Azione 06 del 2 febbraio 2015

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 02 febbraio 2015

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Società e Territorio Il centro di accoglienza Casa Astra ha una nuova sede

Ambiente e Benessere La sclerodermia, malattia rara autoimmune, attraverso la testimonianza di una paziente e l’intervista al dottor Gianluca Vanini

Politica e Economia Fra Stati Uniti e India è luna di miele

Cultura e Spettacoli La Scuola Club di Bellinzona rinnovata con arte

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Keystone

La Grecia spera, l’Europa freme

di Rampini e Cazzullo pagine 22 e 29

Il volo del «bombo» di Peter Schiesser Forse anche l’Unione europea è come un «bombo», quella sorta di ape «la cui struttura alare – diceva Einstein – in relazione al suo peso non è adatta al volo, ma lui non lo sa e continua a volare». Pare spesso in procinto di schiantarsi, poi con un colpo di ali riguadagna quota e va avanti. La decisione della Banca centrale europea (BCE) di immettere 60 miliardi di euro al mese fino ad almeno settembre 2016 è un colpo di ali, seguito a ruota dall’ennesimo vuoto d’aria, rappresentato oggi dalla vittoria del partito di sinistra Syriza in Grecia (vedi l’analisi di Federico Rampini a pagina 22). Fino a quando potrà continuare a volare senza riformarsi profondamente? Il quantitative easing annunciato dal presidente della BCE Mario Draghi è considerata l’ultima misura di politica monetaria possibile per influenzare la congiuntura. Se l’obiettivo di innalzare l’inflazione al 2%, per ridare ossigeno alla crescita, se i capitali immessi non si trasformeranno in buona misura in investimenti per stimolare gli apparati produttivi degli Stati membri, la BCE avrà esaurito gli strumenti a sua disposizione, come pure la sua credibilità. Ma forse,

più ancora dei 60 miliardi di euro al mese potrà l’effetto collaterale generato dalla decisione della BCE: il deprezzamento dell’euro rende da subito più competitive le industrie dei Paesi membri dell’UE. Sommato al crollo del prezzo del petrolio potrebbe dare lo slancio atteso da tempo alla congiuntura di Paesi come Italia, Spagna, Francia. Inoltre, il timore che il quantitavie easing induca i Paesi meno virtuosi a indebitarsi viene ridotto al minimo dalle condizioni poste dalla BCE (e da Berlino): gli acquisti di titoli di Stato verranno compiuti dalle banche centrali dei singoli Paesi, che risponderanno dell’80% di eventuali perdite, solo il 20% verrebbe «comunizzato». Per contro, la vittoria di Syriza in Grecia, che ha subito concretizzato una sua promessa elettorale (il congelamento delle privatizzazioni decise dal governo precedente), mette l’UE di fronte alle sue rigidità e lacune strutturali. Infatti, tecnicamente non è quasi possibile operare un ulteriore taglio del debito della Grecia, dopo che nel 2012 titoli di Stato greci per 200 miliardi di euro erano stati trasformati in nuovi titoli con una rinuncia volontaria del 53,3% del loro valore: oltre tre quarti del debito di 317 miliardi di euro della Grecia (fonte «NZZ» 28.1.15) sono oggi dovuti a istituzioni pubbliche, di cui un

terzo allo EFSF (European Financial Stability Facility) finanziato con denaro dei contribuenti dell’Unione, poi ci sono i 53 miliardi dovuti a singoli Stati membri, i 32 miliardi del FMI (che di norma non può partecipare a tagli del debito), i 27 miliardi di euro dovuti ad altre banche centrali europee e alla BCE (che contravverrebbe al divieto di un finanziamento statale se rinunciasse ai crediti). Tuttavia, come si fa – politicamente e umanamente – rispondere picche al governo di un Paese il cui Prodotto interno lordo è crollato del 25% in cinque anni, con una disoccupazione altrettanto alta e con oltre un terzo della popolazione al di sotto della soglia della povertà? Quanto potrà ancora volare la Grecia, con il peso dell’austerità imposta dalla «Troika»? Una soluzione andrà trovata. Per ora all’interno dell’UE tiene banco lo scontro ideologico fra sostenitori dell’austerità (Germania in primis) e sostenitori di una politica monetaria espansiva e di forti investimenti. Le due posizioni paiono inconciliabili. Ma una vera riforma dell’UE potrà probabilmente esserci solo quando si troverà una sintesi di questi due approcci. Perché se è vero che una crescita va stimolata, è pure vero che i massicci debiti statali pesano eccessivamente, anche sull’economia.


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