Cooperativa Migros Ticino
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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 29 marzo 2016
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Società e Territorio L’Harvard Grant Study, la ricerca che dal 1938 indaga i segreti della felicità
Ambiente e Benessere Il 2016 è l’anno dei legumi, importante risorsa alimentare per la popolazione mondiale
Politica e Economia Gli attentati terroristici di Bruxelles del 22 marzo: un attacco al cuore dell’Europa
Cultura e Spettacoli Tutta la genialità di Pipilotti Rist in mostra al Kunsthaus di Zurigo
pagina 15
pagina 3 pagine 29, 31, 37
di Angela Nocioni pagina 27
Keystone
La storica visita del disgelo
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Europa vulnerabile di Peter Schiesser Se, dopo il 13 novembre di Parigi, c’era un dubbio residuo che non fosse davvero una guerra ad oltranza quella lanciata dall’Isis contro l’Europa, le bombe di Bruxelles l’hanno cancellato. È vero che gli attentatori che hanno seminato morte e terrore nella capitale del Belgio e dell’Europa politica facevano parte della cellula che ha compiuto le stragi a Parigi, ma sarebbe un errore credere che, eliminata questa, non ve ne siano altre pronte ad agire: da giorni circolano notizie secondo cui lo Stato islamico avrebbe mandato 400 combattenti in vari Paesi europei con l’incarico di compiere attentati, e non vi sarebbe nulla di incredibile, considerate le migliaia di giovani europei andati in Siria e Iraq a combattere per l’Isis. È uno scenario che fa rabbrividire, ma deve anche far riflettere. Per esempio, sulle falle del sistema di sicurezza di numerosi Paesi, falle che si ripetono ad ogni attentato riuscito. È vero che un attentato sventato fa molto meno notizia di uno perpetrato, e dobbiamo ai servizi di intelligence, ad inquirenti e polizia molte vite salvate. Ma è dall’11 settembre 2001 che dopo un attentato si viene a sapere
che il tal o talaltro terrorista era noto ai servizi di informazione. Non solo: Abdelamid Abaaoud, il capo del commando del 13 novembre, si vantava di entrare e uscire a piacimento dall’Europa, l’unico sopravvissuto di quel commando Salah Abdeslam si è nascosto per 4 mesi nel suo quartiere a Bruxelles, Molenbeek, l’attentatore suicida sul metrò di Bruxelles Ibrahim al Bakraoui era stato condannato nel 2010 a 9 anni di carcere per aver ferito un poliziotto con un kalashnikov. E questo porta alla constatazione che i servizi segreti e gli inquirenti dei diversi Paesi europei non collaborano abbastanza. Oggi lo si riconosce anche nelle alte sfere politiche europee. E il segretario alla difesa statunitense Ash Carter chiede espressamente agli europei di collaborare maggiormente con i servizi americani (v. Rampini a pag.31). Certo, non è facile coordinare a livello europeo scambi di informazioni e inchieste, che restano di competenza nazionale, ma va fatto un serio tentativo per superare i muri invisibili che si creano fra gli addetti alla sicurezza nazionale. Già solo l’aspetto logistico non è indifferente (la sola Francia conta 22 servizi di informazione), ma qui occorre soprattutto un mutamento di mentalità. Come dichia-
rato da un esperto di terrorismo dell’Egmont Institute of Belgium, Thomas Renard , nei servizi segreti europei oggi «da una parte c’è la necessità riconosciuta da tutti di dover cooperare, dall’altra c’è una mancanza di fiducia reciproca fra i diversi servizi»(«New York Times», 24.3.16). In realtà, dopo «Charlie Hebdo» e gli attacchi del 13 novembre sia la Commissione europea, sia il Parlamento europeo hanno deciso un migliore coordinamento delle inchieste, una maggiore condivisione delle informazioni, un maggiore controllo di chi arriva in Europa (in aereo), ma le decisioni sono recenti e ancora scarsamente implementate. Tuttavia, l’Europa politica non può più tergiversare, lo deve ai suoi cittadini e alle vittime di Parigi e Bruxelles. Tuttavia, non chiediamo l’impossibile a chi è preposto alla nostra sicurezza: sarà sempre possibile per un terrorista fare strage con un mitragliatore su una spiaggia, in aeroporti, stazioni, metropolitane, teatri, stadi, supermercati, ovunque ci siano molte persone. Se soluzione al terrorismo vi sarà, la si troverà a lungo termine, nell’immediato possiamo solo sperare nelle capacità degli inquirenti e accettare di vivere una guerra atipica senza lasciarci trascinare nell’abisso del nichilismo di questo fascismo islamico.