Azione 06 dell'8 febbraio 2016

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 8 febbraio 2016

Azione 06

Società e Territorio Intervista a Silvia Vegetti Finzi sul suo ultimo libro intitolato Una bambina senza stella

Politica e Economia Un nuovo intervento internazionale in Libia?

Ambiente e Benessere Job Stress Index: l’indice che stabilisce il livello di stress è importante perché la salute psico-fisica sul posto di lavoro oggi necessita di maggiore attenzione

Cultura e Spettacoli Berlino riuscì ad affascinare e a intimorire molti italiani

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La lunga marcia del capitalismo cinese

Soluzioni geniali di adolescenti creativi

di Peter Schiesser

di Stefania Prandi

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Keystone

Con la più grande acquisizione operata da un’azienda cinese nel mondo – ChemChina compra la basilese Syngenta per 43 miliardi di dollari in contanti (a pagina 28) – la Cina mostra di portare avanti con decisione la trasformazione della sua economia, cresciuta 25 anni fa producendo merci a basso costo dapprima destinate ai mercati internazionali, poi con il crescente benessere anche a quello interno. Ora la Cina ha sete di high tech, e ha i soldi per comprarsela. I dirigenti cinesi hanno un’esplicita strategia: lo stadio attuale, in cui i cinesi hanno raggiunto competenze e conoscenze paragonabili alle nostre lavorando nelle fabbriche a marchio occidentale, va superato, per essere un giorno una superpotenza bisogna mirare in alto. È tempo di comprarsi le grandi aziende internazionali. I cervelli ci sono, ora ci vogliono gli strumenti giusti per competere ai massimi livelli mondiali e al contempo riformare la Cina. Nel caso concreto, se l’acquisizione venisse approvata, ChemChina, oggi fra i 20 maggiori gruppi chimici mondiali, diverrebbe con Syngenta leader nella produzione di pesticidi e di prodotti chimici per l’agricoltura. Syngenta è l’acquisizione più grande, e il fatto che ChemChina abbia soffiato il colosso agro-chimico basilese all’americana Monsanto ne aumenta il valore simbolico e geopolitico – ma non vanno dimenticate le altre, anche solo per i numeri: nel 2015 sono state 179 solo in Europa (4 in Svizzera), in aumento del 10 per cento rispetto al 2014. I cinesi comprano ovunque, in Europa, nelle Americhe, in Africa, in Asia, in Australia. La stessa ChemChina si era fatta notare l’anno scorso acquistando la Pirelli per 9 miliardi di dollari. Ma dietro a queste acquisizioni sta, appunto, un’altra filosofia, annotano esperti di questioni cinesi: se acquisizioni e fusioni condotte da gruppi occidentali portano a ristrutturazioni e licenziamenti nel segno dell’incremento dei profitti, le aziende cinesi si comportano diversamente, non intaccano la stabilità delle aziende e tendono piuttosto a incrementarne le potenzialità con nuovi investimenti. In questo senso, si riconosce che per Syngenta ChemChina è un’opzione migliore di Monsanto, le cui attività in parte si accavallano (ciò che avrebbe portato a tagli). L’opzione migliore sarebbe stata di restare indipendenti, ma le condizioni di mercato, viene ripetuto, non erano più date. Tuttavia, c’è anche scetticismo: qualcuno teme che i 3300 impieghi in Svizzera vengano ridotti, inoltre ci sarà meno trasparenza sulle strategie future dell’azienda, sia perché Syngenta non sarà più, almeno momentaneamente, quotata in Borsa, sia perché i cinesi comunicano meno volentieri, in particolare le aziende che come ChemChina sono in mano allo Stato cinese. E così oggi ci troviamo in un mercato globale in cui la competizione non avviene più solo fra grossi gruppi privati, ma anche con gruppi in mano ad uno Stato con mire globali. Vincerà il capitalismo vecchio stile o il capitalismo di Stato di stampo cinese? In questo momento, sono avvantaggiati gruppi come ChemChina che sono finanziariamente garantiti dallo Stato (Monsanto non poteva permettersi di pagare 43 miliardi di dollari in contanti). Il capitalismo di Stato cinese vanta inoltre una strategia globale: come gli enormi sforzi per dotare il Paese di nuove infrastrutture e di ammodernare quelle esistenti, compreso il settore energetico, sono fondamentali per lo sviluppo del Paese, così lo sono le acquisizioni di aziende altamente tecnologizzate, sia per il valore aggiunto di «intelligenze» che portano con sé, sia per la ricchezza che generano. Diversamente, in Occidente i vantaggi di un’economia globale vanno in misura maggiore alle aziende stesse e in misura minore alla popolazione nel suo complesso. Si potrebbe ipotizzare che un capitalismo di Stato gestito da leader illuminati abbia sul lungo termine qualche misura di vantaggio su un capitalismo che mira prevalentemente alla massimizzazione dei profitti. Ma siamo sicuri che i governanti odierni della Cina siano così illuminati? Il boss di ChemChina, Ren Jianxin, è un capitalista venuto dal nulla: dopo essere stato funzionario statale ha fondato una ditta di pulizie di impianti industriali con enorme successo, e con il tempo ha acquisito (sostenuto dallo Stato) un centinaio di aziende, fino a fondare la ChemChina; conosce le leggi del mercato e le rispetta o ci si adegua. Ma il governo cinese? I recenti tentativi di indirizzare la Borsa cinese secondo le strategie governative hanno generato disastri. Il sistema bancario che deve sostenere le aziende e il capitalismo di Stato è abbastanza sano? La scarsa trasparenza attorno ai veri numeri dell’economia cinese non permette di affermare che il capitalismo di Stato sia la via del futuro, né di escludere che l’euforia economico-imperialista si trasformi improvvisamente in un’inattesa depressione.

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