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Food rules DIRITTO ALIMENTARE
L’alimento biologico nel quadro legale vigente
Organic food in the current legal framework
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di Giuseppe Maria Durazzo
Avvocato esperto in diritto dell’alimentazione
The production, trade and communication of organic farming products have had a strong legal relevance since this sector first found legal space in 1991. At the same time, the huge number of EU and national regulations creates a legal environment that is unfavorable to the certainty and peaceful working environment of the OSA. In this paper, the most complex aspects of the sector are addressed, starting with the rules regulating the import and export of organic products, as well as online sales. The author argues for the need for harmonization between communicated and national regulations and tries to shed light on all those “light and dark” aspects that still characterize the organic industry.
I PRINCIPALI TEMI E LE PROBLEMATICHE PIÙ RILEVANTI THE MAIN TOPICS AND ISSUES
La produzione, il commercio e la comunicazione dei prodotti da agricoltura biologica continuano ad avere un forte rilievo dal punto di vista giuridico, da quando questo settore trovò per la prima volta, nel 1991, spazio legale (e di cui scrissi in Gli alimenti “biologici” nella vigente legislazione in “Ragiufarm”, 1992, XI. 6). Da avvocato che si occupa da sempre di diritto alimentare osservo che gli obiettivi “politici” delle norme sul biologico sono sensibilmente cambiati, visto che oggi sono “usare l’energia e le risorse naturali in modo responsabile, mantenere la biodiversità, conservare gli equilibri ecologici regionali, migliorare la fertilità del suolo, mantenere la qualità delle acque”, mentre in origine si mirò a offrire un’alternativa di produzione di reddito all’agricoltura, tanto che allora la linea di pensiero del Legislatore fu che “questi prodotti sono venduti sul mercato a un prezzo più elevato, mentre il metodo di produzione richiede un impiego meno intensivo della
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terra; che tale metodo di produzione può quindi svolgere una funzione nel quadro del riorientamento della politica agricola comune per quanto attiene alla realizzazione di un migliore equilibrio tra l’offerta e la domanda di prodotti agricoli, la tutela dell’ambiente e la conservazione dello spazio rurale”. Dal punto di vista giuridico, e questo qui interessa, rimane una delle materie più complesse. Da tecnico del diritto non posso, infatti, che osservare come il moltiplicarsi delle norme Ue (e di quelle nazionali, oltre che delle numerose note e circolari) crei un ambiente legale sfavorevole alla certezza e alla tranquillità operativa degli Osa. Ricordo che il Reg. (Ue) 2018/848 ha generato a cascata molti ulteriori regolamenti: nel 2020 gli enumerati 464, 2146, 1794, 1693, 2042, 427, 977, 1667; nel 2021 i regolamenti 771, 279, 1006, 1186, 716, 715, 642, 269, 771, 1165, 1189, 181, 269, 462, tra gli altri. Per un approccio tecnico-giuridico, quale contributo a questa rubrica, suggerisco qui alcuni temi legali di maggiore attualità.
Produttori italiani sfavoriti in materia di limiti di accettabilità/tollerabilità
Permane, anche con il Reg. (Ue) 2020/1693, la condizione per la quale in taluni casi vengono applicati limiti di accettabilità diversi al prodotto Ue introdotto da altri Paesi unionali rispetto a quelli nazionali. Che il più che condivisibile concetto di residuo tecnicamente inevitabile, e quindi di un livello di accettabilità di quanto non voluto, abbia legittimità anche nella produzione biologica non si discute, ma non dovrebbe però portare a decisioni diverse da Paese a Paese sul livello di tollerabilità per il medesimo indesiderato. Nonostante siano adottate e adottabili decisioni diverse dei singoli Paesi, si continua ad applicare il criterio di libera circolazione (art. 50 del Reg. Ue 2018/848): gli effetti giuridici e pratici sono quelli noti, già segnalati con la primigenia normativa e non corretti con quella vigente. Da cui denunzie, allerte e quanto ne consegue giuridicamente. Così pure, in tema di importazioni da Paesi terzi, la vicenda del Dm. 18 febbraio 2021, poi abrogato dal Dm. 13 maggio 2021, evidenzia come, a fronte di una legittima domanda di verifica delle conformità del prodotto biologico in importazione, si renda l’importatore italiano, il quale si avvale dei porti (e aeroporti) italiani, un pària rispetto ai colleghi europei, che si avvantaggiano di regole meno interdittive e, pertanto, meno costose e impattanti sull’attività economica privata, semplicemente non importando attraverso l’Italia e facendo lavorare altri porti e imprese di logistica. L’impatto giuridico (e quindi giudiziario e legale) di tale situazione è rilevante e non sempre di facile soluzione, anche perché il consumatore si ritrova prodotti bio fabbricati o importati da Paesi diversi, con caratteristiche non necessariamente identiche e non sottoposti necessariamente a controlli equivalenti.

Il bio e le contaminazioni naturali
Ogni coltivazione (e allevamento, settore essenziale seppure spesso posto in ombra), anche biologica, può essere oggetto di attacchi da parte di vegetali e animali, ma anche di batteri, che producono o causano la naturale presenza di sostanze estranee e indesiderate. Aspetto spesso inesplorato a livello tecnico, ignorato da quello giuridico, e solo raramente sviluppato a livello legale. Quale avvocato non posso che auspicare un focus su questo
PRODOTTI BIO DI PAESI ESPORTATORI NON SEMPRE HANNO LE STESSE CARATTERISTICHE DI QUELLI DEI PAESI IMPORTATORI
tema, tutt’altro che marginale e dagli esiti che taluno potrebbe ingiustamente considera inaspettati.
Bio e allergeni
La dichiarabilità facoltativa degli allergeni (individuati dalla normativa) accidentalmente presenti costituisce, in molte merceologie, un tema assai complesso per ragioni giuridiche. Nel bio il cono d’ombra determinato da una legislazione che non tollera, se non in minima quantità, sostanze estranee, a maggior ragione se non bio (si pensi, ad esempio, alla frequente presenza della soia negli sfarinati), unisce le criticità della regolamentazione del biologico con quella sugli allergeni, con i temi delle metodiche dei controlli, della interpretazione dei risultati analitici, degli Ogm ecc. Tema talmente complesso che,

sovente, è stato accantonato, quasi che a non parlarne si arrivasse a risolverlo. A parere di chi scrive, trasparenza e utile informazione legale sono i principali strumenti per affrontare il problema, visto che certamente sono applicabili e auspicabili migliori prassi produttive comportanti una riduzione della frequenza delle non conformità, ma nulla può garantire l’assenza certa e costante di qualunque allergene. Solo alcune aziende hanno scelto di comunicare la possibilità di una non conformità al voluto. Non è questa la sede di discussione, che purtroppo sempre più spesso sorge dinnanzi a un giudice, mentre dovrebbe svilupparsi in prevenzione tra tecnici e legali per gestire un rischio di non conformità maggiore quale la presenza di allergeni, e più in generale degli indesiderati, sia di origine antropica che naturale.
Il commercio online dei prodotti bio
Colonna portante dal punto di vista economico, rimane in parte inascoltato il contenuto della sentenza, datata 12 ottobre 2017, della Corte di Giustizia la quale, non applicando al commercio online l’esenzione dei controlli prevista dall’art. 28, 2) del violazioni di legge talvolta più difficili da governare rispetto a quelle generate dalle attività presenti sul territorio.
Il contenzioso civile in tema di bio
Reg. (Ce) 834/2007 e dall’art. 34, 2) del Reg. (Ue) 2018/848 per la “vendita diretta al consumatore finale”, sottopone l’operatore che utilizza una piattaforma commerciali online di bio al sistema di controllo del biologico, a notificare la propria attività specifica (si veda anche la nota Mipaaf n. 0084614 del 28 novembre 2018). Rimane il fatto che nel commercio online internazionale sono presenti non conformità diffuse che confondono il consumatore utilizzando espressioni non legalmente conformi e determinando distorsioni sul piano della concorrenza, oltre che evidenti Con sentenza della Cassazione, sezioni unite, del 28 gennaio 2021, n.1914, la Corte ha posto fine a un lungo dibattito giurisprudenziale (peraltro nello stesso senso dell’ordinanza 5 aprile 2019, n. 9678, sempre delle sezioni unite della stessa Suprema Corte) sul giudice competente nell’impugnazione della controversia vertente tra organismo di controllo e operatore del settore dell’agricoltura biologica, indicando il giudice ordinario e non quello amministrativo.
La difesa del bio con i novellati del contradditorio, controperizia e controversia
Oggi la difesa aziendale deve pure confrontarsi con la nuova e tutt’altro che ben delineata procedura del novellato istituto del contradditorio, controperizia e controversia su campioni alimentari all’interno della procedura di controllo degli alimenti. È noto, tra l’altro, che il D.lgs. 2021/27

(come a sua volta modificato a seguito del Dl. 2021/42, convertito con modificazioni dalla legge 2021/71) abbia abrogato la procedura di analisi e revisione prevista dal legge 689/1981 per le violazioni amministrative. Il contraddittorio, con la nuova norma, non è mai instaurato pienamente visto che quanto avviene nella lunghissima procedura non vede mai le parti (controllore/controllato) dibattere se non al momento del campionamento (almeno nel caso in cui il controllo avvenga presso il controllato e in sua momentanea presenza, il che non necessariamente avviene). Si è creata, in tal modo, l’unilateralità della procedura, che personalmente ritengo legalmente censurabile e inopportuna per tentare di risolvere molti dei problemi che possono sorgere. Obbligare l’impresa a due passaggi (la controperizia e la domanda di riesame della documentazione all’Iss) prima di arrivare alla ripetizione dell’analisi appare come defatigante e illogico rispetto alla quasi totalità delle non conformità. Quindi, non mi pare azzardato ipotizzare che uno degli scopi impliciti della nuova procedura sia quello di ridurre ulteriormente gli spazi difensivi, anche aumentandone i costi, spingendo l’azienda sottoposta al controllo alla rinunzia a quel diritto e lasciando che sia poi il Giudice a intervenire quasi a supplenza di una fase pre-processuale che soven-

te non si sarà svolta nella sua potenziale pienezza. Nel momento in cui scrivo questo articolo, consta che un’ulteriore circolare dovrebbe vedere la luce per tentare di meglio applicare la citata normativa. Purtroppo, le carenze tecniche del vigente articolato non possono, che in piccola parte, essere corrette da circolari, visto che, a mio parere, occorrerebbe un radicale intervento del Legislatore, anche se sarebbe il quarto in poco tempo. La complessità della nuova procedura contrasta con la necessità di avere risposte attendibili e rapide in tempi ragionevoli, oltre a generare costi decisamente superiori a quelli connaturati al sistema previgente. Naturalmente l’analisi della citata nuova norma è assai più articolata e per quello rimando alla mia nota di Studio del 14 giugno 2021.
Biologico e integratori alimentari
L’associazione di due forti domande provenienti dai consumatori, quella sull’origine bio degli ingredienti e quella di completare la propria dieta con l’integrazione alimentare di fattori nutrizionali specifici, si scontra con una normativa che, sostanzialmente, salve eccezioni, vieta questo connubio. L’applicazione più rigorosa delle normativa sul biologico, confermata dalla sentenza della Corte di Giustizia nella causa C-137/13, secondo la quale l’impiego di talune sostanze (nello specifico della causa: minerali, vitamine, amminoacidi e micronutrienti) è ammesso nella produzione biologica esclusivamente quando sia proprio la norma dell’Unione, o una norma del diritto nazionale conforme a quello unionale, a imporre direttamente l’aggiunta della sostanza e non invece ai fini, ad esempio, di raggiungere il quantitativo del nutriente necessario all’uso di indicazioni nutrizionali o sulla salute. La decisione della Corte necessitò di atti esplicativi che confermarono come l’integrazione fosse possibile, ad esempio, nelle formule per la prima infanzia, mentre rimane interdetta nella tribolata categoria del latte di crescita per i quali non vi è un obbligo di ricetta. Conforme alla citata sentenza, quella recentissima C-815/19, con decisione del 29 aprile 2021 (in tema di lithothamnium calcareum).
L’utilizzo del termine “biologico”
Solo come accenno, merita confermare la necessità di rispettare quanto dispone all’art. 30, 2) il Reg. (Ue) 2018/848: “Nell’etichettatura e nella pubblicità non sono utilizzati termini, compresi quelli impiegati in marchi o denominazioni di società, o pratiche che possano indurre in errore il consumatore o l’utente suggerendo che un prodotto o i suoi ingredienti siano conformi al presente regolamento”. Una regola ampiamente violata, certamente da interpretare, perché l’interdizione voluta dal Legislatore è esclusivamente posta a tutela del prodotto biologico e non quale divieto a impiegare talune diffuse terminologie utilizzate anche con accezioni o in contesti diversi e non necessariamente suscettibili di creare confusione tra il prodotto biologico e quello che non è sottoposto a specifica regolamentazione in materia. In conclusione, mi pare che si possa affermare che numerosi grandi processi che si sono tenuti nel corso degli anni sui prodotti biologici hanno in parte riguardato frodi che nulla avevano a che fare con la produzione fatta secondo la legge, mentre un’altra parte ha interessato aspetti tecnici di estrema complessità che richiedono una conoscenza tecnica e giuridica del settore non sempre presente in fase di primi controlli e di primo impatto nei confronti dei controllati. La fiducia dei consumatori relativamente al prodotto da agricoltura biologica è sempre ampia e il compito di noi tecnici, anche del diritto, è contribuire a rafforzarla.

Giuseppe Maria Durazzo
