Azione 09 del 29 febbraio 2016

PRONTI, PARTENZA, VIA ALLA PASQUA!

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 29 febbraio 2016

Azione 09

Società e Territorio Lotta e prevenzione dei matrimoni forzati: il progetto Precofo in Ticino

Ambiente e Benessere Perché riciclare i rifiuti edili? Basti pensare che corrispondono all’80 percento del peso di tutti i rifiuti prodotti

Politica e Economia I test missilistici di Pyongyang impensieriscono anche la Cina

Cultura e Spettacoli Romanziere, semiologo, saggista, critico... ma l’uomo Umberto Eco com’era?

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Scoprire il mondo del lavoro

CdT - Maffi

di Paola Bernasconi pagina 5

Brexit e il fantasma della Lady di ferro di Peter Schiesser Par di vedere il fantasma di Margaret Thatcher, aleggiare sopra la Gran Bretagna. La Lady di ferro, nel 1975 ardente sostenitrice dell’adesione alla Comunità economica europea, dal 1995 decisa paladina di una fuoriuscita della Gran Bretagna dall’UE o almeno di una radicale trasformazione dei rapporti con Bruxelles, incarnava lo scetticismo, i dilemmi e le ambivalenze della nazione, ma anche quella visione condivisa da molti suoi concittadini ancora oggi.

Una visione che ritroviamo pure nel premier Cameron, quindi tra i fautori di una permanenza nell’Unione: l’Europa unita deve restare sostanzialmente un grande mercato, non una sempre più stretta e vincolante unione politica, fiscale, finanziaria.

Nulla di nuovo, si potrebbe dire. Solo che questa volta potrebbe esserci un cortocircuito: se il 23 giugno i britannici (quindi inglesi, scozzesi, gallesi e nordirlandesi) voteranno a favore di una fuoriuscita dall’UE, per un Brexit quindi, si romperà il precario equilibrio fra scetticismo e opportunità economiche che ha mantenuto la Gran Bretagna nell’Unione. Sarebbe uno scossone per il Paese stesso,

poiché imboccherebbe una via senza ritorno dalle conseguenze oggi in parte imprevedibili. E per l’Unione Europea sarebbe un terremoto senza precedenti. Per entrambi, non ne va unicamente di interessi economici, ma anche dell’integrità territoriale: gli scozzesi, favorevoli a restare nell’UE, potrebbero tornare a chiedere una piena indipendenza da Londra; nell’Unione europea l’esempio britannico potrebbe far scuola, innescando un processo disgregativo, o comunque di radicale trasformazione degli assetti istituzionali dell’UE. In un modo o nell’altro, il 23 giugno l’Europa unita giunge ad un bivio.

A quattro mesi dal voto, pronostici seri sono impossibili. Non è neppure chiaro quanto peseranno in favore del sì o del no i giudizi su quanto ottenuto da Cameron nei negoziati con l’UE. Di certo si discuterà molto delle conseguenze economiche di un Brexit, ma anche di immigrazione e dell’insicurezza che deriva da un’Europa che apre le porte a milioni di profughi – con lo scetticismo annidato nel subconscio collettivo a fare da sfondo ai dibattiti. Al di là di una formalizzazione più chiara della posizione della Gran Bretagna rispetto all’Unione, della salvaguardia dei suoi interessi economici pur restando fuori dall’Eurozona e da Schengen, di una soluzione

di compromesso sui costi sociali degli immigrati europei in Gran Bretagna, Cameron non è riuscito a motivare Bruxelles e i capi di Stato e di governo dell’Unione a intraprendere passi ulteriori per una riforma dell’UE. Il suo è quel tipo di successi che puoi vantare o criticare a seconda del punto di vista e delle aspettative.

In questa prima fase hanno invece un peso i volti che incarnano i due fronti. Accanto a personaggi poco carismatici o impresentabili come Nigel Farage, al fronte del no mancavano volti credibili. Con il popolare sindaco di Londra, il conservatore Boris Johnson, e il ministro della giustizia Michael Gove (sei i ministri del governo Cameron a favore del Brexit) gli anti-europei hanno guadagnato due personalità di prestigio e intelligenza. Se Boris Johnson varrà un 10% di consensi, come indicano alcuni istituti demoscopici inglesi, si vedrà il 23 giugno. Il suo antieuropeismo potrebbe essere strumentale alle sue ambizioni: non pochi hanno interpretato la sua scelta come l’estremo tentativo di scalzare Cameron da Downing Street.

Il premier, dal canto suo, è nella scomoda posizione di aver bisogno di alleati al di fuori del suo partito, diviso sulla questione, e di averli trovati nei laburisti, nei liberaldemocratici e negli scozzesi.

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Attualità Migros

Settantamila bambini gratis alle corse popolari Generazione M Migros si impegna già da anni quale sponsor principale

delle gare podistiche popolari, a favore delle famiglie e per promuovere il piacere del movimento nei bambini

Migros News Informazioni relative al richiamo di prodotti MARS Il richiamo di prodotti MARS in 55 paesi ha interessato anche Migros, e più precisamente riguardo ai 12 prodotti elencati di seguito: Articolo Prezzo in CHF Mars, conf. da 6, 270 g 2.50 Snickers, conf. da 6, 300 g 2.50 Mars 10+2, 540 g 4.15 Snickers 10+2, 600 g 4.15 Mars mini 3.70 Snickers mini 3.70 Celebrations 7.80 Celebrations 3.80 Mars, 51 g 1.30 Snickers, 50 g 1.30 Snickers mini, 443 g 4.70 Mars mini, 443 g 4.70 Al momento Migros sta ritirando tutti i prodotti Mars dall’assortimento. I clienti che li avessero acquistati negli scorsi giorni possono riportare le confezioni nelle filiali e riceveranno il rimborso del prezzo di vendita.

Giovani generazioni del podismo alla Stralugano 2015.

(Mario Curti)

Con la sua nuova promessa di Generazione M, fino alla fine del 2019 Migros permetterà a oltre 70’000 bambini di partecipare gratuitamente a più di 20 eventi podistici in tutta la Svizzera. Tra le manifestazioni sostenute vi sono la corsa di Kerzers, la corsa cittadina di Lucerna, il GP di Berna, la corsa dell’Ascensione, la corsa del Greifensee, la nostra StraLugano, la corsa del lago di Morat, quella del

lago di Hallwil, la corsa cittadina di Basilea e la corsa di San Silvestro di Zurigo.

Per ognuna di queste gare Migros offre pettorali gratuiti nelle categorie riservate ai bambini. In ognuno dei quattro anni su cui si estende la promessa, quindi, l’azienda prevede di regalare a 15’00020’000 bambini la quota di partenza. Le famiglie interessate all’iniziativa possono iscriversi direttamente tramite www.ge-

neration-m.ch/gratis-al-via, oppure nei siti web dei singoli eventi podistici.

Migros, del resto, si impegna con diverse attività per la promozione della salute della popolazione svizzera. Un esempio di tale volontà sono le sponsorizzazioni pluriennali a favore delle maggiori e più amate corse popolari in tutta la Svizzera. Ogni anno oltre 200’000 podisti prendono parte a questi eventi sportivi.

Sul campo di gara, Migros offre agli sportivi la ristorazione, regali per i partecipanti e un controllo ortopedico da parte degli specialisti di SportXX. Oltre a questo, a fine gara, ognuno dei corridori può rivedere il filmato del proprio arrivo al traguardo. Il servizio, molto apprezzato, si chiama Finisher Clip e si trova sul sito di Sport XX all’indirizzo: www.sportxx. ch/it/cp.finisher-clip .

M A beneficio dei coltivatori di manghi Sostenibilità Grazie a Delica i produttori di manghi del Ghana migliorano la qualità dei frutti

e di conseguenza anche il loro reddito Anna-Katharina Ris* Le fette di mango essiccate sono deliziose non solo come spuntino, ma conferiscono anche agli stufati una dolce nota fruttata. I frutti essiccati di Migros provengono fra l’altro dal Ghana, dove sono prodotti prevalentemente da piccoli contadini. Il periodo della raccolta fra giugno e agosto è relativamente breve: circa otto settimane. Quindi per i contadini è una grande sfida riuscire a fornire allo stabilimento di essiccazione i fragili frutti nell’impeccabile stato che viene richiesto. L’impresa della Comunità Migros Delica s’impegna dunque in favore dei produttori con un progetto di sostenibilità messo in atto in proprio. In collaborazione con l’azienda che lavora ed essicca i manghi dopo la raccolta, agronomi locali istruiscono i coltivatori locali in vari ambiti.

Il punto dolente nella raccolta dei manghi è la quantità di frutti che maturano in breve tempo. Mentre nei primi giorni i contadini forniscono un numero ridotto di frutti e in parte ancora acer-

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

bi, nelle poche settimane di alta stagione si registra spesso un’offerta esagerata di frutti maturi. Verso la fine della raccolta molti manghi sono già troppo maturi e non possono più essere adoperati.

Si cerca di ovviare a questo problema seguendo il principio della raccolta

selettiva, che i coltivatori mettono in pratica grazie all’istruzione ricevuta dagli specialisti. I contadini hanno imparato a riconoscere quando i manghi sono maturi in modo ottimale, e colgono solo quelli, però in diverse tappe, distanziate nel tempo. Un altro impor-

tante fattore per avere frutti impeccabili è la lotta contro i parassiti, con un occhio particolare alla drosofila. I frutti colpiti devono essere eliminati subito, affinché non attraggano altri insetti.

Inoltre si utilizzano trappole per questi moscerini.

I contadini delle piccole aziende nel Ghana imparano a valutare il grado di maturazione dei manghi.

(Nicole Moret) Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Un aspetto altrettanto importante per l’aumento dei redditi è la cura delle piante. I contadini imparano come si potano a regola d’arte i grandi manghi, in parte vecchi. Una misura assolutamente vantaggiosa, in quanto da una parte gli alberi più piccoli e compatti sono più facili da gestire, dall’altra il loro ringiovanimento li rende più robusti e fruttiferi. Grazie allo spazio risparmiato, inoltre, la piantagione può venir infoltita con alberi giovani.

Il progetto in Ghana è lungi dall’essere concluso, altre misure a lungo termine sono in atto. Fra l’altro, gli esperti testano nuove varietà di mango, che fruttificano più tardi nella stagione.

Delica co-finanzia in gran misura il progetto e si informa regolarmente sul posto sui progressi fatti. Il progetto contribuisce all’obiettivo principale di Migros di impegnarsi responsabilmente per l’ambiente e la popolazione e creare condizioni quadro sociali in modo più sostenibile. * Redattrice di Migros Magazin

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Tiratura 101’035 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Società e Territorio Un ricordo di Peppo Brivio L’architetto scomparso negli scorsi giorni era nato a Lugano nel 1923, le sue opere più famose risalgono agli anni 50 e 60 pagina 7

La lotta ai matrimoni forzati In Ticino il progetto Precofo agisce a livello di prevenzione, consulenza e formazione nell’ambito di un programma federale pagina 8

Scoprire nuovi mestieri e valutare formazioni per chiarirsi le idee sul futuro. (CdT Maffi)

Le professioni si mettono in mostra Formazione Dal 7 marzo al Centro Esposizioni di Lugano si potrà visitare Espoprofessioni, ecco alcune novità Paola Bernasconi È tutto pronto per la dodicesima edizione di Espoprofessioni, la manifestazione biennale dedicata ai mestieri. La macchina organizzativa, come ci racconta la Direttrice dell’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale e Presidente del Comitato d’organizzazione Rita Beltrami è partita ormai un anno fa, con una quindicina di persone che lavora dietro le quinte, e la fiera sarà aperta dal 7 al 12 marzo al Centro Esposizioni di Lugano. Quanto una fiera del genere è ancora attuale? «Lo è sempre di più, dal momento in cui viviamo in una società in cui le professioni non sono più visibili come una volta: i ragazzi hanno un rapporto diverso con il territorio rispetto ad un tempo dove i mestieri si conoscevano».

Saranno 238 i mestieri che esporranno, alcuni sono pressoché sconosciuti, magari perché nuovi. «Due anni fa, ricordo che c’erano, per esempio, il meccatronico, l’operatore per la comunicazione alla clientela, l’impiegato nella gastronomia standardizzata: professioni nuove, come anche il telematico, attive solo da qualche anno», spiega Beltrami. Ma numerosi mestieri sono anche cambiati nel corso degli anni. «Il programma di quest’anno

vuole porre il tema delle professioni tradizionalmente «maschili», ma che in effetti potrebbero offrire opportunità di formazione e di lavoro interessanti anche alle ragazze, come ad esempio nei settori dell’artigianato e dell’industria. Sappiamo per esperienza che le ragazze scelgono ormai da anni in grandissima parte fra 10-12 professioni tradizionalmente «femminili» (come le assistenti di studio medico, le impiegate di commercio, le assistenti dentali ecc.). Tuttavia le modalità di lavoro, in particolare grazie all’introduzione dell’informatica, sono cambiate e spesso le attività non sono più fisicamente pesanti come in passato», aggiunge Gian Marco Petrini, Direttore aggiunto della Divisione della formazione professionale e Vicepresidente del Comitato d’organizzazione di Espoprofessioni 2016.

Un mito che va sfatato, secondo Beltrami, è che sia una manifestazione dedicata solo ai ragazzi delle scuole medie: è rivolta anche a chi desidera una riqualifica, o può «cogliere degli spunti da adulto, conoscere delle formazioni professionali superiori con cui perfezionarsi». Infatti, il sistema formativo svizzero, come fa presente Petrini, è mutato negli ultimi anni. «È stato rinnovato completamente a parti-

re dal 2003, proprio perché le esigenze del mondo del lavoro sono nettamente cambiate rispetto alla realtà industriale e produttiva degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Se è vero che forse non si impara più un mestiere per tutta una vita, lo è anche che il sistema formativo è diventato più flessibile e permette una mobilità orizzontale e verticale impensabile qualche decennio fa, con la possibilità di un adattamento ai futuri cambiamenti del mondo del lavoro».

Ma i ragazzi delle scuole medie, maggiori fruitori fra i 30mila visitatori attesi, hanno già le idee chiare, e visitare Espoprofessioni è davvero decisivo per loro? Come ci spiegano i nostri due interlocutori, c’è chi sa già cosa vorrà fare da grande sin dall’infanzia e cerca solo conferme e chi invece ha qualche ipotesi vaga. Uno dei rischi è che i giovani possano intendere la visita solamente come una giornata di svago.

«L’aspetto fieristico a quell’età ci sta ma nel contempo la visita deve aiutarli nella conoscenza del mondo delle professioni. Quest’anno abbiamo deciso pertanto di inserire un gioco delle carte, per prepararli alla giornata. Davanti c’è un’immagine evocativa di un settore e dietro sono elencate le professioni che ne fanno parte. Durante la visita,

poi, gli allievi di terza media avranno ulteriori tre carte: una per la professione che non conoscono e di cui devono scoprire un aspetto positivo e uno negativo, una con quella da sogno di cui devono cercare, chiedendo a chi espone, un aspetto critico, infine una per la loro professione da incubo, con l’intento di cercare un aspetto positivo. I più piccoli, di seconda, riceveranno solo due carte, una per la professione che conoscono e una per quella sconosciuta», racconta Rita Beltrami. Apprezzabile è il non voler mostrare solamente i lati positivi di ogni mestiere, ma far capire anche le difficoltà che ciascuno porta con sé: perché non esistono professioni belle o brutte, ma solamente quelle adatte per ciascuno.

Come novità di questa edizione, l’esposizione di professioni che si possono svolgere subito dopo la scuola media con un apprendistato sarà fisicamente separata da quella dei lavori che richiedono la frequenza di scuole specializzate superiori, scuole universitarie professionali e una formazione professionale superiore. Soprattutto, ci sarà 15’ Face to Face – Incontro tra giovani e aziende. «Sono, secondo il sistema di speed dating, appuntamenti di 15 minuti fra un ragazzo e una delle aziende che hanno aderito», ci dice

Beltrami. L’obiettivo non è far uscire i giovani con un contratto in tasca, ma, come specifica Petrini, la novità è importante, «perché i giovani avranno la possibilità di presentarsi ad un datore di lavoro, di dimostrare la loro motivazione, i loro interessi e i loro sogni professionali. I minuti a disposizione non sono molti ma questo fattore costituirà uno stimolo per una presentazione che sia la più efficace possibile, con un’esperienza educativa positiva per il giovane stesso e che probabilmente servirà anche per eventuali successive presentazioni».

Inoltre, sono previsti incontri con chi sta seguendo una formazione professionale, che potrà fornire la propria testimonianza, così come con esperti nelle risorse umane. Non mancheranno i momenti dedicati ai genitori. Ciò che conta è che i ragazzi ricevano degli stimoli, ma per alcuni Espoprofessioni è decisivo. Con soddisfazione, Beltrami narra di una volta in cui «durante una visita a una cantina vinicola, un ragazzo al primo anno di cantiniere ha detto di aver scelto la professione perché è venuto alla mostra».

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Società e Territorio

Peppo Brivio, il nitore cristallino della ragione In memoria Le sue opere godono di un respiro internazionale e ispirano giovani generazioni di studenti:

un ricordo dell’architetto luganese scomparso negli scorsi giorni

Nicola Navone* In questo inverno subdolamente mite se n’è andato, in silenzio così com’era vissuto per lunghi anni, uno dei maggiori architetti svizzeri del Novecento: Peppo Brivio.

Nato a Lugano nel 1923, Brivio aveva studiato architettura al Politecnico federale di Zurigo, dove si era laureato nel 1947 con William Dunkel, di cui fu assistente per due anni. Professore ordinario di progettazione dal 1929 al 1959, Dunkel era un architetto cosmopolita che negli anni Venti aveva sposato, con elvetica moderazione, gli ideali del Neues Bauen e che a Zurigo proponeva un insegnamento antidogmatico e aperto, in una scuola che, per il resto, Brivio ricordava con scarso entusiasmo e qualche sarcasmo. Come collaboratore di Dunkel, Brivio aveva lavorato al progetto che si aggiudicò il concorso per la nuova sede della Banca cantonale di Soletta (1948, inaugurata nel 1951).

Ma fu soprattutto la biblioteca del suo docente, e la liberalità con cui questi gli concedeva riviste e volumi, ad alimentare la sua precoce tensione intellettuale, poi divenuta caratteristica del suo modo d’essere architetto.

Rientrato in Ticino, Brivio si associò con Franco Ponti, che aveva conosciuto a Zurigo. Insieme realizzarono, a Bellinzona, due piccole case ad appartamenti e una casa unifamiliare (le case «Isola Bella», 1949-1950) e un’altra casa per il fratello di Ponti (1950-1953), che già annunciano, a uno stadio germinale, alcuni temi centrali nell’opera dei due architetti, come la ricerca di una rigorosa logica compositiva fondata, principalmente, sulla scomposizione dell’involucro murario in piani e volumi e sulla marcata articolazione plastica dell’edificio.

Per Franco Ponti, Brivio, seppure minore di due anni, fu una sorta di maestro: perché fu grazie alla sua critica lucida e corrosiva che Ponti avviò la personale ricerca volta a coniugare l’opera di un maestro dell’architettura moderna, quale fu Frank Lloyd Wright,

con la tradizione costruttiva rurale ticinese.

Brivio, intanto, apriva il proprio studio a Locarno insieme a René Pedrazzini, e realizzava quel vero e proprio «concentrato di paradigmi architettonici» (così Tita Carloni) che è stata la stazione di partenza della funivia Locarno-Orselina-Cardada (1951-1952): con verbo purtroppo coniugato al passato, poiché la stazione è stata demolita più di un decennio fa, invocando a giustificazione l’obsolescenza tecnica dell’impianto, mentre Tita Carloni e Paolo Fumagalli invocavano, a scongiurarne la distruzione, il suo valore di testimonianza culturale.

Accanto alla sua attività autonoma, Peppo Brivio collabora con Rino Tami, partecipando, tra gli altri, ai progetti per il cinema «Corso», a Lugano (1952-1956), e per la Casa torre a Cassarate (1953-1958), di cui dirige i lavori di costruzione.

Questi lavori sono il preludio a due opere cardinali realizzate da Brivio negli anni 50: le case ad appartamenti «Albairone» (1955-1956) e «Cate» (1957-1958), a Massagno. È qui che si manifesta per la prima volta, con l’evidenza corrusca di un’epifania, l’elegante coerenza della grammatica architettonica di Brivio: memore sì dell’esperienza neoplastica di De Stijl, ma con un’attenzione all’espressione della struttura estranea a quel movimento.

Brivio sembra guardare, piuttosto, agli esperimenti che George Candilis, Shadrach Woods e gli altri giovani architetti consorziati nell’ATBAT-Afrique, affiancati da Jean Hentsch e André M. Studer, stavano compiendo nel Nordafrica francese, guidati dal comune desiderio di creare configurazioni complesse, dalla marcata plasticità, iterando un numero limitato di volumi (e reinterpretando al contempo la tradizione abitativa locale). Lo sguardo di Brivio, tuttavia, non è quello dell’architetto smanioso di mostrarsi aggiornato, che scivola sulla superficie delle cose accarezzando l’ebbrezza della novità, ma è reso penetrante da una vasta cultura e

P. Brivio, V. Gregotti, L. Meneghetti, G. Stoppino, Sala del Caleidoscopio, XIII Triennale di Milano, 1964. (Immagine tratta dalla rivista «Werk-Chronik», 1964, n. 9)

da un rigore intellettuale che, insieme alla sua spietata dialettica, ne fanno un maestro a dispetto della giovane età.

Il decennio che corre tra la metà degli anni 50 e 60 è, infatti, il periodo aureo dell’opera di Brivio, durante il quale sorgono edifici notevoli come la casa ad appartamenti «Rosolaccio» a Chiasso (1959-1960), Casa «Corinna» a Morbio (1962-1963), Casa dei Pini a Vacallo (1962-1963), e viene concepito il progetto, non realizzato, per la residenza ticinese di Jacques Koerfer, celebre industriale e collezionista d’arte tedesco, che preferirà conferire l’incarico a Marcel Breuer: una magnifica struttura a baldacchino nella quale riverberano, oltre a richiami all’opera di Louis Kahn, reminiscenze dell’architettura islamica e dell’estremo Oriente, di cui Brivio ha avuto e avrà esperienza attraverso i suoi

lunghi viaggi di studio, preparati meticolosamente e altrettanto meticolosamente documentati (come testimonia la raccolta di diapositive oggi conservata nel Fondo Brivio della Fondazione Archivi Architetti Ticinesi). Sono gli stessi anni in cui si viene saldando la collaborazione, venata di stima e amicizia, con Vittorio Gregotti, che porterà Brivio, nel 1964, a partecipare all’allestimento della sezione introduttiva della XIII Triennale di Milano, insieme a Gregotti, Lodovico Meneghetti e Giotto Stoppino (con la collaborazione di Luciano Berio, Umberto Eco, Massimo Vignelli). In Ticino, architetti come Mario Campi, Luigi Snozzi e Livio Vacchini gli riconosceranno il ruolo di maestro, che troverà sanzione accademica nella nomina a professore all’Ecole d’Architecture dell’Università di Ginevra, carica

che terrà dal 1969 al 1990, anni durante i quali la sua produzione come architetto si dirada e la sua figura entra lentamente (e ingiustamente) nell’ombra.

La qualità dell’architettura di Peppo Brivio, e del pensiero che la sottende, travalica ampiamente i confini del cantone Ticino per aprirsi a un orizzonte internazionale. Ne è un’ulteriore conferma l’appassionato interesse degli studenti, quanto mai cosmopoliti, a cui ho potuto mostrare la sua opera. Sono sicuro che anche loro, ancora raccolti tra questo giro di monti o già dispersi per il vasto mondo, stanno pensando a lui, ora che ci ha lasciato. * Vicedirettore dell’Archivio del Moderno e docente all’Accademia di architettura di Mendrisio.

La forza persuasiva dei manifesti Pubblicazioni Pier Paolo Pedrini analizza le tattiche di reclutamento durante la Grande Guerra

che stanno alla base delle strategie pubblicitarie odierne Valérie Heimann Viviamo in un mondo dinamico, frenetico, in eterna evoluzione; cresciamo lentamente in una società che cerca di velocizzare ogni processo, di sfruttare qualsiasi spazio, di guadagnare qualunque consenso. È in queste circostanze che, come individui, ci sentiamo sempre più sovraccaricati da una miriade di slogan, inserzioni e annunci pubblicitari, che si introducono con decisione e spesso con scarso tatto nelle nostre routine quotidiane. Trovate, che mirano esclusivamente a convincere l’ interlocutore a comprare un prodotto, investire in un progetto o arruolarsi nell’esercito.

Arruolarsi nell’esercito oggigiorno? Di questi tempi non sarà forse lo scopo primo dei promozionali, ma le tattiche di reclutamento di una volta non sono poi così distanti dalle strategie persuasive che guidano le odierne campagne pubblicitarie di molteplice natura. È sulla base di questa osservazione

che Pier Paolo Pedrini, professore di Tecniche di persuasione all’Università della Svizzera Italiana, ha sviluppato nel suo nuovo libro (2015, Carocci editore – Roma) un’analisi della progettazione dei manifesti durante la Grande Guerra, la loro effettuale rappresentazione e la conseguente influenza che questi hanno esercitato sui più disparati destinatari. L’autore ha identificato molte strategie persuasive impiegate nei manifesti inglesi e americani degli anni 1914-1918 per chiamare alle armi il maggior numero di volontari o per convincere quel gruppo di persone che non potrà andare al fronte, il cosiddetto home front, a sostenere il conflitto bellico con finanziamenti o lavori di utilità pubblica. Molti di questi escamotage elencati di seguito esistono e vengono usati ancora oggi, dimostrando quindi l’attualità di questo scritto.

Un annuncio deve innanzitutto venir notato; la finalità del manifesto sta quindi nel richiamare l’attenzione della popolazione con frasi quali Newyorkesi, svegliatevi! oppure Donne,

sveglia! o ancora Uomini celibi! La curiosità e l’interesse di bambini, giovani e adulti vengono pertanto accresciuti grazie a espedienti quali immagini di

Manifesto americano per il reclutamento. (Library of Congress, Washington)

bimbi o di donne avvenenti, la costante ripetizione del messaggio e l’uso ricorrente della forma interrogativa in slogan come Cosa stai facendo tu per l’impero?

Secondo Pedrini, alla base di una propaganda vincente sta in secondo luogo la forza persuasiva della fonte; sia il mittente del messaggio sia le citazioni riportate dallo stesso devono disporre difatti di un’autorevolezza tale da garantire enorme successo nel reclutare soldati o collaboratori finanziari per la battaglia nazionale. Un esempio in questo senso è l’adozione in uno slogan della frase di Shakespeare proveniente dalla sua opera Macbeth Non aspettare l’ordine di marcia. Ma vai subito per convincere i numerosi lettori del poeta in Inghilterra.

Il linguaggio degli slogan svolge infine un ruolo predominante; satira, parodia, humour e paura vengono infatti utilizzati in modo sistematico dagli ideatori delle propagande, per fomentare nei cittadini sensi di colpa, di dovere, ma anche sentimenti di

patriottismo, solidarietà e difesa dei valori, che li spinga ad aderire con entusiasmo al combattimento. Esempi in questo caso sono formulazioni come Viaggio? Avventura? Risposta: arruolati nei marines! Arruolati oggi per 2, 3 o 4 anni oppure Per favore papà, fallo di nuovo! Comprami un’obbligazione per la vittoria, presenti in alcuni manifesti.

Questi e molti altri accorgimenti strategici a cui i propagandisti ai tempi della Grande Guerra ricorrevano sovente vengono scovati e rivelati dall’autore grazie ad una ricerca approfondita e strutturata, chiara e comprensibile per qualunque appassionato del tema che voglia cimentarsi in una lettura piacevole. Il libro non si rivolge però solo agli esperti del settore, bensì ad ogni lettore incuriosito dal mondo della comunicazione e della pubblicità.

Bibliografia

Pedrini, Pier Paolo, I manifesti della Grande Guerra. Carocci editore, Roma 2015.

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Società e Territorio

No, non lo voglio Matrimoni forzati Nel nostro Paese la legge sancisce il diritto di scegliere liberamente il proprio partner,

in caso contrario il matrimonio è dichiarato nullo. In Ticino il progetto Precofo agisce a livello di prevenzione, consulenza e formazione Stefania Hubmann Sollevare il tema dei matrimoni forzati in Ticino è a sua volta una forzatura? Assolutamente no, perché i casi esistono e sono in aumento, così come nel resto della Svizzera, essendo legati principalmente ai fenomeni migratori e ai confronti culturali che ne derivano.

I matrimoni conclusi senza il libero e pieno consenso dei futuri coniugi costituiscono una violazione di un diritto sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (art. 16, cpv. 2). In Svizzera un matrimonio di questo tipo è illegale e può essere dichiarato nullo.

Grazie alla Legge federale sulle misure contro i matrimoni forzati, entrata in vigore il 1. luglio 2013, è ora prevista la loro impugnazione d’ufficio ed è stata ampliata la definizione di costrizione.

Per contrastare un fenomeno sovente accompagnato da diverse forme di violenza, il Consiglio federale ha inoltre varato un programma di cinque anni (2013-2017) che punta sulla prevenzione, sull’accompagnamento delle persone potenzialmente coinvolte e sulla formazione dei professionisti.

Precofo (misure di prevenzione, consulenza e formazione) è il progetto ticinese che rientra nel programma federale, messo in atto in altri 17 cantoni.

Lo coordina Sara Grignoli, antropologa di formazione e già chinatasi sul tema nel 2011 all’Università di Neuchâtel sotto la guida della professoressa Janine Dahinden. Quest’ultima l’anno seguente ha pubblicato, unitamente ad Anna Neubauer, la ricerca Matrimoni forzati in Svizzera: cause, forme, estensione, commissionata dal Consiglio federale per valutare la situazione nel nostro Paese.

L’aspetto cruciale della questione è rappresentato dal sentimento soggettivo che determina la coercizione. Un matrimonio non può essere considerato forzato fintanto che la persona stessa non lo percepisce come tale. Cosa significa in concreto matrimonio forzato? La ricerca ha permesso di identificare tre tipologie di coercizione. La prima riguarda le pressioni subite per accettare un matrimonio non desiderato; la seconda comporta pressioni per rinunciare a una relazione sentimentale voluta; il terzo tipo prende in considerazione le pressioni messe in atto affinché si rinunci a chiedere il divorzio in presenza di un matrimonio forzato come pure volontario.

«Questi ultimi casi – spiega Sara

L’aspetto cruciale dei matrimoni forzati è il sentimento soggettivo che determina o meno la coercizione.

(Keystone)

Grignoli – sono i più difficili da identificare, ma comunque i più numerosi secondo le stime della ricerca del 2012.

Il progetto ticinese, che nella prima fase (2014-2015) si è concentrato soprattutto sulla mappatura dei servizi esistenti e sulla loro connessione in rete, ha identificato cinque situazioni di coercizione nel 2014, salite a nove nel 2015. Tutte erano da ricondurre alle prime due tipologie e segnalate soprattutto da insegnanti che hanno raccolto le confidenze di loro allieve. Nella maggior parte dei casi si tratta infatti di ragazze minorenni o vicine alla maggiore età, nate e cresciute in Ticino, con un compagno non gradito alla famiglia. Famiglia che ha già previsto per la figlia un matrimonio nel luogo d’origine. Il rischio è che questo venga celebrato durante le vacanze scolastiche». La coordinatrice di Precofo tiene a sottolineare come la famiglia non agisca deliberatamente nell’intento di nuocere alla figlia o al figlio, ma motivata dal rispetto di una pratica culturale e da considerazioni che possono essere anche di ordine economico. Le testimonianze raccolte dimostrano inoltre come le pressioni possano provenire anche da sorelle o fratelli maggiori a loro volta sposati con un matrimonio com-

binato, sorte che però hanno accettato.

«La consulenza a queste giovani donne – racconta ancora Sara Grignoli – è molto delicata, perché cercano di evitare il coinvolgimento della famiglia per paura di essere isolate dalla comunità. Da segnalare, sempre in Ticino, anche i casi di alcuni ragazzi sottoposti alla pressione della famiglia della propria compagna affinché la loro relazione sia formalizzata con un matrimonio».

Il volantino informativo «Io non lo voglio», che Precofo ha pubblicato in dodici lingue, è quindi messo a disposizione nei vari servizi, distribuito durante serate pubbliche e a scuola nell’ambito delle azioni di sensibilizzazione, ma usato con prudenza nelle consulenze. La sicurezza delle persone esposte al rischio di un matrimonio forzato è la priorità di chi opera al fronte – polizia nei casi urgenti, docenti, professionisti delle consulenze – proprio perché la violenza domestica è spesso collegata a queste situazioni.

Per aiutare gli operatori, il progetto ticinese, entrato nella seconda fase (20162017), sta preparando un manuale concepito come protocollo d’intervento. Il documento, al quale lavora la coordinatrice e un ristretto team di esperti, ha

quale scopo principale la presentazione degli indicatori necessari per valutare il grado di urgenza di una situazione.

Sara Grignoli: «Il programma federale è basato sullo scambio di buone pratiche fra i diversi cantoni. Il manuale si basa quindi sulle esperienze di chi è più avanti, come ad esempio il canton Vaud, tenendo conto della specificità dei servizi e della realtà migratoria del nostro territorio. Il confronto avviene sia all’interno del cantone, dove il progetto è sviluppato da un gruppo di quattordici persone, sia a livello federale. Proprio il mese scorso ho partecipato a Berna all’annuale incontro fra i coordinatori dei diciotto progetti cantonali, durante il quale si sono valutati i diversi tipi d’intervento, analizzando anche casi concreti. Siccome l’obiettivo del programma federale e dei singoli progetti cantonali è di integrare le misure volte a combattere i matrimoni forzati nelle strutture ordinarie esistenti, l’analisi delle reti costruite e il loro rafforzamento sono aspetti prioritari sempre al centro dell’attenzione».

Un ruolo di verifica spetta pure all’ufficiale di stato civile al momento della registrazione del matrimonio, benché a questo stadio della procedura

sia piuttosto difficile approfondire la posizione dei futuri coniugi e in particolare l’aspetto soggettivo. La vittima di un matrimonio forzato deve innanzitutto ammettere a sé stessa il rifiuto e in seguito riuscire a esprimerlo. Solo così si può andare avanti, se necessario fino all’annullamento di un’unione già celebrata. Ciò è già avvenuto in Svizzera, mentre al momento non sono noti casi di questo genere in Ticino.

I progetti cantonali, attraverso uno specifico formulario, stanno pure conducendo una ricerca sui diversi casi di matrimonio forzato finora emersi nell’intento di monitorare il fenomeno a livello svizzero. La via della stretta collaborazione fra i servizi presenti sul territorio e attivi nell’ambito dell’uguaglianza, della violenza domestica, della migrazione e dell’integrazione, è tracciata. Di fronte a una problematica così complessa e delicata, con un profilo eterogeneo delle persone che cercano aiuto, le risposte devono comunque mantenere una certa flessibilità.

Informazioni

www.matrimoniforzati.ch www.ti.ch/lav

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Luigi Ballerini, Hanna non chiude mai gli occhi, San Paolo. Da 12 anni Non chiude gli occhi, Hanna, deve restare vigile e avere il controllo della situazione. Come può abbandonarsi ai suoi sogni di ragazza, se corre l’anno 1943, e lei è ebrea, e la sua bella città, Salonicco, è devastata dall’orrore nazista? Ogni giorno i suoi occhi vedono cose che non avrebbero voluto vedere, e se non può più condividere tutto ciò con suo fratello Andreas, costretto a partire per i lavori forzati, può però contare sull’amicizia di Yosef, un ragazzo suo coetaneo. La famiglia di Yosef è stata evacuata dal quartiere in cui risiedeva e confinata nel Ghetto di Kalamaria, nell’appartamento dove Hanna abita con i suoi genitori. L’amicizia nasce gradualmente, da un’iniziale diffidenza e dal disappunto di dover condividere i propri spazi con un «intruso», e si evolve pian piano in un sentimento più profondo.

Luigi Ballerini, in questo romanzo

tratto da una storia vera, alterna gli eventi del Ghetto di Kalamaria, in cui è di fatto rinchiusa la comunità ebraica alla quale appartengono Hanna e Yosef, alle vicende che accadono, contemporaneamente, in un’altra parte della città, presso il Consolato italiano, dove il Console Guelfo Zamboni e il capitano e interprete Lucillo Merci si prodigano coraggiosamente per salvare dalla deportazione quanti più ebrei possibile, appellandosi alla possibilità di dichiararli cittadini italiani. Tutti, anche quelli che con l’Italia hanno legami fragili o inesistenti. E se Hanna e Yosef sono personaggi di fantasia (ma assolutamente plausibili, anche perché

Ballerini si è ispirato ad alcuni temi veri di ragazzi che nel ’43 frequentavano la scuola italiana Umberto I di Salonicco), Guelfo Zamboni e Lucillo Merci sono invece personaggi storici e la loro storia è stata ricostruita da diari, testimonianze dirette, interviste e dal volume Ebrei di Salonicco 1943, pubblicato dall’Ambasciata d’Italia in Atene.

Il risultato è una storia toccante, in cui la cupezza delle circostanze è illuminata, oltre che dall’umanità dei rappresentanti consolari, dallo sguardo puro e vitale dei due ragazzi, dal delicato sostegno che si offrono a vicenda e dalla forza dei loro sogni. Sogni ai quali Hanna, nel pur teso finale, forse riesce finalmente ad abbandonarsi. Perché al suo risveglio ci sarà una nuova alba.

Gek Tessaro, Il museo immaginario, Carthusia. Da 4 anni Ogni opera di Gek Tessaro è un condensato di creatività poliedrica, perché lui è autore, illustratore, cantastorie; e se vi è già capitato di assistere a un suo

spettacolo di narrazione animata dalle immagini che prendono vita sulla lavagna luminosa, saprete cosa intende quando dice che il suo è «disegno parlato», o «teatro disegnato». Queste definizioni si attagliano non solo alle sue performance teatrali, ma anche ai suoi libri, nei quali le illustrazioni sono accompagnate da parole in cui si sente, pronta a dispiegarsi, la grana della voce, l’oralità affabulatoria. Una musicalità che si deve in primis alle rime e ai ritmi, perché i suoi testi sono prevalentemente in versi, sia quando racconta una storia, sia quando accosta una all’altra delle filastrocche, come in questo Museo immaginario, titolo

dai precedenti illustri (Le musée immaginaire di Malraux è del 1947), ma perfetto anche oggi, a indicare – ancor più liberamente di allora – un museo davvero interiore, personale, libero, fatto di tutte le cose piccole e preziose che rendono più bella la vita. «Le cose preziose / il più delle volte / Le trattiamo con cura / Le teniamo raccolte (...)

Ma quello che è certo / quel che è vero altrettanto / è che spesso i gioielli / ci passano accanto». Ed è lo sguardo bambino il più predisposto a notarli, quei gioielli semplici – una panchina in un parco, una musica per strada, un uccellino che zampetta – e ad arredare con ognuno di essi il proprio immaginario. Giro la pagina e ogni volta trovo una filastrocca e una cosa bella che mi sta intorno, e che chiede solo di essere guardata con occhi di meraviglia. O assaporata con naso, orecchie, bocca, mani ed emozioni. Le ultime pagine sono un invito al lettore, perché contribuisca alla creazione con il suo museo immaginario.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Bastiani e contrari La rubrica dell’Altropologo parte stavolta dall’intimità di un camper strategicamente appostato su un’altura dalla quale a) si domina la vista straordinaria dell’estuario del fiume Fal, in Cornovaglia, mentre b) si è a tiro di sete improvvisa da uno dei pub meno conosciuti (e dunque meglio forniti) dell’intera costa meridionale del Regno Unito. Qui si ritrovano gli skipper dell’ultima flotta europea che pesca esclusivamente a vela – ostriche per la precisione, dragate secondo una tecnica secolare dal fondo sabbioso dell’estuario. Le colture di ostriche le avviarono i Romani per nutrire le guarnigioni con quella vera e propria bomba calorica che è il nobile mollusco. Fonti antiche ci dicono che alcuni lamentassero la mancanza di champagne, ai tempi di là da inventarsi, ma tant’è: se è vero come diceva Napoleone che un esercito marcia sullo stomaco allora si spiega la relativa facilità con la quale le legioni marciarono su e giù per la Gran Bretagna per almeno quattro secoli. Insomma, si discettava

l’altra sera di questi temi da Monty Python (ricordate la battuta di Reg: «Ma cosa avranno mai fatto per noi i Romani!?»?) fra una pinta e la prossima quando viene posta sul tavolo la questione del febbraio bisestile. E salta fuori – udite, udite – che per i sudditi di Sua Maestà il febbraio bisestile è un mese fortunato. Ne seguiva una dotta e appassionata discussione dei rispettivi caratteri nazionali, discussione risoltasi con l’accordo sul fatto che i cornici (o come si chiamano gli abitanti della Cornovaglia) sono Celti – come celta era, un tempo, il vostro Altropologo bolognese – e sotto con un’altra pinta.

Britannici bastian contrari, cornici compresi: non solo il venerdì 13 e non il 17 porta scalogna, non solo si guida a sinistra e non a destra – adesso anche il febbraio bisestile è un mese fortunato.

Ma procediamo con ordine: nel suo Dizionario Moderno del 1905 Alfredo Panzini spiegava l’espressione Bastian Contrario sostenendo che tale Bastiano Contrari era un malfattore leggendario che finì impiccato per poi entrare

purificatore sia divenuto la divinità romana femminile Febris (Febbre). Era questa non solo la causa delle febbri, ma anche – come succede in tante religioni di natura «tradizionale» – la protettrice dalle febbri ed in particolare dalle febbri malariche. La derivazione Februus-Febris è giustificata dal fatto che si riteneva al tempo che la malaria, qualora non avesse esiti mortali, agiva come tutte le febbri come una sorta di purificazione del corpo dagli umori negativi che venivano espulsi col sudore, credenza quest’ultima diffusa pressoché universalmente nelle medicine tradizionali. Secondo Valerio Massimo, la dea aveva in Roma ben tre templi. Uno, il più importante, era sulla Via Sacra che conduceva al Palatino.

Un secondo tempio era situato nei pressi di un cimitero sull’Esquilino (ed ecco ancora la connessione coi morti e l’aldilà), mentre una statua di Febris, forse in funzione di ex-voto, si trovava in un tempio dedicato a Giove, Mercurio ed Atargatis al Gianicolo, in prossimità di una zona paludosa e

probabilmente malarica che la dea contribuiva in qualche modo a purificare.

Resta da capire (già vedo mani alzate fra i miei competenti lettori), come mai sia stato che febbraio, già di per sé «dissesto» anche senza essere «bisesto», sia diventato il mese nel quale si celebra, oggi, il Carnevale. La questione è molto complessa, ma, in essenza, questo si deve al fatto che dal 13 al 15 febbraio si celebravano nella Roma arcaica i Lupercalia. Erano questi riti di iniziazione dei giovani che afferivano da un lato al culto degli antenati mentre dall’altro fungevano da riti di purificazione e – dunque – di propiziazione della fertilità delle donne, dei campi e degli armenti. Tutti elementi, questi, che ritroviamo mutatis mutandis nel Carnevale. Insomma, una vicenda della storia e del folclore abbastanza contorta e confusa tale da far venire la febbre a più di uno studioso, così come in effetti è stato. L’altra sera, peraltro, la dotta discettazione del vostro Altropologo è finita con un’altra girandola di pinte: cheers!

tu ed ecco che all’improvviso, senza previa presentazione, s’intromette tra voi Mathilde, un esserino piccolo piccolo ma molto esigente e, soprattutto per sua madre, molto attraente.

Per ora madre e figlia sono una cosa sola e non c’è posto per te. Tuttavia questa esclusività non sarà definitiva, è solo uno stratagemma della natura per sintonizzare i bisogni e desideri del nuovo nato con quelli della sua mamma. Come ogni neo-padre in questo momento ti senti trascurato, ma sta a te rompere l’isolamento prendendoti innanzitutto cura delle tua compagna. Credimi, anche lei è in crisi da quando l’identità di mamma ha sostituito quella di donna ma, d’ora in poi, se non vuole sentirsi dimidiata, dovrà ricomporre e armonizzare entrambe. Il compito non è facile ma

le riuscirà più agevolmente su tu l’aiuterai ravvivando la sua componente femminile, quella che ti ha conquistato e che vorresti ritrovare.

D’altra parte non puoi negare che anche tu, con la nascita di Mathilde, sei cambiato, e giustamente non vuoi rassegnarti a essere un compagno frustrato e un padre deluso. Quindi coraggio: lavora su due fronti. Da una parte vedrai che occupandoti di tua figlia imparerai a conoscerla perché lei stessa ti conquisterà con lo sguardo, il sorriso, l’entusiasmo con cui ti accoglierà. Dall’altra cerca di trovare tempo ed energie per tornare a essere il partner della tua donna invitandola a una serata insieme, all’acquisto di un abito nuovo e, appena possibile, a un breve viaggio, una sorta di seconda «luna di miele».

Il cammino della vita prevede molti snodi ed è inutile, e impossibile, seguire i consueti percorsi.

Per aiutarti, per aiutare entrambi, vi consiglio di leggere un libro semplice ma forte e convincente: Franck Dugravier, La trama della famiglia.

Diventare madri, padri, nonni.

Un’avventura infinita, Oscar Mondadori 2016. Ti assicuro che, in questa fisiologica resilienza il tempo gioca a vostro favore, basta favorirlo.

svizzero abituato a tilsiter, gruyère e fondue. Ma l’ex-arbitro, già severo sul campo da gioco, ha voluto dimostrare di esserlo con se stesso. È, insomma, un vegano di stretta osservanza. L’unico sgarro che si concede: le scarpe di cuoio. Del resto, sono sacrifici largamente compensati dagli effetti non soltanto sulla salute fisica, peso e colesterolo in calo, ma, soprattutto, su quella mentale e morale. Insomma, mangiando in questo modo, si accede ai piani alti del pensiero e della spiritualità. È proprio su questo punto che anche il «SonntagsBlick» s’interroga registrando una tendenza che si fa strada nelle abitudini alimentari, in particolare fra i giovani e negli ambienti culturalmente più evoluti o alternativi. In Svizzera, secondo dati approssimativi, sarebbero 80’000 i vegani che, oggi, hanno a disposizione una scelta di prodotti ad hoc, nei supermercati, a partire dalla Migros, e ristoranti specializzati in una gastronomia che, magari, potrebbe riservare gradevoli sorprese. Chissà.

Del resto, l’ha sdoganata persino Carlo

Cracco, uno dei più osannati chef del momento.

Sin qui, nulla da eccepire. Ognuno, nel nostro fortunato Paese, soddisfa, come meglio crede, il proprio appetito, seguendo mode in continua evoluzione: cucina della nonna, dieta mediterranea, specialità esotiche, nouvelle cuisine, piatto unico o menu degustazioni, e via dicendo.

Non è certo la varietà dei cibi a preoccupare. Piuttosto è il significato assurdo che gli viene attribuito, attraverso un culto che, non soltanto, impone sacrifici, inutili e magari nocivi, ma rischia di sbandare nel settarismo e nel fanatismo. In altre parole, le regole disciplinari che, nel passato, appartenevano all’ambito religioso o alla militanza politica, oggi si sono spostate sul terreno alimentare. L’incongruenza è palese. Mentre, in nome della libertà individuale, si rifiutano i comandamenti morali della chiesa e i doveri civici della politica ufficiale, si rispettano le norme rigorose di regimi alimentari che promettono l’impossibile: una felicità che sarebbe

nella leggenda. Più plausibile pare, invece, che della paternità del motto sia responsabile il piemontese Conte di San Sebastiano. Questi, nella battaglia dell’Assietta contro l’esercito francoispanico (1747), disubbidì all’ordine di ripiegare coi suoi granatieri sulla seconda linea, determinando con la sua caparbia contrarietà l’esito favorevole ai piemontesi dello scontro. Resta la questione di febbraio come mese bisestile e sfortunato. Per i Romani (è sempre colpa loro, vedete) febbraio era un mese infausto per definizione.

Questo perché al centro delle festività del mese, per la precisione alle idi del 15, erano i Feralia, feste commemorative dei defunti che venivano onorati pubblicamente con offerte e sacrifici.

Februus poi era un dio della religione arcaica romana probabilmente mutuato dagli Etruschi ai tempi di Numa Pompilio. Presso gli Etruschi Februus era non solo divinità degli inferi, ma anche delle purificazioni che al culto dei defunti erano connesse. È del tutto possibile, poi, che l’Etrusco Februus

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Il papà si sente escluso Cara Silvia, sono diventato papà, tre mesi fa, di una bella bambina che abbiamo chiamato Mathilde. Non posso dire di non essere contento e di non gradire le felicitazioni di parenti, amici, colleghi e conoscenti. Ma confesso che, d’altra parte, sono un po’ sconcertato. Sono sei anni che convivo con la mia compagna che, come lei, si chiama Sylvia. E solo negli ultimi tempi avevamo deciso di diventare genitori. Ma tutto è avvenuto troppo in fretta e non ho avuto modo di prepararmi a fare il papà e di conoscere Mathilde. Ho sentito dire che «quando nasce un bambino nasce una mamma» e per Sylvia è stato così. Sembra che lei non sia mai stata altro. Ma per me non vale. Mi sento messo da parte dal fatto che tutte le energie sono riversate sulla piccola. Quando torno a casa, Sylvia è

sempre troppo stanca per fare all’amore, troppo impegnata per parlare, troppo felice per percepire la mia infelicità. Non oso confidare a nessuno il mio malessere perché mi considererebbero un mostro. Però mi aiuti, la prego. / Marco Caro Marco, ben lungi da essere un mostro, sei un giovane uomo che ha il coraggio di ammettere e confessare che le relazioni umane sono complesse e non sempre vanno come ci si attenderebbe. È già un buon punto di partenza per riorganizzare il rapporto di coppia che la nascita di un figlio mette sempre in crisi. Per sei anni il centro dell’amore, dei desideri, dei sogni e delle aspettative di Sylvia sei stato

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Quando la dieta diventa un credo A prima vista, la foto sulla copertina del «SonntagsBlick» di due domeniche fa poteva sembrare il classico click ricordo di una famiglia qualsiasi durante una vacanza qualsiasi: quattro turisti, genitori e figlie, abbronzati e sorridenti, simili a tanti altri. Qui, però, si trattava di un caso a parte, che aveva per protagonista un personaggio noto, Urs Meier, arbitro di calcio a suo tempo «leggendario» che, adesso, a 57 anni, pensionato a Marbella, ha iniziato una nuova vita, tutta da raccontare. Infatti, a scanso di equivoci, l’allegria dei Meier non è quella banale di vacanzieri che si godono, semplicemente, un soggiorno al sole. È, invece, il frutto di una conversione: sono diventati vegani e, con ciò, gente felice, in grado di apprezzare gli aspetti positivi dell’esistenza: serenità, leggerezza, energia.

Per gli adepti, la correlazione sembra automatica. Lo conferma anche Urs che, attraverso la sua testimonianza, rivela il tipico fuoco sacro del convertito di fresca data. Risale al Natale del 2014, la sua decisione di passare da un’alimentazione senza carne e a

base di pesci a quella vegana, che fa capo esclusivamente a frutta, verdure e derivati. Il latte si ricava dalla soia o dall’avena. Banditi, ovviamente, uova e formaggi. «È stata una rinuncia non indolore» confessa Meier, da buono

Le regole disciplinari hanno investito la tavola.

questione di ortaggi, spezie, tofu, soia.

E questione di fede, qualcosa in cui credere. Dalla Bibbia e dai Vangeli ai ricettari: è stato un bel tonfo.

Al di là di questi aspetti irrazionali, la conversione alle diete d’ogni tipo è proprio figlia di un’epoca che ha promosso il cibo a protagonista dell’attualità. Con conseguenze mediatiche e commerciali che sono sotto gli occhi di tutti.

Sui quotidiani, paginate che spiegano come e dove mangiare giusto, in tv gare ai fornelli, condotte da chef «stellati», da seguire col fiato sospeso. Accanto a queste lezioni d’alta gastronomia, sfila la pubblicità che promuove surgelati e precotti. Insomma, una full immersion alimentare di cui si deve tener conto, anche in politica, in un’epoca di diffuso disamore per la cosa pubblica.

E così convegni di partito e riunioni di simpatizzanti si concludono a tavola dove si può persino scegliere fra menu con o senza carne. Insomma, un occhio aperto sulla tendenza vegetariana.

Infatti, uno che gli umori popolari li fiuta, Berlusconi, ha appena annunciato di essersi convertito al vegetarismo.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Ambiente e Benessere Il Nepal dopo il terremoto Poco a poco la nazione asiatica si sta riprendendo e già punta di nuovo sul turismo

Centotrenta anteprime I padiglioni del Salone di Ginevra riaprono le porte: attesi tra i 650mila e i 700mila visitatori

Reportage dal Grand Prix Sono stati 500 i partecipanti alla magnifica e indimenticabile giornata sulla neve

Il punto di vista felino Avere a cuore il bene del nostro gatto dovrebbe permetterci anche di capirlo pagina 21

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Scavare, demolire, costruire, ma anche smaltire Riciclaggio Rifiuti edili, un grande

quantitativo che va riutilizzato, eliminato o depositato in modo corretto

Elia Stampanoni Il peso dei rifiuti edili rappresenta più dell’80 per cento di tutti i rifiuti prodotti dalle attività umane. Provengono in gran parte da materiali di scavo risultante dall’edilizia e dal genio civile (opere di sotto o sovrastruttura).

In Ticino ogni anno si recuperano circa due milioni di tonnellate (dato 2014), di cui poco più della metà viene riciclata e la parte rimanente, smaltita nelle discariche che, sempre più affollate e al limite della loro capacità, sono già state di recente oggetto di discussioni a livello politico.

Le normative in vigore esigono che il materiale di scavo non inquinato venga riciclato, per esempio direttamente sul cantiere come materia prima: per il riempimento dei luoghi d’estrazione oppure per modifiche autorizzate del terreno. Se ciò non fosse possibile, il materiale va depositato in discariche apposite senza ulteriore trattamento.

Per gli altri rifiuti edili, la frazione riciclabile (legname, metalli, plastiche) è da riciclare, mentre quella che non lo è (materiali sporchi per esempio) dev’essere smaltita in un impianto di trattamento adeguato: presso l’impianto cantonale di termovalorizzazione dei rifiuti (ICTR) o in una discarica autorizzata.

I rifiuti speciali e i rifiuti soggetti a controllo devono invece essere separati e consegnati in centri di smaltimento autorizzati secondo l’ordinanza sul traffico dei rifiuti (OTRif). Per l’amianto valgono inoltre una serie di precauzioni da osservare in fase di demolizione e di trasporto a tutela della salute delle persone che maneggiano questo materiale potenzialmente dannoso (vedi anche «Azione» del 22

aprile 2014). In generale il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti edili avviene tramite imprese di smaltimento specializzate e la separazione può avvenire già sul cantiere (concetto Multi-Benne del 1992) o in appositi centri autorizzati.

Attualmente, a disposizione delle ditte, delle imprese ma anche dei privati, in Ticino ci sono le discariche per materiali inerti di Cadro, Monteceneri-Mezzovico (che verrà chiusa a fine marzo 2016), Gnosca, Quartino e Torre, a cui si aggiunge il sito di deposito per materiale di scavo non inquinato di Alptransit a Sigirino e la discarica gestita dall’azienda cantonale dei rifiuti (ACR) di Coldrerio-Novazzano (Valle della Motta). La discarica di Bedretto è stata chiusa invece il 26 giugno 2015.

Sul sito internet www.ti.ch/rifiuti si possono visionare, per ogni discarica, le schede dettagliate per conoscere quali materiali possono essere smaltiti in ognuna delle postazioni. In quasi tutte le discariche, per esempio, vengono trattati e depositati i materiali di scavo non inquinati, calcestruzzo di demolizione, composti non bituminoso di demolizione delle strade, gesso non inquinato oppure resti di minerali artificiali non problematici.

La discarica di Coldrerio-Novazzano accoglie invece i rifiuti che non possono essere depositati nelle altre discariche per materiali inerti, quali ad esempio i fanghi provenienti dalla pulizia di tombini stradali e da acque reflue industriali, materiale fine proveniente dalla selezione dei rifiuti e altri residui misti problematici.

I rifiuti edili, come accennato, oltre a essere argomento tecnico, sono anche tema politico, soprattutto quando l’edilizia è molto attiva e produce mol-

Mezzovico: il deposito di materiali inerti di Petasio chiuderà alla fine del mese di marzo 2016 . (Ti-Press / Benedetto Galli)

ti rifiuti. A conferma della complessità e dell’interesse alla problematica poco più di un anno fa il Dipartimento del territorio ha organizzato un convegno sul riciclaggio dei materiali inerti nell’edilizia. Al pomeriggio, intitolato «Una miniera di risorse», sono intervenuti i diversi attori coinvolti in questo complesso argomento, tra cui la Divisione delle costruzioni, l’istituto materiali e costruzioni della SUPSI, ma anche ingegneri e associazioni, come la Società svizzera impresari costruttori (SSIC), l’Associazione demolizione scavo e riciclaggio svizzera (ADSR) o l’Associazione ticinese materiali inerti (ATMI).

Il Dipartimento del territorio ha risposto pure ad alcune forti opposizioni della popolazione di fronte a un possibile ampliamento della discarica di Monteceneri-Mezzovico (Petasio), rinunciando a quel progetto e proponendo altre ubicazioni. Il Direttore del Dipartimento Claudio Zali, nel suo discorso durante il convegno, ha sottolineato come, nonostante il Diparti-

mento abbia reagito all’emergenza, la gestione degli inerti rimane un tema più che mai attuale. «È nell’interesse di tutti che questi rifiuti vengano gestiti nel migliore dei modi, ossia quello maggiormente sostenibile dal profilo ambientale», ha ribadito Zali.

A livello federale sono in corso le revisioni della Legge sulla protezione dell’ambiente (LPAmb) e dell’Ordinanza tecnica sui rifiuti (OTR, entrata in vigore l’1.1.2016), le quali intendono promuovere un uso più efficiente delle risorse naturali attraverso un maggiore recupero delle frazioni riciclabili e il loro reinserimento nei cicli produttivi.

«L’obiettivo è duplice – ha commentato Zali – da un lato preservare le materie prime pregiate, come per esempio la sabbia e la ghiaia estratta da cave e fiumi, dall’altro ridurre la quantità di rifiuti da smaltire in discarica».

In Ticino, oltre ad affrontare le emergenze, si opera per pianificare il futuro. «Una sfida stimolante – ha concluso il Direttore del Dipartimento del territorio – per tecnici e imprenditori,

alla quale tutti dovranno partecipare».

Ma quali sono i perché e i come della raccolta dei rifiuti edili? L’Azienda cantonale dei rifiuti (ACR) sul suo sito www.aziendarifiuti.ch riporta alcune informazioni utili adatte a tutti, ditte e privati. Nelle schede tematiche si ricorda, ad esempio, come la separazione e il riciclaggio dei rifiuti dell’edilizia permette una gestione parsimoniosa delle risorse naturali, contribuendo alla salvaguardia del paesaggio ed evitando che preziose superfici siano trasformate in discariche.

L’Ufficio dei rifiuti e dei siti inquinati, Sezione della protezione dell’aria dell’acqua e del suolo del Dipartimento del territorio, tramite il sito www.ti.ch/ rifiuti, informa invece sulla pianificazione in atto riguardo le discariche per materiali inerti e i centri logistici integrati per la gestione degli inerti, sulle discariche in esercizio (gestori, tariffe,…), sulle piattaforme per l’esportazione di materiale di scavo e sulle imprese di smaltimento rifiuti autorizzate dalla Divisione ambiente.

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Ambiente e Benessere

A un anno dalla catastrofe Reportage Dopo il terremoto in Nepal, finalmente

il turismo inizia a riprendere Fredy Franzoni, foto Alfonso Zirpoli Oggi il Nepal ha ricominciato piano piano a investire nel turismo e punta sull’Europa quale mercato principale.

Questo grazie a un ottimo recupero del patrimonio del Paese. Tant’è che è appena stato eletto quale destinazione numero uno dell’anno 2016 da Rough Guide. Ma un anno fa e per un anno intero, la situazione è stata drammatica. Vale la pena di ricordarlo per non dimenticare, attraverso questo reportage di chi vi si è recato poco dopo il terremoto.

«Were are you from…?» (Da dove vieni?). Una domanda ripetuta quasi all’esasperazione se entrate nelle zone storiche di Kathmandu o di Bhaktapur.

Sono giovani, uomini di mezza età, ma anche anziani che si offrono quali guide. Tempi duri, molto duri per loro. Il terremoto dell’aprile del 2015, anzi le due scosse a quindici giorni di distanza, hanno danneggiato anche pesantemente i monumenti che ne facevano l’orgoglio. Soprattutto però ha annullato le attività turistiche.

Chi è mai interessato ad andare in un Paese di cui i media hanno proposto per settimane immagini di case distrutte, di strade di montagna bloccate dalle frane? Fino alle immagini forti della valanga sul campo base dell’Everest… Ed è dura ora per un Paese poverissimo che realizza il sette per cento dei suoi introiti attraverso il turismo. «Non lavoro da sette giorni», implora quasi una guida.

Sguardo penetrante, a tracolla una piccola sacca dalla quale estrae la tessera di guida quale ultimo tentativo per cercare di convincermi.

Pochi, pochissimi i turisti che, in effetti, si aggirano tra i templi che hanno fatto la storia, ma in questi anni

anche la ricchezza, di Kathmandu e Baktapuhr. Oggi sono dei soldati feriti. Degli invalidi con tante stampelle a reggerli, laddove ci sono solo delle ferite, anche se profonde. Travi oblique che sorreggono a volte, verrebbe da dire, l’impossibile. Altrove mucchi di mattoni non ancora sgomberati, oppure accatastati nella speranza forse di ricostruire quanto pochi secondi di follia della crosta terrestre hanno saputo distruggere.

A Bhaktapur, il Silu Mahadev temple non ha più la sua torretta bianca.

Solo il piedestallo. Vicino, una gigantografia che ci ricorda quanto era bella.

E così per vari altri monumenti andati distrutti. Una frustrazione da un canto, voyeurismo da Cinecittà dall’altro. Ciascuno deciderà su quale fronte mettersi.

Ma il Nepal turistico è soprattutto montagna, trekking, scalate ardite. Lo ricordano i tanti negozi sportivi e i tour operator di Tamel, il quartiere turistico di Kathmandu. Oggi vuoti. Prezzi scontati ovunque. Anni fa erano i maoisti accampati sulle parti alte del Paese a scoraggiare i turisti. Fermavano la gente e chiedevano il pagamento di una tassa, che si aggiungeva a quella pagata prima di partire e che andava nelle casse governative. Ricordo un trekking sull’Annapurna degli anni Duemila dove si aveva l’impressione che quelle splendide vallate appartenessero solo a noi e a chi ci abitava. Ora non sono più i maoisti a far tremare il settore turistico, ma la crisi rischia di essere altrettanto grave.

Ma quale turismo per il domani del Nepal? Si tratta certamente di un Paese al quale avvicinarsi in punta di piedi, con tatto, con rispetto per una popolazione che sa ancora sorridere quando ci si saluta. Un Paese per molti

aspetti fragile, che vive da secoli tra due colossi come Cina e India. Ha saputo mantenere la semplicità nella vita quotidiana e nel contempo una ricchezza spirituale notevole. In pochi Paesi induisti e buddisti sono così vicini. Forse anche per questo non hanno bisogno di manifestarsi in modi plateali come capita invece altrove. Alcuni operatori turistici avvicinati si dicono ottimisti.

«Le nostre montagne saranno sempre un richiamo per chi ama camminare o affrontare scalate impegnative» ci dice Acyut, una giovane guida che gestisce con alcuni amici un’agenzia a Tamel.

Per noi svizzeri anche la sorpresa, che può diventare una piacevole sorpresa, di scoprire molte similitudini.

Non solo in certi paesaggi, ma anche, per chi è più attento, in tanti attrezzi e modi di lavorare, soprattutto in agricoltura. Nell’ufficio di Acyut, tra le molte fotografie appese ai muri, anche la parete dell’Eiger. Il ricordo corre a un’incontro avuto anni fa a Jaipur nella casa di una famiglia di gioiellieri. A un certo momento della serata il padrone di casa arrivò con un calendario svizzero. Uno di quelli classici, con le fotografie del jet d’eau di Ginevra, delle rive del lago a Morcote, della città vecchia di Berna.

L’indomani l’uomo tutto fare della casa, un nepalese, aprì il calendario, lo sfogliò rapidamente fino ad arrivare alla classica fotografia engadinese: una cascina, dietro delle cime, alcuni pini cembri e un fiume rigoglioso che scorre poco distante. Mi chiese di parlargli di quel posto. Ascoltò attentamente e poi accarezzò la fotografia e con un ampio sorriso concluse: «my home in Nepal».

Anche a sette mila chilometri di distanza si possono ritrovare immagini ed emozioni di casa propria.

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Ambiente e Benessere

Il poco noto sgombro Oggi voglio parlarvi di un pesce che amo molto: lo sgombro. Ma prendiamola un po’ alla lontana, come piace fare a me.

Esistono ingredienti e prodotti nobili e ingredienti meno, o addirittura non, nobili? Si è creduto a lungo di sì, oggi non lo pensa più nessuno. Ormai tutti ne sono convinti: fra un mediocre caviale e una buona patata, vince la patata, sempre. Ma permettetemi qui una chiosa, un devoto ringraziamento: questo è avvenuto soprattutto perché dei bravi grossisti di prodotti alimentari hanno incominciato a proporre al mercato buone patate e altri buoni ingredienti non nobili, un lavoro molto più duro che vendere caviale…

Nuotano lontani dalle coste e non usano frequentare i fondali marini: quindi vivono in acqua pura Si avvantaggia di questo approccio chi predilige il pesce azzurro. Cosa sia esattamente, cioè cosa accomuni i pesci così chiamati al di là del colore dominante sul dorso, nessun lo sa. Ecco comunque una lista dei pesci azzurri.

I principali: acciuga o alice, aguglia, alalunga, lampughe, palamiti, pesce sciabola, pesce spada, ricciola, sarda e sardina, sgombro, suro e tonno. E altri ancora…

Sono un gruppo di pesci, come detto dal dorso più o meno blu, che vivono lontani dalle coste (a eccezione dei periodi di migrazione) e non usano frequentare i fondali marini: insomma vivono in acqua pura.

Per decenni, i cuochi e i pescivendoli non li hanno ritenuti interessanti. Facevano eccezione (forse) il pesce spada e il tonno che comunque – fino all’arrivo dei giapponesi a caccia di pesce crudo per il loro sushi – te li tirava-

no dietro. C’era una sola «accusa» precisa contro questi pesci, ovvero il fatto di essere «grassi». Ma poi un giorno ci si è accorti che quei grassi (per l’esattezza acidi grassi saturi), erano del tipo omega 3, cioè quelli che abbassavano i livelli di colesterolo nel sangue! Una scoperta che ha favorito il «successo» di questi pesci – assieme al grande lavoro dei grossisti. Un successo che andrebbe comunque scritto fra virgolette, dato che branzini, orate, sogliole e salmoni dominano e fra i pesci azzurri c’è una vera richiesta solo per i già citati pesci spada e tonno.

Dove non c’è una vera «domanda» è per lo sgombro. E io ne sono felice, perché così lo trovo comunque facilmente e inoltre lo pago poco: cosa chiedere di più? Quindi, a voi che non lo comprate dico: grazie, andate avanti così.

Con il nome di sgombro vengono chiamati due tipi differenti di pesci: lo sgombro cosiddetto comune, detto anche lacerto e maccarello – e maccarello è l’etimo internazionale dominante: in inglese fa mackerel, in francese maquerau e in tedesco makrele – e lo sgombro lanzardo. Dal punto di vista della cucina sono (quasi) la stessa cosa. Lo sgombro comune può arrivare a misurare cinquanta centimetri, mentre il lanzardo è di misura minore. Si nutrono prevalentemente di piccoli pesci, soprattutto azzurri. Si trovano tutto l’anno, maggiormente da novembre a marzo.

Come i loro confratelli tendono a irrancidire: quindi comprateli già eviscerati e consumateli subito. Cuoceteli come volete: io non prediligo la griglia come dicono tutti, ma col pomodoro o con altre verdure. Se avanza, nessuna preoccupazione: può diventare un mirabile sugo per pasta.

Si trova anche conservato, in scatola o no. Comprate pure questa versione: regge la lavorazione alla grande.

Fra i tanti che amano i pesci azzurri, c’è anche il mitico vermetto che si chiama anisakis: che veramente li adora. Quindi crudi – sono ottimi! – solo dopo almeno 48 ore in freezer a –20° per sanificarli!

CSF (come si fa)

Gunawan Kartapranata

Allan Bay

New Brunswick Tourism

Gastronomia Non esistono solo branzini, orate, sogliole, salmoni, pesci spada e tonni

In tanti anni una sola ricetta con le rane? E non proprio ieri, ma nell’ottobre del 2007? Che vergogna, Allan!

Prenditi una vacanza, non puoi comportarti così! Rimedia!

Frittata di rane. Per 4 persone. Lavate 400 g di cosce di rana pulite, asciugatele ed eliminate gli ossicini. Rosolatele nel burro con 1 spicchio d’aglio; sfumate con 1 bicchiere di vino bianco

sobbollito per 3’, bagnate con 1 mestolino di brodo vegetale bollente in cui avrete sciolto 1 bustina di zafferano e cuocete per 10’; salate, pepate e profumate con prezzemolo. Spezzettatele grossolanamente, se volete tritatele.

Sbattete 6 uova con 3 cucchiai di latte, 3 di grana, sale e pepe. Unite le rane intiepidite e sgocciolate e lasciate insaporire per 5’. Versate il tutto in una teglia usa e getta imburrata e cuocete in forno a 170° per 15’ o finché la frittata sarà marroncina.

Cosce di rana fritte alla panna. Per 4 persone. Lavate 30 cosce di rana, togliete l’ossicino al centro incidendole nel senso della lunghezza con la lama di un coltellino affilato, asciugatele e infarinatele. Passatele, poche alla volta, in 1 dl di panna, sgocciolatele e fatele friggere in abbondante olio di

semi, lasciandole dorare leggermente da ogni parte. Sgocciolatele sopra un foglio di carta assorbente da cucina Distribuite le cosce sul piatto di portata, spolverizzatele di sale e servitele subito.

Fricassea di rane. Per 4 persone. Rosolate 40 cosce di rana in 1 filo di olio con 2 spicchi di aglio per 3’, poi unite 4 cucchiai di soffritto di cipolle, sfumate con 1 bicchiere di vino bianco secco sobbollito per 3’, fatelo evaporare, unite 1 mestolino di brodo vegetale incoperchiate e cuocete a fuoco dolce per 20’. Togliete le rane e tenetele in caldo.

Eliminate l’aglio. Emulsionate il fondo di cottura con 2 tuorli sbattuti con poco brodo, prezzemolo tritato, il succo filtrato di 1 limone e regolate di sale e di pepe. Versate il fondo sulle rane e servite.

Ballando coi gusti Oggi due ricette a base dell’amatissimo riso ma relativamente curiose e anomale.

Provatele.

Insalata di riso alla greca

Vellutata di riso e carote

Ingredienti per 4 persone: 250 g di riso tondo · 30 g di uva passa · 30 g di pinoli ·

Ingredienti per 4 persone: 800 g di carote · crostini di pane · 1,5 litri di brodo vege-

2 cucchiai di prezzemolo · il succo di 1/2 limone · 1 vasetto di yogurt · 2 cucchiai di olio di oliva · sale e pepe.

tale · 1 cipolla · 1 costa di sedano · 2 spicchi di aglio · 1 ciuffo di prezzemolo · 1 rametto di rosmarino · salvia · basilico · 1 foglia di alloro · 100 g di riso · olio di oliva · sale.

Ammollate l’uva passa in acqua tiepida, quindi strizzatela e asciugatela. Mentre l’uva è a mollo, cuocete il riso in abbondante acqua leggermente salata. Scolatelo al dente e sistematelo in una capace zuppiera.

Aggiungete al riso l’uvetta con i pinoli e il prezzemolo tritato finemente.

Sbattete in una ciotola lo yogurt con l’olio, il succo di limone e pepe. Condite il riso con la salsa allo yogurt e mescolate delicatamente.

Tagliate le carote a rondelle sottili. Portate a bollore il brodo.

Tritate cipolla, sedano e aglio e fateli soffriggere in una casseruola con poco olio, quindi unite le carote e le erbe aromatiche tritate (tranne l’alloro). Aggiungete l’alloro, fate insaporire per 5 minuti e poi eliminatelo.

Bagnate con 1,2 l di brodo e, appena ripreso il bollore, unite il riso e cuocete per un’ora a fuoco dolce. A cottura ultimata, passate al setaccio, trasferite nuovamente nella casseruola, aggiungete il brodo restante e fate cuocere a fiamma molto bassa per 5 minuti, mescolando di continuo.

Salate, completate con un filo di olio e servite la vellutata calda con crostini di pane tostati.

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Ambiente e Benessere

Dal Golan al Negev, il vino d’Israele Bacco giramondo Un viaggio in Medio Oriente rincorrendo il sogno di scoprire le uve del vino della Bibbia

Davide Comoli In Israele la coltivazione della vite risale a cinquemila anni or sono, pochi altri Paesi al mondo possono vantare radici così profonde.

Nell’antichità, Israele era situato su quella che veniva chiamata «la strada dell’uva» che univa la Mesopotamia all’Egitto. Il clima relativamente dolce di questa regione, l’accesso facile al mare e le zone costiere raggiungibili grazie ai loro porti, hanno giocato un ruolo determinante nel commercio viticolo.

I profondi legami con il vino che ha questo Paese trovano conferma con i numerosi riferimenti presenti nella Bibbia: la parola vino è citata 327 volte, il sarmento 14 volte, la vigna 228 volte e il torchio 17 volte. Ma, al di là dei riferimenti storici, culturali e religiosi, nell’ultimo decennio la viticoltura in Israele è fortemente decollata con quasi 400 cantine produttrici, che vanno dalle alture del Golan e dell’Alta Galilea per arrivare nelle aride terre desertiche del Negev, come quella del Kibbutz di Neot Semadar, situato nel deserto a circa cinquanta chilometri da Eilat.

Dopo il 1980, l’industria viticola israeliana che produceva solo vini dolci per i rituali, i famosi vini Kiddush o se preferite vini Kosher, ha iniziato a ottenere un buon risultato e una buona reputazione sui mercati vinicoli internazionali. Forse qualcuno si domanderà cosa sono i vini Kosher. Ebbene gran parte dei vini d’Israele (non tutti) sono

Kosher. La legge prevede che non si possa vendemmiare o raccogliere grappoli finché il ceppo di vite non abbia raggiunto il quarto anno di vita, ogni sette anni, il ceppo va lasciato riposare per un anno. Assoluto divieto di coltivare altri generi di piante tra i filari. Per la vendemmia e per la lavorazione vanno usati solo materiali Kosher e solo gli ebrei osservanti possono lavorare il vino.

In Israele la viticoltura moderna nacque, secondo alcuni documenti storici, con la creazione da parte di Rabbi Shore – era il 1848 – di una cantina. Nel 1870 fu invece edificata a Mikveh Israel la prima scuola d’agricoltura, ispirata ai modelli europei con una sezione dedicata alla viticoltura.

Ma il vero padre della viticoltura di questo Paese fu il barone Edmond de Rothschild, l’Hadadiv (il benefattore), già proprietario del celebre vigneto bordolese di Château Lafite.

Quando Edmond de Rothschild decise di raggiungere l’allora Palestina per fondare la prima moderna cantina - correva l’anno 1882 - scelse una zona a sud di Haifa, Zichron Ya’akov, e le diede il nome di Carmel. Ancora oggi l’azienda Carmel è la più grande di tutta Israele grazie a una produzione di circa 15 milioni di bottiglie l’anno.

Tra i più attivi sostenitori del sionismo, il barone acquistò molti terreni, finanziò molteplici iniziative per far diventare la Terra Santa il centro della produzione dei vini Kosher per gli ebrei di tutto il mondo.

Israele beneficia di un clima relati-

Vigneto biologico sulle alture del Golan.

vamente clemente che conosce solo due stagioni: l’estate lunga e secca, senza una goccia d’acqua, e un inverno corto e piovoso con precipitazioni che vanno dai 500 ai 900 millimetri, soprattutto al nord. Al sud, i vignerons traggono profitto dal clima di certe regioni desertiche. Da una parte i forti scarti di temperatura tra il giorno e la notte favoriscono la conservazione dell’acidità delle uve; dall’altro canto il secco

previene certe malattie della vigna che ci possono essere in regioni dal clima umido.

Tutti i vigneti sono equipaggiati da moderni sistemi d’irrigazione, basta citare il famoso sistema goccia a goccia, inventato appunto dagli israeliani.

Gli USA e il Canada, sono i maggiori importatori dei vini israeliani.

La nuova concezione di produzione si ispira alla filosofia francese, basata so-

prattutto su vini rossi da monovitigno o blend bordolesi invecchiati in barriques. I vini bianchi sono preferibilmente elaborati in acciaio, ma troviamo anche ottimi Chardonnay di alto livello elevati nel legno.

I vitigni più coltivati sono quelli a bacca nera di origine francese come il Merlot, il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc e il Petit Verdot, ma ultimamente troviamo anche Grenache, Cinsaut, e Syrah, tra i bianchi spiccano il già citato Chardonnay, il Sauvignon Blanc e l’Emerald Riesling, un incrocio tra Mouscadel e Riesling.

Le zone tradizionalmente votate alla viticoltura sono le catene montuose della Galilea e le alture vulcaniche del Golan: ai confini con la Siria offrono i migliori vini rossi prodotti con i vitigni bordolesi, ma si produce anche un discreto spumante metodo classico con il Sauvignon Blanc e un bianco di Viognier dalla leggera nota fumé.

Sulle alture della Giudea, troviamo una terra rosa ricca di minerali, mentre nella pianura costiera, i terreni argillosi danno vini potenti ed eleganti. Infine, c’è il deserto del Negev. Questo territorio semi arido del sud, composto da löss e sabbie alluvionali, sta riservando grandi sorprese in campo vitivinicolo, ma il grande sogno dei produttori israeliani è cercare di risalire e scoprire con quali uve era prodotto il vino della Bibbia.

Forse un giorno le martoriate terre della Cisgiordania, dove l’uva è coltivata da millenni come frutto, ci sveleranno il segreto.

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Chi non vorrebbe avere una pelle liscia dal colorito sano? E chi non soffre mai di imperfezioni cutanee più o meno importanti? Ma non bisogna pensare che la pelle splendente e ideale esista solo nei sogni. Adottando gli opportuni accorgimenti e rimedi è possibile mantenere

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la pelle sana e contrastare efficacemente le irritazioni o le malattie.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Ambiente e Benessere

La Skoda punta sul futuro e sul presente

Notizie scientifiche

Motori Torna sul lago Lemano il salone dell’auto fra i più importanti del mondo:

Marialuigia Bagni

a Ginevra dal 3 al 13 marzo Mario Alberto Cucchi Questa settimana apre le porte al pubblico il «Geneva International Motor Show». L’esposizione è visitabile sulle sponde del lago Lemano dal 3 al 13 marzo (www.salon-auto.ch). Il salone dell’auto di Ginevra è indubbiamente uno tra gli appuntamenti più importanti del mondo dell’auto e quindi anche quest’anno sono moltissime le novità presentate dai costruttori automobilistici. Dalla bella Opel GT all’elegante Mercedes Classe C cabrio.

Dalla Ssangyong XLV, costruita sulla stessa piattaforma della Tivoli ma con dimensioni maggiorate, alla Lexus LC 500H che è la versione ibrida della coupé di lusso presentata a inizio anno a Detroit. Sarà invece un’anteprima europea per la Kia Niro, suv compatta coreana dotata di motorizzazione ibrida.

Lenti bioniche Contro la miopia arrivano dal Canada le lenti bioniche. Basteranno meno di dieci minuti per un intervento – senza anestesia – che consentirà di collocare nell’occhio una micro lente capace di correggere i difetti della vista. Grazie alle lenti «bioniche» si potrà vedere fino a tre volte meglio. Saranno sul mercato, probabilmente, già quest’anno.

Perché tendiamo a rimandare?

Succede quando si ha poca fiducia in se stessi e si teme di non poter raggiungere l’obiettivo. A spiegarlo è un’equipe dell’Università canadese di Calgary.

La procrastinazione è dovuta a scarsa impulsività, assenza di motivazione e poca capacità di concentrazione, tratti tipici di chi rimanda per paura di sbagliare.

Il fieno greco aiuta a dimagrire?

Il fieno greco può essere d’aiuto per dimagrire se unito al regime alimentare, spiegano i dietologi. Infatti contiene molte fibre e isoflavoni che hanno dimostrato una certa capacità di ridurre l’assorbimento degli zuccheri e dei grassi nonché di diminuire l’appetito.

Due novità da Skoda: il prototipo VisionS, una sei posti ibrida, e la sportiva Octavia Wagon RS 4x4 Tra le auto da sogno, a Ginevra si potrà ammirare la Jaguar F-Type SVR con motore da 575 cavalli: è in grado di scattare da ferma a cento orari in soli 3,7 secondi. Sotto i riflettori anche Alfa Romeo Giulia e Fiat 124 Spider. Da vedere pure la nuova giardinetta svedese Volvo V90. Fra le debuttanti, ci sarà invece la Toyota C-HR, per la prima vol-

Medicina e dintorni

ta in versione di serie, e, in anteprima mondiale, si presenterà pure l’avveniristica Seat Ateca.

Tantissimi i prototipi che quest’anno affolleranno gli stand del salone, a incominciare dai concept di Pininfarina e Touring Superleggera, passando dalla Honda Civic Hatchback Pro-

totype, la Lexus LF-LC Concept e la Mazda RX-Vision.

Insomma dal 1904, il Salone di Ginevra mette in mostra il meglio dell’auto e l’edizione numero 86 non è da meno con le 130 anteprime mondiali accolte nei padiglioni del Palaexpo elvetico, orgoglioso dei suoi 106mila metri quadri. Si prevedono tra i 650mila e i 700mila visitatori.

Tra tutte le novità ginevrine mettiamo sotto la lente d’ingrandimento quelle proposte da Skoda. Si tratta del prototipo VisionS e della nuova Octavia Wagon RS 4x4.

La concept VisionS con passo di 2,79 m, lunghezza di 4,70 m, larghezza di 1,91 m e altezza di 1,68 m è il primo modello a sei posti proposto dal costruttore della Repubblica Ceca. La motorizzazione è ibrida plug-in. Grazie a 225 cavalli di potenza massima (165 kW), la vettura accelera da 0 a 100 km/h in 7,4 secondi, per una velocità massima di circa 200 km/h. Il modello può percorrere 100 km con soli 1,9 litri di benzina, con emissioni di 45 g CO2/ km. La VisionS ha un’autonomia di 50

km in sola modalità elettrica e di mille chilometri utilizzando entrambi i sistemi di alimentazione. VisionS ha tre motori: uno tradizionale a benzina che viene affiancato da due propulsori elettrici. Questi ultimi sono posizionati uno davanti e uno dietro in modo da poter fornire una trazione integrale intelligente che non richiede alcun collegamento meccanico.

Sullo stand Skoda poi ci sarà la sportiva Octavia Wagon RS 4x4 equipaggiata con un motore diesel da 184 cavalli (145 kW) e cambio automatico DSG. Le prestazioni? Accelera da 0 a 100 in 7,6 secondi e raggiunge una velocità massima di 228 km/h. I consumi?

Intorno ai 5 litri per 100 chilometri.

Quindi anche Skoda, come molti costruttori, punta i riflettori del suo stand ginevrino su un prototipo e su un’automobile di serie. Il futuro e il presente.

Informazioni: il biglietto, acquistabile anche on-line, ha un costo di 16 franchi per gli adulti e di 9 franchi per i minori dai 6 ai 16 anni. Per i gruppi di oltre 20 persone il costo è di 11 franchi a testa.

I primi sci in bambù Una fabbrica di sci del sud est della Francia, nella Chartreuse, ha cominciato a produrre modelli di sci in legno di bambù nel «nocciolo» centrale.

Ciò li rende estremamente flessibili e resistenti. Assorbono meglio gli choc dovuti a rapide frenate e fanno da ammortizzatori e da stabilizzatori. Ne parla la rivista «Science et Vie». Foto e prezzi su: www.fabriqueduski. com.

Calcestruzzo come un colapasta Un calcestruzzo che lascia passare l’acqua come un colapasta. Studiato da un’industria inglese, questo calcestruzzo consentirà di limitare i rischi di allagamenti in strade e parcheggi.

Contrariamente al calcestruzzo classico, ha una percentuale di «vuoto» dal 20 al 35 per cento, il che permette all’acqua di circolare. Per ottenere materiale più denso, i tecnici hanno pensato di utilizzare, al posto della sabbia, piccoli pezzi di granito, assemblati in modo da lasciar passare l’acqua.

Un airbag nel cruscotto Proposto dalla Ford sulla nuova Mustang, in caso di collisione l’airbag esce dal cassetto dei documenti e immobilizza le ginocchia del passeggero. Si sgonfia poi immediatamente, ammortizzando lo choc dell’urto, senza provocare ferite o contusioni.

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Ambiente e Benessere

M Un’edizione baciata dal sole

Renato Facchetti Domenica 21 febbraio, sulle nevi di Airolo Pesciüm si è svolta come da programma la classica tappa ticinese del Grand Prix Migros. Un fatto non così scontato, considerato che questo strano inverno ha costretto, a causa delle mancanza di neve e di condizioni meteo proibitive, SwissSki a riprogrammare ben 3 dei 6 appuntamenti in calendario lo scorso gennaio (le nuove date sono: Les Crosets 27 febbraio, Klewenalp il 5 marzo e Wengen-Grindelwald il 26 marzo). Anche ad Airolo il lavoro dietro le quinte degli oltre 100 volontari dello Sci Club Airolo guidati dal «capo corsa» Mauro Terribilini è stato, soprattutto nelle 12 ore che hanno preceduto il via delle competizioni, particolarmente intenso e delicato. La pioggia della notte e un repentino rialzo della temperatura

hanno messo alla prova tutto lo staff.

Meritatamente anche questi sforzi supplementari iniziati all’alba, sono stati ripagati da una splendida giornata di sole

Annullato il Famigros Sky Day A causa delle precarie condizioni di innevamento e delle sfavorevoli previsioni meteo della scorsa settimana previste per la giornata di ieri che non avrebbero permesso di garantire uno svolgimento in tutta sicurezza del Famigros Ski Day sulle piste di Bosco Gurin, gli organizzatori del locale Sci Club e SwissSki sono stati purtroppo costretti ad annullare la manifestazione.

primaverile che ha soprattutto contribuito a rallegrare l’ambiente festoso del «villaggio sponsor» che con il passare delle ore si è vieppiù animato.

A partire dalla Minirace, tutte le categorie che si sono cimentate sia sul percorso più facile che sul classico «canalone», hanno potuto contare su condizioni di pista più che buone. Grande attenzione degli organizzatori è stata rivolta alla sicurezza dei giovani sciatori, in particolare con costanti e puntuali interventi di lisciatura. Si sono qualificati per la finale di St. Moritz in programma il prossimo 2-3 aprile ben 17 concorrenti della Svizzera italiana; lo scorso anno ad Airolo furono in dodici a staccare la qualifica per le finali che si svolsero a Les Crosets. Ecco i nomi dei finalisti 2016, in ordine di età: Cecilia Löhrer (Comano – 3° 2008), Jaiman Mida Fah (Quinto – wild card

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Grand Prix Migros Ad Airolo protagonisti oltre 500 giovani sciatori

2002), Jonas Perosa (Arbedo – 3° 2008), Sofia Giorgetti (Pregassona – 2° 2007), Sebastiano Toscano (S. Bernardino – 1° 2007), Riccardo De Monaco (Sorengo – 2° 2007), Loris Perosa (Arbedo – 3° 2006), Sofia Cavadini (Breganzona – 3° 2004), Alessandro Maghetti (Mendrisio – 1° 2004), Martina Crivelli (Breganzona – 2° 2003), Seline Gobbi (Piotta – 3° 2003), Steve Copat (S. Antonino – 2° 2003), Lisa Veglio (Leontica – 2° 2002), Joel De Taddeo (Verscio – 3° 2002) Francesco Stern (Lostallo – 3° 2001), Eleonora Cerutti (Mendrisio – 2° 2000), Letizia Conedera (Gnosca – 3° 2000).

Le classifiche complete sono consultabili su: www.gp-migros.ch. Tutti i quasi 500 partecipanti sono stati i protagonisti di una magnifica e indimenticabile giornata sulla neve. Indipendentemente dal risultato agonistico ciò che rimane importante è lo spirito di questa manifestazione, che rappresenta un punto di riferimento a livello europeo nel suo genere.

Grand Prix Migros, Airolo 21 febbraio 2016 Annuncio pubblicitario

Fare la cosa giusta

Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più su Yara e sulla sua famiglia: www.farelacosagiusta.caritas.ch

Yara Shuja (11), bambina profuga siriana

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Ambiente e Benessere

Decisioni feline Mondoanimale Quando un gatto se ne va di casa senza apparente ragione… dobbiamo interrogarci sui suoi motivi Maria Grazia Buletti Una passeggiata nel bosco, una traccia intrigante seguita con zelo e, nonostante lo richiamiamo, il nostro cane non torna da noi. Un cancello aperto, un cagnolino curioso e la fuga è servita. Un gatto che per giorni non torna a casa o che scompare del tutto…

«Chi trova un animale domestico ha due possibilità: informare la polizia o l’Ufficio del veterinario cantonale attraverso il suo sito ufficiale dove si trova il registro degli animali smarriti o ritrovati», il presidente della Società protezione animali di Bellinzona (Spab), Emanuele Besomi, risponde così ai nostri quesiti scaturiti dalle cronache che sempre più frequentemente riportano di animali smarriti o ritrovati. «Per legge, un animale è considerato senza padrone a decorrere dal secondo mese dal momento del suo ritrovamento; difatti, se in quel periodo il proprietario legittimo non si è fatto vivo, perde il diritto di proprietà sull’animale stesso», dice Besomi a proposito di animali dei quali nessuno annuncia la scomparsa.

Petra Santini: «Ciò che per noi non ha una spiegazione, per il nostro gatto avrà certamente un senso concreto» Non dimentichiamo che comunque per i cani vige l’obbligo del microchip attraverso il quale si può facilmente risalire al proprietario tramite la banca dati Anis (oggi Amicus). «Proprietario che resta sempre responsabile per ogni eventuale danno causato dall’animale stesso, anche se quest’ultimo si trova via di casa, dunque fuori dal suo controllo», puntualizza Besomi. Non vige per contro l’obbligo di munire i felini di

microchip: «Il microchip di un gatto dovrebbe indicare quanto il suo padrone ce l’abbia a cuore e desideri ritrovarlo in caso di smarrimento».

Si sa, l’indole del gatto è alquanto indipendente e misteriosa agli occhi degli umani e proprio per questo il felino esercita su di noi un certo ascendente. Avere a cuore il bene del proprio gatto dovrebbe perciò significare pure riuscire in qualche modo a entrare nella sua ottica felina e nelle ragioni che lo spingono a comportarsi in un modo piuttosto che in un altro. «Spesso è davvero utile conoscere tutta la storia di un gatto che lascia la propria abitazione e torna insistentemente in un luogo che apparentemente e ai nostri occhi gli è sconosciuto o estraneo: ricordiamoci che ciò che per noi non ha una spiegazione, per il nostro gatto avrà certamente un senso concreto», così esordisce la veterinaria comportamentalista Petra Santini, da noi interpellata a proposito della storia di una gatta che più volte è «evasa» da casa sua per andare a bussare alla porta di un’abitazione situata addirittura a qualche chilometro di distanza.

La persona sollecitata dalla gattina è riuscita a risalire alla proprietaria alla quale è stata restituita la micetta che però si è nuovamente ripresentata alla sua porta. «Non si tratta di un caso così isolato e non fa nessuna differenza dare cibo, aprire o non aprire la porta per accoglierla; un gatto che si comporta in questo modo ha certamente motivi suoi per farlo, che risalgono al suo vissuto: può darsi che questa gatta sia nata dalle parti in cui ritorna sempre, magari in quell’appartamento abitato antecedentemente da altri…», ecco che la veterinaria Santini ci pone in un’ottica molto interessante: quella del gatto che differisce dal nostro vedere del tutto inconsapevole, e ci fa un altro esempio: «Un micio spariva sempre da casa lo stesso periodo dell’an-

Quali sono le motivazioni che spingono un gatto a scegliersi un’altra casa? (Pexels photo)

no, e stava via anche una settimana intera. Abbiamo scoperto che quella settimana coincideva con le vacanze di un Cantone d’Oltralpe e che il gatto in questione andava nell’appartamento di vacanza di due svizzeri tedeschi che venivano in Ticino proprio in quei giorni. Il micio aveva scelto di stare con loro ogni volta che essi erano qui da noi e, saputo ciò, i proprietari hanno accolto di buon grado il desiderio di vacanze del loro beniamino, permettendogli di stare a casa di questi signori che lo hanno adottato ogni qualvolta erano in Ticino».

Buonsenso è il succo che emerge da questa storia nella quale il gatto protagonista è fortunato ad avere una famiglia d’origine che ha saputo comprendere il suo istinto e una famiglia «affidataria» ogni volta che esso vi si

reca. Secondo la Santini, l’intelligenza del proprietario starebbe proprio nel rendersi conto che se il suo gatto si comporta in questo modo avrà le sue ragioni. E tornando alla gatta che sfida il traffico di strade ad alta percorrenza per ripresentarsi sempre nello stesso luogo: «Non sta cercando a casaccio un posto dove stare meglio, questa gatta sta cercando “quel” posto dove ritorna insistentemente, e dove quasi certamente avrà un suo passato; se il proprietario avesse davvero a cuore il suo benessere dovrebbe prendere delle decisioni conseguenti, magari permettendo all’animale di restare nell’ambiente dove ritorna, sempre che le persone siano disposte ad accoglierla».

Qualora poi vi fossero problemi e il proprietario non volesse sentire ragione, chiediamo quale sia la soluzione

ORIZZONTALI 1. Vi morì Ayrton Senna 6. Limiti massimi 11. Sandalo degli antichi soldati romani 13. Costellazione dell’emisfero boreale 14. Non si lascia a piedi!

16. Terzogenito di Adamo 17. È tornata... senza torta 19. Vi si costruiscono fragili castelli 21. Attrezzo per carpentiere 23. L’attrice Valle 25. Svizzera in autostrada 27. Noto pittore spagnolo 29. Corso d’acqua dei deserti africani 31. Quarantanove romani 32. Sta in mezzo 33. Cavalli dal pelo rossiccio 34. Le iniziali della conduttrice D’Amico 35. Consumato, logoro

Sudoku Livello medio

di buonsenso sia a Santini sia a Besomi, il quale non ha dubbi: «Consiglio alla famiglia ricevente di dare la propria disponibilità ad acquistare il micio, e consiglio parimenti al proprietario di riflettere su quello che davvero è il punto di vista dell’animale, se davvero lo ama, perché questa soluzione salomonica risulta essere la più adeguata, soprattutto per il gatto». La veterinaria, dal canto suo, ci confida: «Adoro i gatti perché non si riesce mai a comprenderli fino in fondo, però hanno sempre i loro perché».

Lo scrittore tedesco Georg Lichtenberg disse: «Senza il buonsenso non c’è vera virtù». Ci auguriamo che i protagonisti umani di questa storia siano virtuosi a sufficienza per assicurare vita felice alla gatta, rispettandone le decisioni feline.

Giochi Cruciverba Il cammello, per difendersi dalle tempeste di sabbia del deserto, ha... Il termine della frase lo troverai risolto il cruciverba, leggendo le lettere evidenziate.

(Frase: 5, 6, 1, 6, 10)

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VERTICALI 1. Simbolo sul monitor del PC 2. Le iniziali della cantante Ayane 3. Sono più o meno densi 4. Possono esserlo i capelli 5. Si spinge con le dita 7. Lo spagnolo...

8. Infuso di erbe 9. Un numero 10. Contrapposto al dittongo 12. La si fa ad un corteo 15. Pappagallo americano 18. Le iniziali dell’attore Siani 20. Perciò in poesia 22. Degli angoli geometrici 24. Altrimenti detto 26. Tutt’altro che soft 28. Osso dell’anca 30. Preposizione 33. Una consonante in bilico

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Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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Soluzione della settimana precedente

UN PASTO VELOCE – L’invenzione del sandwich è attribuita al politico John Montagu che mangiava panini imbottiti pur di non…

Resto della frase: …SMETTERE DI GIOCARE A CARTE O A GOLF. S P I R I T O S E

M I U R T O E D R E L G L D I

L Z E E D L I T A L A T E N O A O B I F I C

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Salate e pepate le fettine di carne.

Scaldate il forno a 80 °C. Rosolate brevemente le fettine di carne da entrambi i lati e trasferitele in una teglia foderata con carta da forno. Mettete 1 pomodoro secco su ogni fetta di carne e distribuite il composto di pangrattato. Infornate la carne per ca. 10 minuti. Accendete il grill e gratinate brevemente le fettine, fino a quando il pangrattato si dora.

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Per una Pasqua tutta da gustare.

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Politica e Economia La Bolivia ferma Morales Il presidente non potrà ricandidarsi per un quarto mandato nonostante i risultati

L’alleanza Renzi-Verdini Per la tenuta del governo e dello stesso premier appare sempre più importante la figura di Denis Verdini, ex braccio destro di Silvio Berlusconi pagina 26

All’ombra del Brexit La politica europea del Consiglio federale fortemente influenzata dal dibattito interno all’UE sulla possibile fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Europa dei 28

Italiano, lotta senza fine La pressione dell’inglese si fa sempre più forte mentre cala la sensibilità per le lingue nazionali

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Proteste a Seul, nella Corea del Sud, dopo il quarto test nucleare dei nordcoreani.

(AFP)

ll gioco pericoloso di Pyongyang Corea del Nord Dopo l’ultimo test nucleare e il lancio di un missile si fa sempre più difficile l’equilibrio fra il Paese

e la Cina, che rimane l’unica sua alleata ma che condanna le provocazioni di Kim Beniamino Natale Sul fronte della Corea del Nord, il 2016 è cominciato male. Il 6 gennaio Pyongyang ha effettuato il suo quarto test nucleare affermando di aver fatto esplodere una bomba all’idrogeno. Il 7 febbraio ha messo in orbita un satellite in quello che molti ritengono sia stato in realtà un test di un missile balistico in grado di trasportare testate atomiche. Usa e Giappone hanno annunciato nuove sanzioni.

Il 7 marzo gli eserciti degli Stati Uniti e della Corea del Sud terranno esercitazioni congiunte che comprenderanno la simulazione di una missione per «raggiungere installazioni chiave situate in profondità nel territorio nordcoreano» (secondo le dichiarazioni rilasciate al «Korea Herald» da un alto funzionario del Ministero della difesa). L’annuncio delle manovre sembra fatto apposta per nutrire la paranoia del regime di Pyongyang, che bombarda la sua popolazione con una propaganda assillante tesa a dimostrare che il Paese è costantemente sotto la minaccia di un attacco «imperialista» e che la Seconda guerra mondiale non è mai finita. La televisione nordcoreana dedica gran parte delle sue trasmissioni a lunghi spot

nei quali cattivissimi soldati nemici massacrano innocenti coreani mentre eroici giovani si sacrificano per salvare il Paese.

Molti osservatori hanno espresso scetticismo sul fatto che la Repubblica Democratica di Corea (questo il nome ufficiale del Paese) sia veramente in possesso di una bomba all’idrogeno. Il terremoto causato dall’esplosione sottorranea dell’ordigno, sottolineano, è stato del grado 5,1 della scala Richter, cioè della stessa intensità di quello seguito il precedente esperimento nucleare, quello condotto il 12 febbraio del 2013. Analoghi dubbi sono stati sollevati sulla messa in orbita del satellite nordcoreano. Le informazioni sicure sono scarse. Le bombe dei nordcoreani non sono certo paragonabili a quelle, più sofisticate e potenti, in possesso delle grandi potenze. Non è chiaro se i missili siano in grado di trasportare testate nucleari e certamente non sono in grado di portarle negli Stati Uniti, come vanta con i suoi roboanti proclami la propaganda di Pyongyang. Ma il pericolo esiste soprattutto per Seul, la capitale della Corea del Sud, che si trova a poco più di 20 chilometri dalla frontiera. Siegfrid S. Hecker, un esperto del Centre for International Security and

Cooperation della Stanford University, ha visitato nel 2010 il principale impianto nucleare della Corea del Nord, quello di Yongbyon. Secondo lui, capire «a che punto sono» i nordcoreani è estremamente difficile ma in generale le installazioni sono più avanzate di quanto gli esperti avevano immaginato. Hecker sottolinea che è particolarmente preoccupante «il chiaro rapporto di collaborazione e di scambi col Pakistan, tra cui alcuni elementi di importanza cruciale come l’addestramento sul campo di alcuni specialisti nordcoreani al Khan Research Laboratory», cioè il centro di ricerca non lontano da Rawalpindi. «Hanno anche mostrato – prosegue Hecker – dei preoccupanti schemi di approvvigionamento in particolare con alcune entità commerciali cinesi». L’esperto sostiene anche di sospettare rapporti con l’Iran, soprattutto per la collaborazione nelle tecnologie per la produzione di uranio arricchito.

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che già ha imposto a Pyongyang un regime di sanzioni che pone forti limiti ai movimenti bancari e commerciali delle principali imprese nordcoreane, sta discutendo un inasprimento delle sanzioni ma è bloccato dalla Cina, che

rimane l’unica alleata e la protettrice di Pyongyang nonostante i difficili rapporti tra Pechino e il giovane leader nordcoreano Kim Jong-un.

A quanto è dato di capire, Kim vorrebbe che la Corea del Nord venisse riconosciuta come potenza nucleare dalla comunità internazionale, rendendo irreversibili i risultati raggiunti negli ultimi anni in termini di potenza di fuoco del suo esercito. In questi anni, Jong-un ha condotto delle feroci purghe sul modello di quelle staliniane, la cui vittima più illustre è stato lo zio e supposto mentore del giovane leader Chang Song-taek, ucciso nel 2013. Secondo i media sudcoreani in febbraio è stato giustiziato l’ex-capo di stato maggiore Ri Yong-gil. Alcuni commentatori sudcoreani ritengono che le purghe siano un segnale di debolezza del leader, che sta cercando di prepararsi il terreno per il settimo congresso del Partito dei Lavoratori al potere.

L’ultimo congresso si tenne 36 anni fa e sancì l’investitura di Kim Jong-il a successore del fondatore della Repubblica Democratica di Corea, Kim Il-sung.

Kim Jong-un, secondo questi analisti, avrebbe spostato il centro del potere dall’esercito al partito, e per questo incontrerebbe una forte resistenza da

parte di settori delle forze armate. Si tratta di ipotesi. Di certo si sa, perché è sotto gli occhi di tutti, che il giovane Kim non sta cedendo alle pressioni del governo di Pechino, l’unico – per convinzione generale – in grado di farsi ascoltare a Pyongyang. La Cina teme una rovinosa caduta del regime nordcoreano per varie ragioni, tra cui il timore di dover far fronte ad un’ondata di profughi in una regione – il nordest – tra le più povere del Paese. Inoltre in quel caso le truppe americane presenti in Corea del Sud verrebbero a trovarsi sui suoi confini. Pechino insiste per la «denuclearizzazione della penisola coreana», cioè una marcia indietro di Pyongyang, temendo che si scateni una corsa agli armamenti che potrebbe in futuro portare Seul e addirittura Tokyo a dotarsi di un «deterrente» nucleare.

Il principale limite alla capacità di pressione di Pechino sul piccolo alleato è però dato dalla volontà di non perdere l’unico alleato che le rimane in caso di un confronto con gli Usa nel Pacifico, possibile in futuro sia per le dispute territoriali con i Paesi del sudest asiatico e col Giappone che per il destino di Taiwan, l’isola sempre più orientata all’indipendenza che la Cina considera parte integrante del suo territorio.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Politica e Economia

Morales, presidente a termine Bolivia Bocciata la possibilità di un suo quarto mandato. Il presidente dovrà lasciare all’inizio del 2020

AFP

nonostante gli ottimi risultati economici e l’inclusione degli indigeni nella vita politica del Paese

Angela Nocioni Evo Morales ha perso per la prima volta nelle urne in Bolivia dal 2006. Ma il risultato del referendum, in cui chiedeva una riforma costituzionale per potersi candidare ancora alle presidenziali del 2019, sarà materia di polemiche politiche interne per i prossimi anni. I sì e i no sono in equilibrio, con un vantaggio minimo dei no. Con l’87,8% delle schede scrutinate dal Tribunale supremo elettorale, il no era a 52,9% e il sì a 47,1%.

Morales si aggrappa ai voti non ancora controllati delle provincie della Bolivia profonda, dove ha tradizionalmente un grande appoggio. È evidente però che, a questo punto, ribaltare il risultato è difficilissimo e, soprattutto, sarebbe politicamente molto pericoloso. Cambiare la Costituzione per permettere la propria ricandidatura è già un’aspirazione in odore di autoritarismo di per sé. Proclamarsi vincitore con una percentuale minima di vantaggio, qualora la ottenesse, sarebbe un’ombra molto pesante nella storia politica di un uomo che alla Bolivia ha impresso una spinta e uno sviluppo senza precedenti nella storia.

L’indigenismo al potere in Bolivia ha voluto dire l’inclusione nella vita pubblica della stragrande maggioranza della popolazione, indigena e meticcia, considerata letteralmente subumana dalla politica tradizionale per secoli.

Non è difficile in Bolivia trovarsi a parlare con locali che si riferiscono agli indigeni chiamandoli «animales» o «bestias». I dieci anni di governi del Mas (Movimento al socialismo, un indigenismo socialisteggiante ma molto pragmatico) hanno trasformato la struttura politica boliviana dando diritto di cittadinanza reale a grandi masse completamente emarginate.

Evo Morales, il primo presidente indigeno di un Paese abitato al 75% da indios, e Alvaro Garcia Linera, il suo vice, ma sarebbe meglio dire la sua metà politica, hanno portato la Bolivia a un tasso di crescita superiore al 6%.

La Bolivia si trova ora di fronte a un cambiamento radicale della politica che dal 2006 non vedeva alternative a Evo Morales La Paz, storica debitrice del Fondo monetario internazionale, presta oggi denaro ai suoi vicini. Dieci anni fa i profitti dell’export del petrolio erano di 400 milioni di dollari, oggi sono di 6 miliardi. E sotto il deserto di sale di Uyuni, ai piedi del vulcano Tunapa, c’è un tesoro ancora da sfruttare di 10 milioni di tonnellate di litio, prezioso per l’industria tecnologica.

Le imprese nazionalizzate – gas, petrolio, elettricità, telefoni – funzionano. Perché Morales non ha compiuto in Bolivia gli errori fatti dall’ex presidente Hugo Chávez in Venezuela o dalla ex presidente Cristina Kirchner in Argentina. Al di là della retorica anti-americana e dagli slogan buoni a infiammare le piazze nei comizi, Morales e Linera non hanno mai piegato i princìpi economici del liberismo ai sogni dell’ideologia che li ispira. Hanno però mitigato gli effetti nefasti che una applicazione cruda delle regole del libero mercato causa in un Paese povero e fortemente diseguale, con politiche sociali e di inclusione

dei più poveri molto efficaci. Non solo distribuzione di soldi pubblici in cambio di appoggio politico, ma anche e soprattutto micro crediti, campagne di alfabetizzazione, politiche che hanno reso possibile l’emancipazione di grandi fasce sociali. Il loro modello di governo, ispirato al comunitarismo indigeno delle antiche comunità aymara, qualsiasi cosa sia, si è rivelato abile, intelligente, molto pragmatico. Sono riusciti a non imporlo mai con la forza. Hanno contrattato con tutti. I due hanno fatto della disponibilità alla trattativa l’arma più affilata del governo. Per questo hanno vinto fino a domenica scorsa tutte le elezioni. E si è votato spesso, in Bolivia nell’ultimo decennio.

Ora hanno perso perché, probabilmente, hanno dato l’idea di volersi perpetuare eternamente al potere. Hanno commesso l’errore che erano riusciti a evitare finora: sono stati arroganti. La figura di Morales, che ha sempre mantenuto molto protetta la sua vita privata e la sua privacy di single, è stata inoltre recentemente segnata da uno scandaletto che riguarda una sua sconosciuta amante. Si tratta di una ragazza di 29 anni, dal curriculum professionale molto debole, con cui ha avuto una relazione in passato, diventata fulmineamente referente in Bolivia di una holding cinese con cui lo Stato ha combinato molti affari, tutti senza gare d’appalto, tutti per chiamata diretta. Lo scandalo non è niente di sconvolgente, nel panorama di mostruose ingiustizie e abituali favoritismi di cui è affollata la storia boliviana, ma è stato sufficiente a fiaccare la figura di Morales in una campagna politica già debole.

Nelle prossime elezioni, nel 2019, il Mas dovrà trovare un altro candidato. Non è escluso si possa trattare dello

stesso vicepresidente Alvaro Garcia Linera. È lui l’abile mediatore del governo.

Da quando è al potere si è seduto a dialogare con tutti. È andato a cercare un accordo con i radicalissimi minatori di Potosí, in marcia su la Paz con candelotti di dinamite in mano, e con gli ustascia croati trapiantati nei latifondi di Santa Cruz che vogliono la secessione dell’Est boliviano. Con i gruppi armati indigeni ultraradicali che accusano Morales di «svendere la patria aymara» e con i governatori orientali che si rifiutano di stringere la mano al presidente indio perché, dicono, «noi non siamo Tarzan e non parliamo con le scimmie». Ha trattato anche con i nostalgici del Terzo Reich scappati a Santa Cruz alla fine della Seconda guerra mondiale. È riuscito a fare breccia e ad ottenere consensi anche nelle politicamente per lui assai ostili terre della «mezzaluna fertile» boliviana, che sognano la secessione per diventare un minuscolo Kuwait bianco e ricchissimo, senza tasse e senza indigeni al governo.

Hanno perso perché probabilmente hanno dato l’idea di volersi perpetuare eternamente al potere I leader politici di Santa Cruz, capitale della mezzaluna fertile, sono apertamente razzisti e sono tradizionalmente sostenuti dalla stragrande maggioranza della popolazione orientale, per lo più meticcia. Essere riuscito a guadagnare terreno, a rosicchiare voti per il Mas, in quell’area del Paese, è stato un miracolo politico compiuto da Garcia Linera.

È stato lui, il sociologo bianco marxista che cita Antonio Gramsci a memoria, ad aver accolto molte delle richieste della destra durante la riscrittura della Costituzione della Bolivia: riconoscimento di ampia autonomia amministrativa ai dipartimenti e sostanziose concessioni economiche alle oligarchie locali. Lui, dopo aver imposto la nazionalizzazione del gas, è stato generoso nel dare ai separatisti quello che desideravano sul piano economico: terra e quattrini.

La Bolivia è terra di latifondo e le oligarchie di Santa Cruz temono la riforma agraria molto più di quanto hanno temuto gli effetti della nazionalizzazione degli idrocarburi. Poche famiglie sono proprietarie di terre sconfinate, occupate illegalmente da decenni. Gli oppositori più radicali di Morales controllano con un forte radicamento territoriale i due terzi del Paese, con il 42% del prodotto interno lordo nazionale e l’85% delle riserve di idrocarburi. Era impossibile per il governo non trattare con loro. Linera ha lasciato nicchie di privilegio economico ai padroni dell’est boliviano e ha mantenuto intatto l’obiettivo di dare diritto di cittadinanza reale agli indigeni, restituire loro per legge il diritto di vivere nella terra in cui sono nati. Un salto avanti di secoli.

Il fatto che il governo abbia perso il referendum di domenica, potrebbe essere per lui, in realtà, un lasciapassare per la presidenza. La coppia politica potrebbe scoppiare. Morales rimanere nell’ombra e candidare Garcia Linera, che ha lo svantaggio politico di essere bianco, ma in questi dieci anni ha imparato a guadagnarsi la fiducia delle grandi masse indigene che condizionano il risultato elettorale.

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Politica e Economia

Verdini, il padrino di Renzi Italia Per la tenuta del governo e più ancora del premier assume grande importanza l’azione dell’ex plenipotenziario

di Silvio Berlusconi, ora transitato nel renzismo

Alfio Caruso Neanche il tempo di gioire per aver imposto l’abolizione del vecchio Senato, la legge di stabilità e il sistema elettorale maggioritario, chiamato Italicum, che Renzi è alle prese con uno dei provvedimenti più delicati e importanti della sua gestione, varata lo scorso maggio, la legge sulle Unioni Civili con il contestatissimo articolo 5 sull’adozione del figliastro. Con il falso scopo di voler proteggere i bambini, gli estremisti cattolici, spalleggiati dai vescovi, tentano di mantenere il Paese nell’oscurantismo religioso, nella prassi di uno Stato prono alla Chiesa.

A dare loro sostegno gl’indefessi nemici di Renzi speranzosi di un passo falso che ne possa bloccare l’avanzata.

Si profila un altro scontro infuocato al Senato, dove i numeri della maggioranza continuano a essere ballerini. Di conseguenza per la tenuta del governo e più ancora di Renzi assume ulteriore importanza l’azione di Denis Verdini, cioè di colui che per anni è stato il braccio armato di Berlusconi.

Verdini si sta offrendo a Renzi quale risolutore di problemi alla maniera di Mister Wolf in Pulp Fiction E qui si fa stridente il contrasto fra il nuovo annunciato da Renzi, con la rottamazione di personaggi e riti del passato, e il suo inveramento attraverso il vecchio rappresentato appieno da Verdini, talmente intelligente e spregiudicato da aver trasformato la propria leggenda nera in punto di forza.

Si bea, infatti, della raffigurazione di bravo manzoniano al servizio del potente di turno, di strumento dei poteri oscuri legati alla massoneria, di cinico sfruttatore di ogni umana debolezza. Ha però capito di aver esagerato e allora ha smentito l’ultima frase attribuitagli a pancia piena, al termine di un sontuoso pranzo con adeguate libagioni: «Tutti mi chiedono che cosa ci guadagnano a venire con me. Gli rispondo che sono il taxi. Vuoi rimanere al potere? Solo io ti conduco in dieci minuti da Berlusconi a Matteo».

Affermazione, che, se non è vera, è assai verosimile, in linea con il personaggio. Da fare il paio con quella, più famosa, desunta da Pirandello: «Preferisco i personaggi in cerca d’autore».

Ne ha già trovati una ventina al Senato e undici alla Camera raggruppati in Alleanza Liberalpopolare-Autonomie (Ala). Hanno aiutato Renzi a domare la ribellione della minoranza Pd: dopo aver minacciato voti di sfiducia, secessioni, crociate in piazza, sono tornati a cuccia in cambio di vaghe promesse. Temevano che al momento

del voto l’apporto di Ala sterilizzasse la loro insubordinazione. Così Verdini ha reincarnato pure il Belzebù inventato per crocifiggere in altre epoche Andreotti. «Deve restare fuori dal giardino di casa nostra», ha intimato Bersani, che non riesce a perdonare Renzi di avergli soffiato il partito e di aver tagliato i traguardi da lui falliti: capo del governo, mattatore assoluto della scena, primo segretario a portare un partito di sinistra oltre il 40%.

Una capacità di comando, cui si è riferito Verdini nella lettera di congedo da Berlusconi: «Caro Silvio, la politica moderna è leadership. Prima c’eri tu, ora c’è Renzi. Hai quasi ottant’anni e non puoi competere. Se non fai il padre nobile, andrai a sbattere. Sarà lui a governare l’Italia per i prossimi dieci anni». E Verdini vuol partecipare al ballo. È convinto di poter avere un ruolo nella fondazione del «Partito della Nazione» lanciato da «Matteuccio», così lui lo chiama in privato.

Un progetto da orticaria per i duri e puri del Pd. Non hanno tutti i torti.

Nella sua corsa verso il futuro Renzi immagina un partito capace di superare ogni eredità, soprattutto quella comunista, e di attrarre sostenitori da ogni settore. Verdini ha prenotato un posto in prima fila offrendogli quella dote che salvò Berlusconi dalla rivolta di Fini: attrarre parlamentari, offrirsi quale risolutore di problemi alla maniera del mister Wolf di Tarantino in Pulp Fiction, procurare consenso. Corruzione spicciola? Lui ovviamente giura di no. Spiega che si tratta soltanto di relazioni umane sviluppate a ogni livello: «Io sono amico di chi conta. E sfrutto questa fortuna».

Un sostanzioso aiuto glielo fornisce il database ereditato dai gloriosi tempi alla corte del Cavaliere. Nomi, numeri, dettagli della galassia berlusconiana. Con uno schema che funziona alla grandissima. Trilla il cellulare del peone: «Sono Denis, posso offrirti un caffè?». Al caffè in questi giorni ha aggiunto una raccomandazione: «Affrettatevi, restano solo posti in piedi».

Sapendo di non poter ambire a un ruolo da padre della patria, Verdini si accontenta di recitare da padrino. In ogni caso, un esito sorprendente per chi è cresciuto a Fivizzano, piccolo paese in provincia di Massa Carrara, nella macelleria paterna. Ma nel ’68, ad appena diciassette anni, il giovane Denis racconta di averla trasformata attraverso un forsennato giro dell’Europa: import-export di carni da macello. Ne derivò un discreto profitto investito in palazzi: il primo a Firenze, dove si trasferì. Nelle pieghe prese la laurea in scienze politiche. E i suoi tanti adulatori garantiscono che nella biblioteca di papà avesse già scoperto e delibato Keynes, Marx, Weber. Alla faccia del macellaio. Che si ritrovò il figlio commercialista, introdotto nei giri giusti, maritato con una bella

Denis Verdini (di spalle), prima sul carro di Berlusconi, ora con Matteo Renzi.

e appariscente annunciatrice di TeleToscana, Simonetta Fossombroni, assunta da segretaria. All’anello di nozze la bionda Simonetta aggiunse sorprendentemente il titolo di contessa. Fu l’inizio dell’ascesa sociale. Da buon toscano Verdini chiese di entrare nella massoneria ufficiale, però sostiene di essere stato respinto. Una ricostruzione rigettata dai tanti nemici, i quali, anzi, attribuiscono all’influenza delle logge sia la sua ascesa, sia il fortissimo legame con Renzi. Nel 1990 s’inventò banchiere alla guida del Credito cooperativo fiorentino. Lo porterà sull’orlo del fallimento nel 2010 con una gestione scandita da favori ad amici come Marcello Dell’Utri: concessione di crediti illimitati senza alcuna garanzia fino a un’esposizione complessiva di quasi venti milioni di euro.

Il primo tentativo in politica avvenne nel ’94: candidato dei repubblicani con il patto creato da Segni.

Pareva destinato a sfondare ogni schieramento, si risolse in un bluff.

Per consolarsi Verdini comprò la meravigliosa villa di Pian dei Giullari.

Dimenticato Segni, accettò di finanziare la nascente Forza Italia: in cambio ottenne l’inserimento alle regionali del ’95 nella lista dell’aspirante governatore Paolo del Debbio, attuale conduttore televisivo di Mediaset e sospirato, da Berlusconi e Salvini, candidato sindaco di Milano. Del Debbio

fallì, al contrario Verdini risultò eletto con 2800 preferenze. Tuttavia Berlusconi e Arcore restavano lontani. Ad avvicinarli provvide la moglie trascinandolo a una serata organizzata da Giuliano Ferrara, all’epoca ascoltato consigliere dell’ex Cavaliere, candidato nel ’97 per il seggio senatoriale del Mugello contro Antonio Di Pietro. Nonostante la netta sconfitta di Ferrara, sbocciò una simpatia. L’anno successivo Giulianone presentò Verdini a Berlusconi durante un comizio a Firenze.

Per rinsaldare l’importante amicizia Denis acquisì il 15% del «Foglio», l’elitario quotidiano per pochi intimi fondato e diretto da Ferrara. D’altronde, Verdini era già impegnato in altre società editrici come la Ste, che pubblicava il «Giornale» di Toscana, poi miseramente fallita. Società per la quale ha lavorato anche la Chil di Tiziano Renzi, il papà del premier. Ma la stella cometa rimanevano la politica, Forza Italia, il credito crescente, che l’ex macellaio divenuto banchiere, editore, imprenditore guadagnava giorno dopo giorno nella considerazione di Berlusconi. Dall’ingresso alla Camera nel 2001 Verdini s’introfulò dapprima nella cerchia dei colonnelli, in seguito assurse a massimo suggeritore, infine gli fu assegnato il fondamentale incarico di preparare le liste dei candidati alle elezioni. Potere massimo e, di converso, esposizione massima

alle invidie, alle gelosie, alle vendette dei tanti, che si ritengono osteggiati o ignorati. Ancora raccontano del pomeriggio, in cui faticarono a liberare il collo di Brunetta dalla sua vigorosa stretta. Dopo aver resistito anche alla previsione, sbagliata, sulla marginalità della fuoriuscita di Alfano, la fiducia di Berlusconi è venuta meno con l’elezione a presidente della Repubblica di Mattarella. Stretto l’accordo sull’Italicum, Berlusconi riteneva di avere voce in capitolo sulla scelta del nuovo capo dello Stato. Renzi, invece, ha sfruttato i numeri della maggioranza governativa per accordarsi con la litigiosa minoranza interna.

Da lì è cominciato l’avvicinamento di Verdini al nuovo protettore, che aveva magnificato e presentato a Berlusconi fin dal 2005. E così se Berlusconi ha ora il problema di tenere un partito in via di decomposizione, Renzi ha il problema di gestire un’alleanza ingombrante. Verdini rappresenta la contraddizione di tante sue promesse: al di là della fama, dei metodi, del passato, incombono sul suo capo sei rinvii a giudizio con imputazioni di vario genere, dall’associazione a delinquere alla bancarotta, alla truffa ai danni dello Stato. Sullo sfondo lo scomodo fantasma di logge segrete, di accordi inconfessabili, di affari sporchi in compagnia dell’immancabile Dell’Utri in galera per concorso esterno in associazione mafiosa.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Politica e Economia

Nel cono d’ombra del Brexit CH-UE L’accordo concluso fra l’UE e la Gran Bretagna per evitare una fuoriuscita dall’Unione

condiziona fortemente la strategia del Consiglio federale sull’applicazione dell’iniziativa del 9 febbraio 2014 contro l’immigrazione di massa

Marzio Rigonalli Il recente accordo concluso tra l’Unione europea e la Gran Bretagna avrà conseguenze di grande portata sia sul futuro dell’Europa che sui rapporti tra l’Unione e la Svizzera. Per quanto riguarda il continente, sono possibili contraccolpi vari, provocati da altre capitali e di una portata limitata o diffusa, a seconda dell’esito del referendum del 23 giugno. È immaginabile anche una futura evoluzione dell’Unione, diversa da quella conosciuta fin ora, e caratterizzata da geometrie e ritmi differenziati. Nel peggiore dei casi, poi, non si può nemmeno escludere un’involuzione con un grosso passo indietro. Per quanto concerne la Svizzera, l’accordo ottenuto dal premier Cameron influenzerà il ritmo ed i contenuti del tentativo che il Consiglio federale sta facendo, per cercare di applicare l’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa, approvata il 9 febbraio 2014, senza dover compromettere i rapporti bilaterali in vigore con l’Unione europea.

Sono ormai passati più di due anni, durante i quali si è assistito ad un balletto di proposte e di controproposte sul modo in cui conveniva e conviene applicare concretamente il nuovo articolo costituzionale approvato dal popolo. I partiti politici, le associazioni economiche e numerose personalità si sono espresse, indicando più strade

Bruxelles ha segnalato che prima del referendum del 23 giugno in Gran Bretagna non tratterà con Berna possibili da seguire, ma nessuna delle proposte avanzate è riuscita a raccogliere un numero sufficientemente importante di consensi, e così ad imporsi. Anzi, il più delle volte le soluzioni indicate si sono contrapposte o si sono rivelate poco realistiche. Anche da parte del Consiglio federale non è arrivata quella chiarezza d’intenti che la situa-

Trattative in stallo, nonostante i toni amichevoli, qui in occasione dell’incontro di Sommaruga con il presidente della commissione europea Juncker e il ministro degli esteri del Lussemburgo Asselborn il 21.12.2015.

(Keystone)

zione sorta dopo il 9 febbraio 2014 richiedeva e che richiede tutt’ora.

Lo scorso mese di dicembre, dopo un’ampia consultazione interna e un intenso lavoro diplomatico nelle alte sfere dell’UE a Bruxelles e presso i governi dei principali Paesi europei, il Consiglio federale sembrò volersi orientare verso la cosiddetta clausola di salvaguardia. Una clausola cui la Svizzera potrebbe ricorrere, a determinate condizioni, per contenere e limitare l’immigrazione sul suo territorio. Il governo dichiarò che avrebbe negoziato con Bruxelles sia il principio della clausola di salvaguardia che le condizioni necessarie per poterla applicare, ma che in caso d’insuccesso avrebbe agito unilateralmente.

L’intenzione espressa in dicembre è stata di nuovo messa in discussione, questa volta per due ragioni, una esterna e l’altra interna. Bruxelles è in una situazione d’attesa, teme il Brexit, per le sue possibili conseguenze disgregative, e, fino al 23 giugno, non intraprenderà niente che possa aiutare i fautori dell’uscita della Gran Bretagna dall’UE. Quindi, non è disposta né a trattare seriamente con la Svizzera, né soprattutto a fare una qualsiasi concessione, che potrebbe venir additata oltre

la Manica come esempio da seguire. Sul piano interno, ci sono state due prese di posizione che mettono in dubbio la soluzione della clausola di salvaguardia.

Il tribunale federale, in una sentenza dello scorso mese di novembre, ma le cui motivazioni sono state pubblicate poche settimane or sono, indica che in caso di conflitto l’accordo sulla libera circolazione delle persone prevale sulle leggi federali, e quindi anche sulla futura legge d’applicazione dell’articolo costituzionale sull’immigrazione di massa. In altre parole, misure contro l’immigrazione in Svizzera di cittadini dell’UE possono venir introdotte unilateralmente da Berna soltanto se viene disdetto l’accordo sulla libera circolazione. Più recente ancora è la dichiarazione del presidente del partito liberale radicale, rilasciata alla stampa domenicale. Philipp Müller propone di accantonare l’ipotesi di una clausola di salvaguardia unilaterale, che metterebbe in pericolo gli accordi bilaterali, e di sostituirla con una scelta basata sulla «priorità nazionale permanente» in tutti i settori economici e professionali che sono confrontati con una forte disoccupazione. La proposta non è in linea con le regole in vigore nell’UE, dove non c’è spazio per la priorità nazionale, ma po-

trebbe forse evitare la disdetta dell’accordo sulla libera circolazione. L’UDC ha subito manifestato la sua opposizione, ma altri partiti si sono dichiarati pronti a discutere la proposta di Müller.

Il Consiglio federale si ritrova confrontato con più esigenze. Da un lato, deve agire perché il tempo stringe. L’applicazione dell’iniziativa dell’UDC deve avvenire entro tre anni, ossia entro il 9 febbraio 2017.

Per rispettare questi tempi, il governo deve approvare il progetto della legge d’applicazione e trasmetterlo alla Camere al più presto, affinché si riesca a completare il tradizionale iter parlamentare ed a garantire il tempo necessario per organizzare un possibile referendum popolare. Secondo quanto è stato comunicato, il progetto dovrebbe trovarsi a disposizione delle commissioni parlamentari già nei primi giorni di marzo. Per di più, il Consiglio federale è costretto a muoversi tenendo presente che la sua decisione verrà esaminata alla lente sia a Bruxelles che in Gran Bretagna. A Bruxelles, gli organi dell’UE sono pronti a manifestare il loro dissenso, se riterranno di trovarsi di fronte ad una violazione dell’accordo sulla libera circolazione delle persone. È il caso, per esempio,

se Berna deciderà di limitare l’immigrazione dall’UE, introducendo tetti massimi e contingenti. Ed è risaputo che il non rispetto della libera circolazione può portare alla fine dei principali accordi bilaterali. In Gran Bretagna, i fautori del Brexit attendono una buona occasione per poter dimostrare a tutti gli euroscettici, e soprattutto agli elettori indecisi, che si può gestire l’immigrazione liberamente e meglio, stando al di fuori dell’UE. A questo punto, risulta difficile prevedere che cosa farà il Consiglio federale. L’ipotesi più accreditata è che verrà presentata una soluzione che non troverà una maggioranza in parlamento e che verrà bloccata già in commissione. Il progetto potrà allora essere rinviato al governo, con la richiesta di definire ed inoltrare una seconda versione. Il rinvio consentirà di guadagnare un po’ di tempo e, soprattutto, di attendere il referendum britannico.

Dopo il 23 giugno, e indipendentemente dall’esito della votazione, sarà probabilmente possibile trattare con l’Unione europea per cercare di raggiungere una soluzione concordata. Comunque, senza farsi troppe illusioni. L’UE non ha consentito alla Gran Bretagna di limitare quantitativamente l’immigrazione proveniente dall’Europa. È più che probabile che segua la stessa linea anche con la Svizzera.

L’incertezza che regna su questo dossier crea un forte disagio. La posta in gioco è alta. Sono in discussione il futuro posto della Svizzera in Europa, una serie di accordi che hanno consentito alla nostra economia di progredire e di competere con successo, la possibilità di preservare l’accesso ad un grande mercato e di partecipare a dei programmi fondamentali per lo sviluppo della nostra ricerca, tanto per citare alcuni dei capitoli che caratterizzano i nostri rapporti con l’Unione europea.

Il disagio può essere vinto soltanto se il dossier e la posta in gioco che nasconde vengono affrontati con determinazione, con idee chiare e con obiettivi realistici e ben definiti. Con una strategia, insomma, che non è quella cui abbiamo assistito negli ultimi due anni.

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Politica e Economia

Difesa dell’italiano, una lotta senza fine Federalismo La concorrenza dell’inglese si fa sempre più forte,

anche a detrimento del francese

Sorpresa: nel 2015 2,8 miliardi di avanzo Conti della Confederazione I bassi

tassi di interesse e entrate straordinarie contribuiscono al risultato, ma il preventivo era forse troppo pessimista. Politici sorpresi, mentre rimane in vigore il piano di risparmi Ignazio Bonoli

Lezioni di inglese in una scuola elementare di Appenzello.

(Keystone)

Roberto Porta È dell’11 febbraio di quest’anno l’ultimo affronto ai danni della lingua italiana in Svizzera e porta una firma di prestigio, quella della prima cittadina, la presidente del consiglio nazionale Christa Markwalder. In una lettera la numero uno del Parlamento ha pensato bene di difendere le scelte linguistiche con cui è stata annunciata, lo scorso 9 febbraio, l’elezione del nuovo consigliere federale Guy Parmelin.

Era stata lei a pronunciare il fatidico «gewählt ist», seguito dalla traduzione «est élu», senza alcun riferimento alla lingua italiana e a quella romancia, che sono pur sempre due idiomi nazionali del nostro Paese. A detta di Markwalder non c’è spazio per la traduzione in italiano, perché sarebbe inevitabilmente coperta dagli applausi che i parlamentari dedicano al neo-eletto. Una motivazione che ha deluso parecchio i deputati Marco Romano, Elisabeth Schneider-Schneiter e Martin Candinas (la cui lingua madre è il romancio) che in una prima missiva chiedevano spiegazioni sull’esclusione dell’italiano – e anche del romancio – nel giorno in cui il parlamento elegge un nuovo membro del governo. Da notare che quella mattina del 9 febbraio non venne eletto soltanto il nuovo consigliere federale Parmelin, c’era stata anche la riconferma in governo di tutti i suoi sei colleghi uscenti. Insomma un momento solenne al termine di una cerimonia di importanza nazionale, che però si è svolta prevalentemente in tedesco, marginalmente in francese e per nulla in italiano e romancio. Per buona pace della multiculturalità svizzera e della ricchezza linguistica del nostro Paese.

A parziale discolpa della signora Markwalder va detto che anche i suoi predecessori hanno optato per lo stesso modello, con il francese a prevalere sul tedesco quando il presidente del Nazionale proviene dalla Romandia.

L’ultima prima cittadina italofona è stata Chiara Simoneschi-Cortesi, nel 2009. A ben guardare, durante questo tipo di elezioni, non costerebbe nulla al Parlamento invertire ogni tanto le priorità e dare spazio agli idiomi minoritari, seguiti dalla traduzione in tedesco. Eppure, a quanto pare, così non è e così non sarà. Se addirittura il Parlamento federale dimostra di essere sordo al richiamo di chi difende le lingue minoritarie, figuriamoci cosa potrebbe capitare in altri contesti non nazionali ma cantonali.

Nel 2012 aveva fatto parecchio di-

scutere la decisione del canton Obvaldo di sopprimere le lezioni di italiano, come opzione specifica da portare alla maturità liceale. Anche per motivi di risparmio il governo di Sarnen aveva preferito indirizzare in uno dei licei del vicino canton Lucerna i propri studenti interessati alla lingua italiana, calpestando così il regolamento per il riconoscimento degli attestati di maturità federale.

La difesa del plurilinguismo coinvolge anche l’Amministrazione federale: domani a Berna un convegno organizzato da Nicoletta Mariolini Dal caso del canton Obvaldo – e dalla polemiche che aveva suscitato – era poi scaturito un rapporto della commissione svizzera di maturità. Un’analisi della situazione che ha messo in evidenza una lacuna: nella Svizzera tedesca l’italiano come materia di maturità è offerto in sei licei su sette, cosa contraria ai regolamenti scolastici, che prevedono l’insegnamento di una terza lingua nazionale in tutte le scuole. Un’offerta di questo tipo è invece presente nei licei della Svizzera romanda. Ma a soffrire in questo contesto di tensioni linguistiche è anche il francese, che come l’italiano, se la deve vedere sempre più con la concorrenza dell’inglese.

Il problema dell’insegnamento del francese emerge già alla scuole elementari, perché diversi cantoni della Svizzera tedesca – capitanati per importanza politica da Zurigo – hanno deciso di considerare prioritario proprio l’insegnamento dell’inglese. Agli scolari vengono dapprima impartite le lezioni di inglese – già a partire dalla terza elementare – e poi quelle di francese, con cui si inizia invece soltanto in quinta. Ma non finisce qui. Gli occhi degli addetti ai lavori sono puntati su Turgovia, primo cantone svizzero pronto ad escludere totalmente, a partire dal 2017, il francese dal programma scolastico elementare. Sarebbe una prima svizzera, con corollario di polemiche mediatiche e politiche a livello nazionale. L’espulsione del cosiddetto «frühfranzösich» dalle classi turgoviesi di scuola elementare provocherebbe quasi certamente un intervento della Confederazione, pronta a ristabilire l’ordine nel rispetto della legge sulle lingue e di diversi regolamenti scolasti-

ci nazionali, che prevedono l’insegnamento di due lingue straniere già alle elementari, di cui una nazionale.

Il Ticino e i Grigioni rappresentano un’eccezione. In Ticino viene insegnata una solo lingua straniera alle elementari, il francese, questo perché nel curriculum della scuola dell’obbligo le lingue straniere obbligatorie sono tre e non due come nel resto della Svizzera.

Un possibile intervento della Confederazione, a mo’ di ultima ratio, è stato più volte ventilato anche dal consigliere federale Alain Berset, responsabile del dossier. «Preferirei che i cantoni trovino una soluzione in modo indipendente – ha detto il ministro – ma se non la trovano, non potremo semplicemente stare a guardare», e questo anche a detrimento di un principio basilare dell’ordinamento federalistico svizzero, che assegna in primo luogo ai cantoni la competenza di gestire e organizzare la propria educazione scolastica.

A partire dall’anno prossimo le tensioni linguistiche nel nostro Paese potrebbero riacutizzarsi, anche perché sono diversi i cantoni svizzero tedeschi pronti a compiere lo stesso passo di Turgovia, attraverso atti parlamentati e iniziative popolari lanciate proprio per chiedere una sola lingua straniera – l’inglese – nelle scuole elementari. L’anno scorso ci aveva del resto già provato il canton Nidvaldo, ma la popolazione aveva respinto nelle urne un tentativo dell’UDC di togliere il francese dalle scuole elementari.

In un contesto linguistico del genere ben vengano iniziative che mirano a scavalcare i fossati culturali che attraversano il nostro Paese. Ad esempio quella lanciata pochi giorni fa dal dipartimento dell’educazione ticinese, dalla RSI e dal percento culturale di Migros Ticino, con l’obiettivo di portare in Ticino 1500 ragazzi delle altre regioni svizzeri per una settimana di italiano e sport. Chissà magari potrebbe parteciparvi, in veste di madrina, proprio la presidente del Consiglio Nazionale, Christa Markwalder….

PS: Il tema coinvolge anche l’amministrazione federale, chiamata a trovare al suo interno, tra i suoi dipendenti, un equilibrio tra le diverse lingue del Paese. Una sfida che la delegata federale al plurilinguismo, Nicoletta Mariolini, affronterà martedì primo marzo con un convegno nazionale, a cui prenderà parte anche il commissario per le lingue ufficiali del Canada, che porterà con sé le esperienze del suo Paese plurilingue.

L’esordio del consigliere federale Ueli Maurer alla testa del Dipartimento delle finanze non poteva essere migliore: i bilanci della Confederazione chiudono infatti il 2015 con un avanzo d’esercizio di 2,8 miliardi di franchi. Quindi un risultato ben migliore delle previsioni che, alla luce di una tendenza al peggioramento, indicavano pur sempre un avanzo di 400 milioni di franchi. È vero che 500 milioni del bilancio 2015 sono dovuti a entrate straordinarie, ma il miglioramento rispetto alle previsioni è pur sempre di quasi 2 miliardi di franchi. Miglioramento che è dovuto soprattutto a una riduzione delle spese, soprattutto degli interessi passivi e, in parte, a quella dei contributi all’UE per la ricerca. Le entrate straordinarie di mezzo miliardo sono dovute alla multa applicata alla Swisscom per mancato rispetto della legge sulla concorrenza, alle vendite di licenze per la telefonia mobile, a ricuperi nella liquidazione della Swissair. Cifra che però influisce solo in parte sul risultato eccezionale.

Risultato che ha fatto dire a molti commentatori, e anche ad alcuni politici, che la Confederazione è sempre troppo pessimistica nell’allestire i preventivi. A parte il fatto che un certo pessimismo nel valutare il futuro delle finanze – se non altro, perché mette al riparo da brutte sorprese – è buona regola per un ente pubblico, sembra però che il «vizio» sia diventato la regola a Berna. Considerando le serie di cifre dal 1990 si può vedere che in due terzi dei casi il preventivo si è rivelato troppo pessimista e in un terzo, invece, perfino troppo ottimista.

Il divario tra previsioni e consuntivi si assesta al 2,5% circa e sull’arco di un anno non è eccessivo, viste le molte variabili da considerare e quindi le molte possibilità di errore. Errori che però si ripetono con costanza impressionante, non soltanto dal 1990, ma anche oltre. Uno studio dell’Istituto di ricerche congiunturali del Politecnico federale di Zurigo, pubblicato nel 2013 e che considera un tempo di 65 anni nella valutazione delle entrate fiscali dei cantoni, conferma che questa abitudine è molto diffusa negli enti pubblici

svizzeri. Ma, per restare alle finanze della Confederazione, si può anche legittimamente pensare che sull’arco di 26 anni (dal 1990, come detto) i divari in più e in meno possano compensarsi. Ma questo non è avvenuto, per cui si può considerare lo scarto medio del 2,5% molto più importante di quello limitato a un anno.

Da qui le rimostranze degli ambienti politici che accusano il Consiglio federale di risparmi ingiustificati.

Per tutta risposta il capo del Dipartimento finanze conferma invece che il previsto programma di risparmi 20172019, che prevede contenimenti per circa 300 milioni all’anno, non verrà modificato. Va forse precisato che anche il freno alla spesa, introdotto nel 2003, contribuisce in buona parte alla prudenza nelle previsioni, se non altro per evitare l’entrata in funzione automatica dei limiti posti da questo strumento di gestione.

Positivo comunque il fatto che l’evoluzione delle finanze ha permesso di diminuire il debito lordo della Confederazione a 104 miliardi, portando la quota di indebitamento al 16,2%, una delle migliori al mondo. Un contributo particolare è dato dagli interessi da pagare su questo debito, che nel 2006 erano ancora di 4 miliardi di franchi, e nel 2015 sono scesi a 1,4 miliardi di franchi.

L’improvviso miglioramento della situazione risveglia molti appetiti: da quelli dei politici che vorrebbero una Confederazione più attiva nel sostenere l’economia, la socialità, la formazione, l’infrastruttura, alle associazioni del personale che temono per i salari e i posti di lavoro. Il compito dei responsabili delle finanze non è però più facile. A fronte delle molte incertezze che dominano la scena internazionale, la Confederazione si vedrà confrontata nell’immediato futuro con spese dovute ai progetti infrastrutturali, alla riforma dell’AVS, alla stessa riforma della tassazione delle imprese, in un clima che anche sul piano interno non è molto favorevole. Il risultato del 2015 può quindi servire a rendere più tranquilli, ma non per questo a rinunciare a una politica di rigore che, a lunga scadenza, è pagante e apre sempre spazi per interventi eccezionali, senza compromettere le basi finanziarie.

Ueli Maurer, ministro delle finanze, e Serge Gaillard, direttore dell’Amministrazione federale delle finanze: i conti tornano, ma le nubi all’orizzonte rimangono. (Keystone)

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Politica e Economia Rubriche

In&outlet di Aldo Cazzullo Eco, donato dal cielo bene Umberto Eco vent’anni fa. Lui non sapeva chi fossi quando lo cercai, chiedendogli una testimonianza per il libro che volevo scrivere sulla vicenda di formazione dei «ragazzi di via Po» (lui, Furio Colombo, Gianni Vattimo, Claudio Magris, Edoardo Sanguineti…). Disse subito di sì, e mi

Marka

Umberto Eco era il più importante intellettuale italiano non soltanto perché aveva venduto decine di milioni di copie in decine di Paesi. Prima e durante la sua attività di romanziere, aveva preso una posizione originale nella cultura europea, in anticipo con i tempi. La sua idea era che i grandi sistemi filosofici, ideologici, religiosi erano destinati a crollare sotto i colpi della modernità.

L’uomo è misura di tutte le cose, la verità assoluta non esiste; e «nell’infinita vertigine dei possibili, Dio vi consente anche di immaginare un mondo in cui il presunto interprete della verità altro non sia che un merlo goffo, che ripete parole apprese tanto tempo fa» come dice Guglielmo da Baskerville – nome scelto pensando a Conan Doyle – nel memorabile dialogo finale con Jorge da Burgos, nome scelto pensando a Borges. E di tutto si può ridere: il riso è proprio dell’uomo, perché l’uomo è l’unico animale che sa che deve morire.

Ho avuto la fortuna di conoscere

diede appuntamento a Torino a casa di Paolo Paloschi, allora amministratore delegato della «Stampa», dov’era a cena dopo aver partecipato a un’iniziativa della campagna elettorale proprio di Furio Colombo, candidato alla Camera per l’Ulivo. L’accordo era che avrei riportato Eco in macchina a Milano, e nel viaggio avremmo registrato il suo racconto. Arrivai a mezzanotte, dopo la chiusura del giornale. Il cameriere annunciò al padrone di casa: «C’è l’autista del professor Eco». Paloschi mi guardò sbalordito, pensando facessi un doppio lavoro.

Sarà stata l’ora notturna, o la calma allegra dopo una bella serata, fatto sta che Umberto Eco confidò della sua giovinezza episodi e dettagli che non aveva mai detto in pubblico. Arrivati a Santhià rallentai per guadagnare tempo. All’autogrill di Novara ci fermammo per cambiare la cassetta del registratore. La conversazione proseguì sotto casa sua, in piazza Castello a

Milano, sino alle quattro del mattino.

Siccome non avevamo finito, mi diede appuntamento da lì a qualche giorno, e registrammo per altre cinque ore una ricostruzione in cui c’era tutto: i fumetti dell’infanzia, l’agguato del pedofilo alla stazione, l’incontro con Getto, Bobbio e gli altri grandi dell’università di Torino, il primo amore con una ragazza che abitava in corso Giulio Cesare, il fidanzamento e la dolorosa rottura con Enza Sampò, l’incontro con la donna della sua vita, Renate…ma la rottura di cui Eco parlava con maggiore sofferenza, quasi con le lacrime agli occhi, era quella con il suo maestro, Luigi Pareyson: «Quando, ancora ragazzo, scegli un professore con cui fare la tesi, diventa il personaggio in cui ti identifichi e che ami. E lui contraccambia, perché sei un suo allievo. Ma, all’inizio degli anni Sessanta, il nostro legame si spezza.

Forse non sopportava il mio allontanamento dal mondo cattolico. Forse non mi ha perdonato di aver scritto che

la sua estetica funzionava benissimo anche senza un’ipotesi metafisica di fondo, che lui riteneva essenziale. Fatto sta che Pareyson mi ripudia…».

Eco insomma mi ha insegnato che i veri grandi sono uomini generosi di sé. Il suo nome significa «Ex coelis oblatus», donato dal cielo; «per fortuna l’impiegato dell’anagrafe che registrò la nascita di mio nonno era di animo gentile e amava il latino. Altrimenti mi sarei chiamato Ficarotta» raccontava sorridendo. Il padre non era un barone universitario: aveva un negozio di ferramenta ad Alessandria. Lui ebbe un grande maestro in Luigi Pareyson, che però come erede gli preferì un altro ragazzo prodigio, Gianni Vattimo.

Umberto Eco era il figlio dell’Italia affluente del Dopoguerra, un’Italia di provincia dove l’eccellenza non era data dalla nascita e dalle relazioni personali ma dal talento e dal lavoro. L’emozione nel Paese per la sua morte è stata enorme, come il vuoto che lascia.

dici»: diciannove numeri pubblicati fino all’agosto del 1969, l’anno della chiusura.

Erano gli anni dello strutturalismo e dalla sociologia delle comunicazioni di massa, ambiti al cui sviluppo Eco avrebbe fornito contributi fondamentali. Il primo di questi apparve già nel 1964, Apocalittici e integrati, un titolo destinato a diventare formula, modo d’essere e sintesi di un’epoca, quella in cui l’immagine – la televisione, la fotografia, il fumetto – iniziava a scalzare la pagina scritta, in primo luogo dalla mente dei fruitori. La società era entrata in un’era nuova, una dimensione colonizzata dall’industria e dalla cultura seriale. Di fronte a tale metamorfosi, naturalmente, Eco non parteggiava né per gli apocalittici (coloro che temevano il peggio, ovvero la decadenza della civiltà occidentale, ormai facile preda della suddetta industria), né per gli integrati (coloro che si adattavano accettando supi-

namente ogni novità). L’unica difesa valida consisteva nell’avvicinarsi alle scatole magiche armati di tutto punto: occhio vigile, spirito critico, un corredo di attrezzi in grado di smontare trame e palinsesti.

Umberto Eco diceva di riconoscersi nell’«illuminismo padano» lungo l’asse orizzontale Torino-AlessandriaMilano, un fascio di fili e di nodi che dai fratelli Verri, Beccaria e Cattaneo arrivava a Bobbio attraverso la scuola milanese di Banfi, Cantoni, Paci e Preti: una linea laica e razionalista, aperta sul mondo e ostile ai sistemi ideologici chiusi. E dove le armi della critica risultavano insufficienti, Eco aggiungeva il fioretto dell’ironia e dello scherzo, senza risparmiare la sua persona. Sapeva che nessun regime dittatoriale sopporta il riso, lo sberleffo, il buffone che esce dagli schemi, il bambino che, nel silenzio e nel consenso generali, improvvisamente esclama: «il re è nudo».

zere, consentono le stesse paradisiache vie di fuga ai propri istituti.

Per la Casa Bianca sarà dura ribaltare il trend, ma non è che in Svizzera i dubbi siano tutti fugati. Distratti da altri assilli forse l’avevamo già dimenticato, ma anche Credit Suisse ha toccato il tappeto del ring colpito da qualche battito di ali. Forse non di una farfalla cinese, piuttosto di una del Qatar, magari nascosta nei tre airbus atterrati fuori orario a Kloten.

Pur sapendo di entrare nel mondo della fantapolitica è difficile credere che a Zurigo lo sceicco abbia visto solo chirurghi e infermieri, e non qualcuno in grado di sistemare altre e più dolorose fratture qatariane in fondi sovrani, tutte targate Credit Suisse.

Quelli elencati sono tutti segnali che, oltre a rilanciare il ritornello delle banche troppo grandi, ci ricordano la scarsa credibilità di annunci e garanzie che davano per risolti i problemi dei mercati finanziari; smentiscono l’efficacia dei rigidi regolamenti delle

banche centrali (siamo arrivati al Basilea IV, il rischio è quello di raggiungere le cifre dei re francesi) e rimettono in discussione direttive e controlli con cui i governi avrebbero voluto rassicurare l’opinione pubblica prima ancora che i mercati. L’ennesima sconfitta della classe politica riporta in auge le parole che Paul Volcker, expresidente della Fed, rivolse nel 2008 a chi negli Usa preparava nuove leggi anti-speculazione: «Se le istituzioni saranno lasciate libere di speculare, io forse non vedrò la prossima crisi, ma è certo che la mia anima tornerà a tormentarvi». Un monito sempre valido e pertinente, visto che limiti e controlli continuano a essere dilazionati e che quasi ogni giorno vengono alla luce ulteriori illecite acrobazie finanziarie. Risultato? Oggi sono gli stessi mercati, nemmeno più le banche centrali, a rivelare l’esistenza di nuove trappole speculative. Il traguardo indicato da Dahrendorf, il «capitalismo responsabile», decisamente resta un miraggio.

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti L’eco di Eco nella Svizzera italiana Umberto Eco poteva contare su una vasta e attenta platea anche nella Svizzera italiana, lettori e lettrici dei suoi romanzi (sempre più impervi e labirintici dopo Il nome della rosa) e soprattutto delle sue raccolte di saggi e interventi su temi di attualità. I suoi scritti sull’oggettività dell’informazione e i suoi suggerimenti su come organizzare una biblioteca erano – e sono tuttora – materiale d’obbligo per ogni studente di questi indirizzi. Ammirato per la sua sconfinata erudizione, sapientemente diluita nell’ironia o nella parodia, Eco ha dispensato consigli e indicato strade, soprattutto quando si è trattato di creare, a Lugano, la Facoltà di scienze della comunicazione all’interno della neonata Usi, in collaborazione con Mauro Wolf.

Entrambi portavano con sé l’esperienza maturata all’università di Bologna, laboratorio del Dams (Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo).

Una sola volta Eco indispettì il suo

affezionato pubblico svizzero-italiano: accadde quando disse che «la Svizzera, paese mai invaso, in fondo ha prodotto solo l’orologio a cucù». L’affermazione fu recepita come uno sgarbo. Sia perché inesatta (il cucù ha un’origine bavarese), sia perché sminuiva l’inventiva elvetica nel campo della ricerca scientifica e tecnologica, confermata anno dopo anno dalle graduatorie internazionali. Quella battuta derivava da un film di Orson Wells, Il terzo uomo (1949), dove appunto il protagonista esclamava «in Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, strage ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento.

In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù».

Il fatto è che dalla battuta si poteva dedurre un’ipotesi assai pericolosa: che per strappare una collettività dal suo torpore, per creare opere memorabili,

degne di entrare negli annali fossero necessari conflitti, faide sanguinose, un’atmosfera di passioni accese.

La Svizzera, isola risparmiata dalle tragedie del Novecento, era dunque da considerarsi un Paese insignificante e sonnolento? La risposta l’ha data la storia degli ultimi secoli.

La relazione di Eco con la Svizzera italiana ebbe inizio nei primi anni 60, attraverso l’amicizia con il locarnese Enrico Filippini, intellettuale inquieto, amico di Frisch, traduttore dal tedesco e consulente editoriale per il Saggiatore e Feltrinelli. Assieme a poeti e scrittori come Barilli, Balestrini, Giuliani, Guglielmi, Manganelli, Sanguineti, i due dettero vita al «Gruppo 63», sodalizio d’avanguardia che si proponeva di scardinare il sistema dominante, l’«establishment» delle lettere, i bastioni del conservatorismo.

Il secondo frutto di quell’offensiva politico-culturale fu la fondazione, nel giugno del 1967, della rivista «Quin-

Zig-Zag di Ovidio Biffi Banche, ritornelli che non finiscono «È possibile tornare all’etica protestante?». Se lo chiedeva l’economista anglo-tedesco Lord Dahrendorf commentando l’ultimo crack delle Borse, pochi mesi prima della sua scomparsa nel 2009. «Nel protestantesimo calvinista l’aldilà era il luogo della ricompensa per il sudore versato lavorando nell’aldiqua» scriveva Dahrendorf su «Il Sole 24 Ore», citando il saggio di Max Weber sull’Etica protestante e lo spirito del Capitalismo. Precisando subito che «oggi però è cambiato tutto: nessuno più pensa all’eternità, sperando in una ricompensa ultraterrena delle sue fatiche terrene» e per questo nella conclusione ammoniva: «Il capitalismo di debito deve essere ricondotto a una misura sopportabile. È necessario qualcosa come un “capitalismo responsabile” (…) e nel concetto di responsabilità è necessario che risuoni soprattutto la prospettiva di medio periodo, ovvero quella di un nuovo rapporto col tempo».

Sette anni dopo il mondo finanziario (e dietro, legati o aggrappati, ci sono

tutti gli altri mondi) è ancora lì: a bocca aperta davanti alle Borse che cedono. Si interroga su cosa farà la Fed o la Bce e teme che il battito d’ali di una farfalla in Cina possa affossare le banche occidentali. Leggo su un quotidiano: «Il gigante Deutsche Bank, ad esempio, in questo momento sotto i riflettori, è anche la banca forse più esposta al mondo nel settore delle materie prime, petrolio in testa, un mercato oggi in via di implosione. Ed è fra i grandi creditori di un altro gigante barcollante: Volkswagen. Quanti investimenti sono registrati nei libri della Deutsche Bank ad un valore superiore a quello che sarebbe possibile realizzare sul mercato, si chiedono molti operatori? È il tarlo che, in questo momento, rode le fondamenta di una delle più grandi banche europee, una di quelle “ troppo grandi per fallire”: i soldi investiti dalla banca di Francoforte assommano a 2 mila miliardi di euro.

Uguale a mezzo prodotto interno lordo tedesco». Non bastano questi

dati a mettere a nudo quanto siano fragili, addirittura ridicole, garanzie e sicurezze ostentate dalle banche?

Cambiando scenario scopriamo che il peso di una finanza rivelatasi un’altra volta troppo allegra sta gravando anche sulle primarie presidenziali avviate negli Usa. Jonathan Tasini, l’intellettuale stratega e consigliere di Bernie Sanders, principale avversario di Hillary Clinton in casa democratica, in quello che viene definito il «libretto rosso di Bernie» spara alzo zero alle banche: l’unica cura indicata per evitare ulteriori disastri è quella che lui condensa nella massima «If a bank is too big to fail, it is too big to exist». Siamo arrivati al «redde rationem»? Non proprio a giudicare dai contenuti del Financial Secrecy Index: la classifica redatta dall’istituto indipendente di ricerca Tax Justice Network sulle nazioni dove il segreto bancario e societario è più forte, rivela che le autorità statunitensi, ora che hanno incassato le multe miliardarie per evasioni fiscali dalle banche sviz-

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Cultura e Spettacoli Pianeta Orio È uscito recentemente un libro che raccoglie alcune fra le migliori opere del grafico ticinese Orio Galli pagina 37

Omaggio a un maestro Alberto Nessi ha vinto il Gran Premio svizzero di letteratura 2016

Addio Mosaico Dopo decenni di intensa attività la Galleria Mosaico di Chiasso ha inaugurato l’ultima mostra

Harper e il mistero Un solo enorme successo, poi anni di congetture e mistero – se ne è andata Harper Lee

pagina 38

pagina 41

pagina 43

Umberto Eco in un’immagine scattata lo scorso mese di settembre a Camogli durante il Festival della Comunicazione.

(Keystone)

Umberto Eco, luce nel buio

In memoriam Eco oltre che professore e studioso, era soprattutto un uomo curioso della vita Maria Bettetini Giochiamo all’assassino! Fine anni Settanta, Umberto Eco sta terminando Il nome della rosa. Lavora tra le mura di un antico e decadente monastero o seminario sulle colline al confine tra la Romagna e le Marche: lui e la moglie hanno appena deciso questo folle acquisto, senza sapere del successo del romanzo, che a ogni nuova traduzione coprirà le spese di un pezzo di casa.

Piove, in casa si rincorrono una decina di bambini, Umberto vuole giocare «all’assassino», un innocuo ma potenzialmente lungo e calmo gioco per grandi e piccini. Prepara i foglietti, li estraiamo dalle sue mani, tutti saranno «vittime», uno solo avrà il biglietto che lo consacra «assassino». L’arma è una strizzatina d’occhio: chi la riceve si deve dichiarare morto, ma se un altro vede l’assassino farla ad altri può denunciarlo, e poi si ricomincia con gli stessi biglietti. Il semiologo più noto al mondo, e questo lo era già negli anni Settanta, si impegnava con enorme serietà. È questa caratteristica che vorrei segnalare, dopo che i media per giorni hanno detto di lui molto e in modo ripetitivo. Eco affrontava intensamente ciò che decideva di affrontare, sempre.

La fame di sapere, quasi ossessiva, lo portava certo a studiare e leggere moltissimo, ma con la stessa caparbietà a cercare una soluzione al problema delle camicie, per lui sempre troppo strette e troppo lunghe di maniche: comprava (credo a New York) degli elastici metallici per tenere su le maniche, quelli che usavano i contabili un secolo fa, oggi introvabili se non in quel negozio. Poi gli piaceva molto gareggiare, e naturalmente vincere. Al gioco dell’assassino, certo, ma anche ai racchettoni in spiaggia, agli indovinelli, perfino alla lotta.

Si può dire che tutta la vita per lui fosse questo, una gara che voleva vincere.

Si trattasse di un gioco per bambini o di un nuovo genere di romanzo, di un concorso universitario o della barzelletta più divertente della serata. Da qui alcune conseguenze: alta precisione, profondità per non farsi trarre in inganno, insieme alla sottile agitazione, tipica di chi sta gareggiando, la si scopriva nelle unghie un po’ mangiate, come quelle dei bambini. Con questo atteggiamento ha affrontato la scuola, i ruoli dirigenti nell’Azione Cattolica, l’università, dove si è laureato con una tesi sull’estetica di San Tommaso d’Aquino. Ora non è più così, almeno tra gli addetti ai lavori, ma negli anni

Cinquanta San Tommaso lo si studiava solo nei conventi, e che il Medioevo possedesse una o più teorie del bello e dell’arte era cosa da non dirsi nemmeno, figurarsi farci una tesi.

Da Alessandria, dove era nato nel 1932, a Torino, poi a Milano dove è rimasto sessant’anni, fino allo scorso 19 febbraio, quando un male cattivo ha avuto la sfrontatezza di portarsi via il professore. Una gara, l’ultima, dall’esito scontato ma certo contrastato finché possibile dall’uomo assetato di vita. Il contenuto di questi sei decenni lo si può leggere sul web, nei libri che verranno e che già si sono scritti su Umberto Eco. Cerchiamo invece, nello spazio consentito, di capire perché è stato importante, perché sarà ricordato, senza toccare gli aspetti più scientifici (semiotica, teoria letteraria). È un campo in cui ciascuno può avere il suo parere, quindi mi assumo ogni responsabilità del mio.

Il primo motivo è quello accennato a proposito della tesi: la scoperta di un Medioevo illuminato, sia per l’intelligenza che per la luce e i colori che lo hanno percorso. Un amore nato all’università e poi mai diminuito. Se all’inizio forse la formazione cattolica lo aveva avvicinato al monaco dome-

nicano, subito si accorse che quei mille anni bistrattati potevano rendere visibili le storie di draghi e fanciulle, ippogrifi e castelli che gli raccontava il babbo da piccolo e che poi avrebbe disegnato da ragazzino. Ricorderemo Eco perché ha insegnato come fare una tesi di laurea a milioni di studenti, allora terrorizzati da professori inarrivabili, oggi ragazzi annoiati e semianalfabeti. Si è detto che la sua maggior virtù fosse quella di essere un Maestro: è vero. Ed è anche vero che saper inventare su temi seri sonetti e indovinelli, tanto da scrivere un’intera storia della filosofia in versi, ha reso Kant e Aristotele dei compagni di giochi, li ha ripuliti dalla polvere. A proposito: riteneva quattro uomini i più intelligenti della storia a noi nota, Platone, Aristotele, Sant’Agostino e San Tommaso. Non male per uno dei fondatori del Gruppo ’63, l’avanguardia delle avanguardie letterarie, che tra l’altro si dichiarava non credente.

Ricorderemo Umberto Eco perché, come detto in apertura, amava giocare e quindi anche suonare, la tromba o il flauto dolce. Ma questa sarebbe solo una curiosità, tra l’altro nota ai più. Lo ricorderemo perché se perdeva il tempo accettava di essere ripreso da un pia-

nista ragazzino, e no, professore, ricominciamo, e uno, due, tre, così. Le folle adoranti lo circondavano ovunque, dopo il primo romanzo e il film che ne venne tratto (anzi no, a cui si ispirava «il palinsesto del film», non volle la firma sui cartelloni). Certo non gli dispiacevano, se le sapeva anche ben gestire: una battuta, una storiella piccante per far sobbalzare le signore, come per caso il racconto di quella volta che in Cina gli dissero e così via. Però sapeva di non poter trarre nulla di nuovo, di interessante, da queste folle. Quindi era contento di farsi redarguire da qualcuno che in qualunque campo ne sapesse più di lui. Era contento di farsi dire qualcosa di nuovo anche da uno studente, e tutta la supponenza che alcuni gli attribuivano (il solito complesso di inferiorità) si disfaceva davanti all’uomo della strada. Bastava non fargli domande idiote: farà un altro romanzo (e lo vengo a dire a te?); non si stanca mai di studiare (sì ma sono masochista); infine la migliore, quanti libri, li ha letti tutti (no, quelli letti sono da un’altra parte, questi sono da leggere entro fine mese: rispondeva davvero così).

Grazie prof., grazie per aver trasmesso brama di sapere a un’epoca piena di buio. Altro che Medioevo.

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Cultura e Spettacoli

I messaggi di Orio Pubblicazioni È uscito recentemente un volume in cui si omaggia l’intensa attività grafico-artistica

del ticinese Orio Galli, per molti versi precursore della comunicazione

Eliana Bernasconi Con fondati motivi questo volume, presentato in dicembre alla Biblioteca cantonale di Lugano davanti a un folto pubblico, potrebbe figurare negli istituti scolastici superiori del Ticino ed essere sfogliato dagli allievi. Pur non pretendendo di trasmettere valori educativi, il volume dedicato a Orio Galli vi riesce con la documentazione viva di una parte di storia ancora recente che ci appartiene.

50 anni di graphic design è la monografia di un grafico indipendente che racconta la sua vita, segnata da avvenimenti, scelte, viaggi, incontri che in lui si identificano felicemente con la professione. Orio Galli, nato nel 1941, grafico lo è per autentica, irresistibile vocazione.

In cinquant’anni Orio Galli non si è solo «limitato» a illustrare, ma ha anche raccontato il Paese Attorno al 1960 cresceva in Ticino l’attività nel settore terziario, nelle immobiliari, negli investimenti, ma era quasi sconosciuta una forma di comunicazione artistica tipica della seconda metà del 900 che pur andava affermandosi mondialmente. Erano di là da venire la globalizzazione, il dominio del computer, le tecniche di marketing; la televisione era agli inizi, ma soprattutto era sconosciuta l’odierna velocità di trasmissione della comunicazione. «Orio Galli» scrive Mario Botta presentando il volume «parte dalla razionalità della moderna

tradizione grafica «svizzera» d’oltralpe per approdare verso realtà culturali meno dogmatiche e ideologiche, credo che il suo lavoro creativo sia costantemente influenzato da una cultura e da una luce mediterranee, specifiche di questo territorio a sud delle Alpi».

La diffusione pionieristica della grafica sta tutta in questo volume di 200 pagine, dove 400 riproduzioni a colori si susseguono in ordine cronologico e tematico, offrendo una testimonianza dell’evoluzione di un territorio nell’arco di cinque decenni: «Credo che l’attività di un graphic designer», annota sempre Botta «non sia semplicemente un lavoro neutro del vivere, le immagini che colpiscono l’occhio del fruitore si declinano anche come pensieri, veri e propri stimoli trasmessi (talvolta contrabbandati) dall’artista». Da piccoli schizzi a penna, logotipi, sigle, marchi aziendali e industriali, dépliant e copertine di libri si arriva a manifesti di grande formato. Appare immediato l’inconfondibile linguaggio grafico di Orio Galli che, a dipendenza dei temi, si fa sobrio e sommesso o gioioso e smagliante. Il commento che accompagna le immagini chiarisce il lavoro a monte, la committenza e il contesto, le notizie raccolte prima della realizzazione, la funzione del simbolo grafico, l’intenzionalità precisa che guida la reinterpretazione delle forme alla stesura finale. E rivediamo con piacere manifesti di grande formato entrati nella memoria collettiva di una generazione: come quelli degli anni 7080 per l’Ente ticinese per il turismo, che lanciarono oltralpe e oltre gli stereotipi un entusiasta inedito richiamo a visitare Lugano, Locarno, Ascona, il San Gottardo. Rivediamo il lavoro realizzato per il padiglione del canton Ticino, ospite d’onore nel 1982 al Comptoir di Losan-

L’impronta del pollice destro di Orio Galli, con la quale negli Anni 80 vinse exaequo il premio per l’artigianato svizzero.

na, o l’immagine pubblicitaria, stranamente intima e familiare, della caffettiera di caffè Moretto, (segnalato nel 1970 tra i migliori manifesti svizzeri).

Ma rimarrà indimenticabile, e non a caso ha oltrepassato i confini svizzeri tradotto in arabo, russo e giapponese, il manifesto dove campeggia la scritta: «Ticino terra d’artisti», una poetica visione ottenuta con la fusione degli affreschi del XVI secolo di una chiesa romanica e la riproduzione di una casa

contemporanea: tre figure sacre rubate alla chiesa di S. Stefano a Miglieglia occupano lo sfondo, mentre in primo piano si staglia la Casa rotonda di Stabio del 1981, un’ardita composizione che sfocia in un’immagine di rara armonia cromatica e formale.

Il lavoro del grafico oggi, nella frastornante sovrabbondanza comunicativa, ha subito una mutazione totale, la virtualità ci ha regalato, con il progresso tecnologico, il rischio di una ba-

nalizzazione indifferenziata. Si chiede Orio Galli: «quanti ne sono veramente consapevoli? Queste infinite possibilità messe a disposizione dagli ordinatori numerici, se non sono gestite con competenza e rigore, rischiano di produrre solo accumulo di immagini, suoni, movimenti. Le giovani generazioni non sanno più tenere una matita o una penna in modo ergonomicamente corretto, molti cosiddetti disegnatori non disegnano più se non per mezzo di una tastiera o di un mouse». E allora occorre ricordare che per tutta la vita Orio Galli ha coltivato la gratuita passione per la «calligrafia» nel senso più vero del termine, difendendo la funzione insostituibile di questa antica pratica manuale che ci lega a chi ci ha preceduto, che non può prescindere da pennino, cannuccia, inchiostro, pennello. «Quando la mano», scrive, «diventa un sensibilissimo sismografo che mette in luce le nascoste vibrazioni del cuore e della mente umana». Per lui la calligrafia è una forma di creazione dove il segno oltrepassa la trasmissione del significato, si fa «significante» autonomo.

Rimane ancora da menzionare un altro aspetto di Galli del quale il volume rende giustizia solo in minima parte: la grande attenzione critica per le vicende civili e politiche del suo paese; da molti anni il grafico-artista ci accompagna con centinaia di vignette su quotidiani e riviste, in una forma di satira umoristica e spesso graffiante, ironica e giocosamente dissacrante.

Bibliografia

Orio Galli, 50 anni / years di /of graphic design (testi in italiano e in inglese). Losone, Tipografia Poncioni SA, 2015.

Zoolander, icona trash ma tanto pop Incontri A colloquio con l’attore statunitense Ben Stiller, recentemente a Roma per presentare – quindici anni dopo –

il sequel di Zoolander, film culto da lui diretto e interpretato

Blanche Greco Derek Zoolander non è un ologramma, come certi cantanti giapponesi; non è un ectoplasma del web, eppure è qualcosa di più di un «super» modello dell’alta moda ideato e interpretato da Ben Stiller in un film – basta guardarlo mentre, testimonial della 500X, alla guida del famoso «ovetto» giallo, lancia il suo sguardo magnetico atteggiato nella celebre espressione «Blue Steel» (tra il broncio alla Brigitte Bardot e un bacio plateale) e rivolto alla

telecamera stradale conclude: «Sono così bello».

Lo stesso Ben Stiller, a Roma per presentare il film Zoolander 2, del quale è regista e uno dei protagonisti, ci ha confessato ridendo di non sapere esattamente cosa aspettarsi da questo suo personaggio quasi dotato di vita propria: «Derek era nato per uno sketch che prendeva in giro il mondo “ansiogeno” e “glamour” della moda. Lui, modello di successo le cui idee si fermano alla continua contemplazione della propria immagine in uno specchio, raccolse

Ben Stiller e Clive Owen in Zoolander 2. (Keystone)

tanti e tali applausi nelle sue esibizioni del 1996-97, che ne feci il protagonista di Zoolander, film nato sotto i migliori auspici, ma “cancellato” dagli orribili attentati dell’11 settembre, infatti uscì nelle sale proprio nel settembre del 2001. Pensavo che Derek Zoolander fosse ormai un capitolo chiuso. Con il DVD il film, quasi in sordina, conquistò un suo pubblico sino a diventare un “cult” tra i giovani che hanno fatto di Derek una sorta d’icona underground.

Il web gli ha dato così una seconda vita e una fama a livello planetario, un po’ come è successo ai dischi in vinile ad esempio».

Derek e Hansel, il suo amico-nemico modello dal look «rockstar-bohemien», interpretato da Owen Wilson, sono diventati famosi persino in India, e Will Ferrell, che nel film interpretava il megalomane e perfido stilista Mugatu, come Ben Stiller e Wilson, ha cominciato a ricevere messaggi e richieste dai fan di Zoolander in febbrile attesa del sequel. «Così, dopo quindici anni, mi sono deciso a fare Zoolander 2», ci ha raccontato Ben Stiller, «e, come nel primo film, ho chiesto a stilisti famosi, modelli, attori e musicisti di recitare in un cameo accanto a Derek, poiché era importante che un film come questo nascesse da un’interazione continua con il vero mondo e le icone della moda. Per fortuna hanno accettato tutti con entusiasmo».

Incastonati in una trama complicatissima, disseminati in inquadratu-

re che si rifanno a celebri film, a serie televisive di culto, o anche a fumetti di supereroi con tanto di battute autoironiche, ritroviamo i grandi nomi del mondo della moda come Valentino, Marc Jacobs, Tommy Hilfiger, la direttrice di «Vogue» Anna Wintour, Naomi Campbell, Milla Jovovitch, oltre a musicisti e attori come Bieber, Sutherland, Freeman, Malkovich o Sting (quest’ultimo monaco dalle sorprendenti qualità). Inoltre non possiamo non citare Penelope Cruz, nei panni di Valentina Valencia, ex modella di costumi da bagno tradita dal fisico e diventata Agente Speciale Fashion dell’Interpol e Kristen Wiig, trasformata dal make up artist Mark Coulier in Alexanya, «plasticosa» super cattiva.

«Volevo riportare sullo schermo i personaggi originali con una storia divertente e assurda, in linea con il primo film, che li mettesse in mostra con le loro vanità e le loro reazioni ridicole. In fondo sono adepti di un mondo i cui riti non hanno senso per le persone comuni. Il tutto è amplificato dalla tecnologia, molto cambiata in questi ultimi quindici anni: le videocamere dei cellulari e i social media come Twitter, Facebook e i blogger, sono entrati in modo prepotente nel mondo della fashion e delle passerelle, al punto che Derek e Hansel in certi momenti sono visti quasi come reperti archeologici.

La brutalità di questa situazione viene addolcita dalla luce e dalla bellezza di Roma. Ho voluto girare qui perché

secondo me Derek ha un poco una “sensibilità italiana”. Inoltre in questo contesto grandioso e monumentale lui, con le sue manie, sembra ancora più buffo. Ma soprattutto mi piaceva girare il film a Roma, una città meravigliosamente “fotogenica”, e cinematografica malgrado la calura estiva ed i tanti turisti». Derek Zoolander a Roma mangia insalata (è perennemente a dieta), e si batte insieme ad Hansel contro il nuovo malefico piano di conquista del mondo della moda da parte di Mugatu, che tenta di eliminarlo persino con piatti di pasta alla puttanesca. Ma lui con il suo cellulare microscopico senza videocamera, utilizzando tutti i suoi gadget retrò e la magia della sua mitica espressione «Blue Steel» ribatte colpo su colpo.

«Confesso di non essere un nostalgico, ma penso che invecchiando ci si affezioni ad oggetti considerati “vintage”, perché sono emblema della cultura della nostra gioventù, che, per quanto mi riguarda, ha avuto dei cambiamenti radicali in questi ultimi trent’anni. Quegli oggetti adesso rappresentano un modo di vivere che oggi non esiste più e che si ritrova nei film e nella musica di un’epoca, ma concretamente solo nei pochi oggetti che alle volte ci portiamo dietro», ha concluso Ben Stiller, mentre Derek Zoolander si preparava ad esibirsi con Hansel nelle vetrine di «Valentino» in Piazza di Spagna bloccando il traffico, da vera «icona pop».

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Cultura e Spettacoli

A uno scrittore premiato Alessandro Zanoli Ci ho messo un attimo a radunare i suoi libri: sono i primi a sinistra (è un caso...) nello scaffale dei ticinesi moderni. Ci sono quasi tutti. Il primissimo, difficile da trovare, I giorni feriali, del ’69, non ce l’ho. Ma ricordo ancora con quale senso di orgoglio e anche di imbarazzo avevo comprato, giù dall’Onusti, Ai margini, Collana di Lugano. Eccolo qua. Il libro di poesie del mio professore di italiano. Era il 1975, di libri in quell’epoca i professori ne scrivevano meno di oggi. O perlomeno erano in pochi a pubblicare libri di poesia. A noi ragazzi la poesia piaceva. A dirlo oggi può sembrare strano. Ma noi leggevamo Lorca, e Ginsberg, e Pavese, Quasimodo. Le nostre compagne di scuola ricopiavano nel diario Ed è subito sera. Non come compito, ma perché le commuoveva.

Il professor Nessi a scuola ci spiegava molta poesia, e questo lo apprezzavamo, dunque. Poesie di vario tipo, scelte nell’antologia Gli incontri. Leopardi, certo (per forza in terza ginnasio) e poi Alla Sera di Foscolo. Ma il professor Nessi sceglieva anche Gozzano: La signorina Felicita gli piaceva, e ci dava da leggere anche quella, per farci sentire una lirica ironica, demodé. E per la prosa aveva scelto Pratolini, con quelle atmosfere austere, un po’ tristi, essenziali. Poi in quarta aveva ingranato una marcia diversa: ci portava delle sue pagine ciclostilate, scritte con una macchina da scrivere dai caratteri sottili e le righe fitte. Si capiva che

passava la sera a ricopiarci i libri che gli piacevano (le fotocopie non esistevano ancora): gli piaceva Fenoglio, La Malora. Gli piaceva Bianconi, e ci portava trascritto il primo capitolo di Albero genealogico, quello della valle che si allaga e della donna che partorisce e non ha niente da mangiare, allora esce dalla catapecchia a raccattare dell’erba da bollire. Ci portava poesie anche strane: Musée des Beaux Arts di W.H. Auden. E poi in quinta, sotto: tutti a leggere Il giovane Holden. Non ci era piaciuto molto. Oggi forse posso capirlo: Holden Caulfield, il ragazzo che si fa espellere dal college e vaga per la notte di New York chiedendosi dove vanno in inverno le anitre di Central Park, somigliava più a lui, che a noi.

Lo si intuisce se si legge ad esempio quel suo bellissimo libro di racconti dell’89, Tutti discendono. Oppure nei Fiori d’ombra del ’97. È il ritratto della sua adolescenza e della Chiasso amataodiata in cui i giovani sentono forte gli echi d’America e si innamorano del jazz, degli attori e degli scrittori dalla gioventù bruciata. Quel senso di straniamento e di insoddisfazione che fa apprezzare i particolari minimi, le sfumature. Le storie sghembe dei piccoli insuccessi, messe di fronte alla nuova insensibilità e alla nuova ricchezza dei commerci. La sincerità dell’imperfezione che si oppone all’opulenza cruda e anche inumana del successo. In un altro modo, tutto questo c’era anche in Terra matta, dell’84, che è il suo libro forse più conosciuto. Storie di ribellione, di passione idealista, in un mondo

Ti-Press

Ritratti Alberto Nessi, che ha ricevuto negli scorsi giorni il Premio svizzero di letteratura, nei ricordi di un suo allievo

che sembra non contemplare la libertà di pensiero.

Il professor Nessi aveva questo di affascinante per noi: sapeva sempre cercare un contrasto da segnalarci, qualcosa che suonasse diverso dagli eventi normali della vita di ogni giorno. Sapeva scegliere un particolare fuori dalla linea dell’orizzonte e ce lo metteva davanti agli occhi. La sua poesia mi piaceva proprio per quello.

Trasformava la quotidianità invisibile, consunta, in un pozzo di idee e di verità da osservare: la poesia che parlava dei frontalieri, «l’occhio seguiva le strade del piano / dove ogni giorno

corrono utilitarie / guidate da braccia che costano poco – / si passa il confine di buon’ora / e ci si vende nelle fabbriche» era per me una capriola ritmica acrobatica (tra endeca e decasillabi) di grande bravura. Come un volo lirico d’uccello sopra la realtà caotica del Mendrisiotto.

Per me il professor Nessi rimaneva un punto di riferimento. Compravo i suoi libri e li leggevo con attenzione, cercando quei segnali, quegli indizi che mi permettessero di continuare a seguire il suo percorso di indagine.

Ci trovavo il ritratto del nostro vicino di casa, l’uomo con tre dita, quello

che andava in giro in canottiera anche in inverno. Ci trovavo il pancucco e le lucertole che camminano sui muri di sasso in estate. E così, penso, abbiamo fatto in molti. In tanti abbiamo atteso i suoi libri, come occasioni di curiosità e di scoperta passate attraverso storie e sentimenti legati alla nostra terra.

Abbiamo continuato a seguirlo, anche negli anni più recenti, in cui la sua vena di scrittore è diventata più densa e narrativa e i suoi personaggi più corposi: la Lirica, José de La prossima settimana forse. E nelle ultime storie, i racconti di Milò, abbiamo ritrovato il ritmo e il respiro dei racconti che aveva scritto negli anni 80.

Un libro non trovo, nello scaffale, e mi incaponisco un po’, perché mi spiace molto. Era sottile e ingiallito, un libretto ESG. Me l’avevano dato in quinta elementare e si intitolava Un’estate. Mi era piaciuto, allora, perché raccontava la storia di un bambino cresciuto in un piccolo paese di provincia, un paese vicino a un fiume. Viveva in una vecchia casa e aveva la testa piena di storie e voglia di avventure. Quando erano arrivati i cosacchi, ad esempio, e avevano montato un tendone per dare uno spettacolo da circo, il ragazzo con i suoi amici erano andati a spiarli e ad ammirare le loro sciabole, i cavalli, i fuochi. Soltanto dopo qualche anno avevo scoperto che quel libretto l’aveva scritto il professor Nessi. Col senno di poi ho sempre pensato che quel libro gli assomigliasse molto e mi faceva molto piacere di averlo conservato.

Adesso mi rimetto a cercarlo.

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Cultura e Spettacoli

Una Grande Muraglia per difendersi dai nemici Mostre Al Laténium di Neuchâtel un’esposizione sui rapporti tra Mongolia e Cina, 2000 anni or sono

Marco Horat È vero che la storia non si ripete mai uguale a sé stessa in un infinito movimento ciclico; talvolta però si può avere l’impressione che succeda davvero così. Prendiamo ad esempio il tema proposto dalla mostra del Laténium di Neuchâtel-Hauterive Dietro la Grande Muraglia – Mongolia e Cina ai tempi dei primi imperatori.

Anche se con materiali e modalità di volta in volta nuove, da sempre l’uomo ha innalzato muri per difendersi Due culture diverse si affrontano nelle pianure asiatiche a partire dal III secolo a.C. lungo quattrocento anni di lotte per il dominio della regione: da una parte Qin Shi Huangdi primo Imperatore Han morto nel 210 a.C. Con lui si decide di dare avvio a quella che diventerà nei secoli la Grande Muraglia – completata verso ovest in epoca Ming – allo scopo di proteggersi dai nemici esterni sempre più numerosi e agguerriti. Un muro per delimitare il territorio, non diversamente da quanto ancora oggi si ritiene misura efficace contro i barbari di ogni genere che vengono da fuori a mettere in pericolo l’ordine costituito e il benessere, siano essi profughi siriani, eritrei o palestinesi; la risposta è sempre muri e filo spinato.

Dall’altra parte, a nord, stanno invece i non meno celebri Mongoli Xiongnu che hanno poco in comune quanto a stile di vita con i potenti vicini cinesi. Come sarà ancora nel XIII secolo quando con Gengis Khan i Mongoli conquisteranno, armi in pugno, grandi territori in Asia centrale, Cina, Russia, Persia, Medio Oriente, Europa orientale. Si fronteggiano due culture e due popoli: uno essenzialmente composto di contadini stanziali che vivono in zone fertili lungo i grandi fiumi della Cina, con a capo un imperatore e la sua raffinata corte, l’altro di pastori bellicosi nomadi e seminomadi, dediti all’allevamento del bestiame e guidati da nobili guerrieri che si spostano con il loro seguito su carri e veloci cavalli.

Due civiltà incompatibili che si

Bue che tira un carro, dinastia Han (206 aC-220 dC). (© Mudac. A. Conne - AN)

sono scontrate ma anche incontrate nei periodi di pace, e che hanno generato espressioni artistiche diverse di qua e di là della Grande Muraglia, nonché lungo la famosa Via della Seta che dal II secolo a.C. unirà la Cina al Mediterraneo.

La locandina dell’importante mostra in corso al Laténium.

Come non ricordare qui tra parentesi le innumerevoli pellicole western o i fumetti di Tex dove uno dei temi ricorrenti è appunto la lotta per accaparrarsi i territori migliori tra indiani e bianchi, oppure, più tardi, tra zappaterra e allevatori senza scrupoli; la storia che ritorna secoli dopo in un altro continente e con contorni differenti ma sempre perseguendo gli stessi scopi.

Il tema della bella mostra è stato suggerito dagli scavi effettuati in Mongolia da una missione svizzero-mongola coordinata dall’Istituto di archeologia dell’Università di Neuchâtel nel sito di Boroo Gol, che ha dato nel corso degli anni risultati di grande interesse scientifico con reperti che vengono ora presentati al pubblico svizzero in uno scenario che richiama il teatro cinese delle ombre. La mostra è frutto della collaborazione tra università, laboratorio di restauro e museo neocastellani.

Meno studiata e conosciuta l’archeologia mongola rivela le sue caratteristiche culturali legate alla vita delle steppe asiatiche nei secoli a cavallo

della nostra era: sepolture di guerrieri aristocratici spesso di grandi dimensioni e profonde fino a una ventina di metri, ricche di offerte votive in bronzo e in ferro che rappresentano animali mitologici, ma anche in oro e ceramica di pregio, prodotte in loco o importate dalla nemica e più raffinata Cina; guerrieri caduti sui campi di battaglia all’ombra della Grande Muraglia.

La missione archeologica svizzera ha scavato in particolare in un luogo chiamato Bayanbulag, teatro di un cruento scontro tra le tribù xiongru e le armate han dove sono venute alla luce armi, armature e figure in terracotta che rappresentano guerrieri a piedi o a cavallo. Ad unire e dividere nello stesso tempo i contendenti ecco in mostra la ricostruzione di un tratto della famosa muraglia e la suggestiva maquette di un cantiere dell’epoca che fa capire quali furono i mezzi impiegati e le tecniche costruttive di duemila anni fa. Saltato il muro, e grazie a prestiti internazionali di grande valore, si schiude al visitatore la Cina degli Han con le sue ricche

sepolture adorne di gioielli, oggetti in bronzo, ceramiche di grande bellezza, figurine di giada o di terracotta che ritraggono con plasticità personaggi delle varie classi sociali di allora. Curioso il ritrovamento in alcune tombe di modelli architettonici in miniatura che riproducono palazzi, case di abitazione o granai; dono votivo per chi se ne era andato, ma che così avrebbe potuto ritrovare le sue proprietà nell’aldilà. Qui come altrove restano celate nell’ombra le migliaia di tombe dove sono sepolti contadini e pastori dell’una e dell’altra parte, vittime delle guerre combattute dai potenti. Uomini e donne che arrivati nell’aldilà, ancora una volta, non ritrovavano niente di prezioso.

Dove e quando

Derrière la Grande Muraille. Mongolie et Chine aux temps des premiers empereurs. Laténium, 2068 Hauterive. Orario: ma-do 10.00-17.00; lunedì chiuso Fino al 29 maggio 2016. www.latenium.ch

Cento pareri Pubblicazioni Bella antologia sui pareri di lettura dell’Einaudi, lungo cinquant’anni

della casa editrice torinese

Stefano Vassere «Se è vero che un grande ritratto deve sembrare somigliante anche per chi non ha mai conosciuto l’originale (Lukács) e che in un qualche modo deve rappresentare il “dramma naturale interno” (Raimondi) del proprio soggetto, i pareri editoriali sono al contempo ritratti e autoritratti. Ritratti di libri e autoritratti di lettori che, mettendo esplicitamente in gioco il loro gusto e la loro sensibilità, tracciano, uno per uno, l’affresco generale di un’epoca».

Tradizionalmente (anche se l’impressione, ma magari è sbagliata, è che la consuetudine sembra di recente meno intensa), le case editrici disponevano di una rete di consulenti, spesso di indiscussa qualità e di severissima selezione, che redigevano con regolarità e

puntiglio variabile delle schede-parere relative ad altrettanti manoscritti loro sottoposti in vista della prospettiva di una pubblicazione. Questo materiale, insieme a tutta una serie di carte, scartoffie e paperasse di contorno, lettere accompagnatorie, bigliettini, comunicazioni, rappresenta quello che si potrebbe chiamare un epitesto, oltre che sicuramente un genere a sé. Un genere che emerge bene e chiaro in questo Centolettori. I pareri di lettura dei consulenti Einaudi. 1941-1991, uscito da poco appunto nelle edizioni Einaudi a cura di Tommaso Munari.

Sono quasi duecento, i pareri recuperati dall’archivio della casa editrice; una serie che esalta sia i segnalatori (Pintor, Zevi, Ernesto De Martino, Natalia Ginzburg, Vittorini, Cases, Contini, Fortini, Magris, Augias, molti altri)

che i segnalati (Edgar Morin, Lalla Romano, Propp, lo stesso Calvino, Canetti, Cortázar, Borges, Gadda, Genette, molti altri). E l’apparato è diffuso, perché oltre al parere vero e proprio ci sono anche informazioni che riguardano le contingenze della segnalazione e il destino editoriale (pubblicato o non pubblicato? Quando?) del manoscritto in questione.

A parte il fatto che le schede hanno spesso un loro stile, che si sforza qua e là di risultare anche creativo e originale, uno dei passatempi più diffusi tra noi tutti è, al solito, quello di andare a vedere fino a che punto al giudizio abbia poi fatto seguito una conclamata fortuna dell’opera. Così, si scopre che secondo Giaime Pintor (nel 1943, figuriamoci!), Vittorio Sereni come poeta, «benché abbia molti fautori mi pare ancora in-

determinato»; per Natalia Ginzburg (che intenerisce, anche in questo ambito, per quel metro gentile che tutti conosciamo), Maria di Lalla Romano «è il primo manoscritto che mi piaccia davvero». Poi, secondo Sergio Solmi, Borges è un «grande “dilettante” (dico in senso tutt’altro che spregiativo)». E se Franco Lucentini coglie tutta la luce del nouveau roman di Alain RobbeGrillet, Renato Solmi è esitante (alla fine «il mio parere, comunque, è negativo») su quello che sarà poi conclamato come un tranquillo capolavoro universale come le Mythologies di Barthes.

Finito il passatempo dell’«aveva ragione il tale e aveva torto il talaltro», questo Centolettori fa sentire, pagina dopo pagina, il profumo di un’impresa editoriale ferma nella sua tradizione e dell’«affresco generale di un’epoca». E

fa provare, chiusa l’ultima pagina, letto l’ultimo parere, tutta la nostalgia di quell’epoca tanto perduta.

Bibliografia

Centolettori. I pareri di lettura dei consulenti Einaudi. 1941-1991, a cura di Tommaso Munari, Torino, Einaudi, 2015.

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Cultura e Spettacoli

Una lunga storia di arte e passione Spazi d’arte La Galleria Mosaico di Chiasso compie 50 anni e conclude la sua attività. Ne parliamo con la direttrice

Gianna Macconi Paltenghi, moglie del fondatore

Alessia Brughera Dopo mezzo secolo di vita, la storica Galleria Mosaico di Chiasso chiude i battenti. Era presente quando ancora nel Mendrisiotto non c’erano musei e per decenni è stata non solo uno spazio espositivo ma anche e soprattutto un luogo di ritrovo dove discutere di arte.

Fondata nel 1966 da Gino Macconi, pittore e promotore culturale dalla brillante personalità, negli ultimi diciassette anni è stata gestita dalla moglie Gianna Macconi Paltenghi, che ha saputo proseguire con passione e intelligenza l’opera iniziata dal marito.

Nel corso di un cinquantennio sono passati da questa galleria tanti giovani artisti diventati poi nomi affermati, di cui con intuito Macconi aveva fin da subito riconosciuto il talento.

La Mosaico è stata un tassello importante della storia del nostro territorio, capace di resistere per così tanto tempo proprio grazie all’esperienza e alle scelte oculate del suo fondatore e direttore.

Oggi la sua vicenda si conclude, ma nell’ormai ampio panorama di gallerie d’arte grandi e piccole sorte nel Cantone rimarrà sempre un modello a cui far riferimento.

Signora Macconi Paltenghi, la Galleria Mosaico nasce con suo marito

Gino, figura poliedrica e molto attiva in ambito culturale. È stato pittore, esperto d’arte, documentarista, insegnante... Come lo ha conosciuto?

Dapprima ho conosciuto il Gino insegnante, quando faceva il supplente al Ginnasio di Mendrisio, dove ero docente. Lo vedevo solo nei corridoi della scuola perché lui non entrava mai in sala professori. Un giorno un collega gli ha chiesto di fargli visitare la galleria Nord-Sud a Lugano che in quel periodo gestiva insieme a Giuseppe Curonici.

Così ci siamo andati tutti insieme ed è stato allora che ho scoperto il Gino gallerista. Poi ho visto le sue opere e ho avuto modo di apprezzare il Gino pittore...

1966: come è maturata la scelta di occuparsi di cultura attraverso una galleria?

Gino aveva già avuto esperienza come gallerista alla Nord-Sud di Lugano.

Il suo nome era stato fatto dal pittore Edmondo Dobrzanski che lo stimava come artista e come persona.

Gino amava il contatto con la gente e oltretutto aveva una grande capacità di persuasione... Quando si è presentata l’occasione di riprendere il discorso a Chiasso, dove sorgeva un palazzo in cui era prevista una galleria d’arte, ha pensato che potesse essere una buona opportunità da cogliere.

Qual era la situazione a quei tempi?

Dico sempre che Gino era onnivoro, non seguiva una tendenza particolare perché si lasciava guidare soprattutto dal gusto. Sapeva cogliere le occasioni interessanti e aveva la competenza per capire se un’opera era valida o meno.

Tanti pezzi che fanno parte della collezione sono poi frutto di scambi con gli altri artisti, spesso suoi cari amici. Per questo abbiamo molti lavori dedicati.

Ai tempi non c’era niente. A Chiasso non si trovava nemmeno una libreria!

Nel Mendrisiotto era presente solo il Museo Vela di Ligornetto. La Pinacoteca Züst di Rancate avrebbe aperto nel 1967, il Museo d’Arte di Mendrisio nel 1982. Proprio per questo il terreno era molto fertile: era tutto da creare. Se avevi intraprendenza e la giusta preparazione potevi fare davvero molto. Quelli poi erano gli anni del boom economico di Chiasso, strategica città di confine, per cui anche dal punto di vista finanziario la situazione era particolarmente propizia.

Oggi la Mosaico compie 50 anni.

Facciamo un salto indietro fino al

La lunga storia della Mosaico permette di fare dei raffronti tra il clima

È stato anche un grande collezionista. Come sceglieva le opere? C’era una precisa linea di tendenza?

Sguardi sulla memoria I disegni giovanili di Gino Macconi per l’ultima esposizione alla Galleria Mosaico

Concorsi

L’ultima mostra ospitata alla Galleria Mosaico è dedicata ai disegni realizzati da Gino Macconi prima dell’inizio della lunga avventura come direttore dello spazio espositivo chiassese.

Lo spunto della rassegna giunge dal tema del Concorso per giovani artisti, che quest’anno è la memoria: «Sono andata indietro il più possibile» spiega Gianna Macconi Paltenghi. «Quelli esposti sono i lavori più vecchi che ho trovato, oltretutto mai presentati sinora. Vanno dagli anni Quaranta, quando Gino era ancora un adolescente, al 1966, quando è iniziata la sua attività di gallerista alla Mosaico.

Era fin lì che bisognava arrivare». È un ritorno agli esordi, dunque, a un

091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 11.00 alle12.00

periodo ricco di stimoli in cui il pittore si confronta in maniera proficua con diversi movimenti e artisti, elaborando il suo linguaggio personale. Nei circa cinquanta disegni riuniti si riconoscono infatti stilizzazioni vicine alle volumetrie del Novecento italiano, suggestioni chagalliane, influenze dalle ricerche astratto-geometriche o, ancora, atmosfere affini al Naturalismo lombardo.

Macconi ha impresso sulle carte piccoli brani del mondo ordinario che lo circondava, un mondo semplice e affascinante da lui indagato con curiosità. Le opere esposte offrono uno spaccato dei soggetti prediletti dall’artista – quelli che ritorneranno spesso anche nella produzione successiva – e sono testimonianza della sua tecnica versatile e raffinata. Si

tratta di paesaggi, situazioni e personaggi locali di cui il pittore ha saputo catturare l’aspetto autentico attraverso un segno spontaneo e immediato: Ligornetto, Genestrerio e Riva San Vitale immortalati dalle retrovie in sintetici scorci dove il dato reale viene liberamente interpretato, il circo Orfei a Varese con i suoi clown e acrobati, la giostra dell’Arduino alla fiera di San Martino, la visita del vescovo, gli operai e i contadini impegnati nelle loro mansioni quotidiane, i volti della gente conosciuta oppure incontrata per caso quando, con la bicicletta e il blocco di schizzi, girava per le strade del Mendrisiotto in cerca di ispirazioni. Sguardi sul territorio e sulla sua gente, questi, nati dal gesto repentino di un abbozzo, ma custodi di un valore senza tempo.

Swiss Chamber Concerts Rassegna musicale Conservatorio, Lugano Giovedì 10 marzo, ore 19.00

artistico degli anni Sessanta e quello odierno. Che cosa è cambiato?

Negli anni Sessanta c’era uno spirito diverso, c’era più curiosità. Forse proprio perché si conoscevano e si vedevano poche cose, la voglia di scoprire era più forte. Gino poi intratteneva i visitatori parlando e spiegando loro l’arte. C’era inoltre una maggiore apertura nei confronti dell’estero: il lunedì, quando la Mosaico era chiusa, mio marito andava sempre a Milano a visitare musei e gallerie e a incontrarsi con gli artisti.

Ho l’impressione che oggi la mentalità sia un po’ più chiusa...

Chi frequentava la galleria?

Erano insegnanti, impiegati... gente comune che, se era interessata a un quadro, pur di averlo lo pagava a rate.

C’erano anche molti professionisti che acquistavano opere, sia perché amavano l’arte sia perché poteva essere una forma di investimento. Molti hanno fatto ottimi affari comprando i primi Ferrari o Lucchini; si fidavano di Gino e della sua perizia. Quel tipo di collezionismo adesso non c’è più.

Negli ultimi anni ogni mostra è stata un caso unico, non sapevo che tipo di pubblico sarebbe venuto né chi avrebbe acquistato.

Nella vostra galleria avete esposto artisti affermati e artisti emergenti...

Siamo sempre stati al passo con i tempi.

Una delle prime mostre organizzate da Gino in galleria, ad esempio, è stata quella di Mario Radice, che in quel periodo non era certo il classico figurativo... Abbiamo esposto Chighine, Guenzi. E poi Ferrari, Bellini, Guinzani, Lucchini, Collina, che negli anni Sessanta avevano quasi tutti meno di trent’anni. Anche oggi ci occupiamo dei giovani, con un concorso biennale che organizziamo in collaborazione con il Comune di Chiasso. Le opere degli artisti emergenti premiati vengono presentate qui. La Mosaico può sembrare una galleria un po’ fuori dal tempo, e per certi versi lo è davvero, però anche noi ci siamo adattati e abbiamo esposto lavori un po’ inusuali per questo spazio, trovando soluzioni di allestimento sempre nuove.

Ha un ricordo particolare legato alla galleria?

Ritratto di profilo, di Gino Macconi (1960).

E poi gli artisti che frequentavano spesso la galleria: Lucchini, Bellini, Ferrari, Gabai, Valsangiacomo, Mazzucchelli, Ossola... Con Gino si intrattenevano per ore. Di lui dicevano che era un gallerista alla vecchia maniera e gli riconoscevano una maggiore sensibilità proprio per il fatto che era pittore. Alla Mosaico tutti questi artisti venivano a discutere, talvolta persino a litigare! Prendevano sedie e tavolino e incominciavano a scambiarsi considerazioni oppure spargevano sul pavimento le opere e si confrontavano tra loro. Per molti anni la galleria è stata anche questo, un luogo di dibattito e di condivisione. Ancora oggi tanti artisti ricordano con un po’ di nostalgia le sere e le domeniche trascorse qui a parlare di arte.

Perché è arrivato il momento di chiudere?

Per motivi contingenti. La Mosaico è nata come galleria e libreria insieme e tra poco i due librai andranno in pensione. Forse è meglio così, perché altrimenti io non avrei saputo quando smettere...

Dove e quando

In realtà ne ho molti... Ricordo Mario Radice e Giovanni Molteni, che venivano a trovarci sempre accompagnati dalle mogli, o Alfredo Chighine, una persona forte e curiosa.

Gino Macconi. Galleria Mosaico, Chiasso (Via Bossi 32). Fino al 20 marzo 2016. Orari: ma-sa 15.00-18.00 e su appuntamento. Tel. 091 682 48 21.

Tra jazz e nuove musiche Rassegna di Rete Due Cinema Teatro, Chiasso Sabato 12 marzo, ore 22.30

Vesperali Rassegna di musica sacra Chiesa di S. Antonio, Lugano Domenica 13 marzo, ore 17.00

Minispettacoli Teatro per l’infanzia Oratorio San Giovanni, Minusio Domenica 13 marzo, ore 15/17

Magma – Holliger

Ray Anderson & SMUM Lugano

Libre Vermell de Montserrat

Berta e Girolamo

Musiche di W. A. Mozart, H. Holliger, X. Dayer, R. HP. Platz, J. Haydn.

Felix Renggli flauto Heinz Holliger oboe Jordi Pons clarinetto basso Dmitry Smirnov violino Jürg Dähler viola Daniel Haefliger violoncello Matthias Würsch percussioni / glassarmonica

Una produzione RSI Rete Due nell’ambito del XIX Festival di cultura e musica jazz di Chiasso, dal 10-12 marzo 2016.

In collaborazione con il Centro Culturale Chiasso – Cinema Teatro

Canti di pellegrini al santuario mariano (XIV secolo).

Coro «Clairière» del Conservatorio della Svizzera italiana.

Direzione di Brunella Clerici.

Ensemble di strumenti antichi Anonima Frottolisti.

Testimonianza di Lucetta Scaraffia, storica e scrittrice.

(Per i vincitori del concorso posti speciali riservati).

Teatro Paravento Locarno

www.swisschamberconcerts.ch

www.rsi.ch/jazz

www.vesperali.ch

www.minispettacoli.ch

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

E la storia di un ippopotamo che sostiene di essere l’animale più bello della foresta e si scontra con Berta la giraffa che invece sostiene essere lei la più bella.

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 2 marzo al numero sulla sinistra nell’orario indicato.

Buona fortuna!

Al profumo d’aglio orsino.

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5.10

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Cultura e Spettacoli

Il grande buio di Harper Letteratura&cinema La recente scomparsa dell’autrice statunitense Harper Lee

ci dà l’opportunità di riprendere in mano il suo (quasi) unico libro

Il cardinale, i bambini e la vergogna Cinema Spotlight

è candidato a 6 Oscar

Nicola Mazzi Ricordando la recente scomparsa di Harper Lee, morta a 89 anni, nella sua città natia, Monroeville in Alabama, cerchiamo di analizzare in che modo il suo capolavoro Il buio oltre la siepe (1960) è stato trasportato sul grande schermo. Iniziamo col dire che, se il romanzo vinse il premio Pulitzer, all’adattamento cinematografico di Robert Mulligan (1962) furono riconosciuti 3 premi Oscar, tra cui la statuetta a Gregory Peck quale miglior attore protagonista.

Partiamo proprio da Peck. Lui, nel ruolo dell’avvocato Atticus Finch, raggiunse uno dei suoi apici. Fu la stessa Harper Lee a consacrare la scelta del produttore Alan J. Pakula e della Universal. Lo ricordò lo stesso attore, nel suo spettacolo-monologo che portò in giro per il mondo alla fine della sua carriera. «Un giorno – disse Peck – Harper venne sul set e al termine di una scena la vidi piangere. Io, preoccupato, andai a consolarla cercando di capire il problema. Lei, per tutta risposta, mi disse

commossa: “Sei uguale a mio padre.

Hai la stessa pancetta”». Infatti la figura dell’avvocato vedovo che difende un nero dall’accusa di violenza sessuale ai danni di una ragazza bianca, fu modellata su quella del padre di Harper. A parte l’episodio della pancetta, ricordata in modo divertente da Peck, Atticus ha caratteristiche morali che l’attore impersonifica alla perfezione: coraggioso e fermo nel suo lavoro, ma anche tenero e saggio con i figli. Insomma, il padre che tutti vorremmo avere.

Il rapporto col padre, descritto da Scout, l’io narrante del libro, è fotocopiato da Mulligan in modo molto fedele. Così come nel racconto di Harper Lee anche nella pellicola, la ragazzina racconta, da adulta, una vicenda capitata anni prima. Il punto di vista risulta quindi essere simile, così come uguale è la visione del padre; sia nel romanzo sia nel film, il papà rappresenta per Scout l’eroe da prendere come esempio, dando corpo al classico complesso di Edipo, che vede la bambina innamorarsi e idealizzare il proprio genitore di sesso opposto. Un aspetto che percorre in modo

Gregory Peck nei panni di Atticus Finch in Il buio oltre la siepe (1962). (Wikipedia)

intenso il romanzo di Harper Lee. Invece, seppur presente, è molto meno forte nel film. Questa è la prima vera differenza che abbiamo notato nei due linguaggi espressivi. Se infatti i pensieri e le parole dell’io narrante si adattano molto bene alla parola scritta e in ogni frase del romanzo la scrittrice ci ricorda che è la ragazzina a esporre i suoi pensieri, a livello cinematografico Mulligan utilizza solo la voce fuori campo, in alcuni momenti precisi, per far emergere i ricordi di Scout. Il metodo usato dal regista è quello classico, ma così facendo il processo d’identificazione, da parte dello spettatore, è meno pregnante.

Ma veniamo al tema centrale: il razzismo. La vicenda è ambientata all’inizio degli anni Trenta in una cittadina del Sud degli Stati Uniti. Martin Luther King e Malcom X erano appena nati e i problemi legati alla segregazione razziale non avevano ancora acquistato dignità. Una consapevolezza che invece, grazie alla lotta dei due personaggi appena citati, è ben presente all’inizio degli anni Sessanta, quando creando molto scalpore, libro e film uscirono.

Harper Lee descrive una società divisa in caste. C’è quella borghese, con le sue casette curate e la gente tranquilla che ci abita; ma ci sono anche i contadini che vivono di quello che produce la terra e che spesso non hanno i soldi per pagare qualsiasi altro servizio della comunità. E in fondo alla scala ci sono i neri: rappresentati dalla domestica di casa Finch, Cal. Ma anche da Bob Robinson, il bracciante, accusato di violenza. Proprio in quest’ultima divisione possiamo osservare una seconda differenza tra film e libro. La scrittrice descrive anche una scala sociale stratificata all’interno della stessa comunità nera. E se Robinson è paragonato a uno schiavo, Cal è invece una donna molto forte con un ruolo di spicco nella socie-

tà. È lei, in mancanza della madre, che tiene le redini domestiche di casa Finch ed è vista come un generale buono dai due bambini. Una figura quasi del tutto assente nella trasposizione cinematografica. Robert Mulligan ha voluto concentrarsi su altri aspetti legati al razzismo e più semplici da trasporre sullo schermo come, per esempio, il processo.

In questo modo la comunità nera è vista in maniera uniforme e contrapposta a quella bianca.

Alla fine ne esce comunque un messaggio praticamente identico. Dove il razzista bianco – rappresentato da Robert Ewell (padre della ragazza che ha subìto la violenza) – è un contadino, ignorante, violento e ubriaco. Personaggio che si oppone alla figura forte di Atticus Finch: istruito e pacato avvocato che, senza curarsi del colore della pelle, difende i più deboli.

Così come è molto simile il messaggio mostrato da romanzo e film connesso alla paura dello sconosciuto, del diverso, rappresentato da una figura misteriosa: Boo Radley. Un personaggio che vive nascosto oltre la siepe in una casa vicina alla famiglia Finch e che i due fratelli cercano disperatamente di vedere. Come dice Paolo Mereghetti nel suo Dizionario dei film: «Mulligan di suo mette la capacità di sottolineare la parte emozionale del racconto come il rapporto dei bambini con il buio oltre la siepe».

Sono numerose le scene dedicate dal regista alla voglia di scoprire chi si nasconde nella casa. Un progressivo avvicinarsi alla verità che simboleggia le diverse fasi della maturazione dei due giovani. Perché, in fondo, Il buio oltre la siepe è un romanzo ma anche un film di formazione, dedicato a un Paese (gli Stati Uniti) e alla generazione che, con Martin Luther King e Malcom X, stava cambiando un modo di pensare.

Prima di tutto Britpop Musica Ritorno di gran classe per gli Suede, la band inglese figlia del britpop anni 90

che dimostra di saper tuttora reinventarsi con indubbia grazia

Benedicta Froelich Chi ha vissuto con interesse il contesto della scena musicale di metà anni 90, ricorderà senz’altro come il numero delle band pop-rock inglesi che si contendevano le classifiche internazionali fosse talmente alto da far perdere il conto perfino ai giornalisti musicali – i quali, nello spazio di un decennio, hanno assistito all’improvvisa ascesa e all’altrettanto repentina scomparsa di innumerevoli formazioni più o meno valide. Eppure, nel mezzo di questo confusionario viavai, la band degli Suede, capeggiata dall’efebico Brett Anderson, è sempre riuscita nel difficile intento di distinguersi all’interno del ricco panorama del rock alternativo inglese. Difatti, dopo il brillante ma modaiolo esordio del 1993 (intitolato semplicemente Suede), il percorso artistico del gruppo ha portato Anderson e compagni a discostarsi dalla principale corrente musicale dell’epoca – l’osannato e celeberrimo britpop di inizio anni 90 – grazie a una cifra stilistica di forte personalità, che ha saputo trarre vantaggio dalla peculiare espressività della voce di Brett (la quale deve non poco all’influenza di un certo glamour rock vintage), e da un songwriting fuori dagli schemi. Dopo essersi sciolti nel 2003 e poi riformati nel 2010, i Suede mancavano dalle scene dal 2013, anno della pubblicazione dell’interessante Bloodsports; e questo nuovo Night Thoughts si dimostra, fin dal primo

ascolto, come degno dell’illustre predecessore, regalando ai fan composizioni di grande finezza e suggestione, in cui il timbro metallico e inconfondibile di Anderson si fonde con arrangiamenti evocativi e ammalianti.

Il carattere quasi ipnotico di quest’album risalta fin dal singolo apripista del CD, l’eccellente Outsiders, il cui rock gaudente suona come una vera e propria dichiarazione d’amore per una certa forma di ballata intensa, a base di potenti riff di chitarra e dello sfolgorante cantato di Brett – il tutto ammantato di una vaga, intrigante durezza nelle sonorità, che richiama un po’ gli esordi dei Placebo (band che deve più di qualcosa all’influenza dei Suede sulla scena musicale anglosassone).

In questo senso, all’interno della tracklist di Night Thoughts, Like Kids e No Tomorrow si presentano subito come i brani in cui più si avverte l’eredità del britpop: nel caso del primo, ci troviamo davanti a un classico pezzo uptempo (in verità non troppo originale), che non sarebbe sfigurato nell’album di esordio della band, mentre in No Tomorrow, il passato riecheggia nel gradevole ritornello di un brano apparentemente brioso, ma dal carattere in realtà agrodolce – come esemplificato dallo straziante videoclip (un estratto dal film realizzato da Roger Sargent appositamente per quest’album), in cui un uomo di mezza età tenta di suicidarsi tramite un’overdose di paracetamolo, mentre la voce di Brett ripete ossessivamente la frase

«fight the sorrow», ovvero «combatti il dolore». Questa sorta di latente malinconia e amara, sottile angoscia si esplicita del tutto in quelli che si possono considerare tra i pezzi migliori del disco, ovvero il breve ma intenso Pale Snow – etereo e straziante intermezzo quasi sospeso tra sogno e realtà – e il lancinante e quasi ipnotico Tightrope.

In realtà, gran parte di questo Night Thoughts sembra voler essere una collezione di intime, nascoste istantanee di vita quotidiana: narrazioni di momenti a tratti dolenti ma anche radiosi, sospesi tra sonno e veglia in un’alternanza di affannosa inquietudine e più rilassati incantamenti. Tanto che, anche quando i brani presentano classiche connotazioni romantiche, la sensazione prevalente è quella di una

Night Thoughts, il recente album della formazione inglese Suede.

dolorosa introspezione, come nel caso di I Can’t Give Her What She Wants, tormentata confessione di un piccolo, grande dramma emotivo, e di The Fur and the Feathers, gioiellino espressionista di puro ed elegante lirismo pop. È in pezzi come questi che gli Suede sembrano ritrovare quell’intensa quanto sfuggente grazia minimalista che ha contraddistinto i loro lavori migliori (su tutti, Dog Man Star, del 1994) – anche se Night Thoughts non disdegna nemmeno tracce come le più rockeggianti What I’m Trying to Tell You e I Don’t Know How to Reach You, gradevoli quanto classici esempi di pop in puro stile anni 90, collocabili nella tradizione dei principali successi del passato a firma Suede.

Certo, non sarebbe del tutto errato affermare che Night Thoughts non possa essere definito come un album dalle sonorità particolarmente originali: del resto, la specifica nicchia stilistica a cui gli Suede da sempre fanno capo è ormai più che codificata e familiare a qualsiasi appassionato di musica leggera inglese. Tuttavia, pur all’interno di una precisa cornice artistica, la band ha saputo evolvere il proprio sound a tal punto che Night Thoughts è contraddistinto da atmosfere di grande intensità e da un intimismo maggiore di quanto ci si sarebbe potuti aspettare – facendo sì che il forte respiro cantautorale del CD riesca a catturare l’essenza del lavoro degli Suede nella sua accezione migliore.

Fabio Fumagalli *** Il caso Spotlight, di Tom McCarthy, con Mark Ruffalo, Michael Keaton, Rachel McAdams, Liev Schreiber, John Slattery, Stanley Tucci (Stati Uniti 2015)

Accanto al cinema visionario che perpetua il culto dell’immagine caro a una gloriosa tradizione americana, accanto ai vari Michael Mann, P.T. Anderson, Steve McQueen o Bennett Miller, sembra affermarsi un altro filone. Si tratta sempre di un cinema rigoroso e creativo ma, forse perché influenzato dalle migliori serie, meno preoccupato dell’effetto visivo. Esso è attento al proprio messaggio e all’esposizione diretta e razionale dei contenuti, e lo fa affidandosi a una sceneggiatura perfetta, al montaggio, ai dialoghi e all’eccellenza delle interpretazioni.

Qualcuno aveva già notato queste particolarità nel magnifico Margin Call dell’esordiente J.C. Chandor nel 2011: ne nacque il primo film di finzione capace finora di penetrare nel buco nero dell’alta finanza. La via era tracciata: il recente successo, anche pubblico, di La grande scommessa di Adam McKay dimostra come si possano raccontare le «disinvolture» di Wall Street con procedimenti analoghi.

Candidato a innumerevoli Oscar, Il caso Spotlight nasce da questa esigenza di esplicita chiarezza, pur occupandosi di avvenimenti ancora più scabrosi: gli abusi sessuali su bambini, perpetrati all’interno della Chiesa di Boston nel 2001. Nel luglio di quell’anno un nuovo redattore capo venne nominato alla testa del quotidiano «Boston Globe» e di un gruppo di giornalisti d’inchiesta, Spotlight.

Dalla loro coraggiosa determinazione fu finalmente possibile rivelare come da decenni l’Arcidiocesi cattolica locale avesse occultato centinaia di casi di pedofilia sottraendo sistematicamente i colpevoli alla giustizia.

La forza del film non si costruisce però sul sensazionalismo di uno scandalo che dilagò nel mondo. Stringato com’è negli scambi verbali, nei dettagli e nelle reazioni dei formidabili Ruffalo, Keaton, Schreiber, Tucci e compagni, Spotlight registra semplicemente i fatti accaduti, così come vengono progressivamente scoperti dagli inquirenti. Certo, Spotlight si inserisce nel solco della tradizione di denuncia hollywoodiana, in particolare del capolavoro di Alan Pakula Tutti gli uomini del presidente, che già illustrava il ruolo avuto da un altro quotidiano, il «Washington Post», nella rivelazione del Watergate.

Ma il film del discreto Tom McCarthy si costruisce sull’inusitato valore della misura, senza ridondanza, falsi moralismi o speculazioni morbose.

Esso invita ad estendere la riflessione sulle responsabilità della società che sostiene l’omertà locale. Proprio a immagine di una doverosa presa di coscienza che non potrà evitare di raggiungere i livelli più alti della Chiesa.

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Il fiore simbolo della primavera Attualità Nei Do it + Garden e nei reparti fiori di Migros Ticino sono ottenibili i vasetti di primule

ticinesi da trapiantare in giardino o nelle fioriere. Questi fiori emblema di rinascita sono coltivati dalla Fioricoltura Martinelli di Sementina. Abbiamo incontrato il titolare, Ivan Martinelli

Signor Martinelli, ci può raccontare qualche aneddoto sulla vostra azienda?

L’azienda «Fioricoltura Martinelli», con sede a Monte Carasso, è stata fondata da Romolo Martinelli nel 1950. Nel 1970 subentrarono i figli Loredano e Patrizio e trasferirono l’azienda a Sementina, dove costruirono 20’000 mq di serre in vetro. Nel 2015 la gestione dell’azienda è stata affidata al sottoscritto, figlio di Loredano, di formazione giardiniere-fioricoltore.

Quali sono i prodotti che fornite a Migros Ticino?

Nei primi mesi dell’anno l’azienda fornisce le primule. Con l’arrivo della stagione primaverile viene fornita una vastissima gamma di piantine da orto e prodotti da giardino come gerani, nuova guinea, ecc. Nel corso della stagione autunnale vengono consegnate viole e crisantemi.

Quali sono le varietà di primule che coltivate?

Le varietà di primule da noi coltivate si suddividono in tre periodi di fioritura: le precoci: con una fioritura che va da

metà dicembre a metà gennaio; le semi tardive: con una fioritura che va da metà gennaio a metà marzo; le tardive: con una fioritura che va da metà marzo a fine marzo.

Considerato il lungo periodo di vendita di questo fiore (tre mesi) questi tre periodi di fioritura possono garantire la massima qualità per ciascun periodo di acquisto. È interessante osservare che il nome del fiore deriva dal latino primus (primo) per indicare la precocità di fioritura che avviene subito dopo la scomparsa della neve, quando nei prati comincia a comparire l’erba. Questo fiore biennale si caratterizza per la vasta gamma di colori che possiede (circa 500) ed il profumo che segna l’avvento della bella stagione.

Cosa occorre fare per avere sempre primule rigogliose in casa?

La primula è una pianta piuttosto semplice da coltivare, se si osservano alcune regole fondamentali legate soprattutto all’esposizione, alle temperature e alle innaffiature.

La primula è un fiore da esterno, la si può infatti osservare nei prati appena arriva la primavera. Per poterla mantenere rigogliosa anche in casa il terriccio va controllato giornalmente perché deve restare umido, evitando però i ristagni d’acqua. Affinché i fiori durino nel tempo sarebbe ottimale riprodurre l’habitat naturale e posizionarla su un davanzale, dove la pianta riceve più luce ed è più facile che resti sana e rigogliosa a lungo. A sfioritura avvenuta, per coloro che hanno possibilità, sarebbe interessante trapiantarla in giardino così da poter apprezzare la bellezza ed i suoi spettacolari colori anche la primavera successiva.

Ivan Martinelli, giardiniere-fioricoltore a Sementina. (Flavia Leuenberger)

Dessert di alta pasticceria Con le due specialità piemontesi surgelate firmate Dolceria Alba il problema del dessert delle prossime festività pasquali è già risolto. I Quadrotti sono dei deliziosi semifreddi disponibili nelle varianti nocciola - con base croccante di meringa e nocciole tostate - e pistacchio, una vera raffinatezza arricchita con granella di meringa al cacao e decorato con puro cioccolato fondente. Preparati con ingredienti attentamente selezionati e congelati subito dopo la produzione, non contengono né grassi idrogenati né conservanti. Consiglio di servizio: togliere dal congelatore dieci minuti prima del consumo e conservarli in frigo.

Quadrotto semifreddo al pistacchio 150 g Fr. 5.30

Quadrotto semifreddo alla nocciola 130 g Fr. 5.30 In vendita al reparto surgelati delle maggiori filiali Migros

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Idee e acquisti per la settimana

Pane del mese: il pane di Basilea Un grande classico tra le specialità d’oltralpe ritorna sugli scaffali di Migros Ticino per tutto il mese di marzo: il pane di Basilea. Grazie alle sue peculiarità organolettiche, questa gustosa bontà è molto apprezzata a colazione con burro e confettura fatta in casa, anche se ovviamente non disdegna accompagnamenti salati della cucina di tutti i giorni, oppure, tagliato a fette, è ottimo per preparare panini farciti con companatici dall’aroma intenso.

Prodotto con farina bigia, il pane di Basilea si presenta con la sua caratteristica forma ovale, una crosta farinosa molto croccante è una mollica morbida e compatta.

Pane di Basilea 250 g Fr. 1.30

Pomeriggio in panetteria per bambini potranno preparare simpatiche figure pasquali a base di pasta per trecce. Per partecipare è necessario iscriversi telefonando al nr. 091 840 12 61, mercoledì 2 marzo, a partire dalle ore 10.30. Valido per chi non ha partecipato agli ultimi due appuntamenti.

Flavia Leuenberger

Mercoledì 9 marzo, dalle 14 alle 16.30 ca., presso le panetterie della casa di S. Antonino e Serfontana, è previsto il primo pomeriggio in panetteria di quest’anno riservato ai bambini dai 7 ai 14 anni (10 per filiale). Con l’aiuto dei nostri panettieri, i piccoli fornai

Giovanni Barberis

Non le «solite» patate al forno Perché non accompagnare il tradizionale capretto pasquale con una buona polenta ticinese? Grazie alla variegata gamma di polente nostrane dell’assortimento Migros porterete in tavola tutta la genuinità e il gusto delle cose semplici. Tutte quante sono ottenute a partire da materie prime coltivate in Ticino nel rispetto della natura. E come vuole la nostra tradizione, la macinatura è integrale. La preparazione è semplice: per quattro persone portare ad ebollizione 2 litri di acqua salata. Aggiungere a pioggia 500 g di farina per polenta (si possono anche miscelare più varietà) mescolando con una frusta

e cuocere a fuoco moderato per un’oretta rimestando di tanto in tanto. A piacere unire un bicchiere di latte a metà cottura.

I tempi di preparazione si riducono utilizzando la farina precotta.

L’eccellenza dei formaggi grigionesi

Farina per polenta corvina integrale ticinese 500 g Fr. 5.70 Farina per polenta integrale ticinese «Rosso del Ticino» 500 g Fr. 5.70 Farina per polenta integrale 1 kg Fr. 4.10 Farina per polenta Fraina integrale 500 g Fr. 3.50 Farina per polenta integrale precotta 500 g Fr. 4.10 Formaggio delle alpi all’aroma di abete 100 g Fr. 2.70 In vendita al reparto formaggio delle maggiori filiali Migros

Gli amanti del formaggio non si lasceranno certo sfuggire questa originale novità prodotta con latte di montagna nelle regioni di Savognin e Disentis. Il formaggio delle alpi all’aroma di abete è un formaggio semiduro a pasta gras-

sa affinato con vero estratto di abete.

Dopo la produzione la raffinata specialità viene lasciata stagionare per 2-3 mesi. Il risultato è un formaggio dal sapore dolce con una singolare nota d’abete di retrogusto.

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Idee e acquisti per la settimana

La primavera da Micasa Attualità Da Micasa S. Antonino sono arrivate le nuove tendenze primaverili

La voglia di primavera ha contagiato anche il negozio d’arredamento del Centro S. Antonino dove, da subito, troverete un’ampia gamma di accessori, tessili e mobili che strizzano l’occhio alla nuova stagione. Tra le novità più in voga, segnaliamo per esempio gli accessori che richiamano le giornate in riva al lago, con cuscini e stoviglie nei colori blu vivace e bianco con motivi lacustri. Altri accessori di grande effetto sono i vasi, le scodelle e le tovaglie dalle variopinte decorazioni floreali.

Per quanto attiene ai mobili, segnaliamo il nuovo divano ad angolo Frey e le poltrone in stile retrò nei più svariati colori, tutti da produzione sostenibile FSC. Sul fronte della biancheria, ecco la nuova biancheria da letto ultraleggera Zara in puro lino, disponibile nelle tonalità pastello e blu; come pure alcune linee realizzate in cotone bio prodotto nel rispetto dell’ambiente.

I nuovi cuscini ornamentali di tendenza.

Il divano ad angolo Frey è sinonimo di modernità e sostenibilità certificata FSC.

Quando le donne sono protagoniste Evento Sono aperte le iscrizioni alla serata di workshop per sole donne di martedì 15 marzo

nella filiale OBI di S. Antonino

Con l’arrivo della primavera, si risveglia anche la voglia di dare una rinfrescata alla propria abitazione, di ravvivare il giardino e di dedicarsi maggiormente alle attività all’aria aperta. Cosa c’è di meglio di una serata in compagnia delle proprie amiche, imparando qualche utile trucco sul fai da te per iniziare la nuova stagione con il piede giusto? Grazie alla serata per sole donne di OBI S. Antonino avrete la possibilità di unire l’utile al dilettevole.

Gli specialisti dei vari settori si metteranno a disposizione per fornire utili consigli su alcuni temi attuali primaverili. Nella fattispecie: ■ Come occuparsi del prato verde in modo adeguato.

■ La cura e la manutenzione delle piante di appartamento.

■ Il mondo degli utensili Bosch.

■ Come fissare gli accessori per il bagno senza forare le pareti.

■ L’arredamento modulare per il tempo libero.

■ Come organizzare gli spazi domestici nel quotidiano con le «professional organizer» Monica Oberti e Daniela Fenini, presso Micasa.

■ L’alimentazione corretta dello sportivo, da Sportxx.

La serata si terrà dalle ore 19.15 alle 22.30. Come consuetudine, al termine del workshop verrà offerto a tutte le partecipanti un ricco rinfresco.

Le iscrizioni possono essere effettuate direttamente presso il banco accoglienza clienti di OBI S. Antonino, sul sito www.obi.ch oppure all’indirizzo e-mail marktch006@obi.ch.

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su piumini e cuscini

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Idee e acquisti per la settimana

Lo Zafferano 3 cuochi ti regala un canovaccio Lo Zafferano 3 Cuochi è da 80 anni un prodotto totalmente naturale, sicuro e puro al 100%. In una bustina troverete solo una miscela delle migliori qualità di zafferano presenti sul mercato. Passione, l’impiego di tecnologie esclusive, rispetto della tradizione e innovazione

fanno della Zafferano 3 cuochi uno dei marchi italiani leader e più longevi del settore alimentare. Ora lo Zafferano 3 cuochi ti fa un bellissimo regalo: all’acquisto di due buste da quattro pezzi riceverai in regalo un originale canovaccio serigrafato.

Una ricetta irresistibile: rigatoni con mortadella e zafferano.

Rigatoni gratinati con mortadella e zafferano Persone: 4 Ingredienti 400 g. di rigatoni 20 g. di burro 150 g. di mortadella in una sola fetta 80 g. di parmigiano reggiano grattugiato 1 confezione di besciamella da 500 g.

20 g. pecorino romano grattugiato 2 bustine di zafferano 3 cuochi sale e pepe q.b.

Zafferano 3 Cuochi Confezione da 4 bustine Fr. 5.50 In vendita nelle maggiori filiali Migros

Più igiene, pulito e profumo con RIO Con il detergente di qualità italiana RIO CASAMIA SAPONE e ALCOOL la casa risplenderà come non mai. Disponibile nelle profumazioni Muschio Bianco e Agrumi di Sicilia, Rio Casamia è un detergente polivalente multiuso, ideale per la pulizia quotidiana di tutti i tipi di pavimento e parquet, nonché di tutte le superfici della casa, come frigoriferi, cucine, sanitari e lavelli. L’azione dell’alcool, combinata alla forza pulente di Rio Casamia, regala non solo la massima igiene e pulizia, ma anche una brillantezza eccezionale senza aloni e senza risciacquo, conferendo una profumazione duratura di fragranze esclusive. I prodotti Rio sono disponibili in tutte le filiali di Migros Ticino.

Rio Casamia Sapone e Alcool pavimenti Agrumi di Sicilia 1250 ml Fr 3.40 Rio Casamia Sapone e Alcool pavimenti Muschio Bianco 1250 ml Fr 3.40

Procedimento Scaldate una confezione di besciamella pronta, unite lo zafferano, il formaggio grattugiato e il pepe macinato. Lessate i rigatoni in abbondante acqua

salata, scolateli al dente, versateli in una ciotola capiente nella quale aggiungerete anche il composto di besciamella. Tagliate la mortadella a fette dello spessore di 3 mm. e con un piccolo tagliapasta a forma di fiore ricavate tanti fiorellini. Se non possedete un tagliapasta a fiore tagliate la mortadella a cubetti. Tritate i ritagli di mortadella e uniteli anch’essi alla pasta (tenete da parte qualche fiorellino di mortadella per guarnire la superficie della pasta). Imburrate una pirofila, versateci dentro i rigatoni, precedentemente conditi, livellateli

e spolverizzateli con il rimanente formaggio grattugiato; aggiungete qualche fiocchetto di burro in superficie, i fiorellini di mortadella tenuti da parte e mettete in forno già caldo a 200° per 15 minuti, poi gratinate per 2 minuti (o fino a che sulla superficie della pasta non si formi una crosticina dorata). Estraete i rigatoni dal forno, lasciateli riposare 5 minuti e servite.

Preparazione 30 minuti Difficoltà Facile

Il barometro dei prezzi Migros riduce i prezzi di diversi prodotti Knorr. Grazie a negoziazioni favorevoli con i fornitori anche diverse pizze Casa Giuliana costano meno. Più convenienti sono anche le bevande dolci da 1,5 litri di M-Budget, come pure i prodotti per la cura del corpo del marchio I am

Alcuni esempi:

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2.80 2.90 2.60 8.40 2.30 4.50 4.75 6.20 3.55 3.85 1.95

2.70 2.80 2.50 7.90 2.20 4.30 4.30 5.90 3.30 3.60 1.75

–3,6 –3,4 –3,8 –6,0 –4,3 –4,4 –9,5 –4,8 –7,0 –6,5 –10,3

6.80 3.60 3.70

5.10 2.40 2.50

–25,0 –33,3 –32,4

Prezzo vecchio in Fr.

Knorr instant Suprême carota, 45 g Knorr Suprême Champignons, 84 g Knorr sacchetto di cottura con paprica, 24 g Knorr salsa d’arrosto povera di grassi, 230 g Knorr Mix Sminuzzato zurighese, 36 g Knorr brodo verdure con sale mare, 109 g Knorr brodo ai funghi porcini, 100 g Casa Giuliana Pizza Antipasti, surgelata, 350 g M-Budget Orange Light, 6x1,5 l M-Budget Grapefruit Light, 6x1,5 l M-Budget Torta marmorizzata, 405 g I am Hair Care Intensive Moisture anti-spliss fluid, 30 ml I am Hair Creme Wax Dynam!c, 75 ml I am Dynam!c matt Wax, 75 ml

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Idee e acquisti per la settimana

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Valflora

Imbattibile versatilità

sulla panna intera Valflora UHT 2 x 500 ml Fr. 5.20 invece di 6.50 fino al 7.3

Non importa che sia intera o semigrassa: Valflora sa raffinare delicatamente molti piatti, conferisce a dessert e torte, come pure a salse e zuppe, una nota cremosa ed è ideale per le specialità al forno. Anche la mezza panna acidula e la Crème fraîche nature sono ideali per la cucina fredda e calda. Valflora è sinonimo di prodotti di alta qualità, prodotti esclusivamente a partire da pregiato latte svizzero.

Sponge cake al mango con panna al cocco Per 1 tortiera a cerniera di 24 cm Ø Per ca. 12 fette Ingredienti burro e farina per la teglia 1 mango grosso 60 g di burro 3 uova 170 g di zucchero 100 g di panna acidula 130 g di farina 2 cucchiaini di lievito in polvere 1 presa di sale 2,5 dl di panna ca. 1 ½ cucchiai di noce di cocco grattugiata

Preparazione 1. Foderate il fondo della tortiera con carta da forno, imburrate e infarinate il bordo. Sbucciate il mango e staccate la polpa dal nocciolo. Avvolgete la metà del mango nella pellicola trasparente e mettete da parte per guarnire. Riducete il resto della polpa a dadini. Scaldate il forno a 180 °C. 2. Fate fondere il burro. Con uno sbattitore elettrico, montate a spuma le uova con lo zucchero per ca. 5 minuti. Togliete la pendola dal fuoco e continuate a mescolate la massa per ca. 8 minuti finché si raffredda.

Fudge al cioccolato Per 1 stampo di 14 × 20 cm per ca. 30 pezzi Ingredienti 280 g di zucchero 1,5 dl di panna 100 g di cioccolato fondente 40 g di burro ca. ½ cucchiaino di fleur de sel

Una torta semplicemente irresistibile: copertura di panna montata e letto di frutta.

Preparazione 1. Mescolate lo zucchero con la panna in una padella e lasciate riposare il tutto per ca. 10 minuti. Foderate lo stampo con carta da cucina.

Un binomio da sogno: fudge al cioccolato e panna con un pizzico di Fleur de sel.

Tempo di preparazione Ca. 40 minuti + raffreddamento.

Per persona Un pezzo ca. 0,5 g di proteine, 4 g di grassi, 11 g di carboidrati, 350 kJ/80 kcal.

Ricette di Valflora mezza panna UHT 500 ml Fr. 2.45 www.saison.ch

Valflora mezza panna acidula 180 ml Fr. 1.20

Tempo di preparazione Ca. 40 minuti + 35 minuti cottura + raffreddamento Per persona Una fetta ca. 4 g di proteine, 15 g di grassi, 27 g di carboidrati, 1100 kJ/260 kcal.

3. Montate la panna ben forma e distribuitela sulla forma. Tagliate il mango messo da parte a pezzettini e infilateli nella panna. Guarnite con la noce di cocco grattugiata.

Valflora Crème Fraîche Nature 200 g Fr. 2.60

Valflora panna intera UHT 500 ml Fr. 3.25* Valflora panna intera UHT 250 ml Fr. 1.65

2. Tritate finemente il cioccolato. Portate a ebollizione la panna con lo zucchero mescolando continuamente. Unite il burro e continuate la cottura a fuoco medio per ca. 8 minuti, mescolando continuamente.

Incorporate la metà del cioccolato tritato e continuate a mescolare. Togliete la padella dal fuoco. Continuate a mescolare la massa per ca. 2 minuti, finché comincia a staccarsi dal fondo. Versate la massa nello stampo e livellatela. Spargete il resto del cioccolato sulla massa e livellatelo.

Quando il cioccolato inizia a consolidarsi, distribuite la fleur de sel. Lasciate raffreddare. Tagliate la massa a quadretti.

Incorporate la panna e il burro liquido.

Mescolate la farina con il lievito e il sale e incorporateli con cura alla. Versate l’impasto nella tortiera. Distribuite i dadini di mango sulla massa. Cuocete la torta al centro del forno per ca. 35 minuti. Sfornate e lasciate riposare per ca. 5 minuti. Sformate la torta e fatela raffreddare completamente su una griglia.

L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui anche Valflora.

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Idee e acquisti per la settimana

Frey

La settima creazione è fruttata Tutti li conoscono, poiché sono dei veri e propri prodotti di culto: da ormai 35 anni gli ovetti di cioccolato a pois fanno parte dell’assortimento Migros.

Se inizialmente la gamma comprendeva tre varietà, oggigiorno gli ovetti Freylini esistono in sei varianti di gusto – come classica miscela, attorcigliati e assortiti – disponibili nel box regalo oppure nell’attraente uovo di metallo. E anche per la prossima Pasqua arriverà una variante fruttata in Limited Edition: Strawberry Almond, una creazione di finissimo cioccolato al latte con ripieno di fragole e pezzettini di mandorle.

Limited Edition 2017 Mango Crunchy Nuts, Apple o Lemon Lime?

Votate su Migipedia.ch

Nuovo Freylini ovetti Strawberry Almond Limited Edition 500 g Fr. 10.80

Nuovo Freylini ovetti assortiti attorcigliati 250 g Fr. 6.90

Nuovo Freylini ovetti assortiti attorcigliati 380 g* Fr. 9.80

Nuovo Freylini uovo di metallo, assortiti 264 g* Fr. 12.80

Foto Yves Roth, Styling Katja Rey

* Nelle maggiori filiali

Le cifre parlano da sé: ogni anno si vendono circa 64 milioni di ovetti.

L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui anche gli ovetti Freylini.

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Idee e acquisti per la settimana

Farm Chips

È permesso sgranocchiare Tipicamente svizzere, proprio come la lotta, ecco a voi le Farm Chips rigorosamente di produzione svizzera.

Otticamente si differenziano dalle chips convenzionali per il fatto di essere un po’ più spesse. Da qui, il loro aspetto da fatte a mano. Dal punto di vista gustativo risultano particolarmente aromatiche, in quanto le pa-

tate sono lavorate con la loro buccia e fritte con un procedimento speciale. Sia salate, aromatizzate con erbe svizzere, origano o rosmarino, le Farm Chips regalano un rustico e croccante piacere in ogni occasione. Per esempio mentre si fa il tifo durante una gara sportiva, a casa davanti alla TV o dal vivo sugli spalti.

Farm Chips Nature 150 g* Fr. 2.70

Sorteggio 30 x 2 biglietti giornalieri per la Festa federale di lotta svizzera e giochi alpestri 2016 a Estavayer.

Farm Chips alle erbe svizzere 150 g* Fr. 2.80

Farm Chips Origano 150 g* Fr. 2.90

Farm Chips Rosmarino 150 g* Fr. 2.80 * Nelle maggiori filiali

Concorso

Il fascino della lotta svizzera: lotta serrata tra Philipp Leimbacher e Willy Graber alla Festa federale del 2013 a Burgdorf.

Tifate per i vostri favoriti!

Farm Chips è lo sponsor di bronzo della Festa federale di lotta svizzera e giochi alpestri che si terrà dal 26 al 28 agosto a Estavayer. Per l’occasione Farm Chips mette in palio 30 x 2 biglietti giornalieri (posti a sedere) del valore di Fr. 150.– e 100 premi immediati.

Per partecipare: sulle confezioni delle Farm Chips è presente un opuscolo con un codice, che può essere inserito fino al 22.5 sul sito Farmchips.ch.

Possono partecipare tutti coloro che hanno compiuto 18 anni e risiedono in Svizzera.

L’Industria Migros produce numerosi prodotti Migros, tra cui anche le Farm Chips.

r o li ig m il ia m re p a u sq a P i d to t e li Il conig l e d lo a g re ta r ca a n u n o c to t e li ig viso da con Partecipa ora su valore di fr. 5000.-.* www.famigros. ch/conc

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*Travesti i tuoi cari da coniglietti di Pasqua e immortalali con una bella foto. Con un pizzico di fortuna, i visi da coniglietto piĂš belli vinceranno carte regalo Migros per un valore totale di fr. 9000.â&#x20AC;&#x201C;. Basta caricare entro il 13.3.2016 la tua foto migliore e partecipare cosĂŹ fino al 20.3.2016 alla votazione online.

Trovi tutti i dettagli relativi al concorso su www.famigros.ch/concorso-fotografico

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Banane Fairtrade, bio Perù/Messico, al kg

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50% 4.70 invece di 9.45 Patate fritte o patate fritte al forno M-Classic, 2 kg surgelate, per es. patate fritte al forno

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Società Cooperativa Migros Ticino Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti.

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MERLUZZO AL PEPERONCINO E ALLA LIMETTA Con un delizioso burro aromatizzato in casa il merluzzo è semplicemente squisito. Bastano poche mosse e pochi ingredienti come peperoncino, limette e cipollotti freschi per portare in tavola questo piatto saporito. Trovi la ricetta su www.saison.ch/ it/consigliamo e gli ingredienti freschi ovviamente alla tua Migros.

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20% Azione assortimento Tutti gli ovetti di cioccolato Frey in sacchetto da 165 g, UTZ per es. ovetti Freylini assortiti, 3.65 invece di 4.60

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3.60 invece di 4.90 Arance Tarocco Italia, rete da 2 kg

ZUPPA DI CANNELLINI CON PANCETTA E ANANAS L’ananas dolce e succoso conferisce a questa zuppa di fagioli quel tocco esotico che fa la differenza. Con un po’ di tempo di preparazione, pancetta, fagioli cannellini e altri ingredienti freschi servi un piatto diverso dal solito, dall’aroma ricercato. Trovi la ricetta su www.saison.ch/it/ consigliamo e gli altri ingredienti alla tua Migros.

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Mirtilli Cile, in conf. da 250 g

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20% Azione assortimento Tutte le torte non refrigerate per es. torta di Linz, 400 g, 2.45 invece di 3.10

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di riduzione Snack al latte o fette al latte Kinder del reparto frigo per es. fette al latte, 5 x 28 g, 1.50 invece di 1.70

30% 11.80 invece di 16.90 Phalaenopsis, 2 steli in vaso da 12 cm, la pianta, per es. rosa

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33% 14.40 invece di 21.60 Cafino Classic in sacchetto in conf. da 2, UTZ 2 x 550 g

20% Azione assortimento Tutte le noci o le miscele di noci Sun Queen Premium Nuts salate per es. miscela di noci, 170 g, 3.80 invece di 4.80

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20% Tutti gli Snacketti o le Wave Chips Zweifel a partire da 2 confezioni

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Idee e acquisti per la settimana

Decorazioni di Pasqua

Tra uova e conigli Nelle settimane che precedono la Pasqua vien voglia di decorare la casa e farci entrare la primavera. Con uova, conigli, narcisi e qualche divertente sacchetto di carta colorata è facile far da sé delle stupende decorazioni Testo Sonja Leissing; Foto Martina Meier; Styling Monika Hansen

Pasqua Questa settimana: suggerimenti per il bricolage Fascicolo 10: Conigli di cioccolato di tutte le dimensioni

Prima o poi lo spirito pasquale avvolge tutti. Appena finite le grandi pulizie si parte con la decorazione della casa, che come ogni anno riempiremo di festosi coniglietti fatti con le proprie mani e di uova variopinte. La fantasia non conosce frontiere quando si tratta di addobbare a festa porte, finestre e tavoli e di creare originali confezioni per i coniglietti di cioccolata e altri dolcetti. Una cosa è certa: a dipingere, incollare, stampare e ritagliare non si divertono solo in bambini. Sulle pagine seguenti vi diamo qualche idea.

➜ Sulla prossima pagina troverete le istruzioni per costruire la corona di vimini

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Idee e acquisti per la settimana

Personaggi in tazzina

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Buon umore garantito Perfino la sonnolenza mattutina sorride alla vista di questi adorabili portauovo. Dopo averli dipinti con un pennarello dovete lasciarli asciugare per circa quattro ore, quindi metteteli a cuocere nel forno. Dopo 30 minuti, il colore si fissa in modo indelebile e i portauovo sono a prova di lavastoviglie.

Una bella idea è anche quella di scriverci sopra

i nomi dei membri della famiglia o un divertente proverbio.

A garantire il buonumore ci pensano i «Funny Eggs» con le loro simpatiche faccine: cuocete l’uovo e dipingetelo del colore preferito, lasciatelo asciugare e incollateci semplicemente sopra gli adesivi decorativi. Naturalmente le ridicole faccine hanno un bellissimo effetto anche sulle uova non colorate.

Coniglio deco da appendere Fr. 12.80 Nelle maggiori filiali

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Di che cosa avete bisogno: 1. 4 portauovo con pennarello per porcellana Fr. 9.80 2. Adesivi decorativi Funny Egg, 2 motivi Fr. 2.30 3. Uova svizzere, allevamento al suolo, bianche, 9 nuova da 53g+ Fr. 3.60

Presto fatto Addobbate la corona di vimini modellata a forma di coniglio con boccioli di narciso o campanelle di Pasqua, farfalline color pastello e nastrini. Sono belle da vedere anche le uova decorative, appese alla corona con del filo rigido.

2

Di che cosa avete bisogno: 1. Portauova con pulcino da inserire, in legno FSC incl.

4 colori acrilici da 12 ml e pennello Fr. 14.80 2. Coniglio da inserire in legno FSC incl. 4 colori acrilici da 12 ml e pennello Fr. 12.80 I coniglietti di legno sono una vera calamita per gli occhi. Nel colorarli non c’è limite alla fantasia. I colori acrilici si amalgamano molto facilmente e si asciugano rapidamente.

Chi ha voglia può dipingere e incollare un’intera famiglia di conigli e appenderli sul davanzale della finestra come fosse un corteo. Abbinati agli ovetti di cioccolato e ai bulbi di fiori si può impregnare senza grandi sforzi la casa con l’atmosfera primaverile della Pasqua.

1

2

3 4 Di che cosa avete bisogno: 1. Nastro decorativo su rocchetto di legno, diversi colori Fr. 5.90 2. Set con 6 uova di plastica, verdi o gialle, Fr. 4.90 3. Farfalle con fermaglio a molla, set da 2, diversi colori Fr. 3.90 4. Uccellini con fermaglio a molla, set da 2, diversi colori Fr. 4.90

Suggerimento Comprate delle uova già colorate e sbizzarritevi ad applicarci sopra gli adesivi decorativi Funny Egg.

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Idee e acquisti per la settimana

Nel cestino non dev’esserci per forza il classico nido di Pasqua: il coniglietto di cioccolato ama molto di più rintanarsi in sacchetti di carta dipinti in modo originale.

Di che cosa avete bisogno: 1. Mini scatola di cartone, 5 pezzi Fr. 6.90 2. Nastro adesivo brillantinato, 15 mm x 5 m, 3 pezzi, assortiti, 2 varianti Fr. 6.90 3. Timbro di legno, 8 pezzi, incl. tamponi in 4 tinte Fr. 5.90 4. Pennarelli e timbri, 12 pezzi Fr. 9.80

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3 Con le scatole di cartone in piccolo formato si possono confezionare simpatici contenitori per i dolciumi. E dopo Pasqua vi si potrà riporre qualsiasi cianfrusaglia.

Si possono decorare in modo artistico le scatole incollandoci il nastro adesivo brillantinato, colorandole con i pennarelli o applicando dei timbri.

Di che cosa avete bisogno: 1. Carta velina pastello, 25 x 35 cm, 50 fogli Fr. 7.90 2. Forbici, lunghezza 20,5 cm Fr. 3.90 3. Sacchetti di carta 12 x 5,5 x 15 cm, 10 pezzi assortiti Fr. 6.90 4. Lettere alfabeto adesive Fr. 1.90

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Ritagliate le orecchie di coniglio dai fogli di carta colorata e incollatele sul sacchetto. Componete il nome del destinatario con le lettere dell’alfabeto adesive… ed ecco fatto un nido di Pasqua davvero personale.

Novità Novità 10.80 Ovetti Freylini Strawberry Almond Frey, UTZ Limited Edition, 500 g

Novità 12.80 Uovo di metallo Freylini Frey, UTZ assortito, 264 g

Novità 4.60 Ovetti Blond Frey, UTZ 165 g

Novità 7.30 Pikimo al latte Frey, UTZ 150 g

Novità 9.80 Ovetti Freylini Classic Mix Frey, UTZ assortiti, 380 g

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Novità 8.80 Nido di Pasqua Funny e ovetti Freylini Frey assortiti, UTZ 209 g

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3.80 Coniglio Blond Frey, UTZ 100 g

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 29 febbraio 2016 ¶ N. 09

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Idee e acquisti per la settimana

Yogurt Bio Naturel

Son tutti così buoni...

Per molti a colazione lo yogurt ha sempre un posto fisso. Ma, logicamente, si desidera anche sapere esattamente che cosa si mangia. Nel caso degli yogurt bio Naturel non è necessario leggere un lungo elenco di ingredienti, dal momento che questo cremoso yogurt alla frutta

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ne contiene solo tre: yogurt, frutta e zucchero. Non ci sono aromi artificiali, né addensante o stabilizzanti, né coloranti o conservanti di sorta. La consistenza ottimale dei tre yogurt Naturel è dovuta ad uno speciale processo di produzione che subisce il buon latte bio svizzero.

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Raccogli 18 bollini e incollali nei campi appositi.

Al prossimo acquisto scambia la cartolina completa dei bollini con un coniglietto gratuito di peluche.