, e grazie a personaggi come Leonardo Zanier delle Colonie libere o Giorgio Cenni e Giovanni Longu del CISAP (Centro Italo-Svizzero Addestramento Professionale): «queste scuole avevano lo scopo di aggiornare i lavoratori italiani, e di adattarli alla vita di fabbrica, ai suoi strumenti e soprattutto ai suoi ritmi. Questo era necessario poiché, negli anni 60 in particolare, la maggior parte di questi lavoratori proveniva da zone rurali, e non era per niente abituato allo stile di vita che aveva trovato in Svizzera». Nelle sue ultime ricerche, tuttora in corso, Paolo Barcella ha, in un certo senso, invertito la prospettiva: «in effetti, attualmente mi sto occupando dell’emigrazione degli imprenditori svizzeri nella Bergamasca, avvenuta tra il Settecento e l’Ottocento. Più che

un’inversione di prospettiva però è uno sguardo all’indietro: la forte emigrazione dalla Bergamasca verso la Svizzera nel corso del Novecento e del secondo dopoguerra in particolare può infatti essere letta, almeno in parte, come una conseguenza della presenza sul territorio di importanti famiglie di origine svizzera, che creavano i contatti con le fabbriche elvetiche e reclutavano i lavoratori». Questi imprenditori svizzeri, attivi soprattutto nel settore tessile (della seta tra Sette e Ottocento e del cotone verso la fine dell’Ottocento), avevano costituito la comunità elvetica bergamasca che a Bergamo ha rappresentato un’élite economica e culturale importante almeno fino alla Seconda guerra mondiale. Lavorando a un progetto di ricerca su queste famiglie, lo studioso ha ritrovato i diari di guerra di Ugo Frizzoni (1875-1951), membro di una famiglia di imprenditori grigionesi emigrati a Bergamo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, pediatra, consigliere comunale socialista e membro della Camera del lavoro di Bergamo, conservati nell’archivio privato della sua famiglia. «Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, Frizzoni, diventato socialista, aveva cominciato la sua attività politica. Con lo scoppio della grande guerra però decide di arruolarsi come medico volontario della Croce Rossa (la cui sezione bergamasca era stata appunto fondata con l’apporto di alcuni membri della comunità svizzera), per curare i soldati figli dei contadini e degli operai in guerra. Nei suoi diari Frizzoni descrive con precisione quello che accade intorno a lui, gli ospedali militari dove prestava servizio, e le persone, i malati, gli altri medici, il cappellano militare, ma racconta anche delle operazioni belliche alle quali assisteva, o che gli venivano narrate, presentando uno spaccato della storia della Prima guerra mondiale, attraverso lo sguardo del medico. Dalle pagine di questi diari emerge infatti anche il ritratto di un uomo gentile, educato e intelligente, con una grande passione per il suo mestiere». Il libro Un medico a Caporetto. I diari di guerra di Ugo Frizzoni uscirà nelle prossime settimane.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 marzo 2015 ¶ N. 14

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Società e Territorio

Via Beltramina 20b Visita all’ufficio Oggetti Trovati della polizia

Una Piazza ancora più Grande

della Città di Lugano

Urbanistica Agorà Mundi, un intervento

Guido Grilli

artistico originale che vuole ricordarci il valore del salotto all’aperto locarnese

Smarriti e ritrovati Cento franchi trovati per terra? L’istinto suggerirebbe di ringraziare la fortuna, raccoglierli e impossessarsene senza indugio e, possibilmente, lontano da ogni sguardo. Non così invece propongono l’etica e soprattutto la legge. In fondo basterebbe porsi nei panni dell’altro, di chi cioè quella somma, elevata o meno che sia, la smarrisce. C’è chi smarrisce e c’è chi trova, ne sono testimoni ogni giorno gli addetti agli uffici oggetti smarriti, presenti in tutti gli uffici delle polizie comunali. Il più grande in Ticino – già solo per il numero di abitanti del comprensorio (oltre 68mila anime) – è quello della polizia della Città di Lugano, al numero 20b di via Beltramina. Si chiama, ottimisticamente, Oggetti Trovati. Responsabile, alla quale ci siamo rivolti per conoscere più nel dettaglio statistiche, norme di comportamento e aneddoti, è Cristina Bernardoni, che chiarisce subito come la materia sia regolata dall’articolo 720 del codice civile svizzero, che recita: «chi trova una cosa smarrita è tenuto a darne avviso al proprietario e, non conoscendolo, a darne avviso alla polizia o a fare egli stesso le indagini e le pubblicazioni indicate dalle circostanze». Pena? La sanzione pecuniaria della multa ai sensi dell’articolo 332 del Codice penale svizzero. Solo se decorso il termine di 5 anni l’oggetto non viene reclamato da nessuno e non si riesce a rintracciare il legittimo proprietario, il bene viene allora ceduto a chi lo ha ritrovato. Se invece lo smarritore si annuncia entro il termine dei cinque anni, il trovatore può richiedere e pretendere un’equa ricompensa pari al 10% del valore dell’oggetto. Ma che cosa si perde di più? Ecco la classifica degli oggetti smarriti con maggiore ricorrenza, forniti dall’Ufficio, a capo della cui sezione si trova Andrea Marescalchi: borsellini con documenti, banconote, cellulari, anelli e orologi. E come si risale al proprietario? Quali possibilità ci sono di rintracciarlo/a? Risponde Cristina Bernardoni: «La chance di risalire alla persona varia a seconda dell’oggetto che si è perso. Se si tratta di un documento di legittimazione le speranze sono elevate, mentre se si tratta di banconote, anelli, computer e altri oggetti di valore, in assenza di una denuncia è quasi impossibile rintracciare la persona, a meno che non ci contatti per chiedere se nel nostro ufficio è giunto l’oggetto smarrito. Per questo motivo consigliamo sempre alle persone di sporgere la denuncia alla polizia cantonale, dopo 3-4 giorni dallo smarrimento o furto».

Cristina Bernardoni nell’ufficio Oggetti Trovati di Lugano. (Stefano Spinelli)

In presenza di una difficile situazione finanziaria come quella che stiamo vivendo, è ipotizzabile che chi trova soldi o oggetti di valore sia più reticente a consegnarli alla polizia, producendo così un calo di attività del vostro ufficio? «No, affatto – dichiara la responsabile del servizio Oggetti Trovati –, i dati confermano che fra il 2013 e il 2014 c’è stato un incremento degli oggetti consegnati ai nostri servizi. Mentre per gli oggetti di valore, c’è stato un leggero aumento per quanto riguarda la consegna di banconote e una leggera diminuzione per anelli e cellulari». La nostra interlocutrice ci fornisce le cifre dettagliate degli ultimi due anni: nel 2013 le banconote consegnate alla polizia sono state 103 e sono lievitate a 138 nel 2014; nello stesso periodo gli anelli sono calati da 32 a 25; mentre i telefonini cellulari sono passati da 85 a 83. Intanto, dietro ad ogni ritrovamento, vi è sempre una storia non priva di emozioni. Abbiamo chiesto a Cristina Bernardoni di raccontarci un aneddoto tra i tanti, naturalmente preservando l’anonimato dei protagonisti. «Un paio di mesi fa – racconta la responsabile – il mio capo mi ha consegnato un borsellino che ha trovato a Pregassona sprovvisto di documenti, ma con all’interno un importo equivalente a circa 6’000 franchi svizzeri. Dopo una trentina di minuti ci ha contattati il proprietario, era molto provato, dicendomi che aveva smarrito il portamonete a Pregassona. Mi ha specificato nei dettagli i pezzi di ogni

Il ciottolo più estroso? Sì, forse quello brasiliano. Si è tentati di cercare, sfogliando questo catalogo Agorà Mundi (Salvioni, 2013, foto di Stefano Spinelli) una somiglianza possibile tra il sasso fotografato e la sua regione di appartenenza. Quasi come se potesse sussistere un rispecchiamento «caratteriale» tra una pietra e la porzione di mondo da cui è stata prelevata. Il proposito è evidentemente assurdo. Ma, di certo, l’intervento artistico-ubanistico architettato da Attilio Wismer, e documentato in questa originale pubblicazione, si presta a riflessioni che sono al contempo folli e significanti. Significanti perché l’intenzione fondamentale del suo lavoro è quello di restituire al selciato di Piazza Grande di Locarno una dimensione universale, concretizzando così nel suo stesso tessuto stradale la vocazione cosmopolita della cittadina. L’intuizione che ha dato l’avvio a questa azione artistica così unica, ci racconta Widmer, gli è sorta proprio durante il Festival del film, un’occasione in cui la città si apre al mondo in senso artistico e turistico. Osservando da normale spettatore il selciato della Piazza si era reso conto del fatto che una pavimentazione di questo genere acquista valore e bellezza proprio dalla sua eterogeneità, dall’accostamento casuale di pietre più diverse. Piazza Grande, in altre parole, come spazio unico, armonioso, a disposizione dell’uomo, nasce dalla varietà e dalla diversità dei suoi elementi. A questa riflessione era poi seguita l’intuizione artistica (non esente da un

suo grain de folie): visto che in molti punti il manto sassoso era rovinato, Wismer ha pensato di offrirsi come restauratore volontario. E per fare in modo che il valore della Piazza quale spazio di incontro venisse sottolineato, eccolo chiedere aiuto agli amici. La proposta è stata che ognuno di loro portasse una pietra dai propri viaggi in varie parti del mondo. Lui l’avrebbe usata per colmare i vuoti, collocandola accanto alle altre «originali». A oggi quelle che ha ricevuto sono ben 112, di cui 61 fotografate in catalogo. La Piazza, sottoposta a questo processo di espansione «mondiale», diventa idealmente ancora più Grande: un concreto simbolo di convivenza funzionale tra elementi diversi. Il lato folle dell’intervento sta anche nella modalità clandestina con cui Wismer in un primo tempo restaurava il selciato... senza che nessuno lo sapesse. Un po’ alla notte, un po’ di giorno utilizzando un’attrezzatura cammuffata nei sacchetti della spesa, rimuoveva lo strato di terra, creava uno spazio nella sabbia della pavimentazione e inseriva la pietra «straniera». L’intervento artistico concettuale, all’inizio, era un vandalismo a rovescio. Tanto che quando Attilio Wismer infine decide di far venire alla luce il progetto, si presenta al sindaco Speziali con la frase «Signora, ho commesso un’opera d’arte...». L’intervento e l’idea sono stati così apprezzati da ricevere, infine, il patrocinio della Municipalità. Agorà Mundi (www.agoramundi.ch) sarà presentata ufficialmente giovedì 16 aprile alle 18.30 alla Biblioteca cantonale di Locarno, da Fabio Merlini. /AZ

banconota. In questo modo ho potuto confermare che si trattava dei suoi soldi. E quando si è presentato da noi in ufficio per ritirarli non poteva credere ai propri occhi». Insomma, un lavoro tra cuore – la preziosa onestà di chi consegna la somma o l’oggetto di valore trovato al più vicino ufficio di polizia – e batticuore di chi si ritrova alleggerito dei propri averi perlopiù per distrazione. L’ufficio Oggetti Trovati conduce, nel limite delle proprie possibilità, indagini per risalire ai proprietari degli oggetti. Talvolta vere e proprie intuizioni alla maniera di Sherlock Holmes possono condurre alla soluzione del «giallo». Una catenella che ha ritrovato il proprio legittimo proprietario, grazie al nome indicato sul prezioso oppure un anello nuziale tornato a cingere l’anulare grazie alla presenza delle iniziali unite alla data di nascita. Tra gli strumenti d’indagine utilizzati vi sono certamente Internet e i programmi informatici a disposizione della polizia, che consentono elementari quanto efficaci verifiche, non solo sul territorio ticinese ma anche all’estero. La polizia della Città di Lugano riunisce gli oggetti ritrovati in uno speciale deposito sotto chiave nella sede di via Beltramina. Centinaia di oggetti si trovano ancora senza i legittimi proprietari. Per chi avesse perso un oggetto prezioso il consiglio è quello di contattare senza indugio l’ufficio allo 058 866.81.11. Potrebbe sentirsi rispondere, «Elementare, Watson!» e riconquistare il sorriso.

Brasil, Moreré, Ilha de Boipeda, Bahia: una delle pietre in catalogo. (Stefano Spinelli)

settimanale o la testata appena nata. Facebook avrebbe preso contatti anche con il «Guardian» che però si è mostrato piuttosto contrario chiedendo al settore di fare cartello per negoziare i termini dell’accordo e non perdere il controllo sui contenuti e sulla pubblicità. I contenuti e le notizie ospitate sulle bacheche del social network, infatti, non rimanderanno ai siti d’informazione o a domini esterni, i lettori da lì non approderanno al sito del giornale come avviene oggi ma rimarranno sempre sulla bacheca. In cambio della perdita del controllo delle informazioni i giornali si vedrebbero però garantire una parte degli introiti pubblicitari. Per David Carr (recentemente scomparso) e Jay Rosen, i giornali così facendo diventerebbero solo «dei servi in un regno governato da Fb» e non fareb-

bero che alimentare ulteriormente i profitti di quello che è un monopolista digitale così come lo sono Google e Twitter. I giganti della internet economy già dispongono di centinaia di migliaia di persone che creano contenuti gratuiti per loro e rendono possibili elevati guadagni. Per intenderci il margine del profitto lordo di Fb nel 2013 è stato del 76%. Inoltre, in un articolo pubblicato sul sito della «Columbia Journalism Review», Ryan Chittum ex giornalista del «Wall Street Journal», si dice completamente contrario all’accordo, e anzi mette in guardia gli editori dal miraggio di conquistare facili e nuovi lettori: gli utenti di Fb sono passivi, non sono in grado di scegliere i contenuti che invece vengono selezionati e decisi da un algoritmo che agisce come un filtro. Come ha detto Jay Rosen, smet-

La società connessa di Natascha Fioretti Facebook, la preghiera del mattino dell’uomo 2.0

Era nell’aria, Zuckerberg non ha mai fatto segreto del suo interesse per il giornalismo o, meglio, della sua intenzione di fare di Facebook una sorta di edicola digitale globale che distribuisce le informazioni e i contenuti delle principali testate internazionali e non solo. Vorrà dire che la preghiera del mattino dell’uomo 2.0 non sarà più la lettura del giornale cartaceo (e fin qui nulla di nuovo), ma quella della Timeline del suo profilo Facebook, molto probabilmente sullo schermo del proprio cellulare. Potrebbe essere un modo per avvicinare i non lettori e le giovani generazioni ai quotidiani, anziché leggere solo i post dell’amico che racconta del suo ultimo viaggio, leggeranno anche le notizie di politica o di economia.

E sarà anche una nuova strada per i giornali per conquistare e fidelizzare nuovi lettori, fanno evidentemente gola gli 1,4 miliardi di utenti della piattaforma social. Come funzionerà nei fatti questa liaison per ora non lo sappiamo mentre sembra certo che dell’iniziativa faranno parte il «New York Times», «BuzzFeed» e il «National Geographic». Non male se si pensa alla prima come una testata storica, tradizionale, da sempre baluardo del giornalismo di qualità e, al secondo, come il sito d’informazione più moderno e virale del web diventato famoso grazie ai gattini. Un bel contrasto che ci fa capire ancora di più come il cambiamento della produzione, distribuzione, fruizione e ricavi delle notizie riguardi tutti, sia il grande che il piccolo editore, sia la testata di qualità generalista che il

tiamola di credere che «Fb sia una finestra oggettiva nel mondo sociale». Insomma quello che il «New York Times» vede come «un gigantesco atto di fede» da parte dei giornali, altri lo vedono come una resa rischiosa e un tantino ingenua. Per Chittum «è oltremodo rischioso costruire il proprio modello di business attorno a questi monopoli giganteschi». Vincenzo Cosenza, esperto di social media, in un’intervista all’Ansa si dice invece meno pessimista e più che una resa vede nell’accordo Fb-editori «un’opportunità che va sperimentata» e non «sottovalutata» in particolare per quanto riguarda l’aspetto economico dei ricavi pubblicitari vista «la crescita di inserzioni sui social network» e la capacità di Fb di fornire pubblicità sempre più mirate grazie alla marea di dati che noi utenti gli forniamo.


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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Il bisogno e il desiderio La distinzione tra bisogni e desideri è di Rousseau: il bisogno è naturale, biologico; il desiderio nasce e cresce nella mente. Nutrirsi, respirare, dormire, riprodursi sono bisogni, e la sopravvivenza – individuale e della specie – ne dipende strettamente. Ma quando uno prova fame e invece di apprezzare il pane e formaggio che ha in dispensa spasima per un branzino spaccato o un filetto alla Wellington, allora è transitato dall’ambito del bisogno a quello del desiderio; e il raggiungimento della soddisfazione diventa assai più difficile. Per soddisfare un bisogno, dunque, basta quel che è presente in natura; il desiderio si alimenta invece di quel che è prodotto artificialmente, messo al mondo dalla cultura. E si capisce, dunque, che il tempo nostro sia il tempo del desiderio e, non di rado, di desideri infiniti: ciò che è artificiale può essere moltiplicato infinitamente e con esso –

e con la relativa pubblicità – si moltiplicano i desideri. Tempo fa il filosofo Jean Baudrillard svolse una lucida e severa critica alla «società dei consumi», individuando nel proliferare degli oggetti di desiderio il fattore determinante della frenesia consumistica del nostro tempo; e oggi, a distanza di più di quarant’anni, questa critica non solo è confermata, ma addirittura risulta troppo mite. Eppure, pur condividendo questa critica, non posso sottovalutare la forza del desiderio. La capacità di desiderare che l’evoluzione biologica ha introdotto negli animali superiori ha dato origine a un valore inestimabile: la libertà. Negli invertebrati e negli esseri unicellulari il comportamento suscitato dal bisogno è regolato deterministicamente: l’attività corporea risponde alle stimolazioni dell’ambiente secondo canoni fissi. Nel cervello dei vertebrati, invece, è avvenuta l’installazione di «sistemi

interessavo più a niente. Più niente mi scuoteva – nemmeno la morte dei miei genitori. Avevo dimenticato che cosa fosse essere felice o infelice. Era piacevole o spiacevole? Né l’uno, né l’altro. Era il nulla». Non mi sento, dunque, di deprecare il desiderio. Semmai, è il desiderare indolente e apatico (che sembra caratterizzare molti giovani) che va biasimato. Il desiderio, quando non sia accompagnato dalla volontà di conquista dell’oggetto desiderato, si traduce nell’inerzia del sognatore perennemente insoddisfatto. È appunto quanto sembra caratterizzare troppi ragazzi d’oggi, insidiati da quello che Marco Lodoli chiamava «il demone della Facilità». Lodoli – insegnante e scrittore – raccontava, una decina d’anni fa, che i suoi allievi quindicenni, interrogati sui loro progetti di vita, spesso rispondevano: «Io voglio fare i soldi in fretta per comprarmi tante cose». D’accordo. Ma

come li farai, questi soldi? Con quale lavoro? E a questo punto, dice Lodoli, «loro mi guardano stupiti, quasi addolorati, come se avessi detto la cosa più bizzarra del mondo». Purtroppo è così: nella pubblicità televisiva compare sempre solo il piacere di consumare l’oggetto – mai il sudore necessario per possederlo. Il mondo, per chi lo guarda negli spot pubblicitari, è il luogo della facilità e del piacere immediato; e la fatica s’insegna sempre meno, soprattutto a scuola. Non è dunque il desiderio che va condannato, bensì il divorzio crescente tra desiderare e volere. Il desiderio, con i suoi sogni, può far compiere grandi cose quando è sostenuto da una salda volontà di fare. Voglio però aggiungere una massima, pur sempre valida anche nella nostra civiltà del desiderio. Diceva un filosofo dell’antichità: «Vuoi essere ricco? Sii povero di desideri».

anche la scritta Zurich vitaparcours. Affianco dei campi da tennis in terra rossa dove due stanno sistemando la rete per l’imminente riapertura. Tra il TC Fluntern e una delle entrate per i quattrocento circa dipendenti FIFA, ecco il boschetto ancora scheletrico dove inizia la storia dei cinquecentoquattro percorsivita svizzeri. Un mondo forse in parte un po’ desueto. Spuntati come funghi negli anni Settanta, espandendosi anche all’estero – nel 1973 in Europa sono mille e in Svizzera ce ne sono già più di trecento – poi leggero declino negli anni 80-90. Mi ricordo ai tempi delle medie, il percorsovita di Lugaggia, dove andavamo controvoglia con la scuola, era disertato dalla popolazione. Il percorso vita di Fluntern (609 m) è lungo un po’ più di due chilometri. Lo percorro in modo laico, senza training. Un ruscello, anemoni, tre ragazzoni corrono sincronici. Incrocio con l’occhio i trucioli della pista finlandese che fiancheggia il sentiero

ghiaioso. Ora si scende in una valletta dove un ponticello di legno supera un riale. Il primo esercizio consiste in tre tipi di stretching contro tre pali di legno. I cartelli non sono più quelli di una volta, ma blu-gialli-bianchi. Conservano però una certa rusticità essendo inchiodati sul legno. Una signora con i capelli grigi, alle mie spalle, con mio stupore, compie diligentemente gli esercizi. Cinguettii standard s’intersecano con altri versi più esotici: siamo alle spalle della Masoala hall, una serra enorme dove è stata ricreata una foresta pluviale del Madagascar. La seconda stazione sono solo sei movimenti ginnici senza postazione. Cinque tronchi alla terza stazione, bisogna fare dei saltelli a rana, lo faccio. Hop, hop, hop, hop, hop. Mi sento già un’altra persona, partecipare al luogo, immedesimarsi nel territorio, seppur di passaggio; solo così è paesaggio affettivo. Saltando via la cronaca tappa per tappa, diamo notizia di anelli, parallele, ceppi per

step, slalom tra i pali, un’altra valle più profonda, aglio orsino. Pensavo più fiori però. La beata terra tennistica chiude il cerchio delle quindici stazioni. «Joyce appare improvvisamente da dietro un cespuglio a chi va a cercarlo nel bellissimo cimitero di Zurigo: Friedhof Fluntern. Seduto su una sedia di bronzo, con bastone di bronzo, un polpaccio di bronzo poggiato sportivamente su una coscia di bronzo» scrive Aldo Buzzi nel grandioso L’uovo alla kok (1979). Tomba numero quattordici dei trentuno «Prominente» sepolti qui, vediamo un po’. L’effetto sorpresa del cespuglio non c’è, visto che un bosso striminzito è potato per bene, ma la sportività della posa eccome. Dietro, tante primule. Che pace, starei ore qui, a leggere magari. Va detto, in vita mia ho incominciato quattro volte l’Ulisse (1922) di Joyce, percorro sempre, a stento, tre pagine. Una tomba più in là c’è Elias Canetti (1905-1994), davanti, molte viole del pensiero.

infine alla pagina stampata. Capita pure che le due abilità convivano, magari con esiti non paragonabili. Ovviamente, Botta è, innanzi tutto, un architetto, tentato però dal fascino della parola, quella evidente, affidata alla carta dei libri, e quella racchiusa anche nei materiali di costruzione degli edifici. Come dire, anche i muri di mattoni, cemento, granito, marmo, attraverso le loro geometrie, parlano: occorre decifrarne i messaggi, scoprendo un comune denominatore fra i due linguaggi. Ed è questo l’intento della recente Guida ai vicoli ciechi, un «capriccio» editoriale che, nelle sue pagine a fisarmonica, contrappone, su una facciata le tessiture murarie dell’architetto e, sull’altra, le interpretazioni dello scrittore Dario Fertilio, che ne ricava aforismi. Si passa così dalle corpose geometrie di pietra alla leggerezza sorridente, irriverente o amara della battuta. Eccone qualche esempio: «C’è in giro un tal bisogno di Padre Eterno da far dubitare che esista», «Un giorno di Natale segreto sarebbe l’ideale», «Dove andrai in vacanza? Da

qualche parte dove non se ne parli», «Un martire, se soffre troppo a lungo, diventa ridicolo», «Sono distrutto dall’autocritica, confessò l’idiota», «Bisogna sempre essere puntuali, anche quando non c’è nessuno che ci aspetta». E via enumerando deliziosi giochi di parole cui corrispondono altrettanti giochi di forme edificate. Al di là dell’aspetto, innanzi tutto sfizioso, che ha divertito gli autori e diverte i lettori, la pubblicazione conferma come al talento per costruire si possa associare, a volte, quello per scrivere. Non è una prerogativa di Botta. In proposito, non mancano esempi illustri. Max Frisch, gloria della letteratura elvetica, mosse i primi passi come architetto, progettando nel 1942, a Zurigo, il Letzibad, stabilimento balneare d’avanguardia. Star addirittura simbolica dell’architettura mondiale, Frank Lloyd Wright, ha lasciato interessanti testimonianze letterarie, riunite, fra altri, nel volume Testamento. E al novero appartiene anche Tita Carloni: apprezzato architetto e urbanista, rivelò nei commenti, apparsi

sulla rivista «Area» e poi nel volume Pathopolis (la città malata) una godibile verve narrativa. Insomma, la domanda viene spontanea, esiste un’affinità fra queste attitudini? In entrambi i casi, si deve far capo a un progetto. Un romanzo e, più modestamente, un articolo di giornale segue un nesso, impone una disciplina, chiede il sacrificio della rinuncia. Quindi, eliminare il superfluo; parole di troppo in un testo. Al pari di ridondanze estetiche in una costruzione. Architettura e scrittura? Questo connubio, in apparenza insolito, si ritrova ormai in molte altre situazioni. Il fenomeno è attuale: nell’era della mobilità interdisciplinare, i giovani si sentono spesso attirati da poli opposti, convinti o illusi di farcela negli ambiti più disparati. Intanto perde fascino, e anche concretezza, l’obiettivo di un lavoro unico e per sempre. E conquista valore, magari solo idealmente, un lavoro alternativo con cui esprimere un talento parallelo. Insomma, serve una professione di scorta.

desideranti», che consentono di avvertire consapevolmente il desiderio e di regolare l’azione in funzione di quello. Nell’uomo, ovviamente, questa capacità di immaginare e desiderare, di scegliere e di agire, è particolarmente presente. Cosa sarebbe la vita senza desiderio – senza alcun sogno e senz’alcuna passione? Posso senz’altro dare una risposta riferendomi agli studi di Oliver Sacks, documentati nel bel libro Risvegli. Dopo la prima guerra mondiale scoppiò in Europa una grande epidemia di encefalite: alcuni, colpiti dal male, vissero più di quarant’anni del tutto coscienti, ma immobili, impassibili, quasi muti. La malattia aveva distrutto i loro neuroni dopaminergici privandoli di ogni desiderio. Quando poi fu scoperto il farmaco adatto, fu come se quelle persone si risvegliassero al piacere della vita. Uno dei malati descrisse così la condizione dalla quale era uscito: «Non avevo alcuno stato d’animo. Non mi

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Il percorsovita di Fluntern Il diciotto maggio 1968 a Fluntern, quartiere zurighese sullo Zürichberg, a due passi da dove è sepolto James Joyce (1882-1941), viene inaugurato il primo vitaparcours della Svizzera. Il vitaparcours o percorsovita nasce nei boschi di Wollishofen, sette chilometri da lì, a metà degli anni Sessanta. All’origine di questo fitness boschivo c’è un allenatore di ginnastica, Erwin Weckermann: al posto della palestra porta i suoi atleti ad allenarsi nel bosco. Tronchi e ceppi diventano gli attrezzi per l’allenamento all’aria aperta. Ogni volta però, il percorso creato viene disfatto dai forestali di Wollishofen. Fino a quando un guardiaboschi di nome Carlo Oldani, tra l’altro ispettore generale delle foreste della città di Zurigo, s’interessa all’idea. A completare l’opera, entrano in scena: Alfred Trachsel, architetto specialista di parchi giochi per bambini. Carl Schneiter detto Charly: ex pentatleta di livello internazionale e professore di sport al Poli; è lui che concepisce i quarantatré

esercizi possibili, illustrati nei caratteristici cartelli azzurri, scanditi in quindici stazioni. E la compagnia di assicurazioni Vita (1922-1993) – società affiliata fondata dalla Zurich (1872) – che si appassiona al progetto e lo sponsorizza, battezzandolo Vita-Parcours. A Fluntern ci arrivo un primo pomeriggio di fine marzo con il tram numero sei che ha su scritto Zoo. Qui infatti, oltre al rinomato cimitero, c’è anche lo Zoo di Zurigo. Sparito il paesaggio residenziale, di colpo la vista si apre, un prato, laggiù dei boschi. M’incammino lungo la Zürichbergstrasse: da una parte un centro sportivo con campo da calcio incorniciato dalla pista di atletica, dall’altra il rinomato cimitero di Fluntern. Spuntano signorili sempreverdi, s’intuisce già da qui che è un posto speciale da cui spira una certa aura. All’altezza della tigre di pietra che dal 1929 annuncia l’entrata dello Zoo, sul cartello che indica la Forrenweidstrasse e i parcheggi, c’è

Mode e modi di Luciana Caglio Dalle pietre alle parole Non avesse deciso, sin da ragazzo, di diventare architetto, Mario Botta avrebbe potuto fare lo scrittore o il giornalista. Verosimilmente con successo, sia pure non paragonabile a quello raggiunto progettando edifici, un po’ dappertutto nel mondo. L’ipotesi non è campata in aria. Alla scrittura Botta si è, comunque, dedicato, e non per ambizione letteraria, piuttosto per un bisogno spontaneo di raccontare, spiegare e giustificare il suo lavoro, a volte malinteso e contestato. Ma c’è dell’altro nelle pagine dei due suoi volumi Quasi un diario, pubblicati nel 2003 e nel 2014: il tema dell’architettura serve da punto di partenza per riflessioni allargate alla realtà contemporanea, vissuta in bilico fra appartenenze e culture diverse, come succede alla gente di frontiera. Si tratta di frammenti di pensiero, messi nero su bianco, utilizzando la matita: «È il principe degli strumenti, come dice l’autore, e tenerla in mano aiuta, appunto, a pensare». Al lapis, di cui ricorda lo storico prototipo della Caran d’Ache in legno rosso, attribuisce il merito di esprimere, quasi

favorire, capacità parallele: il disegno e la scrittura. Cioè segni che, di solito, trovano indirizzi diversi. Dal disegno si arriva alla grafica, al progetto architettonico, e infine alle pietre. Dalla scrittura si arriva alla cronaca, al romanzo, alla poesia, e

Mario Botta, Cappella Neri Pozza Lòngara (VI).


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Ambiente e Benessere Arredo urbano minacciato Il cancro colorato e la minatrice fogliare insidiano le nostre piante danneggiandole

Un piccolo mostro docile L’aracnofobia complica la convivenza con i ragni, ma qualcosa si può fare; ce ne parla Françoise Liloia, sorella di Michel Ansermet, direttore del Vivarium di Losanna

Wwoofing? Il nuovo turismo passa dalle «opportunità globali nelle fattorie biologiche»

Corsa di resistenza Intervista a Marco Gazzola, la «volpe del deserto» che corre per chilometri pagina 19

pagina 17

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Plasmare e ri-costruire Medicina Tra i principali obiettivi

della chirurgia plastica, restituire forma e funzione a organi e tessuti, ma anche correggere difetti estetici

Maria Grazia Buletti «…rugosa, rugosa, piccola attrice… fa che non si veda la cicatrice…». È questa una delle frasi più significative pronunciate da Meryl Streep, nei panni di Madeline Ashton, nel lungometraggio di Robert Zemeckis La morte ti fa bella. Una commedia nera del 1992, in cui la magistrale interpretazione delle due protagoniste portava alla ribalta il tema della bellezza e dell’eterna giovinezza del corpo umano, per raggiungere la quale le due non lesinavano il ricorso alla chirurgia plastica. Forse la chiave di lettura sta nel guardarsi allo specchio e vedersi per quello che si è: esseri viventi con le proprie imperfezioni e le asimmetrie naturali del nostro viso e del nostro corpo. «Penso che valga la pena di discutere sull’esistenza effettiva della perfezione», da questo interrogativo inizia il nostro colloquio con il professor Yves Harder, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica (responsabile dell’omonimo servizio), vice primario del Dipartimento di Chirurgia dell’Ospedale Regionale di Lugano, che abbiamo incontrato all’Ospedale Italiano di Viganello dove principalmente opera. Secondo il professor Yves Harder, il concetto di perfezione è, in senso lato: «Uno stato di completezza e di ineccepibilità comunque relativa e soggettiva». La domanda se un viso simmetrico sia davvero più attrattivo ha sempre meritato riflessioni: «Gli studi hanno dimostrato che i visi simmetrici sono effettivamente percepiti come più attrattivi, mentre ai nostri occhi un’asimmetria sottrae bellezza». Secondo il nostro interlocutore i valori ben definiti che ci indicano la relazione di simmetria facciale non sono sempre oggettivabili: «Angelina Jolie è una bella donna e parecchie signore desiderano assomigliarle, mosse dai canoni sociali che così la definiscono. Eppure, analizzando le simmetrie del suo bel viso, scopriremmo che anche lei, come tutti, non è perfetta e ogni viso presenta le proprie asimmetrie». Ci viene spiegato che i visi femminili mostrano le stesse proporzioni e caratteristiche di quelli dei bambini: «Occhi grandi, una fronte alta o la parte del mento bassa. Parlare esclusivamente di chirurgia estetica senza citare ogni aspetto (plastica e ricostruttiva) sarebbe banale: «L’obiettivo della chirurgia plastica è quello di correggere la forma di una parte del corpo che

presenta un’anomalia rispetto a quella che è considerata la normalità anatomica», ci spiega il professor Harder, citando ad esempio le anomalie congenite («presenti dalla nascita») o cosiddette secondarie («conseguenze di traumi, interventi chirurgici di vario tipo come ad esempio l’asportazione di un tumore, e di malattie»). In questi casi: «Il chirurgo interviene modellando parti di organi o tessuti del corpo o ricostruendoli nel caso vi sia una mancanza o perdita di sostanza, con lo scopo di “ripristinare” la forma ed eventualmente la funzione dell’organo o del tessuto». L’asportazione di un tumore al seno è fra gli esempi più indicativi: «Un intervento ricostruttivo permette di restituire la situazione originaria alla signora che, lungo il percorso sovente scandito da più di un intervento, ritroverà il suo seno ricostruito nella forma e nelle dimensioni, con un indubbio beneficio non solo nella qualità di vita, ma soprattutto psicologico». Lo stesso vale per l’intervento plastico su ferite croniche, per la chirurgia delle piaghe da decubito, per le correzioni di cicatrici conseguenti ustioni, traumi o interventi chirurgici e il trapianto dei nodi linfatici a seguito di linfedema cronico (ndr: accumulo di liquido linfatico nelle braccia e nelle gambe) e via dicendo. La ricostruzione degli arti operata in collaborazione con gli ortopedici e i traumatologi è un chiaro esempio del carattere di multidisciplinarietà della chirurgia plastica e ricostruttiva che interviene su tutto il corpo, in collaborazione con le altre specialità chirurgiche. Ad ogni modo, il «campo» nel quale opera il chirurgo plastico è soprattutto la cute: tessuto di maggior superficie e più «in vista» del corpo. «Il nostro successo è perciò sempre misurato con lunghezza, larghezza, posizione e visibilità della cicatrice, associato alla simmetria sinistra – destra, alle dimensioni…». Il chirurgo plastico è pure un grande psicologo con una responsabilità immensa, sostenuta dalle aspettative (sovente alte) dei pazienti: «Soprattutto nella chirurgia estetica, le persone arrivano alla prima consultazione con aspettative elevate alle quali spesso dobbiamo dire di no, essere franchi e spiegare che non è possibile raggiungere il risultato da loro auspicato». Diverso l’atteggiamento delle persone che si sottopongono a un intervento ricostruttivo, ad esem-

Il professor Yves Harder, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica. (Vincenzo Cammarata)

pio di un seno operato per tumore: «Le pazienti focalizzano l’idea dell’asportazione senza avere altre legittime esigenze del percorso di ricostruzione del seno che maturano strada facendo». La chirurgia estetica si distingue pure per il fatto che non ha indicazione medica e non è rimborsata dalle assicurazioni malattia, al contrario di quella plastica e ricostruttiva con indicazione di tipo medico. Cosa che contribuisce a influire sulle aspettative del paziente: «La Svizzera vanta una media di interventi estetici in prevalenza più alta di Brasile o USA, forse per il fatto che abbiamo buone possibilità economiche e che non siamo sovrastati da altri problemi», spiega il professor Harder che, a questo punto, invita ad una essenziale riflessione sulla scelta del chirurgo estetico chi desidera ricorrere a un intervento, che

sia di blefaroplastica, liposuzione, rimodellamento del seno e quant’altro: «Si tratta di interventi costosi, non alla portata di tutti, ma chi decide di sottoporvisi deve avere la consapevolezza della scelta del chirurgo, deve sapere che non si può mercanteggiare un costo giustificato dalla qualità del lavoro, dalla sua esperienza e dall’infrastruttura che, ad esempio qui da noi offre un’assistenza post operatoria 24 ore su 24». L’appartenenza alla Società svizzera di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica è pure garanzia di professionalità ed esperienza necessarie al buon risultato. Da pochi mesi al servizio dell’EOC, il professor Harder è deciso a mettere a disposizione la sua esperienza e: «In Ticino desidero sviluppare sinergia e consapevolezza fra i medici nel consigliare le proprie

pazienti, ad esempio, sulla possibilità di ricostruire un seno come prima dell’asportazione di un tumore, informandole correttamente su tutte le possibilità che, nell’ambito della senologia, sono offerte alle donne, e sviluppando così una multidisciplinarietà che permette loro di ritrovarsi a proprio agio come prima dell’intervento oncologico». E a proposito della domanda rimasta in sospeso risponde che «non esiste la perfezione, ma è bello ciò che noi riteniamo tale». Le parole del professor Harder ci portano a ricordare il finale del lungometraggio citato, dove le due protagoniste rimangono profondamente deluse nello scoprire che l’unico vero Elisir dell’immortalità sono i figli che l’uomo conteso (e chirurgo estetico) ha avuto da una terza donna.


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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Trofie con salsa alla limetta e alle mandorle Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 dl di brodo di verdura · 2 dl di panna · 1 limetta · 1 cucchiaino d’amido di mais · sale, pepe · 500 di trofie · 80 g di mandorle affumicate · 60 g di parmigiano · ½ mazzetto di basilico.

Portate a ebollizione il brodo con la panna. Spremete la limetta, mescolate il succo con l’amido di mais e versate nella panna. Fate sobbollire dolcemente per circa 5 minuti finché la salsa si lega. Condite con sale e pepe. Lessate le trofie al dente in acqua salata, scolate e fate sgocciolare. Condite la pasta con la salsa e guarnite con le mandorle tritate grossolanamente, il parmigiano grattugiato e il basilico.

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Ambiente e Benessere

L’azzeruolo nel frutteto Mondoverde Un alberello con piccoli frutti e dalla chioma sferica

Medicina e dintorni Marialuigia Bagni Il seme nel campo magnetico È la scoperta realizzata da uno studioso dell’Università di Torino e pubblicata sulla rivista «Frontiers of Plant Science»: ad ogni variazione sensibile del campo magnetico (ogni trecentomila anni) corrisponde la comparsa di nuove specie: un fenomeno complesso, che non è costante né uniforme nello spazio, ma avviene con inversioni dei poli che si verificano periodicamente, appunto ogni trecentomila anni.

Anita Negretti Timido e riservato, il Crataegus azarolus, della famiglia delle Rosaceae, si presenta come un arbusto o piccolo alberello alto dai quattro ai sette metri, con una chioma globosa formata da rami contorti e spinosi. Esce dall’anonimato in aprile-maggio riempiendosi di fiorellini bianchi, semplici e riuniti in corimbi, a cui seguono i frutti simili a piccole mele, dalla buccia gialla, bianca o rosso vivo in base alla varietà. Proveniente dall’Asia Minore e dall’Africa settentrionale, questo alberello si è diffuso nelle zone più miti d’Europa, portandosi come carattere allo stato spontaneo le spine sui rami, caratteristica che non hanno alcune delle varietà coltivate. Le foglie decidue, alterne a tre-sette lobi, sono brevemente picciolate color verde grigio coperte da una fine peluria. Termofila, la si mette a dimora in autunno o in primavera, preferibilmente lungo delle colline con una buona esposizione al sole, prediligendo un terreno ben drenato. Sono principalmente tre le varietà in uso e, per tutte, il frutto ha una polpa carnosa, commestibile e ricca di vitamina C, dal sapore dolcemente acidulo e con piccoli semi. Non occupando eccessivo spazio, si possono coltivare sia «Azzeruolo rosso d’Italia», «Azzeruolo bianco d’Italia» oppure ancora «Giallo del Canada». Sono alberelli rustici e per questo non richiedono interventi antiparassitari. Vengono coltivati a vaso o a piramide,

Notizie scientifiche

Spray contro il morso di serpenti Normalmente il ferito viene portato in ospedale e gli viene iniettato, per endovenosa, un liquido, la neostigmina, per combattere l’avvelenamento. Ma se si è lontani dall’ospedale? Ricercatori americani hanno dimostrato come uno spray nasale di neostigmina permetta di ridurre drasticamente la mortalità. L’esperimento è stato condotto su topi e il veleno era quello di un cobra.

Un esemplare di Crataegus azarolus. (VoDeTan)

potando con costanza i rami per mantenere la vegetazione anche sui rami più maturi. Con frutticini rosso vivo, bellissimi anche da utilizzare per guarnire torte e pasticcini, la varietà a frutto rosso ricorda le meline delle favole: piccole, con forma arrotondata o leggermente appuntita, sono così decorativi da esser proposti in coltivazione anche solo come piante ornamentali. In alcuni casi le piante a varietà rossa portano spine sui rami. Questa pianticella ben si accosta

alla varietà con frutta bianca, in realtà tendente al giallo chiaro, molto aromatica, fragrante e croccante, chiamata anche moscatello, le cui piante entrano solitamente in produzione dal quarto anno dall’impianto o alla cultivar a buccia gialla. Priva di spine, ma più vigorosa, quest’ultima chiamata «Giallo del Canada» fiorisce qualche giorno prima delle altre due varietà e produce frutticini dolci, con consistenza farinosa e buccia dal color giallo vivo.

Aglio ancora più efficace Ne parla il «Journal of Agricolture Food» secondo il quale i numerosi benefici dell’aglio, dalla protezione contro le malattie vascolari alle infezioni, sono dovute alle sue qualità di antiossidante. Qualità che diventano più potenti cinque giorni dopo la germinazione.

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Ambiente e Benessere

Malattie che minano l’imponenza secolare Biodiversità Tra le più importanti e temute: il cancro colorato

e la minatrice fogliare

Elena Robert In città ma anche lungo un fiume, che si passeggi o si sosti su una panchina all’ombra degli alberi, si dà praticamente per scontato che esistono, che debbano avere un bell’aspetto e godere di buona salute. Platani e ippocastani vengono utilizzati spesso nell’arredo urbano in Ticino, essendo apprezzati per la loro imponenza e per l’ampiezza della chioma. Ce ne sono di secolari, alcuni sono diventati veri e propri monumenti. Anche loro si ammalano e muoiono. Il cancro colorato del platano (Ceratocystis fimbriata) e la Cameraria ohridella o minatrice fogliare dell’ippocastano sono tra le più temute malattie. La prima è grave: causata da un fungo e veicolata dall’uomo, nel giro di pochi anni porta alla morte. La seconda è legata al ciclo vitale di un lepidottero, provoca una defoliazione precoce stagionale e con gli anni il deperimento. Prevenzione e controlli sono determinanti per contenere i danni dell’una e dell’altra malattia. Abbiamo incontrato l’ingegnere agronomo Luigi Colombi, del Servizio fitosanitario cantonale, l’istanza di riferimento che emette le direttive in materia, riceve le segnalazioni di casi sospetti e offre consulenza. Il cancro colorato del platano, originario degli Stati Uniti, è stato descritto la prima volta nel 1929 a Gloucester nel New Jersey, anche se fu identificato solamente nel 1952. Venne introdotto in Europa durante la seconda guerra mondiale: in Francia, veicolato dalle casse con munizioni a Marsiglia nel 1945, in

Italia nel 1971 a Forte dei Marmi. «In Ticino si suppone sia presente dagli anni Settanta. Il fungo venne isolato per la prima volta nel 1986 in un platano morente nel Comune di Balerna. Nel frattempo – ci dice Colombi – la malattia ha provocato la morte di numerosi esemplari, soprattutto nel Luganese e nel Malcantone, dove è tuttora ben presente. Lungo la Valle della Tresa quasi la totalità dei platani della sponda svizzera è morta. Si è manifestata in modo meno grave pure nel Sopraceneri, in particolare sul Piano di Magadino e nel Locarnese. La malattia è sempre presente, anche se i danni, grazie alle strategie di lotta, sono nel complesso contenuti. È importante che rimangano tali e che non si abbassi il livello di guardia». Il fungo attacca le piante solo attraverso le ferite preesistenti o non ancora cicatrizzate, da dove invade i tessuti legnosi, espandendosi rapidamente grazie alla riproduzione delle spore: a temperature inferiori ai 10 gradi il fungo resta inattivo, mentre la sua progressione massima avviene attorno ai 25 gradi. «L’uomo è il principale responsabile della trasmissione della malattia» rende attenti il nostro interlocutore: «Pensate ai danni derivanti da drastiche potature o capitozzature, il più delle volte inutili e molto dannose. Altre possibili cause sono legate a colpi di paraurti di auto, tagli su radici affioranti, danni di macchinari di manutenzione stradale e di canalizzazione, vandalismi e intemperie. Niente di più facile, purtroppo, il trasporto delle spore che può avvenire con l’acqua e con il contatto tra radici

di piante sane e malate, come successo lungo il fiume Tresa. Il fungo è anche presente nella segatura di piante già attaccate dal cancro colorato del platano e tramite questa, veicolata da attrezzi di potatura, può facilmente contagiare alberi sani. La malattia ha un alto potere distruttivo, tanto che un albero colpito da Ceratocystis fimbriata, a dipendenza del suo vigore e del punto di partenza dell’infezione, muore nel giro di 3-7 anni. Più il punto preso di mira è centrale e l’albero vigoroso, tanto più veloce sarà l’evoluzione della malattia». «La lotta finora messa in atto si è dimostrata efficace. Lo sarebbe ancora di più – aggiunge Colombi – se molte raccomandazioni fossero sempre seguite e applicate con attenzione. La diffusione e gestione della malattia riguarda tutta l’Europa. In Svizzera, a Ginevra, si è riusciti a tenerla sotto controllo. Va segnalato, anche se ancora poco conosciuto, il risultato conseguito dall’Istitut national de recherche agricole (INRA) in Francia che da qualche anno a questa parte ha selezionato un clone dall’elevata capacità di reazione all’infezione e dalla veloce cicatrizzazione, in grado di resistere al fungo». L’altra malattia che trattiamo in questo articolo, la Cameraria ohridella o minatrice fogliare dell’ippocastano, pur essendo molto più estesa del cancro colorato del platano, non è mortale per la pianta. Il nome deriva da quello di un piccolo lepidottero segnalato per la prima volta nel 1985 in Macedonia. Si è poi diffusa in Europa causando danni importanti. «In Ticino il fitofago è presen-

Un esemplare di platano colpito dal cancro colorato sul piano di Magadino.

te in tutte le regioni da almeno gli anni Novanta – ci informa Luigi Colombi – e ogni anno è abbastanza frequente ovunque. Questo piccolo lepidottero è stato segnalato in buona parte del Cantone per esempio in alberi alle Cantine di Mendrisio, a Lugano, al parco giochi vicino alle Scuole Nord a Bellinzona, a Iragna sulla strada cantonale. Molto sensibili sono le piante a fiori bianchi, lo sono meno le varietà a fiori rosa-rossi, mentre le americane resistono. A seguito delle gallerie scavate dalle larve all’interno delle lamine foliari le foglie colpite seccano e la pianta si indebolisce. Gli attacchi della minatrice disturbano l’intero metabolismo della pianta e il ciclo biologico. Lo sviluppo vegetativo viene di conseguenza ridotto». Nelle nostre regioni la minatrice fogliare dell’ippocastano dovrebbe svolgere tre, forse quattro, cicli vitali all’anno, svernando come crisalide all’interno delle gallerie nelle foglie cadute sul terreno. Lo sviluppo dell’insetto, ci spiega l’ingegnere agronomo, avviene a scapito delle foglie, sulle quali sono ben visibili i sintomi dell’infestazione. Le femmine depongono le uova

sulla pagina superiore delle foglie, dalle uova sgusciano le larve che scavano le mine, queste si espandono finché le foglie colpite disseccano e cadono prematuramente. «Attualmente non resta che concentrarsi sul trattamento chimico della chioma e sull’eliminazione del fogliame secco. I prodotti omologati sono efficienti. Nel 2005 è stato omologato un prodotto fitosanitario biologico da somministrare per endoterapia a base di azadiractina, che però deve essere utilizzato da specialisti: di conseguenza non è molto usato e per alcuni trattamenti effettuati i risultati sono contenuti. Ancora pochi, al momento, i parassitoidi: in futuro – dice Colombi – con il graduale aumento degli insetti antagonisti è ipotizzabile un’intensificazione del controllo naturale dell’insetto, un metodo in sostanza per contenere il parassita. La materia è tuttora allo studio presso il Centro di ricerca sulla fauna e la flora CABI di Delémont». Informazioni

Sito web: www.ti.ch/fitosanitario

A rischio platani e ippocastani Un fungo e un insetto parassita insidiano piante dell’arredo urbano: la Ceratocystis fimbriata e la Cameraria ohridella.

Cancro colorato del platano (Ceratocystis fimbriata)

Minatrice fogliare dell’ippocastano (Cameraria ohridella)

Sintomi, prevenzione e lotta

Sintomi, prevenzione e lotta

Non occorre essere grandi specialisti per accorgersi dei sintomi della malattia quando questa si manifesta: tronco e rami presentano lesioni colorate che progrediscono verso l’alto a forma di triangolo o di fiamma di colore blu o violetto che assumerà in seguito l’aspetto di un puzzle. All’interno del legno si constatano macchie nerastre che intaccano i vasi linfatici provenienti dalle radici. Rigonfiamenti, bollosità e crepature nella corteccia sono ulteriori segni visibili. La prevenzione della Ceratocystis fimbriata avviene evitando di causare ferite di qualsiasi tipo alle piante. La lotta consiste nell’eliminare gli alberi, distruggendo ceppaie, rami, resti e segatura (prima si stenda un telone). Tutto va distrutto e bruciato sul posto. Tra gli alberi abbattuti e quelli sani va creata un’interruzione biologica a livello radicale per impedire il passaggio della malattia tramite le radici (scavo di una trincea o abbattimento anche dell’albero che precede e di quello che segue nella fila). Sia la potatura di piante sane sia l’abbattimento di alberi malati o morti deve avvenire soltanto nel periodo più freddo dell’inverno e in giornate senza vento. L’eliminazione va segnalata preventivamente al Servizio fitosanitario cantonale. Gli arnesi e strumenti da taglio vanno disinfettati prima e dopo. La disinfezione del terreno con un fungicida è d’obbligo, sul luogo e nelle vicinanze.

Osservando le foglie ci si può rendere conto se una pianta è attaccata dal parassita. Sulle stesse si notano zone giallo-brunastre, dapprima rotondeggianti e poi via-via sempre più irregolari che si estendono sulle nervature. Guardandole in controluce sono riconoscibili le larve. Inoltre durante la stagione si possono trovare numerosi adulti alla base dei tronchi. Altri sintomi della malattia sono legati alle defoliazioni: accade che le chiome perdano molte foglie già d’estate. Inoltre la frequente seconda fioritura degli ippocastani alla fine dell’estate non è altro che una reazione allo stress vissuto dalla pianta malata. La Cameraria ohridella infesta solo l’ippocastano. Diverse le strategie di lotta. Durante la stagione estiva si consiglia di asportare e distruggere periodicamente le foglie cadute. Per limitare le infestazioni in primavera è di fondamentale importanza raccogliere e eliminare già in autunno le foglie che ospitano le crisalidi che vi passeranno l’inverno. La lotta chimica sulla chioma dovrebbe avvenire in modo molto limitato e solo in casi particolari per permettere agli insetti antagonisti del lepidottero di insediarsi anche nei nostri territori e favorire così un suo controllo biologico. Va intrapresa a partire dalla ripresa vegetativa in primavera con fungicidi omologati come il NeemAzal-T/S, da dare a inizio maggio e da ripetere dopo 14 giorni: se necessario si dovrà ripetere durante l’estate.


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Ambiente e Benessere

Un innocuo mostriciattolo Mondoanimale L’irrazionale paura che parecchi esseri umani nutrono verso i ragni può trovare rimedio Maria Grazia Buletti «Avevo così tanta paura…» Noemi, ventenne, descrive così quello che le succedeva ogni volta che si trovava faccia a faccia con un… ragno! Una situazione nella quale parecchie persone potranno riconoscersi e, difatti, l’aracnofobia (questo il termine che definisce la paura dei ragni) è figlia di un retaggio probabilmente archetipico e certamente di un’immaginazione distorta che ci fa vedere questo innocuo animaletto come un mostro dal quale non ci si sa difendere.

C’è chi prova ribrezzo alla vista di un ragno, chi li teme e non li toccherebbe mai, e chi ne ha proprio terrore «Eppure i ragni sono animali innocui e davvero utili al genere umano: se le nostre cantine e le nostre case non fossero popolate dai ragnetti che ogni tanto individuiamo, saremmo invasi dagli insetti al punto tale da non poter vivere», ci racconta Françoise Liloia, confermandoci che essi si nutrono della maggior parte degli insetti che potrebbero proliferare al punto da nuocere all’uomo. Liloia ha sviluppato conoscenze e competenze sul tema dei ragni grazie al fratello Michel Ansermet, direttore del Vivarium di Losanna, che già da piccola le ha trasmesso amore e curiosità per «quegli animali che lui ha sempre amato, ma che nessuno ama in particolar modo come serpenti e ragni. Mia

madre ha il terrore dei ragni, tuttavia non è riuscita a trasmetterlo né a me e neppure a mio fratello. Sono animaletti innocui e utili che fin da piccina mi hanno sempre intenerito», racconta la nostra interlocutrice. Di fatto, è raro trovarsi dinanzi a persone come Françoise, che non hanno ribrezzo dei ragni né li temono, proprio perché si tratta di animali che, per le loro caratteristiche, hanno sempre colpito e stimolato l’immaginario umano, addentrandosi con le caratteristiche di creature leggendarie nel folklore e nella mitologia di parecchi popoli. L’aspetto rilevante, in chiave negativa, è il pericolo potenziale rappresentato dal ragno (anche per l’uomo) visto come predatore, talvolta velenoso, che grazie alla sua tela si procura il cibo per divorarlo ancora in vita dopo averlo paralizzato. La nostra interlocutrice, però, getta acqua sul fuoco: «Si tratta di credenze e informazioni del tutto infondate, perché i ragni non possono e non vogliono fare del male agli esseri umani. Essi si nutrono esclusivamente di insetti». Nello stigmatizzare le bufale che esistono su questo animale e nel puntare il dito sui lungometraggi horror che lo presentano come predatore pericoloso, Françoise Liloia ribadisce che i ragni comuni dalle nostre parti «sono assolutamente innocui» e ci racconta come il fratello Michel Ansermet l’ha istruita per poter proporre anche nel canton Ticino, come nella Svizzera francese, i corsi di desensibilizzazione per le persone aracnofobiche. «Se abbiamo molta paura dei ragni, la convivenza con loro può diventare complicata, ma qualcosa si può fare»,

esordisce spiegandoci i differenti livelli di paura con cui si deve confrontare chi teme i ragni: «C’è chi prova semplicemente schifo alla vista di un ragno, chi li teme e non li toccherebbe mai, anche se riesce a tollerarne la presenza e chi, infine, ne ha proprio terrore». Aracnofobia che Noemi ci ha descritto e che provava fino a quando ha seguito il corso di sensibilizzazione, come lei stessa racconta: «Quando abitavo dai miei genitori capitava spesso che nella casa un po’ vecchia vi fosse qualche ra-

come ragni saltatori. Difficilmente usiamo l’aggettivo «simpatico» per descrivere un ragno, ma se guardiamo le incredibili fotografie di Shahan è la prima parola che può venire in mente: i ragni saltatori che vi sono macroscopicamente rappresentati hanno espressioni buffe e accattivanti. Si tratta di ragni particolari che

non usano la ragnatela, ma sfruttano la loro capacità visiva attraverso la particolare disposizione degli occhi che permette loro di spaziare con un campo visivo di quasi 360 gradi. Sono i ragni con la vista migliore e, forse a causa di questa loro caratteristica, anche quelli con le espressioni più buffe. (http://thomasshahan.com)

Un esemplare di Tegenaria. (Michel Ansermet)

Ti scatterò una foto Al contrario di chi teme i ragni, fino ad averne una vera e propria fobia, c’è qualcuno che passa il proprio tempo addirittura a fotografarli. L’artista e macro fotografo Thomas Shahan non è nuovo a imprese del genere, ma questa volta ha superato sé stesso nell’immortalare alcuni ragni particolari comunemente conosciuti

gno e mi toccava chiamare mio padre per eliminarlo, perché proprio andavo in panico. Poi mi sono stancata di avere questa paura e dover sempre chiedere di ammazzare il malcapitato ragno di turno e ho seguito il corso di desensibilizzazione». Oggi Noemi abita da sola e non può più chiedere a qualcuno di risolvere quell’indesiderata convivenza, ma non ne ha più bisogno: «Il corso mi ha cambiato la vita e oggi, se vedo un ragno, riesco almeno a prenderlo in un bicchiere e portarlo altrove». Un successo insperato, poiché quando si è presentata al corso di Françoise, Noemi ha faticato persino a entrare in aula e a guardare le immagini dei ragni dei quali aveva un’enorme paura: «Poi ho preso in mano la situazione e grazie a Françoise sono addirittura riuscita a mettere il ragnetto sul mio braccio, scoprendo che era innocuo e il massimo che mi faceva era il solletico». Con un po’ di buona volontà e una corretta informazione possiamo quindi lasciarci alle spalle la paura dei ragni e conoscerne dal vivo qualcuno

di quelli che popolano la nostra regione, perché Françoise porta sempre qualche esemplare ai corsi: «Da noi troviamo, ad esempio, il Ragno vespa che è addirittura sulla Lista rossa per il pericolo di estinzione, e il classico ragno casalingo che si chiama Tegenaria e che porto ai corsi per permettere alle persone di vederne uno da vicino e comprendere la sua innocuità. Ci sono persone che non riescono ad amarli completamente, ma almeno provano a mettersi dalla loro parte, anche immaginando come si possa sentire un ragno che si vede arrivare addosso una ciabatta che lo ucciderà». Françoise Liloia ci ha permesso di riconsiderare questo piccolo animaletto un po’ sconosciuto e, a torto, parecchio temuto dall’essere umano. «E pensare che la maggior parte dei ragni maschi non sopravvive all’inverno…», ci congeda sorridendo e restando a disposizione di coloro che desiderano almeno provare a riconsiderare la propria posizione a proposito di questo innocuo animaletto. Noemi ce l’ha fatta e anche tanti altri come lei. Annuncio pubblicitario

Fare la cosa giusta

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Suheil Semdan (6), bambino profugo siriano


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Ambiente e Benessere

La nuova frontiera dell’esplorazione globale Wwoofing Dall’esperienza diretta, un viaggio in Nuova Zelanda: genuino in tutti i sensi – Prima parte Lisa Maddalena, testo e foto Cinque e trenta del mattino, il sole sta per sorgere. Fuori dalla mia stanza le pecore iniziano a belare, svegliandomi. Con un po’ di fortuna, oggi il vento non sarà così forte come lo è la maggior parte dei giorni, qui, nella seconda fattoria più a Sud della Nuova Zelanda, una delle più meridionali al mondo. I proprietari possiedono 1330 acri di pascolo (o paddock, come vengono chiamati i prati in Nuova Zelanda), all’incirca 4mila pecore e poco meno di 500 mucche. Una dozzina di cani pastore aiutano a radunare le pecore quando si tratta di spostarle da un paddock all’altro, oppure quando bisogna riunirle per poter vendere gli agnelli. Come sono arrivata qui? Merito di WWOOF, World Wide Opportunities on Organic Farms, ossia «opportunità globali nelle fattorie biologiche». In Nuova Zelanda il wwoofing è conosciuto ovunque, mentre in Europa quasi nessuno ne ha già sentito parlare. Si tratta di un’organizzazione nata nel 1971 in Inghilterra, che permette a persone dai diciott’anni in su di lavorare per quattro o cinque ore al giorno in una fattoria in cambio di vitto, alloggio e tempo libero per esplorare i dintorni, oltre a dar loro ovviamente la possibilità di condividere per qualche giorno la vita di una famiglia del luogo. Diventare un wwoofer è semplice: basta digitare in un motore di ricerca WWOOF seguito dal nome del Paese dove si desidera andare (da questo punto di vista, le opportunità sono davvero globali, con pochissime eccezioni), pagare una piccola tassa d’iscrizione e contattare le famiglie che sembrano corrispondere ai propri gusti. In Svizzera, oltre a WWOOF, esiste anche Agriviva, che differisce da WWOOF per il fatto che offre soggiorni in fattorie non necessariamente biologiche a giovani tra i quattordici e i venticinque anni, i quali per il proprio lavoro ricevono anche una piccola paga. Io ho iniziato la mia esperienza di wwoofing a sedici anni in una fattoria del Canton Zurigo e l’ho continuata l’anno successivo passando tre settimane in Irlanda e due in Germania. Ora che sono diciannovenne, posso permettermi mete ben più lontane da casa: sto per concludere un viaggio di tre mesi in Nuova Zelanda e poi andrò a fare wwoofing a Bali. Durante questi tre mesi, ho scoperto che molte delle famiglie ospitanti non possiedono una vera e propria fattoria: la maggior parte di esse ha solo un giardino, alcune un cottage che necessita di una pulita o di una seconda mano di pittura, altre ancora vogliono un aiuto nella manutenzione di parchi. Nessuna delle famiglie che ho conosciuto somiglia alle altre, anche se lo spirito socievole dei Kiwi le anima tutte. A scanso di equivoci, in Nuova Zelanda i Kiwi sono i neozelandesi bianchi, mentre i maori sono i discendenti dei primi

polinesiani che hanno scoperto questo Paese; se volete mangiare un kiwi, chiedete di poter avere un kiwi-fruit, altrimenti i Kiwi potrebbero offendersi. I Kiwi sono anche gli uccelli nativi, oggi molto minacciati dall’introduzione di opossum, conigli e altri animali che ne mangiano le uova. Ho cominciato la mia avventura in una piccola famiglia a settentrione della North Island (la Nuova Zelanda è costituita da due grandi isole, la North e la South Island), a Russell, nella Bay of Island. Russell è stato il primo insediamento europeo permanente in Nuova Zelanda; ad appena venti minuti di ferry si trova Waitangi, dove nel 1840 inglesi e maori firmarono un trattato molto importante, con il quale si cercò di porre fine ai conflitti tra i due popoli e con il quale la Nuova Zelanda divenne parte della Corona Britannica. A Russell ho potuto sperimentare come la vita in una famiglia monoparentale possa essere difficile. La donna che mi ha ospitato è madre di un energico bambino di tre anni e da poco è separata da suo marito. Dovendosi occupare in ogni momento del piccolo, questa giovane madre non aveva molto tempo da dedicare al suo giardino e a tutte le faccende domestiche, quindi è stata molto grata del mio aiuto. La mia seconda tappa è stata a Ke-

rikeri, ancora più a nord. Qui, una coppia sui quarant’anni ha comprato una piccola fattoria nascosta in una valle sperduta, con mucche, pecore, capre, galline, cani e maiali. Lui è un neozelandese doc, che da giovane usava passare mesi e mesi nelle montagne della South Island cacciando opossum senza vedere alcun essere umano per settimane. Lei è un’immigrata olandese. Fino a pochi anni fa i due erano commercianti di giada proveniente dalla West Coast, regione molto conosciuta per questo tipo di pietra (che qui viene chiamata pounamu). Aprivano un negozio prima di Natale e lo chiudevano dopo Pasqua: il resto del tempo lo passavano invece a viaggiare in Sud America e nelle isole del Pacifico. Con loro ho avuto l’opportunità di andare in barca a vela sul mare, a pescare, tra gli altri, blue cod e red pig fish. A Kerikeri ho potuto inoltre conoscere due svedesi, un francese e un’americana, wwoofers come me. Dopodiché sono ridiscesa più a sud, a Te Puke, in una famiglia che un tempo possedeva circa duecento struzzi, ma che ora ha solo una trentina di capre. Te Puke è la capitale mondiale del kiwi-fruit. I frutteti si distendono tra le colline, e in autunno dal vicino porto di Tauranga, il più grande del Paese, i kiwi cominciano il loro viaggio verso i mercati di tutto il mondo. Le principali fonti di denaro della Nuova Zelanda sono, infatti, l’esportazione di legname, la coltivazione di frutta, la carne e i latticini. Dopo aver visitato Rotorua e i suoi parchi vulcanico-termali, e le famose Glowworm Caves di Waitomo, mi sono ritrovata in una famiglia molto cristiana, con dieci figlie e un figlio, che si guadagna da vivere grazie alla compravendita di vitelli. Il marito è diventato cristiano dopo il suicidio del fratello, una trentina d’anni fa, e ora lui e la sua famiglia hanno una fede così forte che non credono nell’evoluzione. La settimana seguente sono stata a Waimarama, un villaggio al bordo di un’enorme spiaggia. La coppia che

mi ha accolto ha un enorme giardino e affitta due cottage che il marito ha costruito da solo in uno stile molto particolare, quasi fossero case tipiche cinesi – ma molto più colorate e artistiche, con teiere e piatti incastonati nel muro circondante il giardino. Ospiti della coppia sono due bambini con una malattia genetica, la malattia delle «ossa di vetro»: hanno ossa molto fragili e camminano un po’ storto, ma a parte questo sono normalissimi e vivacissimi. Qui ero in compagnia di tre wwoofers tedeschi, due dei quali in possesso di una macchina; perciò, quando non lavoravamo tra le rose e le insalate, ne approfittavamo per andare a un mercato locale, a una fiera, alla spiaggia, a passeggio nel bush… Qualche tempo dopo ho avuto la possibilità di visitare Wellington, la capitale, e in seguito ho lasciato l’isola del Nord a bordo di un traghetto per arrivare nella mia nuova famiglia, a Marahau, appena all’entrata dell’Abel Tasman National Park. Questo parco, lungo la costa al nord-ovest dell’isola del Sud, ha stupende spiagge dorate e foreste verdeggianti. C’è un sentiero, percorribile in tre o quattro giorni, che fa parte delle nove Great Walks, i più bei percorsi della Nuova Zelanda; tuttavia, l’attività più popolare nel parco è il kayak. Nella mia nuova casa ho dovuto sia lavorare in giardino sia aiutare a ristrutturare un cottage che una coppia di francesi in Nuova Zelanda solo da tre anni sta risistemando per poterlo affittare. Lei è una pianista ventisettenne che ha studiato nel miglior conservatorio di Parigi, lui l’aiuta a organizzare i concerti, e da poco hanno iniziato un tour che li porta a suonare in chiese, ospedali, scuole, prigioni, con lo scopo di portare la musica ovunque, non solo nelle migliori sale delle città. Ho proseguito scendendo lungo la piovosa West Coast, o Wet Coast («costa bagnata»), come la chiamano i locali. Una tappa obbligatoria sono state le Pancake Rocks, formidabili forma-

zioni rocciose a picco sul mare, simili a gigantesche torri di frittelle, come suggerisce il nome. Prima di rientrare nell’entroterra, ho dato un’occhiata al Franz Josef Glacier, grande ghiacciaio che forse sembrerà più spettacolare a qualcuno che non abita in Svizzera. La tappa è stata Lake Hawea, dove ho avuto l’occasione di ridipingere una pergola per una coppia di ex-contadini. Lei è una volitiva sessantenne con la quale ho potuto fare mountain bike attorno al lago; il marito, invece, è ai primi stadi della malattia di Parkinson, per cui ho avuto enormi difficoltà a capirlo quando parlava. Mi hanno fatto assaggiare le whitebait, dei pesciolini minuscoli che si pescano quasi solo sulla West Coast, e solo per un breve periodo, i quali sono una specialità neozelandese piuttosto conosciuta. In seguito, sono arrivata a Queenstown, la patria di sport adrenalinici quali il bungee jumping. Ho tralasciato quest’attività per dedicarmi alla manutenzione di un enorme e meraviglioso parco, che circonda un lodge di lusso nel quale ha perfino alloggiato la troupe di una serie televisiva neozelandese, Top of the Lake. Nel parco pascolano una dozzina di cervi, che la padrona di casa sa trasformare in gustosi piatti per i suoi ospiti. Ed ora eccomi qua, nell’estremo Sud neozelandese. Forse avrò l’occasione di andare a Curio Bay, baia conosciuta perché vi si può nuotare con gli Hector, piccoli delfini lunghi appena più di un metro. La famiglia che mi ospita ha avuto spesso la fortuna di poterli vedere e quasi toccare. Per ora ho solo visto un pinguino dagli occhi gialli, il pinguino più raro al mondo, che è presente solo in Nuova Zelanda. Ora mi aspetta la mia ultima famiglia, una coppia di ventottenni con tre bambini, orto e frutteto bio, pecore, capre, galline, cane e gatti. Potrò sperimentare un Natale estivo, dopodiché lascerò questa meravigliosa isola per andare a fare wwoofing a Bali. Ma questa sarà un’altra storia.


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Ambiente e Benessere

Correre, un’abitudine per stare bene Sport La corsa di resistenza è una disciplina sempre più in voga; ne parliamo con Marco Gazzola,

«la volpe del deserto», uno degli ultrarunner più noti in Ticino Elia Stampanoni Correre per scoprire posti nuovi, correre per viaggiare, per divertirsi, per stare meglio, per trovare le energie, le idee, ma anche correre per faticare e per vivere nuove emozioni. Sono diversi i motivi che spingono la gente a correre e Marco, come altri, lo fa per passione, dedicandosi alla corsa di resistenza, soprattutto al trail running, una specialità che si svolge su sentieri. Corse di 50, 100 o anche oltre 200 chilometri, con tratti di asfalto limitati a un massimo del venti per cento rispetto alla lunghezza totale. Sulle montagne preferibilmente, ma pure nei deserti, sui vulcani o altrove, da percorrere d’un fiato o a tappe. Marco Gazzola è uno dei tanti, ma è tra i primi che ha fatto parlare di sé. Il motivo? Forse i suoi risultati. Lui è spesso nelle prime posizioni e nella mitica Marathon des Sables del 2007 (la Maratona delle Sabbie), si è classificato al 13° rango, coronando il sogno di prendere parte a questa massacrante prova: 250 chilometri nel deserto in autosufficienza. Ma il risultato, per il capriaschese ora residente a Claro, è solo l’ultimo dei pensieri: «Il successo per me è essere contenti di sé stessi, fare nuove esperienze. Poi, chiaramente, se arriva anche il piazzamento va bene, ma ho vissuto grandi soddisfazioni anche negli allenamenti e nelle sconfitte». Con un passato da hockeista e da podista, Marco è sempre stato anche un’amante della montagna. Dopo una pausa, nel 2005 (passati i 30 anni) ha ripreso a correre, ritrovando la voglia della corsa abbinata alla montagna: «Raggiungere le cime nel minor tempo possibile e con poco peso in spalla; con una tenuta leggera da corsa, senza thermos e panino, ma solo con una barretta e una borraccia d’acqua», questi i nuovi obiettivi della «volpe del deserto», soprannome che si è guadagnato dopo la sua positiva esperienza nel Sahara Marocchino. Qui

ha saputo trovare una sintonia con l’ostico deserto, portandovi rispetto: «Questa prova nel deserto era per me l’esordio nel trail running e mi affascinava soprattutto il fatto che si trattasse di una prova in autosufficienza, dove l’organizzazione ti mette a disposizione solo l’acqua. Per il resto devi pensarci tu». Per regolamento si devono avere con sé, e per tutta la durata della gara, i viveri

necessari: al minimo duemila chilocalorie al giorno. Poi servono per esempio sacco a pelo, torcia con batterie di ricambio, spille di sicurezza, bussola, fischietto, coltello, disinfettante, pompa antiveleno, specchio di segnalazione, foglio di sopravvivenza d’alluminio e tubetto di crema solare. Logico che per essere leggeri e performanti è necessario centellinare spazio e peso, cercando materiali

all’avanguardia, oppure ingegnandosi: «Io avevo con me 17mila chilocalorie per i sette giorni e lo spazzolino da denti lo spezzai a metà per risparmiare qualche grammo che, sommato qua e là, contribuì ad alleggerire il mio sacco a soli sei chili e mezzo» ricorda Marco. L’avvicinamento al deserto e alle prove di ultra running dev’essere graduale. Inutile buttarsi in imprese stratosferiche senza un corretto allenamento e senza esperienza, sia a livello fisico sia mentale, per non ribadire l’importanza dell’equipaggiamento. Marco ama ascoltare i messaggi del suo corpo e non segue una preparazione specifica, pianificando gli allenamenti secondo la disponibilità di tempo. Lavora al Centro Tcs di Rivera (responsabile corsi) e occasionalmente sfrutta le trasferte recandosi di corsa al lavoro. Un mezzo di spostamento pratico: «Quando qualcuno ci invita a casa sua (con lui anche l’amica Arianna, nda) – racconta il quarantatreenne con un sorriso – sa che spesso arriviamo a passo di corsa». Il deserto, un’ambizione cullata per diversi anni, è stata la sua prima grande gara di ultra, ma da allora Marco ha potuto viaggiare e scoprire molti altri luoghi: dalle montagne ticinesi alle vette di tutta la Svizzera, dai vulcani della Sicilia alle catene montuose dell’Himalaya. Nel deserto è tornato anche in Libia, per una gara a tappe di 100 chilometri. Tra le prove più affascinanti di certo la Annapurna Mandala Trail, una gara di 280 km da percorrere in 8 tappe (9 giorni) e con 13’500 metri di dislivello, che si disputa tra i 4100 e i 5400 metri di altitudine. Un’esperienza estrema, invece, è quella vissuta al Tor des Géants (Giro dei giganti in patois valdostano), una gara che si svolge in Valle d’Aosta nel mese di settembre. Una prova attorno al Monte Bianco, con 330 chilometri da correre d’un fiato e conditi da 24mila metri di dislivello. I primi impiegano 70 ore, gli

ultimi 150, ossia quasi sette giorni. Una cosa difficile anche solo da immaginare. Qui il ticinese è arrivato molto vicino, o forse anche oltre, ai suoi limiti. «Ho corso per 76 ore dormendo solamente trenta minuti. A un certo punto perdi la connessione con il mondo reale, vedi cose strane e il tuo corpo non reagisce più come il solito». Probabilmente anche per questo, ha sbagliato percorso a pochi chilometri dal traguardo, compromettendo una storica vittoria in una delle gare più estenuanti, ritenuta dagli organizzatori come «il trail più duro al mondo». Ma l’ultra trail non è per Marco uno sport estremo: «Non prendo mai dei rischi correndo in montagna, non cerco né l’avventura né il pericolo. Correre è soprattutto un piacere e anche per questo adoro gareggiare pure sui sentieri di casa». Come in occasione dello Scenic Trail, una nuova prova che si è disputata a giugno in Capriasca, sua terra d’origine. Ma anche a casa sua a Claro, la «volpe del deserto» ha trovato terreno per mettersi in gioco. Nel 2014 (il 5 ottobre) è tornata in calendario una corsa che conduce al Pizzo di Claro, dopo 2500 metri di dislivello distribuiti su soli dieci chilometri di salita continua. Un’altra occasione per tutti gli appassionati dei trail o ultra trail di conquistare cime e vette, abbinando lo sforzo e la fatica a panorami e momenti indimenticabili.

Le prossime gare Le prossime gare di trail e sky running in Ticino: Lodrino-Lavertezzo 7 giugno 2015 Scenic Trail 13 giugno 2015 Basodino skyrace 11 luglio 2015 Ultrarace 7-9 agosto 2015 Claro - Pizzo Claro 4 ottobre 2015 Corsa della bricolla 11 ottobre 2015

Giochi Cruciverba Leggendo a soluzione ultimata le lettere evidenziate, troverai il proverbio che da solo potrebbe rivoluzionare il mondo! (Frase: 2, 7, 8, 1, 2, 7)

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ORIZZONTALI 1. Le iniziali della giornalista Gruber 3. Confidente 8. Le iniziali del giornalista Lerner 10. Personaggio dell’Iris 12. Periodo liturgico che precede il Natale 14. Una guardia imperiale giapponese 16. Si alternano nello stile 17. È fortemente alcolico 18. Ripide, scoscese 20. Tuo a Parigi 21. Noto pittore olandese 22. Le iniziali del fisico della relatività 23. Aglio a Parigi 25. Un albero 27. Iniziali del regista Argento 28. Lo dice il rassegnato 30. Le ha pari il misero 31. Logaritmo abbreviato VERTICALI 1. Un elenco 2. Umilia il portiere 4. Nome femminile 5. Fu un terribile zar 6. 106 romani 7. Due vocali 8. Le iniziali dell’attore Tirabassi 9. Un tipo di cappotto 11. Le iniziali del politico Maroni 13. Le macchie dell’anaconda 15. Nome maschile 18. Congiunzione latina 19. Pronome personale 20. Elemento di parole composte che significa caldo 21. Gergo americano 22. L’atmosfera del Carducci 24. Come sopra in breve 25. Avverbio di tempo 26. Nella poesia e nel romanzo 29. Quarantanove romani

Sudoku Livello facile Scopo del gioco

1

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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E M E R S O

T O A R R E L A S E P L O R I L E O

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1

2

Soluzione della settimana precedente

A C O A T E E L M T O O I

2

8

Incredibile! – Si stima che il corpo umano abbia vasi sanguigni per: Circa centomila chilometri.

C I R C O I N E R T V I O R C H N E B R E O N O R I

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 marzo 2015 ¶ N. 14

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Politica e Economia Terrorismo islamico Tunisia e Yemen, due Paesi agli antipodi, finiti quasi in contemporanea nel mirino dell’Isis pagina 22

L’età del Caos Seconda puntata dedicata alla Cina, l’impero che nasconde molte fragilità nascoste dall’autoritarsimo di Xi, secondo la tesi di un famoso sinologo americano

Flessibilità positiva Numerose aziende sostituiscono la «logica del cartellino» con il lavoro per obiettivi, con successo

Storia politica ticinese Una riflessione sull’evoluzione delle idee e degli scenari dal Dopoguerra ad oggi - 1. parte

pagina 23

pagina 25

AFP

pagina 24

Le nevrosi dell’Occidente

Libia Quale è la logica che sorregge l’idea delle Forze armate francesi, italiane e spagnole di intervenire in un Paese

lacerato da conflitti tra clan e tribù che aspirano a prendere il posto di Gheddafi?

Lucio Caracciolo Vi sono forse due possibilità su tre che nel giro di qualche mese la «comunità internazionale» – sigla dai mille usi – decida di intervenire di nuovo in quel che resta della Libia. La missione, possibilmente ma non necessariamente gratificata di un bollino Onu, sarebbe presentata come parte della «guerra al terrorismo». Nello specifico, per impedire al «califfo» al-Baghdadi di prendersi un Paese strategico fra Mediterraneo e Sahara, con annesso bottino di idrocarburi, oro e quant’altro. I capifila dell’operazione sarebbero l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, con la benedizione non solo spirituale dell’Arabia Saudita e altri sceiccati sunniti del Golfo. Con loro, mezzi e truppe speciali francesi, italiane e forse di altri Paesi europei, più l’appoggio logistico degli Stati Uniti (se non ci fosse stato il loro discreto supporto, nel 2011 la guerra contro Gheddafi sarebbe fallita, dato che dopo poche settimane i franco-britannici avevano esaurito le munizioni).

La catena degli eventi che dovrebbe portare all’attacco sarebbe più meno questa: i negoziati in corso fra le parti grazie al mediatore Onu Bernardino León (nella foto a sinistra) – Alba libica (Tripoli e Misurata) contro Tobruk e Beida (Operazione Dignità gestita dal generale Haftar col supporto emiratino ed egiziano) – sono battezzati falliti; segue attentato terroristico in città europea, subito rivendicato dal «califfo» o chi per lui; orrore e indignazione delle opinioni pubbliche occidentali, che chiedono di far qualcosa; risposta dei poteri pubblici, disposti a far qualsiasi cosa pur di non passare per inerti. Il tutto potrebbe concludersi con un’operazione aeronavale e di forze speciali a sostegno dei «controterroristi» di Haftar, dai dubbi risultati concreti ma dal probabile effetto di elevare il grado di intensità degli scontri, dunque il numero delle vittime. Poi toccherebbe decidere se fingere di aver vinto e ristabilizzato la Libia, postulando la missione compiuta. Oppure se restare in qualche modo risucchiati dal conflitto che avre-

mo contribuito ad inasprire, con conseguenze e costi imprevedibili. Quale logica sorregge l’idea di intervenire in Libia, cui si preparano da mesi reparti delle Forze armate francesi, italiane, inglesi e spagnole? I complottisti tireranno fuori dal cilindro l’ennesimo coniglio petrolifero/economico. Non si può affatto escludere che anche tale fattore giochi nella pianificazione dei governi arabi ed europei. Ma ridurre il tutto a questa sola dimensione significherebbe perderne di vista il senso più generale. Il quale consiste nell’ormai affermato radicamento della risposta militarista al terrorismo islamico, vero o presunto. Infatti sono calcolati in centinaia di migliaia i terroristi uccisi dopo l’11 settembre, fra Afghanistan, Iraq, Yemen e altri teatri bellici. Ma se ne abbiamo fatti fuori tanti, perché ne rispuntano almeno altrettanti? Perché il terrorismo non si può sradicare del tutto, dovunque. E anche perché immaginare di risolvere la pratica sparacchiando nel mucchio – con ciò evidentemente colpendo anche

civili innocenti – vuol dire non capire che così facciamo precisamente il gioco del nemico. Ne eleviamo la visibilità, il prestigio, le possibilità di reclutamento. Come stabilì un acuto analista europeo del teatro afghano, se di un gruppo di venti talebani ne uccidi dieci, alla fine non ne restano dieci ma cento. Nel caso libico, a tutto questo si somma un equivoco, alimentato in parallelo dalla propaganda del «califfo» e da quella degli interventisti. Ossia la sensazione che lo Stato Islamico si stia impadronendo della Libia. Non è affatto vero. Cellule jihadiste che si richiamano al «califfo», composte in genere da miliziani di gruppi islamisti locali che hanno deciso di passare sotto l’ombrello «califfale» sfruttandone il marchio di successo e la migliore remunerazione economica (per ora), hanno occupato alcune aree di Sirte, Derna, Sabrata e altri centri minori. Ma tutto ciò nell’ambito di una guerra (in)civile fra Tripoli/Misurata e Tobruk/Beida, nella quale diversi attori esterni fanno i loro giochi. In particolare, il generale

Haftar, d’intesa con il regime del Cairo, bolla come terroristi tutti o quasi i suoi nemici tripolitani, in quanto ospitano tra le loro file militanti dei Fratelli musulmani, ossia esponenti di quell’islam politico che le oligarchie arabe al potere identificano con Satana. Se dunque intervenissimo lo faremmo a favore di Haftar, in quanto la sua parte gode di una vasta legittimità internazionale, anche se in realtà non governa quasi nulla. In ogni caso, anche se l’Operazione Dignità dovesse sfondare in Tripolitania, sarebbe improbabile che le popolazioni e le tribù locali si assoggettassero al dominio dei cirenaici, dai quali li dividono storia e interessi. È il solito problema dei nostri interventi militari in terre d’islam: vi scaviamo enormi buche, ma non sappiamo come riempirle. È relativamente facile eliminare un dittatore. Molto meno assicurarne il rimpiazzo con qualche istituzione decente, nemmeno troppo democratica. L’impressione è che dalla nevrosi militarista non guariremo presto.


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Politica e Economia

La perversa logica dell’Isis Tunisia e Yemen Finiti nel mirino del Califfato, i due Paesi sono diventati oggetto di attentati che mirano ad abbattere

la democrazia nel primo e a far implodere lo Stato nel secondo, dove l’Arabia Saudita ha lanciato un’offensiva militare

Marcella Emiliani Due Paesi agli antipodi, la Tunisia e lo Yemen, sono finiti quasi in contemporanea nel mirino del terrorismo islamico. Mercoledì 18 marzo, un commando ha fatto irruzione nel Museo del Bardo a Tunisi, uccidendo 23 turisti europei (4 gli italiani) e tenendone in ostaggio altre decine prima di venire sgominato dalle forze di sicurezza. A Sana’a, il venerdì successivo, 20 marzo, sono saltate per aria due moschee sciite con un bilancio spaventoso di vittime: almeno 140 morti e centinaia feriti.

La Tunisia rappresenta fino ad oggi l’unico esempio riuscito di Primavera araba. Il suo processo di democratizzazione, pur tra mille difficoltà, è arrivato al traguardo delle libere elezioni per un libero parlamento e alla redazione nel 2014 di una Costituzione che oggi rappresenta un modello per tutti gli Stati arabi. Il principale partito islamico, Ennahda (Partito della Rinascita), ha partecipato alle rivolte che il 14 gennaio 2011 hanno costretto alla fuga il presidente Zine El-Abidine Ben Ali, ha vinto le elezioni per la Costituente del 2011, ha lavorato alla redazione della nuova Carta fondamentale e ha saputo farsi da parte quando nel 2014 – perse le elezioni legislative – ha favorito la creazione di un governo di tecnocrati sotto la guida di Mehdi Jomaa. Ennahda, insomma, finora ha dato prova di una sincera cultura democratica e l’attentato al Museo del Bardo, oltre al Parlamento, aveva nel mirino proprio questa cultura democratica, interpretata dai terroristi islamici come un vero e proprio tradimento. In Yemen la Primavera araba ha avuto ben altro esito. Dopo la cacciata del presidente Ali Abdallah Saleh il 27 febbraio 2012, si è involuta in un sanguinoso scontro intra-musulmano tra sunniti e sciiti dietro il quale si intersecano odi tribali secolari, la storica spaccatura tra il Nord e il Sud del Paese e la proxy war regionale tra Arabia Saudita e Iran. Lo Yemen, inoltre, a differenza della Tunisia, era già terra di insediamento di al-Qaeda ben prima dell’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono negli Stati Uniti del 2001. È infatti del 12 ottobre 2000 l’attacco ai danni del cacciatorpediniere americano USS Cole, ancorato nel porto di Aden ad opera di un gruppo seguace di Osama bin Laden. Oggi come oggi proprio lo Yemen rischia di aggiungersi al triste elenco degli Stati sull’orlo del fallimento dopo la Siria, l’Iraq e la Libia, tanto per restare in Medio Oriente. Perché, allora, i terroristi islamici hanno voluto colpire due Paesi che hanno tradizioni e realtà tanto diverse? Sia al-Qaeda, sia il Califfato islamico (Isis con acronimo inglese o Daesh con acronimo arabo) – che non vanno assolutamente confusi – agiscono seguendo innanzitutto una logica propagandistica ormai rodata. Maestri della comunicazione via internet, cercano di colpire simboli e icone di quelli che considerano nemici giurati.

AFP

Sia al-Qaeda sia il Califfato islamico sono maestri della comunicazione, cercano di colpire simboli e icone di quelli che considerano nemici giurati

In questo le Torri gemelle di New York hanno davvero fatto scuola: più grosso e visibile è il bersaglio, maggiore è la pubblicità che ne deriva e più alte le probabilità di reclutare «imitatori» per gli attentati terroristici. In quest’ottica il bersaglio in Tunisia era duplice: innanzitutto il parlamento, a due passi dal Museo del Bardo, con tutto il suo carico simbolico di democrazia ritenuta dagli estremisti islamici la «più grande menzogna dell’Occidente». Tra l’altro il parlamento tunisino proprio il 18 marzo discuteva della nuova legge anti-terrorismo. Impossibilitati a raggiungere la sede del legislativo, i terroristi si sono sfogati contro i turisti in visita al museo, altro bersaglio simbolico di enorme importanza. Il Bardo è lo scrigno della memoria storica dell’intero Mediterraneo, i cui tesori attirano ogni anno centinaia di migliaia di turisti. Un attentato al Bardo ha la stessa valenza simbolica della distruzione dei reperti archeologici assiri in Iraq, a Mosul, Nimrun e Hatra, patrimonio dell’intera umanità, presi a picconate dagli «uomini neri» del Califfato. Cancellare la memoria storica è un imperativo per chi voglia imporre il proprio credo con la forza, a qualsiasi latitudine, e non certo da oggi. Ma nel modus operandi di al-Qaeda e del Califfato islamico interviene anche un altro fattore più tattico: colpire là dove il «nemico» viene ritenuto debole o dove è più probabile si possa indebolirlo seriamente. In Tunisia l’esercito è di dimensioni ridotte: prima il «grande combattente» Habib Bourghiba, poi Ben Alì si sono sempre guardati dal potenziarlo per timore di colpi di Stato militari, il più classico dei meccanismi di cambio di regime in Medio Oriente. Soprattutto le forze di sicurezza tunisine non sono sufficientemente addestrate e attrezzate per la lotta al

terrorismo. La mancanza di risorse di cui soffre il Paese ha avuto anche questo risvolto. E il terrorismo ha colpito proprio una delle poche fonti di entrate su cui la Tunisia può contare: l’industria del turismo.

La Tunisia rappresenta fino a oggi l’unico esempio riuscito di Primavera araba. In Yemen la Primavera araba ha avuto ben altro successo Sugli autori dell’attentato al Bardo le stesse autorità tunisine hanno puntato il dito contro Ansar al-Sharia, che in Tunisia si è già prodotta nell’assalto all’ambasciata americana nel settembre 2012 e soprattutto negli omicidi di Chokri Belaid (il 6 febbraio 2013) e Mohamed Brahmi (25 luglio 2013), due eminenti politici della sinistra. Ansar al-Sharia ha il proprio epicentro in Libia, a Derna in Cirenaica, e ha aderito al Califfato islamico di Abu Bakr alBaghdadi. Ansar ha cellule oltre che in Tunisia anche in Algeria e – sempre stando alle autorità tunisine – di recente ha ingrossato le proprie fila con l’afflusso di «ritornati», giovani salafiti andati a combattere sotto la bandiera nera dell’Isis in Siria o in Iraq poi tornati, appunto, in patria. Anche questo è un copione che già conosciamo: i «ritornati» dall’Afghanistan, dove avevano combattuto contro i sovietici, misero a ferro e fuoco l’Algeria nella guerra civile del 1992-1998 e compirono gravissimi attentati in Arabia Saudita, sempre allo scopo di far cadere i regimi in carica, laici (in Algeria) o iper-musulmani

(Arabia Saudita) che fossero. Ricordiamo che la Tunisia, tra i Paesi arabi, con 3.000 giovani ha dato il contributo maggiore alla guerra che il Califfato islamico sta combattendo in Siria e Iraq, il che non fa certo ben sperare per la stabilità futura della Tunisia medesima, nonostante la pronta reazione della società civile e dei politici contro l’estremismo islamico. Anche l’attentato contro le moschee sciite di Sana’a in Yemen è stato rivendicato dal Califfato islamico, ma in questo caso è lecito dubitare. Lo Yemen, come abbiamo già detto, è terra di al-Qaeda nella penisola arabica (Aqap con acronimo inglese) e tra al-Qaeda e il Califfato di al-Baghdadi è in corso un vero e proprio braccio di ferro, per non dire aperta competizione, sul primato relativo al terrorismo islamico sunnita. Nel settore le false rivendicazioni sono consuetudine, anche se le esplosioni nelle moschee sciite potrebbero rappresentare una prima volta eclatante per l’Isis in Yemen. Di sicuro, l’attentato si inscrive nella corsa inarrestabile al monopolio del potere degli Houthi (una tribù sciita del nord del Paese) che nel settembre 2014 sono arrivati a controllare in armi la capitale, il 21 gennaio di quest’anno hanno assediato il palazzo presidenziale e hanno tenuto in ostaggio il presidente in carica Abdrabbuh Mansur Hadi, per costringerlo a modificare la neonata Costituzione federalista. L’8 febbraio i ribelli e i loro alleati (tra cui anche sostenitori dell’ex presidente Saleh) hanno emanato una «dichiarazione costituzionale» del tutto unilaterale, e quando Hadi è fuggito ad Aden, sua roccaforte nel sud del Paese, lo hanno accusato di voler orchestrare la destabilizzazione dello Yemen e di essere al servizio di «potenze straniere». Non è un mistero per nessuno che Hadi sia sostenuto dall’Arabia Sau-

dita, che vede giustamente nella rivolta degli Houthi la longa manus dell’Iran degli ayatollah, e dagli Stati Uniti con cui collabora da tempo, anche se con scarsi risultati, nella lotta globale al terrorismo islamico. Resta che il 23 marzo scorso gli Houthi hanno raggiunto la città di Taiz – a metà strada tra Sana’a e Aden – scatenando la protesta della popolazione locale che nei disordini seguiti ha lasciato sul terreno diversi morti. Soprattutto con la minaccia incombente della guerra civile ne ha approfittato al-Qaeda (Aqap) che ha intensificato i propri attacchi alle forze di sicurezza soprattutto nel Sud. Nulla esclude che, a fronte dell’offensiva degli sciiti che hanno negli Houthi i propri campioni, molti sunniti (la maggioranza della popolazione) siano andati a ingrossare le fila dell’Aqap e che l’attentato alle moschee sciite di Sana’a abbia rappresentato un monito sanguinosissimo agli stessi Houthi perché fermino la loro corsa verso Aden. Monito non colto, visto che il 25 marzo i ribelli e i loro alleati hanno occupato la più grande base aerea del Paese, ad al-Anad, vicinissima ad Aden, base che era stata evacuata appena una settimana prima dalle truppe americane e europee. Il presidente Hadi nel frattempo ha fatto appello all’Onu e al Consiglio di cooperazione del Golfo perché intervengano in armi a salvare lo Yemen. La prima a rispondere è stata l’Arabia Saudita che già il 25 lanciava i primi raid aerei contro la capitale yemenita (foto), mentre Mohammed al-Bukhaiti, uno dei leader della rivolta Houthi, minacciava Riyad di estendere la guerra a livello regionale. Resta che il vuoto di potere che si è creato a Sana’a rappresenta il terreno più fertile per l’avventurismo sanguinario del terrorismo islamico e per l’implosione dello Yemen medesimo.


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Politica e Economia

Cina, così grande e fragile I 10 libri da leggere – 2. parte Xi è impegnato in una gara contro il tempo per consolidare la potenza nazionale

di Pechino. Secondo il sinologo David Shambaugh il conto alla rovescia per il regime comunista è già cominciato Federico Rampini «Hai mai visto le stelle, quelle vere?» La bambina risponde senza esitare: «No». «E un cielo blu?» «Una volta ne ho visto uno che era un po’ blu». «Le nuvole bianche?» «Mai viste». Il dialogo si svolge tra Chai Jing, celebre giornalista televisiva a Pechino, e una bambina cinese di 6 anni. È un passaggio del documentario realizzato dalla stessa Chai Jing, e intitolato Sotto la cupola. La cupola, o noi diremmo la cappa, è quella fatta di smog, che incombe quasi 365 giorni all’anno su Pechino, Shanghai, e tutte le città della Cina. Il documentario Sotto la cupola racconta la vita nel Paese più inquinato nel mondo, e il prezzo che i suoi abitanti pagano: i polmoni anneriti anche per i non fumatori, il sangue avvelenato, l’aumento di tumori, infarti, ictus. L’autrice ne sa qualcosa: a sua figlia diagnosticarono un tumore quando ancora era nell’utero materno, e i medici collegarono il male agli effetti dello smog. «Sotto la cupola» ha avuto un successo travolgente: 200 milioni di spettatori online (non è stato trasmesso in tv né distribuito nelle sale cinematografiche, solo su Internet) in meno di una settimana. Chissà quanti altri lo avrebbero guardato. Ma è scomparso. La censura di Pechino, preoccupata per tanta attenzione, lo ha vietato. Come si spiega l’ottuso gesto della censura? Non è stato proprio il presidente Xi Jinping ad annunciare che la conversione della Cina alla Green Economy è una priorità nazionale? Non è stato lui ad accettare – per la prima volta – un’alleanza con l’America di Barack Obama per abbattere le emissioni di CO2? Forse Xi è sincero nel volere la transizione verso un’economia post-fossile; anche se per la verità il documentario censurato rivelava lo strapotere politico della lobby del carbone e del petrolio a Pechino. Di certo questo regime non sa cosa farsene di un movimento ambientalista dal basso. Se c’è da riconvertire il colosso economico cinese alle energie rinnovabili, questo è un compito da riservare ai tecnocrati del partito comunista. I cittadini non devono occuparsene troppo da vicino. Non sia mai che un pretesto di partecipazione dal basso diventi contagioso, crei un precedente pericoloso. In un mondo che sembra vivere perennemente sull’orlo del Grande Caos, lo spettacolo che offre la Cina può sembrare rassicurante. Ecco un’àncora di stabilità. Ecco la nazione più grande del pianeta – e la civiltà più antica di tutte – governata da una classe dirigente col pugno di ferro; che sa pilotare la modernizzazione evitando disgregazioni rovinose come quella dell’Urss, «rivoluzioni arancioni», «primavere arabe», e altri disordini. Da quest’anno – o l’anno scorso? o il prossimo? in fondo non importa – forse l’economia cinese ha superato le dimensioni di quella americana, almeno se usiamo il Prodotto interno lordo misurato a parità di potere d’acquisto. Di certo il colosso capital-comunista ha

Al centro: il leader cinese Xi Jinping con la moglie Peng Liyuan e Barack Obama . (AFP)

sollevato dalla miseria molte centinaia di milioni di persone, da quando alla fine degli anni Settanta iniziò la sua metamorfosi in un’economia di mercato. E tutto questo è accaduto senza guerre esterne dal 1979 (l’ultima fu combattuta in quell’anno contro il Vietnam). Violenza interna ce n’è stata, certo: dal massacro di Piazza Tienanmen (1989) alle periodiche repressioni brutali contro le minoranze etniche in Tibet, Xinjiang e Mongolia, contro i cristiani, contro i dissidenti. Ma la violenza di regime tutto sommato è poca cosa, viene applicata in maniera «chirurgica», almeno se paragonata ai bilanci di vittime nelle guerre guerreggiate, guerre civili, genocidi, jihad e terrorismi che nell’arco di questi ultimi 35 anni hanno martoriato altre parti del mondo: Balcani, Medio Oriente, Africa. Se c’è un antidoto al Caos, è il modello cinese.

In un mondo che sembra vivere perennemente sull’orlo del grande caos lo spettacolo che offre la Cina può sembrare rassicurante. Ma non è proprio così vero O forse no. Alcuni segnali dicono che la Cina è molto meno stabile di quanto voglia apparire. Cito episodi di cronaca recente, storie minori, in apparenza, che pure dovrebbero far suonare dei campanelli di allarme. Ecco una notizia che viene dalla California, marzo 2014. La polizia locale è dovuta intervenire contro delle

cliniche di maternità che praticano operazioni illecite: parti per mamme cinesi senza regolare permesso di soggiorno. Ma non si tratta di immigrazione clandestina. Quelle cliniche sono istituzioni di lusso. Un ricovero per un parto senza complicazioni costa dai 60.000 dollari in su. È un nuovo business, il «turismo» della maternità per ricche mamme cinesi. Vengono a fare figli nelle cliniche «a cinque stelle» di Los Angeles e San Francisco. Perché? La Cina, almeno nelle grandi città e per i suoi ricchi, ha dei buoni ospedali. Ma nascendo in America, i figli hanno automaticamente l’opzione della cittadinanza Usa. Questa notizia va affiancata ad un’altra, simile: il boom di ricchi cinesi che si sono precipitati ad approfittare di un’opportunità per la Green Card, il permesso di residenza permanente negli Usa. L’Amministrazione Obama ha creato questa nuova «corsìa veloce», si chiama la «Investor’s Based Green Card EB5», è riservata a chi investe nell’economia americana almeno un milione di dollari. Ha avuto un successo strepitoso, i più veloci ad approfittarne sono stati i cinesi. Ancora una notizia: quello che viene definito il super-commissario anti-corruzione, il capo della Commissione Centrale delle Ispezioni Disciplinarie del partito comunista cinese, Wang Qishan, nel marzo 2014 si è recato negli Stati Uniti per indagare sugli alti funzionari cinesi che sono fuggiti là portandosi il frutto delle loro ruberie. Wang conduce per conto del presidente Xi Jinping l’Operazione Caccia alla Volpe, come viene chiamata la vasta retata di leader corrotti lanciata da Xi (anche a fini di eliminazione dei concorrenti e consolidamento del potere personale). Ultimo dettaglio, non proprio insignificante: i due più recenti presidenti della Repubblica Popolare, sia Xi che il suo prede-

cessore Hu Jintao, hanno mandato i figli a studiare in prestigiose università americane. Che cosa ci dice tutto ciò? Che proprio l’élite cinese, cioè la minoranza privilegiata che ha ricavato i massimi benefici dall’ascesa del proprio Paese, non sembra avere molta fiducia nel futuro della Cina. «Votando con i piedi», preferisce investire in lussuosi appartamenti con vista su Central Park a Manhattan, procurarsi una Green Card o garantire un passaporto americano ai figli, mandarli a studiare in America, e così via. Non è così che si comporta una classe dirigente fiduciosa che il futuro appartiene alla Cina. Quei ricchi sanno qualcosa che noi non sappiamo? È la tesi di un libro importante scritto da un sinologo americano, David Shambaugh, docente alla George Washington University. L’ultimo di una serie di saggi che Shambaugh ha dedicato alla Repubblica Popolare, s’intitola China Goes Global: The Partial Power. Dopo una vita dedicata a studiare questo tema, Shambaugh si è convinto che la Cina di Xi Jinping è una fase di grande fragilità, nascosta dall’autoritarismo di questo presidente. «Il conto alla rovescia è cominciato, verso la fine del regime comunista», scrive. È consapevole che questo conto alla rovescia non ha una durata definita. Le profezie sulla fine dei regimi raramente ci hanno azzeccato: la Cia e i sovietologi non videro arrivare né la disgregazione dell’Urss né la democratizzazione dell’Europa dell’Est. E tuttavia «non esistono regimi eterni, e il comunismo cinese è ormai il più longevo dell’èra contemporanea insieme con la Corea del Nord». Per Shambaugh è indicativo il comportamento dei ricchi. Secondo uno studio dello Hurun Research Institute di Shanghai, circa 400 fra miliardari e milionari cinesi e cioè il 64% della «plu-

tocrazia» locale, ha scelto la via dell’emigrazione o si prepara a farlo. Oltre a figlie e figli dei presidenti, in generale i giovani rampolli delle famiglie più abbienti della Repubblica Popolare finiscono nelle università americane. Questo non impedisce che Xi Jinping continui a muoversi in una logica imperiale, con progetti di lungo periodo mirati a sfidare l’egemonia americana. Il boom di spese militari (+10% solo quest’anno) è un esempio. Un altro esempio recente riguarda l’ordine economico globale. La Repubblica Popolare, sentendosi sotto-rappresentata nelle istituzioni sovranazionali con sede a Washington (Fmi e Banca mondiale) è andata avanti con la costruzione di un soggetto alternativo, la controversa Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib). Quel che segue, è cronaca degli ultimi giorni, e ha creato grande allarme a Washington. Paesi alleati dell’America – i quattro europei membri del G7 (Inghilterra Germania Francia Italia), Corea del Sud e Australia – hanno ceduto alle pressioni cinesi e sono entrati nella nuova banca regionale. La quale è o un doppione o una concorrente, della Banca mondiale e della sua sorellina locale, la Asian Development Bank. La differenza politica, è che in quelle istituzioni nate nel 1944 e nel 1962 gli americani e i loro alleati hanno un’influenza dominante. Mentre la nuova Aiib nasce sotto l’egida di Pechino. Per gli americani il cedimento degli europei è grave. Li accusano di buttare via tutti i progressi fatti dalla Banca mondiale in termini di trasparenza, lotta alla corruzione, diritti sociali, sostenibilità ambientale, quando finanzia investimenti pubblici nelle infrastrutture, per avallare una banca che essendo progettata a Pechino difficilmente darà le stesse garanzie. Il più grave è il «tradimento» inglese perché gli americani lo collegano all’insofferenza di Londra verso le riforme americane che hanno in parte ridotto la speculazione finanziaria. L’avvio dell’Aiib può colpire in realtà per una certa mancanza di tempismo. La Cina non ha più il vigore della crescita che la caratterizzò negli ultimi 25 anni. Ha un presidente meno aperto alla globalizzazione, più nazionalista e protezionista dei suoi predecessori. Inoltre in diversi Paesi asiatici (Cina in testa) gli investimenti in infrastrutture sono perfino eccessivi. Ma bisogna ricordare che Franklin Roosevelt organizzò la conferenza di Bretton Woods (nascita del Fmi e della Banca mondiale) nel luglio 1944: mancavano 12 mesi al primo test della bomba atomica nel deserto del New Mexico. Le grandi potenze guardano molto lontano, hanno progetti egemonici proiettati sul lungo periodo. La Cina forse è un gigante dai piedi d’argilla, o una «tigre di carta» (espressione usata da Mao Zedong contro l’imperialismo occidentale), ma in tal caso Xi è impegnato in una gara contro il tempo, per consolidare la potenza nazionale prima che le crepe interne diventino visibili. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Una doccia di email Dietro il marchio Nelle nostre caselle di posta piovono email pubblicitarie a ritmo incessante, per vendere

un prodotto, un’idea, un servizio Mirko Nesurini Secondo gli esperti di vendita, l’email marketing è tutt’oggi uno strumento efficace per acquisire clienti, più efficace di una campagna di vendita svolta su Facebook e Twitter insieme. Gli acquisti generati dalle email sono tre volte superiori rispetto a quelli generati dai social media e secondo una ricerca di McKinsey il valore complessivo di acquisto medio di una campagna di emailing è superiore del 17 per cento rispetto a una pari campagna sui social network. Questo non significa che gli esperti di vendita siano autorizzati a inondare le nostre caselle di spam. Un elemento chiave per raggiungere il pieno successo di un’iniziativa di email marketing è la personalizzazione. La risposta dei consumatori può arrivare a essere dieci volte superiore introducendo offerte personalizzate basate sul comportamento d’acquisto dei consumatori, rispetto alle offerte generiche. Un elemento chiave del successo dell’email marketing è quindi la conoscenza del cliente con il quale l’impresa dialoga, e qui entra in gioco la privacy. Secondo l’avvocato Rosario Imperiali, specializzato nei temi del trattamento dei dati personali nel mondo digitale, «gli operatori di email marketing sono tenuti a rispettare le restrizioni di riservatezza stabilite dalle normative dei vari Paesi e i destinatari devono dare il loro consenso preventivo (eccezioni a parte) e hanno la possibilità di annullare l’iscrizione». Tuttavia, «le leggi dei singoli Stati europei, inclusa la Svizzera, consentono l’email marketing senza previo consenso quando i messaggi contengono informazioni su prodotti o servizi analoghi a quelli già acquistati dal cliente». Nonostante ciò, al cliente deve essere data la possibilità di opporsi all’invio a fini promozionali in qualsiasi momento. Per i consumatori il messaggio è chia-

Il consumatore può difendersi con una richiesta di rimozione dalle mailing list. (Keystone)

ro. Se non intendete continuare a essere destinatari di email che non v’interessano, cliccate sul pulsante «annulla iscrizione». Se l’azienda continuerà a inviarvi email potrebbe incorrere in sanzioni molto salate. Altro tema che tratteremo meglio in un successivo articolo è la permanenza delle nostre abitudini di acquisto nei database delle imprese tramite le carte fedeltà. In questi casi, leciti e anche molto interessanti per i consumatori, l’impresa trattiene le abitudini del consumatore per generare offerte sempre più convenienti per lei e ovviamente per il consumatore. Tra impresa e consumatore viene dunque stabilito un accordo del genere «mi permetti di studiare i tuoi comportamenti e in cambio ricevi sconti o promozioni». Come consumatore, non t’interessa fare parte di un circuito di carta fedeltà? Puoi sempre negare il consenso al trattamento dei tuoi dati personali. Torniamo all’email marketing. A

cosa serve? Serve a vendere prodotti o servizi. Il successo dell’impresa che intende convertire il contatto in vendita avviene in base alla rilevanza del messaggio e alla precisione con cui scelgo il destinatario e conosco le sue abitudini. Il brand che comunica in modo generico viene tacciato di invadenza. Il momento della ricezione del messaggio è cruciale. Una volta arrivato nella casella di posta, è necessario convincere l’utente ad aprire l’email. In questa fase, l’accoppiata mittente/oggetto è fondamentale. Se il mittente è conosciuto, il tasso di apertura aumenta. Lo stesso vale se l’oggetto è personalizzato. In media il tasso di apertura varia dal 10 al 30 per cento. In tutto questo, cosa viene in tasca al consumatore? In genere le imprese hanno capito che il consumatore va «ingaggiato». Tutto si gioca sulla capacità di creare relazioni con i consumatori che non si fermino al momento dell’acquisto ma che durino nel tempo.

La regola d’oro dell’email marketing è evitare che il destinatario si senta «preso di mira» e «invaso» da uno sconosciuto. Le imprese lavorano su chi già conosce il marchio e l’azienda, fornendo motivi interessanti per cui il destinatario dovrebbe decidere di continuare a ricevere le comunicazioni. Non si tratta di una generica offerta, promozione o sconto, ma si tratta di messaggi che promuovono proprio ciò che il consumatore sta cercando. Il consumatore che seleziona bene le sue priorità evitando di dare il consenso alla comunicazione email a tutti e cancellandosi dalle liste che non gli interessano ci guadagna in qualità di informazione. Come consumatori, abbiamo due possibilità per rispondere alle aziende che insistono, cioè inviano email anche a chi si è già cancellato. La prima è effettuare un esposto al garante della privacy e la seconda è pubblicare un reclamo sulla pagina Facebook dello scocciatore:

vedrete che la smetterà di rompervi le scatole. Le marche oggi si trovano infatti ad affrontare una rivoluzione incredibile che deriva dal boom delle denunce da parte dei consumatori via social media. I consumatori si lamentano di prodotti o servizi direttamente sulle pagine delle marche. Le aziende devono trovare il modo di trattare con loro in modo efficace. Le marche sanno che l’unica cosa che non possono fare è stare zitte. Devono rispondere alle critiche sui social media in fretta e in modo circostanziato per evitare che una critica puntuale diventi una valanga di insulti. Uno studio di Lithium che aiuta le aziende a rispondere sui social network e costruire contenuti attendibili, ha scoperto che il termine entro il quale il consumatore scontento accetta una risposta è di un’ora. Dopo di che, le persone iniziano a mettere in discussione l’impegno di un marchio per la soddisfazione dei loro clienti. Questo implica che i marchi devono stare all’erta. Luca Brunoni, un esperto di comunicazione, dice che «il dialogo e la reattività sono le uniche vie d’uscita dalla catastrofe virale». La censura può solo peggiorare le cose, e «d’altra parte, investendo nel servizio ai clienti sui social network l’azienda può aumentare la sua immagine e reputazione». Brunoni conclude con un consiglio ai consumatori: «le denunce sui social media ricevono risposte molto più veloci rispetto a quelle rivolte per lettera o per email». Le aziende cercano di rispondere alla meglio, ma soprattutto lavorano sulla causa del problema per evitare che si ripresenti. Viene prestata molta cura nella costruzione e manutenzione del database clienti e nell’erogazione del servizio. Per ridurre i reclami, è buon uso aumentare la qualità del servizio e questa è una vittoria chiara (1:0) del consumatore sull’azienda distratta.

La flessibilità lavorativa «positiva» Mondo del lavoro Sempre più imprenditori sostituiscono la «logica del cartellino» con il lavoro per obiettivi.

Se ben gestita, la scommessa è vincente per produttività e motivazione Edoardo Beretta In tempi di crisi economica – come sono gli attuali in diversi Paesi europei – al concetto di «flessibilità» in ambito lavorativo è spesso attribuita un’accezione negativa, cioè è associato a «precariato» o «riorganizzazione». Nel 2015 «lavoro flessibile» dovrebbe essere, però, inteso con una connotazione decisamente positiva, cioè equivalere alla possibilità di svolgere mansioni

con tempi e modalità scelte dal collaboratore e di utilità per l’azienda. Il tele-lavoro (telework) concettualizzato per la prima volta nel 1972, ma ancora poco diffuso (ad esempio, nel 2013 nel 21,1 per cento delle aziende tedesche) ne è certamente un valido strumento, consentendo al lavoratore di espletare le proprie funzioni lavorative da casa o, comunque, fuori sede: esso non può, però, rimanere l’unica forma di attuazione.

Non tutte le mansioni lavorative si possono svolgere con il telelavoro, ma anche chi ha orari rigidi può godere di una certa flessibilità se l’azienda ragiona in termini di obiettivi da raggiungere anziché di tempo di presenza. (Keystone)

La nuova frontiera lavorativa potrebbe essere, invece, sempre più rappresentata da lavoro per obiettivi (anziché per numero di ore settimanali). Fra i pionieri di questo nuova flessibilità «positiva» sono a mero titolo esemplificativo Virgin Group (circa 50’000 collaboratori) e Elbdudler GmbH (circa 30 collaboratori). L’estrema differenza di dimensioni di queste due realtà aziendali dimostra come l’approccio in questione non sottostia a vincoli di numero di collaboratori. Nel primo caso, Richard Branson ha aperto l’anno scorso ad alcune figure aziendali dislocate nel Regno Unito e negli USA la possibilità di non avere alcun limite contrattuale di giorni di ferie, qualora – in base a criteri di etica professionale – abbiano raggiunto gli obiettivi assegnati. Nel secondo caso, invece, Julian Vester, titolare di una società di pubblicità di Amburgo, ai microfoni di un noto canale televisivo tedesco ha dichiarato di «retribuire il risultato, non la presenza» in ufficio dei propri collaboratori. Evidentemente, la nuova frontiera lavorativa è costituita dall’abbattimento del concetto rigido e non negoziabile di orari lavorativi e giorni di ferie prestabiliti da contratto. Minore presenza in azienda e maggiore responsabilizzazione nell’espletamento delle proprie mansioni (sulla base di obiettivi di

volta in volta comunicati, verificabili e verificati) sono spesso forieri di maggiore motivazione e affezione lavorativa così come, di converso, di miglior performance aziendale. Particolarmente cruciali diventano quindi le modalità, con cui la flessibilità «positiva» venga effettivamente perseguita: in altre parole, il lavoro fuori sede non deve aggiungersi a quello in house, ma sostituirlo. Per quest’ultimo caso, il Professor Nicholas Bloom dell’Università di Stanford ha dimostrato empiricamente come i collaboratori «flessibilizzati» fossero del 13 per cento più produttivi rispetto ai loro colleghi oltre che più soddisfatti della loro condizione.

Uno studio dell’Uni di Stanford indica che i lavoratori «flessibilizzati» sono il 13% più produttivi Evidentemente, non per tutte le figure aziendali si può rinunciare alle «logica del cartellino» (ad esempio, per i lavoratori manuali o all’interno di cicli produttivi ben delineati), ma ciò non toglie che anche questa forza-lavoro possa essere flessibilizzata o, comun-

que, premiata sistematicamente al raggiungimento di buoni risultati. Certamente, ogni forma di lavoro per obiettivi sradicherebbe la logica del «tirare a fine giornata», cioè la tendenza a non massimizzare la performance nell’orario lavorativo sapendo di non avere uno stimolo a fare meglio in termini di produttività. Un’accresciuta sensibilità per le esigenze di flessibilità «positiva» di tipologie umane di collaboratori quali il single, la madre lavoratrice fino al dipendente «storico» costituisce un investimento nel futuro dell’azienda e della società stessa. Quest’ultima beneficerebbe, ad esempio, del ridimensionamento della mobilità casa-lavoro e di una minore esigenza di spazi aziendali anche grazie al desk sharing, cioè alla spartizione a rotazione di scrivanie e uffici, a pieno vantaggio della vivibilità dei centri urbani e del benessere dei lavoratori. Il Gruppo Migros con la sua attenzione per la conciliabilità tra lavoro e famiglia (work-life balance) o Brunello Cucinelli SpA con la sua impresa umanistica, che pone al centro cliente e collaboratore, sono solo alcuni esempi di aziende, che dimostrano proattivamente come il ritorno generalizzato alla crescita economica più sostenibile non avvenga «per decreto», ma utilizzando un approccio al passo dei tempi.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 marzo 2015 ¶ N. 14

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Politica e Economia

La politica: passione e disincanto Elezioni cantonali Dal forte influsso di idee e tendenze politiche provenienti da Sud e da Nord sui partiti

tradizionali in Ticino, al graduale distacco dei cittadini dalla politica in corso negli ultimi decenni – 1. parte Orazio Martinetti Nel dopoguerra, in Ticino, partiti e movimenti hanno assorbito largamente idee e stimoli provenienti dall’area italiana. Programmazione economica, dottrina sociale della Chiesa, nuova pedagogia, rinnovamento dell’urbanistica, contestazione studentesca: fu una ventata d’aria fresca che ebbe ripercussioni incisive, mutando schemi e linguaggi. Un’onda feconda che indusse tutte le organizzazioni sociali – associazioni, partiti, sindacati – a rivedere ruolo e strategie. L’ampia mobilitazione, di partiti e militanti, in vista dell’appuntamento del 19 aprile testimonia che, nonostante tutto, la passione per la contesa elettorale vibra ancora. Buon segno, a prima vista; un indice di vitalità del sistema. Perché senza questo sacro fuoco la politica decadrebbe a semplice amministrazione nelle mani dei soliti noti. Seicentoventiquattro candidati in lizza per il legislativo, agguerriti e ben inquadrati, formano un nutrito battaglione: un aspirante alla poltrona di gran consigliere ogni 350 potenziali elettrici/elettori, circa. Ma ecco il rovescio della medaglia, o meglio della scheda: la partecipazione al voto negli ultimi anni denota una costante flessione: dal 1987 al 2011 è calata di 13,6 punti percentuali (dal 72,1% al 58,7%). Se dovesse scendere al di sotto del 50%, come succede in altri cantoni della Svizzera, sarebbe un guaio per la nostra macchina democratica.

Già a metà degli anni Ottanta risultò chiaro che la fedeltà al partito non era più un dato acquisito per sempre Com’è noto, le campagne elettorali seguono un moto ondulatorio, con alti e bassi, momenti caldi e momenti freddi. In politica la stasi non esiste, ogni spazio lasciato vuoto viene prima o poi occupato. Il caso ticinese non fa eccezione, basta ripercorrere a volo d’uccello l’Ottocento per farsi un’idea della ferocia di certi pas-

Elezioni cantonali del 1987: a sorpresa entrano in governo Pietro Martinelli e Rossano Bervini, le due anime della sinistra divisa. Ma la stretta di mano non equivale ad una riconciliazione. (Keystone)

saggi prima che Berna imponesse il sistema elettorale proporzionale al posto del maggioritario. La politica non è nemmeno un acquario privo di rapporti con l’esterno; è piuttosto una cassa armonica che assorbe e restituisce, rivisti e adattati, echi, stimoli, ideologie, suggestioni ed emozioni circolanti nell’aria. I ticinesi – «popolo limitaneo», per riprendere la definizione di Eligio Pometta – si sono sempre ritrovati al centro di correnti ideali provenienti da Sud e da Nord: da Sud soprattutto durante il periodo del Risorgimento, da Nord durante gli anni cupi dell’assedio nazi-fascista (difesa spirituale). Nella fase acuta della lotta risorgimentale, il Ticino accolse patrioti come Mazzini, Garibaldi e Cattaneo (quest’ultimo rimase a Castagnola dal 1848 fino al 1869, anno della morte, offrendo un contributo ragguardevole alla modernizzazione della regione). Fu poi la volta degli anarchici e dei socialisti all’indomani della rivolta milanese del 1898 e infine degli antifascisti prima e durante la seconda guerra mondiale. Molti di loro contribuirono a svecchiare la cultura

politica locale, collaborando a giornali e periodici («Libera Stampa», «Popolo e Libertà», «Il Dovere») e intessendo relazioni con l’élite politica e culturale del cantone. Attraverso la frontiera meridionale entrarono così terminologie, programmi e visioni del mondo che, a dipendenza dell’orientamento ideologico, andarono ad arricchire il bagaglio delle rispettive «famiglie politiche»: liberali-radicali, conservatori, socialisti, alla guida del Paese fin dai primi anni Venti. L’apporto di intellettuali italiani rimase elevato anche nel secondo dopoguerra, epoca economicamente bifronte, giacché alla rinascita della penisola (il boom, il miracolo) faceva seguito una ripresa dei flussi migratori dal Mezzogiorno verso le città e le aree industriali del Settentrione e dell’Europa centrale. In quel frangente giunse in Ticino anche un plotone di insegnanti e di giornalisti, i primi destinati ai ginnasi e ai licei, i secondi ai quotidiani, indipendenti o di partito: un’emigrazione di cervelli che allora la scuola e il settore dell’informazione, dalla stampa alla radiotelevisione, sollecitava per completare gli organici.

Tutto quanto agitava l’effervescente repubblica italiana si ripercuoteva, presto o tardi, nelle segreterie politiche e nei giornali del cantone. Negli anni 60, con la nascita del centro-sinistra in Italia (governo Moro-Nenni), l’idea che più sedusse liberali e socialisti fu quella della «programmazione economica». La formula, elaborata dal democristiano Vanoni e dal socialista Giolitti, fu «importata» dal presidente del Partito liberale-radicale Libero Olgiati. Anche se, concretamente, non fece molta strada, la programmazione ebbe il merito di scuotere il parlamento e di introdurre nel dibattito pubblico i rudimenti della politica economica di matrice keynesiana: ruolo dello Stato, spesa pubblica, moltiplicatore, interventi anti-ciclici eccetera. Ma gli anni Sessanta aprirono anche la stagione della protesta giovanile, prima negli istituti superiori e poi nelle fabbriche: un’onda lunga che investì soprattutto la sinistra socialista ticinese (desiderosa di rinnovarsi dopo il quasi quarantennale regno di Canevascini) e l’ala cristiano-sociale dei conservatori, sensibile alle sollecitazioni provenienti

dal Concilio Vaticano II. La nuova generazione, formatasi nelle facoltà italiane o nei politecnici d’oltralpe, introdusse prima nei partiti e poi nei legislativi (comunali e cantonali) temi e metodi nuovi, forme d’impegno fortemente impregnate di ideologia, da Marx a Marcuse. L’agitazione maggiore si produsse all’interno dello schieramento di sinistra, dando vita a spaccature e infine alla scissione del 1969 (nascita del PSA): una divergenza, di natura personale ma anche culturale, che prima di ricomporsi (nel 1992) visse momenti di alta tensione, tra cui il duello Bervini-Martinelli durante l’infuocata campagna elettorale del 5 aprile del 1987. Probabilmente è da collocare qui, in questo aspro passaggio, l’avvio di un graduale distacco dai partiti tradizionali i cui primi segni erano già emersi in precedenza. Il Ticino «passionale», come lo chiamava Guido Calgari, dava insomma segni di cedimento: iniziava a vacillare l’adesione alla fede dei padri, l’appartenenza non era più scontata e automatica, e perfino le testate ufficiali incominciavano a inquietarsi per il calo dei lettori e degli abbonati. Qualcosa di profondo, di sotterraneo, stava erodendo la base su cui era cresciuta l’impalcatura dei partiti. Ma quali erano queste fratture che s’erano aperte tra il cittadino-elettore e il partito, provocando deflussi di voti e di consensi, la citata agonia – e in taluni casi la morte – della stampa di opinione, l’apatia dei giovani e delle donne, la diserzione degli intellettuali un tempo d’area se non proprio «organici»? Mosso dal desiderio di fare chiarezza, il PPD, nel 1984, aveva incaricato un gruppo di lavoro diretto dal professor Dino Jauch di stilare una diagnosi e di indicare una terapia. Il documento, intitolato «Rapporto’87», giunse sul tavolo della direttiva nell’ottobre del 1985 e successivamente allegato al «Popolo e Libertà». La fedeltà al partito – si osservava nel testo – non era più un dato acquisito una volta per tutte, da trasmettere in dote alle generazioni successive, bensì l’esito di un processo articolato, in cui confluivano e interagivano interessi e ideali, ragioni e umori, in buona parte imprevedibili e contingenti.

Corsa alle svalutazioni competitive, la BNS non cambia strategia Politica monetaria Il primo rapporto 2015 della Banca Nazionale Svizzera conferma la politica dei tassi negativi

sui depositi quale unica arma di difesa contro la sopravvalutazione del franco. Ignazio Bonoli Gli effetti della politica monetaria della Banca Nazionale Svizzera (BNS) cominciano a lasciare qualche traccia, ma l’impatto sull’economia sembra meno pesante di quanto si potesse prevedere. In particolare la borsa svizzera, che aveva subito il contraccolpo dell’abbandono del tasso di cambio minimo del franco sull’euro, a due mesi di distanza, è tornata ai livelli precedenti lo «choc» monetario. Formalmente, quindi, gli investitori hanno recuperato le perdite subite. Il che non significa però che, senza lo choc monetario, non avrebbero migliorato ulteriormente le loro posizioni. Anche per quanto concerne l’industria, soprattutto quella volta all’esportazione, la situazione è meno peggiore di quanto si fosse temuto. Da un lato sono stati presi provvedimenti, talvolta anche dolorosi, dall’altro si è visto ancora una volta che le imprese abituate a far fronte alle variazioni dei mercati internazionali se la stanno cavando generalmente bene. L’industria orolo-

giera, soprattutto quella di lusso, sembra non risentire le conseguenze dello «choc monetario». Vi sono però molte piccole e medie aziende che dovranno prendere provvedimenti pesanti per resistere alle pressioni internazionali. Il quadro mondiale è infatti caratterizzato da una specie di corsa alle svalutazioni concorrenziali, favorita dalla politica delle banche nazionali che non perdono occasione per annunciare riduzioni dei loro tassi di riferimento. Dal canto suo, la Banca Centrale Europea ha gettato benzina sul fuoco con l’inizio dell’annunciata operazione di «Quantitative Easing», cioè l’acquisto di titoli detenuti dalle varie banche centrali europee. Questa azione sta ingigantendo la tendenza al ribasso dei tassi di interesse e quindi anche delle quotazioni dell’euro sui mercati internazionali. La moneta europea è scesa sotto la parità anche con il dollaro americano. La Banca Nazionale Svizzera non può ovviamente sottrarsi a questa evoluzione e deve quindi rendere il franco svizzero il meno attraente possibile. Lo

strumento principale, per avvicinarsi a questo obiettivo, è quello dei tassi di interesse negativi. Il tasso dello 0,75 per cento è uno dei più pesanti nel confronto internazionale, ma non sembra avere gli effetti sperati, dal momento che il franco svizzero continua ad essere ritenuto sopravvalutato. Ciò potrebbe far pensare ad ulteriori inasprimenti, che però la BNS non segnala. È infatti difficile immaginare interessi negativi oltre lo 0,75 per cento, poiché ciò potrebbe favorire la tendenza a conservare denaro contante nelle proprie casse, il che non è nell’interesse della BNS e della sua politica monetaria. Ma anche il deposito di contanti non è privo di costi. Costi che non dovrebbero comunque distanziarsi troppo dallo 0,75%. Lo spazio di manovra nella politica dei tassi di interesse è però molto stretto e quindi anche l’alternativa di interventi sul mercato delle divise difficilmente praticabile. Lo dice anche la Banca Nazionale nel suo primo rapporto sulla politica monetaria di quest’anno, conferman-

do di mantenere le decisioni prese il 15 gennaio scorso. La BNS tiene comunque conto dell’impatto delle misure e riduce le previsioni di crescita dell’economia nel 2015 dal 2 all’1 per cento circa. La forza del franco frenerà l’economia d’esportazione, ma la minore creazione di valore verrà in parte compensata dai costi bassi dell’energia e dalla ripresa dell’economia americana e di quella di alcuni Paesi europei. Come il Seco (Segretariato di Stato all’economia), anche la BNS non vuole cedere al pessimismo per l’evoluzione dell’economia durante l’anno in corso. In ogni caso bisognerà attendere ancora qualche mese per vedere gli effetti positivi del rafforzamento del franco sulle importazioni. Alcuni effetti sui prezzi al dettaglio sono però già visibili e verranno rinforzati dalla diminuzione anche dei prezzi alla produzione, grazie alle importazioni. Per questo la BNS prevede un calo sensibile dei prezzi nei prossimi mesi. Anche le sue previsioni per l’inflazione risentono pesantemente di questa

evoluzione. Partendo da tassi di interesse condizionati dal «Libor» (tasso a tre mesi sul franco svizzero a Londra) a –0,75 per cento, la BNS prevede un’evoluzione dei prezzi al consumo (costo della vita) al –1,1 per cento. Un ritorno del tasso di inflazione in territorio positivo è previsto solo nel 2017. Per il momento la BNS non prevede cambiamenti, ma per la sua politica monetaria segue con attenzione l’evoluzione dei tassi di cambio del franco e – se necessario – non esclude interventi sul mercato, sospesi dopo l’abbandono della difesa del tasso sull’euro. Nessun cambiamento anche per la banda di oscillazione, prevista per il «Libor» tra –1,25 e –0,25 per cento. I depositi in conto giro soggetti a questi tassi raggiungeranno (20 marzo 2015) i 160 miliardi di franchi circa. La BCE ha accentuato la corsa alla svalutazione delle monete, prolungando la fase di discesa dei tassi di interesse. Ancora una volta la politica della BNS dipenderà dall’evoluzione delle politiche degli altri Paesi, nelle quali la Svizzera non ha potere di intervenire.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 marzo 2015 ¶ N. 14

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi La quarta rivoluzione industriale 60 anni fa, nelle economie avanzate, il settore industriale era dominante. Era il settore con più posti di lavoro ed era anche quello che forniva all’economia la quota maggiore di valore aggiunto. Si produceva allora in grandi stabilimenti con catene di produzione nelle quali ogni lavoratore aveva un compito ripetitivo. Da allora, dall’epoca cioè della produzione a catena, l’industria ha continuato a perdere di importanza sia come settore di occupazione, sia anche per quel che concerne il suo contributo al valore aggiunto dell’economia nazionale. Molti sociologhi e economisti parlano così, da qualche decennio, di una società post-industriale nella quale alla produzione di manufatti si sarebbe sostituita quella di servizi. Colin Clark, che fu tra i primi a formulare questa teoria dell’evoluzione economica per settori, anticipava addirittura che anche i servizi, ossia il settore terziario,

un giorno sarebbero stati rimpiazzati da nuove attività, quelle del settore quaternario. Il discorso sull’avvenire del terziario e sulle attività che potrebbero in futuro assumerne l’eredità è un discorso che si comincia a fare anche in Ticino perché le attività finanziarie e bancarie segnano il passo. Prova ne sia che nel rapporto che l’Istituto di ricerche economiche dell’USI ha dedicato di recente al futuro dell’economia cantonale l’attenzione si concentra sui meta-settori – ritenete questo neologismo – ossia su complessi di attività industriali che, combinate, dovrebbero ridare slancio all’economia del Cantone. Nei meta-settori industriali, accanto alla moda, alla meccatronica e alle biotecnologie – figura anche il turismo che, stando alla statistica, è un’attività del settore terziario. Non si dimentichi però che, prima della seconda guerra mondiale, il turismo veniva considera-

to da chi studiava l’economia nostrana, come un’attività industriale. Si parlava allora dell’«industria dei forestieri». Neologismi e vecchie definizioni a parte, quel che comincia ad emergere dagli studi in corso, è che le attività economiche del futuro non apparteranno al quaternario, ma al secondario, anzi al settore industriale. Ma si tratterà di una nuova industria che ha veramente poco da spartire con quella di oggi. Quando si parla di aziende industriali, noi continuiamo a pensare alla fabbrica. Ma il luogo della produzione industriale di oggi non è più comparabile con la fabbrica di 50, 100 e più ancora, 200 anni fa. E la fabbrica di domani lo sarà ancora meno. Per caratterizzare i cambiamenti manifestatisi nell’unità di produzione industriale gli specialisti parlano di rivoluzioni. Essi sostengono, in particolare, che la produzione industriale, affermatasi, anche in

Europa, a partire dall’inizio dell’Ottocento, è passata, fin qui, attraverso tre rivoluzioni. Oggi starebbe per entrare nella quarta. Della prima rivoluzione industriale legata ai progressi consentiti dall’applicazione dell’energia a vapore e ai progressi tecnologici fatti nei processi di produzione dell’acciaio e dei tessili abbiamo sentito parlare tutti. In Svizzera questa trasformazione del modo di produrre manufatti si è manifestata nella prima metà dell’Ottocento. La seconda rivoluzione industriale apparve circa 50 anni dopo con l’introduzione dell’energia elettrica, del gas, i grandi balzi in avanti fatti nell’industria chimica e i progressi consentiti nei trasporti dal compimento della rete ferroviaria e dall’apparizione dell’automobile. La terza rivoluzione industriale si realizza, a partire dagli anni Sessanta del Ventesimo secolo, con la generalizzazione dell’automazio-

ne e, più avanti, con l’introduzione dei computer, dei robot e con la microelettronica. Sono questi progressi nella tecnologia che consentono di realizzare la produzione snella (just in time) e mettere fine alla produzione di massa. Ora saremmo alla soglia di una quarta rivoluzione industriale, quella nella quale le tecnologie dell’informazione e della comunicazione prenderebbero in mano la direzione, il controllo e l’analisi di interi processi di produzione. Il governo tedesco, che ha promosso un grande progetto di ricerca su questi cambiamenti, parla di Industria 4.0. Secondo alcuni esperti, la quarta rivoluzione industriale dovrebbe essere completata, nei Paesi più avanzati (e quindi anche in Svizzera) entro dieci anni. Come dire che dobbiamo cominciare ad occuparcene anche a livello di programmi universitari e, soprattutto, di formazione professionale.

manifesto durissimo, interpretato da tutti come una ri-discesa in campo, in cui definiva la Francia socialista «una dittatura», poi candidandosi alle primarie per la presidenza del partito e vincendole (sia pure senza il plebiscito che si attendeva). Il buon risultato di Marine Le Pen non può nascondere la vittoria dell’Ump, il partito della destra tradizionale, che Sarkozy vorrebbe ribattezzare «Les Républicains». Paradossalmente, l’uomo che ha sdoganato il linguaggio e gli argomenti di Jean-Marie Le Pen è considerato il miglior argine contro sua figlia. La linea dell’Ump per il secondo turno di domenica prossima è quella tradizionale di Sarkozy: «ni-ni», né socialisti né lepenisti; non ci sarà il «fronte repubblicano» che nel 2002 riportò Chirac all’Eliseo con l’82% dei voti. Sarkozy non è amato nel suo partito. Ma nessuno lo vale per personalità e grinta. L’ex premier François Fillon

scalpita. Jean-François Copé è fuori gioco. Quanto ad Alain Juppé, alle prossime presidenziali avrà 72 anni; e l’ex presidente, che ne ha dieci di meno, con la sua energia e la sua influenza sui media è in grado di trasformarlo da anziano saggio, com’è considerato oggi, in vecchio arnese chiracchiano. Ma l’aggressività e la forza di Nicolas, accentuata dal filo di barba con cui ama farsi fotografare, è anche il suo punto debole. Una parte del Paese, non necessariamente di sinistra, lo aborre. Non lo considera neppure del tutto francese: per le sue radici ungheresi e sefardite, per il suo rigetto di vini e formaggi, per quel soprannome, Sarko, aspro come una malattia; e soprattutto per la sua volontà di imporre la «rupture», la rottura del sistema statalista, che la Francia vuole solo a parole. Il vantaggio di Sarkozy è essere l’unico ad aver affrontato, con qualche umiliazione ma anche qualche successo, la ragione principale del «grand

malaise» di un Paese che da 33 anni a ogni voto fa vincere l’opposizione: non solo l’impoverimento economico, ma anche l’idea di non contare più nulla nel mondo globale, se non aggrappati alla Germania, in un rapporto di crescente vassallaggio con gli ammirati e detestati tedeschi. Non a caso, in passato Sarkozy ha paragonato il sistema giudiziario francese alla Stasi, la polizia politica della Germania comunista: per la Francia di destra, qualcosa di peggio della Gestapo; per gli altri, un paragone spropositato. Di conseguenza, Hollande in segreto spera di avere contro ancora lui, piuttosto che un candidato «normale». Tra non molto si capirà se aveva ragione Alain Minc, che due anni fa per consolare Sarkozy, disperato dopo aver perso il duello tv – «come è potuto succedere?!» –, gli scrisse un sms: «Caro Nicolas, stavolta andrà male. Ma nel 2017 la battaglia sarà ancora tra te e Hollande; e non finirà allo stesso modo».

esito positivo con un giro d’affari oltre il miliardo e, soprattutto, con un utile netto che rasenta i 160 milioni di franchi. Il divario risulta evidente anche al cospetto di una serie di decisioni prese lo scorso anno dai dirigenti di Tamedia. In sintesi il lungo elenco: cessione a Swisscom delle azioni della partecipata Publigroupe (uno dei leader nel ramo pubblicitario e marketing); acquisizione della società editrice Ziegler Druck-und Verlags-AG, che pubblica il «Landbote»; contratto per la stampa dei giornali della Nzz; acquisizione della maggioranza della società danese Trendsales che gestisce fra l’altro una piattaforma di annunci, proposti da privati o commercianti, relativi ad articoli di abbigliamento vintage o outlet; acquisizione del gestore di scambi online della Svizzera «Ricardo» con sede a Baar (ZG); acquisto del controllo totale delle piattaforme del commercio online «tutti.ch» e di annunci per automobili «car4you.ch». Con questi ultimi investimenti Tamedia rafforza la sua posizione di leader

nel mercato online svizzero, rasentando il monopolio nella copertura del mercato svizzero-tedesco. Nel suo portafoglio ora ha ben tredici offerte di questo tipo e, tra queste, oltre alle già citate Ricardo, «tutti.ch» e «car4you. ch», spiccano anche quelle di «homegate.ch», la tedesca «Doodle», «jobs.ch» e soprattutto «Zattoo» che garantisce al gruppo uno dei più promettenti binari del futuro digitale: la distribuzione di informazione e intrattenimento nelle emissioni video in streaming. Ora, dimenticando le diverse situazioni economiche aziendali (la «Nzz» ha avuto anche una crisi a livello redazionale, compostasi con la nomina del nuovo direttore dopo mesi di tergiversazioni), credo sia ormai inconfutabile il coraggioso ruolo di battistrada assunto da Tamedia. La definizione più adatta di ciò che caratterizza le sue scelte l’abbiamo trovata nella brochure di una ditta che ha partecipato alla costruzione della nuovissima sede inaugurata presso lo Stauffacherquai a Zurigo nel settembre scorso: «Un edificio unico nel

suo genere che contribuisce all’immagine della Casa Editrice che attraverso l’ingresso della luce vuole comunicare i propri contenuti di trasparenza e innovazione». Forse anche la vecchia signora, magari il giorno dell’accordo per la stampa del suo secolare giornale presso la concorrenza, oppure confrontando come stiamo facendo noi i bilanci 2014, avrà rivolto il pensiero a queste due caratteristiche: trasparenza e innovazione. Sono le uniche corazze che oggi possono consentire alle imprese mediatiche e ai gruppi editoriali di tutto il mondo di attrezzarsi per un «continuum» fra online advertising ed e-commerce. Anche perché la chiave del futuro prossimo dell’informazione, secondo un’analisi del «Financial Times», potrebbe essere a due velocità: informazione rapida, efficace e liquida in settimana; ponderata, originale e bella graficamente il sabato e la domenica. In altre parole: digitale e online dal lunedì al venerdì, sulla carta nel weekend. Ma sia chiara un’avvertenza: la soluzione finale non la conosce ancora nessuno.

In&outlet di Aldo Cazzullo Il ritorno di Sarkozy volgare; e soprattutto la presenza di una talpa tra i giudici, che passava notizie all’Eliseo in cambio della promessa di un posto principesco a Monaco. Vistosi nell’angolo, Sarkozy ha riguadagnato il centro della scena, prima scrivendo sul «Figaro» un

Keystone

Tutti aspettavano Marine Le Pen; ed ecco invece, a sorpresa, Nicolas Sarkozy (nella foto), vero vincitore delle elezioni cantonali francesi di domenica scorsa. A dispetto dell’annuncio del 2012, Sarkozy non si è affatto ritirato dalla politica. Anzi, è sempre rimasto sotto traccia il vero capo della destra francese non lepenista. A lungo è stato in prima pagina per gli scandali delle sue registrazioni. Prima quelle amatoriali dell’ex amico Patrick Buisson. Poi quelle professionali della magistratura, che indagava sul depistaggio di un’inchiesta infamante: il sospetto sull’ex presidente era che avesse subornato l’anziana miliardaria Liliane Bettencourt per estorcerle denari, prima che morisse, e di aver munto pure il povero Gheddafi, prima di bombardarlo. Nel frattempo Sarkozy è stato prosciolto, ma siccome nessun uomo è grande per il suo intercettatore sono emersi dettagli scabrosi: un linguaggio tipo Nixon; uno stile intimidatorio e

Zig-Zag di Ovidio Biffi L’editoria che sta mutando pelle So di ripresentare cose già svelate dai quotidiani, ma servono a introdurre alcune considerazioni sull’andamento economico e sulle convergenze di due dei maggiori gruppi editoriali della Svizzera tedesca: Neue Zürcher Zeitung e Tamedia (editore del «Tages Anzeiger», ma, come vedremo, non solo). Per la vecchia signora del giornalismo svizzero, la «Nzz», sembra che le turbolenze iniziate qualche anno fa stiano diminuendo. Il gruppo, nonostante i conti in rosso dello scorso esercizio, si dice fiducioso sull’esito dei suoi investimenti dopo essersi liberato della tipografia di Schlieren e aver deciso di affidare la stampa di tutti i suoi giornali al centro tipografico Tamedia, cioè alla concorrenza. Nel suo bilancio 2014 elenca ricavi in aumento per gli abbonamenti, in particolare quelli digitali: per la «Nzz» e per il domenicale «Nzz am Sonntag» la progressione è vicina al 50% e tocca ora le 16’000 unità. Meno buono invece il risultato per le entrate pubblicitarie. L’incremento nel

passaggio dei lettori e abbonati tradizionali (quello del cartaceo) a quelli delle edizioni digitali (portale online e giornale in Pdf per iPad, smartphone e Pc) rimane dunque il dato più positivo, ma siamo ancora lontani da una svolta che segni perlomeno il declino, se non il tramonto del cartaceo. Inoltre, proprio il calo degli introiti pubblicitari fa capire che, pur razionalizzando e riducendo perdite e costi, l’edizione online e il formato digitale non riescono a convincere gli inserzionisti e nemmeno a fornire un gettito pubblicitario indipendente. Proprio la pubblicità funziona da cartina al tornasole per individuare le differenze fra la politica editoriale della Nzz con quella del gruppo Tamedia, antagonisti storici per quel che riguarda l’informazione nella città e nel cantone di Zurigo. I bilanci delle due imprese mostrano due diversi ordini di grandezza economici, come pure una diversa realtà operativa: il giro d’affari della «Nzz» è sceso da 482,4 a 471,1 milioni con una perdita vicina ai 40 milioni, mentre Tamedia ha registrato un


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Cultura e Spettacoli Storia in immagini Il Museo Cantonale d’Arte espone fotografie provenienti dalla sua collezione permanente

Il successo dei Dreamshade Un deathmetal nemmeno troppo mortifero da ascoltare il 18 aprile al Foce di Lugano

Dopo Paolo tocca a Jack Un altro italo-britannico nella scalata delle chart: Jack Savoretti sulle orme di Paolo Nutini pagina 35

Poesia a scuola? Folgoranti considerazioni di alcuni poeti italiani sull’insegnamento della poesia nella scuola pagina 37

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Una piccola cara felicità

Filosofia quotidiana I preziosi approdi (a volte non riconosciuti) delle nostre vite Maria Bettetini Naturalmente non esiste una ricetta per la felicità. Per la felicità vera e piena, intendo. Infatti quando sembra di esserci quasi, se pur camminando «su filo di lama» come scrisse Montale, inevitabilmente qualcosa «sporca» quell’attimo. Qualche fastidio, o retropensiero, o evento inatteso e conturbante. Seguendo i ricordi, scorgiamo, sì attimi pieni di luce, ma sono o inconsapevoli oppure questo, attimi, bagliori che riempiono di luce l’istante. Le corse in spiaggia da bambini, la mamma che consola da una caduta, la lode della maestra, e quando abbiamo nuotato senza braccioli, tolto le rotelline alla bici. Oppure, con consapevolezza, da adulti, un incontro, un perdono, una promozione, una guarigione. Arrivati inattesi, perché la felicità è questo, sorprendersi. Non si può costruire né preparare, perché si è perso il ricettario. Si può però aguzzare la vista, risvegliare il cuore, e domandarsi con l’intelligenza dell’uomo ormai cresciuto dove si annidano le sorprese nella nostra vita. Un grande campo di ricerca, a contrario

come direbbero i logici, è quello dell’«allegria degli scampati». Chi è rimasto in vita dopo una disgrazia, slavina incidente epidemia terremoto naufragio, di solito vede la vita con altri occhi, con nuova leggerezza. Si rende infatti conto della gratuità di ciò che vive, che avrebbe potuto non vivere più, invece è stato prescelto. Spesso lo scampato cambia vita, si decide a essere onesto, si sposa, fa la pace coi parenti. Ma non ci possiamo augurare disgrazie a cui scampare, è evidente. Siamo tutti un po’ scampati in verità, perché siamo arrivati fino qui e, se voi state leggendo un giornale e io sto scrivendo, significa che siamo viventi, non deportati in un campo di prigionia nel deserto, né in stato di incoscienza in un ospedale, né in altre spiacevoli situazioni. È un po’ poco per essere felici, anche perché pensando a queste situazioni, vero che vi si è stretto il cuore, quanta sofferenza c’è nel mondo? Lasciamo stare chi soffre. Riflettiamo allora sulle ragioni di quel «barlume che vacilla, teso ghiaccio che si incrina», per citare ancora Felicità raggiunta di Montale. A volte, per

raggiungerla, si fanno grandi errori, come inseguire amori falsi, rifugiarsi in paradisi artificiali, in piccola o grande misura ne abbiamo tutti fatto esperienza. Amara esperienza, come amaro è il gusto della disillusione. Dunque dove è stata la felicità, per ciascuno di noi? Non credo di sbagliare, indicando la calda sensazione dell’essere amati. Se abbiamo avuto questa fortuna, dai genitori nell’infanzia. Poi da qualcuno, che magari dopo si è allontanato dalla nostra vita, ma intanto ci ha regalato quella sicurezza di non esser soli. I figli? Può essere, ma anche no, possono non amare. E anche gli altri legami, se non è il disamore è la morte, che si preoccupa di renderli diversi, se non proprio interromperli. Io credo che non si possa affidare il profondo della nostra anima ad amori caduchi. Sono belli, importanti, anche se spesso mettono ansia, sono faticosi. Allora proviamo a seguire un ulteriore ragionamento: è difficile che qualcuno, al giorno d’oggi, sia del tutto materialista, immanentista. Il Novecento è stato anche il secolo del crollo, con i muri, delle certezze: la scienza può sbagliare,

l’uomo rimane piccolo e insicuro nonostante i successi della tecnologia, Marx sarà stato frainteso, ma non è stato proprio un lume di giustizia e felicità, «e anche io non mi sento troppo bene», chioserebbe Woody Allen. Sappiamo, con gradi di chiarezza diversi, che Qualcuno ha avuto a che fare con l’origine di questo mondo e con la nostra (sia partito dal fango o da un australopiteco). E non è costruita male, questa macchinetta dell’universo. Mi piace pensare che, nell’infinità in cui naufragare «è dolce», qualcuno abbia pensato a me. Mi abbia previsto, atteso. Segua con il fiato sospeso le mie vicende, che sono, lo so, di rilevanza quasi nulla nello scorrere millenario della storia, certo nulla nel computo dell’umana memoria: Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone, di loro c’è memoria, ma ce n’è uno ogni molti secoli, e per fortuna, perché non è per i benefici apportati all’umanità che vengono ricordati, questi generali guerrafondai. Il futuro non mi ricorderà, pazienza. Ma qualcuno che mi ha atteso, mi attenderà anche dopo il mio vicino o lontano ultimo respiro.

Non è solo il cristianesimo a istillare questo credo, sono anche le letture di tanti sapienti ben poco o per nulla cristiani, è l’afflato di tante religioni. Al termine dell’Apologia, della difesa in tribunale, Socrate disse ai giudici iniqui: «Ora io vado a morire, voi a vivere. Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio, è oscuro a tutti, tranne che al dio». Al dio scritto così, minuscolo, perché Socrate ha un’intuizione, un sentire, della vita dopo la morte, di un intervento divino. Noi potremmo dirne di più, forse, ma non è necessario, anche solo l’intuizione, il sospetto dell’ultraterreno ci portano a guardare con occhi diversi l’unico grande cruccio, il morire di persone care, di speranze e ideali, il morire che aggredisce il nostro corpo, ogni giorno un po’. Se c’è un approdo, non ci sono naufraghi. Siamo tutti «scampati», uno per uno. E allora che sarà mai una partita di calcio persa, un ascesso a un molare. Fanno male sì, ma qualcuno lo sa, e ci aspetta, e dopo riposeremo. E adesso mi metto un fiore tra i capelli e prendo il tram canticchiando, anche se questo marzo è bigio come un gennaio.


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Cultura e Spettacoli

La storia in immagini di un museo Fotografia Il Museo Cantonale d’Arte offre l’imperdibile opportunità di fare confronti e considerazioni

su quanto avvenuto negli ultimi decenni a livello artistico (e non solo) in Svizzera e all’estero Gian Franco Ragno Come ogni anno, il Museo Cantonale offre un sguardo retrospettivo su ciò che costituisce le sue collezioni: quest’anno esso si rivolge esclusivamente alla fotografia. Un medium e una disciplina ambigua, tra arte e documento, per lungo tempo – a causa della sua meccanicità – osteggiata dal mondo dell’arte ma che in seguito, soprattutto dagli anni Ottanta, ha fatto valere la sua presenza sulla scena artistica, pur entrando, Stati Uniti a parte, con sensibile ritardo nelle collezioni dei musei. Non è stato questo il caso del Museo Cantonale, che sin dalla sua fondazione ha offerto alle espressioni del mezzo un importante spazio nella programmazione, proponendo, già come sua seconda esposizione nel 1987, quel Il Ticino e i suoi fotografi così importante per gli sviluppi del mondo dell’immagine nel nostro cantone. Al fianco dell’illuminato progetto della Galleria del Gottardo, voluta da Ferdinando Garzoni e diretta da Luca Patocchi e Alberto Bianda, il museo di Palazzo Reali in Via Canova contribuì a un’indimenticata stagione di esposizioni all’altezza dei grandi centri svizzeri. Fotografica offre l’opportunità per rivedere, ritrovare, stabilire fertili confronti con quello che è successo negli scorsi decenni a livello non solo svizzero ma anche internazionale. E i dialoghi tra le opere nelle sale sono l’aspetto più stimolante: un’impressione caleidoscopica, e l’elenco che seguirà, in questo senso, non sarà certo esaustivo. Ad esempio, tra i molti autori, possiamo finalmente rincontrare Florance Henri (1893-1982) che è stata un vera riscoperta del museo luganese nel 1993 – e che proprio quest’anno ha avuto un’importante retrospettiva al museo parigino del Jeu de Paume,

tempio della fotografia a Parigi. Accompagnata, in una sala, dalla complicità visiva di Lux Feininger e messa in relazione con uno scatto contemporaneo di Luciano Rigolini, raffigurante la Shell-haus di Berlino, architettura degli anni Trenta. Oppure ritrovare tre splendidi Thomas Struth della serie Museums Photographs, in cui il tema è proprio la frequentazione dei musei come rito turistico e di massa, accanto al quale vi è un omaggio alle profonde tonalità scure di Balthasar Burkhard, scomparso nel 2002. Si passa dalla fotografia come documentazione della stessa scena artistica, come la New York di Edo Bertoglio e i ritratti di Andrea Cometta, alla fotografia come parte di un progetto artistico più concettuale (Franco Vaccari, Hamish Fulton) frutto delle posizioni delle neoavanguardie, quando lo stesso statuto artistico dell’opera d’arte iniziava a espandersi oltre il quadro, e l’immagine fotografica ne diventava testimonianza e opera al contempo. Si può anche soffermarsi davanti a due altissimi esempi dell’intima ricerca sulla psicologia e fisiognomica dell’uomo contemporaneo di Rineke Dijkstra e Craig Horsfield, così come sull’indagine topografica in Argentina del ticinese Gian Paolo Minelli. C’è spazio per il fotoreportage di moda di Frank Horvat, dopo la sua generosa donazione al museo: vi si intravvede tra le figure la modella Monique Dutto, scomparsa poche settimane or sono. Oppure approdare alla creazione del mondo onirico della fotografa messicana, ticinese d’adozione, Flor Garduño – dal Fondo Cotti – o a Reza Kathir. Di fatto, possiamo dire che ad ogni autore corrisponde un modo di approcciarsi alla fotografia: controprova che al mezzo meccanico non corrisponde una meccanica di ripro-

Struth Thomas, Stanze di Raffaello II, Roma 1990 (1990-1993), Retroplexiglas su carta. (Museo Cantonale d’Arte, Lugano)

duzione del reale, bensì uno strumento della costruzione dello stesso. Ma, come spesso accade in queste occasioni, il richiamo delle collezioni è meno forte rispetto alle mostreevento che tanto sono pubblicizzate per attirare il largo pubblico. Un vero paradosso: perché è nella visione delle collezioni che si misura e si prende coscienza della sintesi di un’attività corrente di un’istituzione: ovvero della conservazione, dello studio e del-

la valorizzazione di un’opera d’arte. Lo spettatore dovrebbe essere cosciente che le mostre sulle collezioni possono assumere un significato più ampio rispetto alla mera esposizione di ciò che si conserva nei magazzini. Si parla della consapevolezza del perenne cambiamento, dell’allargamento del proprio sguardo verso scenari non solo regionali ma anche internazionali e infine della consapevolezza del percorso svolto da un ente. In poche pa-

role, esse offrono nuove prospettive ad un patrimonio artistico che è anche e soprattutto un patrimonio collettivo. Dove e quando

Fotografica. Immagini dalle collezioni del museo. Lugano, Museo Cantonale d’Arte, Lugano (Via Canova 10). Orari: ma 14.00-17.00; me-do 10.00-17.00; lunedì chiuso. Fino al 26 aprile 2015.

10’000 anni di storia nubiana alle origini dei faraoni neri Archeologia Al Laténium di Hauterive una grande mostra sugli scavi svizzeri a Kerma in Sudan Marco Horat Poco a sud della terza cateratta, sulla sponda destra del Nilo, si trova una città nubiana, oggi forse insignificante ma che millenni or sono era una capitale importante: Kerma. Lontana dai conflitti che sconvolgono il Sudan moderno Kerma riflette la storia millenaria di una regione, che dai primi villaggi che ospitavano popolazioni sedentarie è arrivata a rivaleggiare con il potente vicino del nord, l’Egitto dei faraoni. Una civiltà che da decenni due missioni archeologiche svizzere stanno riportando alla luce. L’avventura africana era cominciata negli anni 70 con una serie di spettacolari scavi condotti da Charles Bonnet per conto dell’Università di Ginevra; il testi-

mone era stato rilevato da quella di Neuchâtel nel 2002 con a capo Matthieu Honegger che in poco più di un decennio e seguendo le tracce del suo predecessore, è riuscito a realizzare un ambizioso progetto di ricerca scientifica al tempo stesso formativo ed educativo. Cambiando la prospettiva delle ricerche sull’antico Egitto, gli studiosi elvetici si sono proposti di indagare i periodi più profondi della storia della Nubia, alla ricerca delle sue radici. A Kerma, oggi come ieri, la missione archeologica svizzera non è identificata con interessi politici di parte, è integrata nel tessuto sociale del Paese e gode della considerazione di autorità e popolazione: ha creato cinque anni fa un frequentato museo, luogo di incontro e animazione, che raccoglie i tesori venuti

Veduta della «Deffufa», il tempio principale dell’antica città di Kerma. (M. Honegger)

alla luce nel corso degli anni, comprese le famose statue dei cosiddetti Faraoni neri che a molti sarebbe piaciuto fossero collocate al Museo nazionale di Karthoum; si preoccupa della conservazione, valorizzazione e restauro dei reperti e delle opere murarie; è datore di lavoro e formatore professionale poiché sullo scavo lavorano operai della regione e sono impiegati archeologi e ricercatori sudanesi. Una presenza costante che ha fatto prendere coscienza ai nubiani dell’importanza della loro antica civiltà. Non è poca cosa. La messa in valore del patrimonio storico ha stimolato quel sentimento di fierezza che si prova nel riconoscersi in una cultura che attorno al VII secolo a.C. (Kerma in quanto regno autonomo era finito da tempo) ha dato all’Egitto i faraoni neri della XXV Dinastia! Non a caso a Neuchâtel si è tenuto, in concomitanza con l’inaugurazione della mostra, l’incontro internazionale di studi nubiani che ha luogo ogni quattro anni, al quale hanno partecipato i maggiori studiosi di tutto il mondo e diverse autorità sudanesi venute espressamente da Karthoum, con ricaduta mediatica garantita per il mondo arabo da Al Jazeera. È grazie a questa immagine positiva che Honegger e soci sono riusciti a portare nelle sale del Laténium reperti dai musei sudanesi, quelli di Kerma e della capitale prima di tutto, come

pure dalle collezioni del Musée d’art et d’Histoire di Ginevra (vedi Bonnet) e dal Museo di Lipsia che conserva alcune tra le più belle ceramiche funerarie che si conoscano. La mostra è divisa in due parti: a pianterreno il mondo dei morti, al primo piano quello dei vivi. Si sa che la ricerca archeologica si basa spesso sulle necropoli e a Kerma ne è stata identificata una sconfinata risalente al III-II millennio a.C.: 4050mila tombe delle quali sono state scavate finora solo 2000; alcune davvero spettacolari con tumuli del diametro di 90 metri e ricche di reperti depositati all’interno: gioielli di tutti i tipi, suppellettili, statuine, ceramiche, armi, utensili e grandi bucrani che si possono ammirare nell’esposizione. All’interno sono stati rinvenuti corpi mummificati naturalmente grazie alla secchezza del clima che ha conservato perfettamente la pelle e i capelli del defunto. Tombe che in passato erano state in parte violate dalla ricerca dell’oro, abbondante in quella zona; ricordo che Angelo e Alfredo Castiglioni avevano scoperto anni fa, nel nord est del Sudan appena sotto il 22° parallelo, la città di Berenice Pancrisia da dove proveniva l’oro dei faraoni. Oggi la piaga degli scavi clandestini sembra sotto controllo grazie all’opera di sensibilizzazione degli archeologi svizzeri.

Salendo al primo piano e quindi al mondo dei vivi ecco subito la gigantesca maquette di Kerma, che nel giro di qualche secolo passerà da villaggio di capanne a capitale dell’omonimo regno, città estesa su 20 ettari di superficie con mura di cinta, templi, palazzi, quartieri distinti e una necropoli reale portati alla luce dalle ricerche di Bonnet prima e di Honegger in seguito; verso il XVI secolo a.C. Kerma sarà conquistata e distrutta dagli Egizi del Nuovo regno e la Nubia inglobata nello stato faraonico. Spettacolari le statue dei faraoni nubiani, copie perfette (lo scarto è di 0,3 mm) degli originali conservati a Kerma e inamovibili, realizzate da specialisti tedeschi in resina ricoperta da polvere di granito e vernice a strati; pesano 400 chili e dopo Neuchâtel andranno al Museo di Karthoum dato che il Sudan, unitamente a sponsor arabi, ha collaborato alla realizzazione della mostra svizzera. Quando si dice la collaborazione. Dove e quando

Aux origines des pharaons noirs. 10’000 ans d’archéologie nubienne. Laténium, parc et musée d’archéologie de Neuchâtel (Hauterive). Fino al 17 maggio 2015. www.latenium.ch www.latenium.ch. Catalogo in francese a cura di Matthieu Honegger.


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Cultura e Spettacoli

Dreamshade e il sogno metal che si è fatto globale Musica Kevin Calì ci introduce alla band luganese, in concerto il 18 aprile allo Studio Foce Zeno Gabaglio Più di centomila fan virtuali e tantissimi fan reali che hanno richiesto la loro presenza concertistica in Sudafrica, Germania, Giappone, Repubblica Ceca, Cina, Austria e a Hong Kong: questi sono i Dreamshade, il gruppo che – numeri alla mano – costituisce una delle più vivaci realtà nella musica della Svizzera italiana. Questo successo fuori dal comune ha tutte le caratteristiche per non essere un fuoco di paglia o una fortunata congiunzione rispetto a mode passeggere: i Dreamshade suonano infatti assieme da dieci anni, hanno già pubblicato diversi dischi e hanno condotto la più proverbiale delle gavette su e giù da palchi sempre più lontani dal giardino di casa.

Concorsi 091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 11.00-12.00

Visti in tivù

La seconda attesissima stagione è approdata nella prima serata di RSI La1 Antonella Rainoldi

Dieci anni passati a condurre una rigorosa gavetta, ma ora i Dreamshade sembrano vicini al successo L’occasione per parlarne è però offerta dal più bello dei palchi «nel giardino di casa», dal momento che il prossimo sabato 18 aprile i Dreamshade suoneranno allo Studio Foce di Lugano. E a farci qui da guida attraverso la musica, le idee e la vita dei Dreamshade è Kevin Calì, frontman del gruppo dal 2011. «Conoscevo bene i Dreamshade prima ancora di entrare a farne parte, in quanto con vari gruppi sin da giovanissimi si condivideva la scena ticinese. Nel corso degli anni la band ha saputo crescere, mettendo in discussione sé stessa, lavorando sodo e senza temere di andare oltre gli steccati del genere che si era scelto». Il genere, appunto: per tutte quelle musiche che oltrepassano il rock in una direzione hard si assiste infatti a un florilegio di definizioni – anche molte creative e suggestive – per cui per i non-esperti è sempre difficile orientarsi, capire di cosa si stia parlando. «I Dreamshade si sono sempre definiti “melodic death metal”, anche se le più recenti evoluzioni che hanno introdotto nei brani diversi passaggi con le voci clean – cioè

The Blacklist distillato di suspense

Dreamshade, tutt’altro che mortiferi...

non urlate – mi spingerebbero a mettere quel “death” tra parentesi». Morte (messa tra parentesi) e voci urlate. A questo punto cerchiamo di riconsiderare la persona che abbiamo davanti e sembra mancare un pezzo: a parte qualche tatuaggio e qualche piercing (inequivocabili indizi del demonio) Kevin Calì è un ragazzo cordiale e gioviale, appunto ben lontano da una concezione mortifera del fare musica. «Lo stereotipo del metal come musica scura, tenebrosa e aggressiva è tanto sbagliato quanto duro a morire. A livello iconografico lo si è cavalcato per tanto tempo, ma già da qualche anno si sono affermate realtà che – attraverso un suono comunque robusto – hanno introdotto un’immagine di positività, di apertura anche felice verso la vita». E guardando i video che il gruppo regolarmente posta sui social è infatti l’alle-

gria il sentimento più caratterizzante. «Noi leggiamo la durezza del genere musicale piuttosto come un elemento di energia per affrontare il quotidiano, che non un invito all’aggressività». Proprio nel quotidiano i Dreamshade raccolgono i temi per le canzoni, che si sommano al lavoro compositivo dei chitarristi Fernando Di Cicco e Rocco Ghielmini. «Ci piace parlare di situazioni che capitano a noi stessi o a persone che conosciamo, vicine a noi. Storie di vita quotidiana, che risultano poi sincere per chi ci ascolta». Semplicità, verità e sincerità sembrano così essere le linee poetiche dei Dreamshade. Ma se si parla di poetica è inevitabile porsi la domanda più pericolosa: ci stiamo forse occupando di qualcosa che è cultura? «Fino a poco tempo fa la nostra musica veniva semplicemente ritenu-

ta fracasso, ma oggi è probabilmente giunto il momento di cambiare il punto di vista: in musica le parti gridate o linee di chitarra distorte non possono più essere ritenute un tabù. E il valore artistico di un prodotto, nel nostro come in altri generi, dev’essere dato dalla serietà e dalla profondità del lavoro che ci si mette». D’altronde la domanda «è cultura o no?» rispetto ai generi metal, nei centri urbani e culturali dell’Occidente non potrebbe che sembrare antiquata e superata (in senso affermativo, ovviamente). Ma si sa che il Ticino arriva sempre molto in ritardo, su questi temi. «Le cose stanno lentamente cambiando anche qui, e di questa situazione non c’è in realtà nessun vero colpevole. Siamo consapevoli di essere cresciuti in un posto bellissimo, che è però piccolo, comodo e lento».

Chiassodanza Rassegna di balletto Cinema Teatro, Chiasso Sabato 18 aprile, ore 20.30

Jazz a primavera Rassegna di concerti jazz Osteria Centrale, Olivone Domenica 19 aprile, ore 17.00

Tra jazz e nuove musiche Rassegna di concerti Auditorium RSI, Lugano Lunedì 20 aprile, ore 21.00

Camut Band in La Vida es Ritmo

Yumi Ito & Sheldon’s Playhouse

Rabih Abou Khalil Quintet

Con Toni Español, Néstor Busquet, Guillem Alonso, Rafael Méndez, Lluís Méndez, Sharon Lavi. Musica e coreografia: Lluís Méndez, Toni Español, Rafael Méndez, Guillem Alonso, Jordi Satorra. Creazione e regia: Camut Band.

Jean-Paul Brodbeck, pianoforte Dominique Girod, contrabbasso Sheldon Suter, batteria Special Guest: Yumi Ito, voce

Rabih Abou Khalil, oud Ricardo Ribeiro, voce Gavino Murgia, ance, voce Luciano Biondini, fisarmonica Jarrod Cagwin, percussioni

www.chiassocultura.ch

www.musibiasca.ch

www.rsi.ch/jazz

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 1. aprile al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!

È tornata The Blacklist, con tutto il suo carico di sentimenti ambigui, misteri impenetrabili, delitti efferati e immagini terrificanti (RSI La1, prima visione, mercoledì, ore 21.10). Il sangue scorre copioso, anche in questa seconda stagione, meglio che il pubblico sensibile giri al largo, come recita una voce off poco prima della messa in onda dei nuovi episodi. Raymond «Red» Reddington (James Spader), un pericoloso boss del crimine internazionale, si consegna all’FBI dopo anni di latitanza, offrendosi di fornire informazioni su terroristi e complotti tratti da una personale «lista nera», la «blacklist» del titolo. Pone però come condizione vincolante la sola collaborazione con Elizabeth Keen (Megan Boone), una specialista in psicologia forense approdata da poco all’FBI. Dal loro incontro nasce un rapporto ambiguo, fatto di reciproci pedinamenti, strane fughe e altrettanto strane ricongiunzioni, così strane da coinvolgere anche Tom (Ryan Eggold), una spia nascosta sotto le mentite spoglie di marito amorevole di Elizabeth. Nella prima stagione il racconto si snoda per un’impervia salita fra il tema forte della fiducia e quello ancora più forte del tradimento. E una domanda resta in sospeso: fino a dove può spingersi l’inganno di un’attività di copertura? All’avvio della seconda stagione tutto sembra ruotare intorno a Berlino (Peter Stormare), un misterioso personaggio mosso dalla volontà di punire Reddington per vendicarsi della morte della figlia. Sullo sfondo ci sono i casi di puntata, sempre intriganti. Pur lontana dalle profondità psicologiche e narrative delle serie più raffinate, come ad esempio l’acclamata House of Cards (chi volesse rileggere la recensione può recuperarla su www.azione.ch), The Blacklist riesce a mescolare con cura due ingredienti fin troppo apprezzati dagli amanti del genere crime: azione e colpi di scena. La cosa più straordinaria è però la recitazione eccellente dei protagonisti, su tutti quella di James Spader, già vincitore di tre Emmy per Boston Legal e The Practice. È proprio questo uno dei veri punti di forza del prodotto realizzato da Davis Entertainment e Sony Pictures Television, sotto la supervisione di Jon Bokenkamp, ideatore e produttore esecutivo della serie insieme a John Davis, John Eisendrath e John Fox. James Spader è perfetto come genio del male.

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino James Spader, un bel cattivo.


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Cultura e Spettacoli

Jack è maturo

La mente e il corpo

Musica Evoluzione di un giovane cantautore: dopo anni di gavetta,

inglese Stephen Hawking

Jack Savoretti conquista la fama internazionale

Cinemando L’incredibile storia del fisico

Benedicta Froelich

Fabio Fumagalli

Benché ultimamente ciò non accada poi così sovente, a volte il mondo del cantautorato di classe regala ancora al suo pubblico qualche nuovo nome promettente, che, per una volta tanto, si discosti dalle correnti mainstream a cui le stazioni radio ci hanno abituati. Così, dopo Paolo Nutini, avviene oggi che un altro nome dal sapore squisitamente italofono si faccia notare nell’universo della musica popolare anglosassone: si tratta del trentunenne Jack Savoretti (il cui cognome tradisce le origini genovesi della famiglia), vera e propria novità del momento per gli appassionati di quello che sarebbe corretto definire come «folk-pop» – ovvero, una sapiente miscela tra il versante intimista e cantautorale della musica leggera e le sonorità più radiofoniche e accattivanti. E in effetti, non si può evitare di notare come, benché la sua scalata al successo sia stata più graduale e meno esplosiva di quella di Nutini, Savoretti condivida con il collega alcuni peculiari tratti stilistici – su tutti, la scelta di una vocalità ruvida e umorale, intrisa di suggestioni soul e funky: una caratteristica particolarmente evidente nel nuovo album Written in Scars, che costituisce il ritorno sulla scena di Jack dopo i tre album realizzati tra il 2007 e il 2012. Questa nuova fatica rappresenta per il cantante una tappa chiave in termini di evoluzione artistica, non soltanto in quanto Written in Scars è il suo primo disco a essere pubblicato da una major discografica (la BMG Chrysalis), ma anche e soprattutto in quanto inaugura una nuova fase del personale processo creativo e compositivo di Savoretti; la maggior parte dei brani della tracklist è infatti cofirmata con celebri nomi del songwriting e della produzione pop, tra cui Samuel Dixon (coautore della talentuosa cantautrice Sia) e Matt Benbrook. E se ciò dimostra un chiaro desiderio, da parte di Jack, di realizzare un prodotto pressoché perfetto dal punto di vista formale e artistico, il riscontro commerciale nel quale l’artista sperava non si è fatto attendere: il successo internazionale che sta ora bussando alla porta di Savoretti dimostra come molti dei brani di Written in Scars presentino tutte le carte in regola per diventare sicuri successi radiofonici, come esemplificato dal dolce singolo Home, che certo non mancherà di colpire al cuore i fan italiani del cantante (il videoclip

**(*) La teoria del tutto, di James

Marsh, con Eddie Redmayne, Felicity Jones, David Thewlis (Gran Bretagna 2014)

Jack Savoretti a Portsmouth durante la promozione di Written in Scars. (Keystone)

è stato girato nientemeno che nello stadio di Genova, della cui squadra di calcio Jack si dichiara fan sfegatato). Ma i brani più intriganti dell’album sono, in realtà, quelli dal carattere più intimista e introspettivo, come il meditato Broken Glass, dalle suadenti e irresistibili suggestioni acustiche, e la title-track Written in Scars, semplicemente perfetta nel riuscito connubio tra liriche e musica. L’inclinazione di Savoretti per i brani dal sapore soul (qui sempre sfumato nelle inflessioni folk e pop delle ballate) si fa ancor più palese in brani come Back to Me e Tie Me Down, in cui la voce del cantante suona particolarmente roca e vissuta, in un palese tentativo di seguire la tradizione e impostazione vocale di nomi quali Joe Cocker e Rod Stewart, ma anche del già citato Paolo Nutini; tuttavia, il giovane Jack mostra una grande predilezione anche per i più classici lenti romantici dal gusto pop, come dimostrato da pezzi amari e sofferti quali Wasted e Don’t Mind Me. E non solo, perché la tracklist dell’album regala anche una sorpresa inaspettata quale la riuscita cover di Nobody ‘Cept You, brano poco conosciuto del Bob Dylan anni ’70. Certo, la nostra epoca per certi versi così effimera, in cui predominano i «quindici minuti di fama» un tempo vaticinati da Andy Warhol, incontra senz’altro delle difficoltà

nell’accettare che un artista – un vero artista, non semplicemente una meteora scala-classifiche o un fenomeno pop puramente commerciale – possa impiegare anni a maturare l’esperienza e la classe di cui ha bisogno per brillare davvero; eppure, Savoretti costituisce un eccellente esempio di questa regola, poiché, dopo una lunga gavetta, sta ora maturando e sviluppando la propria coscienza artistica in un processo che, album dopo album, lo ha portato infine a ottenere il tanto desiderato riconoscimento di pubblico. Quello di concedersi il tempo per compiere una tale evoluzione è un privilegio che certo potrà permettere a Jack di esplorare terreni meno battuti, per affrontare anche forme di cantautorato più personali e meno scontate: una scelta che, allontanandolo dall’ombra del collega-rivale Nutini, potrebbe garantire un lungo futuro artistico a questo ragazzo (il quale, vale la pena ricordarlo, porta nel cuore un po’ di Ticino, visto che gli spostamenti della sua famiglia l’hanno condotto da Londra fino a Lugano alla American School in Switzerland di Montagnola). In questo senso, ci auguriamo che il punto di svolta costituito da Written in Scars conduca l’italo-inglese Jack verso nuove, eccitanti avventure sonore, di cui già in molti attendono con fiducia di vedere (e ascoltare) i frutti.

Esistono dei film nei quali il soggetto, la storia se preferite, s’impone prima di ogni altra considerazione; in special modo, se un personaggio della pellicola riesce a illuminarla della propria presenza. È stato il caso di Still Alice, permeata dalla presenza costante di una grande attrice come Julianne Moore, succede in contemporanea (e gli Oscar per la Migliore Interpretazione ne hanno dato un puntuale riflesso) con lo straordinario protagonista di La teoria del tutto, Eddie Redmayne. Altrettanto straordinaria, e ormai nota a un largo pubblico, è la storia di Stephen Hawking, un ragazzo come molti suoi simili che ha avuto la fortuna di frequentare l’università di Cambridge; e, al tempo stesso, di godere dei tipici svaghi della propria età, le serata al pub con gli amici, più una fidanzatina studentessa di lettere che diverrà ben presto un punto fermo della sua esistenza. Un’esistenza ai confini dell’incredibile. Poiché il brillantissimo studente di fisica e cosmologia sarà presto confrontato, negli anni Sessanta, con un terribile verdetto: una distrofia neuromuscolare che gli impedirà progressivamente ogni movimento, il linguaggio, lasciandogli solo due anni di vita. Grazie anche all’amore ammirevole di Jane, dotato di un’intelligenza e di una intuizione fuori dal comune, Hawking non solo è ancora in vita malgrado i

suoi enormi condizionamenti fisici. Ma, esempio memorabile di come la sopravvivenza intellettuale abbia una priorità esistenziale assoluta, diverrà ben presto una celebrità mondiale, ponendo nuovi limiti ai confini della scienza. Tratta dal libro biografico redatto dalla moglie dello scienziato, una vicenda per molti versi così clamorosa presentava anche dei pericoli, primo fra tutti quello di cadere nel melodramma. Qualche sequenza rischia di avviarsi in questo senso: il ballo ben incorniciato sui ponti di Cambridge, i cori in chiesa di una moglie che comprensibilmente deve rifarsi una morale, le musiche che non sono proprio un modello di discrezione. Ma, oltre alla formidabile prestazione di Eddie Redmayne con la sua eterna espressione da ragazzino, oltre a quella sensibile e razionale di Felicity Jones, al film vanno riconosciuti non pochi meriti: non avere ignorato del tutto lo scoglio della divulgazione scientifica (la diversità fra relatività e quantistica argutamente spiegata a tavola, a colpi di piselli e patate), lo humour tutto british che gli autori riescono a infondere in un soggetto del genere, la discrezione tutta anglosassone che evita ogni sensazionalismo. Fra carrozzine e tracheotomie James Marsch riesce persino a parlarci dei problemi di sesso solitamente schivati in casi del genere. Senza dimenticarsi, alla faccia dei moralisti, di illustrarci nei dovuti dettagli due matrimoni, uno fra un gentile e aitante vedovo che si occuperà a lungo dell’invalido prima che della signora Hawking, l’altro fra il protagonista stesso e la sua infermiera, che finiranno per condurci fino ai giorni nostri. Con esemplare buona pace per tutti.

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Cultura e Spettacoli

Doveroso omaggio a Xanti Schawinsky Mostre Un precursore al Migros Museum

für Gegenwartskunst di Zurigo

Andrea Zanzotto. (engeler.de)

Sulla poesia Meridiani e paralleli Sei grandi poeti della vicina Italia

si confrontano con il senso della poesia e i suoi possibili messaggi

Giovanni Orelli È un fatto, dicono, che i lettori di poesia non sono molti, quel po’ di poesia che si legge, si legge nelle scuole. Così, alla pagina 79, dove l’interlocutore di turno sulla poesia è uno dei migliori poeti del Novecento italiano, Andrea Zanzotto, che insieme con altri cinque poeti, Attilio Bertolucci, Vittorio Sereni, Antonio Porta, Giuseppe Conte e Maurizio Cucchi, con due interventi di Cesare Segre e Lucia Lumbelli, dà vita a un sempre giovane volumetto della Pratiche Editrice di Parma: Sulla poesia. Conversazioni nelle scuole, Parma 1981. Frettolosamente segnalai a suo tempo l’utilissimo volumetto, ma segnalare un libro in poche decine di righe non porta molto più in là del titolo. Ma poiché ricevo, di tanto in tanto (dent per dent) qualche domanda sul «fare poesia» (e il verbo «fare» mi pare qui proprio quello giusto), e poiché uscirà abbastanza presto una mia raccolta di versi, ho ripreso tra mani quell’ultimissimo volumetto Sulla poesia che con eccessiva disinvoltura avevo messo un po’ da parte anni fa. Non badate, amici lettori, non badate alla data che un libro porta sulla copertina: badate a quel che porta dentro. Le domande da fare, e che il libro fa, sono tante. Centinaia? Comincio da questa, di Lucia Lumbelli, che trovo nella par-

te conclusiva del libro, p. 224: «Io vorrei invitare i poeti a domandarsi se il dialogo che dicono di avere avuto con i ragazzi delle scuole di Parma ha veramente interessato tutti o se invece è purtroppo avvenuto quello che avviene sistematicamente nella nostra scuola dell’obbligo e cioè se invece il dialogo ha coinvolto solo alcuni particolari ragazzi: Quei ragazzi che (…)» Da parte sua Cesare Segre si chiede: «A monte c’è un problema ben più grosso, e cioè: che cos’è la poesia? È un problema a cui non solo non sanno rispondere gli studenti, ma nemmeno i docenti, e alla fine, nessuno». Da parte sua il poeta Maurizio Cucchi osserva giustamente che fare la parafrasi di una poesia uccide la poesia: «La poesia ci trasmette un messaggio proprio per la sua costruzione particolare, perché le parole hanno un certo ordine, un certo ritmo, perché ci sono degli spazi bianchi, ecc». I sei poeti che rispondono alle domande di giovani lettori consentirebbero, tanto sono bravi e onesti, di elencare 60 o 120 o… loro pareri illuminanti per quei giovani che sono ai primi «incontri» con la poesia. Pagina 78, dunque Zanzotto: «Alcuni poeti dicono che la poesia è come la pittura (già Orazio lo diceva) altri invece (come Verlaine) la paragonano alla musica, altri ancora hanno detto

che deve insegnare, guidare al bene, produrre pensieri elevati. Si potrebbe paragonare la poesia a quella pantera profumata di cui parla Dante, quando nel De vulgari eloquentia afferma che la lingua perfetta lascia il suo odore dovunque, ma non si lascia vedere in nessun luogo». Il poeta Vittorio Sereni (un po’ «nostro»: Luino) ricorda anche, p. 56: «C’è stato un grande poeta francese di questo secolo, Paul Valéry, il quale ha detto che il primo verso in genere lo danno gli dei e tutto il resto invece viene da una elaborazione successiva, cioè dipende da come quel fatto, quel piccolo fenomeno o piccolo stimolo iniziale ha agito dentro di noi, dando luogo a una specie di reazione chimica all’interno di noi stessi. Credo, ricorda ancora Sereni, credo di essere riuscito molto tardi a leggere veramente il Manzoni, proprio per il modo sbagliato con cui mi era stato imposto di studiarlo. Per quanto possibile, cerchiamo di non imporre uno studio mnemonico che diventa un fatto solo meccanico, mentre la memoria vera è un’altra cosa, è quella spontanea che nasce da un bisogno, a volte dall’inconscio, dal fatto di ritornare spontaneamente su qualche cosa che si è già sentito… È questo che rende autentica la memoria, non l’imparare a memoria.

Nomi come quello di Walter Gropius, Paul Klee o Wassily Kandinsky non destano certamente stupore in chi li sente. Ad oggi però pochi riescono ad attuare una precisa collocazione temporale e artistica sentendo parlare di Alexander «Xanti» Schawinsky, artista svizzero nato a Basilea nel 1904 da emigranti ebrei polacchi, che contribuì in modo determinante al Bauhaus, alla sperimentazione artistica e alla grafica. Ciò è dovuto a una querelle ereditaria intorno al lascito dell’importante artista morto nel 1979 a Locarno e ora finalmente risoltasi. Il Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo ricavato in anni recenti dall’ex Löwenbräu Areal, grazie a una importante sinergia tra committente pubblico e privato, espone fino al 17 maggio una serie di documenti e opere di un artista che si formò al Bauhaus di Dessau e Weimar appunto con i sopracitati Gropius, Klee e Kandinsky. Dopo anni proficui, in cui collaborò con Oskar Schlemmer all’interno del dipartimento di teatro del Bauhaus, Schawinsky si spostò a Milano, teatro delle avanguardie – conobbe e frequentò Marinetti e De Chirico, subendone senza dubbio l’influenza – guadagnandosi presto stima e rispetto grazie a una serie di poster pubblicitari (ora appartenenti al Museum of Modern Art di New York) realizzati con lo Studio Boggeri per clienti prestigiosi come Illy e Cinzano. Sull’Europa soffiavano però venti di guerra sempre più sferzanti, che portaro-

no l’artista, dopo un periodo a Londra, a stabilirsi definitivamente negli Stati Uniti. Schawinsky cominciò a lavorare al leggendario Black Mountain College del North Carolina, dove ebbe modo di sviluppare ulteriormente il nuovo concetto di teatro iniziato al Bauhaus, ossia quello di una messinscena tale da garantire un’esperienza totale per lo spettatore. Quest’ultima era da raggiungersi attraverso l’impiego di luce, suono, colore oltre a elementi scenici classici, spesso nel segno della contrapposizione tra l’essere umano e una tecnologia sempre più incalzante e presente nella quotidianità. Le visioni dello svizzero ebbero ripercussioni profonde e durature sugli allievi del Black Mountain College, arrivando ad influenzare personaggi del calibro di John Cage. In quella che può essere considerata la sua seconda fase artistica, vissuta principalmente a NY, Schawinsky si dedicò prevalentemente alla pittura e al disegno, senza abbandonare mai il proprio côté sperimentale, nemmeno nei lavori che realizzò per il governo degli Stati Uniti. Al Museo zurighese riesce dunque nuovamente una proposta artistica che ha il gusto della scoperta. / S Dove e quando

Xanti Schawinsky, Zurigo, Migros Museum für Gegenwartskunst (Limmatstrasse 270). Orari di apertura: ma-me-ve 11-18; gio 11-20; sa-do 1017. Fino al 17 maggio 2015

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Guardare a ciò che è stato La sezione torinese di «Telefono Amico» per festeggiare i cinquant’anni dalla sua fondazione promuove una giornata di riflessione. Accetto l’invito a prendervi parte e solo dopo scopro dal programma che dovrò rispondere alla domanda: che senso ha per me la vita? Ma è una domanda da farsi? È come chiedere l’età a una donna matura. Sono sempre riuscito a scampare a questa trappola e ora, alla soglia dei 78 anni, ci sono cascato come un pivellino. Potrei tentare di cavarmela con un’infilata di citazioni illustri, la classica protesi di chi non vuole prendere posizione, ma in questo caso non funziona, sarebbe una scappatoia troppo evidente. Esemplare quella di Oscar Wilde: «La vita è una cosa troppo importante, perché si possa parlarne sul serio». In queste occasioni si cita sempre lo sfogo di Macbeth, quando gli dicono che la regina è morta: «La vita non è che un’ombra che passa, la recita di un oscuro attore, che si pavoneggia e si affanna durante la sua ora sulla scena, e di cui nessuno si ricorda più; è una favola

narrata da un idiota, piena di rumore e di follia e priva di significato». Da qui il titolo del romanzo del 1929 di William Faulkner, The Sound and the Fury. (Gli scrittori nordamericani i titoli dei loro romanzi li prendono o dalla Bibbia o da Shakespeare). Se andiamo a vedere cosa hanno detto a questo proposito gli scrittori nostri contemporanei incontriamo una parola e un concetto ricorrenti: assurdo e assurdità. Luigi Pirandello: «La vita è piena di infinite assurdità». Albert Camus (Il mito di Sisifo): «Tutto ciò che esalta la vita ne accresce, nello stesso tempo, l’assurdità». Jean Paul Sartre: «Quanto più è assurda la vita, tanto più insopportabile la morte». E se il fine ultimo dell’arte d’avanguardia fosse quello di dimostrare che la vita non ha senso? È stato Baudelaire a proporre per primo il concetto di «arte di avanguardia», prima c’era solo l’arte senza ulteriori specificazioni. È una metafora presa a prestito dall’arte della guerra, presuppone un esercito in marcia che si fa precedere da pattuglie incaricate di

consolatorio del romanzo. Pensiamo alla popolarità del poliziesco declinato nei suoi vari sottogeneri: il delitto sconvolge il quadro di una società bene o male ordinata, finché la ricerca e la punizione del colpevole rimettono a posto le cose. Pensiamo al paradosso del biografo: lui sa come sa come si è svolta tutta la vita del suo protagonista e può ordinare gli avvenimenti con un criterio teleologico, in funzione cioè del risultato finale. Facciamo l’ipotesi che Guglielmo Marconi, da ragazzo avesse anche notevoli doti di tennista e che sia stato indeciso a lungo prima di decidere di intraprendere la carriera di inventore; siccome la sua vita è degna di essere raccontata in quanto ha inventato il telegrafo senza fili, il biografo trascurerà di parlarci delle sue imprese atletiche. Fra tutte le citazioni rastrellate per mettere insieme uno straccio di intervento, ce n’è una che condivido in pieno presa dai Moralia di Plutarco nell’opuscolo La serenità interiore. La voglio condividere: «Platone paragonò la vita a una partita di dadi, in cui bisogna

sì cercare di gettarli in modo che ci siano favorevoli, ma anche, una volta gettati, far buon uso del risultato che si è ottenuto. Di queste due azioni, il gettare non è in nostro potere, ma l’accogliere senza recriminazioni ciò che la sorte ci assegna e dare a ogni evento un posto in cui ciò che è propizio possa giovarci di più, e ciò che è contrario alle nostre aspettative, se capita, danneggiarci di meno, questo sì è affar nostro, se siamo assennati». Facile predicare la serenità, molto più difficile praticarla. Raggiunta la vecchiaia, per dare un senso alla propria vita, è un utile esercizio rievocare gli avvenimenti che l’hanno caratterizzata mettendoli in ordine. Non possiamo fare a meno di sostare a riflettere ogni volta che ci siamo imbattuti in una «sliding door», una porta scorrevole che ha deciso il nostro destino. Come sarebbe stata la mia vita se avessi accettato quella proposta di lavoro? E se non fossi andato a bussare a quella porta? Come dice Eugenio Montale, «occorrono troppe vite per farne una».

scotta al sole, ma ha molto più charme rispetto al nero e tarchiato dei mediterranei. Quindi, Turchia, paga il risarcimento. Anche l’Egitto ha debiti verso di noi. Se Cleopatra non avesse incantato Cesare e poi Antonio, forse ora anche i nostri nonni sarebbero sepolti in magnifiche piramidi sulle rive del Nilo. Governo egiziano, ora paghi, per quella smorfiosa di Cleopatra. Quanto ai Galli, siamo pari. Loro hanno preso Italia, Svizzera e dintorni, poi Cesare li ha rimessi al loro posto. Anche Franchi e Longobardi si sono eliminati a vicenda. Ma, i Normanni? Dal nord dell’Europa fino a Palermo! L’eredità sono ancora oggi i siciliani biondi o rossi, magari con la carnagione scura, molto affascinanti. Non possiamo accontentarci. Va meglio se pensiamo che qualcosa come Castel del Monte in Puglia e la cappella palatina a Palermo sono rimasti a noi. Per stavolta, cari «uomini del Nord» scandinavi, possiamo abbonarvi la multa. Lo stesso non si può dire dei Lanzichenecchi, che allegramente scesero dalla Germania, eccola di nuovo,

mercenari al soldo di Carlo V, saccheggiarono Roma nel 1527, portarono la peste, distrussero chiese e immagini sacre, rubarono di tutto, lasciando miseria e malattia ovunque passarono, in soli cinque anni. Alessandro Manzoni ne racconta qualcosa. Germania, paga i tuoi danni. E non credere di scappare, Austria, che ci hai abitato per un paio di secoli. E tu Francia, che hai fatto piangere Ugo Foscolo, perché dopo avergli dato speranza di libertà ci hai di nuovo svenduto all’austriaco, col trattato di Campoformio. Il poeta, in esilio, capisce che non potrà tornare in patria, a Zante, graziosa isola delle Ionie, ora greca. «Ne più mai toccherò le sacre sponde, ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell’onde del greco mar, da cui vergine nacque Venere, e fea quell’isole feconde col suo primo sorriso…». Che magnifico sonetto. Caro Napoleone, non credere di sfuggire all’ira italica con la scusa che le ruberie francesi hanno provocato le belle poesie di Foscolo e Leopardi, la malinconia di Iacopo Ortis, le ironiche

pagine di Parini. Presidente Hollande, basta con le ragazze, smonti quel corridoio del Louvre e le stanze adiacenti, e ci riporti le centinaia di opere italiane, anche quel Botticelli all’ingresso, la nascita di Venere, sì quello. Sa che cosa si può tenere? La Gioconda, perché fu proprio Leonardo a portarla in Francia, la tenga in ricordo di quel genio mercenario, che andava dove lo pagavano meglio. Non creda di cavarsela con la squalifica di Zidane e la coppa del mondo del 2006, che comunque sollevò il morale italico più di quanto le Vergini di Leonardo e le battaglie di Paolo Uccello avrebbero potuto. E per favore, almeno cambi quel cartellino, Paul Oiseau. Non potendo documentare meglio l’invasione dei nipoti di Lucy, gli australopitechi africani, si cominci pure dai Turchi di Enea, l’usurpatore, fino allo smantellamento di mezzo Louvre, e perché no, del MOMA, di ovunque siano finite le nostre cose. In un mondo che ci auguriamo degli uomini, come la Grecia rivogliamo le nostre quattro cose.

come una «grande artista globale». Insomma, l’enigma Ferrante ormai sembra chiaro: non si sa chi sia. Anche se dieci anni fa uno studioso, Luigi Galella, mise in rilievo le innumerevoli coincidenze stilistiche, tematiche e psicologiche tra L’amore molesto e Via Gemito, il romanzo di Starnone: evidenze davvero abbaglianti che non lascerebbero dubbi. Fatto sta che il primo a manifestare dubbi (e indignazione) è stato lo stesso Starnone, che da un decennio almeno è costretto a precisare che lui non è la Ferrante, ma che se una sua ammissione spingesse mai la Ferrante ad abbandonare la clandestinità, sarebbe pronto a confessare di essere la Ferrante! Un simpatico gioco di specchi. Si è poi aggiunta una ricerca digitale, condotta alla Sapienza di Roma con un programma matematico che, sfruttando gli algoritmi, segnala le sequenze linguistiche minime: questo metodo – lo stesso

che qualche anno fa incastrò Arnon Grunberg, autore olandese di romanzi usciti con lo pseudonimo di Marek Van der Jagt – ha confermato l’ipotesi di Galella. Ma non basta. Starnone rimane fermo sulle sue posizioni indignate. E così la Ferrante, che non vuole saperne di uscire allo scoperto. Del resto, è stato proprio l’anonimato a crearle intorno quell’alone di eccezionalità misteriosa che le permette di essere sempre (suo malgrado) al centro dell’attenzione pettegola. E che le dà il «privilegio» che si parli nettamente più del suo mistero anagrafico che della qualità dei suoi libri, proprio il contrario di quello che la stessa Ferrante auspicherebbe, e cioè l’eclissi dell’autore a favore della sua opera. Ora è intervenuto Roberto Saviano a scopo civile, con una lettera aperta alla «Repubblica», candidando la Ferrante al Premio Strega: «Non mi illudo che la tua partecipazione cambi le regole di punto in

bianco, ma potrebbe iniziare a rompere degli equilibri, anche per il dibattito che attorno a te nascerebbe. La tua presenza farebbe entrare acqua fresca in un pozzo a lungo stagnante». E come ha risposto la scrittrice misteriosa? Accettando. Non si mostrerà, non parteciperà alla serata finale del Ninfeo di Villa Giulia, niente presentazioni in giro per l’Italia, ma concorrerà. Si immolerà per salvare le patrie lettere ormai decadute. Acqua fresca in un pozzo stagnante. Resta solo da sperare che cambi idea. E che nella trionfale serata finale dello Strega con un gran colpo di teatro esca dall’ombra e si presenti a ritirare il premio, magari scoprendosi circondata (o circondato) da una decina di altri scrittori, noti e ignoti, uomini e donne, vivi e morti, che hanno pensato, come lei, di uscire dall’equivoco e di rivendicare, tutti con ottime ragioni, di essere Elena Ferrante. I nemici geniali (6+ di incoraggiamento).

esplorare il terreno e di segnalare le prime avvisaglie dei nemici. Ma una guerra contro chi? Il senso comune, il museo. E per conquistare cosa? Il mercato dell’arte forse. A sostegno di questa tesi è fin troppo facile portare il «teatro dell’assurdo», una definizione dovuta allo studioso inglese Martin Esslin, per mettere sotto la medesima etichetta i lavori di Arthur Adamov, Eugène Ionesco, Samuel Beckett e altri epigoni. Gran parte dell’arte figurativa va nella medesima direzione, basti pensare all’espressionismo astratto, ai tagli di Lucio Fontana, alle colature di colore di Jackson Pollock, agli stracci e alle plastiche bruciate di Alberto Burri; così nella letteratura, con la scrittura automatica, il movimento surrealista, Kafka, Musil, Joyce, la scuola dello sguardo o nella musica con la dodecafonia. E dunque la salvezza sta nella narrazione tradizionale, lì dobbiamo rifugiarci. Solo mettendo in fila gli avvenimenti, collegandoli lungo la scala temporale, possiamo trovare un senso alla vita, quella nostra e quella altrui. È l’effetto

Postille filosofiche di Maria Bettetini Risarcimenti e bottini di guerra L’idea non è malvagia. La Grecia chiede alla Germania una riparazione monetaria per i danni dell’occupazione nazista, che durò quattro anni. In verità qualcosa la Germania ha già rimborsato, sia in denaro, come stabilito dal Trattato di Londra del 1990, sia in aiuti per l’integrazione europea di paesi in difficoltà, come la Grecia. Il Trattato è del 1990, perché nel 1953 ci si accordò per rimandare la conclusione dei rimborsi a dopo l’unificazione delle Germanie, che data appunto 3 febbraio 1990. Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale la Germania pagò comunque caramente le follie del Nazionalsocialismo, le furono smantellate centinaia di fabbriche, le furono sottratti brevetti e scienziati, solo in macchinari pagò 23 miliardi di dollari. Tutto cominciò con la pace cartaginese, la prima volta, per quel che sappiamo, in cui la «pace» risultò molto cara al popolo perdente. Era il 202 a.C., Cartagine dovette dare a Roma diecimila talenti e quasi tutte le navi. Una pace o «carità pelosa», come si usa

dire, una pace dal sapore amaro, che infatti precedette di solo mezzo secolo la distruzione della capitale punica, al grido di «delenda Cartago!», Cartagine è doveroso che sia rasa al suolo, i suoi abitanti resi schiavi, si passi con l’aratro sopra le sue rovine, si semini il sale, che impedisca anche all’erba di crescere. Ora che siamo più civili, ci limitiamo a far pagare agli sconfitti la loro sconfitta, con il giusto ricordo delle loro ingiustizie. Questo è proprio un bel pensiero, ogni popolo ha diritto a ricevere un indennizzo per le invasioni e i saccheggi subiti. Lasciamo perdere ora per un momento la Grecia, che al momento ha il solo difetto di chiedere ciò che già in parte ha ricevuto. Veniamo a noi, piuttosto. Che ne dite di Enea? Quel turco che tre millenni fa, più o meno, scappò da Troia, quindi da Istanbul, e sbarcò infine nel Lazio, massacrando i locali e sposando la figlia del re. Non aveva una goccia di sangue latino, usurpò il trono di Turno, re dei Rutuli, cioè dei «biondi». Per colpa di Enea, tra l’altro, ci siamo giocati il fototipo chiaro, che si

Voti d’aria di Paolo Di Stefano I nemici geniali di Elena Ferrante Dunque, adesso finalmente le cose sono chiare: la scrittrice Elena Ferrante, sotto la cui firma sono apparsi numerosi romanzi da L’amore molesto (5½) a L’amica geniale (media 4½) potrebbe essere una anziana e riservata signora che vive in un’isola della Grecia (6), potrebbe però anche essere lo scrittore Domenico Starnone (5), oppure sua moglie, la germanista Anita Raja (5+ come traduttrice), oppure Starnone e Raja insieme, oppure né l’uno né l’altro ma un terzo, tipo: il critico Goffredo Fofi (6–), il regista Mario Martone (5), lo scrittore (defunto) Michele Prisco (4½), la scrittrice (defunta) Fabrizia Ramondino (5+), gli editori di e/o, ovvero i coniugi Sandro Ferri e Sandra Ozzola (6– alla loro casa editrice), singolarmente o tutti e due insieme, magari con Linda Ferri, sorella dell’editore, oppure solo quest’ultima, oppure quest’ultima con il contributo di Anita Raja e/o Domenico Starnone e/o Fofi e/o

Martone e/o Ramondino (finché era in vita ma forse anche dopo). A proposito di redivivi: c’è chi dice che potrebbe essere un lascito di Elsa Morante rielaborato da suoi fedelissimi, perché nelle sue molteplici interviste Elena Ferrante ha espresso la sua passione per l’autrice dell’Isola di Arturo; e poi Ferrante, come Morante, è un participio presente, ma improntato sull’editore, Ferri, come dire: Rizzolante o Mondadorante o Bompianante… A complicare le cose, c’è chi afferma che potrebbe trattarsi di un collettivo, genere Wu Ming: il che spiegherebbe come mai i (suoi?) libri sono molto diversi l’uno dall’altro, a cominciare da I giorni dell’abbandono, uscito nel 2002, cioè dieci anni dopo l’esordio dell’Amore molesto. Per proseguire con la quadrilogia, piuttosto discontinua (il primo volume nettamente migliore degli altri), nonostante l’esaltazione della stampa americana che ha adottato la Ferrante


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Emilia Romagna: l’arte del mangiare bene Evento Da oggi a sabato prossimo

il Centro S. Antonino ospita una rassegna dedicata alla gastronomia emiliano-romagnola

Questa settimana portarsi a casa un pezzetto di Emilia-Romagna è davvero facilissimo! Grazie alla rassegna organizzata all’interno della mall del Centro S. Antonino, potete immergervi nei profumi e nei gusti di questa suggestiva parte d’Italia. Al centro dell’attenzione vi sono diverse tipicità gastronomiche della regione, tutte da assaggiare e acquistare sul posto: i formaggi quali il Parmigiano Reggiano DOP (30 e 36 mesi) e lo Squacquerone DOP; i salumi come il Prosciutto di Parma 24 mesi, i salami Strolghino, Felino, Emiliano, la Coppa di Parma e la Mortadella Bologna; diverse Piadine; l’Aceto Balsamico di Modena e alcuni condimenti da esso derivati. Inoltre, in collaborazione con l’Associazione Emiliano-Romagnola Ticino, viene allestita una vera e pro-

pria Piadineria dove poter gustare la specialità romagnola per eccellenza. Emiliani e Romagnoli

Gli emiliani sono gente affabile ed estroversa, che ama la buona tavola. L’Emilia è una terra ricca, dove la cucina spicca per i piatti dai sapori e dai toni sfumati, molto legata al territorio e all’allevamento del bestiame. I romagnoli, dal canto loro, noti per essere forse più schietti, posseggono una cucina che eccelle per i sapori vigorosi e decisi, meno morbidi rispetto a quelli emiliani. Le province romagnole sentono la salsedine del mare e la cucina ne subisce l’influsso. Infine, non va dimenticato che sia l’Emilia che la Romagna sono luoghi dove ben è affermato anche il culto di Bacco.

Aperture prolungate al sabato Informiamo la spettabile clientela che da sabato 4 aprile nelle filiali Migros sotto indicate entra in vigore l’orario di chiusura del sabato posticipato. Ore 18.00: Arbedo-Castione, Bellinzona, Biasca, Crocifisso, Giubiasco, Losone Do it, Maggia, Melano, Paradiso, Radio, Solduno, Taverne, Tenero e Tesserete. Ore 18.30: Centro Agno, Locarno e Centro S. Antonino

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Idee e acquisti per la settimana

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Idee e acquisti per la settimana

L’agnello della tradizione Pasqua Il noto cuoco Simone Bianchi della Trattoria Cibo & Passione di Locarno propone ai lettori di Azione

il cosciotto d’agnello al Merlot. Gli esperti macellai di Migros Ticino saranno lieti nel consigliarvi a scegliere i pezzi migliori adatti alla vostra preparazione festiva

Il capretto al forno Oltre all’agnello, a Pasqua anche il capretto al forno a tocchetti è molto gettonato. Le sue carni, delicate e saporite, si sposano a meraviglia con aromi quali il rosmarino, la salvia, il timo, l’aglio e l’origano. Le macellerie di Migros Ticino questa settimana vi propongono anche il capretto fresco ticinese. Tuttavia vi consigliamo di riservarlo.

Cosciotto di Agnello al Merlot Ticinese con Tortino di Patate all’aglio orsino e asparagi Ingredienti e quantità per 4 persone

Come vuole la tradizione, ecco arrivare sulle nostre tavole l’agnello. Le sue carni chiare, tenere e grasse danno origine a raffinate e delicate ricette che ci sono state tramandate dall’antichità greca e romana. Nella maggior parte dei casi sono preparazioni allo spiedo, arrostite o alla brace. Se il gigot d’agnello è considerato il boccone da re, la spalla, più grassa e dunque più morbida, non è certo da trascurare, anche se è un po’ più difficile da porzionare. Ma le costolette, il carré, il petto, i teneroni e la sella, sono anche valorizzati in molte ricette: le costolette alla Cyrano Maintenon, Montmorency, Nelson, Villeroy. Senza dimenticare il carré in graticola, il cosciotto al forno, gli spiedini d’agnello, i rognoni e le frattaglie per una frittura e il famoso abbacchio alla romana. L’agnello viene accompagnato volentieri dai piselli, dagli asparagi, e da tutti quei legumi primaverili, senza naturalmente dimenticare le patate. Per il suo gusto e la sua tenerezza, l’agnello è divenuto uno dei re delle nostre tavole. La carne d’agnello va cucinata subito e non va frollata, come erroneamente qualcuno crede. Un nostro robusto rosso di Merlot dovrà accompagnare il piatto pasquale, per armonizzare la vostra ricetta, dando origine ad un vero matrimonio d’amore. / Davide Comoli

Ingredienti Per il Cosciotto 1 cosciotto (gigot) di Agnello 50 g burro 0,5 dl olio di Oliva 1 cipolla 1 costa di Sedano 1 carota 1 ciuffo di Menta 1 litro Merlot Rosso 2 chiodi di garofano 5 spicchio aglio Sale e Pepe q.b. Lara Guelli e Simone Bianchi sono i gestori della Trattoria Cibo & Passione in Città Vecchia a Locarno. (Flavia Leuenberger)

Tortino di Patate 500 g patate bollite 5 foglie di aglio orsino 2 uova 1 dl latte 50 g parmigiano grattugiato 5 asparagi Sale e Pepe q.b.

Preparazione Per il cosciotto di agnello Incidere la carne con un coltello e farcirla con le foglie di menta e gli spicchi d’aglio sbucciati. Pelare la carota, le cipolle, e affettarle sottilmente assieme al sedano. Rosolare il tutto in una padella con l’olio d’oliva, aggiungere il cosciotto di agnello leggermente infarinato, salare e pepare, far dorare. Trasferire il tutto in una casseruola da forno, aggiungere il Merlot, i chiodi di garofano e la cannella. Cuocere il cosciotto di agnello in forno preriscaldato a 190° per circa 45 minuti. A cottura avvenuta filtrare il fondo di cottura farlo ridurre della metà e legare con il burro. Per il tortino di patate Cuocere le patate con la buccia in acqua salata per circa 25 minuti, scolarle, pelarle e passarle allo schiacciapatate. Separare i tuorli d’uovo dagli albumi ed unire i tuorli alle patate. Aggiungere il parmigiano grattugiato, il latte, regolare di sale e pepe, far intiepidire. Cuocere gli asparagi in acqua salata per 5 minuti assieme alle foglie di aglio orsino. Scolarli e tritarli grossolanamente al coltello. Unire asparagi e aglio orsino al composto di patate. Montare gli albumi a neve e aggiungere agli altri ingredienti. Imburrare e infarinare una pirofila. Riempirla con il composto e cuocere a forno preriscaldato a 190° per 15 minuti. Servire il cosciotto a fette con la salsa ed accompagnarlo al tortino di patate.


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Un Venerdì santo a tutto pesce Attualità Il venerdì che precede la Pasqua è per molti il giorno del pesce.

I banchi del pesce fresco di Migros Ticino sono pronti a soddisfare questa tradizione

Branzino con verdure e olive

Flavia Leuenberger

Piatto principale per 4 persone

Durante la Settimana santa i banchi del pesce Migros seducono occhi e papille con una squisita selezione di specialità ittiche fresche ricercate. Branzini, sogliole, carpe, rombi, rane pescatrici, salmoni selvatici… Sono pronti a conquistare le tavole in occasione dei prossimi giorni di festa. Ma oltre a essere una delizia, ricordiamoci che il pesce è anche benefico per il nostro organismo, dal momento che fornisce proteine, vitamine, sali minerali e acidi grassi essenziali buoni per cuore e cervello. Visitate dunque il vostro banco pesce Migros di fiducia e lasciatevi ispirare!

Preparazione 1. Tagliate l’aglio a fettine sottili. Tritate finemente le erbe e mescolatele con l’aglio. Condite i pesci internamente ed esternamente con sale e pepe. Inserite nella cavità ventrale dei pesci la metà del trito d’aglio ed erbe. Tagliate il peperoncino ad anelli e le zucchine a dadini. Riducete i pomodori e le olive a striscioline. 2. Scaldate il forno a 180 °C. Accomodate ogni pesce su un foglio di carta da forno. Distribuitevi le zucchine, le olive, i pomodori e il trito rimasto. Salate, pepate e irrorate d’olio. Sigillate la carta sopra il pesce, formando un pacchetto. Cuocete in forno per 35-40 minuti. 3. Servite i pesci nel cartoccio oppure estraeteli, filettateli e accompagnateli con le verdure e le erbe. Flavia Leuenberger

Novità: Specialità pronte di pesce I banchi del pesce fresco Migros hanno introdotto una nuova linea di articoli pronti per la padella. Queste specialità permettono, con pochi accorgimenti e in breve tempo, di approntare degli squisiti piatti sempre diversi. La scelta varia settimanalmente. Attualmente la proposta verte su: spiedini S. Jacques panati, spiedini di pesce, branzini all’arancia/limone, involtini di salmone con melanzana, calamaro e seppia ripieni e conchiglia da gratinare.

Ingredienti 4 spicchi d’aglio 1 mazzetto di basilico 1 mazzetto di prezzemolo 4 branzini eviscerati e squamati di ca. 300 g ciascuno 1 cucchiaino di sale 1 cucchiaino di pepe 1 peperoncino 400 g di zucchine 8 pomodori secchi sott’olio, peso sgocciolato 4 cucchiai di olive nere snocciolate 6 cucchiai d’olio d’oliva

Tempo di preparazione ca. 40 minuti + marinatura ca. 30 minuti Ricetta di


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Pane del mese: il pane di Säntis

Croccanti idee per la tua insalata Novità Art on Salad è il nuovo modo

Flavia Leuenberger

per arricchire le tue insalate

I reparti pane di Migros Ticino vi consigliano ogni mese di provare una particolare specialità di pane disponibile per un periodo limitato. Durante tutto il mese di aprile è il turno del pane di Säntis. Questo pane dall’aroma corposo è preparato con farina semibianca e una miscela contenente farina di segale, farina di spelta e semi di lino e girasole. La forma allungata e i quattro tagli in superficie riportano

alla tradizione panaria della Svizzera centrale; dove lo si consuma volentieri accompagnandolo con formaggi stagionati e salumi speziati. È tuttavia ottimo anche a colazione con burro, confettura e miele; oppure come base per deliziosi panini croccanti. Infine, è un pane che si mantiene fresco a lungo, a condizione di conservarlo in un portapane di legno oppure in un sacco di cotone o lino.

100% bio

Pane di Säntis 400 g Fr. 2.90

Vuoi rendere la tua insalata ancora più appetitosa? Con Art on Salad non è mai stato così facile! Art on Salad sono quattro variazioni di miscele in sacchetto composte da semi, noci, frutta e verdura secche ideali per affinare e decorare insalate, verdure, zuppe, müesli, oppure anche paste, pani, risotti e molto altro ancora. L’assortimento Art on Salad è composto dalle miscele Classic con grano saraceno tostato, semi di zucca e girasole tostati; Vitality con cranberries, semi di zucca tostati e

noci; Mediterraneo con anelli di olive, semi di zucca e girasole tostati e Deliziosa, una raffinata miscela di pomodori secchi a pezzetti, grano saraceno tostato e noci di pecan a pezzetti. Provate subito queste miscele esclusive: ne sarete conquistati! Art on Salad Classic, Deliziosa, Mediterraneo, Vitality bustina da 60 g Fr. 1.95* invece di 2.90 *30% di riduzione dal 31.3 al 13.4. In vendita ai reparti verdura Migros.

Calda dal forno

Il succo di mirtilli rossi bio è ottenuto da frutti selvatici maturati al sole e raccolti a mano. Un autentico piacere dal caratteristico sapore intenso e acidulo, considerato particolarmente benefico per le vie urinarie. Tra i suoi ingredienti biocertificati, oltre al ricco tenore di succo di mirtilli rossi (30%), contiene pure estratto di tè di foglie di betulla e concentrato di agave. Consiglio d’utilizzo: agitare bene prima del consumo. Una volta aperto, si conserva quattro giorni a temperatura ambiente oppure otto giorni se tenuto in frigorifero.

Vincenzo Camarrata

Bio Mirtilli rossi Plus 50 cl Fr. 4.80

Ultima occasione, giovedì 2 aprile presso il supermercato Migros di S. Antonino, per portarsi a casa la colomba pasquale Jowa appena sfornata. A partire dalle ore 15.00 la clientela potrà acquistare il classico dolce festivo praticamente ancora caldo, dal momento che lo stesso viene cotto solo un’ora prima dagli abili panettieri attivi all’interno della panetteria della casa. Questa idea perfetta per la tavola pasquale sarà in vendita nella confezione da 500 grammi a franchi 6.50.


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Dolci tentazioni pasquali

Il barometro dei prezzi I cambiamenti di prezzo attuali. Migros riduce di nuovo di prezzi di diversi articoli

Alcuni esempi:

Coloro che apprezzano i dolci sanno che presso i banchi pasticceria, De Gustibus e Ristoranti Migros vanno a colpo sicuro. A Pasqua qui vi aspetta un irresistibile assortimento di golosità create appositamente per l’occasione. Si comincia con le fresche colombine di sfoglia alla crema pasticcera, per poi passare dalle mini mousse con smile di cioccolato alle simpatiche figure di cioccolato con sorpresa, senza scordare le confezioni regalo di macarons e i variopinti biscotti.

Sabato 4 aprile, presso i banchi pasticceria è prevista la vendita delle specialità tradizionali artigianali, come la torta di pan di spagna a forma di colomba con fragole e frutta; la torta «cake design» con divertenti figure o le colombe di sfoglia alla frutta o alle fragole. Infine, sabato 4 aprile, i Ristoranti proporranno il tradizionale capretto al forno ad un prezzo speciale. Per saperne di più: www.migrosticino.ch/ristorazione/attivita

Prezzo vecchio in Fr.

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–5,9 –5,0 –5,0 –13,2 –13,2 –8,2 –11,1 –8,3 –8,0 –5,6 –5,6 –7,7 –7,9 –3,1 –5,9 –10,3 –8,8 –7,0 –6,9 Annuncio pubblicitario

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Idee e acquisti per la settimana

Pollo Optigal

Raffinatamente marinati

Nuovo Minifiletti di pollo con marinata di fiori di melo.

Sul grill o in padella: i delicati minifiletti di pollo sono apprezzati da grandi e piccini.

Con l’arrivo della nuova stagione sono arrivati i teneri minifiletti di pollo aromatizzati con una marinata primaverile di fiori di melo: un leggero contorno per un’insalata o un menu, facile da preparare sul grill oppure in padella. Leggera e gustosa è pure la seconda novità dell’assortimento Optigal: sminuzzato di pollo con miscela di spezie agrodolce: una delizia perfetta per la cucina asiatica.

Optigal minifiletti di pollo marinati con fiori di melo 100 g Fr. 3.60

Optigal sminuzzato di pollo in agrodolce 100 g Fr. 3.20

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche quelli a base di pollo di Optigal.


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Il prelibato pesce persico

Filetto di pesce persico in burro al dragoncello con baguette

Tenero e senza lische

Piccolo pasto per 4 persone

Il motivo per cui il persico è una delle specialità di pesce più amate risiede nelle sue carni particolarmente magre. E al banco del pesce della Migros lo trovate già pronto per essere cucinato, praticamente senza lische. Ecco come fare per mangiarlo bello croccante Foto Claudia Linsi

Ingredienti 300 g di filetti di persico sale, pepe farina per impanare 1 cipolla rossa piccola 1 limone ½ mazzetto di dragoncello 8 fette di baguette di ca. 30 g 50 g di burro 80 g d’insalata a foglia

Preparazione Sciacquate i filetti di pesce persico sotto l’acqua fredda, asciugateli tamponandoli con carta da cucina e conditeli con sale e pepe. Passate i filetti nella farina e scuoteteli leggermente. Tritate la cipolla. Grattugiate finemente la buccia di limone. Tritate il dragoncello. Tostate le fette di baguette da entrambi i lati in una padella antiaderente e mettetele da parte. Scaldate il burro nella stessa padella. Aggiungete i filetti di pesce e rosolateli da entrambi i lati nel burro fatto schiumare per ca. 3 minuti. Estraete i filetti.

Unite al burro la cipolla, il dragoncello e la buccia di limone e rosolate per ca. 1 minuto. Insaporite con sale e pepe. Servite le fette di baguette e i filetti di pesce persico con l’insalata. Irrorate con il burro alla cipolla e al dragoncello e servite. Tempo di preparazione ca. 25 minuti Per persona ca. 19 g di proteine, 12 g di grassi, 33 g di carboidrati, 1350 kJ/ 320 kcal

Bocconcini di pesce persico Antipasto per 6 persone o piatto principale per 4 persone Ingredienti 150 g di farina 1 cucchiaino di lievito in polvere 1,5 dl di birra, ad es. birra analcolica 0,5 dl d’acqua 1 cucchiaio d’olio 1 uovo sale, pepe olio per friggere 400 g di filetti di pesce persico farina per impanare 1 limone Salsa tartara 1 scalogno 1 cucchiaino di capperi 30 g di cetriolini ¼ di mazzetto di prezzemolo 60 g di maionese 60 g di quark sale, pepe Preparazione 1. Mescolate la farina con il lievito, la birra, l’acqua e l’olio fino a ottenere una pastella densa e omogenea. Incorporate l’uovo. Condite la pastella con sale e pepe. Lasciate riposare per ca. 30 minuti. 2. Nel frattempo, per la salsa tartara, tritate finemente lo scalogno, i capperi, i cetriolini e il prezzemolo. Mescolate il tutto con la maionese e il quark. Insaporite la salsa con sale e pepe. 3. Scaldate il forno a 80 °C. Scaldate l’olio nella friggitrice o nella padella a ca. 170 °C. Sciacquate i filetti di pesce persico sotto l’acqua fredda, asciugateli tamponandoli con carta da cucina e conditeli con sale e pepe. Passate i filetti nella farina e scuoteteli leggermente. Passateli nella pastella alla birra e fateli sgocciolare bene. Dorateli nell’olio per 3-4 minuti, estraeteli e lasciateli sgocciolare su carta da cucina. Teneteli in caldo nel forno. Tagliate il limone in 4 parti. Servite i bocconcini di pesce persico con i quarti di limone e la salsa tartara e accompagnate con un’insalata. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + riposo ca. 30 minuti Per persona come antipasto ca. 18 g di proteine, 42 g di grassi, 35 g di carboidrati, 2700 kJ/650 kcal Ricette di


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Léger pane proteico e gipfel

Quando il meno è di più

Tenore di grassi ridotto, pieno sapore: anche i gipfel al burro precotti di Léger sono ideali per un’alimentazione consapevole.

Il pane proteico a fette si conserva a lungo. È prodotto con lievito madre naturale. Il basso tenore di carboidrati è il risultato di una speciale miscela di cereali arricchita di proteine vegetali.

Foto e Styling Veronika Studer

Il pane proteico fresco di Léger contiene l’80 per cento in meno di carboidrati, ma più proteine vegetali rispetto ai pani analoghi. È arricchito con semi di lino e di girasole.

Per tutti coloro che mangiano volentieri del pane ma non vogliono assumere troppi carboidrati esistono i pani proteici di Léger. In confronto a pani simili, la variante fresca contiene l’80 per cento in meno di carboidrati, mentre il pane proteico a fette il 40 percento. Anche i fan dei gipfel che si alimentano in modo consapevole alla Migros non resteranno a mani vuote: i gipfel al burro precotti Léger contengono il 30 per cento di grassi in meno.

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3.90

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Filetto di maiale in crosta Svizzera, 800 g

Champignons bianchi Svizzera, vaschetta da 500 g

Ossibuchi di vitello, TerraSuisse Svizzera, imballati, per 100 g

Fettine lonza di maiale, TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g

Bratwurst dell’Olma in conf. da 2 Svizzera, 2 x 2 pezzi, 640 g

40%

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19.20 invece di 24.–

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1.60 invece di 2.30

5.90 invece di 10.60

Pere Abate Svizzera, sciolte, al kg

Ra Crénga dra Vâll da Brégn (formaggella della Valle di Blenio) prodotta in Ticino, a libero servizio, al kg

Pasta Anna’s Best in conf. da 3 o da 2 20% di riduzione, per es. ravioli ricotta e spinaci in conf. da 3, 3 x 250 g

Capretto fresco tagliato Francia, imballato, per 100 g

Pancetta da grigliare affettata, TerraSuisse per 100 g

Mortadella Vismara Italia, affettata, in vaschetta, 2 x 100 g, 200 g

25%

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2.10 invece di 2.80

3.80 invece di 4.80

7.80 invece di 9.80

2.70 invece di 3.30

4.70 invece di 6.80

4.20 invece di 7.20

Rapanelli, bio Ticino, il mazzo

Tutti i succhi freschi Andros 20% di riduzione, per es. succo d’arancia, 1 l

Focaccia all’alsaziana Anna’s Best in conf. da 2 20% di riduzione, per es. 2 x 350 g

Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g, 15% di riduzione

Prosciutto crudo di Parma Beretta Italia, affettato, in vaschetta da 100 g

Entrecôte di manzo, TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 31.3 AL 6.4.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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Le Gruyère grattugiato in conf. da 2 2 x 120 g, 20% di riduzione

Mezza panna Valflora 2 x 500 ml, 20% di riduzione

Tutti i tipi di minestre di tagliatelle Nissin in conf. da 3 o da 5 20% di riduzione, per es. al gusto di pollo in conf. da 5, 5 x 85 g

Tutte le capsule Café Royal, UTZ a partire dall’acquisto di 4 prodotti, 1.– di riduzione l’uno, per es. Espresso, 10 capsule

Tutto l’assortimento di capsule Delizio, UTZ per es. Espresso, 48 capsule

Tutti i tipi di Orangina in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. Regular

7.80 invece di 9.80

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1.20 invece di 1.50

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5.40 invece di 6.80

5.95 invece di 7.75

Tutti i dolci alle fragole 20% di riduzione, per es. torta alle fragole, 550 g

Tutti gli dessert Tradition 20% di riduzione, per es. crème Vanille, 175 g

Tutte le minestre Bon Chef o Bischofszell 20% di riduzione, per es. vermicelli con pollo Bon Chef, in bustina, 65 g

Tutte le confetture o le gelatine in vasetti o bustine da 185–500 g (prodotti Alnatura esclusi), a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. confettura alle albicocche Extra, 500 g

Cornetti al burro o cornetti ai branches M-Classic, surgelati 20% di riduzione, per es. cornetti al burro, 540 g

Chips Zweifel in busta XXL al naturale, alla paprica o Salt & Vinegar, 20% di riduzione, per es. alla paprica, 380 g

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Tulipani diversi colori, mazzo da 30

Rose, Fairtrade in diversi colori, gambo da 50 cm, mazzo da 15

Tutte le salse per insalata M-Classic pronte a partire dall’acquisto di 2 prodotti, 1.– di riduzione l’uno, per es. French Dressing, 700 ml

Monini Classico o Delicato in conf. da 2 per es. Classico, 2 x 1 l

Tutte le confezioni multiple di alimenti umidi Exelcat in bustina da 24 x 100 g, 24 x 85 g o 24 x 50 g 20% di riduzione, per es. pollame in gelatina, 24 x 100 g

Tutte le noci Party 20% di riduzione, per es. noci miste salate, 200 g

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ALTRE OFFERTE.

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FRUTTA E VERDURA Pomodorini datterini, Spagna / Italia, vaschetta da 250 g 1.10 invece di 2.20 50% Fragole, Spagna, cassetta da 1 kg 3.95 invece di 5.90 33% Rapanelli, bio, Ticino, il mazzo 2.10 invece di 2.80 25% Pere Abate, Svizzera, sciolte, al kg 3.40 invece di 5.80 40%

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Abbigliamento per bebè, bambini, uomo e donna in confezioni multiple per es. T-shirt da uomo in conf. da 3, tg. S–XXL, offerta valida fino al 13.4.2015

Tutto l’assortimento di tessili per la cucina e la tavola Cucina & Tavola per es. guanto da forno in silicone, 38 cm, rosso, il pezzo, offerta valida fino al 13.4.2015

Lombatina d’agnello, Nuova Zelanda / Australia, per 100 g 3.75 invece di 5.40 30% Bratwurst dell’Olma in conf. da 2, Svizzera, 2 x 2 pezzi, 640 g 5.90 invece di 11.80 50% Pancetta da grigliare affettata, TerraSuisse, per 100 g 1.60 invece di 2.30 30%

Tutti i prodotti di salumeria Citterio a libero servizio, per es. salame Milano, in vaschetta maxi, Italia, per 100 g 3.80 invece di 4.80 20% Fettine di pollo Optigal, Svizzera, per 100 g 2.70 invece di 3.30 15% Salmone dell’Atlantico affumicato, d’allevamento, Norvegia, 330 g 9.90 invece di 19.80 50% *

33%

Prosciutto crudo di Parma Beretta, Italia, affettato, in vaschetta da 100 g 4.70 invece di 6.80 30%

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Carta per fotocopie Papeteria in conf. da 3, FSC A4, bianca, 80g/m2, 3 x 500 fogli, offerta valida fino al 13.4.2015

Prodotti per capelli Nivea Hair Care & Styling in conf. da 3 per es. shampoo Intense Repair, 3 x 250 ml, offerta valida fino al 13.4.2015

Ammorbidenti Exelia per es. Fresh Morning, 1,5 l, offerta valida fino al 6.4.2015

Vitello tonnato, prodotto in Ticino, in vaschetta, per 100 g 3.– invece di 4.40 30% Mortadella Vismara, Italia, affettata, in vaschetta, 2 x 100 g, 200 g 5.90 invece di 10.60 40% Salametti a pasta fine, prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 2.90 invece di 3.70 20% Entrecôte di manzo, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 4.20 invece di 7.20 40% Ossibuchi di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballati, per 100 g 1.95 invece di 2.60 25%

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Cuscino trasformabile Lilly disponibile in diversi colori, 38 x 26 cm, per es. turchese, offerta valida fino al 13.4.2015

Tutto l’assortimento per l’igiene intima Molfina 20% di riduzione, per es. salvaslip Bodyform Air, conf. da 36, offerta valida fino al 13.4.2015

Tutti i tovaglioli, le tovagliette, le tovaglie e le tovaglie in rotolo di carta Cucina & Tavola e Duni (articoli pasquali esclusi), per es. tovaglioli Butterfly, 25 cm, FSC, conf. da 20, offerta valida fino al 13.4.2015

Per la tua spesa ritaglia qui.

Fettine lonza di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 2.45 invece di 3.55 30%

50%

Le Gruyère grattugiato in conf. da 2, 2 x 120 g 3.65 invece di 4.60 20% Ra Crénga dra Vâll da Brégn (formaggella della Valle di Blenio), prodotta in Ticino, a libero servizio, al kg 19.20 invece di 24.– 20% Rustichella, TerraSuisse, –.40 di riduzione, 280 g 2.30 invece di 2.70

PESCE, CARNE E POLLAME

Filetto di maiale in crosta, Svizzera, 800 g 19.95 invece di 39.90 50%

50%

Tilsiter alla panna, bio, per 100 g 1.50 invece di 1.90 20%

Capretto fresco tagliato, Francia, imballato, per 100 g 2.25 invece di 3.– 25%

FIORI E PIANTE Rose, Fairtrade, in diversi colori, gambo da 50 cm, mazzo da 15 14.90 Tulipani, diversi colori, mazzo da 30 13.90 invece di 19.90 30% Composizione festiva con Cymbidium, la composizione 13.90

ALTRI ALIMENTI Tutti i biscotti ChocMidor, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. Carré, 100 g 2.50 invece di 3.10 Cialde finissime o biscotti Taragona M-Classic in conf. da 2, per es. cialde finissime, 2 x 150 g 2.40 invece di 3.– 20% Tutto il caffè in chicchi o macinato Caruso, UTZ, per es. Imperiale Crema, in chicchi, 500 g 7.10 invece di 8.90 20% Tutto l’assortimento di capsule Delizio, UTZ, per es. Espresso, 10x 48 capsule 19.80 10x PUNTI Tutte le capsule Café Royal, UTZ, a partire dall’acquisto di 4 prodotti, 1.– di riduzione l’uno, per es. Espresso, 10 capsule 2.80 invece di 3.80 Tutte le confetture o le gelatine in vasetti o bustine da 185–500 g, (prodotti Alnatura esclusi), a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. confettura alle albicocche, Extra, 500 g 2.20 invece di 2.70 Tutti gli spinaci, bio inclusi, surgelati, per es. spinaci alla panna, 800 g 2.55 invece di 3.20 20% Pacific Prawns Costa, surgelati, 800 g 19.30 invece di 27.60 30% Cornetti al burro o cornetti ai branches M-Classic, surgelati, per es. cornetti al burro, 540 g 5.40 invece di 6.80 20%

Mezza panna Valflora, 2 x 500 ml 3.90 invece di 4.90 20%

Tutte le confezioni di Pepsi o Schwip Schwap in conf. da 6, 6 x 1,5 l, per es. Pepsi Max 5.50 invece di 11.– 50%

Tutti gli dessert Tradition, per es. crème Vanille, 175 g 1.– invece di 1.30 20%

Tutti i tipi di Orangina in conf. da 6, 6 x 1,5 l, per es. Regular 7.35 invece di 12.30 40%

PANE E LATTICINI

Tutte le bevande per aperitivo inclusi gli spumanti senza alcol, per es. Perldor Classic, 75 cl 3.80 invece di 4.80 20% Tutti i tipi di cereali in chicchi, di legumi o di quinoa Migros Bio, per es. quinoa bianco, bio, Fairtrade, 400 g 4.45 invece di 5.60 20% Tutti i tipi di riso Migros Bio da 1 kg, per es. riso integrale, Natura 2.60 invece di 3.30 20% Tutti gli articoli Mifloc o i rösti Migros Bio, per es. rösti, 500 g 1.95 invece di 2.45 20%

Tutti i pomodori pelati o tritati Longobardi, per es. pomodori tritati, 280 g –.80 invece di 1.– 20% Monini Classico o Delicato in conf. da 2, per es. Classico, 2 x 1 l 18.75 invece di 25.– 25%

20x

Tutte le salse per insalata M-Classic pronte, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, 1.– di riduzione l’uno, per es. French Dressing, 700 ml 1.60 invece di 2.60 Senape dolce Thomy in vasetto di vetro, 400 g 2.95 NOVITÀ **

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Ketchup Heinz classic o hot in conf. da 2, per es. classic, 2 x 700 g 4.85 invece di 6.10 20% Tutto l’assortimento di spezie liquide e in polvere Mirador, per es. condimento in polvere, 90 g 1.55 invece di 1.95 20% Tutte le olive in sacchetto, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. olive nere spagnole, snocciolate, 150 g 1.90 invece di 2.40 Tutte le minestre Bon Chef o Bischofszell, per es. vermicelli con pollo Bon Chef in bustina, 65 g 1.20 invece di 1.50 20% Tutti i tipi di minestre di tagliatelle Nissin in conf. da 3 o da 5, per es. al gusto di pollo, in conf. da 5, 5 x 85 g 4.40 invece di 5.50 20% Tutte le noci Party, per es. noci miste salate, 200 g 2.– invece di 2.50 20% Chips Zweifel in busta XXL, al naturale, alla paprica o Salt & Vinegar, per es. alla paprica, 380 g 5.95 invece di 7.75 20% Tutti i dolci alle fragole, per es. torta alle fragole, 550 g 7.80 invece di 9.80 20% Tutti i succhi freschi Andros, per es. succo d’arancia, 1 l 3.80 invece di 4.80 20% Tutti gli antipasti Anna’s Best e bio, per es. olive con formaggio a pasta molle Anna’s Best, 150 g 3.60 invece di 4.50 20% Pasta Anna’s Best in conf. da 3 o da 2, per es. ravioli ricotta e spinaci in conf. da 3, 3 x 250 g 11.70 invece di 14.70 20%

Yogurt 6 x 180 g, per es. al moca 2.30 invece di 3.30 30%

* In vendita nelle maggiori filiali Migros.

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. Società Cooperativa Migros Ticino

**Offerta valida fino al 13.4

FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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Focaccia all’alsaziana Anna’s Best in conf. da 2, per es. 2 x 350 g 7.80 invece di 9.80 20% Michettine M-Classic, TerraSuisse, –.30 di riduzione, 6 pezzi, 180 g 1.70 invece di 2.– Zatterine e Margheritine Sfoglia d’Oro, 220 g e 250 g, per es. Zatterine Sfoglia d’Oro, 220 g 3.70 Madeleines al burro, 20 pezzi, 550 g 5.–

Tutti i funghi secchi in bustina, per es. funghi porcini secchi, 30 g 2.90 invece di 3.65 20%

Glassa al succo di mela Ponti, 240 g 5.90 NOVITÀ **

Fettuccine o spätzli Anna’s Best in conf. da 3, per es. fettuccine, 3 x 250 g 6.– invece di 7.50 20%

NEAR FOOD / NON FOOD Tutte le confezioni multiple di alimenti umidi Exelcat in bustina da 24 x 100 g, 24 x 85 g o 24 x 50 g, per es. pollame in gelatina, 24 x 100 g 15.60 invece di 19.50 20% Prodotti per capelli Nivea Hair Care & Styling in conf. da 3, per es. shampoo Intense Repair, 3 x 250 ml 7.60 invece di 11.40 33% ** Prodotti pH Balance in confezioni multiple, per es. gel doccia in sacchetto di riserva, conf. da 2, 2 x 500 ml 9.40 invece di 11.80 20% ** Tutto l’assortimento per l’igiene intima Molfina, per es. salvaslip Bodyform Air, conf. da 36 1.25 invece di 1.60 20% ** Prodotti di ovatta Primella in conf. da 2, per es. dischetti d’ovatta, 2 x 80 pezzi 3.– invece di 3.80 20% ** Balsamo Wellness Velvet / Beauty Pedic, 75 ml 4.80 NOVITÀ **

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Abbigliamento per bebè, bambini, uomo e donna in confezioni multiple, per es. t-shirt da uomo, in conf. da 3, tg. S–XXL 19.80 ** Diversi articoli di biancheria da uomo, concepiti da utenti Migipedia, taglie S–XL, per es. boxer da uomo, in conf. da 3, blu scuro, taglia M 14.90 Offerta valida fino al 12.4.2015 Ammorbidenti Exelia, per es. Fresh Morning, 1,5 l 3.25 invece di 6.50 50% Bastoncini profumati Migros Fresh in conf. da 2, per es. Orchid Dreams, 2 pezzi 6.80 invece di 9.80 30% ** Cartucce per il filtraggio dell’acqua Cucina & Tavola e M-Classic, per es. filtri Duomax, Cucina & Tavola, 3 x 3 pezzi 29.60 invece di 44.40 3 per 2 ** Tutto l’assortimento di tessili per la cucina e la tavola Cucina & Tavola, per es. guanto da forno in silicone, 38 cm, rosso, il pezzo 6.40 invece di 12.80 50% ** Tutti i tovaglioli, le tovagliette, le tovaglie e le tovaglie in rotolo di carta Cucina & Tavola e Duni (articoli pasquali esclusi), per es. tovaglioli Butterfly, 25 cm, FSC, conf. da 20 1.55 invece di 3.10 50% ** Carta per fotocopie Papeteria in conf. da 3, FSC, A4, bianca, 80 g/m2, 3 x 500 fogli 11.85 invece di 23.70 50% **


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7.10 invece di 8.90 Tutto il caffè in chicchi o macinato Caruso, UTZ 20% di riduzione, per es. Imperiale Crema, in chicchi, 500 g

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Idee e acquisti per la settimana

Blévita

Per una pausa da sgranocchiare

I semi di zucca danno a questi croccanti spuntini un aroma nocciolato e forniscono preziose sostanze nutritive.

Una croccante tavoletta di sei centimetri per quattro: la nuova variante completa l’assortimento dei cracker Blévita.

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche la gamma Blévita.

L’ultima creazione Blévita combina sapore e salute. Infatti, i nuovi biscotti con il dieci percento di semi di zucca forniscono anche la vitamina B e sono ricchi di fibre. E non solo: i nuovi cracker costituiscono la prima varietà Blévita senza lattosio ed è quindi adatta anche alle persone che soffrono di un’intolleranza al lattosio. Restano comunque immutate le apprezzate qualità dei prodotti Blévita: i migliori ingredienti di base senza l’aggiunta di conservanti, una consistenza croccante, un gusto pieno. Il tutto confezionato in pratiche porzioni.

aha! Blévita Semi di zucca senza lattosio 228 g Fr. 3.70 Il marchio aha! contrassegna prodotti particolarmente adatti anche a coloro che soffrono di intolleranze alimentari o allergie. www.migros.ch/aha Parte di


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Idee e acquisti per la settimana Bio Garden

La cura biologica per il giardino La blogger di giardinaggio Almut Berger ha elaborato un programma di cure per balconi e orticelli. Naturalmente a base dei prodotti di Migros Bio Garden

Addio piralidi del bosso «Controllate regolarmente se il vostro bosso è infestato da parassiti. E tenete d’occhio anche le piante dei vicini. Nel caso, pregateli di spruzzare l’antiparassitario contro le piralidi!».

Illustrazioni di Mira Gisler

Bio Garden Delfin 4 x 4,5 g Fr. 20.90

Stop alle formiche

Concimare a piccole dosi «I bastoncini fertilizzanti con effetto a lungo termine sono particolarmente indicati per l’uso sul balcone, dove è complicato concimare con il compostaggio. Oltretutto, con questi bastoncini non c’è praticamente pericolo di dosaggi eccessivi».

«Le formiche sono più fastidiose che dannose, perché ad esempio, con il loro continuo lavorio, allentano le lastre dei camminamenti. Se avete voglia di trasferire un intero popolo in un nuovo insediamento, prendete un vasetto incrostato di marmellata e riponetelo capovolto sopra il nido. Una volta pieno di formiche, tiratele fuori con una paletta e posatele da qualche altra parte. Altrimenti, versate del prodotto antiformiche, preferibilmente di mattina o di sera, quando gli insetti sono nel nido».

Guerra alle lumache «Insalata novella? Per averla i lumaconi sono disposti a superare qualsiasi barriera. C’è però una strategia a tripla azione che si dimostra efficace: create un anello di protezione attorno all’insalata costituito da granulato antilumache, combinato con una recinzione di metallo attorno al letto e con un controllo serale, forbici in mano. Queste lame metteranno rapidamente fine all’attività delle lumache».

Bio Garden Antiformiche 300 g Fr. 9.95

Bio Garden Bastoncini fertilizzanti 20 pezzi Fr. 3.95

Bio Garden Esca lumachicida granulare 650 g Fr. 8.50

Almut Berger, giornalista della rivista Migros in lingua tedesca, madre di famiglia e giardiniera per hobby, cura un blog su Internet in cui cerca di trovare risposte alle grandi questioni del giardinaggio.

Scaccia pidocchi «Le coccinelle sono spietate cacciatrici di afidi. Anche le erbe aromatiche sono indicate contro alcune specie di pidocchi delle piante: la santoreggia allontana l’afide nero e la lavanda quello della rosa. Naturalmente ci sono anche appositi spray antiparassitari». Bio Garden Spray contro gli afidi 500 ml Fr. 9.50

Rafforza la verdura

La semina perfetta

«È un giorno di pioggia? Correte subito nell’orto a concimare. Così il granulato si scioglie senza bisogno di trascinarsi dietro l’innaffiatoio».

«Seminate sul davanzale della finestra? Invece dell’innaffiatoio usate un nebulizzatore: le piantine apprezzano la fine pioggerellina che non allaga il loro suolo. Ripiantate nel terreno di semina i germogli che hanno già alcuni anni: dal momento che il suolo è povero di sostanze nutritive, sprona la crescita di un sistema di radici rigoglioso».

Bio Garden Concime per ortaggi 750 g Fr. 4.75

Bio Garden Terriccio da semina e per erbe aromatiche 10l Fr. 4.95

I prodotti sono disponibili in tutte le filiali Do it + Garden e nei maggiori supermercati Migros con assortimento cura delle piante.


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Idee e acquisti per la settimana

Menu di Pasqua

Prelibatezze appena sfornate Trote al forno, torta di verdure al limone o cosciotto d’agnello: con queste ricette il pranzo di Pasqua fila liscio come l’olio Foto Claudia Linsi

Lezioni di pesce

Come sfilettare il pesce

Trota al forno Piatto principale per 4 persone

Trote bio Nostrane Al prezzo del giorno Al banco del pesce delle maggiori filiali

Ingredienti 50 g di pane bianco del giorno prima 1 mazzetto di miscela d’erbe per insalata (aneto, prezzemolo, basilico) 4 cucchiai d’olio d’oliva sale, pepe 4 trote di ca. 250 g 1 scatola di pelati triturati di 800 g 2 cipolle 1 mazzetto di prezzemolo Taglio per il lungo

Dapprima rimuovete le pinne dorsali e quelle pelviche. Praticate con il coltello un’incisione lungo il dorso, dalla testa alla coda.

Preparazione 1. Scaldate il forno a 200 °C (aria calda). Tagliate il pane a dadini. Tritate finemente le erbe e unitele. Aggiungete 2 cucchiai d’olio d’oliva, poco sale e pepe e mescolate. Sciacquate le trote sotto l’acqua fredda e tamponatele. Inserite il composto di pane nei pesci e chiudeteli con lo spago da cucina. Condite le trote con sale e pepe. 2. Distribuite i pelati in una pirofila di ca. 24 x 34 cm o su una teglia da forno. Con la mandolina affettate le cipolle ad anelli fini e distribuiteli sui pomodori. Tritate finemente il basilico e cospargetelo. Condite con sale e pepe. Adagiate le trote sui pomodori e irrorate con l’olio restante. Cuocete le trote nel forno per ca. 20 minuti. Sfornatele e filettatele. Servite i filetti di trota con il ripieno e la salsa di pomodoro. Accompagnate con riso.

Disossare

Passate il coltello sotto il filetto partendo dalla testa e tiratelo da parte. Staccate il secondo filetto e la pelle dalla pinna caudale. Staccate le lische dal filetto partendo dalla coda. Incidete la pelle sotto le branchie. Le guance delle trote sono considerate una raffinatezza.

Tempo di preparazione ca. 25 minuti + cottura in forno ca. 20 minuti Per persona ca. 39 g di proteine, 17 g di grassi, 18 g di carboidrati, 1550 kJ/370 kcal

Le trote bio vengono farcite con pane raffermo ed erbette, poi cotte al forno su un letto di pomodori.

Longobardi Pomodori pelati tritati 280 g Azione Offerta speciale Fr. –.80 invece di 1.– 20% di sconto dal 31 marzo al 4 aprile.

LeChef Pepe nero Fr. 5.30 Nelle maggiori filiali

M-Classic Riso Carolina 1 kg Fr. 2.30


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 marzo 2015 ¶ N. 14

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Idee e acquisti per la settimana

Gigot d’agnello con cipolle Piatto principale per 8 persone

Cosciotto d’agnello con l’osso Al prezzo del giorno Al banco della carne delle maggiori filiali

Ingredienti 9 cipolle 2 spicchi d’aglio 4 cucchiai d’olio d’oliva 2 dl di sidro analcolico 2 cucchiai di senape piccante ½ mazzetto di timo 1 gigot d’agnello con l’osso di ca. 2,5 kg 2 cucchiaini di sale pepe

Preparazione 1. Tritate finemente 1 cipolla e gli spicchi d’aglio. Mescolateli bene con l’olio d’oliva, 4 cucchiai di sidro e la senape. Staccate le foglioline di timo e mescolateli nella marinata. Mettete in frigo 3 cucchiai di marinata, coperta. Spennellate il gigot con la marinata restante. Avvolgete la carne nella pellicola trasparente e lasciatela marinare per 24 ore. 2. Togliete il gigot dal frigo 1 ora prima di metterlo in forno. Scaldate il forno a 240 °C. Condite la carne con sale e pepe. Adagiate il gigot in una pirofila ampia e rosolatelo nella metà inferiore del forno per ca. 20 minuti. Abbassate la temperatura a 180 °C.

Dimezzate le cipolle restanti e mescolatele con la marinata messa da parte. Versate le cipolle e il sidro restante nella pirofila. Continuate a rosolare la carne per ca. 1 ora e 45 minuti, finché raggiunge la temperatura interna di ca. 65 °C. Sfornate il gigot, copritelo con carta alu e lasciatelo riposare per ca. 10 minuti. Affettate la carne e servite con le cipolle. Tempo di preparazione ca. 25 minuti + marinatura 24 ore + cottura ca. 2 ore e 5 minuti + riposo 10 minuti Per persona ca. 41 g di proteine, 26 g di grassi, 8 g di carboidrati, 1850 kJ/450 kcal

Lavoro sull’osso

Come estrarre l’osso

Un coltello da carne ben affilato è obbligatorio. Incidete

la carne lungo l’osso su entrambi i lati. Se si separa facilmente dall’osso significa che tutto fila liscio.

Il taglio giusto è l’ABC della

carne. Ogni pezzo di carne va affettato perpendicolarmente alle fibre. Se non si pratica un taglio corretto, le fibre restano lunghe e, una volta nel piatto, i risultati non sono quelli sperati.

Si fa presto a preparare un gigot. L’aggiunta di cipolle dà al sugo un ottimo sapore.

Cipolle retina da 1 kg al prezzo del giorno

Bio Fairtrade Quinoa bianca 400 g Azione Offerta speciale Fr. 4.45 invece di 5.60 20% di sconto dal 31 marzo al 6 aprile.

Monini Classico Olio extra vergine, 1l Fr. 12.50


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Idee e acquisti per la settimana

Cake di verdure e feta al limone Piatto principale per 6 persone Per uno stampo per cake di ca. 30 cm

Floreale

Abbellire la torta

Ingredienti 250 g di porri 250 g di verza 4 cucchiai d’olio d’oliva 300 g di broccoli surgelati 3 uova 10 g d’aglio orsino 1 limone 200 g di feta sale, pepe 1 pasta per crostate rettangolare già spianata di 520 g 4 cucchiai di nocciole macinate ½ cucchiaio di semi di sesamo 1 cucchiaino di semi di papavero 3 gambi di prezzemolo 180 g di yogurt greco al miele Preparazione 1. Dimezzate i porri per il lungo e tagliateli a listarelle. Tagliate la verza a striscioline. Scaldate 2 cucchiai d’olio in una pentola grande e fatevi appassire le verdure per ca. 2 minuti. Unite i broccoli. Sbattete le uova. Tritate finemente l’aglio orsino e unitelo. Grattugiatevi finemente la scorza del limone. Sbriciolate la feta con una forchetta e unitela alle uova. Condite la massa con 1 cucchiaino

di sale e un po’ di pepe. Unite le verdure alla massa di feta e uova e mescolate. 2. Scaldate il forno a 200 °C. Srotolate la pasta, tagliate una striscia larga ca. 5 cm dal lato più lungo e mettetela in frigo. Adagiate la pasta nello stampo, compresa la carta. Ripiegate i bordi verso l’esterno Bucherellate bene il fondo con una forchetta e distribuite le nocciole. Versate il composto di verdure. Ripiegate bene i bordi di pasta. Ritagliate delle formine dalla pasta restante e mettetele sul cake. ungete la pasta con l’olio e cospargete i semi di sesamo e di papavero. Dorate il cake sulla scanalatura più bassa del forno per ca. 50 minuti. Sfornatelo, lasciatelo raffreddare per ca. 10 minuti e tagliatelo a fette. Tritate finementeil prezzemolo e mescolatelo con lo yogurt. Condite con sale e pepe. Servite lo yogurt con il cake di verdure . Tempo di preparazione ca. 30 minuti + cottura in forno ca. 50 minuti + raffreddamento ca. 10 minuti

Suggerimento Anche fredda la torta è buona

Per persona ca. 20 g di proteine, 41 g di grassi, 45 g di carboidrati, 2650 kJ/630 kcal

Le forme per i biscotti di Natalerendono un buon

servizio anche a Pasqua. Ritagliate dai resti dell’impasto alcuni motivi primaverili come fiori o cuoricini e appoggiateli sopra la torta già farcita.

Stendete la pasta per crostate spianata XL

con la relativa carta in uno stampo per torte di 30 cm. Fate attenzione che i bordi della pasta siano distesi in modo uniforme all’esterno dello stampo.

Questa torta piacerà molto anche a chi ama la carne e non solo ai vegetariani.

Bio Broccoli, 400 g, Fr. 1.40 invece di 1.90 Azione Offerta speciale dal 31 marzo al 6 aprile.

Bio Feta 150 g Fr. 3.40 Nelle maggiori filiali

Bio Limoni retina da 900 g Fr. 2.70 invece di 3.95 Azione Offerta speciale dal 31 marzo al 6 aprile.

M-Classic XL Pasta per crostate spianata 44 x 36 cm Fr. 2.90 Nelle maggiori filiali

Ricette di



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