Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 febbraio 2015 ¶ N. 07
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Politica e Economia
Mattarella senior e il boss Da Cosa nasce Cosa Oggetto di querela da parte dei Mattarella, il libro dello storico Alfio Caruso narra le vicende
di collusione con Cosa Nostra che avrebbero coinvolto Bernardo, padre di Sergio, nuovo Presidente della Repubblica
Pubblichiamo alcuni passaggi del libro dello storico Alfio Caruso (da anni nostro collaboratore), Da Cosa nasce Cosa (uscito nel 2000 da Longanesi e ormai alla sua sesta ristampa) che in un capitolo racconta la saga dei Mattarella, definiti i Kennedy di Sicilia. Nel 2009 l’allora professore Sergio Mattarella, attuale presidente italiano, e due suoi nipoti, figli del fratello Piersanti ucciso da Cosa Nostra nel 1980, citano in giudizio Alfio Caruso per le tesi contenute nel suo libro: in particolare lo accusano di aver «infangato la figura di Mattarella padre», e di aver ricostruito «in maniera grossolana» i rapporti politici di Piersanti. In una recente intervista al «Fatto Quotidiano» Alfio Caruso dice: «Enzo Biagi per due volte, il 13 marzo del ’92 e il 15 agosto del ’98, sul «Corriere della Sera», racconta l’accoglienza di Bernardo Mattarella al boss mafioso Bonanno a Ciampino. Lo scrive anche Attilio Bolzoni sulla prima pagina di «Repubblica» il 25 ottobre del 2000. Eppure mai, finché Bonanno fu in vita, la famiglia Mattarella aveva pensato di querelarlo né di chiedere una smentita». Anche Caruso ha citato in giudizio Mattarella e i due nipoti, per lite temeraria. Nell’estate del 2009 assieme ai Mattarella hanno querelato Caruso gli otto figli dell’ex ministro dell’Interno, Franco Restivo. Caruso ha vinto in primo grado, in appello e in Cassazione. Nella motivazione i giudici hanno scritto che tutto quanto sostenuto su Restivo è vero perché confortato da una mole impressionante di documenti e in più, hanno aggiunto, non si può portare un libro in tribunale dopo oltre nove anni dalla sua pubblicazione. Bernardo Mattarella nasce a Castellamare del Golfo, in provincia di Trapani, nel 1905. Avvocato, sposato con Maria Buccellato appartenente a una potente e chiacchierata famiglia, entra dalla fondazione nella Democrazia Cristiana. È il periodo successivo allo sbarco degli Alleati (luglio ’43) con l’isola attraversata da considerevoli fermenti indipendentisti. Nel settembre del ’44 sul quotidiano del partito Mattarella rivolge un appello «agli amici villalbesi» di abbandonare il movimento indipendentista e d’iscriversi al suo partito. Una mossa molto discussa: quegli «amici» appartengono infatti alla cerchia mafiosa di Calogero Vizzini, uno dei più importanti boss dell’epoca, che pochi giorni prima hanno assaltato con bombe a mano e colpi di pistola un comizio del segretario comunista Momo Li Causi. Sono gli anni in cui attorno a Palermo spadroneggia Salvatore Giuliano, un bandito la cui fama, grazie alle manovre della Cia, raggiunge ogni angolo del mondo e viene sfruttata in funzione anticomunista. Il suo braccio destro, Salvatore Pisciotta, che nella ricostruzione ufficiale è pure indicato come il suo killer nel 1950, addita in diverse circostanze Mattarella, in veloce ascesa nella Dc, come sodale e istigatore di Giuliano. Mattarella smentisce. La sua carriera appare inarresta-
bile. Diventa sottosegretario e più volte ministro della Marina Mercantile e del Commercio Estero: si tratta di dicasteri fondamentali per la concessione di permessi e di licenze d’import-export. Il suo bacino di voti continuano a essere Castellammare e le zone vicine. Scrivono i carabinieri in un loro rapporto: «Per la campagna elettorale del 1946 l’onorevole Bernardo Mattarella è arrivato nella mattinata a Salemi con cinque, sei macchine di persone di cui la maggioranza dall’aspetto mafioso. Disceso in piazza della Libertà si è subito incontrato con alcuni che lo aspettavano... Si è formato un gruppo in cui erano Mattarella, Santo Robino – capomafia di Salemi – Ignazio Salvo, notissimo pregiudicato, Vincenzo Mangogna, pericolosissimo mafioso, Luigi Salvo, ritornato dall’America, Foreddu Robino, che poi sarà ucciso in America per motivi di droga; Alberto Agueci, mafioso, che sarà anch’egli assassinato in America – arrostito – sempre per droga; Mariano Licari, grosso mafioso di Marsala, ora in carcere per sequestro di persona...». Un bell’album di famiglia dove accanto a Mattarella spicca il fior fiore della zona, personaggi capaci in quella fase storica di determinare il flusso dei voti. E Mattarella è ben lieto di averli intorno. Sono la dimostrazione visiva di una forza, non solo elettorale. Nella cerchia palermitana del potente politico entra pure Vito Ciancimino, il figlio del barbiere di Corleone. Con Mattarella ministro dei Trasporti ottiene il primo appalto dalle ferrovie, attraverso l’aiuto di un colonnello dei carabinieri che attesta il falso. Mattarella appare il prototipo del democristiano di Sicilia. Rappresenta il referente della nobiltà e della grande borghesia interessate alla conservazione dei beni e dei privilegi. Ma è anche l’interlocutore principe di una nuova classe, che intende progredire nella scala sociale sfruttando le opportunità offerte dal sistema parlamentare e dalla regione a statuto speciale. Che nobiltà e grande borghesia siano pervase dalla massoneria e da quella che ama definirsi «alta mafia», edulcorato paravento della mafia dei giardini giunta alla terza, se non alla quarta generazione, a Mattarella interessa punto. Come non gli interessa che la nuova classe sia composta da mafiosi o da imprenditori e professionisti legati ai mafiosi stessi. Mattarella vive per il potere, mescola un’assoluta spregiudicatezza ai buoni sentimenti, stringe senza problemi mani lorde di sangue e accarezza, sincero e sensibile, le teste dei bambini che gli sono offerte. Immaginiamo che sarà stato un ottimo padre di famiglia, che di lui siano rimasti anche splendidi ricordi e azioni rimarchevoli. Si è alleato con il diavolo, sicuro di restare un angelo. Vera o falsa che sia la sua affiliazione a Cosa Nostra, Mattarella è uno dei tantissimi siciliani che fatica a credere, anzi, non crede affatto che la mafia sia una società segreta eversiva. Per lui è un’«Onorata società» espressione di alcuni aspetti del carattere dei siciliani,
Bernardo Mattarella (al centro) in visita alla sezione della DC di Mazara del Vallo, negli anni ’50.
un’organizzazione necessaria per non soccombere all’arroganza e alla soperchieria. Non viene mai detto in termini espliciti, ma soperchieria e arroganza sono sempre considerate espressione dello Stato e dei suoi funzionari continentali. Per lui e per tanti altri democristiani la mafia non è il male; essa è sempre altrove, spesso fuori dell’isola; è l’accusa infondata che i nemici della Sicilia usano per affossarla. Moltissimi siciliani lo pensavano allora e lo pensano adesso. Ancora oggi ritengono che Milano sia di gran lunga più inquinata di Palermo. Nel settembre ’57 Mattarella, al tempo ministro delle Poste, riceve con tutti gli onori all’aeroporto di Ciampino l’antico compagno di giochi e di classe Giuseppe Bonanno, il mitico Joe Bananas. È il capo dei capi di Cosa Nostra statunitense, guida la delegazione incaricata di trattare con le «famiglie» siciliane lo smercio dell’eroina nelle strade americane per sottrarre i propri affiliati alle pesanti condanne previste dalla legge in seguito all’inchiesta della commissione Kefauver. Bonanno nell’autobiografia (pubblicata in Italia da Mondadori nel 1985) sostiene che Mattarella l’andò a ricevere con tutti gli onori. Il 24 febbraio 1971 viene rapito Antonino Caruso, figlio di Giacomo, un imprenditore miliardario del trapanese. Siamo nelle terre di Mattarella, di cui il giovane sequestrato è un figlioccio, ma le implicazioni sono molto più ampie: Giacomo Caruso è un uomo baciato dal successo e dal rispetto generale, l’hanno insignito del titolo di «Cavaliere del lavoro», le sue conoscenze spaziano dai Rimi di Alcamo ai Coppola di Partinico, fino alla «famiglia» regnante di Badalamenti.
Antonino, il sequestrato, è imparentato attraverso la moglie con Pietro Torretta. Giacomo Caruso e i suoi cari avevano ogni motivo di sentirsi al sicuro da qualsiasi cattiva sorpresa e invece non lo sono stati. Che cosa accade? Il sequestro interrompe una tregua ventennale. Gli autori rimangono sempre sospesi tra mille dicerie e poche prove, in compenso fioriscono le leggende metropolitane. La principale vuole che alla base della cattività del giovane Caruso ci sia la decisione del padre di cedere un’azienda di marmi con un fiorente mercato negli Stati Uniti. Influenti capobastone non sono d’accordo con questa vendita, a loro interessano quei carichi di marmi, che a scadenze fisse partono per New York e Detroit e non incontrano mai problemi alla dogana. Caruso fa di testa sua e vende incassando trecento milioni. È la somma che dovrà sborsare per riabbracciare il figlio. Ancora più amaro il destino del vecchio Mattarella, che a volte è stato indicato quale socio occulto di Caruso. Stramazza sul pavimento di Montecitorio quando gli dicono qual è la somma richiesta e quali sono le voci che girano. Sullo sfondo rimane l’ombra dell’eroina, delle rotte segrete tra Sicilia e Stati Uniti, dell’intreccio inestricabile della mafia con la politica e l’imprenditoria. Vera, falsa o verosimile che sia, la leggenda metropolitana serve a illustrare come anche i rapimenti vengano impiegati per risolvere le contrapposizioni interne dei clan. Piersanti è il secondogenito di Mattarella. Laureatosi a Roma, rientra a Palermo da assistente di diritto privato del professor Antonino Orlando Cascio (padre di Leoluca e indicato nella relazione di minoranza della prima commissione antimafia quale
«consigliori» delle principali «famiglie»). Subito eletto in consiglio comunale e all’assemblea regionale, assurge, nell’autunno 70, a principale sostenitore della candidatura a sindaco di Ciancimino, già accusato di connivenze nell’ambito mafioso. Don Vito riesce nell’intento, ma dura soltanto 100 giorni. Al contrario Piersanti diventa un punto di riferimento del rinnovamento democristiano in regione e fautore di un’apertura al partito comunista per coinvolgerlo nella gestione dei finanziamenti. Nel 1978 è eletto per la prima volta presidente, incarico che gli viene rinnovato nel 1979. Nello stesso anno la sua gestione assume una forte impronta contro le cosche. Arriva a cancellare un lucroso appalto all’impresa edile di un noto boss. Il 6 maggio 1980 Mattarella è assassinato appena entrato in auto insieme con la moglie, coi due figli e con la suocera per andare a messa. Il killer mai sarà identificato. Le dichiarazioni del più illustre dei collaboratori di giustizia, Tommaso Buscetta, indirizzano le indagini verso la cupola mafiosa. Secondo Buscetta, l’esponente più in vista, Stefano Bontate, non avrebbe gradito l’avvicinamento di Mattarella ai Buccellato, ma sarebbe stato contrario alla sua eliminazione. Secondo altri collaboratori di giustizia, lo stesso Bontate in un incontro con il sette volte presidente del consiglio Giulio Andreotti avrebbe rivendicato la paternità del delitto quale dimostrazione di autonomia di Cosa Nostra riguardo a ogni potere. Nel 1995 verranno condannati all’ergastolo come mandanti i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. / Alfio Caruso Annuncio pubblicitario
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