Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 23 febbraio 2015
Azione 09
Società e Territorio Quando genitori iperprotettivi diventano un ostacolo per i figli
Politica e Economia La Libia sull’orlo del collasso nel 4. anniversario della rivoluzione
Ambiente e Benessere Negli ultimi anni, anche grazie a nuovi strumenti di misurazione, un nuovo problema impegna il settore della depurazione acque: i microinquinanti
Cultura e Spettacoli Le sfumature di grigio arrivano nei cinema e fanno discutere
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I figli superflui dell’Occidente
L’informazione RSI, solida ammiraglia in acque agitate
di Peter Schiesser
di Antonella Rainoldi
Stefano Spinelli
«Non ho paura di morire. Voi siete quelli che hanno paura di morire. Noi siamo uomini bomba. Noi siamo al centro dell’irrisolvibile. Voi siete tra il bene e il male e in mezzo c’è la frontiera della morte. Io sono un segno di questo tempo, io ero povero e invisibile, voi non mi avete mai guardato per decenni. Prima che arrivassi io, era facile per voi liquidare il problema della miseria. Noi siamo all’attacco. Voi in difesa. Voi avete la mania dell’umanesimo. Noi siamo crudeli, spietati. Voi ci avete trasformato in superstar del crimine. Noi vi facciamo fare la parte dei pagliacci». Sono le parole di un jihadista del Califfato islamico? No, sono spezzoni di un’intervista a Marco Willians Herbas Camacho, capo supremo del «Primeiro comando capital», la più potente organizzazione criminale brasiliana, citata a pagina 26 in una nuova puntata di Angela Nocioni sul narcotraffico latinoamericano. Ma queste parole potrebbero benissimo venire pronunciate da un terrorista islamico che si rivolge a noi occidentali. Perché qualcosa li accomuna: il rifiuto totale della società moderna liberale, in cui non si riconoscono e che, nella sua trasformazione da liberalismo politico in economico, da società che si regge su valori condivisi a società che ha perso per strada la solidarietà, li ha visti perdenti e li ha portati a rompere i ponti a suon di violenza. Sono i figli perduti della modernità. Non corrisponde forse a questo profilo l’attentatore di Copenhagen, Omar Abdel Amid el Hussein? O Amedy Coulibaly, uno degli attentatori di Parigi? L’estremismo islamico ha molte radici, molti volti e forme, visibili e invisibili. Ha tanti amici, anche fra gli alleati arabi dell’Occidente. E troppe contraddizioni: si nutre di armi e tecnologie moderne per veicolare una visione del mondo arcaica; impone una religione con il terrore (o il terrore è diventato la nuova religione?). È un’idra assetata di sangue che ci minaccia da lontano e da vicino. Ma almeno una di queste teste è uno specchio in cui dobbiamo guardare: dai cappucci neri dei tagliagole dell’Isis ci restituisce lo sguardo l’ombra delle nostre società, che lo sfavillìo del benessere materiale riesce a nascondere ma non ad eliminare. In quei cappucci neri c’è la negazione del nostro mondo apparente, sotto quei cappucci ci sono persone che l’alienazione, la mancanza di radici, di un senso di appartenenza ha spinto ai margini della società e che hanno deciso di rispondere con la violenza alla violenza che sentono di aver subito. C’è differenza fra un terrorista dell’Isis, un nazi-fascista (di oggi e di ieri), un membro di una banda criminale? No, risponde il saggista tedesco Georg Sesslen: in un testo pubblicato dal settimanale «Die Zeit» («Islamischer Staat, beginnend mit Worten, endend mit Blut») coglie e analizza le radici comuni di queste persone che denomina «I superflui». Sono tre sottoculture che hanno lo stesso collante (noi contro gli altri), gli stessi valori (onore e rispetto per il capo), le stesse leggi (la violenza, la supremazia del più forte): «Non è il crimine, non è l’Islam, non è l’ideologia nazionalsocialista. È la violenza, che si può esprimere in nome dell’uno o dell’altro, e che la propria biografia porta ad esprimere». L’essere perdente e superfluo trova il suo riscatto psicologico nella figura del guerriero. Come dice Georg Sesslen, il grande sogno di molti jihadisti occidentali è di diventare un guerriero, in Siria e in Iraq, «un autonomo, fallico, temuto e riconosciuto Superuomo, reso immortale dalla morte degli altri». Jihadisti o criminali o neo-nazi, in quanto reietti della nostra società – un’analisi che forse non spiega tutto e che non giustifica la violenza, ma che induce a riflettere. Per esempio, sulla frase del boss brasiliano Camacho, «Voi avete la mania dell’umanesimo. Noi siamo crudeli, spietati». In realtà, quanto umanesimo è ancora presente nelle società occidentali? Al contrario: è solo una sensazione, o la soglia di inibizione della violenza si è abbassata, anche da noi? Oppure, consideriamo i modelli di bellezza veicolati oggi dalla pubblicità: uomini dallo sguardo duro, teste rasate, donne indifferenti, narcisi imbevuti di indifferenza verso il prossimo. I film che vanno per la maggiore in televisione: serie criminali a iosa, violenza, catastrofi, eroici guerrieri. C’è un bisogno di emozioni forti, di immagini devastanti – forse solo così riusciamo a «sentirci», fisicamente, emotivamente? È un dato di fatto che la violenza e la guerra sono oggi concetti molto meno tabù di qualche decennio fa, quando – usciti dalla follia di due guerre mondiali – il pacifismo sembrava un valore in lenta ma inesorabile affermazione, tanto che 25 anni fa un impero, quello comunista, era crollato senza colpo ferire. Non è più così: ai confini dell’Europa c’è di nuovo una guerra in corso, e l’anima dell’Occidente è in pena.
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