Genova Impresa 2023 n.6

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editoriale ANDREA CAMPORA

Più futuro

l’intervista

DAVIDE LIVERMORE

Hic et nunc

realtà / rappresentazione

GENOVA IMPRESA Bimestrale

Confindustria Genova N. 6 / 2023

Editore AUSIND

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SO MMAR I O

4 editoriale

PIÙ FUTURO di Andrea Campora

6 Confindustria PROSPETTIVE

CULTURA DELLA FORMAZIONE

16 l’intervista

HIC ET NUNC di Piera Ponta Andrea Campora

Davide Livermore

21 realtà / rappresentazione

IA IN AZIONE

FARE TEATRO

ARTE NO LIMITS

UNA MARCIA IN PIÙ

STEP di Adriana Ferrari

ATTENZIONE AI DETTAGLI di Giacomo Pepe Benedetti

CIAK!

TECNOLOGIA PER AMICA di Andrea Pagnin

CHIRURGIA COMPUTER-ASSISTITA

46 da Genova a...

CI VEDIAMO NEL METAVERSO di Matilde Orlando

48 competizione & sviluppo

PROGETTI DI CRESCITA di Piera Ponta

CURA RICOSTITUENTE di Barbara Alemanni

DIECI ANNI DI SOLUZIONI

AL SERVIZIO DELL’EDILIZIA

INNOVATIVI DA SEMPRE di Piera Ponta

MENO STRESS, PIÙ PRODUTTIVITÀ di Diego Cresceri

FIGURE CENTRALI di Rodolfo Magosso

PRIMI IN ITALIA

SERVIZIO COMPLETO

I SOLDI FANNO LA FELICITÀ? di Beatrice Duce

PLASTICA SOSTENIBILE di Massimo Morasso

A MISURA DI BEBÈ di Francesca Scimone

72 ESG

A CHE PUNTO SIAMO?

TEMPO SCADUTO di Marco Di Antonio

76 Confindustria Imperia

VILLA CARLI di Fabrizio Pepino

80 Europa

INNOVATION FUND di Lapo Becchelli

82 piccola industria PMI DAY 2023

86 giovani

ELEVATOR PITCH di Matilde Orlando

90 CSR

NON SI BUTTA VIA NIENTE di Francesca Sanguineti

94 Fondazione Ansaldo FOTOGRAFIA TRA SCIENZA E ARTE di Pietro Repetto

96 la città

GENOVA SMART WEEK 2023

GENOVA, UNA CITTÀ VISIBILE di Massimo Morasso

100 cultura & società

CALVINO CANTAFAVOLE di Luciano Caprile

103 industria & letteratura

ALESSANDRO SPINA di Massimo Morasso

EDITORIALE

di Andrea Campora

La digitalizzazione oggi è uno degli indicatori più significativi dell’evoluzione di un Paese ed è sempre più una risorsa strategica per la competitività economica e lo sviluppo sostenibile.

La cosiddetta “trasformazione digitale” negli anni ha via via assunto significati e finalità radicalmente differenti: da strumento computazionale, a semplice dematerializzazione documentale, a strumento di supporto all’operatività (sistemi automatici di analisi, intelligence e supporto alle decisioni), fino ad abilitatore di una nuova dimensione in cui l’essere umano, mediante una copia digitale della realtà, possa progettare, sviluppare e validare prodotti e servizi ad alto contenuto tecnologico. Siamo spettatori e attori di questa evoluzione che avviene a velocità crescente, la cui accelerazione è impressa dalle Emerging Disruptive Technologies (EDT), ad esempio l’Artificial Intelligence (“AI”), abilitata dalla capacità di calcolo e di memorizzazione dei dati, dalle tecnologie quantistiche applicate alle comunicazioni e ai nuovi algoritmi di cifratura.

Le capacità di calcolo e di memorizzazione, su cui tra l’altro anche Genova ha investito con i due super-calcolatori Davinci-1 di Leonardo e Franklin di IIT, sono oggi elemento abilitante nelle applicazioni d’intelligenza artificiale, perché permettono di raccogliere, archiviare ed elaborare grandi moli di dati (Big Data) e di addestrare grandi modelli di deep learning. Questa combinazione, molti dati e grandi modelli, sta permettendo di sviluppare soluzioni avanzate per la classificazione, predizione e correlazione di informazioni, sostenendo l’innovatività e la competitività delle aziende del territorio. Un altro uso rilevante di queste capacità è relativo alla possibilità di generare modelli virtuali ad alta fedeltà di simulazione per la realizzazione di gemelli digitali (Digital Twin) di piattaforme e sistemi digitali complessi, per svolgere attività di progettazione più efficaci e rapide, e attività di produzione e operazioni più efficienti.

Molto si sta discutendo sulle due facce della medaglia della diffusione di queste nuove e avanzate tecnologie nelle nostre vite. Per esempio, una delle nuove tendenze applicative dell’AI è quella di potenziare le capacità umane, con un significativo miglioramento nella gestione di operazioni mission-critical, aumentando efficienza e tempestività decisionale. Oppure, se guardiamo al dominio cibernetico, il machine learning e l’intelligenza generativa sono oggi abilitatori potenti per automatizzare, velocizzare ed efficientare l’analisi dei dati di sicurezza di reti e infrastrutture, permettendo una più efficace identificazione, previsione e gestione di minacce e attacchi informatici: veri e propri “Assistenti” intelligenti a supporto delle attività di difesa di cyber. Per contro, l’AI può essere impiegata anche per scopi malevoli e potenzialmente con impatti importanti nelle nostre attività quotidiane e negli attuali assetti e conflitti geopolitici, come per esempio agendo non in difesa ma in attacco, generando cioè malware dinamici difficili da intercettare. Fondamentale per lo svi-

luppo futuro di questa tecnologia sarà dunque la possibilità di renderla trasparente, affidabile, sicura e conforme ai nuovi standard che la regolamenteranno. Queste caratteristiche permetteranno di sviluppare e impiegare l’AI nel rispetto della centralità dell’uomo che la progetterà e la userà, senza compromettere le prestazioni e il funzionamento delle infrastrutture digitali critiche che la impiegheranno. Si tratta di un tema particolarmente dibattuto a livello mondiale proprio in relazione alla formulazione di regole per garantire un utilizzo etico delle tecnologie EDT. In Europa, l’“EU AI-Act” è in discussione presso il Parlamento Europeo e di prossima emissione, e richiederà la trasparenza degli algoritmi, l’affidabilità dei dati utilizzati per l’addestramento e la certificazione delle applicazioni che saranno classificate come “alto rischio”. Indipendentemente dalle diverse sfumature delle posizioni rispetto all’impatto dell’adozione massiva delle EDT sulle persone e sui loro diritti fondamentali, queste rappresentano oggi una leva cruciale di posizionamento e sviluppo, e quindi di forte competizione tra aziende, ma pure tra territori, nazioni e sistemi sovra-nazionali. E infatti anche il nostro territorio ligure si sta muovendo, puntando sulla specificità delle proprie realtà industriali e di competenza e sulle sue particolari caratteristiche morfologiche e geografiche, per trasformare le potenzialità di questa accelerazione tecnologica in concreto sviluppo economico e impatto di valore.

Mi riferisco non solo alle infrastrutture HPC (High Performance Computing, ndr) di cui il territorio si è dotato, ma anche al nuovo hub digitale di attracco per cavi sottomarini GN1, che candida Genova a essere tra i principali porti digitali d’Europa, con un ruolo chiave nel trasferimento dei dati a livello globale. Immaginare di integrare questi e altri asset del territorio utilizzando le forti capacità delle imprese e delle realtà di ricerca mettendole a sistema, al servizio delle importanti progettualità che si stanno sviluppando per rendere Genova, con il suo Porto, sempre più attraente, smart, efficiente, sostenibile - come il progetto “4 Assi di Forza” del Comune di Genova, per un trasporto pubblico locale digitale e sostenibilepuò aprire a enormi opportunità di crescita ulteriore. Un esempio di sinergia locale che immaginiamo è applicare a tutti questi progetti e asset un nuovo approccio dato-centrico, fondato sulla condivisione, valorizzazione e protezione di tutti dati e informazioni; ciò a partire dalla creazione di un data-lake locale\territoriale e di una data platform abilitata dall’AI, che siano in grado di analizzare e correlare dati e informazioni raccolte e di fornire servizi e applicazioni a valore aggiunto per istituzioni, industrie del territorio e cittadini. Su questi scenari d’innovazione si giocheranno le sfide globali e locali della competizione tra territori, per generare ulteriori opportunità di sviluppo, ma anche qualità della vita e sicurezza. In una parola: più futuro.●

Andrea Campora è Vice Presidente Confindustria Genova con delega alla Transizione Digitale

CONFINDUSTRIA

Assemblea Pubblica

La relazione del presidente di Confindustria Genova all’Assemblea pubblica del 28 novembre scorso, nella fabbrica di Phase Motion Control.

Umberto Risso

Autorità , rappresentanti delle Istituzioni, colleghi imprenditori e manager, cittadini e ragazzi, benvenuti all’Assemblea pubblica della nostra Associazione. Ripeto “ragazzi” e mi rivolgo in particolare a voi, studenti degli ITS dell’Accademia della Marina Mercantile e dell’Accademia Digitale Liguria, per i quali come Confindustria Genova ci siamo impegnati per far crescere in quantità e qualità i vostri percorsi di formazione. Sono percorsi di formazione ai quali le nostre imprese guardano con grande interesse.

Benvenuti a tutti voi per una mattinata che abbiamo voluto dedicare ai temi specifici dell’industria, alle diverse prospettive che si aprono in un contesto, non solo economico, sempre più complesso.

Per aggiornarvi in questo momento complicato e per sottolineare la nostra diretta vicinanza con il mondo dell’industria, abbiamo scelto di venire a discuterne all’interno di una fabbrica. In questo caso all’interno di una fabbrica rappresentativa del settore di punta dell’high-tech genovese, per la cui disponibilità ringrazio moltissimo l’ing. Venturini. In Confindustria la prospettiva con cui siamo soliti guardare a ciò che accade nel mondo e nella vita delle imprese tende a rapportarsi su archi di tempo quadriennali. Tanto durano, infatti, i mandati dei Presidenti di turno; come il mio, di Presidente di un’associazione territoriale, e come il tuo, caro Carlo, come Presidente di tutta Confindustria.

In quest’ultima occasione in cui abbiamo il piacere di averti ancora una volta tra noi nel tuo ruolo, in questa meravigliosa fabbrica, per chiudere la nostra Assemblea pubblica, vogliamo ringraziarti di cuore per l’impegno, la passione e la competenza che hai voluto donare alle nostre imprese e all’Italia.

Dall’alto: la slowbalisation

Parlando di prospettive, incominciamo con uno sguardo dall’alto, che dal 2020, nei quattro anni della tua Presidenza, hanno visto accadere, in rapida successione, fatti che hanno contribuito a cambiare nel profondo il contesto globale in cui operano le nostre imprese. Esempi? la definizione della Brexit, la pandemia da Covid; l’assalto al Congresso durante le elezioni americane; eventi meteorologi e incendi su larga scala; il blocco del Canale di Suez; l’esplosione dei prezzi di noli e materie prime; la carenza di componenti e semiconduttori; la guerra RussiaUcraina; la crisi Europea del Gas; il conflitto tra Israele e Hamas.

Più volatile, più incerto, più ambiguo, più complesso: il mondo nel quale ci muoviamo sta rendendo queste caratteristiche sempre più critiche e con effetti sempre più ravvicinati.

È opinione comune che la globalizzazione abbia amplificato l’effetto degli shock economici negativi. Tuttavia, tutti i dati macroeconomici dimostrano anche che la stessa globalizzazione ha permesso, contestualmente, un rafforzamento della resistenza delle aziende, le ha selezionate e fortificate. La globalizzazione, ha permesso al pianeta di accelerare le proprie dinamiche di sviluppo in un tempo in cui la popolazione mondiale è raddoppiata, mentre è diminuita la percentuale di persone in stato di povertà.

In un’epoca di cambiamenti veloci e straordinari, la capacità

delle imprese di definire la “prospettiva” attraverso cui guardare al futuro è fondamentale per individuare adeguate soluzioni produttive e organizzative.

Diventa rilevante mantenere e rafforzare la capacità di reazione a eventi imprevisti e imprevedibili, preservando al contempo la propria efficienza.

Questo significa ripensare alla propria catena di fornitura in termini operativi, ma anche di strategia a medio/lungo termine, promuovendo investimenti in tecnologie in grado di governare nel modo migliore possibile le transizioni digitale, ecologica ed energetica.

Centrale: guardare in faccia la realtà

Sguardo dall’alto quindi, con cui rivedere visioni e strategie, ma anche pragmatismo nel riconoscere e affrontare le sfide del quotidiano a cominciare dalla dimensione finanziaria, che dopo decenni di tassi vicino allo zero ha visto il passaggio a una realtà di prezzi e tassi alti, a cui non eravamo più abituati e che inevitabilmente frenano l’attività economica. Stiamo comprendendo come inflazione e alto costo del denaro non sono semplicemente frutto della dinamica postpandemica, ma saranno variabili con le quali dovremo fare i conti più a lungo.

Al contempo, le imprese, nonostante le ombre sul prossimo futuro, continuano ad assumere.

Ampliare gli organici significa ampliare le conoscenze in azienda. L’investimento in capitale umano è condizione indispensabile se non si vuole rimanere tagliati fuori dall’evoluzione dei sistemi produttivi, logistici e distributivi. L’assunzione di nuovo personale, con le competenze adatte, è nient’altro che lungimiranza. Caso mai, quello che purtroppo manca è un’offerta del mercato del lavoro adeguata in quantità e qualità rispetto alla domanda.

Nel corso della mia Presidenza abbiamo dato un rilievo primario al tema delle risorse umane, della formazione delle competenze in un contesto come quello attuale, in cui si assiste al mismatch tra una crescente domanda di lavoro e una progressiva riduzione dell’offerta, sia in termini quantitativi che qualitativi. Per inciso, secondo il report di Banca d’Italia dei primi nove mesi dell’anno, l’occupazione in Liguria ha proseguito il suo trend positivo: +3,7% nel primo semestre 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022, più del Nord Ovest (+1,7%) e dell’Italia (2%).

In questo contesto, le imprese sono orientate da un lato a impegnare forze per superare le difficoltà del breve periodo, cercando di mantenere le proprie quote di mercato, e dall’altro a definire le strategie future che, oggi più che mai,

si riveleranno decisive. In particolare, la complessità di definire una “prospettiva” futura è data sia da un orizzonte di pianificazione che si va sempre più accorciando, sia dalla stessa indeterminatezza di molti aspetti delle note, epocali “transizioni”.

Tale indeterminatezza dipende certamente dal carattere di complessità delle questioni da affrontare, ma anche dal carico da novanta che il mondo della politica e della pubblica amministrazione aggiunge di proprio; gli esempi sarebbero innumerevoli, ma a tale proposito basta citare quelli che riguardano le policy europee relative all’automotive o alla normativa degli imballaggi.

Nel campo dello sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe costituire un obiettivo prioritario e universalmente condiviso, riscontriamo che nel 2023, a fronte di richieste di 19.000 MW di nuova potenza istallata, al momento ne risultano autorizzati soltanto 2.000 MW; e di questo gap, il 50% è attribuibile a lungaggini burocratiche, mentre il restante 50% è bloccato da ogni genere di ricorso da parte di comitati e associazioni ambientaliste. Il che risulta, francamente, imbarazzante.

Tuttavia, non basta indicare la meta, non basta avere chiaro su “dove” si vuole arrivare. È necessario avere altrettanta chiarezza su “come” lo si vuole fare. Su come, concretamente, le piccole e medie realtà, sostenute dalle grandi imprese, possano affrontare la transizione digitale, quella ecologica e la riorganizzazione delle catene del valore.

Per altro verso, laddove le imprese non operano all’interno di una specifica filiera, ma affrontano la sfida delle transizioni in autonomia o all’interno di distretti produttivi, il “come” acquista altre connotazioni e chiama diversamente in causa le associazioni, le alleanze, i percorsi di patrimonializzazione e di internazionalizzazione che dalla partnership anche tra territori vicini possono essere agevolati. Di questi temi si sta occupando la nostra Associazione e, in particolare, il nostro Gruppo Piccola Industria, che a breve presenterà uno specifico position paper.

Non esistono soluzioni comuni, non esiste un grande piano omnicomprensivo per farlo. Ma molte, specifiche attività da svolgersi caso per caso, filiera per filiera, azienda per azienda.

D’angolo: le imprese alla prova delle transizioni

Le sfide che le imprese industriali sono tenute ad affrontare possono essere ricondotte a tre grandi ambiti: l’evoluzione logistico-organizzativa della supply chain (basata sul concetto di riduzione della distanza e aumento della sicurezza delle forniture), la digitalizzazione dei processi e le valutazioni di sostenibilità indotte dall’impatto della transizione green e delle nuove regole ESG.

È una prospettiva “d’angolo”, insolita e spiazzante, quella con cui le imprese si affacciano a questi cambiamenti. In particolare, le piccole e medie imprese non governano questi fenomeni, che peraltro risultano ancora oscuri in molte loro implicazioni, ma tuttavia profondono sforzi e investimenti per attrezzarsi a una “nuova normalità” che pare però non stabilizzarsi mai.

Non è realistico sostenere che le PMI possano affrontare in autonomia questi cambiamenti. Dal canto loro, le grandi imprese hanno tutto l’interesse affinché le piccole realtà

non rimangano indietro e attuino percorsi di rafforzamento tecnologico e organizzativo, dal momento che, parafrasando una celebre frase, “una filiera non è più forte del suo anello più debole”.

Una recente indagine del Centro Studi Confindustria sulle strategie di offshoring e reshoring delle aziende manifatturiere ha mostrato come la motivazione principale che ha indotto le imprese a riportare nel territorio domestico le proprie catene di fornitura sia la disponibilità di fornitori idonei in Italia.

Ecco, se questa è la prospettiva, compito delle nostre associazioni con il concorso di tutti gli stakeholder pubblici e privati, dovrà per forza di cosa essere quello di operare per rinforzare la qualità dell’offerta.

Nonostante ciascuna azienda abbia un proprio grado di “evoluzione digitale”, è preferibile parlare di transizione digitale di un intero sistema produttivo, filiera o comparto, avendo a riferimento la maturità digitale dei principali nodi della catena del valore, delle imprese leader e il livello d’innovazione mediamente presente.

Sul nostro territorio, con crescente impegno degli ultimi 10 anni, Confindustria Genova ha cercato di supportare questi processi avendo rapporti strutturati con l’Università di Genova, (sia sul fronte della didattica che del trasferimento

tecnologico), con l’Istituto Italiano di Tecnologia, con il CNR e con tutte le imprese high-tech che garantiscono soluzioni innovative ai fabbisogni aziendali; ultimo esempio, assolutamente significativo per dimensione delle risorse disponibili a valere sui fondi PNRR, è il caso dell’ecosistema dell’innovazione RAISE, che si occupa di robotica e intelligenza artificiale.

Per farlo ci siamo avvalsi anche di una propria struttura tecnica, il Digital Innovation Hub Liguria, come nodo della rete dei DIH che Confindustria ha creato in occasione del Piano nazionale Industria 4.0.

L’altra grande sfida che piccole e medie imprese sono tenute a fronteggiare riguarda la transizione ecologica, parte del più ampio tema della sostenibilità.

In questo caso, l’adeguamento delle PMI all’evoluzione delle tematiche green non può che passare da percorsi che riguardano tanto i processi di economia circolare quanto la transizione energetica.

Già in questi ultimi venticinque anni, il tessuto delle imprese medie e grandi ha dimostrato un’attenzione particolare alla qualificazione ambientale dei propri processi e prodotti.

Tutto è per definizione migliorabile, ma già oggi questo processo ha generato risultati evidenti e brillanti. Per stare al solo settore della chimica italiana, il ventinovesimo rapporto

annuale “Responsible care” (sottolineo ventinovesimo, a testimoniare come i temi della sostenibilità sono da lungo tempo al centro delle nostre strategie associative) evidenzia come le emissioni di gas serra si siano ridotte rispetto al 1990 del 58% e a parità di produzione del 55%. Nello stesso periodo la riduzione degli scarichi di metalli pesanti si è ridotta in un range che va dal 45% al 78%. Dal 2015 la percentuale di rifiuti avviati al riciclo è aumentata dell’11%, arrivando al 34,2%. I risultati ottenuti circa la revisione delle normative comunitarie in materia di packaging, rispetto alle originarie formulazioni, dimostrano quale livello di eccellenza abbia raggiunto la nostra economia circolare e confermano quanto sia fondamentale muoversi coesi per difendere le filiere industriali italiane.

Con riferimento alla transizione energetica, è necessario procedere nel segno della neutralità tecnologica, prestando grande attenzione ai processi industriali e alle loro capacità di adattarsi in tempi e modi sostenibili a obiettivi sensati di contrasto ai cambiamenti climatici. Il nostro Paese, in particolare, sta sviluppando anche soluzioni di biocarburanti e biocombustibili la cui produzione, ancora una volta, è all’avanguardia in Europa.

Vorrei cogliere l’occasione dell’assemblea pubblica per richiedere l’impegno responsabile di ciascun componente della nostra società affinché le “narrazioni” che vengono rivolte alla cittadinanza e che inevitabilmente vanno a formare la pubblica opinione vengano ricondotte a oggettività e serietà, svincolate dall’attesa di facili ritorni per un’effimera popolarità.

Non possiamo assistere a una narrazione del nostro Paese focalizzata solo su miseria, precarietà, insicurezza sul lavoro; su questi aspetti, ci piacerebbe assistere a dibattiti basati su numeri e approfondimenti oggettivi.

Il consenso che si ottiene grazie a informazioni false, parziali o tendenziose è un consenso di breve durata; un consenso che verrà sommerso quando la realtà verrà a bussare alla porta. Ma, nel frattempo, le scelte non fatte o fatte in direzione opposta a quella dovuta presenteranno il loro conto.

Se sapremo rovesciare il corso di queste “narrazioni”, capiremo che non siamo affatto condannati a prospettive di declino economico e sociale. Anzi: il nostro Paese ha risorse e capacità non sospette, cui si aggiungono una sostanziale pace sociale - a differenza di altri Paesi, che vivono conflitti esasperati - e un bilanciamento tra debito e risparmio privato che è tra i migliori in Europa.

Panoramica: guardarsi attorno

In questo contesto di mutamenti economici e geo-politici, per il Mediterraneo e i territori che si affacciano sul Mediterraneo si aprono nuove e grandi opportunità. Se si ruota di 90º la mappa del Mediterraneo ci si accorge della sua importanza globale. Il direttore di Limes Lucio Caracciolo ha ben definito il Mediterraneo un “Medioceano”. Ovvero un connettore tra l’Indio-Pacifico e l’Atlantico, tanto che spesso si fa riferimento al concetto di “Mediterraneo allargato”, estendendolo al Mar Nero e al Golfo Persico. Ma proprio in virtù di questa centralità, il Mediterraneo si sta allo stesso tempo “stringendo”.

I Paesi che vi si affacciano, anche quelli di dimensioni e peso economico limitato, stanno cercando di allargare la propria sfera di influenza sull’acqua, attribuendosi, per quanto informalmente, una sorta di sovranità su maggiori spazi marittimi. Crescono le tensioni e crescono gli interessi economici, con il tentativo cinese della Belt & Road Initiative, il maggior ruolo della Turchia e le conseguenze della guerra tra Russia e Ucraina sul nuovo riassetto degli approvvigionamenti energetici.

Senza contare gli aspetti demografici e il fenomeno delle migrazioni, che ne è conseguenza così evidente e strutturale da dover essere gestito con ben altra lungimiranza rispetto a quanto fatto finora.

In questo quadro complesso di riorganizzazione degli assetti produttivi e logistici che discuteremo, il ruolo e la competitività dei Porti è ancor più fondamentale. I Porti sono gli elementi essenziali, i crocevia non solo nel traffico delle merci e nella mobilità delle persone, ma delle stesse epocali transizioni che ho richiamato.

Ma il porto di Genova è il porto di un contesto territoriale esteso, che si allunga a ricomprendere le aree padane che hanno per fulcro le città metropolitane di Milano e di Torino. Una prospettiva di “città lunga” che abbiamo ribattezzato “Mitogeno” e nella quale dobbiamo intendere l’effettuazione degli interventi infrastrutturali “epocali” che sono in corso di realizzazione: terzo valico e nuovo nodo ferroviario, nuova diga foranea, potenziamento della rete autostradale e - auspicabilmente - avvio dei cantieri della gronda.

La nostra Assemblea pubblica del 2022 era stata dedicata proprio a questo tema e i dodici mesi successivi ci hanno visto lavorare in maniera strutturata con i nostri colleghi di Assolombarda e Unione Industriali di Torino in questa nuova prospettiva.

Abbiamo coinvolto i Sindaci, i Rettori dell’Università e dei Politecnici, i Presidenti delle maggiori Fondazioni Bancarie nel valutare insieme le potenzialità di sviluppo economico che si possono innestare sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e, oltre a questo, sugli altri programmi di investimento pubblico. Con esclusivo riferimento al PNRR, Prometeia ha stimato in oltre 26 miliardi di euro le ricadute in termini di crescita economica sul Nordovest da parte del settore privato. In termini pratici, per quanto riguarda l’operatività specifica delle nostre associazioni, attualmente siamo impegnati in progetti che riguardano la smart mobility e la salute, con specifico riferimento alla silver economy. Ma confidiamo che le ricadute in termini di maggiore integrazione tra le nostre business community potranno allargarsi efficacemente anche ad altri settori. Siamo convinti che con lo stesso metodo potremo affrontare insieme altri temi meritevoli di un impegno comune, a cominciare dallo sviluppo dell’high-tech, della logistica, dell’offerta turistica, degli stessi servizi associativi. Per concludere, in un momento in cui sembrerebbe che gli aspetti negativi prevalgano su tutti gli altri, mi piace citare Giorgio Gaber (qualcuno avrà visto forse il docu-film “Io, noi e Gaber”), che chiude così la canzone “Verso il terzo millennio”, contenuta nel suo ultimo album: E tu mi vieni a dire / quasi gridando / che non c’è più salvezza / sta sprofondando il mondo / ma io ti voglio dire / che non è mai finita / che tutto quel che accade / fa parte della vita.●

Formazione Cultura della

Presentato il White Paper realizzato dal Dipartimento di Economia dell’Università di Genova in collaborazione con il Centro Studi e il Team Cultura della Formazione di Confindustria Genova.

Paolo Macri

Riportiamo qui di seguito un estratto dall’Executive Summary del White Paper “Cultura della Formazione”, nato da un’idea di Paolo Macrì, presidente della Sezione Terziario e coordinatore del Tavolo della Cultura della Formazione di Confindustria Genova. Il White Paper è frutto della collaborazione tra il Dipartimento di Economia dell’ateneo genovese e la nostra Associazione ed è stato presentato in occasione del convegno “Verso un nuovo umanesimo aziendale” il 5 dicembre scorso. La versione integrale del Libro Bianco sarà resa disponibile prossimamente attraverso i canali di comunicazione di Confindustria Genova.

L’Unione Europea ha proclamato il 2023 quale “European Year of Skills”, l’anno europeo delle competenze, con una delibera approvata dal Parlamento il 12 ottobre 2022. Questa decisione sottolinea l’importanza strategica riconosciuta alla formazione continua per la crescita sociale, tecnologica e strutturale dei paesi dell’Unione e ne rimarca il ruolo nella costruzione di società sempre più dinamiche e competitive a livello internazionale, a fronte di cambiamenti profondi che in particolare gli avanzamenti tecnologici provocano. Secondo una proiezione del World Economic Forum (2020), entro il 2025, 85 milioni di posti di lavoro potrebbero essere soppiantati da un cambiamento nella divisione del lavoro tra uomini e macchine, mentre 97 milioni di nuovi posti di lavoro, che oggi non esistono, potrebbero emergere: in sintesi, circa la metà di tutti i dipendenti dovrà sottoporsi a un processo di riqualificazione entro questo periodo. Questa necessità riguarderà sia le competenze tecniche legate alla rivoluzione digitale, che le cosiddette “competenze del futuro”, ovvero quelle abilità trasversali che vanno oltre lo specifico ambito professionale e influenzano il modo in cui le persone affrontano le sfide. Spiccano l’acquisizione di competenze tecnologiche, il pensiero critico e la capacità di risolvere problemi in maniera innovativa. Queste skills sono sempre più essenziali nel contesto lavorativo odierno, caratterizzato da dinamiche in continua evoluzione che richiedono flessibilità e prontezza di adattamento sempre maggiori. Inoltre, le competenze trasversali svolgono un ruolo cruciale nella promozione dell’efficienza, della creatività e della collaborazione nelle diverse sfere della vita professionale e personale.

(...) In particolar modo, si è verificato come la formazione, oltre a migliorare la conoscenza del proprio lavoro, facilita l’allineamento e identificazione degli individui con gli obiettivi aziendali; ha un impatto positivo sul commitment delle persone e sulla loro soddisfazione al lavoro e quindi sulla produttività e motivazione individuale; riduce il tasso di assenteismo e l’intenzione di lasciare la propria azienda; infine, rappresenta una leva strategica verso le nuove generazioni. Questi effetti benefici a livello individuale si traducono poi un aumento della performance a livello organizzativo migliorandone la produttività e redditività. (...) Oggi, dunque, il tema non è più se fare formazione e quali sono gli impatti che la formazione produce, ma come favorire a tutti i livelli una cultura della formazione che metta le imprese nelle condizioni di trarne il meglio.

(...) Il White Paper ha l’ambizione di stimolare, partendo dai dati disponibili e dalla loro analisi, lo sviluppo di questa cul-

PREMIO CULTURA DELLA FORMAZIONE 2023

È stato assegnato a EdiliziAcrobatica il Premio istituito in ricordo di Marina Traverso, a lungo Responsabile dell’Area Previdenziale, lavoristica e amministrativa di Confindustria Genova, quale riconoscimento per aver promosso un percorso di formazione di carattere “extraordinario” e di particolare rilevanza dal punto di vista del numero dei lavoratori coinvolti, delle ore di formazione erogata, degli obiettivi prefissati e dei risultati raggiunti.n

tura, che abbia come comune denominatore il bene comune - inteso come la capacità di valorizzare le persone nel loro complesso e le organizzazioni affinché abbiano un impatto positivo più ampio nella società - e che si fondi su ascolto, condivisione, trasparenza e verifica degli esiti finalizzata a sviluppo e apprendimento.

(...) Le informazioni raccolte a livello europeo attraverso la Continuing Vocational Training Survey (CVTS), survey quinquennale somministrata dall’ISTAT per quanto riguarda il nostro paese, ci permettono di osservare le imprese con almeno 10 impiegati che investono nello sviluppo delle competenze del proprio personale e di confrontare il nostro paese con la media europea per l’anno 2020.

Il primo risultato interessante riguarda il trend della formazione dal 2015 al 2020 considerando l’impatto della pandemia. A livello europeo è possibile notare il decremento del numero di imprese che fanno formazione (dal 70,5% del 2015 al 67,4% del 2020). In questo quadro, l’Italia rappresenta un’eccezione, perché, durante la crisi del Covid19, la formazione continua passa dal 60,2% del 2015 al 68,9% del 2020 (che in valore assoluto corrisponde a circa 198.700 imprese).

(...) Ma chi fa formazione? Se prendiamo come riferimento il 2020, il 95,5% delle grandi imprese italiane (con dipendenti da 250 persone e oltre) ha fatto qualche tipo di formazione contro il 92,8% delle grandi imprese della media europea. Seguono poi le medie imprese (dipendenti da 50 a 249), con l’87% delle organizzazioni incluse nel campione (media europea 82,5%) e a concludere le piccole imprese (da 10 a 49 lavoratori) con una percentuale significativamente inferiore (il 66%, rispetto alla media europea 63,5%).

(...) In un’ottica di policy, diventa importante rispondere alla domanda: quali sono i fattori percepiti come limitanti per l’offerta di formazione continua ai propri dipendenti da parte delle imprese? (...) Per quanto riguarda l’Italia, le imprese che hanno fatto formazione nel 2020 non hanno riscontrato la presenza di fattori limitanti rispetto alla media europea. Questo indica che il mercato dell’offerta di formazione continua risponde adeguatamente alle richieste delle imprese, che riescono a gestire l’operatività quotidiana con la forma-

zione. Sempre rispetto al nostro paese, ci sono circa 62000 imprese che non hanno fatto formazione nel 2020 (il 31,1% del campione). Di queste solo il 13% ha dichiarato di aver reclutato personale con le necessarie competenze mentre poco più della metà (circa il 55%) dichiara di avere una forza lavoro con competenze adeguate alle esigenze organizzative e di business. Una percentuale molto inferiore alla media europea considera l’operatività, i costi e la mancanza di un’offerta adeguata come fattori potenzialmente limitanti. Sintetizzando, le imprese italiane che non fanno formazione sono raggruppabili in due categorie: quelle che dispongono di competenze necessarie ad affrontare le sfide e necessità dell’organizzazione e quelle che non la ritengono una priorità. Sempre in ottica di policy, un tema rilevante è quello dei finanziamenti per la formazione. In Italia, le imprese che hanno ricevuto finanziamenti per l’anno 2020 sono poche (circa il 12%), sono le più grandi, e come questi siano frammentati tra una pluralità di soggetti pubblici e privati. Per esaminare la Liguria, si è fatto ricorso ai dati di UnionCamere - ANPAL, raccolti in modo sistematico all’interno dell’indagine Excelsior (2019-2022) che permettono di apprezzare, seppur in modo parziale, l’evoluzione della formazione all’interno della regione e di confrontarla con i dati medi nazionali e di area geografica in modo coerente e consistente da un punto di vista statistico. In generale, è possibile affermare che la Liguria mostra una propensione alla formazione continua, sia con corsi che con altre modalità, storicamente inferiore sia alla media italiana che a quella della macroarea di riferimento del Nord-Ovest. Allo stesso tempo, gli anni del Covid sembrano aver innescato una dinamica positiva. Infatti, nel 2020 il numero di imprese che fanno formazione (il 46% del totale delle imprese contattate in regione) risulta superiore in percentuale a quello della media italiana anche se inferiore alla macroarea geografica di riferimento del Nord-Ovest. È importante sottolineare che esistono delle differenze anche a livello intra-regionale che devono essere tenute in debito conto sia per quanto riguarda la percentuale di imprese che fanno formazione, sia per la loro dimensione che per la collocazione settoriale, tutti fattori che incidono nella valutazione delle modalità scelte per fare formazione (si vedano i dati di ALFA sulla distribuzione delle imprese in regione). Se concentriamo la nostra attenzione sulla formazione tramite corsi, è possibile notare come Genova sia in posizione trainante collocandosi sempre sopra la media regionale. La provincia di Savona risulta essere l’area che

vede una diminuzione del 10% nel 2020 (con un modesto incremento nel 2021 di 2%), mentre La Spezia sembra essere la provincia che meglio ha retto tale evento con un impatto nullo nel numero di imprese che hanno fatto formazione con corsi nel 2020 rispetto al 2021. Infine, Imperia risulta la provincia che è riuscita maggiormente a tornare sui livelli pre Covid-19 anche se i valori mostrano come questa risulti essere in media la provincia che investe di meno in formazione con corsi rispetto al totale delle imprese sul proprio territorio.

(...) A livello intra-regionale, La Spezia risulta avere, nel 2020, la percentuale maggiore di imprese che investono in formazione per neoassunti (19%) sia nel confronto interno ma anche rispetto al Nord-Ovest e all’Italia in generale. Savona emerge come la provincia con la maggior percentuale di imprese che investono sia in nuove competenze (13.8%) che nel consolidamento di quelle acquisite (76.2%) con percentuali superiori sia al dato nazionale che rispetto all’area del Nord-Ovest. Questo primato viene ottenuto nel 2021 per quel che riguarda la formazione dei neoassunti (22.7%), mentre Imperia lo ottiene per quel che riguarda l’aggiornamento delle competenze già acquisite (71.1%). Infine, è interessante notare come Genova sia la provincia con in percentuale il maggior numero di imprese che fanno formazione sia per nuovi assunti (18.1%) che per lo sviluppo di nuove competenze (13%) rispetto ai dati dell’Italia nel suo complesso e del Nord-Ovest.

(...) Per quanto riguarda i settori in cui si investe in formazione, esiste un certo grado di omogeneità tra quelli dell’industria e dei servizi a livello nazionale e di macro-area di riferimento. In questo quadro, la Liguria mostra delle peculiarità con una predominanza degli investimenti nel settore dell’industria con percentuali maggiori sia a quella nazionale che del Nord-Ovest e con valori nel biennio 2020-2021 del 19.9% e del 25.5%, rispettivamente. La provincia di Imperia risulta avere, in generale, la percentuale più bassa di lavoratori formati con corsi in entrambi i macrosettori, tranne che nei servizi per l’anno 2021 in cui è La Spezia ad avere il primato negativo con il 14%. Infine, è interessante notare come Genova nel 2021 abbia formato nei servizi, il 21.2% dei dipendenti superando sia il dato a livello nazionale (18.9%) che quello dell’area di Nord-Ovest (20.5%). Sempre nel 2021, la Liguria è stata, dopo l’Abruzzo, la regione che ha formato in percentuale il maggior numero di dipendenti con corsi nel settore dell’industria.

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L’INTERVISTA

Il teatro porta in scena la realtà e, attraverso la finzione, la rende disponibile a tutti, offrendo a ciascuno di noi la possibilità di confrontarsi sui molteplici aspetti della fragilità umana.

Hic et nunc

“ Registi, attori, cantanti, musicisti ridanno vita, sul palcoscenico, a una materia straordinaria che, altrimenti, sarebbe morta”

“ Il teatro non è una scelta di intrattenimento, è arte” “ Dove c’è un teatro, la qualità della vita è migliore”

Davide Livermore

Dal 1º gennaio 2020, Davide Livermore, artista e manager di fama internazionale, è Direttore del Teatro Nazionale di Genova. Pochi mesi dopo la sua nomina, scoppia la pandemia da Covid, viene proclamato lo stato di emergenza e l’Italia entra in lockdown.

È allora che Livermore conquista definitivamente la stima e l’affetto dei genovesi per una serie di iniziative che nell’intervista definisce “atti di militanza”, ma che consentiranno ad artisti e tecnici, da un lato, e al pubblico, dall’altro, di mantenere vivo un rapporto ricchissimo dal punto di vista umano, proprio perché fondato sul “qui e ora”.

Il teatro è per sua natura il luogo dell’interscambio fra realtà e finzione. In una società mediatica, dov’è

sempre più difficile distinguere fra “verità” fattuale e “fake-news”, il teatro può svolgere una funzione didattico-formativa?

Non è interscambio. Aristotele ci dice che per creare la catarsi dobbiamo fare mimesi, cioè dobbiamo imitare il vero, e nell’imitazione, essere anche distanti dal vero. Quindi è una finzione che ci racconta il vero ancora più vero nella sua essenza. Non è uno scambio, ma è una rappresentazione della realtà in una maniera talmente finta da essere più vera del vero. Fare teatro significa prendere dalla finzione l’essenza pura della realtà, per fare in modo che quella realtà non sia una realtà soggettiva ma cognitiva. Per questo motivo non credo che il teatro debba svolgere una funzione didattico-formativa; la “formazione” che avviene in teatro è una formazione dell’anima e dello spirito. Spesso di una rappresentazione - o meglio, di un momento della nostra contemporaneità - guardiamo gli effetti più esteriori, che ci spingono a “tifare” per una parte o per l’altra: il teatro deve cavalcare il tifo e la superficialità della rappresentazione per andare a cogliere profondamente quello che è, invece, il reale e rappresentarlo per tutti.

Nella sua attività di regista di prosa e d’opera, per quali aspetti, nell’uno e nell’altro ruolo, l’esperienza può dirsi “unica”?

Unico è ogni giorno di prova, ogni minuto di prova, di qualsiasi lavoro si faccia in teatro. Unico perché noi registi, attori, cantanti, musicisti siamo presenti a noi stessi quando siamo sul palcoscenico e ridiamo vita a qualcosa che senza di noi non l’avrebbe. Eschilo, Verdi, Shakespeare, Mozart... senza di noi - senza l’uomo vivo, senza l’uomo contemporaneo - sarebbero dei contenitori di polvere su una libreria, in una biblioteca. In questo trovo unica e meravigliosa, quasi spiritica e spirituale, l’esperienza di dare vita a capolavori, grazie alla nostra vita, grazie al nostro essere presenti nella società come artisti vivi che danno la loro vita per ridare vita a capolavori che sono proprietà di tutti. Noi siamo il tramite rispetto a una materia straordinaria, ma che è morta senza di noi e che deve essere restituita alla società. In questo siamo unici e siamo un valore aggiunto per la società stessa. Io passo con grande gioia dal teatro di prosa all’opera perché sono musicista e perché sono “figlio” del teatro greco che mette insieme, nella stessa rappresentazione, prosa e musica. L’opera d’arte totale è la tragedia greca, e io mi sento profondamente figlio di quella esperienza civile, d’arte e umana unica e irripetibile.

Il teatro è un’organizzazione complessa, in equilibrio tra valorizzazione del talento artistico e rigore nella gestione. Qual è la sua opinione, nella duplice veste di artista e manager?

Il teatro è una parte della più grande azienda italiana, che è la cultura. L’azienda culturale italiana è quella che fattura più miliardi di qualsiasi altra azienda in Italia. Il teatro non è una scelta di intrattenimento, il teatro è arte e per questo

diventa la vera possibilità per la nostra società di arricchirsi dove il cittadino si vede rappresentato in scena in tutti gli aspetti possibili, in tutte le declinazioni della nostra umana fragilità e dove può rappresentare se stesso nella agorà teatrale. Essere manager culturali, oggi, essere direttori di teatro, per quanto mi riguarda, deve essere una battaglia affinché ci siano sempre più soldi per la cultura, perché anche da un punto di vista manageriale è stata ormai confutata la famosa frase horribilis “con la cultura non si mangia”: con la cultura ci mangiano tutti. Il teatro garantisce una qualità di vita migliore e una ricaduta economica sul territorio a vantaggio di tutti. Io lavoro con questa consapevolezza, per fare in modo che ci siano sempre più risorse e sempre più opportunità per chi fa dell’arte la propria vita, tanto per chi opera come tecnico, a supporto degli artisti, che per gli artisti stessi.

Nel periodo della pandemia da Covid-19, il Teatro Nazionale di Genova, sotto la sua direzione, ha dato vita a una serie di progetti che hanno utilizzato “palcoscenici alternativi”: dal web al camion-teatro, agli spazi espositivi di Palazzo Ducale. Ricordiamo la rassegna di nuova drammaturgia in podcast “Onde teatrali”, i “Cento giorni con Dante - Grandi interpreti per la Divina Commedia”, realizzato insieme a Rai Radio 3, “TIR - Teatro In Rivoluzione” nelle piazze di Genova e della Liguria, la mostra performativa “Edipo: io contagio”. Cosa riproporrebbe, oggi che siamo ritornati alla “normalità”, di quella riuscita contaminazione/sovrapposizione di reale e virtuale?

Quello che abbiamo fatto allora non è mai stato virtuale;è importante sottolineare che non c’è mai stata una sovrapposizione tra reale e virtuale. In un convegno internazionale organizzato in quei giorni di lockdown, al quale partecipai insieme a molti direttori di teatro da tutto il mondo, un direttore canadese disse che stava studiando tecniche attoriali per realizzare spettacoli teatrali dove tutti gli attori potessero recitare la propria parte da remoto... E io replicai con queste parole: “tutto ciò è bellissimo, ma si tratta di un atto di militanza. La verità è che se io potessi venire con una chitarra sotto casa vostra a cantare canzoni napoletane, tutti quanti voi andreste a spegnere il computer per stare ad ascoltare me”. Questo perché il reale, l’hic et nunc del teatro, sarà sempre quello che ci lega alla possibilità umana di elevarsi e di raccontarsi. Quelle iniziative, così fantasiose, così divertenti, erano iniziative di vera militanza. Come al tempo di Shakespeare, quando i teatri rimasero chiusi per anni a causa della pestilenza... e poi ne è nato Shakespeare. Noi artisti siamo indomiti, siamo incapaci di rimanere nelle nostre case, abbiamo bisogno dell’uomo, abbiamo bisogno dell’umanità. Oggi quello che farei è continuare a lottare e a inventare mille possibili modi per raccontare la bellezza dell’uomo, la bellezza di vivere in una società civile che si fonda su ciò che rappresenta attraverso il teatro.●

realtà / rappresentazione

innovazione tecnologica n teatro n arte

smart city n formazione n porto n cinema n medicina

IA

Lo studio realizzato dal Gruppo di lavoro “Intelligenza artificiale” di Anitec-Assinform dà risalto alle molteplici possibilità che l’IA può offrire, soprattutto per le PMI.

Il White Paper “l’IA in azione”, presentato nel mese di novembre, è il terzo prodotto dal Gruppo di Lavoro “Intelligenza artificiale” di Anitec-Assinform. I primi due documenti sono stati “Promuovere lo sviluppo e l’applicazione dell’intelligenza artificiale a supporto della ripresa”, sviluppato in piena pandemia e con un contesto in forte cambiamento (remotizzazione di attività, automazione ecc.), e “L’IA a tre dimensioni. Approfondimenti su policy, tecnologie ed esperienze aziendali”, per collocare l’adozione di questa tecnologia in un contesto mondiale che presenta forti differenze nelle traiettorie di regolazione che andranno a incidere sempre più profondamente sull’adozione dell’IA e sulle sue opportunità di sviluppo. Il White Paper si rivolge in primo luogo a tutti coloro che sono curiosi di approfondire il tema dell’introduzione dell’IA nei modelli di business aziendali, offrendo un testo ricco di contenuti tecnici resi in modo accessibile e mutuati dall’esperienza delle aziende dell’ICT che operano in Italia. In secondo luogo, il White Paper si rivolge agli stakeholder istituzionali, coloro i quali sono chiamati a “saper maneggiare” sempre meglio la tecnologia. Il testo offre ai decisori pubblici punti di vista e spunti da parte dell’Industria ICT sulle traiettorie di sviluppo dell’IA e l’impatto che la tecnologia avrà su economia e società. Il White Paper offre al lettore anche una fotografia dello stato attuale e delle prospettive future del mercato delle soluzioni di IA in Italia. Nel 2023, il mercato italiano dell’IA dovrebbe raggiungere i 570 milioni di euro. Nonostante una penetrazione ancora limitata, soprattutto nelle PMI, il mercato è

previsto crescere mediamente quasi del 30% annuo, toccando 1,2 miliardi di euro nel 2026. I settori bancario e delle telecomunicazioni/media sono i più attivi negli investimenti in IA, mentre la pubblica amministrazione è più indietro. Lo studio, coordinato da Roberto Saracco (Reply), è stato realizzato con il contributo delle aziende associate Cefriel, Colin & Partners, DXC, Engineering, Eustema, Experis, Exprivia, IBM, Indra Minsait, Leonardo, Maxfone, Microsoft, Mylia, Reply, TIM e con la partecipazione di AINDO. Qui di seguito riportiamo le Conclusioni del White Paper, disponibile sul sito www.anitec-assinform.it.

L’intelligenza artificiale, come mostrano i tanti esempi contenuti in questo White Paper, trova applicazione in moltissimi settori e in tutte le fasi del business: dal percorso “ideazione - studio di mercato - progettazione”, alle fasi di produzione, gestione delle risorse (materiali e umane), fino al controllo qualità, costumer relations e gestione delle supply e distribution chain. Nonostante le grandi potenzialità di applicazione e creazione di valore, la percentuale di aziende che adopera l’intelligenza artificiale in Italia è ancora bassa. Secondo dati ISTAT del 2021, solo il 6,2% delle imprese italiane ha dichiarato di utilizzare sistemi di Intelligenza artificiale, contro una media dell’8% nell’Unione europea. Il dato è spiegato anche - e soprattutto - guardando alle PMI: la percentuale di adozione di IA per queste aziende si attesta al 5,3%, contro il 24,3% delle grandi imprese. Allo stes-

so tempo, va sottolineato che segnali positivi arrivano dall’ecosistema start-up. In Italia le start-up e le PMI innovative del settore ICT che sviluppano soluzioni di Intelligenza artificiale e machine learning sono stabilmente sopra quota mille e rappresentano oltre il 10% del totale (11,3% dall’ultimo rapporto Anitec-Assinform Infocamere, pagg. 7-8). In realtà, però, l’IA è diffusa in molti apparati e sistemi ma ancora non emerge a livello di “consapevolezza”. La conseguenza di ciò è che l’IA: non viene usata come leva competitiva al fine di migliorare efficienza, qualità e rapporto con i clienti. Spesso la distonia tra “potenzialità” - concrete, come dimostrato dai molti casi d’uso - e “sfruttamento” della tecnologia è dovuta, da un lato, alla richiamata “mancanza di consapevolezza” sia su ciò che l’IA possa fare per l’azienda, dall’altro alla percezione che l’IA sia “troppo complicata” e in qualche modo fuori dalla portata. A ciò contribuiscono vari fattori: l’enfasi data dai media ai rischi dell’IA, a un contesto regolatorio - che, pur essendo in divenire - sembra poco concentrato a guardare alle opportunità di innovazione e al favorirle, a una cultura manageriale diffusa che fatica a concepire l’innovazione digitale come un fattore di competitività. Occorre, tuttavia, notare che, come evidenziato dalle molte testimonianze raccolte da Anitec Assinform e Confindustria Piccola Industria durante il roadshow “IA e PMI: Esperienze da un futuro presente”, esistono molte piccole medie aziende che, non solo utilizzano l’IA, ma sono parte attiva nella sua evoluzione nei più svariati settori applicativi e che rappresentano, in termini di applicazione, delle eccellenze a livello internazionale. Una “radice” importante alla base del divario tra potenzialità e effettivo sfruttamento in ambito IA si trova nella mancanza di risorse umane preparate in modo pragmatico all’applicazione dell’IA. Gli output di ricerca delle Università italiane dimostrano che nel nostro Paese il livello della ricerca accademica non è distante da quello degli altri principali Stati europei. Tuttavia, nonostante vi siano sempre più importanti progettualità per favorire il trasferimento tecnologico dall’Università al mercato, rileviamo un orientamento ancora troppo teorico e scarsamente improntato alla soluzione di problemi di business. L’applicazione dell’IA in questa fase storica - e ciò varrà ancora di più nel futuro - passa anche attraverso la preparazione di professionisti dotati di un background formativo di tipo tecnico. Quest’ultimo è un elemento che ci vede da sempre in prima linea, con proposte operative per potenziare il sistema degli ITS. Auspichiamo di poter cogliere già nel medio periodo i frutti degli sforzi importanti che il legislatore ha fatto negli ultimi anni per potenziare questo tipo di percorsi. L’industria ha bisogno di risorse preparate ad utilizzare gli strumenti messi a disposizione dalla IA. Non ci confrontiamo, tuttavia, solo un problema di mancanza di competenze aziendali ma anche con un problema di approccio all’evoluzione dell’azienda. La transizione digitale, il metaverso e i data spaces sono tre elementi di cui si parla molto ma che non trovano ancora un’adeguata “metabolizzazione” nella cultura aziendale e di management strategico. Anche su questo versante una formazione strategica, sia nel pubblico che nel privato sarà sempre più importante. La transizione digitale “sposterà” le attività nel “metaverso” - consumer, ma

soprattutto industriale, e questo comporta un ripensamento dei processi, e una parallela rivisitazione della gestione delle risorse umane. La pandemia ha dimostrato come sia stato possibile, con tecnologie da tempo disponibili, organizzare gran parte dell’attività lavorativa nel cyberspace. Se per moltissime aziende in molti settori questo processo ha rappresentato un punto di svolta nel modo di fare business e di gestire e usare le risorse; per alcune è stata solo una parentesi. La comunicazione e la costruzione di valore sui dati hanno rappresentato per molte aziende un vero e proprio cambio di prospettiva. Non solo dati necessari a gestire il business ma dati come fonte di business. L’Intelligenza artificiale è uno strumento cruciale sia per la gestione sia per trasformare i dati in valore. Anitec-Assinform continuerà il suo ruolo di catalizzatore nella diffusione della IA specie verso le PMI che sono quelle che più possono guadagnare dalla IA e certamente quelle più a rischio di essere tagliate fuori da chi l’IA la usa. Questo vale anche a livello delle singole persone: nonostante ci sarà uno spiazzamento in alcune professioni con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale, il pericolo maggiore che intravediamo sia per le aziende che per i lavoratori è legato alla perdita di competitività. Chi adotta per primo, e in modo efficace, le tecnologie basate sull’IA guadagnerà un vantaggio significativo sul mercato. Questa dinamica avrà impatti sull’occupazione che è essenziale considerare. In conclusione, va espressa una riflessione sul tema della Regolazione europea dell’IA nel contesto della competizione globale su questa tecnologia. In Europa, l’AI Act inizierà ad applicarsi tra il 2026 e il 2027. Vista la crescita del mercato e dell’ecosistema dell’IA, il regolamento si applicherà su un numero di imprese e utenti ben maggiore rispetto al panorama di oggi. L’impatto dell’AI Act sarà determinante su tantissime realtà aziendali dell’offerta (da multinazionali a start-up) ma in generale su tutto il sistema produttivo, che sempre di più utilizza Intelligenza artificiale per migliorare prestazioni ed efficienza. Nei prossimi anni, quindi, le imprese dovranno impegnarsi per assicurare la compliance dei loro prodotti al Regolamento. Per adeguarsi al AI Act senza sacrificare le prestazioni dei sistemi e la capacità di investimento, sarà fondamentale che i negoziati non perdano di vista la fattibilità commerciale e la fattibilità tecnica norme che saranno stabilite. La Commissione europea sta puntando sempre di più sul cosiddetto “Effetto Bruxelles”: vale a dire la capacità di influenzare lo sviluppo di prodotti a livello globale imponendo norma che si applicano sul vasto mercato europeo. Tuttavia, è da dimostrare che per l’IA tale dinamica si riproduca. Infatti, le altre grandi potenze coinvolte nella AI Race globale, che sono molto più avanti dell’Europa per investimenti e ricerca, stanno propendendo per approcci più soft (USA) o comunque con un ambito di applicazione più ristretto (Cina). Se è difficile immaginare di poter tenere il passo dei leader mondiali solo imponendo regole, allora è fondamentale che il Regolamento si iscriva in un disegno strategico ampio: fatto di investimenti in infrastrutture digitali, ricerca, tecnologia e formazione, sia specialistica che di base. Solo così, l’Europa potrà aspirare a competere con le grandi potenze dell’IA, sfruttando al meglio le potenzialità di questa tecnologia per il proprio sviluppo socioeconomico.●

Fare

Ciò che va in scena è il risultato di un’organizzazione complessa, perché il lavoro “dietro le quinte”, nel suo senso più ampio, coinvolge professionalità e talenti molto diversi tra loro.

TEATRO

Per creare la “realtà” della rappresentazione occorrono immaginazione e competenze a diversi livelli: ne abbiamo parlato con Claudio Orazi Sovrintendente di Opera Carlo Felice Genova, con Stefania Opisso, Vice Direttrice del Teatro Nazionale di Genova, e con Valentina Mancinelli, Relazioni esterne e ufficio stampa alla Fondazione Luzzati Teatro della Tosse.

Don Pasquale di G.Donizetti | Opera Carlo Felice Genova | Foto: Marcello Orselli
Storia di un uomo e della sua ombra (mannaggia ‘a mort) di Giuseppe Semeraro Teatro Nazionale Genova | Foto: Carlo Elmiro Bevilacqua
Bello! Fondazione Luzzati - Teatro della Tosse Giuseppina Francia Cordata F.O.R.

Claudio Orazi

Sovrintendente, Opera Carlo Felice Genova

La “realtà” della rappresentazione che caratterizza ogni giorno la missione e l’attività di un Teatro come l’Opera Carlo Felice di Genova si compone attraverso la concertazione di diversi e peculiari fattori. Il primo consiste nella proposta di un progetto artistico fondato sulla funzione culturale e sociale del Teatro, affiancato da una solida sostenibilità economico-finanziaria. Opera Carlo Felice caratterizza la sua vocazione d’avanguardia e innovazione attraverso la conservazione, tutela e valorizzazione del repertorio musicale storico coniugandolo con nuove ricerche sulla musica antica e rara, finalizzate alla loro restituzione in epoca moderna. Tale indagine dialoga costantemente con la proposta di nuove commissioni d’opera capaci di incentivare la creatività contemporanea, anche nella prospettiva della multidisciplinarietà delle arti performative. Essenziali protagonisti di tale palinsesto programmatico sono tre figure di prima grandezza della direzione internazionale che collaborano stabilmente con il Teatro: il direttore onorario Fabio Luisi, il direttore emerito Donato Renzetti, il direttore musicale Riccardo Minasi. Al loro fianco un compositore residente, universalmente apprezzato, come Francesco Filidei: una posizione, quest’ultima, che contraddistingue Genova nel panorama delle altre Fondazioni Liriche Italiane. Un altro fattore essenziale per l’attuazione del progetto sono i lavoratori del Teatro che consistono di 258 unità, operanti a tempo indeterminato, con 92 professori d’orchestra, 60 artisti del coro, 66 tecnici, 5 maestri collaboratori e 35 amministrativi. Si tratta di personale altamente professionale che può essere integrato con altri lavoratori a tempo determinato in base all’attività produttiva. Tali professioni artistiche e tecniche sono attinte, attraverso pubblici concorsi, tra quanti si siano formati in Conservatori di musica, Università, Accademie di Belle Arti, Istituti di Alta Formazione. Ci troviamo di fronte ad una vera e propria filiera industriale che assicura l’esecuzione di spettacoli d’opera, concerti e balletti per un pubblico sempre più vasto che include migliaia di giovani provenienti da Università, Accademie e Scuole di ogni ordine e grado. Un secondo aspetto che distingue Genova è una

programmazione artistica policentrica capace di estendersi, oltre il Teatro Carlo Felice, in decine di luoghi della Regione Liguria, Regioni limitrofe, altre sedi italiane e internazionali. Spiccano tra queste località, Teatri, Chiese e siti di rilevante interesse storico-artistico o ambientale. Tutto questo mentre l’Opera Carlo Felice ha iniziato a gestire il Teatro della Gioventù, sempre a Genova, con attività dedicate alle nuove generazioni. Il progetto artistico è composto da una stagione Lirica, una Stagione Sinfonica, una rassegna di spettacoli per Liguria Musica, una sezione di Musica vocale da camera, Tournée all’estero, attività per i giovani e le famiglie al Teatro della Gioventù. L’articolazione di queste iniziative si avvale di diverse collaborazioni mediatiche ed editoriali tra le quali si segnalano Rai cultura, Rai 5, Rai Radio 3. L’Opera Carlo Felice oltre a perseguire collaborazioni istituzionali con il Comune di Genova e la Regione Liguria e una molteplicità di altri Comuni, attua concretamente cooperazioni integrate con Conservatori di Musica, Università, Accademie di Belle Arti e Scuole, finalizzate alla formazione in teatro degli studenti e valorizzate da crediti formativi. Oltre questi ambiti spiccano le collaborazioni con altre istituzioni quali l’Ufficio Scolastico Regionale, la Giovine Orchestra Genovese, l’Arcidiocesi di Genova, il Premio Paganini, la Comunità di Sant’Egidio, l’Associazione liguri nel mondo. Un terzo caposaldo progettuale è costituito dalle cosiddette “azioni di sistema” finalizzate ad assicurare lo sviluppo di elevati progetti artistici nazionali e internazionali con la relativa sostenibilità economica. Tra queste si segnalano quelle con il Teatro alla Scala, il Teatro la Fenice di Venezia, il Teatro Comunale di Bologna, il National Center Performing Art di Pechino, la Royal Opera House di Muscat, il Teatro Nazionale di Zagabria, la Columbia University di New York , il Teatro della Italian Accademy di New York, la Saint Patrick Old Cathedral di New York, oltre il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo (attività attualmente sospesa a causa del conflitto bellico). A tale sistema di cooperazioni nazionali e internazionali si associa la costante alleanza del Teatro con il sistema turistico ligure, nella combinazione tra luoghi d’arte e grande musica che incentiva significativi momenti di scambio culturale e indotti economici. Un quadro così articolato di attività e relazioni consente al Teatro di creare nuovi posti di lavoro (oltre trenta i bandi di concorso emanati nel 2023). Inoltre gli attuali scenari della innovazione tecnologica stimolano lo sviluppo di professionalità nel campo della scenografia, scenotecnica, del disegno luci senza dimenticare la formazione di nuovi profili per l’alta artigianalità dei costumi. In conclusione, l’Opera Carlo Felice concentra in sé non solo il senso della rappresentazione ma anche quello di una grande impresa culturale a servizio di Genova, della Liguria e del Paese intero.

Stefania Opisso

Vice Direttrice

Teatro Nazionale di Genova

Il linguaggio del teatro è pervasivo. Termini di chiara origine teatrale sono entrati nel parlato comune, sono parte del nostro immaginario. Ma, guarda caso, alle parole che nascono dal palcoscenico sono spesso - se non sempre - attribuite accezioni negative. “Non fare l’attore!”, il “teatrino della politica”, “sei un pagliaccio”, “peggio di una ballerina” e così via. Un’espressione che è entrata a far parte del nostro parlare è, senza dubbio, “dietro le quinte”. È buffo: anche in questo caso, si usa questa frase per indicare qualcosa di misterioso, di poco chiaro, che resta irrisolto. Dietro le quinte si manovra, si ordisce, si trama, si manipola... Eppure, per noi che siamo gente di teatro, il “dietro le quinte” è qualcosa di fondamentale e caro, di accogliente e necessario. Dietro le quinte c’è la vita dell’artista prima di andare in scena, c’è il momento di tensione, paura, concentrazione necessari per poi “uscire”, per andare incontro al pubblico. Dietro le quinte, si sa, c’è il mondo. Accade tutto: tecnici, sarte, costumisti, macchinisti, scenografi, suggeritori, registi, organizzatori, uffici stampa (un elenco che declino al maschile, per abitudine grammaticale, ma che dovrebbe essere girato al femminile: costumiste, scenografe, suggeritrici, tecniche, macchiniste, registe...). Un brulicare di professionalità artistiche che sono necessarie alla realizzazione dello spettacolo, di qualsiasi spettacolo. È esperienza comune vedere, al calar di sipario, uscire per prendere gli applausi persone - normalmente vestite di nero - fino a quel momento invisibili, eppure cuore pulsante della pratica teatrale. Capita, è capitato, di assistere a un monologo: poi, si scopre che a quel monologo lavorano in tanti: per un singolo interprete serve un gruppo, uno staff di lavoro. Il teatro è arte collettiva, Sin dal V secolo a.C., quando teatro e democrazia crescevano nell’Atene di Pericle, il teatro prevedeva l’“osceno”altro termine che oggi ha assunto accezione negativaovvero il fuori scena, tutto ciò che non doveva essere mostrato e dunque visto. Come è noto, nelle tragedie classiche greche i crimini, le uccisioni, gli atti di sangue non potevano essere mostrati e così rimanevano ob-scena, fuori scena. Per realizzare quell’osceno si provvedeva, dietro le primordiali quinte, dietro la Skenè, tramite macchine come l’enciclema: una specie di carrello, a dirla in modo grossolano, che portava a vista “l’atto compiuto”, il crimine consumato. Anche il dio, la divinità, appariva “ex-machina”, con una sorta di gru che sollevava l’attore di turno. Ebbene questi meccanismi ci ricordano due cose: la prima è che il “dietro le quinte” era sostanziale per la pratica scenica già duemilacinquecento anni fa; la seconda, che la tecnolo-

gia è stata da sempre uno strumento attivo in teatro. La scena è un luogo di continua ricerca tecnologica, visiva, sonora, logistica. Questo è il teatro! Straordinaria artigianalità e talento, rigorosa presenza tecnica e invenzione. La cosiddetta “finzione” del teatro, è una concretezza di fatti, di lavoro faticoso, di studio e ricerca, di costante applicazione. Solo così, dietro le quinte, può nascere la magia del teatro, sera dopo sera.

Solo così, nella rappresentazione del mondo, la realtà si svela non solo per quella che è ma per quel che potrebbe essere. Realtà e teatro si sono sempre cercati, inseguiti, negati, demistificati. Come portare la realtà in scena? Come far sì che quel che accade in scena sia reale? Queste domande hanno segnato la storia dello spettacolo, in particolare nel Novecento. Al di là delle risposte e delle scelte poetiche, preme dire che vi è una realtà magnifica: ed è l’attimo della condivisione, il momento in cui una comunità umana si ritrova, liberamente e felicemente, in uno spazio per condividere delle emozioni e dei pensieri. È il momento in cui il sogno diventa materia, in cui l’utopia creativa si realizza, in cui il singolo spettatore diventa pubblico. È un dato di fatto innegabile. Siamo in sala, in quello strano edificio dedicato alla rappresentazione. Siamo insieme. Ecco il teatro.

Turandot di Carlo Gozzi | Foto: Federico Pitto
Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller | Foto: Yasuko Kageiama

Valentina Mancinelli

Relazioni esterne e ufficio stampa, Fondazione Luzzati

Teatro della Tosse

“Il Teatro non è il paese della realtà: ci sono alberi di cartone, palazzi di tela, un cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia, un sole che esce da sotto la terra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco”. Queste parole di Victor Hugo sintetizzano in modo splendido il teatro, la sua bellezza, la sua complessità, i suoi colori meno evidenti, la verità che sta dietro la rappresentazione. Il ποιέω, il “fare”, il teatro come arte viva e dal vivo, è stato ed è, per Fondazione Luzzati Teatro della Tosse, un dialogo

continuo tra la dimensione poetica, intesa come energia creativa, attenta, che suscita pensieri, suggestioni e sogni e la dimensione poietica, del fare concreto, che realizza, offre lavoro, coinvolge, interviene sulle comunità e sui territori. La Tosse “fa” teatro da quasi 50 anni - festeggeremo nel 2025 - e in tutto questo tempo non lo hai mai fatto da sola, fuori dal contesto in cui ha operato; non lo ha fatto come un artista che apre l’atelier dei propri lavori per offrirli al pubblico. Il teatro è stato e sempre sarà per noi, innanzitutto, una relazione: tra e con gli artisti, tra e con il pubblico, tra e con le istituzioni, tra e con i luoghi; e, ancora, tra la nostra tradizione, il presente e il futuro, tra mestieri antichi e nuove professioni, tra artigianato e tecnologia. Non ci è mai piaciuta l’espressione “dietro le quinte” perché crediamo che del teatro nulla sia mai davvero dietro le quinte. Ci sono gli artisti, gli spettacoli, i risultati creativi ma tutto ciò che non si vede - o si vede meno - è altrettanto fondante ed essenziale: è la realtà della rappresentazione appunto. E questa realtà si compone certamente di idee, creatività, talenti, scambi, ma anche di progetti, strategie, competenze e strumenti che a queste idee diano forma, comunicazione, diffusione, senso e vita.

Fare teatro significa creare, rappresentare, indagare, interrogare ma significa anche ascoltare i bisogni delle comunità, offrire occasioni di lavoro, trovare mezzi per essere sempre più accessibili; significa rispettare l’ambiente, sostenere chi è fragile, favorire l’incontro tra saperi e persone, creare alleanze, trovare e condividere risorse economiche, cambiare, a volte, il destino dei luoghi.

La realtà di Fondazione Luzzati Teatro della Tosse - nel solco di una tradizione che l’ha vista nascere nel 1975 come una cooperativa, in cui si sono unite competenze artistiche e organizzative - continua a essere anche oggi una realtà fatta di relazioni e di azioni, fortemente dinamica, per favorire pluralità di sguardi, dal dentro al fuori e dal fuori al dentro. SI parte dalla direzione - un comitato artistico composto da Emanuele Conte, Marina Petrillo e Amedeo Romeo - in dialogo costante per la costruzione dei programmi anche con artisti e professionisti di altri ambiti disciplinari, per arrivare alle collaborazioni creative, alle residenze, nazionali e internazionali, alle attività formative, per garantire risorse, apertura, contemporaneità, varietà di generi.

Numerosi inoltre ogni anno bandi e progetti sul territorio, realizzati in collaborazione con altre istituzioni - pubbliche e private - per valorizzare luoghi e comunità e per migliorare l’impatto ambientale e i costi delle attività, cosi come le nuove produzioni e le azioni di sostegno alla drammaturgia e all’innovazione, in rete con altre realtà nazionali per favorire ricambio generazionale, sostenere i talenti e promuovere lo sviluppo di nuovi linguaggi.

Infine il pubblico: la relazione più importante che continua felice da tanti anni, anche grazie a scelte di programmazione e politiche di prezzo sempre più inclusive; un confronto costante grazie a un modo di fare teatro che si fa sempre più diretto, intimo, immersivo, sostenibile, privo di quarta parete, nelle sale come nei borghi, nelle città come sul mare o nei boschi e chissà ancora dove se - come diceva Emanuele Luzzati - “il teatro si può fare ovunque, perfino in teatro”.●

Arte

NO LIMITS

Ascolto, attenzione, passione, impegno, inclusione... questo e molto altro è la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo: un luogo di riferimento non solo per artisti.

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, nata quasi trent’anni fa su iniziativa di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, è oggi una realtà riconosciuta a livello nazionale e internazionale non solo per l’attività a sostegno dei giovani artisti ma anche per il ruolo che svolge nella sensibilizzazione all’arte, rivolgendosi a un pubblico vario, per età e preparazione, con modi e linguaggio originali e coinvolgenti (suggeriamo, al riguardo, di dare un’occhiata alla pagina Facebook della Fondazione...).

Nel testo che segue, la testimonianza di Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Presidente della Fondazione.

L’arte è per me sinonimo di conoscenza, scoperta e riflessione: sono queste le qualità di fondo che cerco nelle opere degli artisti e delle artiste di oggi, dedicando grande attenzione alle ricerche delle generazioni più giovani. La mia storia con l’arte è iniziata nel 1992 quando, durante un viaggio nella Londra creativa e graffiante degli YBA (il gruppo dei Giovani Artisti British), ho deciso di iniziare a collezionare arte contemporanea, concentrandomi all’inizio sulla scena inglese e poi su quella di Los Angeles, sull’arte italiana, la fotografia e le opere delle donne artiste. Appena tre anni dopo, nell’aprile 1995, a Torino - la città dove vivo e dove sono nata - ho costituito la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, un’istituzione no profit, un centro per l’arte contemporanea aperto al pubblico che sostiene gli artisti, produce opere, realizza mostre personali e collettive, laboratori educativi per le scuole, le famiglie, le persone con disabilità e programmi di formazione e di residen-

© FSRR | Marguerite Humeau, Rise
© FSRR | Opening of exhibitions | Paulina Olowska, Peng Zuqiang

za per giovani curatrici e curatori, italiani e stranieri. Alla vigilia dei trent’anni di attività - li festeggeremo nel 2025la Fondazione è una realtà riconosciuta a livello nazionale e internazionale. Opera in più sedi: a Torino, in un edificio disegnato dall’architetto Claudio Silvestrin e inaugurato nel 2002; a Guarene, tra le colline del Roero, nelle sale del settecentesco Palazzo Re Rebaudengo (aperto nel 1997, è stata la nostra prima sede), a poca distanza dal quale è situato il nostro Parco d’arte. Qui, sulla Collina di San Licerio, tra i filari di una vigna di Nebbiolo e oltre 3000 nuovi alberi e arbusti (piantati per compensare le emissioni di CO2 ), sorgono le grandi sculture di artisti e artiste di tutto il mondo. Alcune provengono dalla mia collezione, altre sono state concepite appositamente per questo luogo (come nel caso delle opere di Marguerite Humeau, Katja Novitskova e Marinella Senatore). Affacciato sulle colline, con le Alpi all’orizzonte, il Parco è un luogo speciale, sempre aperto, ad accesso gratuito e molto amato dalla gente della zona e dai numerosi turisti in visita nel Roero, patrimonio Unesco insieme a Langhe e Monferrato. Dal 2022, la Fondazione ha una nuova sede nell’isola di

San Giacomo, a Venezia: penso a questo piccolo lembo di terra come a un avamposto dei sogni, un luogo per produrre progetti artistici, per ospitare ricerche e discorsi sull’arte, la musica, il cinema, il teatro, la cultura contemporanea. Circondata dal delicato ecosistema della laguna, San Giacomo sarà un laboratorio di riflessione ecologica, nel quale attuare i principi della sostenibilità e della transizione energetica. Nel 2017, infine, con la nascita della Fundación Sandretto Re Rebaudengo Madrid, è iniziata l’attività della mia istituzione in Spagna. Prima di scegliere una sede permanente, abbiamo deciso in questi primi anni di entrare in relazione con la capitale e la sua scena artistica attraverso un programma espositivo nomade, con mostre allestite in luoghi incantevoli e ricchi di storia e di cultura come la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando, la Biblioteca dell’Ateneo e il Parco del Retiro dove nel febbraio 2024 inaugureremo la personale dell’artista americana-nigeriana Precious Okoyomon. In Spagna promuoviamo ogni anno la nostra Residenza per Giovani Curatori, una vera e propria esplorazione in viaggio della scena artistica nazionale che riprende il programma Young Curators Residency Program-

© FSRR | Opening of exhibitions Paulina Olowska, Peng Zuqiang
© FSRR | Parco d’Arte Sandretto Re Rebaudengo

me avviato dalla Fondazione in Italia già nel 2007. Nel 2024 giungerà alla sua diciottesima edizione. Una delle prime e più importanti missioni della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo è il sostegno agli artisti, attraverso la produzione di mostre e di nuove opere (destinate alle nostre sedi ma anche a occasioni importanti come la Biennale di Venezia o la Documenta di Kassel). Nel tempo ho deciso di dedicare attenzione e supporto anche alle altre professioni dell’arte, investendo energie e competenze soprattutto sulla curatela, ovvero sulle attività di ideazione, ricerca e realizzazione delle mostre. Oltre alla Residenza per gli stranieri, dal 2012 la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo promuove Campo, un corso specialistico in studi e pratiche curatoriali rivolto agli italiani. Credo sia necessario favorire la professionalizzazione dei nuovi mestieri dell’arte, in particolare di quelle figure che, all’interno dello spazio espositivo, entrano in relazione con il pubblico. Fin dalla sua apertura, la Fondazione ha un Dipartimento educativo che, in tutte le sedi, progetta e offre programmi e workshop per giovani di tutte le età, dai bambini e bambine di tre anni agli universitari. La Fondazione è stata la prima istituzione a introdurre in Italia il servizio di mediazione culturale dell’arte. Grazie alle nostre mediatrici, ogni mostra si trasforma quotidianamente in un luogo della conversazione e del confronto aperto e democratico, uno spazio della scoperta e dell’apprendimento adatto alle persone adulte. Ho molta fiducia nella capacità dell’arte di leggere il presente e il passato e di anticipare e affrontare le criticità e le sfide future. Grazie agli artisti e soprattutto alle artiste, ho compreso l’importanza delle questioni di genere. Fin dai primi anni ’90 colleziono le opere di artiste donne e in Fondazione abbiamo intitolato l’intera stagione espositiva 20062007 alle donne: artiste, curatrici, collezioniste. Dal 2008, con un intero anno di programmazione dedicata all’ambiente, la Fondazione è diventata un presidio dell’arte che scende in campo per la sostenibilità. Da Greenwashing. Ambiente: pericoli, promesse e perplessità (nel febbraio-maggio

2008) a Butterfly Affect, inaugurata lo scorso maggio, nelle nostre mostre gli artisti e le artiste, le nostre mediatrici culturali e le persone in visita parlano di climate change, di ecologia, di cura, di coesistenza ambientale e sociale. Non mi sono mai posta limiti in termini di tecniche o mezzi espressivi, perché sono convinta che i cambiamenti nei linguaggi dell’arte e l’utilizzo di nuovi media ci aiutino a decodificare e comprendere le trasformazioni sociali in atto. Ho collezionato ed esposto video, opere di arte digitale e di arte basata sull’intelligenza artificiale, come Emissary in the Squat of Gods di Ian Cheng, un video generato da modellazione algoritmica e game design che abbiamo esposto a Torino già nel 2015. Dal 2016, la Fondazione ha promosso insieme al Philadelphia Museum la Future Fields Commission in Time-Based Media, un programma biennale che ha prodotto le innovative opere di Rachel Rose, Martine Syms, Lawrence Abu Amdam. Il sostegno agli artisti che si confrontano con il digitale fa parte del nostro orizzonte e si traduce nelle mostre, nelle produzioni e nei public programme. Abbiamo invitato esperti a parlare di NFT di fronte a una platea di giovani dai 15 ai 29 anni, il target cui abbiamo dedicato Verso, un anno e mezzo di esposizioni, laboratori, incontri. L’NFT è uno strumento, non un’opera d’arte in sé. Non tutto ciò che è NFT è arte e naturalmente non tutta l’arte può essere un certificato NFT. Un NFT assimilabile a un’opera d’arte può esistere, certo, e nella mia visione lo sarebbe se l’intervento dell’artista fosse mirato a esplorare le potenzialità della blockchain e la filosofia della decentralizzazione che ne sta alla base. In altri termini, la tecnologia (blockchain) è la condicio sine qua non che differenzia un certificato digitale da un’opera d’arte, generativa, interattiva ma soprattutto condivisa pubblicamente attraverso sistemi innovativi insiti in essa. Oggi l’euforia speculativa che li ha portati alla ribalta sembra essere calata, ma gli NFT rimangono un fenomeno da osservare con attenzione per poterne comprendere le sfaccettature, ambizioni, contraddizioni ma soprattutto le implicazioni.●

© FSRR | Opening of exhibitions Paulina Olowska, Peng Zuqiang

marcia

trasporto pubblico: il contributo di Aitek.

L’Unione Europea definisce la Smart City come un luogo in cui le reti e i servizi tradizionali sono resi più efficienti con l’uso di soluzioni digitali. Significa reti di trasporto urbano più intelligenti, spazi pubblici più sicuri e un migliore soddisfacimento delle esigenze della popolazione. Sfruttare le potenzialità dell’intelligenza artificiale per migliorare la fruibilità e la sicurezza del servizio di trasporto pubblico è l’obiettivo dei progetti di ricerca Smart Stop e More Than This, finanziati all’interno del programma P.O.R. FESR LIGURIA 2014-2020, i cui risultati sono stati presentati nei mesi scorsi. In entrambi i progetti Aitek, azienda genovese impegnata nello sviluppo di soluzioni tecnologiche innovative, ha messo a disposizione le proprie competenze nel campo dell’elaborazione immagini e nello sviluppo di algoritmi di video analisi.

L’Intelligenza artificiale contro il sovraffollamento in metropolitana Uno degli aspetti che influiscono maggiormente sul livello di qualità del servizio percepito dall’utenza è il grado di affollamento degli autobus e, nel caso di linee metropolitane, dei treni e delle banchine. Per garantire un’esperienza di viaggio il più confortevole possibile, il team di sviluppo del progetto More Than This (acronimo di “A new MObility REgulation THinking ANd Thoroughly Innovative inSpired”) ha realizzato un sistema di congestion management e people counting applicato alla metropolitana di Genova. In particolare, la sperimentazione si è svolta presso la stazione di Piazza De Ferrari, scelta per la sua posizione nevralgica nel cuore della città e per l’elevato numero di persone che la utilizzano quotidianamente. Come per molti altri casi d’uso,

l’intelligenza artificiale è la soluzione ideale. Grazie ad appositi algoritmi di video analisi che utilizzano avanzate tecniche di deep learning, è possibile rilevare in tempo reale eventi e situazioni che possono influire sulla sicurezza e l’efficienza del servizio, oltre che effettuare conteggi, tracking di persone e oggetti e molto altro. In stazione, la soluzione ha integrato algoritmi di video analisi e sensori 3D per il conteggio delle persone che entrano ed escono dalla stazione e il rilevamento del numero di persone presenti nelle due banchine. A tale scopo, sono stati allestiti tre varchi, uno in corrispondenza della via di accesso ai binari e due presso le banchine: ciascuno di essi è stato attrezzato con una coppia di sensori 3D e una telecamera sulle cui immagini è stata applicata la video analisi. Inoltre, per consentire le attività di sperimentazione anche a bordo treno, un set di vetture di ultima generazione è stato opportunamente attrezzato con quattro telecamere per l’acquisizione delle immagini dell’interno della vettura: la loro elaborazione tramite video

La sperimentazione degli algoritmi di video analisi presso la fermata di Piazza De Ferrari.

analisi fornisce una stima del numero di persone presenti a bordo del treno, mentre un set di sensori 3D permette di effettuare il conteggio delle persone che salgono e scendono ad ogni fermata. Tutte le informazioni acquisite possono essere messe a disposizione dei gestori della rete di trasporto, allo scopo di monitorare i flussi dei passeggeri e gestire le modalità di accesso alle infrastrutture. In caso di sovraffollamento o violazioni delle misure di accesso in atto, i dati acquisiti vengono utilizzati da un sistema di supervisione per generare in tempo reale segnalazioni di allarme, che vengono automaticamente trasmesse al Posto Centrale Operativo e agli addetti alla sicurezza per attivare proattivamente le procedure di intervento necessarie. Il progetto, che ha avuto Hitachi Rail come capofila, ha riunito le competenze di diverse aziende impegnate nei settori dell’ingegneria e dell’ICT (Information and Communication Technology) come Aitek, Knowhedge, Smart Track, Stam e T&GTechnology & Groupware. Hanno inoltre collaborato il Dipartimento di Ingegneria meccanica, energetica, gestionale e dei trasporti dell’Università di Genova, il CNR e lo stakeholder esterno AMT Genova.

La fermata del bus diventa “intelligente”

Una rete di trasporto pubblico urbano produce quotidianamente una enorme quantità di dati provenienti da fonti eterogenee che possono essere opportunamente raccolti e analizzati per definire, in fase di pianificazione del servizio, interventi volti al miglioramento e alla razionalizzazione del servizio. Raccogliere e utilizzare questi dati per migliorare la qualità dei processi gestionali della mobilità urbana è stato l’obiettivo del progetto di ricerca Smart Stop, le cui attività si sono concentrate sullo sviluppo di una piattaforma tecnologica per la raccolta e l’elaborazione di dati provenienti da sistemi tecnologici installati presso le fermate degli autobus. La città di Genova e la sua articolata rete di trasporto pubblico sono state lo scenario della sperimentazione del progetto, le cui demo sono state allestite presso le fermate De Ferrari / Metro in direzione ponente e Gramsci 2 / Metro Darsena in direzione levante. Entrambe le fermate sono state allestite con telecamere digitali di ultima generazione integrate con algoritmi di video analisi che effettuano il conteggio delle persone alla fermata, rilevano il numero di passeggeri che salgono e scendono dai mezzi o passano da un bus a un altro. Ma non solo, perché la video analisi permette di rilevare in tempo reale eventi che possono influire sulla qualità del servizio o rappresentare un potenziale pericolo. Il cuore tecnologico di Smart Stop non si limita a raccogliere dati dalle fermate, ma li integra con altri dati provenienti da altre fonti, come dati raccolti dai sistemi conta passeggeri a bordo dei mezzi, dati sulla regolarità del servizio provenienti dal sistema di monitoraggio SIMON, dati presenti nel sistema informativo di AMT Genova, o disponibili sul web, come le condizioni meteo e la situazione del traffico. Tali dati “grezzi” sono quindi elaborati e trasformati in informazioni consultabili dal personale AMT tramite interfacce web appositamente sviluppate. Il risultato è uno strumento d’uso quotidiano utile per gestire le criticità e razionalizzare il servizio in funzione dei comportamenti di interscambio e di utilizzo del mezzo pubblico da parte dell’utenza. Smart

Stop ha visto AMT Genova capofila di un team di aziende del settore delle tecnologie attive nel tessuto economico genovese, composto da Aitek, BF Partners, Circle Garage, Maps e Rulex Inc. Inoltre, la collaborazione dell’Università di Genova, di Netalia e di Leonardo ha consentito di affrontare le tematiche in modo approfondito e di integrare le soluzioni innovative con le tecnologie esistenti e già attive nel sistema di trasporto pubblico.

Conclusioni: due progetti, un punto di partenza Coniugare l’elevato grado di innovazione dei sistemi proposti con l’impiego di tecnologie affidabili e ampiamente affermate sul mercato sono stati i punti di forza dei due progetti. More Than This e Smart Stop si propongono di supportare la gestione della mobilità urbana, fornendo strumenti sicuri, affidabili e facilmente integrabili anche all’interno di reti IT complesse come quelle di un’azienda di trasporto pubblico di una grande città. Una rivoluzione tecnologica senza eguali che potrà affiancarsi al processo di trasformazione del trasporto pubblico genovese in atto. Un’opportunità unica per fare del capoluogo ligure una città “smart” sempre più connessa e in grado di rispondere alle mutate esigenze di mobilità della collettività.●

Nelle immagini: la soluzione di people counting e il flow management per il progetto di ricerca More Than This. Gli algoritmi di video analisi sviluppati da Aitek elaborano le immagini provenienti dalle telecamere posizonate in banchina (a sinistra) e a bordo treno (a destra).

La piattaforma software sviluppata da ETT che integra Realtà Aumentata, Realtà Virtuale e Intelligenza Artificiale per progetti di formazione coinvolgenti ed efficaci.

La transizione digitale ha portato le aziende a ripensare molti aspetti delle proprie attività, puntando sulla valorizzazione delle persone e assecondando la richiesta del mercato di maggiore specializzazione, flessibilità e aggiornamento costante, in un mondo del lavoro sempre più veloce e smart. L’incrocio di questi due aspetti ha presto portato all’attenzione le tecnologie immersive a supporto della formazione, come strumento utile per un apprendimento veloce ed efficace. Nel frattempo, sono stati attivati vari studi che hanno supportato con dati significativi la validità della formazione con le tecnologie di extended reality (XR) e che dimostrano, tramite il suo impiego, un’interiorizzazione di processi e concetti unita a una capacità di concentrazione quattro volte maggiori rispetto all’e-learning e una volta e mezzo rispetto a quella in presenza. La continua connessione con elementi di disturbo ambientali (notifiche dal proprio device, email, ...) è un fattore di cui tener conto nella formazione a distanza; la quasi totale assenza di distrazioni e interruzioni che si sperimenta nella fruizione di contenuti in Realtà Virtuale (VR) porta, invece, un assorbimento più efficace dei concetti e una rapida acquisizione delle competenze (PWC VR Soft Skills Training Efficacy Study, 2020). In questo scenario, la Realtà Aumentata (AR) e la Realtà Virtuale stanno diventando uno strumento che rappresenta un reale vantaggio competitivo per le aziende che formano i propri operatori in contesti complessi, in cui si richiede l’interazione con grandi macchinari o la capacità di gestire situazioni di emergenza. Rispetto al solo apprendimento teorico, la simulazione prepara meglio il fruitore: si acquisisce, infatti, una conoscenza operativa, muovendosi in un

contesto realistico e compiendo azioni del tutto simili a quelle richieste sul luogo di lavoro.

ETT Spa, azienda genovese di Gruppo SCAI, nell’ambito di un progetto finanziato dal Ministero Sviluppo Economico (ora MIMIT) e da Regione Liguria, ha sviluppato STEP SmarT Education Platform, una piattaforma software dedicata alla formazione che, integrando le tecnologie abilitanti dell’Industria 4.0 come VR, AR e Intelligenza Artificiale (AI), permette di gestire ed erogare corsi di formazione che rendono il training più coinvolgente e soprattutto più efficiente, in termini di tempistiche, flessibilità, personalizzazione e costi. La possibilità di proiettare il discente in un ambiente realistico permette di proporre e riproporre situazioni complesse, sino a quando non sia verificato l’apprendimento, simulando anche condizioni di emergenza non riproducibili all’interno di un corso tradizionale. Queste caratteristiche rispondono alle esigenze di formazione per diversi ambiti, dalla sicurezza sul lavoro alla cantieristica, dalle manutenzioni fino alla possibilità di realizzare le esercitazioni di evacuazione in caso di incendio. ETT ha realizzato STEP a partire dall’esperienza di un corso di formazione in VR per i Vigili del Fuoco, che permette ai cadetti di esercitarsi in ambienti virtuali in cui sono simulati incendi, senza correre rischi. Il primo corso erogato tramite STEP è stato, invece, dedicato alla procedura di salvataggio per l’abbandono della nave (Life-Saving Appliance) e utilizzato con successo dall’Accademia della Marina Mercantile di Genova. La piattaforma STEP, a oggi, permette di erogare corsi di formazione in VR, integra contenuti teorici e un modulo per la raccolta e la valutazione delle competenze acquisite.

di Adriana Ferrari

Un altro interessante caso applicativo, nel settore della salute, è il simulatore destinato alla formazione professionale degli specialisti in riabilitazione. Con il progetto REALTER (cofinanziato a valere del POR FESR Liguria 2014-2020 che vede, tra gli altri, la collaborazione con l’Istituto David Chiossone) ETT ha arricchito la sua esperienza creando un simulatore di diverse ipovisioni per il riabilitatore visivo. La diversità e la soggettività dei sintomi, unite all’incapacità di comprendere completamente il modo in cui le persone affette da ipovisione percepiscono l’ambiente, rendono complesso fornire indicazioni personalizzate. Grazie al simulatore basato sulla AR, lo specialista può riprodurre varie condizioni di ipovisione (ad esempio maculopatie, visione tubulare, emianopsie, degenerazioni retiniche) e sperimentare direttamente come un individuo ipovedente percepisca la realtà, fino a studiare strategie di rieducazione personalizzate. Il dispositivo consente l’utilizzo in ambienti reali, è portatile e caratterizzato da un headset VR, una videocamera e un PC indossabile. Lo strumento si basa su tecnologia AR ed è dotato di eye-tracker in grado di simulare in tempo reale le alterazioni delle capacità visive, modificando e deformando le immagini provenienti dall’ambiente esterno in relazione alla direzione dello sguardo.

In molti casi, quindi, la formazione che utilizza l’XR sviluppa al meglio le proprie potenzialità sovrapponendo contenuti all’ambiente che circonda il fruitore. In queste situazioni, è la tecnologia della AR che viene in supporto alle aziende, perché, rispetto alla VR che isola dal contesto con l’utilizzo di un visore, mantiene la connessione con il mondo reale, al quale aggiunge livelli d’informazione, grazie a software installati sul device che si utilizza.

ETT ha utilizzato la tecnologia AR anche nella progettazione e realizzazione di LAnDING, una piattaforma che prevede l’uso di tablet e visori HoloLens e consente all’utente di inserire, gestire e monitorare i processi di apprendimento professionale negli spazi di lavoro. In questo modo, infatti, si possono creare contenuti dettagliati e adattabili alle diverse tipologie di spazi, seguendo passo passo la curva dell’apprendimento sino alla certificazione. Il progetto si compone di una piattaforma AR dedicata alle attività di formazione e manutenzione, un sistema di gestione dei contenuti in Cloud per la loro personalizzazione e di un visore Microsoft HoloLens. Si possono visualizzare oggetti 3D, animazioni, testi, video, quiz, stati di avanzamento e stati di controllo, mentre le istruzioni in AR includono la descrizione dei passi necessari, video esemplificativi, modelli 3D animati, descrizioni e suggerimenti. Prendiamo come esempio l’attività di assemblaggio dei macchinari: l’utente può vedere il disegno tecnico esploso in 3D con il quale interagire e guardare il video di istruzioni, per effettuare correttamente tutte le procedure e portare a termine il lavoro.

L’adattabilità della piattaforma è il presupposto per nuovi sviluppi, sia nel merito delle nuove modalità di apprendimento individuali, sia nelle opportunità che si possono generare per le imprese di ottimizzare tempi e costi, seguendo l’evoluzione della formazione per renderla ancora più efficace.●

Ferrari è Responsabile Comunicazione Gruppo ETT

SENSE, prodotto di ETT presentato ai media nell’ambito del Festival della Scienza di Genova, nasce come progetto legato al tema dell’accessibilità, per agevolare il pubblico non vedente e ipovedente nella fruizione artistica, ma ora può essere anche considerato, più in generale, un prodotto che consente un nuovo modo di esplorare un’opera d’arte attraverso la multi-sensorialità e di fruire spazi e contenuti in ottica smart city. Un modello 3D consente di unire alla percezione tattile il valore aggiunto della narrazione. I particolari sensori impiegati consentono di attivare i contenuti al semplice contatto con la superficie, abbattendo così significativamente le barriere tra il pubblico e l’opera. Le mani sono libere di muoversi e di esplorare in autonomia il modello, senza mediazioni che possono “alterare” l’esperienza conoscitiva e relazionale. La realizzazione del rilievo con sensori e audioguida prevede diversi step: la scannerizzazione laser dell’originale, la stampa in 3D (prototipazione rapida) del modello suddiviso in blocchi, l’assemblaggio delle diverse parti stampate, con trattamento per minimizzare le giunture, e la finitura e applicazione dei sensori. Ciò richiede un accurato studio sui contenuti e sulle modalità di veicolarli, coniugando conoscenze storicoartistiche e tecniche di storytelling con i principi della percezione aptica (tattile). Fondamentale e imprescindibile, per la realizzazione di un prodotto realmente accessibile, è stata la fase progettuale di sperimentazione e test, portata avanti in collaborazione con volontari non vedenti e ipovedenti e con UICI - Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti. Un Plastico tiflodidattico (per l’apprendimento delle persone ipovedenti) sensorizzato a cura di ETT è già fruibile a Palazzo Rosso in via Garibaldi nel centro storico di Genova, dov’è possibile la fruizione facilitata dei beni artistici e architettonici di Strada Nuova, la Via Aurea dell’antica città rinascimentale e barocca.●

Nel quadro dell’evoluzione tecnologica e della crescente importanza della digitalizzazione, Start 4.0 sta consolidando la sua posizione come leader nel settore con un focus particolare sullo sviluppo di prototipi di Digital Twin. Una delle attività principali del Centro di Competenza, con sede a Genova, è attualmente dedicata al supporto dell’Autorità di sistema portuale del Mar Adriatico Centro Settentrionale nella creazione di una rappresentazione digitale dinamica del Porto di Ravenna nell’ambito del Progetto Casa delle Tecnologie Emergenti del Comune di Bologna, finanziato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) con fondi FSC 2014-2020. La realizzazione di un Digital Twin per un porto, a differenza di oggetti o macchinari, richiede un approccio su larga scala ed è notevolmente più complesso. I tecnici di Start 4.0 stanno contribuendo ad affrontare questa sfida a partire da una ricostruzione dettagliata delle aree portuali di Ravenna, in particolare di terminal (container, crociere e traghetti), di edifici chiave, delle banchine e della rete viaria porto-città. Questo processo è realizzato attraverso l’utilizzo di tecnologie avanzate come laser scanner 3D, droni lidar, sistemi di mobile mapping e GNSS, che consentono non solo la raccolta di dati dettagliati, ma anche la creazione di una base solida per lo sviluppo di soluzioni e servizi urbani innovativi e la gestione avanzata delle operazioni portuali.

L’uso del LIDAR, o Light Detection and Ranging, è fondamentale per ottenere una ricostruzione tridimensionale dettagliata. Questa tecnologia impiega impulsi laser per misurare la distanza dagli oggetti circostanti, consentendo la creazione di mappe precise del terreno e degli edifici. Il sistema satellitare globale di navigazione (GNSS) è utilizzato per determinare la posizione precisa di un oggetto o di un dispositivo sulla superficie terrestre. Questa tecnologia contribuisce a garantire l’allineamento accurato dei dati provenienti da diverse fonti, creando una rappresentazione coesa e affidabile delle componenti d’interesse del sistema portuale. La piattaforma di mobile mapping - di proprietà di Start 4.0 e impiegata nel progetto - consente di raccogliere dati in movimento attraverso l’utilizzo simultaneo di questi sensori (dal LIDAR al GNSS), integrati in un unico sistema installato su veicolo o altri mezzi di trasporto (in questo caso, anche su unità navali d’appoggio). Grazie al sistema di mobile mapping Pegasus-Two Ultimate di Start 4.0 (con partner tecnologici Leica Geosystem e LA SIA Spa), il Centro di Competenza ha quindi potuto coprire in tempi ridotti vaste aree critiche (dai terminal container a canali di navigazione), senza interferire con le operazioni e acquisendo dettagli precisi sulla forma, la struttura e il posizionamento geo-riferito degli oggetti: un vero “must have” per la ricostruzione accurata delle infrastrutture portuali.

di Giacomo Pepe Benedetti

Nel caso del Porto di Ravenna, il mobile mapping LIDAR è impiegato per generare nuvole di punti tridimensionali, che costituiscono la base di dati certa per la creazione del Digital Twin. Ma la stessa tecnologia è cruciale anche per la raccolta di informazioni dinamiche, consentendo un monitoraggio continuo e una rapida adattabilità alle variazioni dell’ambiente circostante, ad esempio per il controllo periodico dello stato di avanzamento lavori di cantieri complessi. Queste attività strategiche sono solo il punto di partenza. Il più ampio progetto del Porto di Ravenna si inserisce nel contesto delle attività di automatizzazione e digitalizzazione dell’Autorità di Sistema, parte integrante del progetto Casa delle Tecnologie Emergenti di Bologna. L’obiettivo è una mappatura dinamica dell’intero sistema portuale, coinvolgendo progressivamente edifici, banchine e società operanti nel porto per acquisire dati dettagliati su ogni parte dello scalo adriatico. La Divisione innovazione del Porto di Ravenna vede in questo progetto un potenziale di grande valore aggiunto. Attraverso l’implementazione di intelligenza arti, mira a regolare con precisione e rapidità i traffici in banchina, ottimizzare le operazioni di manutenzione e garantire una movimentazione sempre più efficiente e sicura. L’output principale è aumentare la digitalizzazione e l’automazione del porto, riducendo al minimo le criticità e consentendo la ripianificazione delle operazioni in risposta a eventi correlati alla sicurezza di persone, attrezzature e mezzi. Il beneficio tangibile si rifletterà inoltre nel rapporto tra il porto e la città circostante. Una leva strategica quindi, per migliorare anche la relazione tra il porto e la città, creando un ecosistema più integrato e vantaggioso per entrambi. La movimentazione efficiente delle merci, infatti, contribuisce a mantenere il porto sicuro e competitivo, con un impatto positivo in termini economici e sociali anche per la città di Ravenna e una gestione più efficiente dei trasporti e delle operazioni di carico e scarico può tradursi anche in una diminuzione delle emissioni inquinanti, portando a benefici ambientali per la città circostante in termini di qualità dell’aria e sostenibilità.

Il Centro di Competenza, dalla nascita, aggrega provider tecnologici e portatori di casi d’uso, integrando il dato 3D

acquisito con altre soluzioni messe a sistema dal suo esteso network di imprese associate, partner e stakeholder in tutta Italia, con l’obiettivo di implementare gli ulteriori passaggi necessari allo sviluppo di Digital Twin completi e in contesti differenti.

Si tratta di metodologie che consentono di testare, ottimizzare e migliorare la gestione operativa e la sicurezza del porto in un ambiente virtuale, anticipando e affrontando le sfide del mondo reale in modo proattivo. Gli ambienti di simulazione consentono di riprodurre dinamicamente varie condizioni, come il traffico portuale, le operazioni di carico e scarico o l’adeguamento delle banchine. Le piattaforme di virtualizzazione consentono agli operatori di interagire con il Digital Twin in tempo reale, esplorando e analizzando dati come se fossero sul campo. I sensori virtuali, intesi come componenti software che simulano il comportamento di sensori reali (es. telecamere, sensori di movimento o di temperatura), sono integrati nell’ambiente del Digital Twin e generano dati - ad esempio emulando la presenza di veicoli o persone nelle banchine del porto o una variazione di un parametro ambientale critico - che riproducono le condizioni del mondo reale, fornendo elementi cruciali per la simulazione di scenari operativi e di sicurezza. Queste simulazioni possono includere scenari di emergenza, come incendi o incidenti, e permettono di valutare la risposta del sistema e del personale alle situazioni critiche, consentendo di identificare potenziali vulnerabilità e migliorare le procedure di sicurezza, contribuendo a garantire che il porto sia preparato per affrontare situazioni reali in modo efficace ed efficiente.

In conclusione, Start 4.0 contribuisce a ridefinire il concetto di gestione portuale attraverso l’implementazione di tecnologie all’avanguardia, posizionandosi come catalizzatore di innovazione nel settore marittimo. Il Porto di Ravenna è destinato a diventare un esempio di eccellenza nella digitalizzazione portuale, con benefici tangibili non solo per l’efficienza operativa ma anche per la sicurezza e la sostenibilità a lungo termine.●

Giacomo Pepe Benedetti è Project Manager Start 4.0

Ciak!

Genova e la Liguria come set di progetti creativi: ne scrive la Genova Liguria Film Commission.

Le attività intraprese durante il nostro primo mandato, quinquennio 2017-2022, sono partite da uno studio approfondito del posizionamento di Genova Liguria Film Commission a livello nazionale e internazionale che ha evidenziato come fosse necessario un cambio di passo in senso innovativo, sia in termini di management sia di governance. La riorganizzazione del lavoro e la fornitura di servizi qualificati hanno fatto sì che le produzioni cominciassero a interessarsi al territorio e ad avere un valido supporto logistico

GENOVA LIGURIA FILM COMMISSION

offre alle società di produzione servizi gratuiti in tutte le fasi del lavoro, da quella di scrittura, alla fase di preparazione e di pre-produzione con assistenza nei sopralluoghi e ricerca di materiale fotografico relativo alle locations, sia pubbliche che private e collegamento con le professionalità tecniche locali e con i servizi alla produzione.

Genova Liguria Film Commission offre inoltre convenzioni con alberghi e ristoranti a prezzi competitivi. Durante la produzione è attivo per gli operatori uno “sportello unico” per permessi e altre pratiche burocratiche.

Inoltre, siamo parte attiva nella progettazione di nuovi prodotti cineaudiovisivi supportando le produzioni nelle prime fasi di ideazione e sviluppo, oltre a essere partner delle produzioni nel trovare nuove idee creative per promuovere il territorio ligure nella sua interezza.n

e strategico. Un territorio unico, il bando dell’audiovisivo di Regione Liguria, la collaborazione con gli Enti liguri, la pronta risposta e l’alto grado di professionalità hanno fatto il resto. Il periodo di pandemia da Covid 19 ha rappresentato una ulteriore sfida, ma anche un’opportunità per rilanciare la struttura: infatti, proprio in questi anni, GLFC ha raggiunto le sue migliori performance crescendo in modo esponenziale e, ogni anno, superando il record precedentemente raggiunto.

Il 2020 è stato l’anno dei record, nonostante la pandemia; il 2021 l’anno della svolta, con un importantissimo balzo in avanti nelle giornate di produzione e nelle performance conseguenti. Il 2022 è l’anno della conferma della nostra vision. Infatti, ancora una volta tutti i dati sono in crescita, a dimostrazione che sono maturate sia le nostre azioni di marketing territoriale, sia il rinnovato patto sinergico con le produzioni, soprattutto con i top player nazionali e internazionali. E lo dimostra anche tutta l’attenzione che riceviamo nei grandi Festival e Mercati, come Los Angeles, Berlino, Cannes, Venezia, Roma e Londra.

I dati del 2023: 250 produzioni assistite, 235 giornate di preparazione e 518 giornate di riprese per un totale di 753 giornate di produzione. 3.306 i collocamenti attivati (di cui 968 con professionisti liguri) per il reclutamento delle maestranze sui set, per un totale di ben 13.454 giornate di lavoro. Le notti in albergo sono 8.768, mentre le ricadute economiche dirette sul territorio superano i 4 milioni di euro. La Liguria è sempre più set, da ponente a levante, dalla costa all’entroterra.

Cristina Bolla

Per la Genova Liguria Film Commission, tutte le produzioni sono importanti e vengono curate con lo stesso metodo e attenzione.

Oltre ai grandi progetti cineaudiovisivi, c’è tutto il resto della “galassia audiovisivo”. Le trasmissioni TV italiane ed estere (quasi 30 quelle ospitate nel 2022), i documentari, i videoclip e tanto altro. Ma soprattutto gli spot e gli shooting video/fotografici per i grandi marchi, divenuti nel tempo un asset primario per la Liguria, che GLFC assistite come fossero veri e propri film: «Dior, Gucci, Prada, Ferragamo, Ferrari, Dom Perignon, Asos, Ikea, Volkswagen e tanti altri: sono decine i brand che negli ultimi 12 mesi hanno scelto la Liguria come scenario della propria comunicazione aziendalespiega Cristina Bolla, Presidente di GLFM -. Nel 2022 abbiamo collaborato alle riprese di 40 commercials: un dato che ci spinge a rilanciare con strategie appositamente dedicate. Alla “Liguria Terra da Film e da Fiction” si affiancherà infatti il programma “Liguria Terra da Spot” annunciato lo scorso autunno ai Key Awards, gli Oscar italiani della pubblicità». E poi c’è il Videoporto Genova, che nasce nell’ambito della grande trasformazione dell’area siderurgica di Cornigliano, nel ponente di Genova, condotta operativamente da Società per Cornigliano Spa, la società pubblica incaricata della bonifica dell’area e di progettare il suo rilancio e riqualificazione. L’arrivo di Genova Liguria Film Commission nella vicina Villa Bombrini e la creazione del Polo Aziende Creative di Cornigliano (PACC) hanno costruito il primo nucleo di un progetto che necessitava di infrastrutture produttive, peraltro quasi completamente assenti a Genova e in Liguria.

È stata quindi individuata una struttura, la palazzina che ospitava gli uffici amministrativi della fabbrica siderurgica, ed è stato effettuato un intervento di manutenzione straordinaria, soprattutto sugli impianti, ma anche con la creazione di spazi per la produzione audiovisiva. I lavori, di un valore complessivo di 850 mila euro, finanziati da Società per Cornigliano e realizzati da ARTE (Agenzia Regionale Territoriale per l’Edilizia) sono stati realizzati in soli 7 mesi. Il risultato di questo intervento consente oggi a Genova e alla Liguria di offrire ai produttori audiovisivi locali, nazionali e internazionali una struttura dotata di moderna sala di posa, camerini, spazi per laboratori, uffici di produzione, foresteria. Il tutto a costi estremamente competitivi. Un porto sicuro, come Genova è sempre stata, per l’attracco di progetti creativi.

Videoporto Genova si configura come una struttura a servizio completo per le produzioni audiovisive.

Visto il grande incremento dei numeri di produzioni presenti sul territorio ligure, le imprese specializzate del comparto audiovisivo locali hanno avuto l’oppourtunità di lavorare in modo continuativo, generando quella che noi definiamo il distretto dell’audiovisivo e l’industria creativa ligure.

Il prossimo grande progetto sarà la realizzazione degli Studios Liguria, che sono stati progettati a partire dal 2019 da un approfondito studio su domanda e offerta del comparto e che saranno di prossima realizzazione a Genova.

Si tratterà di un ulteriore servizio di supporto per le produzioni che vorranno restare in Liguria e per progettare una lunga serialità che possa dare slancio all’industria cinematografica ligure e non.●

TECNOLOGIA

“Le città, come i sogni, sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.” (Italo Calvino, Le Città Invisibili - Capitolo I - Le città e il desiderio. 5).

Immergiamoci nelle sfide contemporanee di urbanizzazione e invecchiamento demografico: le città, simili ai labirinti dei sogni, si sviluppano e cambiano, intrecciando aspirazioni e timori, storia e innovazione, realtà e progetti.

Prendiamo come esempio Genova, una città dove la complessità si trasforma in bellezza. Ogni strada, ogni edificio racconta storie di epoche passate e presenti, di speranze e declini. In queste città, l’armonia tra l’antico e il moderno, tra pietre secolari e nuove tecnologie, non è solo possibile, è reale e imprescindibile. Mentre la popolazione invecchia e i giovani si allontanano, la città continua a evolversi in un dinamico equilibrio. Genova si adatta forse più di altre, risponde alle nuove sfide, diventando un “agente” attivo, una manifestazione di intelligenza collettiva in costante evoluzione.

Riflettiamo sull’Italia, un paese ricco di piccole e medie città, ognuna con la sua storia, patrimonio culturale e identità distintiva. In questo contesto, l’urbanizzazione viene intesa non solo come espansione fisica, ma anche come conservazione, riqualificazione e riscoperta del patrimonio esistente. Aggiungiamo le previsioni demografiche che dicono “declino”, che indicano che la popolazione italiana potrebbe ridursi a 36 milioni entro il 2100 (consulta https://ourworldindata.org/), un netto calo dai 60 milioni attuali. Nel 1960, c’erano 6,5 persone in età lavorativa per ogni persona in pensione (Indice di Supporto Potenziale o PSR). Nel 2050 ce ne sarà 1,5. L’indice scenderà ancora a circa 1,2 nel 2100 (i dati sono delle Nazioni Unite). Questo trend indica un crescente onere sulla popolazione in età lavorativa per sostenere gli anziani, con possibili implicazioni sia sul mercato del lavoro che sull’assistenza agli anziani. Ora proviamo ad allargare la prospettiva, almeno 35 delle 195 nazioni del pianeta avranno, come minimo, una persona su cinque di età superiore ai 65 anni, entro il 2030. Nei prossimi due anni, le persone di 65 anni e oltre saranno pari ai minori di 18 anni negli Stati Uniti. Entro il 2050, una persona su sei in tutto il mondo avrà più di 65 anni, una su quattro in Europa e Nord America. Il dato più sorprendente è che si prevede che il numero di persone di 80 anni e oltre triplicherà, passando da 143 milioni nel 2019 a 426 milioni nel 2050, rendendo questo gruppo la fascia demografica in più rapida crescita al mondo (leggi ad esempio: The Super Age di Bradley Schurman, pubblicato a marzo del 2022). Dobbiamo renderci conto che è nelle megalopoli che l’invecchiamento della popolazione, la complessità urbana, i problemi di equilibrio energetico e le evoluzioni del clima produrranno incubi reali, “solidi”. Prevedere il numero esatto e la localizzazione delle megalopoli con oltre 40 milioni di abitanti entro il 2100 è una sfida complessa, sappiamo che saranno tante con

un impatto devastante. Ci sono oggi esempi di aree urbane in rapida crescita che potrebbero diventare megalopoli di questa scala in poco tempo. L’area della Greater Bay in Cina, che include città come Guangzhou, Shenzhen e Hong Kong, ha già superato i 70 milioni di abitanti. Inoltre, la regione costiera dell’Africa occidentale tra Abidjan, Costa d’Avorio, e Lagos, Nigeria, diventerà l’area più densamente popolata della terra entro il 2100, con una potenziale popolazione di fino a 500 milioni di persone (leggi ad esempio: https:// thewire.in/urban/era-of-megalopolis-nature-of-cities). Ora proverei a unire il tutto e alla fine, confrontandoci con il resto del mondo, per l’Italia potrebbe non andare così male. Non ci saranno questi “inferni di insostenibile complessità”, forse il nostro modello di sviluppo urbano, che viene da lontano, dall’epoca dei comuni, sarà un vantaggio strategico, geopolitico, evolutivo. Certo, in Italia saranno pochini ma forse, con tanti “se” (che metto tra virgolette per consentirvi di contarli meglio), l’Italia potrebbe avere un futuro più equilibrato, trovare una strada: “se” riuscissimo a formare comunità urbane davvero inclusive, “se” riuscissimo a sviluppare infrastrutture sanitarie innovative, “se” riuscissimo a trovare soluzioni abitative magari in condivisione della proprietà e dell’accesso, “se” riuscissimo a far funzionare nuovi modelli di collaborazione tra settore pubblico e privato. “Se” riuscissimo a riportare qui i nostri ragazzi, e farci venire quelli di altri paesi, supportandoli, convincendoli che possono stare bene. Poi c’è un grande “se” che riguarda la tecnologia: “se” venisse vista non come un invasore, ma come un prezioso alleato. Un approccio etico e umano all’uso della robotica e dell’intelligenza artificiale potrebbe offrire soluzioni innovative alle sfide poste dall’invecchiamento della popolazione. L’impiego di queste tecnologie avanzate potrebbe supportare i sistemi esistenti e contribuire a creare nuove opportunità di crescita e sviluppo, salvaguardando allo stesso tempo l’identità, il modo di vivere e il patrimonio culturale unico dell’Italia a sopperire “la mancanza di mani” che sperimenteremo nel futuro prossimo venturo. E poi, “se” investissimo con intensità nella ricerca e nell’industrializzazione di queste tecnologie, allora potremmo produrle in Italia, senza dipendere da strategie non coerenti con i nostri modelli di vita: robot intelligenti, ecologici, compatibili con l’ambiente e con l’uomo, che consumano pochissima energia, nostri, personali, che ci aiutino. Questa la sfida dell’“AI & Robotic Trasformation”, la sfida che “giochiamo” da sempre a Genova noi di IIT, che con noi giocano CNR e Università di Genova, che ha portato a RAISE (raiseliguria.it) una scommessa per il futuro del nostro modello di sviluppo.

Una domanda sorge spontanea: alla fine, saranno i robot e i sistemi di AI a pagare le pensioni dei nostri figli?●

Andrea Pagnin è Head of Innovation & Development Office dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Coordinatore delle attività di trasferimento tecnologico dell’Ecosistema RAISE (Robotics and AI for Socio-economic Empowerment)

Chirurgia

All’IIT si sviluppano sistemi robotici chirurgici per operare, anche in remoto, le patologie

COMPUTERASSISTITA

All’IIT i ricercatori stanno sviluppando una tecnologia che unisce laser e robotica con l’obiettivo di dare ai chirurghi uno strumento che permetta di operare in modo sicuro zone delicate del corpo, quali la laringe.

I laser vengono utilizzati sempre più spesso in operazioni chirurgiche di precisione, per trattare condizioni patologiche caratterizzate da alti livello di rischio, tra le quali troviamo diverse tipologie di cancro. La fonochirurgia laser, rivolta alle corde vocali, è un esempio di come queste tecnologie stiano diventano di uso comune per la cura delle patologie associate alla laringe.

Data la ridotta dimensione delle corde vocali (generalmente non più lunghe di 25mm), questo tipo di interventi necessita l’utilizzo di un microscopio. Numerose sono le difficoltà che derivano dal dover operare con il laser a tali ridotte dimensioni. Per evitare complicazioni negli interventi di fonochi-

rurgia laser, l’unica misura fino a oggi adottata era rappresentata da un’intensa attività di formazione dei chirurghi. I ricercatori dell’IIT hanno realizzato un nuovo tipo di apparato per la microchirurgia delle corde vocali. Integrando la robotica con i più recenti sviluppi nel campo della chirurgia computer-assistita, questo sistema fornisce al chirurgo una postazione di lavoro più ergonomica e una maggiore precisione nel controllo del laser. L’apparato comprende inoltre un sistema di sicurezza “intelligente”, che permette al chirurgo di limitare il danno termico inflitto dal laser ai tessuti. Gli avanzamenti tecnologici raggiunti porteranno a una microchirurgia laser più precisa, sicura e meno invasiva, permettendo il miglioramento delle tecniche per il trattamento dei tumori della laringe. Questo dispositivo robotico chirurgico è tra quelli che IIT, sta testando per quanto riguarda l’utilizzo di reti 5G per

l’assistenza sanitaria remota nel contesto di un progetto svolto in collaborazione con Vodafone. Le sperimentazioni rientrano nel campo della robotica teranostica, che prevede diagnosi e terapia effettuate da remoto e mediate da dispositivi robotici. Per il funzionamento di queste tecnologie è necessaria una connettività avanzata, come quella 5G, che garantisce tempi di risposta immediati, maggiore velocità e capacità per il trasferimento dei dati ed estrema affidabilità della rete mobile. Si potranno così svolgere operazioni a distanza e in tempo reale ad altissima precisione o predisporre sessioni di “mentoring remoto” avvalendosi della collaborazione di chirurghi più esperti, ma lontani geograficamente dal luogo dell’intervento, o ancora permettere a chi non può spostarsi per motivi geografici o economici di avere assistenza chirurgica di alto livello senza dover affrontare spostamenti potenzialmente complessi da diversi punti di vista. Nel 2019 è stata fatta la prima dimostrazione di questa tecnologia sul palco del Vodafone Theatre: un chirurgo dell’Ospedale San Raffaele, ha manovrato un braccio robotico da remoto, che si trovava fisicamente al San Raffaele ed era connesso tramite rete 5G di Vodafone, per un’operazione di microchirurgia laser transorale su un modello di laringe sintetica.●

Head of Biomedical Robotics Laboratory

MATTOS

Istituto Italiano di Tecnologia

«Nel nostro laboratorio ci concentriamo sulla ricerca e sviluppo di tecnologia robotica e intelligenza artificiale per la sanità. La maggior parte dei nostri sforzi e interessi di ricerca si colloca nel contesto della digital health, la sanità digitale, che si avvale di sistemi robotici e informatici che portano a un grande miglioramento nella capacità e nelle prestazioni dei medici durante l’esecuzione di procedure delicate e difficili. Il nostro obiettivo generale è quello di studiare nuove tecnologie e creare dispositivi che possono aiutare i medici a svolgere compiti molto difficili o addirittura a eseguire operazioni attualmente impossibili. Tutto ciò può avvenire grazie alla robotica e all’intelligenza artificiale, perché queste tecnologie possono letteralmente fornire capacità sovraumane ai medici. Nel nostro team di ricerca lavoriamo per la creazione di queste tecnologie, concentrandoci sulla risoluzione delle sfide chiave in procedure mediche molto complesse, collaborando con i migliori chirurghi esperti a livello locale e nazionale. Le nostre collaborazioni più forti sono con l’IRCSS Ospedale Policlinico San Martino e con l’IRCCS Giannina Gaslini di Genova. Insieme a loro stiamo attualmente sviluppando sistemi robotici per la microchirurgia laser transorale, un nuovo mini robot per la neurochirurgia pediatrica, sistemi robotici per la cateterizzazione venosa, sistemi di intelligenza artificiale per il rilevamento automatico e la diagnosi di malattie in video endoscopici e sistemi computerizzati di realtà aumentata per migliorare prestazioni e sicurezza nelle procedure invasive e negli interventi chirurgici fetali. Molte delle nostre tecnologie si stanno avvicinando ai primi testi e sperimentazioni cliniche su esseri umani e siamo molto entusiasti di vedere i nostri dispositivi aiutare concretamente i medici a svolgere il loro lavoro e fornire cure di altissima qualità ai loro pazienti».●

IN COLLABORAZIONE CON

CON IL SOSTEGNO DI

SI RINGRAZIA

PARTNER ISTITUZIONALE

I CLUB TEMATICI SONO ORGANIZZATI CON IL CONTRIBUTO DI

Ci vediamonel Metaverso

Spazi virtuali ed economie parallele.

La rubrica “Da Genova a...” dedica spazio alla visione di giovani che, dopo la formazione a Genova, hanno trovato in altre città italiane ed estere importanti spazi di crescita personale e professionale. Manila di Giovanni, diplomata al Deledda International School di Genova, è fondatrice e CEO della startup DWorld, che ha l’ambizione di creare il gemello virtuale di ogni città del mondo con la propria economia correlata. Ha iniziato dalla riproduzione dello stato monegasco, collezionando importanti riconoscimenti tra cui la nomina nella lista Forbes 30 Under 30, che valorizza i giovani talenti che stanno cambiando il mondo.

Creatrice del primo Metaverso di uno Stato, nel 2023 sei stata vincitrice del Prix Monte-Carlo Femme de l’Année e del Premio AIDDA Liguria. Ci racconti come è nato e come si è sviluppato il tuo progetto?

Il mio progetto è nato da una visione ambiziosa di formare un ponte tra il mondo reale e quello virtuale per creare le città del futuro e una nuova economia virtuale parallela. Questa visione è iniziata a nascere quando avevo 11 anni, dopo aver visto un anime distopico chiamato Sword Art Online, da cui ho intuito che il futuro di internet non sarebbe più stato sui nostri schermi 2D di computer e cellulari, ma sarebbe diventato accessibile direttamente tramite visori di realtà virtuale per generare più immersione e un mondo

più esperienziale e interattivo. Ho continuato a fare ricerca, soprattutto durante il mio ultimo anno delle superiori; dopo le mie esperienze di tirocinio tra Singapore e la Cina, ho individuato e capito anche le tecnologie che sarebbero state coinvolte per creare la mia visione. Così, quando sono tornata nel Principato di Monaco per il mio secondo anno dell’università all’International University of Monaco, ho chiesto ai professori di cambiare la mia tesi con un progetto imprenditoriale. Si è trattato del primo caso nella storia dell’università dove è stato concesso a uno studente di fare questo cambio. Dopodiché, ho avuto anche l’opportunità di parlare al Dipartimento Smart City del governo di Monaco riguardo al mio progetto per un gemello virtuale del Principato, creando un’economia virtuale parallela. Dopo averli convinti a fare il prototipo insieme, nel marzo 2021, prima che Facebook cambiasse il suo nome in Meta e prima ancora che qualsiasi altra città iniziasse a inserirsi nel Metaverso, noi in DWorld fummo i primi a creare il primo Metaverso di uno Stato, un luogo virtuale che rappresentasse un’intera nazione per il Principato di Monaco. Inizialmente ho riunito un team di esperti in realtà virtuale, sviluppo di giochi ed economie virtuali per trasformare questa visione in realtà. Il progetto si è sviluppato attraverso fasi di progettazione, sviluppo e test, coinvolgendo anche delle imprese locali per assicurarci che il Metaverso rispecchiasse fedelmente la real-

tà. I riconoscimenti come il Prix Monte-Carlo Femme de l’Année e il Premio AIDDA Liguria sono stati il risultato del duro lavoro del team e della risonanza positiva del progetto nella comunità.

Quali sono le prospettive e i vantaggi dischiusi dal collegamento tra la realtà fisica e la sua rappresentazione virtuale, e quali i rischi e le difficoltà?

Il collegamento tra la realtà fisica e la sua rappresentazione virtuale nel Metaverso offre una serie di vantaggi e svantaggi. Tra i vantaggi, la creazione di economie virtuali sottostanti è uno degli aspetti più significativi. Questo permette lo sviluppo di nuove opportunità di business, consentendo alle imprese di prosperare in un contesto virtuale. Ad esempio, la vendita di beni virtuali, servizi digitali e la creazione di esperienze uniche nel Metaverso possono generare entrate consistenti. Questo collegamento può anche favorire l’innovazione, poiché le imprese cercano modi creativi per interagire con la loro clientela virtuale e offrire prodotti e servizi unici. Un altro vantaggio è la partecipazione attiva della comunità, che può contribuire allo sviluppo del Metaverso in modi unici. I cittadini possono creare e condividere contenuti, influenzare le dinamiche economiche e sociali, e persino contribuire alla creazione del mondo virtuale che verrà legata alla progettazione delle

loro città reali. Questo coinvolgimento attivo può portare a una comunità virtuale e reale più coesa e dinamica per migliorare le nostre società. Tuttavia, ci sono anche dei rischi e delle difficoltà da considerare. La sicurezza digitale è una delle preoccupazioni principali, con minacce come frodi, furti di identità e cyber-attacchi che possono compromettere l’integrità del Metaverso. La gestione della privacy è un’altra sfida, poiché la raccolta e l’uso dei dati personali devono essere gestiti con attenzione per evitare abusi. Qui è dove noi implementiamo la blockchain, le cui caratteristiche possono contribuire a proteggere i dati personali, rendendo più difficile la violazione della sicurezza e garantendo un maggiore controllo agli utenti sulla propria informazione, ma anche tracciando in modo trasparente ogni transazione evitando il riciclaggio di denaro. Inoltre, c’è il rischio di escludere gruppi di persone a causa di barriere tecnologiche o economiche nell’accesso al Metaverso dove l’hardware rimane ancora costoso. Affrontare questi aspetti richiede un approccio olistico, coinvolgendo la collaborazione tra governi, imprese e la società civile per stabilire normative e standard che garantiscano un Metaverso sicuro, etico e inclusivo.

Quali insegnamenti, esperienze e stimoli hanno contribuito, più di altri, al successo del tuo percorso? Il successo del mio percorso è stato plasmato da diversi fattori. La mia passione per la tecnologia e per la creazione di mondi virtuali ha fornito la spinta iniziale. Ma, prima ancora, vi hanno contribuito i miei genitori, con il loro sostegno nel farmi sempre credere nei miei sogni e non imponendosi mai sulle mie scelte. Inoltre, apprendere continuamente dalle esperienze passate, sia i successi che i fallimenti, mi ha permesso di adattare la nostra strategia e affrontare le sfide in modo creativo. Io avevo fatto diversi errori all’inizio, dalla scelta del team alla scelta di alcuni sviluppi tecnologici che non erano prioritari, non sapevo riconoscere con quali persone era meglio interagire per guadagnare più tempo ecc. Nell’ambito startup, però, bisogna sempre imparare dagli errori e farli diventare i nuovi punti di forza sui quale lavorare per migliorarsi continuamente. La formazione di un team competente e diversificato è stata cruciale, così come la collaborazione con esperti del settore e con le istituzioni; l’innovazione costante e il coinvolgimento attivo della comunità sono stati pilastri fondamentali per il successo del nostro Metaverso. Nel lavoro bisogna sempre essere determinati: senza determinazione e se non ci crede nei propri progetti e sogni, non si va molto lontano. Se si inizia a perdere quella luce negli occhi di speranza e di entusiasmo per le cose in cui ci stiamo applicando, è il momento di cambiare visione. Perché lavorare in una startup tecnologica e innovativa, pionieristica, richiede moltissimo lavoro. Ci sono anche tanti momenti di umiliazione, perché non tutti dicono subito di “sì”, anzi, la maggior parte dei riscontri possono essere negativi per via della paura di innovare. Se, però, si mantiene accesa quella luce di speranza, si possono raggiungere diverse vette e aprire nuove porte che, senza la determinazione e il duro lavoro, sarebbero rimaste chiuse. Il mio successo attuale è dovuto a questa mia energia e abilità, insieme al mio team, di “pivotare” anche nei momenti difficili per accedere a nuove opportunità e a nuovi progetti.●

Progetti di crescita

Dalla Academy a supporto della formazione e del miglioramento continuo al nuovo Centro Ricerche nel Campus di Savona: iniziative nelle quali trovano concreta applicazione i valori della Danieli Centro Combustion (Gruppo Danieli), guidata da Fabrizio Pere. Fabrizio Pere

Dal 2018 Fabrizio Pere è amministratore delegato di Danieli Centro Combustion, la società del Gruppo Danieli fondata nel 1991 che nelle sedi operative di Genova e Buttrio (Udine) progetta e realizza impianti di riscaldamento e trattamento termico per l’industria siderurgica. Oltre un centinaio di addetti (sui circa 200 complessivi) lavorano a Genova, città di cui Danieli Centro Combustion riconosce e valorizza le storiche competenze nell’impiantistica industriale anche in un’ottica di sviluppo delle proprie attività sul territorio. Tra i progetti in corso, l’importante intervento di trasformazione del Centro Ricerche presso il Campus universitario di Savona, fiore all’occhiello del Gruppo e unicum in Liguria, dove vengono testati tutti i principali componenti degli impianti realizzati da Danieli Centro Combustion.

Ing. Pere, dove si posiziona Danieli Centro Combustion nella filiera del Gruppo?

Danieli Centro Combustion progetta e realizza gli impianti (forni da riscaldo) che, nel processo di produzione dell’acciaio, si trovano tra la colata continua e il laminatoio a caldo, e gli impianti a valle del laminatoio stesso (forni di trattamento termico), dove il laminato è oggetto di successive lavorazioni. Dalla sede operativa di Genova dipendono oltre cento addetti e una altra ventina nelle sedi di Milano e Torino; abbiamo una società in India, controllata al 100% da Danieli Centro Combustion, dove lavorano circa ottanta persone, e nostre risorse distaccate presso gli uffici Danieli negli Stati Uniti, in Brasile, in Turchia, in Germania. La Danieli Centro Combustion oggi fattura oltre 100 milioni di euro con un Ebitda di 6 milioni, all’interno di un Gruppo con 10mila dipendenti e che chiude l’anno con 4,1 miliardi

di fatturato, un Ebitda di 424 milioni, una posizione finanziaria netta di 1,6 miliardi di cassa e un risultato netto operativo di 240 milioni. Formazione, innovazione, metodo, miglioramento continuo sono i nostri pillars di riferimento.

A proposito di formazione: molte aziende del comparto manifatturiero lamentano la difficoltà di trovare (e fidelizzare) personale laureato e tecnico qualificato. Come sta affrontando Danieli il problema del mismatch domanda-offerta di lavoro?

La ricerca di personale qualificato per noi è centrale, così come lo è la formazione per sostenere la crescita delle nostre risorse. La Danieli Academy (allestita nella suggestiva prima

di Piera Ponta

officina di Buttrio, completamente ristrutturata) propone un’offerta formativa molto ampia, che risponde alle esigenze di tutti i livelli aziendali. “Inde 18”, per esempio, è un percorso per neodiplomati e neolaureati, che prevede un anno di formazione durante il quale, oltre ad affrontare specifiche questioni tecniche, si approfondisce la conoscenza dell’azienda e dei diversi metodi di lavoro; a seguire, i giovani vengono assegnati per un certo periodo a una delle Business Unit del Gruppo. Anche Danieli Centro Combustion è inserita in questo programma. Si tratta di un’esperienza importante, che dà subito la percezione di essere parte di un grande Gruppo, di una realtà solida che offre tante possibilità di crescita; questo vale per i neo assunti ma anche per chi è già da tempo in azienda e può valutare nuove opportunità di carriera all’interno di Danieli, in una Unit diversa in Italia o magari all’estero. Il metodo formativo della Academy italiana è applicato in tutti i Paesi dove Danieli è presente - Cina, Tailandia, Stati Uniti... -, sempre nel rispetto della realtà locale. L’Academy è un elemento di attrazione e di fidelizzazione delle risorse umane. Negli ultimi anni abbiamo assunto in media una decina tra ingegneri e tecnici industriali all’anno, molti dei quali sono rimasti a Genova, volendo coniugare un’opportunità di crescita professionale interessante con una qualità della vita particolarmente piacevole. Il Gruppo Danieli sta puntando molto su Genova e sulla Liguria, non solo attraverso Danieli Centro Combustion, ma anche attraverso Danieli Automation e Danieli Telerobot. Vogliamo fare leva in una città che ha, ancora oggi, una forte impronta industriale e vanta un patrimonio di competenze da trasmettere ai giovani e da valorizzare. Certo, servono entusiasmo, voglia di fare e voglia “del” fare. In Danieli c’è lo stesso spirito “del” fare che avevo trovato negli Stati Uniti, dove ho vissuto a lungo: se si hanno delle idee, non ci sono preclusioni a portarle avanti, anzi, l’azienda ti spinge a metterti in gioco, a provare a realizzarle.

Gli importanti interventi previsti al Centro Ricerche di Danieli Centro Combustion presso il Campus universitario di Savona sono la concreta dimostrazione del legame con il territorio e dell’impegno costante nell’attività di ricerca e innovazione. Può spiegarci di cosa si tratta?

L’innovazione è il cuore di Danieli. Basti sapere che gli investimenti del Gruppo in ricerca diretta ammontano a 30 milioni di euro all’anno; quelli di Danieli Centro Combustion si attestano intorno ai 500mila - 1 milione di euro. Gli interventi di trasformazione del nostro Centro Ricerche all’interno del Campus universitario di Savona rispondono all’esigenza della Società di essere all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie sempre più rispettose dell’ambiente. Il progetto riguarda la modifica dell’impianto sperimentale attuale al fine di poter effettuare i test sui componenti utilizzando anche l’idrogeno. L’iter di approvazione del progetto è stato lungo e molto accurato, ma ora siamo pronti a partire. La prima fase prevede la costruzione di un bunker per lo stoccaggio di bombole di idrogeno che serviranno per i primi test; la seconda fase comprende l’installazione di pannelli solari e di un piccolo elettrolizzatore: l’energia proveniente dai pannelli solari contribuirà ad alimentare l’elettrolizzatore con cui produrre idrogeno verde. Questa fase del progetto rappresenta il modello “in scala” di come, un domani, potrà svilupparsi parte della nostra industria nel pieno rispetto dell’ambiente, utilizzando energie alternative combinate e idrogeno verde. Tutto questo grazie alla spiccata propensione di Danieli Centro Combustion all’innovazione e a una positiva “tensione” verso il miglioramento continuo. Un Centro Ricerche come quello di Savona potrà anche offrire servizi a realtà industriali che operano nell’ambito del thermal business e dell’energia e alla stessa Università. Il nuovo impianto ci permetterà di lavorare sia sull’asse dell’efficientamento energetico sia sull’asse della transizione energetica nell’ottica della decarbonizzazione, avendo ben presente che non potremo affidarci solo all’idrogeno per contenere le emissioni inquinanti nell’ambiente e che, a questo fine, molto di più dovrà essere fatto dal punto di vista dell’efficientamento energetico. La presenza del Centro Ricerche all’interno del Campus costituisce un’opportunità straordinaria di formazione per i giovani interessati a sviluppare una tesi, sperimentale o applicativa, o a un tirocinio che consenta loro di entrare nel mondo del lavoro già negli ultimi anni di università e quindi di intraprendere un percorso di crescita all’interno di una società, come la Centro Combustion, e di un gruppo internazionale, quale è Danieli, dove realizzare le proprie aspirazioni ●

ricostituente Cura

Nasce il “Manifesto per lo sviluppo dei mercati dei capitali”per promuovere una politica industriale in favore del mercato dei capitali in Italia.

L’efficienza e la dinamicità dei mercati dei capitali costituiscono un pilastro fondamentale per la crescita economica sostenibile di un Paese. Svolgono un ruolo centrale per indirizzare i risparmi verso investimenti produttivi e orientati al futuro, offrendo l’opportunità di partecipare alla creazione di ricchezza e una più efficiente allocazione delle risorse. Gli sforzi fin qui compiuti a vario livello, si pensi ad esempio alle iniziative connesse alla “Capital Market Union” su cui si è spesa a più riprese la Commissione Europea, non hanno sortito i risultati sperati. La transizione verde e quella digitate, entrambe sfide che richiedono ingenti investimenti e capitali, aumenta l’urgenza di promuovere lo sviluppo dei mercati dei capitali nel nostro paese. Il mercato italiano continua a essere fragile e sottodimensionato sia in confronto all’economia nazionale, con una capitalizzazione pari al 34% del PIL a fine 2022 (dal 51% del 2006), sia rispetto ad altri mercati europei (Francia >120%, GB ca. 90%, Germania ca. 45%). Il numero di società quotate sui nostri mercati regolamentati è rimasto stabile negli ultimi decenni, con un bacino limitato di PMI quotate, rispetto al potenziale: a fine 2022 il mercato italiano contava 334 PMI per una capitalizzazione complessiva di ca. 45 miliardi di euro, contro le oltre 600 PMI in Francia per ca. 82 miliardi di euro di capitalizzazione. Gli investitori istituzionali domestici svolgono ancora un ruolo molto limitato: costituiscono meno del 10% del totale

degli investitori istituzionali nelle società quotate incluse nell’indice FTSE All-Share, confrontato con più del 20% in Francia (paese in cui operano ca. 80 fondi specializzati in PMI francesi), 20% in Germania e 50% in Svezia. Inoltre, le famiglie italiane allocano ancora una percentuale molto bassa (<3%) dei loro asset finanziari in azioni quotate, e di questa modesta cifra, oltre il 50% è investito in società non italiane.

È in questo contesto che si inserisce il recente “Manifesto per lo sviluppo dei mercati dei capitali” (www.manifestomercaticapitali.it), un’iniziativa nata allo scopo di promuovere una completa e articolata politica industriale in favore del mercato dei capitali in Italia. Nel Manifesto si declinano dieci proposte concrete che riguardano gli investitori istituzionali e gli intermediari finanziari domestici, l’attività delle autorità di vigilanza e la fiscalità. Nel dettaglio nel manifesto si chiede: 1) la promozione da parte delle istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni, fondazioni, casse ecc.), in partnership con autorità e Governo, di un progetto denominato “Capitali Italia - Mercati Finanziari per le Imprese” che preveda la creazione di 20-25 nuovi portafogli o fondi specifici per PMI quotate italiane di 100-200 milioni di euro ciascuno, per una raccolta totale di circa 35 miliardi di euro. A questi fondi si dovrebbe associare un fondo di fondi per 1 miliardo promosso dallo stato attraverso le sue controllate; 2) l’eliminazione dell’unicità per i

PIR ordinari e l’introduzione di iniziative necessarie a evitare che si ripetano i disinvestimenti causati dall’entrata in vigore dei benefici fiscali dopo 5 anni dalla sottoscrizione dei primi PIR; 3) per i PIR alternativi, la promozione di iniziative per incrementare l’allocazione potenziale su mid-cap quotate cosi da migliorare la liquidità di fondi investiti su titoli quotati, e l’allargamento della platea dei potenziali investitori alle persone giuridiche, introducendo misure fiscali simili a quelle oggi riservate agli investimenti in PMI innovative; 4) l’introduzione di un credito d’imposta sui costi della ricerca indipendente sostenuta dagli operatori e dagli emittenti per la ricerca sponsorizzata. Sempre in quest’ottica, nel manifesto si auspica la creazione di strumenti mutualistici a supporto dei costi di ricerca sostenuti da emittenti e operatori, con il contributo dello Stato sulla scorta dei fondi di categoria del modello anglosassone; 5) l’introduzione di una statutory immunity per i funzionari di Consob, perseguibili così soltanto nei casi di malafede, e la ridefinizione del modello di governance, concentrando sulla Commissione le scelte strategiche e di particolare rilevanza e delegando alla struttura operativa i compiti gestionali e decisionali; 6) l’inserimento tra gli obiettivi strategici della Consob e di Banca d’Italia dello sviluppo e della competitività dei mercati dei capitali; 7) l’introduzione di nuove modalità di interazione con i soggetti vigilati, in ottica di cooperazione, sull’esempio delle no action letter america-

ne; 8) l’estensione delle competenze delle sezioni giudiziarie specializzate sulle imprese anche alle controversie sull’intermediazione finanziaria, integrando l’arbitrato societario anche alle società quotate; 9) la stabilizzazione del Bonus IPO e l’approvazione di misure legislative volte a incentivare il capitale di rischio, approfondendo con l’Europa incentivi alla capitalizzazione per PMI quotande; sempre per rafforzare il patrimonio, l’estensione del credito di imposta sugli aumenti di capitali senza limiti sulla capitalizzazione e la riduzione della tassazione sul dividendo a fronte di requisiti minimi di permanenza nell’impresa; 10) l’applicazione di un fattore percentuale alla deducibilità degli interessi a seconda della natura del debito (100% per titoli di debito quotati e l’80% per le restanti forme di finanziamento) o, in alternativa, l’aumento del tetto massimo alla deducibilità degli interessi nel caso del debito di mercato, introducendo una percentuale del 50% del MOL per titoli di debito quotati. Alcune proposte possono già oggi trovare spazio nella finalizzazione del DDL capitali, per altre serve la volontà e l’impegno della politica a realizzare provvedimenti ad hoc. In tutti i casi, l’auspicio dei firmatari è quello che il sistema agisca velocemente nella direzione indicata.●

Barbara Alemanni è Professore Ordinario presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Genova e Affiliate. Professor of Banking and Insurance presso SDA Bocconi School of Management

Dieci anni di soluzioni

È il recente traguardo raggiunto da INNOVO Tech, azienda attiva nel campo dell’informatica di produzione.

Lo scorso 20 ottobre INNOVO Tech ha festeggiato all’Acquario di Genova i primi dieci anni di attività, con un evento molto partecipato insieme ai propri clienti e fornitori. Era ottobre 2013 quando, per una serie di circostanze anche casuali, l’iniziativa dei cinque soci fondatori ha fatto nascere la società, con l’obiettivo dichiarato di valorizzare l’esperienza e le conoscenze accumulate in diversi anni nel mondo dell’informatica di produzione.

INNOVO Tech è una storia imprenditoriale molto particolare: pur operando in un settore dove sono necessarie fortissime competenze, anche in settori molto diversi tra loro (informatica applicativa, protocolli di comunicazione, organizzazione della produzione, logiche e algoritmi per ottimizzare processi decisionali ecc.), ha saputo proporre al mercato alcune metodologie molto innovative che riguardano l’analisi del problema, l’installazione delle soluzioni, la condivisione dei risultati; tecniche che sono state affinate dall’esperienza pluridecennale del settore e che consentono di affrontare tematiche molto complesse e delicate con strumenti estremamente semplici ed efficaci.

Essere un punto di riferimento per le aziende industriali, accompagnarle nelle loro esigenze di innovazione, aiutarle nell’organizzazione dei processi interni... questi sono gli obiettivi con i quali INNOVO Tech si propone sul mercato e che ne esprimono la mission principale fin dalla sua nascita. INNOVO Tech propone alle aziende manifatturiere il proprio sistema MES (Manufacturing Execution System) denomina-

to SPHERA, sviluppato con strumenti e logiche di ultima generazione, che ha la finalità principale di monitorare in tempo reale tutto il ciclo e le risorse produttive.

In questi dieci anni il mondo produttivo italiano ha subito forti cambiamenti; da un lato l’evoluzione tecnologica degli impianti, spinta e incentivata dalla normativa Industria 4.0, ha consentito processi produttivi più rapidi ed efficienti; da un altro ha dovuto adeguarsi ai cambiamenti del mercato, che sempre più richiede dei tempi di consegna veloci, un’alta variabilità delle caratteristiche dei prodotti finiti, un’organizzazione flessibile che riesca a rispondere con buona reattività a processi decisionali che sono spesso, per necessità, anche molto turbolenti.

Non è possibile gestire questi cambiamenti senza strumenti efficaci che consentano di tenere sotto controllo gli avanzamenti, monitorare le risorse, effettuare velocemente simulazioni di piani alternativi, riuscendo ad anticipare gli effetti delle decisioni prese, tutti obiettivi che sono alla base delle funzionalità dichiarate del sistema SPHERA.

Oggi INNOVO Tech è una realtà che conta una struttura di 15 persone, un volume di affari di 1,5 milioni di euro, 120 installazioni attive, clienti in tutte le regioni italiane e operanti in settori produttivi molto eterogenei (stampaggio plastica e gomma, officine meccaniche, costruzioni di macchine e impianti, particolari per automotive, navale, farmaceutico, alimentare, imballaggi flessibili, cartotecniche). Poche ma significative le installazioni all’estero (Russia, Canada,

Brasile, Spagna, Gran Bretagna). Una realtà piccola ma in crescita costante, con un ottimo portafoglio clienti molto fidelizzati, che fa dell’assistenza e della vicinanza ai clienti la ragione principale della propria identità.

L’evento del 20 ottobre all’Acquario di Genova ha visto un’ampia partecipazione ed è stato l’occasione per un confronto sul settore industriale in Italia, con i suoi punti di forza e di debolezza, e per ragionare insieme su quanto i sistemi MES possano aiutare nel miglioramento dei processi interni ed esterni.

Andrea Etzi, legale rappresentante, ha spiegato nel dettaglio la storia della società, le ragioni della sua nascita, la sua mission, e ha descritto le esperienze sul campo dei soci fondatori in più di 30 anni di attività; ha inoltre analizzato il mercato industriale italiano, le sue specifiche esigenze di innovazione e quali dovrebbero essere, a suo avviso, le caratteristiche tecniche e funzionali imprescindibili dei sistemi offerti per soddisfare queste esigenze.

Eliano Virdis, responsabile commerciale, ha descritto nel dettaglio la copertura funzionale del sistema SPHERA, i principali sviluppi portati avanti nei dieci anni di attività della società, con particolare attenzione alle soluzioni per integrare le macchine di produzione di nuova generazione, in conformità della normativa Industria 4.0.

Daniele Mura, responsabile software, ha presentato le nuove funzionalità del sistema SPHERA, sia per quelle applicative (controllo qualità, content management, gestione della manutenzione) sia per alcuni moduli Web innovativi fina-

lizzati alla consultazione dei dati e all’interfaccia con gli operatori impiegati in attività produttive.

Paolo Monteverde, responsabile ricerca e sviluppo, ha descritto gli obiettivi tecnici della società nei prossimi due anni, con particolare attenzione al miglioramento del sistema in un’ottica di nuova architettura, sicurezza dei dati, garanzia di continuità di funzionamento, alert e monitoraggio continuo di tutte le componenti del sistema. Paolo Fucini, responsabile hardware, ha presentato le funzionalità dei dispositivi hardware progettati da INNOVO Tech e installati nell’ambito del sistema SPHERA, siano esse funzionali a raccogliere dati da macchine di vecchia generazione (tramite segnali digitali) o a ottimizzare lo scambio di informazioni con gli operatori in reparto (panel PC industriali). È intervenuto anche Warren Lee, Sales Director di Mightec Corporation di Taiwan, azienda partner di INNOVO Tech per la fornitura di apparecchiature hardware industriali. Sono stati infine presentati il nuovo sito Web della società, il nuovo logo e le collaborazioni strategiche con altre aziende che operano in settori affini, dove frequentemente è necessario acquisire informazioni direttamente dai sistemi MES installati.

La scelta dell’Acquario non è stata casuale: ha voluto sottolineare con forza il legame con la città di origine. Infatti, pur operando in un contesto che copre tutto il territorio nazionale, sono forti le radici di INNOVO Tech con Genova, che rappresenta sempre, per volontà di tutti i suoi soci, un tratto distintivo nelle attività quotidiane.●

Al servizio dell’edilizia

Vendita, noleggio, assistenza e formazione: l’offerta di Macchine Edili Repetto per il comparto delle costruzioni.

Aldo Arecco è l’amministratore delegato di Macchine Edili Repetto, impresa familiare fondata nel 1913. Con il fratello Roberto rappresenta la terza generazione, ma la quarta generazione, con Sara, Monica, Valentina, Gian Luca e Alessandro, è operativa in azienda già da una decina di anni. Macchine Edili Repetto non è solo vendita e noleggio di mezzi movimento terra, ma anche centro di formazione riconosciuto dalla Regione Liguria.

In cosa consiste e com’è organizzata l’attività dell’azienda?

La nostra attività consiste nella vendita, noleggio e assistenza di macchine e attrezzature per l’edilizia, che svolgiamo su due unità: la principale è a Genova Bolzaneto, dove si fa vendita e noleggio ed è dotata di un’officina per la manutenzione delle macchine strettamente legate all’edilizia; la seconda unità, a Molassana, è un’officina per la manutenzione delle macchine movimento terra. Il nostro parco macchine destinate al noleggio, tra macchine movimento terra, edilizia e autoclavi, conta circa 200 mezzi. Il noleggio avviene prevalentemente “a freddo”, cioè senza operatore a bordo - ovviamente è responsabilità del cliente dichiarare che chi utilizzerà le macchine ha le necessarie competenze e qualifiche. In tutto siamo una quarantina di persone e lavoriamo a Genova, Savona, Imperia e nel basso Piemonte.

Qual è stato l’impatto di incentivi quali Industria 4.0 e Superbonus 110% sulla vostra operatività?

Abbiamo avuto un ottimo ritorno. Il Superbonus 110% ha dato un grosso impulso alla vendita di mezzi e di attrezzature per l’edilizia (compresi i ponteggi) e al noleggio di ascensori da cantiere e montacarichi, per i quali provvediamo anche all’installazione. E ha contribuito a incrementare la vendita e il montaggio di infissi, attività che abbiamo avviato da quest’anno e che eseguiamo con personale qualificato nel rispetto di quanto previsto dalla norma che regola il riconoscimento dell’incentivo. Anche le misure di Indu-

stria 4.0 hanno avuto un impatto positivo, soprattutto sulla fornitura di macchine movimento terra, di macchine operatrici, di carrelli elevatori e di montacarichi da cantiere. Tra l’altro questi mezzi potevano essere dotati di dispositivi in grado di fornire una reportistica aggiornata sulla localizzazione delle macchine, sulle ore lavorate, sui consumi, sui livelli di efficienza delle macchine stesse ecc. Quest’anno abbiamo smaltito gli ordini acquisiti nel 2022, che si è chiuso con un incremento di quasi il 50% del fatturato, a conferma di un mercato in fermento. Resta il problema della difficoltà di reperire personale tecnico specializzato.

Macchine Edili Repetto è anche un centro di formazione accreditato da Regione Liguria.

Organizziamo corsi di formazione su richiesta per privati e aziende, anche per l’acquisizione delle patenti che abilitano alla conduzione delle macchine movimento terra. La nostra offerta va dai corsi base, che implicano un parte teorica e pratica, a quelli di aggiornamento obbligatori, rivolti a chi è già in possesso dell’abilitazione per l’utilizzo di mezzi quali escavatori idraulici e pale, o di gru a torre e di carrelli elevatori semoventi, di sollevatori telescopici fissi e rotativi e di gru per autocarro. La parte teorica viene svolta da un docente interno in sede, a Bolzaneto, oppure online, attraverso un portale che garantisce l’esecuzione della formazione; la formazione pratica è affidata a due docenti interni, a seconda della tipologia di mezzo.

In che modo affrontate il tema della sostenibilità?

Dal punto di vista della sostenibilità ambientale, stiamo implementando la vendita e il noleggio di mezzi elettrici, abbiamo rinnovato il parco macchine del magazzino introducendo muletti elettrici e installato colonnine di ricarica. Per quanto riguarda, invece, la nostra organizzazione, siamo certificati ISO 9001 per la qualità e ISO 45001 per la gestione della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro: due riconoscimenti essenziali per poter operare nei cantieri delle grandi opere dove siamo impegnati.●

da sempre Innovativi

Nel nuovo stabilimento di Casella, Malva Moncalvo, insieme ai fratelli Ludovico e Marco, guida Helan

Cosmesi di Laboratorio nella scia del sogno che i suoi genitori hanno trasformato in realtà quasi 50 anni fa.

Nel bel video torio, Vincenzo Moncalvo, fondatore dell’azienda nel 1976 insieme alla moglie Elisa Bottini Massa, racconta che tutto ha avuto inizio da un sogno di Elisa, dall’amore di entrambi per la bellezza e per la natura, dal desiderio di intraprendere qualcosa di nuovo - per quegli anni, addirittura di pioneristico. Da allora le cose sono molto cambiate: basti considerare che, secondo un’indagine di Cosmetica Italia (l’Associazione di categoria di Confindustria), nel 2022 la cosmesi naturale e green ha fatto registrare un fatturato di oltre 1,8 miliardi di euro, il 16% del fatturato totale dell’industria cosmetica nazionale, confermando che un quarto dei consumi cosmetici del nostro Paese è generato da prodotti naturali e sostenibili. Trend in crescita, negli anni, anche per Helan che, nella primavera del 2016, per rispondere alle nuove esigenze di produzione, ha lasciato la storica sede di via Adamoli a Genova per trasferirsi a Casella, nell’ex stabilimento di una fabbrica di trafilati. Qui, in prima linea nella gestione aziendale, troviamo i figli dei fondatori: Malva, Ludovico e Marco. Incontriamo Malva Moncalvo nell’elegante sala convegni, caratterizzata da un’ampia vetrata che si affaccia sul laboratorio dove viene effettuato il controllo qualità della materia prima in ingresso.

A qualche anno dal trasferimento nel nuovo sito di Casella, sta andando tutto come nelle attese? Com’è la relazione con il territorio?

In via Adamoli occupavamo 2000 mq, qui ne abbiamo a

disposizione 7000, oltre alle aree esterne. Questo ci ha permesso di migliorare l’intera filiera produttiva: innanzi tutto perché gli spazi sono disposti su un unico piano, e quindi le varie fasi della produzione si susseguono in modo più efficiente, dal ricevimento della materia prima al packaging. Gli interventi di ristrutturazione hanno permesso di coniugare la tecnologia dell’industria alimentare con quella dell’industria farmaceutica, ottenendo così una linea di produzione molto razionalizzata, che parte dall’impianto di osmosi inversa dell’acqua, per liberarla da ogni impurità (un processo necessario perché tutti i nostri prodotti sono privi di conservanti). Lo stabilimento è dotato anche di un sistema di filtraggio dell’aria che abbatte in maniera drastica il particolato a terra, rendendo l’ambiente molto sicuro. Oggi il 90% della produzione è dedicata al nostro marchio, ma in questa nuova configurazione sarà possibile valutare anche opportunità di sviluppo nel settore del private label, che comincia a richiedere una qualità di prodotto più alta. Un altro punto a favore di questa sede è la disponibilità di spazi adeguati per organizzare attività di formazione per i clienti e per ospitare eventi. Per quanto riguarda la relazione con il territorio, da subito si è instaurato un dialogo molto proficuo con l’Amministrazione locale; siamo arrivati a Casella con tutta la forza lavoro della sede di via Adamoli, ma ora stiamo inserendo anche personale della zona.

Cosa rende “unici” i prodotti Helan?

Siamo una delle poche realtà italiane ad avere il laboratorio di Ricerca e Sviluppo in azienda, che occupa il 15% del nostro personale; il 100% dei nostri prodotti sono pensati da noi e il 90% di essi viene realizzato in questo stabilimento. Seguiamo dall’inizio alla fine il progetto che c’è dietro ogni prodotto: un impegno che, in quasi cinquant’anni di attività, ha sempre pagato. I nostri clienti - farmacie, parafarmacie, negozi specializzati nel biologico... -, ci riconoscono come un brand di nicchia; non facciamo prodotti market oriented, cerchiamo invece di seguire il filo conduttore delle materie prime utili al raggiungimento di un certo obiettivo cosmetico. La nostra produzione si divide in due grandi famiglie: quella “funzionale”, che deve dare un risultato, e quella “emozionale”, che deve comunicare emozioni. Il profumo è l’elemento di raccordo con l’emozione che il consumatore ricerca o si aspetta. Importante, poi, è il tema dei punti vendita, che vengono riforniti di espositori, di materiale promozionale, di tutto quanto occorre per accogliere al meglio il cliente, compresa la formazione del personale incaricato.

Helan è presente sui mercati esteri?

L’estero rappresenta il 10% circa del nostro fatturato; tra i mercati extra europei più ricettivi c’è il Medio Oriente. Sui mercati più piccoli, siamo presenti con un distributore, su quelli più importanti stiamo ottenendo ottimi risultati con la vendita online, che ci permette di conoscere direttamente il cliente. Ci eravamo avvicinati all’online con i piedi di piombo prima della pandemia, poi, durante il lockdown, abbiamo aumentato la nostra presenza... con soddisfazione. La risposta della clientela online a un listino impegnativo come il nostro, soprattutto sui mercati esteri, è molto importante, perché ci permette di determinare i best seller nei vari paesi e attivarci di conseguenza con i potenziali clienti.

Quali iniziative sta promuovendo Helan nell’ambito della sostenibilità?

Come accennato prima, la ristrutturazione dell’immobile ha compreso interventi finalizzati all’efficientamento dell’intero processo di produzione e di gestione della logistica, che poi si traduce in riduzione degli sprechi e in un minore consumo di energia. Già nel 1998 eravamo certificati ISO 9001(Sistema Qualità) e ISO 14001 (Gestione Ambiente), ora abbiamo anche la certificazione ISO 22716, che fissa le linee guida per le pratiche di buona fabbricazione per i prodotti cosmetici. Un esempio del nostro impegno in questo senso lo abbiamo avuto con il packaging innovativo del nostro Unguento al Timo Bianco, completamente sviluppato nel nostro laboratorio Ricerca e Sviluppo, che si è aggiudicato il Bando per l’Ecodesign Conai: l’unguento è contenuto in un vasetto composto da vetro riciclato in una percentuale tra il 70 e l’80%, chiuso da un coperchio fatto di materiale riciclato al 95%, e l’astuccio è di carta certificata e riciclabile, proveniente dagli scarti di lavorazione dell’industria agroalimentare. E la prossima estate, una parte del ricavato dalla vendita dei nostri solari verrà devoluto al progetto di Ogyre (startup innovativa a vocazione sociale, certificata Benefit Corporation, ndr) per la raccolta della plastiche in mare.●

Meno stress, più produttività

Settimana lavorativa di 4 giorni: per Creative Words, l’esperimento è riuscito. Lo confermano i KPI su qualità del servizio, ore di straordinario e benessere del team.

Creative Words (azienda di servizi che opera nel settore dei servizi linguistici e della comunicazione) ha introdotto nel 2022 la settimana lavorativa di quattro giorni, distinguendosi a livello locale e globale. Questo articolo mostra i risultati a un anno di distanza dall’implementazione del nuovo modello lavorativo, con il supporto di dati concreti.

Prima di iniziare, vogliamo chiarire una cosa importante: non si pensi di adottare la settimana lavorativa di quattro giorni solo per un po’ di pubblicità. Si tratta infatti di un’operazione più complessa e costosa di quanto possa sembrare e, a meno che non si sia mossi dalle motivazioni giuste, i numeri potrebbero spaventare. Probabilmente, chi legge si sta ora chiedendo quali siano queste motivazioni. La risposta è più semplice di quanto sembri: un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, per tutte le persone coinvolte. Un’analisi dell’iniziativa globale “4 Day Week” (https://www.4dayweek.com/) ha rivelato come le aziende che adottano la settimana corta abbiano raggiunto un punteggio medio di 7,7 su 10 per quanto riguarda l’aumento della produttività. Lo stesso studio dimostra che la produttività diminuisce dopo un certo numero di ore di lavoro: lavorare in modo intelligente è meglio che lavorare più a lungo. In Creative Words, l’annuncio della settimana lavorativa corta ha spinto tutti a individuare strategie per renderla possibile per i propri reparti, grazie all’implementazione di soluzioni innovative. Un aspetto importante da non dimenticare: stipendi, giorni

di riposo e orario contrattuale sono rimasti invariati. Abbiamo “solo” ridotto del 20% l’impegno lavorativo. Per mantenere gli stipendi e le ore di permesso retribuite non abbiamo adottato un modello part-time, ma insieme all’Area Relazioni Industriali di Confindustria Genova e ai nostri consulenti del lavoro abbiamo redatto addendum contrattuali che concedono ai collaboratori a tempo pieno 8 ore di permessi supplementari da utilizzare ogni settimana.

La preoccupazione iniziale di alcuni collaboratori era dovuta in primis alla necessità di concentrare il carico di lavoro in soli quattro giorni. In molti erano convinti che avrebbero dovuto affrontare un livello di stress senza precedenti; i più scettici hanno cambiato rapidamente idea per sostenere il successo collettivo, e quel giorno extra è servito per ricaricare le batterie.

La transizione alla settimana lavorativa di quattro giorni è stata un processo graduale, sostenuto dal costante miglioramento dei processi in tutti i reparti. Questo cambiamento ci ha portato a ottimizzare l’efficienza aziendale, grazie all’introduzione di soluzioni automatizzate. Il numero di collaboratori è comunque cresciuto proporzionalmente al fatturato e continua ad aumentare.

Il risultato? I team si concentrano su attività più stimolanti anziché ripetitive. Ciò riflette l’obiettivo primario della tecnologia a nostra disposizione: liberare risorse umane affinché svolgano attività a maggior valore aggiunto.

Per valutare il successo del nostro esperimento, abbiamo monitorato nel tempo tre KPI distinti.

Il primo KPI è la qualità del servizio. Creative Words si impegna nel rispetto del proprio sistema certificato di gestione della qualità, monitorandone i risultati nel tempo: la preoccupazione principale era mantenere invariato il livello di servizio per i nostri clienti e, anzi, aumentarne la soddisfazione. Oltre ai criteri già in essere rispetto alle metriche ISO, abbiamo aggiunto una domanda al sondaggio annuale che inviamo abitualmente ai nostri clienti: “Quanto ha influenzato l’implementazione della settimana lavorativa di 4 giorni nelle prestazioni del nostro team e nella collaborazione con la vostra azienda?”. La media delle risposte è stata di 1,6 su 10, a indicare un impatto minimo. Un altro KPI sono le ore di straordinari. Dopo l’introduzione del nuovo modello lavorativo nell’ottobre 2022, le ore di straordinario sono calate da 17,9 nelle prime due settimane dall’implementazione, a una media di 4 ore al mese su tutto il team, dimostrando l’efficacia e la sostenibilità dell’iniziativa. L’aspetto più difficile è stato misurare l’ultimo KPI, legato all’impatto della settimana lavorativa di quattro giorni sul benessere del nostro team. Abbiamo condotto tre sondaggi nell’arco di 12 mesi, tutti con 10 domande identiche, uno prima dell’implementazione e gli altri due a 3 e a 9 mesi dall’introduzione della settimana corta. Ecco alcuni principali risultati: stress e vita privata: prima della settimana corta lo stress incideva sulla vita privata dei collaboratori con un punteggio medio di 6/10. Dopo tre mesi, è sceso a 4/10, salendo leggermente dopo 9 mesi (4,8/10), ma mantenendosi comunque inferiore al punteggio iniziale; tempo per le

Creative Words è un’azienda specializzata in localizzazione e gestione dei contenuti con sede a Genova e Milano. Offriamo un’ampia gamma di servizi, tra cui traduzione e localizzazione, transcreation, machine translation e postediting, revisione di terze parti, nonché servizi multimediali e di generazione di contenuti. La passione per l’innovazione ci consente di fornire ai nostri clienti soluzioni all’avanguardia e su misura che fanno la differenza.n

attività lavorative quotidiane: sorprendentemente, già dopo tre mesi dalla nuova organizzazione lavorativa i collaboratori hanno affermato di avere più tempo per svolgere le attività quotidiane; variazione dello stress: nel primo sondaggio abbiamo chiesto previsioni sui cambiamenti nei livelli di stress e i risultati successivi hanno mostrato una riduzione dello stress su più aspetti; preoccupazioni future: inizialmente la maggior parte del personale era preoccupata per il cambio al modello di settimana lavorativa più corta. Tuttavia, nei sondaggi successivi, la maggioranza ha espresso meno (in diversi casi, nessuna) preoccupazioni sulla continuità e il mantenimento di questo modello nel lungo termine. Da quando abbiamo iniziato questo esperimento a ottobre 2022, Creative Words ha fatto grandi passi avanti. I fattori che hanno guidato il cambiamento includono: 1) produttività: l’introduzione della settimana lavorativa ridotta ha rivoluzionato la nostra concezione di produttività, stimolando innovazione e creatività; 2) soddisfazione del cliente: nonostante la riduzione delle ore di lavoro, abbiamo mantenuto un alto livello di servizio, bilanciando lavoro e assistenza continua attraverso la gestione strategica dei progetti; 3) gestione dello stress: l’iniziale scetticismo si è trasformato in un impegno collettivo per bilanciare lavoro e vita privata, conquistando un equilibrio sostenibile; 4) distribuzione del carico di lavoro: abbiamo migliorato i processi e implementato automazioni per lavorare in modo più efficiente, concentrandoci sulla attività più significative e gratificanti.

Risultati a un anno dalla trasformazione: a) soddisfazione dei clienti: i sondaggi mostrano che la transizione è stata fluida, senza alcun impatto sui clienti e sulla loro soddisfazione generale; b) ore di straordinario: il calo delle ore di straordinario indica un carico di lavoro più equilibrato nonostante i 4 giorni lavorativi; c) livelli di stress: la riduzione dello stress personale è in linea con il nostro obiettivo di creare un ambiente di lavoro più sostenibile.

La cultura aziendale si è evoluta verso solidarietà, innovazione e benessere, evidenziando quanto un approccio flessibile, collaborativo e orientato alla crescita individuale sia efficace. Continueremo ad affinare il nostro modo di gestire la settimana corta, anche a livello dei singoli dipartimenti, ma manterremo sicuramente questo modello.

La domanda che invitiamo il lettore a porsi, quindi, è: “Perché non seguire il nostro esempio?” ●

Figure centrali

Il progetto di formazione della Ignazio Messina & C. dedicato al middle management, per valorizzarne il ruolo cruciale in azienda.

Nel tessuto aziendale odierno, il middle management rappresenta una forza silenziosa, spesso sottovalutata ma di importanza cruciale. Questi lavoratori, sovente con un’età media compresa tra i 40 e i 50 anni, si trovano in una posizione di equilibrio tra giovani promettenti in ascesa e il livello superiore maggiormente distaccato dall’operatività e talvolta caratterizzato da una prospettiva di carriera in fase terminale. Tuttavia, questa “zona grigia” dell’organigramma aziendale può presentare sfide e opportunità uniche, come peraltro testimoniato dagli eventi che hanno caratterizzato la storia industriale del nostro paese, a iniziare dalla “marcia dei quarantamila”.

Il middle management, essendo spesso in una fase intermedia della propria carriera, può sentirsi non sufficientemente considerato/valorizzato quando si tratta di programmi di formazione. Spesso, le iniziative di sviluppo professionale sono orientate principalmente ai giovani, secondo la logica del “r.o.i.” (“Return on Investment”, ndr) della formazione, sottovalutando il rischio di obsolescenza delle competenze (anche gestionali) del middle management,

che peraltro rappresenta organizzativamente il vero depositario di uno dei più importanti asset dell’impresa: il knowhow aziendale.

È fondamentale riconoscere il valore intrinseco del middle management. Questi professionisti vantano una preziosa esperienza e competenza che può influenzare in modo significativo le strategie aziendali e servire da mentore per i giovani colleghi. Alcune di queste risorse sono inoltre investite in ruoli di leadership con una preparazione non sempre adeguata a gestire tali responsabilità. Questo perché, quando sono entrati nel mondo del lavoro, oltre 20 anni fa, la formazione delle soft skills e la gestione delle risorse umane non ricevevano l’attenzione che meritavano. Per contro, negli ultimi decenni sono stati fatti decisi passi in avanti sul tema delle soft skills e sulla formazione, finalmente allargata anche a materie trasversali e non solo specificatamente attinenti ai diversi mestieri. Ogni organizzazione si deve progressivamente misurare con un armamentario strumentale e cognitivo non sempre adeguato ad affrontare i nuovi problemi che si pongono. Le organizzazioni sono oggi spinte

di Rodolfo Magosso

a rimettere mano a schemi di impostazione e a modelli relazionali non più adeguati ai bisogni delle nuove generazioni che si affacciano ai mondi del lavoro.

Nel 2023, l’azienda Ignazio Messina & C. Spa ha intrapreso un coraggioso progetto per affrontare queste sfide. Inizialmente pianificato per il 2019, il progetto è stato ritardato a causa degli eventi pandemici. L’obiettivo principale di questa iniziativa era quello di coinvolgere un gruppo di risorse del middle management e proporre loro un percorso che si sviluppasse nel corso dell’anno su diverse tematiche, formative, informative, operative, organizzative, le cui principali aree sono indicate di seguito.

L’attività ha coinvolto una trentina di risorse con ruoli di coordinamento con un’età media di 45-50 anni.

Consapevolezza del ruolo

Uno degli obiettivi principali del programma è aumentare la consapevolezza dei membri del middle management riguardo al proprio ruolo all’interno dell’organizzazione. Con organigrammi aziendali in costante evoluzione per adeguarsi alla trasformazione del lavoro e alle esigenze del mercato, è fondamentale supportare i professionisti nella comprensione delle proprie responsabilità e dei cambiamenti repentini nell’allocazione di responsabilità e coordinamento delle risorse. È necessario un aggiornamento delle proprie responsabilità e dei propri task, gestire altre risorse è un compito che non si improvvisa. Anche la gestione del tempo deve essere rivista e monitorata, può succedere che l’abitudine a risolvere problemi operativi occupi molto tempo trascurando invece i compiti di gestione del nuovo ruolo. Un’attività formativa dovrebbe essere sempre a supporto di questi aggiornamenti organizzativi, ma sappiamo che non sempre accade per colpa dell’incedere frenetico dell’attività corrente. Ed è un errore. Fermarsi un attimo, riflettere, mettere in discussione i propri paradigmi può risultare fondamentale per il singolo e per l’organizzazione. Partecipare a queste attività risulta altresì utile per migliorare le relazioni e le sinergie tra i diversi dipartimenti, riconoscendo l’importanza della collaborazione inter-funzionale.

Crescita personale

Anche il middle management, nonostante si trovi in una fase centrale se non avanzata della carriera, necessita di continui processi di crescita e formazione. Il programma ha compreso momenti di formazione e analisi sulle modalità comportamentali, stimolando il cambiamento ove necessario. Si ritiene che la crescita personale sia un processo in continua evoluzione che richiede impegno e motivazione personale, indipendentemente dall’età. Il concetto di Lifelong Learning è diventato cruciale ai giorni nostri e lo sarà ancor di più nel futuro. La sfida consiste nell’incoraggiare i professionisti di età più avanzata a essere aperti all’apprendimento e al cambiamento comportamentale al fine di migliorare le loro modalità relazionali, di comunicazione e di gestione delle emozioni. La difficoltà di tale cambiamento è esponenziale in quanto una persona, più si sente avanti con gli anni e quindi ormai “fissata” in certi comportamenti o modalità di pensiero, meno sarà disponibile a cambiare. I continui mutamenti del contesto esterno condizionano inevitabilmente la vita personale e professionale. Risulta

fondamentale la capacità di cambiamento e di reazione alle complessità intervenute. Il livello organizzativo coinvolto in questa iniziativa formativa rappresenta per definizione il “nocchiero” (una volta si sarebbe detto “cinghia di trasmissione”) che deve orientare e supportare l’organizzazione e le risorse affidate. Necessita che le persone sviluppino competenze in grado di affrontare sconvolgimenti imprevedibili e di enorme portata che si riflettono anche nella vita aziendale, nella convinzione che in futuro sarà fondamentale la capacità di stare nelle incertezze senza dover cercare, a ogni costo, una continuità.

Aggiornamenti normativi e procedure

Un’attività ha riguardato l’aggiornamento delle normative, dei regolamenti e procedure in continuo sviluppo che riguardano sia norme interne sia direttive/leggi disposte dallo Stato. Conoscere, in modo aggiornato, i diritti e i doveri dei lavoratori è fondamentale per affrontare situazioni complesse e fornire soluzioni ottimali. Tale attività è anche stata utile per far comprendere come anche questi aspetti, ritenuti spesso di dominio esclusivo dell’ufficio Risorse Umane, siano invece una componente importante nella gestione diretta delle risorse affidate.

Gli incontri con il responsabile delle Risorse Umane hanno contribuito a garantire uniformità nell’applicazione delle norme aziendali e delle leggi vigenti, oltre a fornire assistenza pratica nella gestione quotidiana dei collaboratori.

Misurare le performance

Un’ulteriore attività mirata al middle management è stata quella di implementare l’assegnazione di riconoscimenti personalizzati basati sulle performance individuali, includendo non solo risultati quantitativi ma anche valutazioni dei comportamenti qualitativi. Tale processo, oltre a stimolare il miglioramento delle prestazioni, promuove la cultura della valutazione delle performance e permette una migliore relazione tra responsabili e collaboratori. Chi ha raggiunto ruoli di coordinamento deve ora allinearsi con i propri responsabili, ottenendo il supporto e l’attenzione necessari per svolgere il nuovo ruolo in modo efficace. Il ciclo della performance, che prevede incontri regolari con i propri responsabili, favorisce la relazione tra manager e collaboratori, un aspetto fondamentale nella crescita professionale e nello sviluppo delle soft skills.

Conclusioni

Il progetto è stato calorosamente accolto dai partecipanti e ha portato benefici evidenti in diverse situazioni quotidiane all’interno dell’azienda. La decisione di continuare e ampliare il progetto è stata dettata dalla conferma che, riconoscendo il potenziale di crescita e investendo in programmi di formazione mirati, le aziende possono sfruttare appieno le competenze e l’esperienza delle loro risorse più maturate. L’esperienza dell’azienda dimostra chiaramente come il middle management, quando adeguatamente supportato e sviluppato, possa svolgere un ruolo centrale nell’orientare la strategia aziendale e promuovere una cultura d’impresa volta al successo e all’innovazione.●

Rodolfo Magosso è HR manager presso Ignazio Messina & C. Spa

Primi in Italia

PSA Italy chiude il 2023 con oltre 2 milioni di TEUs movimentati e investimenti superiori ai 100 milioni di euro.

Con più di duecento presenze tra stakeholder, attori economici, imprenditori e istituzioni, PSA Italy ha riunito il 5 dicembre scorso i rappresentanti dei due porti più celebri della storia italiana: anticamente rivali, le due “Repubbliche marinare” di Venezia e Genova oggi sono la sede dei tre terminal di PSA Italy, che da soli rappresentano un quarto del traffico container gateway italiano, ovvero delle merci in import e in export.

I risultati di chiusura d’anno sono stati dati a ridosso del brindisi con il presidente Fulvio Lino Di Blasio dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale, la dirigente Laura Ghio per l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale e l’Ammiraglio Piero Pellizzari, “fil rouge” tra le due città portuali, avendo guidato lo scalo veneto in qualità di Direttore Marittimo del Veneto e Comandante della Capitaneria di porto di Venezia, prima della nomina, a fine luglio 2023, quale Direttore Marittimo della Liguria e Comandante del Porto di Genova, e che ha saputo tratteggiare, con profonda e attenta conoscenza di entrambe le realtà, il valore che il Gruppo terminalista ricopre per entrambe le città portuali.

Dopo i saluti dell’assessore al Porto del Comune di Genova Francesco Maresca e del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, intervenuto per ribadire la strategicità del sistema portuale ligure, soprattutto a fronte di un periodo - quello di Natale - segnato storicamente da un aumento

dei consumi e quindi dei traffici, il presidente di PSA Italy Marco Conforti ha dato appuntamento a tutti a maggio 2024, data che segna il trentesimo anniversario del terminal PSA Italy di Genova Pra’.

Il 5 maggio 1994 al terminal di PSA Genova Pra’ venne movimentato il primo container della storia del terminal, dalla nave Dainty River alla banchina; trent’anni di storia marittima e genovese che, insieme ai festeggiamenti per i trent’anni del terminal SECH, celebrati il 31 maggio scorso presso il Museo del Mare di Genova, assumono un significato ancora più profondo a fronte del fatto che ben 120 lavoratori del Gruppo festeggeranno trent’anni di anzianità aziendale nella stessa data.

PSA Italy chiude il 2023 superando i 2 milioni di TEUs: nel dettaglio, PSA Genova Pra’ è prevista registrare una contrazione del 3%, con circa 1.470.000 TEUs movimentati, dato che ne conferma comunque il primato quale principale terminal container gateway italiano.

Performance positiva per PSA Venice - Vecon con un +10%, a fronte di 336.000 TEUs previsti nel 2023 contro i 304.000 del 2022. PSA SECH, infine, prevede di chiudere l’anno con un incremento dei volumi pari al +6% rispetto all’anno precedente, con 247.000 TEUs movimentati.

PSA Italy continua gli investimenti previsti dal piano industriale, nell’ottica di implementare le sinergie sulla base delle caption areas di riferimento: PSA Venice-Vecon ha firmato

PSA Italy opera a Genova e Venezia nei terminal di PSA Genova Prà, PSA SECH e PSA VENICE - Vecon, per un totale di oltre 1.000 persone direttamente impiegate in Italia; PSA Italy è parte di PSA International (PSA), gruppo portuale leader di mercato e partner fidato per gli operatori del trasporto merci. La rete globale PSA opera con oltre 160 sedi in 42 Paesi al mondo, e comprende 66 terminal tra portuali, ferroviari e inland, nonché attività affiliate in distripark, magazzini e servizi marittimi e digitali: nel 2022 PSA international ha chiuso l’anno con un totale di 90milioni di TEUs movimentati nel mondo e oltre 49.000 persone impiegate direttamente.n

a maggio di quest’anno la concessione fino al 2049, con un piano di investimenti già in essere previsto pari a 78 milioni di euro.

PSA Genova Pra’ e PSA Sech - con concessioni rispettivamente fino al 2053 e al 2047 - hanno investito oltre 45 milioni di euro in 22 mesi, a partire da gennaio 2022, per l’implementazione dell’equipment e delle infrastrutture tecno-

logiche e digitali al fine di migliorare le prestazioni richieste dal mercato (OCR, RMG di ferrovia, reach stacker eco electric di ultima generazione, sistemi di gestione digitali, e altro).

Nel 2023-2024, il piano di investimenti contempla principalmente l’acquisto di alcune gru di banchina semiautomatiche per SECH e di piazzale (sia RTG che RMG) e l’esecuzione delle connesse opere civili, in linea con quanto previsto dal piano industriale.

Nel bilancio di fine anno, si è dato ampio spazio anche agli importanti traguardi pubblicati sul report di sostenibilità congiunto delle tre business unit, che sottolinea la ricaduta diretta sui territori per un valore di 107 milioni di euro spesi da PSA Italy in Liguria e Veneto nel 2022; in particolare, i terminal PSA Italy di Genova Pra’ e SECH hanno speso rispettivamente il 65% e il 68% degli approvvigionamenti in Liguria, e PSA Venice l’86% in Veneto.●

Matteo Pelicci, amministratore di Millennium Group, presenta le tante opportunità offerte dalla società per rendere più semplice la vita ad aziende e privati.

Servizio completo

“Un’azienda, tanti servizi”. Questo il claim, esemplarmente riassuntivo, che s’accampa in evidenza al centro della home page del sito di Millennium Group. E, in effetti, oggi il gruppo Millennium è una società di servizi ad ampio spettro, che, come un’operosissima mastrioska, va racchiudendo in sé una sempre più ampia schiera di mondi e attività. Millennium è un’agenzia di telecomunicazioni business e nel settore dell’energia, è broker leader nel comparto del noleggio auto a breve e lungo termine per privati e aziende nonché broker assicurativo, ed è un player di riferimento nell’ambito della logistica e dei trasporti a livello locale e nazionale. Ma non basta. Attiva ormai anche sul piano “creativo”, l’azienda della famiglia Pelicci si occupa di realizzare siti web ed e-commerce, e di “wrappare” - cioè, semplificando, di personalizzare - auto, scooter, veicoli commerciali e barche. Della “galassia Millennium” ci parla Matteo Pelicci, amministratore del Gruppo.

Quali sono natura, obiettivi, contesti commerciali e operativi del Gruppo Millennium? Il nostro Gruppo è composto da quattro società di servizio che operano nell’ambito delle telecomunicazioni, dell’energia, del noleggio auto e dei servizi web. Dal 1998 siamo attivi in Liguria, Piemonte e Lombardia. Attualmente abbiamo una rete capillare di agenti certificati (un’ottantina circa), che ci consente di portare i nostri servizi alle aziende di tutto il nord Italia. Dinamismo, motivazione e professionalità sono

i nostri cavalli di battaglia. Il marchio Millennium è nato nel 1998 da un’iniziativa di mio padre, Stefano Pelicci, che ora guida il ramo relativo all’efficientamento energetico. Mio padre lavora con una trentina di collaboratori, tra dipendenti, consulenti e agenti, in vico San Fortunato, davanti al Terminal Traghetti, in quella che è la nostra sede storica. Sul piano “storico”, appunto, noi siamo stati la prima agenzia di telecomunicazioni del gestore Wind, per il mercato aziendale: eravamo la prima vera alternativa a Telecom Italia, e per anni abbiamo lavorato con profitto, ottenendo molti riconoscimenti e, soprattutto, offrendo vantaggi significativi ai nostri clienti. Dinamici per attitudine, nel corso degli anni abbiamo capito, anche con il mio ingresso in azienda, che era opportuno iniziare a diversificare la nostra sfera d’azione. Eravamo bravi a fare quello che facevamo, le aziende genovesi e liguri si fidavano di noi, e, dunque, ci siamo detti, perché non provare ad ampliare la nostra offerta di servizi? Dapprima abbiamo inserito quelli relativi al risparmio energetico; successivamente abbiamo aperto la parte relativa al web, ovvero il ramo d’azienda che si occupa della creazione di siti ed e-commerce, e della gestione dei social media, sempre per le aziende; sei anni fa, nel 2017, abbiamo quindi iniziato a occuparci di ciò che è diventato presto il nostro core business, ovvero il noleggio auto.

Con quali professionalità? Qual era ed è il profilo aziendale del vostro personale?

La nostra storia parte dall’agenzia di vendita. D’animo noi siamo dei commerciali. Quasi il 70% del nostro personale si occupa di vendita; circa il 30% lavora invece nel backoffice, in amministrazione, nel recruiting, nel marketing. Contrariamente a quanto si tende a pensare, non è affatto facile trovare dei venditori, anche perché in giro c’è una cattiva informazione: la professione del commerciale è articolata, ma è un lavoro che si può imparare tramite un’opportuna formazione, che insegna un metodo e genera competenza di merito. Il bello e l’arduo della vendita è saper capire nel minor tempo possibile qual è l’esigenza del potenziale cliente.

Oggi la vostra attività principale è diventata il noleggio auto. Ci dà qualche ragguaglio in più su questa linea di business?

A Genova e in Liguria ormai siamo l’azienda che offre il servizio più completo ai suoi clienti, sia al cliente-azienda sia al privato. A livello, in particolare, di noleggio a lungo termine, offriamo una vera e propria consulenza, perché siamo broker di nove noleggiatori, circostanza che ci consente di operare in modo simile ai broker assicurativi e di predisporre diversi preventivi, per poi scegliere, d’accordo col cliente, quello che più e meglio corrisponde alle sue esigenze. L’aspetto consulenziale del nostro lavoro è importante, perché il mondo del noleggio a lungo termine è abbastanza complesso, e occorre fare attenzione per non incappare in sgradite sorprese. Oltre a questa attività, che sviluppiamo nella sede in via della Libertà, in via Barabino facciamo noleggio a medio o breve termine, attraverso una flotta di una cinquantina di auto di proprietà, supportando anche i clienti che sono in attesa della consegna della propria. Per completare il nostro pacchetto di servizi, in via Casaregis abbiamo aperto anche un concessionario, che si occupa di ritirare le auto messe a noleggio a lungo termine e di vendere le usate. Sempre nel settore auto, abbiamo creato un’officina di wrapping, che si chiama Wrappando, dove i clienti hanno la possibilità di pellicolare la proprio auto cambiando colore, inserendo scritte o altro: customizziamo l’auto e la rendiamo originale, secondo una tendenza molto in auge in America, e in via d’incremento anche da noi.

Qual è il servizio più richiesto e sul quale ritenete di dover investire ulteriormente?

Il servizio più in crescita è senz’altro quello del noleggio auto. Sia a livello dei privati sia a quello delle aziende. I privati tendono a muoversi sempre di più con mezzi di mobilità alternativa, a disfarsi dell’auto di proprietà e a noleggiarne una soltanto quando gli serve, per delle esigenze puntuali: il week-end, le ferie, un appuntamento di lavoro fuori città. Circa le aziende, direi che la crescita dei volumi di noleggio corrisponde a una sempre maggiore consapevolezza da parte degli imprenditori del fatto che se un asset perde valore nel breve, allora, forse, comprarlo non è sempre utile.

Dinamici come siete, avrete senza dubbio qualche novità nel mirino...

Di recente abbiamo aperto un ramo d’azienda che si chiama Millenium Transport. Si occupa di logistica e trasporti per conto terzi, in città e sul territorio nazionale, compreso

il noleggio dei mezzi. È un servizio dedicato a tutti, ai privati come alle piccole e medie imprese: per esempio, parlando dei nostri rapporti con le imprese, abbiamo iniziato una collaborazione importante con Ikea, alla quale stiamo fornendo due furgoni e quattro dipendenti, che si occupano di trasportare e montare le loro merci. In ultimo, abbiamo aperto anche Millennium Assicurazioni, tramite la quale operiamo a buon pro dei nostri clienti come broker assicurativi ad ampio raggio - ci muoviamo dall’auto alla famiglia, alla persona, agli animali e, come ovvio, alle imprese, per le quali ci interessiamo di questioni che vanno dal TFM al TFR al welfare aziendale. Abbiamo un patrimonio di circa diecimila clienti, che seguiamo e “coccoliamo” con l’ambizione di diventare, in futuro, il loro partner aziendale per tutto ciò che riguarda i servizi.● (M.P.)

Dal concetto di “stipendio” a quello di “sistema retributivo”.

I soldi fanno

felicità?

I soldi fanno la felicità? Quanto lo stipendio incide sulla motivazione e benessere delle persone?

Questa è stata la domanda a cui abbiamo cercato di dare risposta all’incontro che si è tenuto a Chiavari, il 26 ottobre, con gli imprenditori del Gruppo territoriale del Tigullio di Confindustria Genova.

Un sistema retributivo equo e meritocratico è una base importante su cui costruire la motivazione e l’ingaggio delle persone; infatti, secondo il report “Indeed Workplace Happiness”, ben il 26% delle persone lascia il lavoro per motivi economici.

Esiste quindi uno stipendio ideale per essere felici?

Secondo quanto emerso in uno studio condotto dalla Pardue University lo stipendio ideale è di circa 70.000 euro annui lordi per essere soddisfatti e realizzati ma, per il solo benessere emotivo quotidiano, ne sono sufficienti 50.000 euro.

Quindi se un’azienda portasse tutti gli stipendi a 50.000 euro risolverebbe tutti i problemi di ingaggio e motivazione delle persone? La risposta è no perché, in estrema sintesi, i soldi non fanno la felicità! ll paradosso di Easterlin dimostra infatti che dopo aver raggiunto un certo stipendio, la felicità non aumenta, anzi diminuisce; all’aumentare del reddito la felicità umana aumenta fino a un certo punto, ma poi comincia a diminuire, seguendo una curva a forma di parabola con concavità verso il basso.

Cosa possiamo fare quindi in azienda?

Occorre comprendere e prendersi cura di una gamma ben più ampia di bisogni umani, quali il bisogno di stima, di appartenenza, di autorealizzazione e quindi passare dal concetto di “stipendio” a quello di “sistema retributivo”.

Per sistema retributivo si intende infatti l’insieme di riconoscimenti monetari e non monetari con cui possiamo retribuire e premiare le persone.

Tra gli aspetti tangibili annoveriamo la retribuzione fissa (composta da paga base e superminimo individuale), quella variabile (ovvero l’insieme di premi, una tantum, MBO ecc. che varia in base alle prestazioni individuali e/o ai risultati economici aziendali), i benefit quali auto, la mensa aziendale e/o i buoni pasto, le assicurazioni ecc.

Tra gli aspetti intangibili ricordiamo invece il clima aziendale, la reputazione dell’azienda e/o del suo brand, le politiche di conciliazione tra vita lavorativa e privata, ma anche i piani di carriera e la formazione. Spesso tendiamo a sottovalutare questi elementi che invece possono rivelarsi determinanti nell’attrarre, trattenere e motivare le persone.

Un clima aziendale collaborativo e socievole può, infatti, favorire il senso di appartenenza, la collaborazione e quindi l’apprendimento. La formazione può essere invece una leva molto importante per rispondere ai bisogni di realizzazione e crescita delle persone e oggi, attraverso bandi e fondi interprofessionali, può essere anche finanziata.

Attenzione, però: un sistema retributivo per generare motivazione e ingaggio deve essere chiaro, comunicato e soprattutto equo e meritocratico.

Nulla è più demotivante della diseguaglianza di trattamento (vera o percepita che sia), della confusione e dell’incoerenza tra il “dire” e il “fare”.

Nel corso della mia carriera da HR manager ho affrontato spesso discussioni del tipo “in quindici anni che lavoro qui non ho mai avuto un aumento mentre Mario Rossi che è entrato da poco ha già la macchina aziendale” (e ovviamente poco importa se Mario Rossi è il responsabile commerciale).

Piuttosto che “faccio lo stesso lavoro della mia collega ma lei è settimo livello e io ancora quinto”.

Le persone si ritengono soddisfatte della propria retribuzione se questa è adeguata rispetto all’impegno e alla prestazione erogata e se è equa rispetto a quella dei propri colleghi.

Cosa si intende per equità dunque?

Nella progettazione di un sistema retributivo equo e meritocratico occorre tenere presente due dimensioni: la prima è l’equità interna, ovvero: a parità di posizione aziendale ricoperta, il sistema retributivo deve essere il medesimo o deve poter essere paragonabile. Per esempio, se in azienda ho cinque contabili con pari responsabilità, la loro retribuzione e livelli devono essere allineati. L’equità interna in questa fase considera le posizioni aziendali e non le singole persone che le occupano: la seconda dimensione è l’equità esterna: a parità di posizione, il sistema retributivo deve essere il medesimo o deve poter essere paragonabile al mercato esterno di riferimento. Per esempio, la retribuzione complessiva di un responsabile commerciale del settore industriale deve essere paragonabile a quella degli altri responsabili commerciali del proprio comparto (con analogo fatturato generato). L’equità va poi a braccetto con la meritocrazia. Le differenze di merito, capacità, prestazione vanno valorizzate e premiate. Lo strumento più efficace per valorizzare tali differenze è la retribuzione variabile che può essere legata appunto ai meriti individuali delle singole persone.

Per iniziare a progettare un sistema retributivo equo e meritocratico in azienda, abbiamo condiviso con gli imprenditori del Gruppo territoriale del Tigullio di Confindustria Genova le seguenti suggestioni: 1. Fotografare la situazione attuale: esiste una mappatura delle posizioni aziendali? È possibile tracciare regole comuni per posizioni simili? 2. Premiare i collaboratori: esistono regole chiare e ben comunicate? Con quali criteri vengono premiate le persone? Queste regole sono coerenti con i valori aziendali e vengono effettivamente rispettate? 3. Il mercato: quanto il mercato paga mediamente per ruoli analoghi? 4. La retribuzione è fatta anche di asset intangibili: conosci quelli della tua azienda? È possibile valorizzarli?

Gli incontri che stimolano la riflessione e il confronto sono alleati preziosi del proprio business; tuttavia, è bene ricordare che nessuno conosce la formula standard del successo; la via più efficace resta quella di ascoltare e capire i bisogni delle proprie persone, che sono unici così come le nostre singole aziende.●

Plastica sostenibile

Intervista ad Antonio Mazzucco, direttore responsabile del Centro Ricerche Giulio Natta di Ferrara di LyondellBasell.

Antonio Mazzucco

Sessant’anni fa, nel 1963, l’imperiese Giulio Natta riceveva il premio Nobel per la Chimica per le ricerche sui polimeri che lo avevano portato, negli anni ‘50, all’invenzione del polipropilene. Quest’anno, la duplice ricorrenza del sessantesimo dal Nobel e del centoventesimo dalla nascita di uno dei padri nobili della plastica ha offerto al Festival della Scienza l’occasione per raccontarne storia e prospettive future in “Plastica sostenibile. La plastica che nasce dalla plastica”, il 30 ottobre scorso a Palazzo Ducale. Si è trattato di un incontro a più voci nel quale alcuni autorevoli operatori e ricercatori di settore - Giorgio Cevasco, Diana D’Isanto, Silvano Fuso, Antonio Mazzucco, Vincenzo Rialdi (Presidente della Sezione Chimica, Stampa e Materiali di Confindustria Genova) e Paola Stagnaro - hanno discusso, dati e contenuti “alla mano”, sulla realtà di oggi e sull’impegno dell’industria della plastica per un futuro sostenibile. Questo prezioso materiale, nato in Italia e diventato indispensabile per migliorare la qualità di vita nel mondo, oggi rappresenta di fatto una nuova risorsa, rigenerabile e utilizzabile per la produzione di nuova plastica, in sostituzione della materia prima fossile, nell’ottica dell’economia circolare.

Focus della tavola rotonda, che si è tenuta al cospetto di un numeroso pubblico di studenti liceali e non solo, sono stati il valore della plastica, la gestione del suo fine vita, l’economia circolare, il ruolo delle tecnologie e dei diversi tipi di riciclo, meccanico e avanzato, e, in considerazione della cornice divulgativa nella quale l’iniziativa si inseriva, il ruolo che ciascuno di noi è chiamato a svolgere nel contesto virtuoso di una cultura della sostenibilità.

In margine all’evento, organizzato dall’Associazione Festival della Scienza in collaborazione con LyondellBasell e CNRScitec, abbiamo incontrato Antonio Mazzucco, direttore responsabile del Centro Ricerche Giulio Natta di Ferrara di LyondellBasell. Gli abbiamo chiesto di raccontare qualcosa della sua azienda, “erede” della scuola di Natta e oggi leader mondiale delle poliolefine, e del suo impegno per un futuro sostenibile.

Ing. Mazzucco, di cosa si occupa LyondellBasell Italia? LyondellBasell è un’azienda leader nell’industria chimica globale, nelle tecnologie di poliolefine e uno dei maggiori produttori di polimeri; l’azienda è impegnata in prima linea nella creazione di un’economia circolare e a basse emissioni di carbonio attraverso lo sviluppo di nuove tecnologie e investimenti mirati. I nostri prodotti innovativi e di alta qualità sono utilizzati per numerose applicazioni e in diversi settori, dalla mobilità sostenibile alla sicurezza alimentare, dall’acqua pulita al settore medicale. In Italia siamo presenti in diverse sedi, tra cui Ferrara, dove - oltre alla produzione di polimeri e catalizzatori - risiede anche il Centro Ricerche Giulio Natta riconosciuto come un esempio di eccellenza nel panorama industriale globale per lo studio sulle poliolefine, per le innumerevoli scoperte e invenzioni che ha saputo ideare e industrializzare a partire dal quella del polipropilene di Giulio Natta. Attualmente nel sito ci sono circa 950 dipendenti, di cui oltre 400 lavorano nella ricerca occupandosi di poliolefine, tecnologie e catalizzatori e, da diversi anni, anche di riciclo meccanico e di riciclo avanzato (chimico).

Le plastiche sono ritenute responsabili di diversi problemi ambientali: ma è proprio così? Cosa significa plastica sostenibile?

Le materie plastiche sono essenziali per fornire soluzioni alle sfide di domani. In quanto materiali leggeri, igienici e durevoli, svolgono un ruolo fondamentale nei prodotti utilizzati ogni giorno in tutto il mondo. La plastica è di per sé sostenibile. Si possono fare tantissimi esempi che lo dimostrano. È sostenibile in quanto ci permette di conservare il cibo più a lungo, di portare l’acqua potabile in tutte le case, di avere delle autovetture più leggere, quindi con meno emissioni di CO2 . È sostenibile perché ci aiuta nelle applicazioni medicali, in termini di risparmio energetico e sicurezza, riducendo l’impatto ambientale. La sostenibilità è quindi parte integrante della plastica. Il problema reale è il suo fine vita, l’utilizzo che della plastica facciamo dopo averla utilizzata, e la circolarità si rivela fondamentale nel contribuire a eliminare i rifiuti di plastica dall’ambiente. Tutti siamo coinvolti in questo processo: consumatori, industria, governi con idonee legislazioni. Il processo di sviluppo dell’economia circolare passa per il coinvolgimento di tutta la catena: ognuno di noi è protagonista del futuro del pianeta.

Fra le sue eccellenze, LyondellBasell ha quella d’essere all’avanguardia nella cultura e nella buona pratica del riciclo della plastica. L’avvio con successo dell’impianto pilota del MoReTec rappresenta una tappa molto significativa dell’impegno aziendale per la sostenibilità. Ma cos’è, il MoReTec?

Per affrontare il problema dei rifiuti di plastica nell’ambiente, a partire dal 2017, l’azienda ha iniziato a concentrarsi sul riciclo avanzato come soluzione complementare al riciclo meccanico, in quanto in grado di gestire le plastiche difficili da riciclare che, diversamente, finirebbero nell’inceneritore o in discarica. Negli ultimi anni l’azienda ha così sviluppato una tecnologia proprietaria denominata MoReTec, che utilizza un catalizzatore per facilitare la pirolisi dei rifiuti plastici. Questa tecnologia permette di convertire i rifiuti plastici post-consumo in olio di pirolisi e gas di pirolisi da utilizzare nei cracker come materia prima per la produzione di nuovi polimeri. Il vantaggio della tecnologia MoReTec, ciò che la differenzia, è la combinazione di scala con un’efficienza energetica all’avanguardia e con una minore impronta ambientale rispetto ad altre tecnologie di riciclo avanzato. La tecnologia di riciclo MoReTec è stata sviluppata presso il Centro Ricerche Giulio Natta di Ferrara, insieme agli altri Centri Ricerche di Francoforte, Cincinnati e Houston. L’avvio dell’impianto pilota a Ferrara nel 2020 e la sua espansione nel 2021 sono stati importanti traguardi per sviluppare questa tecnologia, migliorarne l’efficienza e ottenere i dati per la progettazione dell’impianto industriale. Un successo confermato dalla recente decisione di LYB di procedere con la costruzione di un impianto di riciclo avanzato su scala commerciale, operativo a partire dal 2026 a Wesseling, in Germania. Il nostro obiettivo è quello di produrre e commercializzare almeno 2 milioni di tonnellate (MMT) di polimeri da fonti riciclate o rinnovabili ogni anno entro il 2030. Dal 2019 l’azienda ha prodotto e commercializzato oltre 200.000 tonnellate di questi polimeri.●

A misura DI BEBÈ

Riforma delle politiche familiari: come gestire congedi e permessi con le nuove regole.

A dare una spinta iniziale alla riforma delle politiche familiari avvenute in Italia nel corso degli ultimi anni sono stati il Parlamento e il Consiglio Europeo con la direttiva (UE) 2019/1158. Il provvedimento ha stabilito le prescrizioni minime per il conseguimento della parità tra uomini e donne in ambito lavorativo, agevolando la conciliazione tra lavoro e vita familiare per genitori e/o prestatori di assistenza al fine di conseguire la condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e la parità di genere in ambito lavorativo e familiare.

Il 15 novembre scorso, il Club Previdenza, con la collaborazione della sede provinciale INPS di Genova, ha analizzato le novità introdotte dal decreto legislativo n. 105 del 30 giugno 2022. Durante l’incontro si è ribadito che il citato decreto, in vigore dal 13 agosto 2022, ha modificato e integrato in modo particolarmente incisivo il decreto legislativo n. 151 del 2001 (c.d. T.U. sulla maternità e paternità), interessando principalmente i seguenti istituti: congedi parentali, congedo di paternità obbligatorio, riposi e permessi per figli con handicap grave.

Considerato che i congedi parentali sono il principale strumento utilizzato dai neogenitori per far fronte agli impegni di accudimento dei figli, è stata evidenziata l’estensione della durata di tale misura, indennizzata al 30% dell’imponibile retributivo, da 6 a 9 mesi. Il decreto legislativo n. 105/2022, ai fini degli effetti della fruizione del congedo, ha inoltre

equiparato il congedo parentale al congedo di maternità obbligatorio, stabilendo che i periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio e non comportano riduzione di ferie, riposi e tredicesima mensilità (restano ovviamente esclusi gli emolumenti accessori connessi all’effettiva presenza in servizio, salva diversa previsione da parte della contrattazione collettiva).

La retribuzione media globale giornaliera su cui parametrare il calcolo dell’indennità del congedo parentale è quella utilizzata per il calcolo dell’indennità del congedo di maternità (art 23 T.U.) comprensiva, quindi, del rateo giornaliero relativo alla tredicesima mensilità e degli altri premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati. Ma non solo. È stato altresì aumentato l’arco temporale in cui è possibile fruire del congedo parentale indennizzato, portandolo dai 6 anni di vita del figlio agli attuali 12 anni. Anche gli ulteriori periodi di congedo parentale del genitore con un reddito individuale inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’INPS sono a oggi fruibili entro i 12 anni di vita del figlio e non più solo entro gli 8 anni. In caso di adozione o affidamento e anche in caso di collocamento temporaneo in famiglia del minore, l’Istituto ha ricordato che la decorrenza dei 12 anni parte dalla data di ingresso in famiglia del bambino e non oltre il compimento dei suoi 18 anni. Inoltre, nell’ottica di introdurre modalità flessibili nella ge-

di Francesca Scimone

stione dei congedi parentali, è stato riconosciuto a ciascun genitore, da esercitarsi in alternativa con l’altro, il diritto a un periodo di congedo della durata complessiva di 3 mesi che si aggiunge ai 3 mesi di congedo indennizzato per ciascun genitore non trasferibili all’altro genitore; la precedente normativa prevedeva un limite di coppia di massimo 6 mesi di congedo indennizzabile. Anche per il c.d. “genitore solo” - per morte o grave infermità dell’altro genitore o per affidamento esclusivo ex art. 337-quater c.c. - i mesi sono passati da 10 a 11, continuativi o frazionati, con la possibilità di usufruire del congedo parentale indennizzato fino ai 12 anni di età del bambino.

L’Istituto ha altresì precisato che per utilizzare il periodo di congedo parentale trasferibile di 3 mesi non è necessario che i genitori abbiano già fruito dei rispettivi periodi di congedo parentale non trasferibili In relazione alle modalità di fruizione, tra un periodo e l’altro di congedo parentale è necessaria l’effettiva ripresa dell’attività lavorativa affinché non vengano computati a titolo di congedo parentale i giorni festivi, i sabati (in caso di settimana corta) e le domeniche; ha richiamato al riguardo i messaggi INPS operativi n. 19772/2011 e n. 28379/2006. Durante l’incontro si sono anche affrontante determinate casistiche: nel caso, ad esempio, della malattia del genitore, che si verifichi durante il congedo parentale, i periodi di malattia indennizzati o indennizzabili devono essere consi-

derati neutri ai fini del complessivo periodo di congedo parentale spettante. Terminata la malattia la fruizione del congedo parentale riprende, salvo diverse comunicazioni del genitore interessato. È stato altresì ricordato che il congedo parentale, finalizzato alla cura del bambino, non può essere utilizzato per intraprendere una nuova attività lavorativa. Di conseguenza, se il genitore inizia una nuova attività lavorativa durante la fruizione del congedo l’Istituto dovrà procedere a respingere la domanda e attivare il relativo recupero dell’indennità. Se, invece, il genitore è titolare di più rapporti di lavoro a tempo parziale (orizzontale) antecedentemente alla richiesta, ed esercita il diritto relativamente a uno dei rapporti di lavoro, proseguendo l’attività nell’altro o negli altri rapporti, il congedo parentale può essere concesso poiché si limiti a proseguire l’attività o le attività già in essere al momento della richiesta di congedo.

Sulla fruizione in modalità oraria, richiamate le regole ormai note sul suo utilizzo, l’Istituto ha ricordato la sua incumulabilità con il congedo parentale eventualmente richiesto per altro figlio e con i riposi orari c.d. per allattamento, anche se richiesti per bambini differenti. L’incumulabilità riguarda altresì i riposi orari giornalieri di cui al combinato disposto degli artt. 33, comma 2, e 42 comma 1 del T.U., previsti per i figli disabili gravi in alternativa al prolungamento del congedo parentale (art. 33 co. 1 T.U.), anche se richiesti per bambini differenti. Il padre lavoratore dipendente non ha inoltre diritto a fruire dei riposi per allattamento per lo stesso bambino nello stesso periodo in cui la madre fruisce del congedo maternità/parentale (circolare INPS 8/2003).

Sulla cumulabilità l’Istituto ha chiarito che, durante il congedo parentale del padre, la madre ha diritto ai riposi per allattamento; viceversa, il padre lavoratore dipendente ha diritto a fruire dei riposi per allattamento - nel caso di parto plurimo anche delle ore aggiuntive - nello stesso periodo in cui la madre fruisce del congedo di maternità e/o parentale per altro figlio. Stesso discorso per il padre lavoratore dipendente che fruisce dei riposi giornalieri durante la percezione di indennità di maternità della madre lavoratrice autonoma (circolare INPS n. 140/2019).

Il decreto legislativo n. 105/2022 ha inoltre reso strutturale il congedo di paternità obbligatorio (art. 27bis T.U.) per la durata di 10 giorni (20 in caso di parto plurimo) da fruire da due mesi prima a cinque mesi dopo il parto, con riconoscimento di un trattamento indennitario a carico dell’INPS pari al 100% della retribuzione. La norma prevede che, per l’esercizio del diritto, il padre debba comunicare in forma scritta al datore di lavoro i giorni in cui intende fruire del congedo, con un anticipo non minore di cinque giorni. In relazione ai permessi c.d. per allattamento (artt. 39-45 T.U.) la disciplina è rimasta la stessa; possono essere fruiti entro il primo anno di vita del figlio, della durata di 2 ore in caso di orario giornaliero pari o superiore alle 6 ore o di 1 un’ora, in caso di orario inferiore alle 6 ore, con trattamento indennitario a carico dell’INPS. Per i figli disabili la fruizione di tali permessi è consentita fino ai 3 anni del bambino. Anche i permessi per malattia del figlio (artt. 47-51 T.U.) sono stati mantenuti senza limiti fini al terzo anno di vita del bambino e fruibili in misura massima pari a 5 giorni/anno dai 3 agli 8 anni di vita del figlio.●

A che siamo? punto

Al convegno di apertura della XXII Settimana della Cultura d’Impresa di Confindustria è stata presentata l’indagine di Havas Pr e Havas Media Network su sostenibilità e ESG in Italia.

Lo scorso 15 novembre Confindustria ha presentato una ricerca sullo stato dell’arte della sostenibilità in Italia, che fornisce un’analisi quantitativa del sentiment dei consumatori nei confronti della sostenibilità a 360º e sulla valutazione della maturità delle aziende italiane nell’integrazione di tali temi nelle rispettive realtà. Tra ottobre e novembre scorsi l’indagine, condotta da Havas Pr e Havas Media Network, ha coinvolto un campione di 500 rispondenti rappresentativi della popolazione italiana e 16 imprenditori del panorama industriale italiano.

Lo studio è stato illustrato in occasione dell’evento principale della XXII Settimana della Cultura d’Impresa di Confindustria, “Industria 5.0: il futuro è qui. Consapevolezza e sviluppo sostenibile, organizzato al MAXXI di Roma. La giornata, attraverso gli interventi di illustri relatori, ha dedicato particolare attenzione alla riflessione e alla condivisione di esperienze sui temi chiave della sostenibilità e della responsabilità economica, ambientale e sociale nelle varie declinazioni e in diversi settori.

Dall’indagine quantitativa sui consumatori è emerso che gli italiani continuano a prediligere prodotti di alta qualità, ma il prezzo resta un determinante critico: il 92% considera la qualità e l’89% il costo come i principali fattori di acquisto. La sostenibilità, focalizzata su aspetti ambientali e sociali, è rilevante per l’80% degli intervistati, con particolare attenzione da parte di donne e individui tra i 55 e 64 anni. La presenza di figli accentua l’interesse per qualità, origine e sostenibilità della filiera. Nonostante gli atteggiamenti positivi dichiarati, solo il 28% degli italiani si dichiara “molto attento” alla sostenibilità, mentre il 52% si dichiara “abbastanza attento” al tema - associandolo principalmente al riciclo e alla raccolta differenziata; 1 su 5 (20%) si dichiara indifferente o considera la sostenibilità non rilevante. Il 60% degli intervistati dichiara di non conoscere l’acronimo ESG. Mentre la responsabilità individuale è legata all’ambiente e al riciclo, le aziende sostenibili sono giudicate sia per temi ambientali che sociali. Il 46% degli intervistati considera la tutela dei lavoratori come il principale criterio per un’azienda sostenibile, seguito dal rispetto delle pari opportunità (41%). I giovani si informano e scelgono marchi sostenibili, mentre il 57% degli italiani è disposto a optare per prodotti sostenibili senza impatti sul portafogli, scendendo al 50% nella fascia 45-54 anni.

Per il settore privato, emerge l’importanza della comunicazione trasparente ed efficace. I consumatori, infatti, si informano principalmente attraverso canali diversificati, con il sito ufficiale dell’azienda al primo posto (45%). La comunicazione diventa anche uno strumento di employer branding, con una distribuzione equa tra i generi, le età e le diverse provenienze dei consumatori.

Dall’indagine qualitativa realizzata attraverso interviste agli imprenditori è emerso che le imprese italiane integrano la sostenibilità sin dalla fondazione e la considerano una soluzione a lungo termine. Le imprese stanno evolvendo da un approccio “conforme alle normative” a un approccio che utilizza la sostenibilità per differenziarsi sul mercato. La soddisfazione dei dipendenti è prioritaria, con attenzione crescente all’inclusione ed equità. Il welfare, le competenze e il rapporto con le scuole sono temi rilevanti. L’innovazione tecnologica è fondamentale per la transizione green, con

un focus sull’economia circolare e l’integrazione dell’Intelligenza Artificiale. La governance della sostenibilità e il passaggio generazionale sono sfide, con solo il 25% delle PMI che ha una figura dedicata alla sostenibilità.

La collaborazione tra filiere è un elemento chiave. Le imprese investono nella formazione ESG per supportare le filiere più piccole. Il Made in Italy, con i suoi tratti distintivi di qualità, creatività e relazioni umane, offre un vantaggio unico. Le priorità di investimento denotano un chiaro focus verso un approccio integrato alla sostenibilità: digitale, green e capitale umano-formazione ESG.

Le imprese intervistate esprimono la necessità di rivedere le politiche industriali - nazionali ed europee - in ottica di integrazione dei tre aspetti della sostenibilità E-S-G, per puntare sul made in Italy come leva efficace per valorizzare il nostro Paese sui mercati di tutto il mondo, generando ricchezza e sviluppo nel lungo periodo. Lo studio completo è disponibile sul sito www.confindustria.it.●

Per supportare le imprese nell’adempimento delle nuove regole sul whistleblowing contenute nel D. Lgs. n. 24/ 2023, che impongono un canale di segnalazione interna per le aziende con minimo 50 dipendenti o anche con meno di 50 dipendenti se dotate di un modello di organizzazione e gestione ai sensi del D.lgs. 231/01, Ausind Srl, la società di servizi di Confindustria Genova, ha istituito il servizio Whistleblowing4You, che consente alle imprese di dotarsi di una piattaforma in cloud per le segnalazioni di illeciti e violazioni e avviare la formazione mirata ai segnalanti e ai gestore delle segnalazioni. La piattaforma è strutturata sulla base della disciplina del D. Lgs. e delle linee guida fissate da ANAC e condivise da Confindustria; il sistema è reso disponibile in modalità cloud (con tutte le caratteristiche standard di sicurezza), con servizi erogati tramite il provider Amazon AWS (1), in particolare: servizi di cloud per ospitare l’applicativo con funzionalità e dimensionamenti operati secondo i criteri architetturali e operativi definiti e servizi di gestione dell’applicativo. Whistleblowing4You offre anche due corsi in modalità e-learning (su piattaforma web.ausindfad.it): un corso “generale”, rivolto alla popolazione aziendale/ segnalanti e un corso “specifico” destinato ai gestori delle segnalazioni. Il corso “generale” affronta temi quali: quadro e ambito normativo, contenuti della segnalazione, canali di invio, destinatari della segnalazione, le rappresentanze sindacali, tutele e oneri del segnalante; il corso “specifico” approfondisce alcuni dei temi oggetto del corso “generale” oltre a trattare gli aspetti di procedibilità e ammissibilità della segnalazione, le piattaforme informatiche, la retribuzione dei destinatari delle segnalazioni, l’adeguamento del Modello Organizzativo, la segnalazione anonima vs. riservata e casi di rivelazione dell’identità del segnalante.n info: www.ausind.it

Oltre 100 grandi banche europee non si sono ancora conformate alle indicazioni della BCE sulla gestione del rischio climatico.

Tempo scaduto

“La Vigilanza bancaria stringe la sua morsa sul tema del rischio climatico. Ed è pronta a usare il pugno di ferro, imponendo anche multe agli istituti che non rispetteranno i requisiti. Il braccio ispettivo della Banca Centrale Europa ha avvertito circa 20 istituti di credito con una serie di lettere in cui dà notizia dell’arrivo di multe, a meno che gli istituti non affrontino le carenze nella gestione del rischio climatico”. Così si apre l’articolo de Il Sole 24 Ore del 23 novembre 2023, dal titolo: “La BCE stringe sul rischio climatico: faro della Vigilanza su 20 istituti”. La BCE usa quindi il bastone; passa dalla “persuasione morale” (principi, linee guida e aspettative) alle sanzioni. Si parla di multe che potrebbero ammontare a oltre un milione di euro al giorno per le banche in ritardo rispetto agli adeguamenti richiesti dal regolatore. In effetti, con il marzo di quest’anno è giunto a scadenza un primo termine concesso alle banche per conformarsi alle indicazioni fornite dalla BCE. Una scadenza che non è stata pienamente rispettata da un non trascurabile numero di banche. Le penalità riguardano le 109 banche europee di maggiori dimensioni, sottoposte alla vigilanza della BCE, ma occorre tenere presente che i comportamenti di Banca d’Italia, che vigila sulle nostre banche più piccole, solitamente si allineano a quelli dell’Authority europea.

I provvedimenti di cui si discute si inscrivono in un quadro generale che vede il supervisore europeo lavorare intensamente per integrare nel quadro regolatorio i rischi ESG, in particolare quello climatico-ambientale. Al momento non è prevista l’inclusione di tali rischi nel cosiddetto “primo

pilastro”, cioè nel calcolo del coefficiente minimo patrimoniale (il “famoso” 8% di Basilea). Alle banche cioè non si richiede di detenere una determinata quantità minima di capitale proprio a fronte del rischio ESG, mentre il requisito vale invece per i rischi di credito, di mercato, operativo. Sono invece già interessati sia il secondo sia il terzo pilastro della vigilanza prudenziale. Quest’ultimo riguarda l’informativa obbligatoria al mercato rilasciata dalle banche, nel segno della trasparenza (disclosure) e al fine di attivare la valutazione e il controllo del mercato (la “disciplina di mercato”). Ad esempio, le banche devono comunicare, tra gi altri, il dato relativo al loro “green asset ratio” (GAR), cioè il rapporto tra prestiti green e totale delle esposizioni. Ancora più importante, nel complessivo disegno regolatorio, è il secondo pilastro, cioè l’attività di vigilanza esercitata dall’autorità di settore per tutelare la “sana e prudente gestione”: la valutazione del modello di business e delle strategie delle banche, dei loro assetti organizzativi e in particolare dei sistemi di gestione dei rischi e dei sistemi di controllo interno, dell’entità dei rischi affrontati, dell’adeguatezza del capitale e della liquidità rispetto al complesso di tali rischi. Qui l’analisi non è solo numerica (il rispetto del ratio patrimoniale di primo pilastro), ma anche qualitativa e verte non solo sui dati di bilancio, ma soprattutto sugli assetti strategico-organizzativi. Inoltre, essa non riguarda solo i rischi di credito, mercato, operativi, ma tutti i rischi, inclusi appunto quello ESG e quello climatico-ambientale. Nel disegnare il proprio sistema organizzativo, e in particolare i processi di governance, gestione e controllo del

di Marco Di Antonio

rischio, le banche devono attenersi alle indicazioni (aspettative) dell’autorità di settore. Il documento “Guida sui rischi climatici e ambientali. Aspettative di vigilanza in materia di gestione dei rischi e informativa”, del novembre 2020, che riporta le aspettative della BCE relativamente alla gestione dei rischi climatico-ambientali, interessa in pratica tutte le aree della gestione bancaria. Schematicamente: i modelli imprenditoriali e la strategia aziendale (aspettative 1 e 2); la governance e la propensione al rischio: organo di amministrazione, propensione al rischio, struttura organizzativa, reportistica (aspettative 3, 4, 5, 6); il sistema di gestione dei rischi: gestione del rischio di credito, del rischio operativo, del rischio di mercato, del rischio di liquidità, analisi di scenario e prove di stress (aspettative 7, 8, 9, 10, 11, 12); l’informativa regolamentare: integrazione di informazioni di carattere non finanziario e delle metriche fondamentali sui rischi climatico-ambientali ritenute rilevanti (aspettativa 13).

Le analisi condotte dalla BCE nel 2021 e nel 2022 sullo stato di implementazione delle raccomandazioni del supervisore (Thematic Review) hanno fornito risultati in chiaroscuro. Accanto a molte best practice, sono state rilevate anche aree di criticità, in cui l’adeguamento alle aspettative della BCE avviene più a rilento. Ad esempio: l’uso delle analisi di scenario per la formulazione della strategia, la presenza del rischio climatico ambientale nei report al CdA, i sistemi di mappatura dei dati necessari e di identificazione delle modalità di loro reperimento nel caso di gap informativi, e altro ancora.

Infine, si può meglio comprendere l’intervento disciplinare della BCE, nonché prevedere i futuri sviluppi dell’azione del supervisore, inscrivendoli all’interno dell’Action Plan on Sustainable Finance della Commissione Europea del marzo 2018. L’obiettivo di tale Piano è quello di usare il sistema finanziario e quello bancario come leve fondamentali per il finanziamento della riconversione energetica e climatica del tessuto industriale europeo.

Si stima infatti che per l’Europa diventare un’economia low carbon e raggiungere la neutralità climatica verso il 2050 comporti costi pari a circa 180 miliardi di euro all’anno, che evidentemente non possono essere sostenuti dalle sole finanze pubbliche.

In conclusione, è facile prevedere come tutto quanto detto significhi che: a) le autorità di settore (EBA, BCE, Banca d’Italia) intensificheranno il loro pressing sulle banche; b) queste modificheranno tanto i propri orientamenti strategici quanto le politiche e i prodotti, nel senso di una crescente attenzione alle tematiche ESG; c) ciò a sua volta porterà a profondi cambiamenti nel rapporto banca-impresa e nei criteri di concessione e di monitoraggio del credito; d) l’impulso descritto si trasmetterà alle imprese richiedenti o destinatarie dei finanziamenti bancari, che per ottenere il credito dovranno mettere in atto comportanti virtuosi sotto i profili climatico-ambientali, sociali e di governance.

La rotta è tracciata, gli strumenti di navigazione sono in fase di preparazione...●

Marco Di Antonio è Professore Ordinario presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Genova

Villa CARLI

Nel libro curaro da Enzo Ferrari con la prefazione della presidente di Confindustria Imperia Barbara Amerio, la storia della prestigiosa “casa” degli industriali della provincia.

di Fabrizio Pepino
Barbara Amerio

È stato presentato lo scorso 30 novembre presso la Sala Congressi di Confindustria Imperia, il libro curato da Enzo Ferrari “Villa Carli. Una finestra sul futuro della provincia” (Confindustria Imperia, 2023). La monografia, nel raccontare le vicende legate alla sede dell’associazione degli industriali imperiesi, ripercorre la sua storia anche attraverso le aziende che ne hanno fatto parte, dalle origini fino ai giorni nostri. Il volume raccoglie i nomi delle persone che ne sono state protagoniste, inserendole nel contesto storico attraversato nell’ultimo secolo, ricordando i principali fatti accaduti e l’opera svolta dagli imprenditori che si sono alternati nei decenni alla guida di Confindustria Imperia, associazione di categoria che oggi conta oltre 230 imprese aderenti per un totale di quasi 6.300 dipendenti.

“La pubblicazione che ha realizzato Enzo Ferrari ripercorre, attraverso documenti e ricordi, la storia di Villa Carli - scrive nella prefazione la presidente di Confindustria Imperia Barbara Amerio -. Un racconto legato indissolubilmente alle persone che si sono avvicendate con grande spirito associativo alla sua guida, nonché ai vari funzionari e impiegati della struttura che si sono alternati nei decenni. Grazie alla loro abilità e lungimiranza, l’immobile è arrivato fino a noi come patrimonio in eredità, mantenendo la sua identità e permettendo a tutti noi di poterne usufruire. È giusto mantenere la memoria e raccontarne la storia attraverso una carrellata di ricordi che fanno parte dello sviluppo imprenditoriale della nostra provincia. Scorrendo i nomi illustri del passato e quelli dei più recenti presidenti, leggiamo la più viva testimonianza degli eventi e il grande impegno personale profuso fino a oggi”.

La sezione provinciale di Confindustria a partire dal 1925 aveva sede nel Palazzo del Consiglio Provinciale, l’ex Grand Hotel Riviera Palace. La decisione di trovare una nuova collocazione, “più consona ai nuovi sviluppi, in grado di offrire i migliori servizi e soprattutto più a ridosso delle recenti realizzazioni urbanistiche cittadine” risale al 1934. La nuova sede viene individuata in via Dante Alighieri 18, un tempo denominata via Genova e ora viale Matteotti 32. “Parlare di questa palazzina - scrive l’autore - ci torna utile per raccontare da un lato quello che ha rappresentato e tuttora rappresenta, per la città e la provincia, l’Unione degli Industriali e, da un punto di vista meramente urbanistico, si presta altresì a evidenziare lo stato di salute di tale tipologia di architettura d’inizio Novecento, sopravvissuta, come tante altre ville e palazzine, all’inurbamento successivo al

secondo dopoguerra, che ha visto innalzare palazzi pubblici e soprattutto privati perlomeno sproporzionati alle caratteristiche morfologiche del territorio. La struttura, situata lungo la trafficata Via Matteotti di Imperia, ha ospitato, per riunioni, assemblee, stipule di accordi, centinaia di imprenditori, professionisti, amministratori pubblici, politici, rappresentanti sindacali. Ha visto, o meglio subito, l’ingiuria degli uomini e della guerra e, soprattutto, ha visto e accumulato l’evolversi delle attività produttive di una città e di un’intera provincia. Questa palazzina, oggi quasi soffocata dai palazzi vicini e dalle auto, custodisce tutte queste esperienze, se ne è come presa cura, a salvaguardia del nostro esistere e delle cose che costruiamo”.

Villa Carli prende il nome dal suo proprietario e si presenta come “una bella palazzina, censita a catasto di 15 vani e tre piani (due sopra strada), strategicamente collocata anche a riguardo della sottostante stazione di Porto Maurizio”. Dopo aver preso contatti già nel 1934 con la proprietaria, vedova di Giuseppe Carli, Confindustria Imperia stipula il contratto di affitto a decorrere dall’inizio del 1935. Il 14 ottobre 1950, a rogito del Notaio Bartolomeo Re di Imperia, l’immobile viene acquistato dall’associazione con le proprie forze, infatti “il costo dell’operazione è intera-

mente in capo agli associati provinciali, che con le loro quote periodiche contribuiscono a chiudere con regolarità il debito di conto corrente bancario”. Negli anni a seguire, complice la crescita del numero di aziende associate, a più riprese vengono effettuati lavori di manutenzione, ammodernamento e recupero funzionale di alcuni spazi che fino a prima venivano sottoutilizzati o manifestavano degli inconvenienti. Così nel 1966 si interviene su un locale al secondo piano per farne l’ufficio di Presidenza, nel 1971 si mette in sicurezza e viene sanificato dall’umidità il piano terreno con un investimento di 15 milioni di lire, a partire dal 1973 viene sistemata a più riprese la scalinata d’accesso, mentre nel 1984 “il Comitato esecutivo discute di un eventuale ampliamento dell’immobile, preludio a quello che anni avanti saranno la sostituzione del giardino con un terrazzo, la realizzazione di un piano sottostante l’attuale livello sotto strada e soprattutto la creazione di un’adeguata sala conferenze, da impiegare per assemblee, conferenze o incontri sindacali”. “Da queste ristrutturazioni - si legge nei verbali d’archivio - si potrà ricavare una sala riunioni, di cui l’Organizzazione è del tutto carente, con una più acconcia sistemazione dell’ufficio copia e dell’archivio”. La nuova sala riunioni, tuttavia, vedrà la luce solo nel 2006, dopo che nel frattempo viene realizzato anche un parcheggio al posto del giardino sul terrazzo che si affaccia sul mare.

“Timorosa sono entrata la prima volta nell’edificio sede di Confindustria e, dalla cancellata, mi è apparso in tutta la sua eleganza lo stabile che ospita gli uffici della strutturascrive ancora la presidente Barbara Amerio -. Ripensando a quel momento mi sovviene una frase che spesso si ripete: ‘Confindustria è la casa degli imprenditori’, e per la provincia di Imperia non è solo un modo di dire. La nostra sede è un luogo a noi caro, una dimora d’epoca intrisa di racconti, di esperienze, di successi e di episodi travagliati. Lo respiri dagli arredi, dalla terrazza, dalla forma delle scale, dai quadri, che ti traghettano a un’epoca lontana, ai momenti fondativi, alle idee innovative fortemente volute dai primi imprenditori. Dedichiamo lo scritto a tutti coloro che, con il loro contributo e sacrificio, hanno costruito e facilitato la storia del tessuto imprenditoriale di Imperia e provincia”.●

FUND

Il programma europeo a sostegno della decarbonizzazione.

di Lapo Becchelli

Il Green Deal europeo si pone l’obiettivo del 2050 per non generare più emissioni nette di gas a effetto serra in Europa. A tal fine, l’azione di decarbonizzazione da parte delle imprese europee riveste un ruolo cruciale. Per supportare le imprese a dare il loro contributo alla decarbonizzazione, la Commissione europea ha lanciato nel 2020 Innovation Fund, il programma per portare sul mercato tecnologie altamente innovative a basse emissioni di carbonio. I progetti possono includere tecnologie e processi innovativi a basse emissioni di carbonio nelle industrie ad alta intensità energetica, creazione innovativa di energia rinnovabile, stoccaggio di energia, cattura, uso e stoccaggio del carbonio, mobilità e costruzioni a emissioni nette zero. Il primo bando Innovation Fund è stato lanciato nel 2020, e ci saranno bandi regolari fino al 2030. Ogni anno possono cambiare alcuni elementi e focus, ma l’obiettivo rimane il contributo alla decarbonizzazione. La Commissione europea condivide il rischio con i promotori dei progetti per aiutare la dimostrazione di progetti altamente innovativi, i quali, allo stesso tempo, devono essere sufficientemente maturi in termini di pianificazione, modello di business e struttura finanziaria e legale. Per essere competitivi, i progetti presentati devono dimostrare: di essere innovativi rispetto allo stato dell’arte; come contribuiscono a ridurre in termini assoluti i gas serra nei dieci anni successivi all’avvio del progetto; avere maturità tecnica, finanziaria e operativa; essere replicabili; essere efficienti in termini di costi, attraverso un rapporto tra il finanziamento richiesto e le emissioni evitate di gas serra.

La particolarità del programma Innovation Fund è che non è richiesta la creazione di un partenariato transnazionale. Può essere quindi anche una sola impresa a presentare la proposta progettuale.

Trattandosi di tecnologie e processi prossimi al mercato, il contributo di Innovation Fund è del 60% della spesa in conto capitale del progetto, il cosiddetto CAPEX. Il finanziamento è in forma lump sum, schema di finanziamento forfettario che semplifica le procedure di rendicontazione.

L’urgenza di avere sul mercato soluzioni che contribuiscano alla decarbonizzazione favorisce la presentazione di progetti che non richiedono la creazione di partenariati transnazionali, ma dato che tali soluzioni devono essere prossime al mercato il tasso di co-finanziamento non copre totalmente i costi di progetto.

I nuovi bandi Innovation Fund si sono aperti recentemente, e sono suddivisi in due call: una dedicata alle tecnologie Net Zero, l’altra è un’asta per la produzione di idrogeno RFNBO.

Il bando per le tecnologie Net Zero, il quale è stato esteso anche a progetti dedicati al settore marittimo, delle costruzioni e del trasporto stradale, è suddiviso in cinque linee di finanziamento: Small, Medium, Large scale projects, Clean Tech Manufacturing, Progetti pilota. Qualora i progetti presentati prevedano investimenti in navi, esse devono fare scalo in un porto sotto la giurisdizione UE per almeno il 30% degli scali all’anno. Se invece i progetti riguardano investimenti in infrastrutture portuali, il porto deve essere nella giurisdizione di uno Stato membro UE. La differenza tra i primi tre tipi di progetto (Small, Medium,

Large scale) è legata alla dimensione dei CAPEX della proposta progettuale, partendo da un minimo di 2,5 milioni e arrivando a oltre i 100 milioni di euro. Mentre per i progetti Clean Tech Manufacturing e Progetti Pilota si parte da un minimo di 2,5 milioni di euro.

Le attività coperte per i progetti Small, Medium e Large scale includono progetti che supportano l’innovazione in tecnologie e processi a bassa emissione di carbonio, attività di cattura e stoccaggio del CO2 , energie rinnovabili innovative e tecnologia di stoccaggio dell’energia. Nei settori del trasporto marittimo e dell’aviazione, il supporto può essere fornito per l’efficienza energetica, carburanti alternativi sostenibili, elettrificazione, così come tecnologie di propulsione a zero emissioni, come tecnologie eoliche, incluse le infrastrutture nel settore marittimo, in particolare per i porti di trasbordo dei container.

La linea di finanziamento Clean Tech Manufacturing prevede attività di costruzione e operatività di strutture manifatturiere per produrre componenti specifici per l’installazione di energia rinnovabile, elettrolizzatori e celle a combustibile, soluzioni di stoccaggio dell’energia, pompe di calore.

Il bando progetti pilota supporta tecnologie altamente innovative, dirompenti nella deep decarbonization (tecnologie che hanno il potenziale per essere pienamente compatibili con gli obiettivi di neutralità climatica del 2050). Il finanziamento massimo per singolo progetto in questa linea di finanziamento è di 40 milioni.

C’è tempo fino al 9 di aprile 2024 per presentare una proposta progettuale.

Il secondo bando invece è un’asta per la produzione d’idrogeno RFNBO (Renewable fuels of non-biological origin). La scelta di puntare sull’idrogeno è dovuta al fatto che, mentre molte tecnologie di decarbonizzazione sono già mature, le opzioni a neutralità climatica non sono ancora disponibili o scalabili per settori difficili da decarbonizzare, come il trasporto pesante e i processi industriali ad alto consumo energetico.

Le attività che possono essere finanziate riguardano l’installazione di nuove capienze di idrogeno RFNBO e la produzione verificata e certificata di idrogeno RFNBO da tali strutture (in kg di volumi prodotti) per un periodo di 10 anni. Vi sono vari vincoli legati al prezzo di offerta, alla quantità minima di produzione e alla durata del progetto. Il budget complessivo che Innovation Fund mette a disposizione per questo bando è di 800 milioni di euro. Il finanziamento avverrà solo sulla base di una produzione certificata e verificata. Pertanto, non sono previsti prefinanziamenti o pagamenti prima dell’operatività. L’asta pilota si chiuderà a febbraio 2024.

Con queste iniziative la Commissione europea mira a supportare la crescita e l’entrata sul mercato di tecnologie e processi che possono essere replicati, e aiutare il continente a raggiungere gli obiettivi climatici che si è prefissato. I bandi sono molto competitivi, e le proposte devono essere particolarmente innovative. Ma Innovation Fund può rappresentare una opportunità per le imprese, per dare forma a nuove tecnologie e processi, e contribuire alla decarbonizzazione dell’Europa.●

PMI DAY 2023

Tredicesima edizione con i patrocini del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, del Ministero dell’Istruzione e del Merito e della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. L’iniziativa è inserita nella Settimana della Cultura d’Impresa organizzata da Confindustria e nella Settimana europea delle PMI promossa dalla Commissione Europea. Christian Ostet

Il PMI DAY, dal 2010, vede ogni anno le piccole e medie imprese associate a Confindustria aprire le porte ai giovani per visite guidate e incontri. È un’iniziativa organizzata con le Associazioni di Confindustria, pensata per contribuire a diffondere la conoscenza della realtà produttiva delle imprese, le opportunità che possono offrire e il loro impegno a favore della crescita, mediante un momento di esperienza diretta in azienda e l’incontro con i suoi protagonisti. Il tema dell’edizione 2023, “inaugurata” il 17 novembre scorso, è la Libertà. Libertà quale valore fondante di una società, come diritto da difendere, da garantire e da rispettare, come responsabilità verso gli altri e verso il bene comune. Libertà come leva per la ricerca, l’innovazione e la crescita economica. E come possibilità per i giovani di scegliere e di costruire il loro futuro.

REGOLAMENTO

All’esito di un percorso di riforma nazionale del Regolamento di Piccola Industria, finalizzato a garantire uniformità di applicazione ai territori della normativa di sistema, la Piccola Industria di Confindustria Genova ha approvato nella riunione congiunta del Consiglio Direttivo e Assemblea dei Delegati del 30 novembre scorso la versione aggiornata del Regolamento della Piccola industria, poi ratificato dal Consiglio Generale di Confindustria Genova il successivo 12 dicembre.

Confermata la soglia dimensionale di appartenenza alla Piccola Industria, fissata in massimo 50 dipendenti per ciascuna impresa singolarmente considerata, purché non controllata da grandi imprese o appartenente a Gruppi che superino complessivamente la soglia di 249 dipendenti.

La prima modifica è un voluto ritorno al “passato”, con la reintroduzione del nome “Piccola Industria” in sostituzione del “Comitato” per eliminare una possibile confusione di denominazioni tra il “Gruppo Piccola industria”, inteso nella sua generalità, e il nuovo organo sociale, sostitutivo dell’Assemblea dei Delegati, che prende il nome di “Comitato”.

Il “Comitato”, composto dai delegati eletti dalle Sezioni Merceologiche ogni quadriennio pari, anziché ogni biennio, sarà l’organo deliberante e di indirizzo strategico presieduto dal Presidente, sostituendo in tale titolarità il Consiglio Direttivo, con la finalità di rendere maggiormente partecipi e attivi nelle decisioni strategiche i grandi elettori (delegati) espressione della base associativa (Sezioni).

Da sottolineare la modifica sul diritto di elettorato attivo alle cariche di Piccola Industria, che potrà essere esercitato dalle sole imprese “piccole”, in particolare nelle

Christian Ostet, componente del Consiglio Direttivo della Piccola Industria genovese e del Consiglio Generale della Piccola Industria nazionale, è l’imprenditore delegato al coordinamento delle iniziative del PMI DAY per Confindustria Genova. Quest’anno, quasi 500 ragazzi di sette Istituti Secondari Superiori di secondo grado sono stati coinvolti nell’iniziativa, alla quale hanno aderito 23 aziendenon solo PMI ma anche grandi, per sottolineare l’importanza della filiera: 2PI Automation, A&P Informatica, ABB, Axia, Hotel Bristol, Casa della Salute, Circle Group, Cosme, Costa Crociere, Ditta Giuseppe Lang, Edisoftware, Engineering, ETT, Fincantieri, Ggallery, Hitachi Rail, Liguria Digitale, Many Designs, Netafim, Santagata 1907, Servizi Italia, SIAT Assicurazioni, TIM. L’evento conclusivo del PMI DAY 2023 si terrà a inizio 2024, per consentire ai ragazzi di concludere il ricco programma di visite.●

Sezioni Merceologiche in occasione dell’elezione dei Delegati, a garanzia dell’indipendenza e della salvaguardia del requisito identitario di Piccola industria. Lo snellimento della governance non sacrifica il ruolo del Consiglio Direttivo, confermato nei suoi 11 componenti (eletti ogni quadriennio insieme al Presidente del Comitato) con nuove funzioni consultive e di supporto, anche attraverso deleghe operative, alla linea di indirizzo attuata dal Presidente nel corso del suo mandato. La squadra di Presidenza, costituita dal Presidente e dai suoi Vice, subisce l’eliminazione di carattere formale del vecchio organo denominato “Consiglio di Presidenza”, ma acquista dal punto di vita sostanziale una maggiore coesione e unità d’intenti con la modifica del percorso elettivo dei 4 Vice Presidenti, anch’essi confermati nelle loro attribuzioni, che saranno designati dal Presidente e, successivamente, eletti dal Comitato mediante semplice approvazione della lista dei candidati designati.

Il percorso elettivo del Presidente viene mutuato dall’autorevole prassi della Commissione di Designazione di Piccola Industria Confindustria Genova e formalizzato nel rinnovato art. 15 (Procedura di Designazione e elezione) a garanzia di sempre maggiore trasparenza e par condicio nell’accessibilità alle cariche di vertice del Gruppo.

Il nuovo Regolamento, in ultimo, responsabilizza fortemente gli attori della governance a un partecipazione consapevole alla vita associativa, prevedendo meccanismi di decadenza automatica in caso di ripetute e ingiustificate assenze dalle riunioni degli organi sociali, e un rinnovato sistema di rotazione delle cariche quale garanzia di maggiore inclusività e condivisione degli ideali di rappresentanza della Piccola industria e della nostra Associazione.●

Generoso Addesso Segretario Piccola Industria Confindustria Genova

In questa rubrica raccontiamo le storie professionali e aziendali degli Under 40 di Confindustria Genova.

Elevator

di Matilde Orlando

Fabrizio Fugazzi

Amministratore Delegato

Fabrizio Fugazzi, ingegnere gestionale laureato al Campus di Savona, ha iniziato il proprio percorso lavorativo all’interno dello studio di progettazione di famiglia. Nel 2019, però, Fabrizio, il padre e sua moglie hanno deciso di avviare una nuova attività: la svolta è avvenuta quando Laura Cabona - moglie del padre di Fabrizio - ha ritrovato un quaderno olografo e i materiali originali relativi al lavoro del suo bisnonno Giovanni Fabbrizii, che tra fine ‘800 e inizio ‘900 era un noto e apprezzato caffettiere e liquorista a Sestri Ponente: ricette, etichette, referenze, lettere di apprezzamento... Così è nata l’idea di provare a riprodurre l’antico amaro “Fabbrizii” del bisnonno, prima a livello domestico e poi a livello professionale.

La scelta sulla sede è ricaduta su Rezzoaglio perché, spiega Fabrizio Fugazzi, «crediamo nelle potenzialità della Val d’Aveto, di cui siamo originari. Qui avevamo anche alcuni terreni che, con cura, abbiamo recuperato dal disuso e da cui vorremo ottenere le botaniche tipiche dell’appennino. Coerentemente con la volontà di riutilizzare e valorizzare l’esistente, è stato ristrutturato un fabbricato che era in stato di abbandono e convertito in uno spazio dedicato ad attività di laboratorio, invecchiamento, imbottigliamento, vendita e degustazione dei nostri liquori».

Nell’estate 2021 il Nuovo Liquorificio Fabbrizii, di cui Fabri-

zio Fugazzi è amministratore unico, ha ufficialmente aperto i battenti. La priorità è quella di consolidare la propria presenza in Liguria e nel nord Italia, in virtù della storia e del legame del Liquorificio con il territorio. L’obiettivo è di raggiungere in modo capillare il mondo Horeca (ristoranti, enoteche, bar...); i canali di distribuzione comprendono anche la vendita diretta a Rezzoaglio, la partecipazione a fiere cittadine dedicate a prodotti artigianali d’eccellenza e l’e-commerce.

«In questo percorso - spiega Fabrizio - mi sento coinvolto sia a livello professionale che umano. È importante essere sempre aggiornati sugli aspetti tecnici e “verticali” della propria industry, ma anche mantenersi aperti al confronto e al miglioramento su una dimensione più trasversale: la partecipazione a Confindustria e al Gruppo Giovani Imprenditori, in cui non mancano occasioni di approfondimento, formazione e networking, rende tutto più semplice».

I prodotti di punta, oggi, sono l’Amaro Fabbrizii e l’Aperitivo Fabbrizii, e hanno come base comune quello che il bisnonno Giovanni chiamava “infuso di erbe Fabbrizii”: nel primo caso viene portato a 35 gradi e aggiustato di zucchero, nel secondo viene miscelato con un’infusione di bucce d’arancia, l’“Aranciata Fabbrizii”, per un sapore più leggero e agrumato. La premiazione dell’Amaro Fabbrizii con la croce al merito e la medaglia d’oro all’esposizione internazionale di Genova risale al 1906, e sono dello stesso periodo anche numerose lettere di apprezzamento dalle casate nobiliari di allora, poi riproposte perfino sui giornali. Ottime premesse per una bella storia da portare avanti.

Giovanni Chiappano

Head of International business development

Giovanni Chiappano, oggi, è Head of International business development in Madi Ventura SpA. La sua esperienza interna zionale ha avuto inizio già ai tempi del liceo, che ha concluso a Washington DC per poi laurearsi alla Chapman University, a sud di Los Angeles, conseguendo un Bachelor of Arts in Economics e un Bachelor of Science in Business Administration, con focus su entrepreneurship e marketing. Queste ultime sono proprio le passioni che si sono riflesse anche nel suo percorso lavorativo, cominciato in Caffè Vergnano, azienda familiare italiana che esportava, tra l’altro, negli Stati Uniti. «Per Caffè Vergnano sono rientrato in Italia, iniziando un percorso da Export Area Manager verso gli USA e altri paesi - spiega Giovanni -. Quella in Caffè Vergnano è stata sì un’esperienza di lavoro ma anche un’incredibile opportunità formativa, grazie all’accompagnamento del mio capo e mentore Carolina Vergnano, che ha creduto in me e mi ha permesso di crescere molto e velocemente, tanto che dopo un anno di lavoro sono diventato Responsabile del mercato USA che in qualche anno è cresciuto sino a diventare la seconda area di esportazione per importanza. L’esperienza più rilevante da Caffè Vergnano è arrivata durante gli anni della pandemia, con il progetto di distribuzione con CocaCola HBC, per il quale ho affiancato Carolina dalla fase progettuale fino all’implementazione». Circa 8 anni dopo, è emersa una opportunità di lavoro in Madi Ventura, nel momento in cui la governance dell’azien-

ca in Italia; l’azienda, infatti, è presente con almeno un prodotto proprio o a marchio privato in più del 95% delle catene di distribuzione italiane. Madi Ventura ha fatto un grande shift negli ultimi anni, e anche la mission dell’azienda è passata dall’essere “solo la frutta più buona” a quella, di più ampio respiro, “bontà e benessere”. Questo si è tradotto in importanti attività aziendali e di marketing tra cui l’acquisizione della maggioranza di una piccola realtà del veronese, la Meraviglie Srl, specializzata nella produzione e vendita di prodotti biologici a base di frutta secca (barrette, creme spalmabili, granole...) e di cioccolato raw. «Qui sono entrato in gioco io - racconta Giovanni -. Oltre alle attività di espansione internazionale in Madi Ventura, mi sto occupando del business development di Meraviglie concentrandomi sui prodotti del brand Maama per lanciarli anzitutto su marketplace italiani, e poi all’estero, sia online che offline. Siamo partiti da un ripensamento del logo e del mood di questo brand, che ruotano intorno ai capisaldi di Meraviglie, ovvero il biologico, il vegano, il gluten free e il concetto di clean label, che si ricollega perfettamente anche a “bontà e benessere”, il claim dell’azienda “madre” Madi Ventura, che ha l’obiettivo di portare sul mercato prodotti buoni e che fanno bene». L’azienda, tra l’altro, è stata pioniera anche nell’impegno per la sostenibilità, tanto che in tempi non sospetti già progettava e pubblicava i propri bilanci di sostenibilità. Insomma, bontà e benessere per davvero.●

Nella diciannovesima edizione del Premio per Esperienze

Innovative di Partnership Sociali di Celivo e Confindustria

Genova vince il progetto de La Casa nel Parco e IKEA, finalizzato ad azioni di riuso e riciclo e di promozione di stili di vita sostenibili. Due le menzioni speciali.

Non si butta vianiente

L’edizione 2023 del Premio per Esperienze innovative di Partnership Sociali tra Imprese e Organizzazioni di Volontariato/Enti del Terzo Settore del territorio sigla il ventesimo anno di collaborazione tra Celivo - Centro di Servizio per il Volontariato di Genova - e Confindustria Genova. Otto i progetti presentati, oltre 30 i partner complessivamente coinvolti. Il progetto vincitore eletto dal Comitato Paritetico composto da rappresentanti di Celivo e Confindustria è “La biblioteca degli incontri e degli oggetti” realizzato da La Casa nel Parco ETS e IKEA

Italia Retail Srl - Sede operativa di Genova, entrambi alla

prima partecipazione. L’edizione 2023 è segnata anche da una rara combinazione: la doppia menzione speciale conferita rispettivamente al progetto “Centro del riuso creativo “Surpluse” di Coronata” realizzato da Amici di Coronata ODV e AMIU SpA e al progetto “La Cambusa 2023” realizzato da Borgo Solidale ODV e Cosme SpA. Di seguito una descrizione delle tre iniziative; la raccolta di tutti i progetti è disponibile sul sito celivo.it. Le aziende che vogliono partecipare all’edizione del Premio 2024 possono contattare il Celivo al numero 010.5956815 o scrivere a borgogno@celivo.it.●

VINCITORE

LA BIBLIOTECA DEGLI INCONTRI E DEGLI OGGETTI

n La Casa nel Parco ETS

n IKEA Italia Retail Srl - Sede operativa di Genova

La partnership ha permesso a La Casa nel Parco di concretizzare alcune iniziative di riuso, riciclo e sostenibilità coinvolgendo la comunità. Nel 2021-22 l’associazione ha ristrutturato due locali dell’ex Caserma e li ha trasformati in una biblioteca di quartiere per bambini e ragazzi. All’interno della Biblioteca è stata allestita “La Biblioteca Verde” dedicata ad ambiente, natura, sostenibilità. IKEA ha donato il materiale per arredare gli spazi e il suo personale ha dedicato tempo volontario per l’allestimento. Il coinvolgimento dei dipendenti IKEA ha anche permesso di completare la campagna di crowdfunding per la sistemazione degli spazi, raccogliendo presso il punto vendita una cifra di donazioni personali utilizzata per completare l’impianto elettrico.

Con la campagna “Give Twice” di IKEA sono stati raccolti oltre 400 tra giochi e giocattoli. Il materiale è stato allestito sotto forma di “Mercatino senza soldi” dall’associazione genitori e insegnanti, dove i bambini e le bambine hanno potuto scegliere giochi e altri materiali e scambiarli tra loro, partecipando e gestendo direttamente il mercatino. I giochi avanzati sono stati utilizzati per arricchire la Biblioteca del Giocattolo nella Ludofficina, lo spazio gioco autogestito dalle famiglie.

Attraverso lo spazio di Officina di Quartiere, il locale della casa dedicato al riuso del legno, l’associazione ha utilizzato alcune parti di mobili in legno destinate al macero, donate da IKEA, per costruire nuovi oggetti a disposizione di Casa di Quartiere. Il legno avanzato da parti di mobili IKEA viene anche usato nei laboratori di riuso gratuiti per i cittadini.

La Casa nel Parco ha collaborato con IKEA anche nell’individuazione di altre associazioni alle quali sono stati donati arredi per progetti sociali e umanitari. Tutti gli arredi donati da IKEA sarebbero stati inviati alla distruzione poiché non vendibili.

Info: lacasanelparcoets@gmail.com

MENZIONE SPECIALE

CENTRO DEL RIUSO CREATIVO

“SURPLUSE” DI CORONATA

n Amici di Coronata ODV

n Amiu Spa

L’iniziativa nasce nel 2020 su sviluppo di un progetto europeo (FORCE) orientato all’economia circolare il cui fine è dare una seconda vita a oggetti destinati alle discariche. Il progetto vede coinvolte quattro città europee, tra cui Genova, dove AMIU si incarica di realizzare una rete di luoghi con la regia dell’Università di Genova e il contributo di alcune Organizzazioni di Volontariato presenti sul territorio. Di qui, il primo Centro di piccola dimensione nasce a Coronata in un locale di proprietà di AMIU e assegnato per la gestione all’Associazione Amici di Coronata. Nel Centro di riuso creativo “Surpluse” si attiva un laboratorio urbano per la gestione del legno post consumo finalizzato al riutilizzo e riciclaggio attraverso alcune attività: la presenza di almeno un volontario nelle ore di apertura, la riparazione a titolo gratuito di piccoli oggetti (legno, oggettistica, piccoli elettrodomestici ecc.) per esporli e cederli ai cittadini interessati a titolo gratuito o con un contributo associativo, la collaborazione con il Servizio EcoVan e la distribuzione di indumenti, articoli di arredo, oggetti rigenerati ecc. e i propri servizi alle famiglie con difficoltà o senza dimora. Il progetto è stato realizzato con la collaborazione di ARCI Genova, Comune di Genova Municipio VI Medio Ponente, Centro di educazione al lavoro Lab 85, Università di Genova (Dipartimento di Architettura) ed è già stato replicato in altre zone della città: un esempio concreto di come l’economia circolare possa innescare una catena di cambiamenti a cascata e valorizzare, riconoscere, dare spazio e supporto a tutto quello che già si sta facendo.

Info: amicidicoronata@gmail.com

MENZIONE SPECIALE LA CAMBUSA 2023

n Borgo Solidale ODV

n Cosme Spa

Dal 2016 Borgo Solidale, M.A.S.C.I. Liguria e Coop Liguria collaborano sul progetto di Social Market “La Cambusa” con l’obiettivo di offrire un sostegno temporaneo ai nuclei familiari residenti nel Municipio Levante che si trovano in difficoltà economica, attraverso l’attivazione di un punto di raccolta e distribuzione di prodotti a costo zero. I prodotti donati vengono raccolti e custoditi negli spazi de La Cambusa dai volontari di Borgo Solidale. I beneficiari vengono accolti su appuntamento per scegliere e ritirare i prodotti di loro necessità, utilizzando un sistema che permette loro di fare una spesa senza costi. Borgo Solidale coordina il progetto, cura l’organizzazione dei volontari ed è referente del progetto nei confronti del Comune di Genova - Municipio Levante; M.A.S.C.I. Liguria collabora al recupero, alla sistemazione e alla conservazione dei prodotti recuperati; Coop Liguria cede gratuitamente i prodotti a imminente data di scadenza, nel rispetto delle norme di igiene e sicurezza, dietro ritiro a carico dei volontari di Borgo Solidale. Nel 2023 Cosme ha supportato l’Associazione nel recupero dei prodotti dal punto vendita Coop Liguria e il loro trasporto a La Cambusa mettendo a disposizione un mezzo idoneo e personale d’azienda, in giorni e orari concordati secondo le necessità. Le ore di volontariato e i mezzi messi a disposizione da Cosme rappresentano un importante contributo all’associazione che può così concentrare le forze di altri volontari già attivi in funzioni diverse. Nel 2022 la Cambusa ha sostenuto un totale di 151 nuclei familiari tra cui 53 adulti soli, 21 anziani soli, 54 nuclei con minori, 23 nuclei misti (anziani, adulti, persone con disabilità).

Info: borgosolidale.onlus@gmail.com

I PROGETTI 2023 in ordine alfabetico di progetto

AlimentiAMO NON SOLO PAROLE ODV

CENTRO DEL RIUSO CREATIVO “SURPLUSE” DI CORONATA

BAHIA DEL GUSTO SRL, GIAN SEBY DI FALCONE GIANLUCA, VECCHIA PIZZERIA TOTÒ DI DOZZI GIOVANNA SAS

AMICI DI CORONATA ODV AMIU GENOVA SPA

CAMPAGNA “CUORE DI DONNA” UDI - UNIONE DONNE IN ITALIA APSCENTRO PER NON SUBIRE VIOLENZA APS SYNLAB - ISTITUTO IL BALUARDO SPA

INTEGRA! FONDAZIONE DAVID CHIOSSONE NUOVO LIDO EL.FRA SRL

LA BIBLIOTECA DEGLI INCONTRI E DEGLI OGGETTI LA CASA NEL PARCO IKEA ITALIA RETAIL SRL - SEDE OPERATIVA DI GENOVA

LA CAMBUSA BORGO SOLIDALE ODV COSME SPA

OSA - ORTI SPERIMENTALI ARENA ALBARO HELP CODE ITALIA FOS SPA

PIAZZ@ DIGITALE

LA GIOSTRA DELLA FANTASIA COOPERATIVA SOCIALE ESPORTECH SRL

Fotografia tra Scienza e Arte

Foto generata da AI su prompt di Giuseppe Paone

Realtà e rappresentazione. Il tema del dossier di questo numero di Genova Impresa, più che mai attuale, chiama immediatamente in campo riflessioni su uno dei dispositivi di rappresentazione che più hanno influenzato la vita degli ultimi 150 anni: la Fotografia.

Fin dalla sua comparsa nel 1839, con la presentazione a Parigi del procedimento fotografico di Daguerre, la fotografia è stata considerata come un sinonimo della verità: i segni di cui si serve la Scrittura per comunicare sono le lettere, segni grafici simbolici che per “significare” devono fare riferimento a un codice condiviso tra scrittore e lettore che permetta la comprensione del messaggio e il passaggio di informazioni.

Nella fotografia questo schema simbolico salta: le lettere di questo dispositivo sono simulacri della realtà stessa: le immagini. Queste lettere non sono simboliche, sono immediate, ovvero il loro messaggio non è mediato da un codice ma è intellegibile da chiunque, in maniera spontanea e a prima vista, in qualsiasi parte del mondo. Queste considerazioni ci portano a pensare che la fotografia sia oggettiva.

Ma è realmente così?

Per cominciare l’analisi facciamo alcune riflessioni sulle circostanze che ne hanno visto la nascita.

7 gennaio 1839: a Parigi, per interessamento di François Arago, viene presentato il nuovo fenomenale procedimento di riproduzione della realtà inventato da Louis Jacques Mandé Daguerre in una seduta congiunta dell’Accademia delle Scienze e dell’Accademia di Belle Arti (a testimoniare, qualora ve ne fosse bisogno, la natura incerta dell’oggetto fotografico). La dagherrotipia garantisce immagini di straordinaria nitidezza e dettaglio; tuttora le immagini ottenute con tale tecnica sono tra le più dettagliate che si possano ottenere anche al confronto con i risultati raggiunti in seguito con il procedere della tecnologia fotografica e col passaggio al digitale. Il limite del procedimento risiede nella sua irriproducibilità; l’immagine giace su una lastra di rame argentato. Non è trasparente e non si può proiettare. Ciò rende impossibile trarne copie innumerevoli. Il grande risultato raggiunto con la messa a punto della dagherrotipia era in qualche modo paradossale: si erano iniziate le ricerche per inventare una modalità di riproduzione delle immagini che garantisse maggiori tirature e costi inferiori rispetto alle tecniche in uso fino a quel momento: l’incisione e la litografia. Si era giunti invece a un’immagine unica. Incredibilmente simile alla realtà. Ma unica.

Nello stesso 1839, William Henry Fox Talbot, nel Regno Unito, presentava il suo procedimento fotografico positivo/ negativo che avrebbe ovviato ai limiti del dagherrotipo e dato inizio alla storia della fotografia come l’abbiamo conosciuta fino all’arrivo del digitale. Le sue immagini su carta (sia il negativo, sia la stampa positiva) erano meno dettagliate del dagherrotipo poiché l’immagine giaceva entro le fibre di cellulosa che ne sporcavano i dettagli. Erano infatti apprezzabili nelle sue fotografie caratteri che non avevano a che fare con la prodigiosa somiglianza alla realtà ma con i rapporti tra i valori tonali, la composizione, l’inquadratura, i delicati passaggi di tono. Tutti caratteri estetici soggettivi, che hanno più a che fare con considerazioni artistiche piuttosto che con la oggettiva scientificità riconosciuta alle immagini di Daguerre.

Questi elementi fondativi mettono in discussione la presunta

oggettività della fotografia sin dai suoi primi passi. La sua natura è duplice: è scientifica perché è un’immagine per così dire “automatica”, non ho cioè bisogno delle capacità dell’uomo per formarsi e fissarsi sulla carta. È opinabile, perché è comunque frutto di una scelta estetica: il fotografo opera sempre una scelta, volente o nolente. Decide di inquadrare quella porzione di realtà e non un’altra. Decide di aprire o chiudere il diaframma per sottolineare o nascondere dettagli interni all’immagine giocando con luci e ombre.

In questo senso è emblematico l’esempio della fotografia politica. L’inquadratura stretta di una manifestazione di piazza è in grado di comunicare che la partecipazione è stata ampia. Al contrario, l’inquadratura da lontano di un presidio, per quanto numeroso, è impietosa nel mostrare eventuali zone vuote della piazza, suggerendo così uno scarso successo dell’iniziativa.

Nel mondo dell’immagine digitale nel quale siamo immersi questi meccanismi diventano realmente la grammatica essenziale della comunicazione, anche per mezzo delle manipolazioni, possibili grazie alle possibilità messe in campo da potenti software e abili professionisti della comunicazione o grazie alle infinite e ancora quasi del tutto sconosciute applicazioni dell’intelligenza artificiale. Oggi insomma il gioco di dissimulazione della fotografia è solo più scoperto. In una qualche misura, nella nostra considerazione, l’immagine fotografica ha perso quell’aura di presunta verità: il nostro occhio osserva sapendo che l’inganno può essere ovunque ma al contempo è sempre meno educato ad uno sguardo attento laddove la rete è il regno della fruizione istantanea.

In tale contesto assume ancor più centralità la necessità di sviluppare lo spirito critico, in grado di fare dei distinguo e di sottrarsi col ragionamento a quel rumore di fondo creato dal fluire perpetuo delle milioni di immagini che popolano il nostro tempo.●

LA CITTÀ

Più di 50 i progetti innovativi presentati alla città e oltre 200 i relatori dell’edizione 2023, che ha fatto segnare i migliori numeri della manifestazione dal dopo pandemia.

GENOVA

La nona edizione della Genova Smart Week (25 novembre - 1 dicembre 2023) si è conclusa facendo segnare i migliori numeri dal dopo pandemia: circa 13mila presenze, tra quanti hanno seguito le conferenze a Palazzo Tursi o in streaming, e tutti coloro che hanno partecipato alle attività divulgative: dalla Smart City Experience di piazza De Ferrari alle mostre e visite guidate a chiesa di San Donato, Museo Diocesano e Palazzo Doria-Spinola.

Oltre 200 relatori e quasi un centinaio di partner che, nei cinque giorni di conferenze a Palazzo Tursi, hanno presentato alla città e ai suoi stakeholder oltre 50 progetti innovativi in tema di mobilità sostenibile, rigenerazione urbana, monitoraggio ambientale, digitalizzazione, intelligenza artificiale, cyber security, infrastrutture e logistica.

L’evento ha richiamato le principali aziende e multinazionali sistemiche italiane, come Tim, Enel, Eni e Leonardo, che hanno confermato l’importanza strategica di Genova e del territorio ligure nello sviluppo infrastrutturale del paese. Ma non solo grandi opere: Genova esprime la propria vocazione all’innovazione anche attraverso iniziative private, in concerto con la pubblica amministrazione e il mondo della ricerca, come dimostrano alcuni progetti presentati nel corso della manifestazione: il Miage (Monitoraggio geo-idrologico antica Genova) che prevede la digitalizzazione topografica dell’area genovese; C-City Genova Città Circolare, focalizzato suoi settori green e bioeconomia e nella circolarità della risorsa energetica; MaaS genovese, che prevede l’integrazione intelligente di diverse modalità di trasporto a

disposizione del passeggero in un’unica piattaforma; il progetto europeo AI4PublicPolicy, rivolto a ridurre il numero di incidenti contro i soggetti vulnerabili.

«Si è chiusa una settimana importante per la nostra cittàha dichiarato il sindaco Marco Bucci - che ha messo Genova al centro delle smart city italiane. Palazzo Tursi ha visto intervenire opinion leader del settore che hanno certificato la nostra continua crescita. Il lavoro da fare è ancora tanto ma siamo sulla strada giusta e dobbiamo continuare a correre verso i nostri obiettivi e sono sicuro che, insieme, riusciremo a raggiungere quanto ci siamo prefissati. Voglio ringraziare tutti coloro che hanno lavorato per il grande successo di questa edizione della Smart Week».

La Genova Smart Week, promossa dall’Associazione Genova Smart City e dal Comune di Genova con il supporto tecnico di Clickutility Team e il patrocinio di Rai Liguria, è l’unico evento in Italia interamente dedicato alle tematiche della città intelligente. Un think tank a livello internazionale in cui istituzioni, amministrazioni, imprese, professionisti e operatori del settore si incontrano per confrontarsi e discutere sul tema dello sviluppo ed evoluzione delle città innovative e vivibili.

«Alla luce di tutti i progetti presentati in questi giorni - ha commentato Daniela Boccadoro Ameri, presidente dell’Associazione Genova Smart City - la Genova Smart Week si conclude restituendoci una certezza: la città sta cambiando pelle e alzando l’asticella delle prospettive future, grazie a investimenti destinati a migliorare in ogni ambito la vita quotidiana dei suoi cittadini, dalla fruibilità degli spazi pubblici alla mobilità, dalla messa in sicurezza del territorio all’efficientamento delle infrastrutture. Genova c’è ed è pronta ad accogliere nuovi residenti, nuovi lavoratori e nuove imprese: la sfida è lanciata».

L’appuntamento con la Genova Smart Week è per il 2024 e il traguardo della decima edizione.● (M.G.)

Una città visibile GENOVA LA CITTÀ

La scheda editoriale di Istanbul di Ohran Pamuk ne parla come di un «autoritratto in forma di città». Chi l’ha letto sa bene che si tratta di un libro nel quale il premio Nobel 2006 (recente ospite di Palazzo Ducale) racconta la sua città natale vestendo a un tempo i panni del poeta e quelli dell’enciclopedista appassionato, innamorato dei luoghi di cui dice come se fossero il suo doppio ideale, o una proiezione in fatti urbani della propria tensione conoscitiva, oltre che della propria malinconia. Nell’ambito dell’autofiction quel memorabile tomo sui generis getta una nuova luce anche stilistica sull’arte della divagazione sentimentale urbe-localizzata, per mezzo di ciò che un altro Nobel, l’anglo-americano T.S. Eliot, e il gran Nobel nostrano Eugenio Montale ci hanno insegnato a leggere come dei “correlativi oggettivi”: posti, occasioni, memorabilia pubblici e privati, piccole e grandi cose, e piccoli grandi eventi, familiari e anche no, trasformati sulla pagina nelle formule di emozioni che possono valere, come nel caso di Pamuk, in quanto “stazioni” privilegiate di una formazione umana e intellettuale. Per nostra fortuna, ora un acuto continuatore genovesizza il modo e l’intuizione del maestro turco. Si tratta di Guido Conforti, il Direttore Generale di Confindustria Genova, che è anche scrittore eccentrico e prolifico (“Ricreazione”, Marco Valerio 2005, “Biarritz”, ECIG 2011, “Sono stato qui”, ECIG 2013, “In contro corrente”, Atene 2016, “Happiness. Genesi di una pièce”, Il Canneto 2018), autore di raccolte di poesia e testi per il teatro, performer e videomaker. In lui, fino a oggi, sul piano letterario sono stati degni di nota soprattutto il curioso ma non dispersivo eclettismo e la spavalda attitudine a superare gli steccati di genere. Conforti si è dimostrato capace di raccontare le sue esperienze di “streambed trekker” (risalitore di torrenti) così come la genesi di uno spettacolo sulla felicità che ha portato in scena, al Festival della Scienza e altrove, con l’amico Michele Piana, ma anche di costruire la macchina testuale poderosissima e bizzarra di “Biarritz”, fatta di 490 pagine non una più non una meno, perché l’idea, che ha avuto bisogno, in questo caso, della complicità dell’editore, era dare forma a un libro-mondo che mettesse insieme il “gioco della vita” secondo Conforti in settanta volte sette pagine, 490 appunto. Accattivante affabulatore è Guido Conforti. Il suo neonato romanzo “Genova. Una città visibile” (Gribaudo 2023) è una fervida apologia chiaroscurale della “sua” (e della nostra) Superba. Conforti narra della propria vita a Genova e intanto narra di Genova come se Genova fosse un individuo in carne e ossa, che concresce con lui, pagina dopo pagina, nel lucido specchio delle sue incalzanti memorie e flâneries. L’opera è di tipo ibrido, in senso strutturale e sostanziale. In senso strutturale, perché Conforti condivide le responsabilità della sua proposta con un altro talentuoso genovese d’adozione, Giorgio Bergami - che, come sappiamo, purtroppo non c’è più, e torna a vivere qui come co-autore nell’eccezionale apparato fotografico (più di settanta immagini di Genova, fra colorate e in bianconero) estrapolato, per l’occasione, dal suo immenso archivio da

due teste e quattro mani: quelle amichevoli di Conforti, naturalmente, e quelle piene d’amorosa cura della vedova di Bergami, Maria Deidda. In senso sostanziale, perché le tante trame, le micro- e macro-storie e la brulicante umanità che animano la narrazione, risultano meno importanti per il lettore di quanto non lo sia lo sfondo, insieme urbano e “interiore”, sul quale esse si accampano. Benché, a tutta prima, il vero protagonista del libro sembri essere un io narrante che moltiplica fino alla vertigine la ramificazione di un autoritratto in una sequela di racconti, più ci s’addentra, fra le parole e le immagini, lungo i trentasei capitoli che fanno questo “Genova”, più ci si convince della fruttuosità (in senso ampio) “sperimentale” del tono misto fra romanzesco, saggistico, giornalistico e sobriamente didascalico messo in opera da Conforti. A romanzo chiuso viene la tentazione di pensare che non si sia letto un romanzo ma un saggio narrativo, o una strana varietà di racconto autobiografico a tinte socio-antropologiche, uno degli intenti del quale è proprio elidere o ridurre al minimo la distinzione di genere. Dichiarare che un romanzo non è proprio un romanzo significa ammettere (o insinuare) che non ha gran che tensione narrativa. “Genova” non incappa in questa potenziale malefatta - in fondo in fondo, in definitiva, come fa da sempre ogni buon classico romanzo di formazione. Ha la labirintica scorrevolezza di una crêuza e l’intrigante doppiezza di una sfida vis à vis fra ciò che è e rimane “personale”, soltanto di Conforti, e ciò che di un sessantennio di vicissitudini locali riesce a svelarci/ricordarci di noi in quanto “collettivo”, felicemente o inesorabilmente a seconda dei casi, e delle sensibilità che ne giudicano.

La confortizzazione della città può essere anche la nostra, di uomini e donne del ceto (perlomeno) medio borghese. Se riassumessimo la concezione di Genova di “Genova”, il lettore di Pfeijffer o di Morchio la troverebbe per tanti aspetti non poi troppo dissimile dalle loro, ma addizionata dei frutti di un pensiero storico, architettonico e politico più vasto, frutto del grandangolo di una duplice, capillare visione stereoscopica. Genova la multietnica, l’edonista e l’affarista inveterata è molto di più, qui, dei suoi misteri e caruggi d’angiporto. Ciò che colpisce è la vivida disponibilità di quel pensiero, la veemente e indomita disponibilità all’accoglienza in una “somma di appartenenze” di tutto quanto, di un ombelico del mondo, fa qualcosa a mezzo fra una matria e un alter ego.

Pamuk nel suo libro su Istanbul racconta passo dopo passo di come e perché è diventato uno scrittore: Conforti sceglie invece di uscire di scena dal suo romanzo-saggio genovese scrivendo di non avere molto altro da dire, e di aver deciso, perciò, di non essere più uno scrittore.

La fluvialità che conosciamo incontenibile del suo impeto creativo contrasta con questa dichiarazione d’intenti. Che non occorre, tuttavia, prendere per buona. Il tempo - come dimostra il suo neonato (e per adesso) ultimo libro - sa correggere tutto, anche le cattive intenzioni.●

Guido Conforti

CULTURA & SOCIETÀ

La mostra genovese allestita nella Loggia degli Abati e nella Casa Luzzati del Palazzo Ducale di Genova si inserisce nel progetto delle celebrazioni del centenario della nascita dello scrittore ligure insieme a “Favoloso Calvino”, esposizione curata da Mario Barenghi alle Scuderie del Quirinale a Roma.

“Il fatto dello scrivere sullo stesso atto grafico, sul gesto dello scrivere o del disegnare è uno dei miei temi”. Questa dichiarazione di Italo Calvino svela una delle caratteristiche del suo comportamento creativo, esprime la sua capacità di trasformarsi in un artista alla continua riscoperta di un segno, di un’emozione, di una sorpresa da trasmettere innanzitutto a sé stesso e quindi ai lettori considerati in varia misura complici di un simile tragitto di conoscenza. Pertanto non stupisce lo stretto rapporto con alcuni artisti del suo tempo che hanno intrapreso un parallelo percorso propositivo per raggiungere magari differenti approdi espressivi attivando tuttavia un intento sperimentale capace di coinvolgere non solo il pensiero ma anche quella vita a cui consegnare illuminanti immagini di svelamento. La mostra “Calvino cantafavole”, a cura di Eloisa Morra e di Luca Scarlini, allestita alla Loggia degli Abati e alla Casa Luzzati del Palazzo Ducale di Genova

di Luciano Caprile
Allestimenti: Francesco Margaroli
Italo Calvino con l’edizione in inglese
delle Fiabe italiane, Roma, Biblioteca Nazionale Centrale, Fondo Calvino

fino al 7 aprile del prossimo anno, affronta questo argomento prodigo di interessanti confronti e di continue sorprese. Si tratta di un viaggio alla scoperta di quel Calvino che si specchia di continuo anche in un’infanzia da noi smarrita con l’età adulta e che molti artisti hanno saputo recuperare attraverso le loro opere per ridonarcela alla stregua di un sogno riconquistato. Questo racconto per stazioni si avvia con una affermazione di Calvino estremamente significativa: “Il mio mondo immaginario è stato influenzato per prima cosa dalle figure del Corriere dei Piccoli. Passavo le ore percorrendo i cartoons d’ogni serie da un numero all’altro, mi raccontavo mentalmente le storie interpretando le scene in diversi modi, producevo delle varianti, fondevo i singoli episodi in una storia più ampia”. Non a caso il suo rapporto con la casa editrice Einaudi ha trovato un felice approccio nella consulenza per la collana “Libri per ragazzi”. E pertanto non stupisce la naturale collaborazione con Lele Luzzati che nella residenza genovese di via Caffaro alimentava una preziosa fanciullezza grazie al continuo divenire delle storie che gli fiorivano tra le mani. Nell’attuale circostanza si incontrano le immagini di Luzzati nate dalla rivisitazione calviniana delle “Fiabe italiane”: in particolare quelle suscitate dal volume “L’uccel belvedere e altre fiabe italiane”, edito da Einaudi nel 1972, da “Il principe granchio e altre fiabe italiane” (1974) e da “Il visconte dimezzato” (1975). Un capitolo della rassegna è dedicato alla passione di Calvino per i tarocchi che gli suggerirà nel 1969 il romanzo breve intitolato “Il castello dei destini incrociati” seguito nel 1973 dalla “Taverna dei destini incrociati”. Si possono ammirare in mostra queste carte accostate tra di loro per indicare il senso combinatorio dei racconti. Dunque il mondo del fantastico ricercato o suscitato da certi artisti del suo tempo ha fornito prezioso alimento alla sua creatività: pensiamo ai “Teatrini” di Fausto Melotti fonte di ispirazione de “Le città invisibili” o il Roberto Sebastian Matta che entra in qualche misura nelle “Cosmicomiche”, ai disegni di Domenico Gnoli che ritroviamo nelle suggestioni de “Il barone rampante”, ai “generali” di Enrico Baj e alle incasellate simbologie di Lucio Del Pezzo da rinvenire nel suo immaginario. E così aggiungendo e annotando. Scrive in proposito Eloisa Morra: “La lettura dell’arte e degli artisti che Calvino opera muta nel tempo. (...) La familiarità con l’universo delle immagini acquisita durante l’adolescenza si trasforma, almeno all’inizio, in una visione idealizzata che lo porta a identificare (...) il dominio delle arti visive come più vicino alla materialità del reale”. All’inizio i suoi punti di riferimento, tra i maestri del Novecento, saranno Klee e Picasso. Poi verranno i contemporanei in cui specchiarsi e confrontarsi direttamente fino all’incontro con Giulio Paolini, che gli suggerirà nel 1979 il clima in cui si svolge “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, e all’amicizia con Echaurren Matta, figlio di Roberto Sebastian, “promotore” di “Palomar” nel 1983. Uno spazio è dedicato al singolare rapporto, anche epistolare, con Toti Scialoja a cui lo univa l’interesse per il fiabesco e per il pubblico infantile: dalla loro collaborazione nascerà il progetto delle “Fiabe bianche” ovvero del “Teatro dei ventagli”. Infine non poteva mancare in rassegna un accenno sul legame di Italo Calvino col paesaggio ligure che, come annota Luca Scalvini, “esiste spesso nella dimensione del passato, della melanconica presa di coscienza rispetto a cambiamenti inesorabili inflitti dall’uomo alla natura”.●

Antonio Rubino, Il bimbo cattivo, 1924 circa, tempera su tela,
Wolfsoniana - Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, Genova

È il nome d’arte di Basili Khouzam, facoltoso imprenditore libico di stirpe siriano-maronita, laureato in Lettere a Milano, che in Libia aveva trascorso l’infanzia, dirigendovi poi l’azienda di famiglia dal 1953 al 1979.

Alessandro Spina

Alessandro Spina, chi era costui? Con Don Abbondio, nei Promessi Sposi, quando riflette sul filosofo greco Carneade, in mancanza d’appigli potremmo anche noi pensare a tutta prima che «doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico». E, nel caso lo facessimo, non sbaglieremmo mica di molto, soprattutto grazie alla seconda delle definizioni manzoniane di cui sopra. Alessandro Spina è stato, infatti, un “letteratone” appartato e ingombrante - anche sul piano fisico: era un omaccione alto e spesso, dotato, per di più, di una folta barba da manuale - che aveva un rapporto, diciamo così, “difficile” col suo tempo (che poi è anche il nostro, spinianamente guasto e desolato, dei cosiddetti boomers), quel letteratone preferendo a quest’oggi, e di gran lunga, il bel tempo andato dell’Ottocento romantico e borghese e, molto più indietro, l’età preziosa dell’antichità “classica”. Sull’uomo di studio invece occorre intendersi. Gran conoscitore della letteratura europea moderna, soprattutto francese e tedesca (oltre a Stendhal, fra i suoi “fari” più luminosi c’erano Robert Musil, Hugo von Hofmannsthal e Thomas Mann), Spina ha percorso con occhio da intrigato flâneur diversi mondi mentali e diverse tradizioni culturali, ma senza impantanarsi nel vizio dell’erudizione fine a se stessa. Più che uno studioso in senso proprio, Spina è stato un maestro dell’estraneità come metodo. Un isolato fuori-casta che ha scelto un nome d’ar-

te, per rivelarsi in pubblico, e che, dal suo “buen retiro” in un’ampia tenuta seicentesca di Padergnone di Rodengo in Franciacorta, ha scritto cose per le quali non è illegittimo ritenerlo il più notevole prosatore italiano dell’ultimo mezzo secolo dopo Fenoglio, alla faccia di Calvino, Moravia, Pasolini & co., e della sua molto relativa notorietà.

A questo punto, al Don Abbondio che è in noi è bene far sapere che dietro al “nom de plume” di derivazione verghiana Alessandro Spina si è nascosto per più di cinquant’anni un facoltoso imprenditore libico di stirpe siriano-maronita, ma laureato in Lettere a Milano, che in Libia aveva trascorso l’infanzia, dirigendovi poi l’azienda di famiglia dal 1953 al 1979, anche dopo la sua nazionalizzazione in seguito alla presa di potere di Gheddafi. Così come il suo amato Hermann Broch, Spina, che all’anagrafe rispondeva al bel nome risonante di Basili Khouzam, ha convissuto nei panni dello scrittore-imprenditore per oltre un quarto di secolo, dividendosi con equanime fervore fra il “negozio” dell’impresa tessile del padre e l’ozio dell’attività letteraria. La vicenda esistenzial-imprenditoriale di Spina a Bengasi meriterebbe di essere raccontata in un libro. Esistono dei diari inediti che (a quanto pare) ne dicono più di qualcosa. A noi, qui, basti sapere che nel corso delle sue mansioni commerciali e padronali Khouzam-Spina ha saputo intrattenere rapporti di buonissima, rispettosa creanza tanto con delle anziane

di Massimo Morasso

operaie cirenaiche in difficoltà quanto con Sidi Muhammad Idris al-Mahdi al-Senussi, il primo e penultimo Re di Libia. Guidare per ventisei anni un’industria in nord Africa scuote quello che possiamo immaginare sia il consueto pedigree di uno scrittore. Se l’intellettuale Khouzam-Spina fosse stato di un’altra pasta interiore, avrebbe potuto agevolmente mettersi al passo dei tempi, entrare nel cosiddetto “dibattito”, e restituire sulla pagina l’epopea del mondo del lavoro per come si dava o si era data, nel concreto, in una nostra ex-colonia negli anni (italiani) del boom, per una volta in presa diretta, dal lato dell’imprenditore, e non da quello dell’intellighentia letterata che ne parla. Ma il punto di vista e lo stile di Spina non potrebbero essere stati più lontani e in controtendenza rispetto a quella che nel secondo dopoguerra si è concretizzata come una vera e propria corrente, quella della letteratura industriale. Per inquadrarne il fiero passo anticonformista, occorre evidenziare che KhouzamSpina è stato un’eccezione anche dal punto di vista politico. Senza maschere sperimentali né sordine neorealiste, pensò alla sua scrittura come fosse un filandiere, e non soltanto (anche fuori di metafora) il padrone della filanda. Un romanzo o un racconto per lui erano così un testo, sì, ma in senso etimologico: dato che testo - ricordiamolo - deriva dal latino “textum”, con il significato originario di “tessuto, trama”, e quindi, in via traslata, di “trama di parole”. Partendo da posizioni conservatrici, Spina ha risolto il “problema” dell’engagement sul piano testuale, appunto, elaborando un vasto, variegato ma unitario affresco narrativo coloniale, dove ha gettato luce su parte dei fatti e dei misfatti imperialisti italiani in Cirenaica. Nel macro-ciclo in undici volumi de “I confini dell’ombra” (Morcelliana, 2006) i libici aggrediti e gli aggressori italiani non sono, in fondo, che i deuteragonisti sulla scena di un’immane tragicommedia, che Spina è riuscito a rendere storia verosimile con l’autorevolezza stilistica del gran signore-scrittore dalla doppia anima - l’araba di cultura maronita e l’europea - avvezzo ai modi e alle cadenze del miglior decadentismo. Nonostante la sua sdegnosa, quasi “mitica” appartatezza, negli ultimi anni Spina è stato al centro di alcune iniziative e attenzioni d.o.c. Nel 2007 ha vinto il Premio Bagutta; nel 2009 la comunità monastica di Bose gli ha dedicato una giornata di studi; nel 2010 il quotidiano “Avvenire” gli ha affidato, per un anno, la rubrica settimanale “Realtà e finzione” (titolo che anticipava il focus di questo numero di Genova Impresa!); nel 2011 la rivista “Paragone” lo ha celebrato con un numero monografico... Sempre nel 2011, nei mesi dell’intervento militare internazionale in Libia, Spina è stato inseguito dalla stampa nazionale per un commento autorevole su quella tragedia e, più in generale, sulle “primavere arabe” allora in corso nei paesi del Nord Africa. Possiamo leggere il suo “Mi occupo di storia, non di cronaca” in risposta alle voluttà informative dei giornalisti come un ennesimo, laconico suggello della sua arguzia blasé. E tuttavia, possiamo interpretarlo anche come un episodio sintomatico dell’aura di autorevolezza che emanava, tanto sulla pagina quanto di persona, da libero, sornione pensatore d’apparente retroguardia, che pensa all’inattualità e alla meditazione nei tempi lunghi come a qualcosa di necessario per cogliere il quid che è bene cogliere nell’inesorabile scorrere del tempo.●

BASILI KHOUZAM

Di famiglia cristiano maronita, laureato in Lettere, a Milano, Basili Khouzam (Bengasi, 8 ottobre 1927 - Rovato, 11 luglio 2013) è stato un imprenditore e, con lo pseudonimo Alessandro Spina, uno scrittore siriano naturalizzato italiano. Autore prolifico e intellettuale finissimo, ha intrattenuto rapporti con figure di primo piano della cultura italiana, fra i quali Cristina Campo, Pietro Citati, Elémire Zolla, Camillo Togni, Alfredo Cattabiani e Claudio Magris. I suoi romanzi (pubblicati via via da Mondadori, Garzanti, Rusconi, Scheiwiller, Ares e Morcelliana) sono confluiti nel 2006 nell’imponente ciclo narrativo di quasi 1.300 pagine “I confini dell’ombra”, edito da Morcelliana.

Spina è stato anche un eccellente scrittore di novelle, racconti e romanzi brevi: “Storie di ufficiali” (Mondadori 1967), “Nuove storie di ufficiali” (Ares 1994) e “Altre sponde” (Morcelliana 2008) ne fanno un sicuro maestro anche di questi generi.

Saggista e orientalista, ha curato alcune notevoli traduzioni: la “Storia della città di rame” (Scheiwiller 1963 e L’Obliquo 2007), le “Cinque novelle arabe” (Scheiwiller 1978) e la “Catastasi” di Sinesio di Cirene (Scheiwiller 1980).

Negli ultimi anni di vita, sempre per Morcelliana ha dato alle stampe dei libri di taglio saggistico e autobiografico: “Diario di lavoro” (2010), “L’ospitalità intellettuale” (2012) ed “Elogio dell’inattuale” (2013).●

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