Cooperativa Migros Ticino
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Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 7 marzo 2016
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Società e Territorio Dopo le scuole medie: come aiutare i figli a scegliere la formazione più adatta
Ambiente e Benessere Come far fronte alla perdita di memoria? L’approccio multidisciplinare dell’Ospedale regionale di Lugano
Politica e Economia Terza guerra mondiale: le riflessioni del Papa
Cultura e Spettacoli Le delusioni e i successi di Pirandello a Berlino
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Fenomeno Trump
Keystone
di Paola Peduzzi pagina 29
Una frattura sempre più profonda di Peter Schiesser Donald Trump, candidato repubblicano alla presidenza? Sarebbe il più bel regalo per Hillary Clinton, dicevano nei mesi scorsi i simpatizzanti democratici: con un avversario così impresentabile, l’ex first lady ed ex segretario di Stato avrebbe la vittoria in tasca. Oggi, dopo il SuperTuesday che ha visto emergere al di sopra di ogni concorrente proprio Clinton e Trump, nel campo democratico l’ottimismo ha lasciato il posto all’apprensione, e in quello repubblicano l’incredulità sta mutando in panico. I vertici del Grand Old Party si sono accorti tardi di aver sottovalutato quell’istrionico miliardario e di aver perso il contatto con una parte della base, ed ora non sanno più come fermarlo (vedi Paola Peduzzi a pagina 29). C’è poco da sperare negli altri candidati: il più vicino a Trump è Ted Cruz, altrettanto detestato dall’establishment repubblicano, Marco Rubio arranca al terzo posto, gli altri non contano. L’unica speranza è che a contrastare Trump resti un solo candidato. O che avvenga un miracolo. Hillary Clinton, da parte sua, dimostra che la tenacia, la preparazione, la professionalità, la capacità di rialzarsi dopo ogni sconfitta,
alla fine pagano. I numeri le danno ragione. Sa vincere anche in Stati «bianchi», dove il suo concorrente Bernie Sanders trova maggiori consensi, e nel sud mostra di aver dalla sua parte il voto degli afroamericani ma anche della maggioranza dei bianchi, e – da verificare – probabilmente anche dei latini. È l’erede naturale di Obama e il candidato più pragmatico, capace di raccogliere voti in tutti gli Stati Uniti. Vedremo in novembre se il suo destino sarà davvero di essere la prima donna presidente della maggiore superpotenza mondiale. Quale America vedremo l’8 novembre? Se anche Trump non vincesse, resterebbe la constatazione che in quel Paese c’è un’immensa frattura sociale, prima che politica. La classe media e medio-bassa bianca vota Trump, crede in quel miliardario e non più ai politici, teme gli immigrati, i musulmani e tutte le minoranze. I suoi insulti, le bugie, le visioni più assurde, l’atteggiamento da bullo che farà rispettare l’America nel mondo fanno presa. C’è da stupirsi? In realtà questo serbatoio di rabbia contro l’establishment politico, di paura verso gli stranieri e le minoranze, è presente da tempo nel partito repubblicano e nella popolazione statunitense. Sarah Palin e gli esponenti del Tea Party, lo stesso Ted Cruz, non hanno idee politiche
molto diverse (ammesso che sia possibile definire con certezza le idee di Trump). Benché Obama avesse l’obiettivo di unire il Paese, sotto la sua presidenza il divario ideologico si è allargato, l’America dei liberal è sempre meno percepita come un’America in cui possono sentirsi a casa i repubblicani più conservatori e le fasce medio-basse bianche, che pagano il maggior prezzo della globalizzazione. Se basta un John Wayne del Ventunesimo secolo ad elettrizzare gli animi di un’importante parte della popolazione, non c’è da stare allegri, significa che il populismo sta seriamente inquinando la democrazia. Se non venisse eletto, forse Trump sparirà dal panorama politico, ma la frattura resterà. Questo per gli Stati Uniti è grave, ma per i repubblicani è un disastro: il partito rischia di spezzarsi, una nomination Trump terrebbe lontane tutte le minoranze, la cui forza demografica oggi è tale da influenzare ogni elezione, riducendo ancor più la possibilità di riconquistare la Casa Bianca. Hillary Clinton, se eletta presidente, non avrebbe compito facile ad unire il Paese. Anche perché, se Trump è odiato da molti, anche Hillary Clinton ha un tasso di impopolarità che sfiora il 40 per cento. Non una bella premessa, per un mondo già instabile di suo.