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SO MMAR I O
4 editoriale
VISTA SUL PORTO di Paolo Capobianco
6
Confindustria
AMICA CHIMICA ON STAGE di Massimo Morasso
AUSIND SERVIZI CHE FANNO IMPRESA
10 l’intervista
SCIENZA, CONSAPEVOLEZZA, COMPORTAMENTI di Piera Ponta
Paolo Capobianco
Luca Ferraris
15
36 da Genova a... LINEA ALL’INVIATO di Matilde Orlando 5/ 2023
terra / mare
RISORSA MARE di Valerio De Molli
L’ANNO DELLA SVOLTA
IMPRESE RIGENERATIVE di Paola Iacona
NEI MARI DEL MONDO
UN PARCO SUL MARE di Isabella Rhode
MOBILITÀ SOSTENIBILE di Vincenzo Cellario Serventi
SYNTONIA, DI NOME E DI FATTO
STAY TUNED di Piera Ponta
COLOMBO, IL SUO MARE, LA SUA CITTÀ di Carlotta Gualco
38 competizione & sviluppo
PASSATO, PRESENTE E OLTRE
GUARDANDO AL FUTURO di Fabrizio Fabbri
UN COMPLEANNO SPECIALE di Elena Visentini
UNA STORIA LUNGA SESSANT’ANNI di Francesca Sanguineti
UNA NUOVA STELLA
GO 2 FOOD SAVING di Luigi Bottos
SOLUZIONE TEM
Gmg Net
LO SCARTO FA LA DIFFERENZA di Giuseppe Caruso
62 ESG
MISURARSI PER MIGLIORARE
L’IMPORTANZA DEI DATI di Luigi Zanti
LA SFIDA DELLE TRANSIZIONI di Corrado Pardi
PSA ITALY di Tiziana Gianuzzi
74 Europa
DESTINAZIONE UE di Leopoldo Da Passano
76 Confindustria La Spezia
B2B MARE LA SPEZIA
78 piccola industria
QUALITÀ, PREZZO, PRESTAZIONI Federico Rossi
82 giovani
ELEVATOR PITCH di Matilde Orlando
86 comunicazione
SBAGLIANDO SI IMPARA di Amelia Venegoni
91 Fondazione Ansaldo ACCIAIO SUL MARE
94 la città SUPEREROI
GENOVA NARRA
SOUX GENOVA
100 cultura & società UN INCONTRO FELICE di Luciano Caprile
103 industria & letteratura
POLIEDRICO BUZZI di Massimo Morasso
EDITORIALE
di Paolo Capobianco
L’Economia del Mare rappresenta da sempre un tema centrale per Genova. Basti pensare che solo le aziende concessionarie del porto di Genova iscritte a Confindustria Genova superano le 150 unità. Un numero elevato che non ha paragoni tra le altre Territoriali marittime del sistema Confindustria. Le aziende che fanno parte del nostro cluster marittimo si caratterizzano per la varietà delle dimensioni (grandi, medie e piccole) e per la pluralità dei servizi offerti alla clientela (navalmeccanici, terminalisti, operatori della logistica e dei servizi marittimi). A livello nazionale ci apprestiamo a seguire l’iter della riforma dei porti: la legge nº 84/1994 in vigore, per molti versi ancora moderna e attuale, era stata emendata in maniera per noi non del tutto condivisibile dal Ministro Graziano Delrio: le Autorità Portuali accorpate in Autorità di Sistema, prescindendo in alcuni casi anche dal vincolo territoriale regionale, come per La Spezia e Carrara; il ruolo preponderante affidato al pubblico e, in particolare, agli enti locali nella governance delle Autorità di Sistema, che talora ha finito per marginalizzare il ruolo di proposta del porto... tutto ciò a scapito della parti sociali il cui ruolo, fondamentale nelle dinamiche quotidiane, è stato di fatto relegato a funzione meramente consultiva su alcune materie. In questi anni, infatti, si è constatato un concreto svilimento della partecipazione delle imprese negli organi collegiali portuali quale, ad esempio, l’Organismo di Partenariato della Risorsa Mare. Tutti elementi che evidenziano la necessità di
modifiche ulteriori, in un’ottica di revisione d’insieme, sempre guardando al complessivo rilancio competitivo della portualità nazionale. Le soluzioni finalizzate a garantire una effettiva e concreta partecipazione di tali rappresentanze possono essere molteplici, a partire dalla totale riconfigurazione della governance portuale. In questo senso, la strada che si ritiene utile percorrere è quella di intervenire sull’attuale normativa, al fine di: definire con chiarezza, ampliandole, le materie di competenza degli organi consultivi; esplicitare l’obbligatorietà del passaggio di valutazione preventiva, formalizzato in un atto scritto oggetto di formale deliberazione; prevedere idonee e congrue tempistiche per la sottoposizione delle questioni agli organi consultivi e l’invio della relativa documentazione, al fine di consentire un’effettiva disamina. Anche la natura giuridica delle Autorità di Sistema Portuale è un tema che necessita di approfondimento: dall’attuale inquadramento quale ente pubblico non economico di rilevanza nazionale a ordinamento speciale, si potrebbe valutare una strutturazione giuridica di ente pubblico economico, al fine di contemperare in modo contestuale da un lato l’esigenza di operare con flessibilità e senza vincoli sistemici le scelte economiche necessarie e, dall’altro, il mantenimento di poteri pubblicistici che sono necessari a governare il sistema portuale. L’Autorità di Sistema Portuale è giuridicamente qualificata come ente pubblico non economico di rilevanza nazionale a ordinamento speciale “... ed è
dotato di autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria” (Art. 4, comma 5, della Legge 84/1994). Tale configurazione inquadra, pertanto, le AdSP quale “prolungamento” sostanziale della struttura ministeriale e, attualmente, del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, avendo tra gli scopi istituzionali la gestione e l’organizzazione di beni e servizi nel rispettivo ambito portuale. Se a livello nazionale l’inquadramento giuridico delle AdSP non desta significative criticità, anche a fronte di un orientamento della giurisprudenza che propende a riconoscere la natura non imprenditoriale delle attività svolte dalle Autorità di Sistema Portuale italiane, una situazione sostanzialmente diversa è invece rinvenibile a livello comunitario. In particolare, la Commissione europea ha aperto nel novembre 2019 un’istruttoria nei confronti dell’Italia per verificare la compatibilità o meno dell’esenzione dalla tassazione delle Autorità di Sistema Portuale alla disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato. A conclusione di tale procedimento, nel dicembre dello scorso anno, ha ribadito il suo orientamento - peraltro consolidato anche nella giurisprudenza comunitaria - secondo il quale le AdSP, laddove svolgono una attività economica e a prescindere dalla loro forma giuridica, devono sottoporre il relativo reddito prodotto a tassazione. In sostanza, per la Commissione Europea ciò che rileva ai fini dell’imposizione fiscale è la sostanza delle attività svolte e non la veste giuridica dell’ente che le svolge. Sulla base di questi presupposti, ha quindi chiesto di abolire l’esenzione dall’imposta sulle società (Ires) di cui beneficiano gli scali nazionali allo scopo di allineare il sistema fiscale italiano alle norme UE in materia di aiuti di Stato e di adottare le conseguenti misure entro il 1º gennaio 2022. I contenuti stringenti di tale decisione, unitamente all’adeguamento da parte di altri Paesi a formali inviti precedenti di eguale tenore (da ultimo la Spagna), evidenziano l’opportunità di valutare soluzioni diverse rispetto all’attuale configurazione giuridica o, comunque, in grado di trovare il beneplacito in sede comunitaria. Da meglio definire è altresì il ruolo dell’Autorità dei Trasporti, affinché non si sovrapponga inutilmente a quello del MIT e delle Autorità di Sistema, creando complicazioni a partire dall’interlocuzione. ART ha progressivamente esteso (in taluni casi in modo non giustificato) le richieste di contribuzione al suo funzionamento a una platea sempre più vasta di soggetti operanti nel settore dei trasporti. Aggiungo altri temi: la natura dell’ente porto che, a nostro giudizio, deve rimanere pubblica, un equilibrio tra competenze centrali e locali in materia portuale che non penalizzi le competenze delle AdSP arricchite, se del caso, da un intelligente ricorso all’autonomia differenziata sono solo alcuni aspetti che la riforma dovrà attuare. Infine, un occhio vigile sulla materia del lavoro portuale che salvaguardi il ricorso ai picchi ma che garantisca nel contempo soggetti fornitori di manodopera economicamente affidabili. A livello locale ci dovremo confrontare con una nuova governance dell’AdSP del mar Ligure Occidentale che vede il commissario Paolo Piacenza guidare gli scali di Genova e Savona. Qui, è prioritario il tema del nuovo Piano Regolatore Portuale, il cui iter è iniziato lo scorso anno e per il quale la nostra Associazione ha già fornito alcune linee guida di sviluppo sia per la parte commerciale che per quella industriale. La nuova diga foranea a Sam-
pierdarena, che ridisegnerà il porto, oltre che essere fondamentale per accogliere le navi di ultima generazione nel bacino di Sampierdarena, deve essere anche occasione per ricavare più spazi a mare sia per la parte commerciale del porto che per quella industriale (porto industriale di levante). Fondamentale resta l’equilibrio tra le esigenze di sviluppo del porto e quelle della città: una sostenibilità che, a nostro giudizio, non può essere solo ambientale ma anche economica e sociale. Per questo motivo fatichiamo a comprendere certe “chiusure” sullo sviluppo della modalità ferroviaria, la più sostenibile (il riferimento al parco del Campasso è evidente); senza adeguati parchi ferroviari verrebbero meno anche le potenzialità del Terzo Valico ferroviario i cui lavori, nonostante alcuni imprevisti, si stanno completando. Un altro strumento che può favorire lo sviluppo economico del nostro territorio è l’attivazione della ZLS (Zona Logistica Semplificata) di Genova e retroporto di Genova. Oltre all’ambito portuale e a una parte del comune di Genova, la Zona Logistica Semplificata ricomprende il comune di Vado Ligure, in provincia di Savona, nonché alcuni comuni del Piemonte e della Lombardia. Da tempo stiamo aspettando un atto del Governo che sblocchi la ZLS di Genova, che consentirebbe semplificazioni autorizzatorie principalmente in termini di tempi procedimentali, ridotti di un terzo per VIA/VAS/AUA, autorizzazioni paesaggistiche/edilizie e ridotti della metà per autorizzazioni, licenze, permessi, concessioni o nulla osta. Una volta attivata, nella Zona Logistica Semplificata potrebbero essere incentivati investimenti tramite i crediti d’imposta, ove applicabili, nonché tramite i fondi strutturali comunitari. Anche il tema delle infrastrutture riveste per il nostro territorio e per il nostro scalo vitale importanza. Come Confindustria Genova consideriamo prioritaria la realizzazione della Gronda di Ponente nonché le infrastrutture ferroviarie in via di realizzazione (Terzo Valico, Nodo ferroviario di Genova ecc.). Sulle opere che impattano sull’operatività portuale, quali, ad esempio, la realizzazione della nuova sopraelevata portuale o del tunnel subportuale, occorre fare in modo che tutti i soggetti (sia del ramo commerciale che di quello industriale) interferiti in forma definitiva totale o parziale trovino, in tempi rapidi, adeguata sistemazione in ambito portuale alle medesime condizioni economiche e concessorie. Sul tema della digitalizzazione del ciclo portuale, infine, con particolare riferimento al comparto commerciale, mi preme evidenziare che le aziende terminaliste associate a Confindustria Genova hanno di recente costituito un Consorzio finalizzato, in collaborazione con spedizionieri e agenti, all’ottimizzazione e gestione del sistema informatico PCS (Port Community System), piattaforma che consente il dialogo tra i sistemi informatici utilizzati dai diversi attori della filiera dei trasporti e della logistica legati al porto di Genova, pubblici (Guardia Costiera, Agenzia delle Dogane e Guardia di Finanza) e privati (compagnie di navigazione, agenti marittimi, spedizionieri e autotrasportatori). Su questi e altri temi ci confronteremo con tutti gli Associati e, in particolare, con i colleghi della Commissione Economia del Mare e con le Sezioni a maggiore connotazione portuale di Confindustria Genova.●
Paolo Capobianco è Vice Presidente Confindustria Genova con delega all’Economia del Mare
CONFINDUSTRIA
Al via, in collaborazione con la Scuola di Recitazione del Teatro Nazionale di Genova, il progetto di comunicazione della Sezione Chimica, Materiali e Stampa di Confindustria Genova.
di Massimo Morasso
Nel primo numero del 2023 della nostra rivista avevamo segnalato l’allora prossimo avvio di “Amica Chimica”, un progetto di divulgazione scientifica che la Sezione Chimica, Materiali e Stampa di Confindustria Genova stava iniziando a costruire con l’obiettivo di portare all’attenzione, a più livelli, l’idea della chimica come valore. A qualche mese di distanza, quell’intenzione, nata da una felice intuizione del presidente della Sezione Vincenzo Rialdi, si è fatta realtà, concretizzandosi in una serie di iniziative di sensibilizzazione ad ampio spettro e inusitata qualità creativa. L’insieme del progetto è stato illustrato pubblicamente pochi giorni fa, il 10 ottobre scorso, al Teatro Stradanuova di Palazzo Rosso, alla presenza, tra gli altri, degli studenti delle classi quinte dell’Istituto Gastaldi. Ai saluti di taglio istituzionale del Presidente di Confindustria Genova Umberto Risso ha fatto seguito l’appassionata presentazione di Vincenzo Rialdi e l’intervento “Miti, leggende e realtà di una disciplina maltrattata” del chimico e divulgatore scientifico di chiara fama Silvano Fuso. Nel titolo dell’applauditissima relazione di Fuso, in quattro parole e un aggettivo si combinano molte delle ragioni profonde che hanno ispirato Rialdi e i suoi colleghi di Sezione a dar corso all’avventura di “Amica Chimica”. Sono ragioni che, nella loro apparente semplicità, evidenziano il doppio binario lungo il quale la nostra società della comunicazione di massa si sta muovendo intorno alla questione-chimica: una questione spinosa, che investe un comparto produttivo importante ma “maltrattato”, spesso, dalle politiche editoriali e di comunicazione dei media disposti ad avallare stereotipi e pregiudizi pre- e/o anti-scientifici, oggi all’ordine del giorno. Se è sempre più evidente, infatti, che la chimica nel suo complesso contribuisce in modo rilevante al benessere dell’umanità, è indubbio che la sua percezione pubblica sia figlia del racconto di tutta un’altra storia, tanto che la chimica è ritenuta dai più come una sorta di sovrastruttura “innaturale”, e potenzialmente pericolosa, della natura. Negli ultimi anni, in particolare, le narrazioni dei più estremistici e antagonistici fra gli araldi della cultura green stanno contribuendo a delegittimare su vari piani della coscienza collettiva l’immagine di quella che, in passato e fino a ieri, è stata spesso chiamata la “scienza centrale”, poiché è proprio la chimica a connettere le altre scienze naturali. Tutto è chimica, in effetti, e la chimica serve a tutto (nel senso primoleviano che “serve a inserirsi in qualche modo nelle cose concrete”: il che, detto altrimenti, vuol dire anche che serve all’uomo per comprendere le strutture e i meccanismi di funzionamento della realtà, stimolandolo nella sua attitudine al fare, e al fare sempre meglio, per sé e per gli ecosistemi nei quali vive e opera, e con i quali interagisce), eppure oggi i prodotti della chimica sono sospetti, li si ritiene responsabili di diversi problemi ambientali, e magari, sotto sotto, anche dannosi per la salute. Ma è proprio così?, invita a riflettere “Amica Chimica” nell’affiancare le sue diverse voci a quella di Fuso e di tanti altri uomini e donne di scienza, ricerca e attività di “public speaking” non faziosi e avveduti, mettendo a disposizione della collettività, per quanto riuscirà a farsi conoscere, i risultati di un piccolo e tuttavia prezioso programma di azioni e contenuti atti a veicolare delle informazioni corrette sulla chimica, e non “mitologie” e “leggende”. Per farsi strumento condivisibile di un’obiettiva coscienza critica del rapporto in atto fra la
scienza chimica e la vita quotidiana di tutti noi, Rialdi e i suoi collaboratori hanno pensato di ricorrere a un sorprendente connubio fra parole, immagini e... corpi in azione, e hanno coinvolto la Scuola di Recitazione del Teatro Nazionale di Genova. Ne è nata “Amica Chimica on Stage”, una micro-rassegna teatrale ora raccolta in una serie di quattordici brevi materiali audio-visivi, basati su altrettante notizie e curiosità legate al mondo della chimica, che saranno presto pubblicati anche on-line. “Amica Chimica On Stage” unisce la qualità a un tempo intrigante e rigorosamente scientifica dei testi concepiti da Rialdi nelle sue “Questioni di Chimica” al forte, straniante impatto estetico ed emotivo della recitazione teatralmente impostata di sei giovani attori in erba (Raffaele Barca, Elisa Carucci, Pietro Desimio, Marco Gualco, Silvia Pelizza e Susanna Valtucci) coordinati dalla regista Mercedes Martini. Nel corso della presentazione di Palazzo Rosso, quattro delle “pillole” video sono state recitate dal vivo e sono servite da stimolo ai commenti di alcuni degli operatori di settore presenti in sala. Le prossime tappe del progetto, tuttora in corso, prevedono la partecipazione di “Amica Chimica” al Festival della Scienza, con una postazione di taglio informativo e promozionale che sarà allestita presso Piazza delle Feste in Porto Antico, e la partecipazione di Rialdi, il 30 ottobre, sempre nel contesto del Festival, all’incontro a più voci “Plastica sostenibile”, dove il ricordo di Giulio Natta, l’inventore del polipropilene, nel sessantesimo anniversario dell’attribuzione al grande imperiese del Premio Nobel per la Chimica, offrirà l’occasione per parlare di plastica sostenibile, e del ruolo delle plastiche nel futuro e nell’economia circolare.●
Il testo che segue è “‘Naturale’, ‘sicuro’, ‘green’, ‘sostenibile’: quanta confusione”, una delle Questioni di Chimica scritte da Vincenzo Paolo Maria Rialdi per il progetto “Amica Chimica”.
La definizione di sostanza o di prodotto naturale è oggetto delle più stravaganti e libere interpretazioni e di diatribe senza fine, anche perché non vi sono specifiche normative di riferimento. Per quanto attiene alla sicurezza del consumatore e degli operatori, ogni settore possiede robusti e oggettivi strumenti di validazione e di controllo che sono applicati con rigore e che non devono quindi privilegiare la presenza di sostanze di origine “naturale” rispetto a quelle provenienti da altre fonti. Anche per quanto riguarda la tutela dell’ambiente, si è spesso tratti in inganno perché in realtà “naturale” non è necessariamente sinonimo di “green” o “sostenibile”: a conti fatti, una sostanza “naturale” può infatti essere decisamente più impattante di una realizzata per sintesi. L’argomento è estremamente razionale e scientifico ed è così che va approcciato, non certo su base emotiva o peggio ancora con pregiudizi. Esistono tecniche e metodi ufficiali riconosciuti e condivisi per calcolare con precisione gli impatti che sostanze e prodotti hanno nel loro intero ciclo di vita, per poter effettuare confronti attendibili e per studiare come e quanto questi impatti possano essere migliorati.●
CONFINDUSTRIA
La società di servizi di Confindustria Genova, presieduta da Paolo Marsano, si rinnova nel brand e amplia la sua offerta.
All’AD Marcello Bertocchi (anche vice direttore di Confindustria Genova), si affianca Deborah Gargiulo, nuovo responsabile commerciale e marketing di Ausind.
Ausind, società di servizi controllata al 100% da Confindustria Genova, dal 1978 sostiene e tutela lo sviluppo delle imprese, in continuità con la consulenza e l’azione di rappresentanza esercitate dall’Associazione. Per i suoi 45 anni Ausind si regala una nuova veste grafica e una proposta con oltre 130 servizi per essere sempre più aderente ai bisogni delle imprese.
Un nuovo logo, un payoff che esprime la natura stessa della società di servizi di Confindustria Genova, un nuovo font e cinque categorie strategiche rinnovano l’offerta e il rapporto tra le imprese e la rete selezionata di esperti in materie specialistiche, che operano in staff con la società.
Da 45 anni imprese e imprenditori possono avvalersi di consulenze mirate per adempiere alle norme o per trasformare in opportunità gli obblighi derivanti dagli adempimenti normativi, avviare progetti personalizzati, ricevere informazioni sulle nuove opportunità e avviare percorsi di formazione.
Formazione, Competitività, Sicurezza, HR Solutions e Comunicazione sono le nuove macro aree di intervento, identificate con cinque colori diversi, grazie alle quali ricercare con facilità i servizi di interesse, attivarli e ricevere l’assistenza per ogni singolo ambito. Grazie alla conoscenza delle dinamiche impren-
ditoriali, l’erogazione dei servizi di Ausind supporta oltre 80 temi attuali e centrali per la crescita e lo sviluppo aziendale, in continuo aggiornamento per sostenere costantemente la competitività, il business e la visibilità dell’impresa sul territorio, grazie ai media direttamente gestiti e agli eventi B2B che si possono realizzare: il tutto, con l’impegno e l’attenzione di sempre.
Alla consolidata esperienza in materia di prevenzione e sicurezza sul lavoro, prevenzione incendi, pronto soccorso, prodotti che fanno di Ausind da anni il partner di molte aziende - associate e non associate al sistema confederale - si accosta oggi una gamma di servizi ancora più ampia, nata dall’attenzione ai nuovi driver come mobilità, sostenibilità ambientale, transizione energetica, internazionalizzazione, benessere organizzativo, cyber security.
Formazione (abilitazione, formazione specifica, aggiornamento), accesso alla Finanza agevolata, Ambiente, Sicurezza, Buste Paga, Benessere Organizzativo, Mobilità, Consorzi Energia e Gas, Internazionalizzazione, Consulenza sui temi strategici per singola area aziendale, Comunicazione, Eventi e Noleggio di spazi per seminari e convegni, sono solo alcuni dei servizi che rendono oggi Ausind un partner ideale per l’impresa, indipendentemente dal-
Marcello Bertocchi Deborah Gargiulo
Paolo Marsano
la sua dimensione e dalla sua attività prevalente. La collaborazione con il Centro Studi di Confindustria Genova, le nuove misure di politica attiva messe in campo da Regione Liguria e i bisogni espressi dalla Grande azienda e dalla PMI del territorio contribuiscono a orientare l’aggiornamento della proposta di Ausind, che progetta servizi e propone percorsi formativi mirati alle nuove figure professionali emergenti, anche in accordo con importanti realtà. Un esempio tra tutti è l’accordo di collaborazione con Leonardo Spa a favore delle PMI per promuovere e sostenere la cultura aziendale sui temi della sicurezza informatica e protezione dei dati personali.
L’attenzione ai profili professionali e allo sviluppo delle competenze rende i servizi di Ausind soluzioni ideali per la crescita del capitale umano e il sostegno al ruolo in azienda, in un momento dove l’attenzione alla persona è al centro del modello organizzativo delle imprese.
La proposta è rivolta sia all’imprenditore, che decide di avviare percorsi specifici, sia alle varie figure che ricoprono incarichi e responsabilità specifici all’interno dell’azienda: Responsabile del Personale, Responsabile Acquisti, Ambiente, Responsabile Amministrativo, Finanziario, Responsabile Internazionalizzazione, Relazioni Esterne, Comunicazione & Marketing, Responsabile IT, Privacy, Energy Manager, HSE Manager, RSPP, Mobility Manager possono contare su servizi a loro riservati, scegliendo il livello di collaborazione più
idoneo al raggiungimento dell’obiettivo e del percorso da intraprendere. Questo grazie alla diversa tipologia di acquisto dei servizi (consulenza, assistenza, check-up tematici, gestione operativa, attivazione di uno specifico ambiente informatico, assunzione di specifici ruoli esterni ecc.) che consente oggi al cliente di Ausind di scegliere in autonomia il livello di collaborazione da avviare; tutti i servizi sono infatti pensati in un percorso a step per offrire una soluzione puntuale, una consulenza, una gestione operativa, per arrivare alla presa in carico e al raggiungimento del risultato. Ausind gestisce anche richieste di finanziamento sulle attività formative utilizzando i Fondi Interprofessionali, con particolare riferimento a Fondimpresa e Fondirigenti e, come ente di formazione accreditato in Regione Liguria, partecipa a Bandi Formativi Regionali; è socio del Digital Innovation Hub Liguria, per accompagnare le imprese nei processi di innovazione tecnologica; collabora con altre società di servizi del sistema confederale per soddisfare il maggior numero di bisogni delle imprese. «La società di servizi di Confindustria Genova deve rappresentare lo strumento grazie al quale le imprese trovano soluzioni mirate - dichiara Paolo Marsano, Presidente di Ausind -. Innovazione, verifiche e adeguamenti continui, nuove fonti di risparmio e aggiornamento delle competenze a supporto del business sono valori che la nostra proposta deve saper soddisfare al meglio».●
di Piera Ponta
Le tre parole che la Fondazione CIMA ha scelto per descrivere il proprio lavoro rappresentano momenti di un percorso che tutti, indistintamente, siamo chiamati a intraprendere di fronte agli effetti dei cambiamenti climatici.
Scienza, consapevolezza, comportamenti
“ La nostra Protezione Civile è riconosciuta come una best practice a livello mondiale”
“ La comunità scientifica è allineata sui cambiamenti climatici: possiamo mitigarli, ma dobbiamo, soprattutto, imparare a gestirli”
“ Ai giovani che manifestano per l'ambiente vanno forniti strumenti di conoscenza e di azione”
Luca Ferraris
Fondazione CIMA è un ente di ricerca fondato nel 2007 dal Dipartimento della Protezione Civile - Presidenza del Consiglio dei Ministri, dall’Università degli Studi di Genova, dalla Regione Liguria e dalla Provincia di Savona, su iniziativa Franco Siccardi, allora ordinario di Ingegneria dell’Università degli Studi di Genova, e con l’appoggio di Bernardo De Bernardinis, in quegli anni Vice Capo Dipartimento della Protezione Civile; dal 2019 fa parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione anche Arpal Liguria. Nella sede presso il Campus universitario di Savona, 140 tra ricercatrici e ricercatori provenienti da diversi Paesi si occupano dello studio, della previsione e della prevenzione dei rischi legati ai cambiamenti climatici: alluvioni, siccità, fenomeni meteorologici estremi, incendi boschivi, perdita di biodiversità terrestre e marina; attualmente sono più di
100 i progetti di ricerca in corso a livello nazionale e internazionale, attraverso i quali la Fondazione CIMA, guidata da Luca Ferraris, ricercatore in Costruzioni idrauliche, marittime e idrologia all’Università di Genova, contribuisce allo sviluppo di soluzioni per la mitigazione del rischio idrometeorologico, a tutela della salute pubblica e della salvaguardia degli ecosistemi.
Presidente, Fondazione CIMA svolge un ruolo determinante ai fini della pianificazione delle misure da mettere in atto per prevenire o affrontare in modo adeguato situazioni particolarmente critiche in caso di eventi estremi. Può farci qualche esempio della vostra attività?
Noi sviluppiamo metodologie e algoritmi per la previsione e la prevenzione di questi eventi, in modo che, nel caso dovessero accadere, si sia pronti ad affrontarli. Stiamo lavorando molto con le Nazioni Uniti, in diversi paesi dell’Africa, in Europa... In Ucraina abbiamo predisposto un sistema di previsione di eventi estremi a supporto di tutti i soggetti impegnati nell’assistenza alla popolazione; un sistema analogo lo abbiamo implementato in Sudan dopo il golpe del 2021. Seguiamo una serie di progetti nell’ambito dei quali siamo interlocutori della Protezione Civile dell’UE in materia di alluvioni e incendi boschivi, e da parecchi anni collaboriamo con l’African Union (l’organizzazione internazionale e area di libero scambio che comprende tutti gli Stati africani, ndr), con la quale condividiamo modelli e strumenti messi a punto nel corso degli anni. Teniamo presente che la nostra Protezione Civile, soprattutto nella componente definita “early warning” degli eventi estremi, è riconosciuta come best practice a livello mondiale, potendo vantare una lunga esperienza “sul campo”, anche a causa della conformazione geologica e geomorfologica del nostro Paese, e avendo saputo far tesoro dei nostri errori. I progetti della Fondazione (attualmente ne abbiamo in corso oltre 100) ci offrono l’opportunità di cooperare a livello internazionale e di attirareoltre che di trattenere! - ricercatori molto qualificati.
Tra gli ambiti di ricerca della Fondazione CIMA c’è l’osservazione della Terra. Che cosa si intende per “osservare la Terra” e quali sono le applicazioni più comuni dei risultati di questi studi?
L’osservazione della Terra consiste nella raccolta di informazioni sui sistemi fisici, chimici e biologici del nostro pianeta, che avviene attraverso le stazioni meteorologiche distribuite sul territorio e - in larga parte - attraverso i satelliti. Per noi i dati satellitari non sono “semplici” immagini, ma elementi che si integrano con modelli per la previsione di incendi, di inondazioni o di alluvioni, o sull’evoluzione degli ecosistemi. Per i progetti che seguiamo in alcune parti del mondo sono anche gli unici dati disponibili. Recentemente, per esempio, abbiamo utilizzato le informazioni provenienti dai satelliti “sentinella” del programma europeo Copernicus e dal satellite italiano COSMO-SkyMed per mappare e monitorare le aree della Libia colpite dalla terribile inondazione di metà settembre; lo abbiamo fatto anche per l’alluvione in Emilia Romagna, per capire l’evoluzione del fenomeno sia nella fase di estensione che nella fase di ritiro e quindi fornire alla Protezione Civile gli elementi necessari alla gestione
dell’emergenza. I dati satellitari sono utilissimi anche per monitorare le aree bruciate, attraverso l’esame dello stato della vegetazione e dell’umidità del terreno: questi due tipi di informazioni sono particolarmente importanti per calcolare il rischio di incendi boschivi e prevederne la possibile propagazione. Qui nel Campus abbiamo una sala operativa, presidiata H24, dalla quale prestiamo assistenza scientifica alla Protezione Civile, alla Regione e a tutti quegli organismi, nazionali e internazionali, che possano avere bisogno di dati e scenari in tempo reale per valutare il livello di allerta di un certo fenomeno e organizzarsi di conseguenza.
Dopo la Terra, il Mare. Cosa pensano i ricercatori della Fondazione CIMA della salute del nostro Mediterraneo e, in particolare, del Mar Ligure?
Quest’anno nel Mediterraneo e, in particolare, nel Mar Ligure, l’acqua ha raggiunto la temperatura record di 28,7ºC. L’ambiente marino sta soffrendo a causa dei cambiamenti climatici e delle alte temperature: alcune specie riescono ad adattarsi, altre, come i molluschi e il coralligeno hanno più difficoltà e rischiano di scomparire. Al nostro mare stanno mancando gli inverni freddi, durante i quali si generano dei moti verticali che aiutano a trasportare verso il basso ossigeno e nutrienti importanti. In generale, i cambiamenti climatici stanno avendo sull’ambiente marino un impatto molto evidente e più rapido di quanto ci saremmo aspettati. Del tutto inconsueto, per esempio, è stato,
quest’anno, l’alto numero di avvistamenti di balenottere sotto costa, decisamente maggiore rispetto a quello calcolato dai nostri modelli o che avevamo registrato negli anni passati. Probabilmente la ragione sta in una maggiore disponibilità di cibo sotto costa, dovuta alle temperature più elevate che hanno favorito la fioritura di fitoplancton, ma il fenomeno ha acuito il rischio di collisioni con le imbarcazioni. L’osservazione del comportamento delle otto specie di cetacei che vivono regolarmente nel Mediterraneo è fonte di preziose indicazioni sullo stato di salute del nostra mare; in particolare, Fondazione CIMA possiede uno dei database più completi sullo zifio, un grosso delfino capace di scendere a grandi profondità, di cui indaghiamo le preferenze di habitat e le dinamiche di popolazione.
Parliamo di cambiamenti climatici: sul tema l’opinione pubblica si divide tra negazionisti, indifferenti e catastrofisti; ad alimentare le convinzioni di ciascuno, la valanga di informazioni approssimative e relative interpretazioni.
Vero. Da una parte abbiamo quelli che sostengono che non stia succedendo nulla che non sia già successo nelle ere passate, che la Terra è sempre sopravvissuta e ancora sopravviverà (la Terra, appunto, ma non è detto che ci riesca la specie umana); dall’altra parte abbiamo chi prefigura scenari apocalittici perché non ci si ricorda di un mese di ottobre così caldo... Oggi, sul tema dei cambiamenti climatici
la comunità scientifica internazionale è allineata e possiede le conoscenze per mettere in campo azioni di mitigazione contro gli effetti dannosi di tali cambiamenti e azioni di adattamento per non dover rincorrere i fatti o gestire l’emergenza. Sappiamo che sempre più spesso avremo periodi di siccità alternati a giornate dove cadrà la pioggia che mancava da mesi, così come sappiamo che la neve (che costituisce la riserva d’acqua più efficiente per l’alimentazione dell’ecosistema) scenderà a quote sempre più alte. In Liguria registreremo inverni molto più caldi, soprattutto nell’entroterra: guardando al bicchiere mezzo pieno, questo significherà che luoghi e borghi abbandonati nei decenni passati, perché poco confortevoli dal punto di vista del clima, potranno tornare a essere vissuti, addirittura rappresentando (anche grazie alle connessioni tecnologiche) una valida alternativa alla città e alla riviera. Le conoscenze sui cambiamenti climatici in atto di cui la comunità scientifica dispone possono anche essere strategiche nella pianificazione dello sviluppo economico e turistico del territorio. I cambiamenti climatici riguardano tutti e devono essere affrontati secondo un’etica orientata al bene comune e non per rispondere al bisogno del singolo; ai tanti giovani che manifestano contro i cambiamenti climatici vanno forniti strumenti di conoscenza e di azione, altrimenti movimenti come i Fridays for future rimarranno confinati dove loro stessi si stanno confinando, nel perimetro di un conflitto tra generazioni.●
economia n industria n ambiente n mobilità rigenerazione urbana n formazione n cultura
RISORSA
Mare
I risultati del primo Forum di The European House - Ambrosetti dedicato all’Economia del Mare.
L’Economia del Mare rappresenta una risorsa fondamentale per l’Italia, che si colloca al terzo posto in Europa sia per valore aggiunto generato - pari a 24,5 miliardi di euro nel 2019 - che per numero di occupati - contando più di 450.000 posti di lavoro direttamente coinvolti nel settore. Consapevole del forte impatto di questa componente economica nel contesto nazionale ed europeo, The European House - Ambrosetti, in collaborazione con il Ministero per la Protezione Civile e le Politiche del mare e con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha realizzato il 14 e 15 settembre 2023 a Trieste la prima edizione del Forum Risorsa Mare.
Il principale obiettivo del Forum è stato quello di aprire un dibattito che mettesse al centro dell’attenzione di istituzioni e stakeholders la competitività e l’attrattività dell’intera filiera del mare. L’iniziativa ha tenuto conto del nuovo Piano Nazionale del Mare, di cui si sono dotati Governo e Parlamento per avviare una politica marittima unitaria e strategica. Il Piano prevede 16 direttrici volte a preservare e valorizzare la Risorsa Mare. Basandosi su queste direttrici, The European House - Ambrosetti ha identificato 8 macro-aree di opportunità per migliorare il sistema-Paese: shipment e
portualità; industria marittima; energia del mare; filiera ittica; subacquea; tutela ambientale; turismo costiero e cooperazione internazionale.
Nella prima macro-area, l’Italia si posiziona al terzo posto in Europa per la movimentazione di container, contribuendo al 13,1% delle TEU (tewenty-foot equivalent unit) movimentate in tutto il Mediterraneo. In particolare, il nostro Paese è leader nel trasporto marittimo a corto raggio, una tipologia sempre più rilevante nel quadro di regionalizzazione delle catene del valore. In aggiunta, tra il 2016 al 2021 l’Italia ha migliorato il proprio punteggio di 12,1 punti nel Liner Shipment Connectivity Index, riducendo così il divario con i porti del Nord Europa. Per mantenere questi risultati è però necessario continuare a investire in infrastrutture, digitalizzazione e sostenibilità. Si propone, dunque, la creazione di una governance unitaria per il Sistema Portuale italiano, l’assegnazione di autonomia finanziaria e manageriale alle Autorità Portuali per attrarre investimenti tramite partnership pubblico-private, e l’istituzione di una Cabina di Regia degli investimenti portuali, per definire le priorità di allocazione dei fondi verso sostenibilità ambientale, digitalizzazione e sviluppo infrastrutturale.
di Valerio De Molli
Per quanto riguarda l’industria marittima, l’Italia si posiziona ai vertici mondiali nella cantieristica navale ad alta complessità tecnologica. In particolare, è prima al mondo per numero di ordini di navi da diporto e conta più di 1.300 imprese attualmente coinvolte nell’industria. Tuttavia, il settore armatoriale, pur generando 54.000 posti di lavoro, registra una carenza di più di 1100 marittimi - il 90% di cui riguarda operai non specializzati - un dato che enfatizza una mancanza di competenze all’interno della forza lavoro. A tale proposito, due principali linee d’azione sono state proposte: mettere a disposizione del settore marittimo e della cantieristica profili specializzati, per esempio attraverso la creazione di Academy Formative o attraverso iniziative di reskilling e upskilling dei lavoratori; semplificare la normativa nazionale e promuovere un’azione UE per contrastare azioni di dumping fiscale da parte di altri Stati Membri. Con riferimento al settore energetico, il nostro Paese rappresenta un player di rilevanza mondiale nella cosiddetta energia del mare. L’Italia è l’unico Paese UE da cui transitano 5 metanodotti, di cui 3 attraversano il Mediterraneo, con una capacità cumulata di 51 mld m3 di gas annui (12% dei consumi annui UE-27). Inoltre, grazie alla conformazione dei fondali marini e al potenziamento dell’eolico offshore galleggiante, l’Italia arriverebbe a possedere un potenziale energetico di 207,3 gigawatt, corrispondente al 62% del potenziale totale di energia rinnovabile. Considerando la morfologia e del nostro Paese e le risorse energetiche a disposizione, è essenziale promuovere un’azione sistemica per favorire l’avanzamento dell’eolico offshore. Per esempio, attraverso la semplificazione delle normative e il miglioramento nella comunicazione fra Stato ed Enti Locali al fine di individuare aree strategiche destinate allo sviluppo dell’energia eolica marina.
Anche la filiera ittica risulta particolarmente sviluppata: si posiziona al terzo posto in UE-27 per valore della produzione, con un fatturato di quasi 1,4 miliardi di euro. Tuttavia, ancora una volta, per mantenere e migliorare la propria rilevanza nel settore, l’Italia deve affrontare il nodo delle competenze. La struttura occupazionale del settore della pesca in Italia presenta un’elevata età media, che spesso soffre di carenza di manodopera specializzata e certificata. A tale proposito, è necessario favorire il ricambio generazionale nel settore - anche attraendo lavoratori dal bacino del Mediterraneo - e sostenere un processo di innovazione attraverso l’insegnamento e la diffusione di modelli e metodi di pesca sostenibile. Non meno importante è la dimensione subacquea del nostro Paese, che assume una rilevanza strategica in molteplici dimensioni. Ad esempio, a livello sottomarino si trovano già oggi infrastrutture e risorse importanti: pipeline energetiche e cavi sottomarini che veicolano oggi il 97% del traffico Internet globale. In tale ottica, potenziare il già esistente Polo Nazionale della Subacquea diventa imperativo: è necessario esplorare ulteriormente questo settore e dotarlo di risorse adeguate sia in termini tecnologici che di competenze. Quando si parla della risorsa Mare, la dimensione ambientale assume un ruolo prioritario, soprattutto considerando i trend del cambiamento climatico e dei fenomeni climatici estremi. Il Mediterraneo è infatti seriamente minacciato dall’azione umana
e dal cambiamento climatico. Soltanto il 9% degli stock ittici viene pescato in modo sostenibile e ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mediterraneo, con le attività costiere responsabili della metà della plastica riversata. Inoltre, tra gli obiettivi posti dall’UE all’interno del Green Deal, l’Italia è ancora lontana dal raggiungimento del 30% di aree marine protette entro il 2030. Alla luce di questi dati, è necessario dotare il Paese degli strumenti necessari per mitigare e contrastare l’impatto del cambiamento climatico sulla dimensione marina. Ad esempio, finalizzando il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) e creando un Centro di Ricerca sul Climate Change e sui suoi impatti nel Mediterraneo. Arrivando alla settima macro-area, il turismo costiero gioca un ruolo predominante nell’economia del nostro Paese. L’Italia è la quarta destinazione turistica in UE, un posizionamento a cui contribuiscono elementi di valore collegati alla Risorsa Mare. L’Italia, infatti, ha 7.914 chilometri di coste, 643 comuni costieri e 58 siti tutelati dall’UNESCO. Tuttavia, il solo turismo costiero, in assenza di sinergie con altri settori, genera un impatto economico limitato. Per questo motivo si dovrebbe pensare a sviluppare l’offerta turistica italiana su tutto il territorio. Per esempio, attraverso l’attuazione di investimenti in strutture turistiche, il potenziamento delle infrastrutture presenti nelle principali attrazioni costiere e la realizzazione di una campagna di promozione internazionale che valorizzi l’offerta culturale e naturale del nostro Paese. Queste iniziative devono essere accompagnate dalla realizzazione di una scuola di alta formazione per le professionalità del turismo che enfatizzi la qualità dell’offerta dei servizi nel nostro Paese. Infine, è necessaria un’efficace cooperazione internazionale soprattutto nell’ambito delle migrazioni. Non possiamo ignorare i dati che evidenziano un minimo storico dei nati in Italia (meno di 400 000 l’anno), e la conseguente diminuzione della popolazione (51 milioni nel 2050). In questo contesto, una corretta gestione dell’immigrazione potrebbe rappresentare un’opportunità per migliorare il grave squilibrio demografico del nostro Paese. Proprio per questo motivo, la gestione dell’immigrazione dovrebbe essere strutturale e non emergenziale. In altre parole, è necessario realizzare una legge sull’immigrazione che favorisca, oltre agli ingressi, anche meccanismi di integrazione e mobilità sociale. In sintesi, la prima edizione del Forum Risorsa Mare ha messo in luce la strategicità di un settore che, per le proprie caratteristiche, è sempre stato caratterizzato da una profonda frammentazione e assenza di una visione unitaria. Questo limite potrebbe non consentire al Paese di raggiungere importanti risultati in molte aree a grande potenziale - come ad esempio la subacquea e il floating offshore wind - in cui per l’Italia è ancora possibile posizionarsi ai vertici europei e mondiali. Risorsa Mare, in questo senso, chiama a raccolta tutti i protagonisti del Mare, affinché ripartendo da percorsi di sempre maggiore coesione, sburocratizzazione e co-investimento pubblico-privato, l’Italia lavori per non perdere una leadership che non è solo geografica, ma anche di competenza.●
Valerio De Molli è Managing Partner & CEO, The European House - Ambrosetti
L’anno
DELLA SVOLTA
siano completati, il Salone Nautico di Genova si gode il successo della 63esima edizione.
Il 63º Salone Nautico Internazionale di Genova si è chiuso lo scorso 26 settembre con numeri da record: 118.269 visitatori con una crescita del 13,9% rispetto al 2022, 1.043 brand esposti, oltre 1.000 imbarcazioni con 143 posti barca in più in acqua grazie all’apertura dei nuovi canali. 184 novità in esposizione e premiere, 3.190 prove in mare, 1.316 i giornalisti accreditati, 2.294 articoli pubblicati e oltre 11 ore di servizi televisivi dedicati alla manifestazione. «Questi sono i numeri di un evento che continua a superarsi anno dopo anno, riflesso e interprete delle performance dell’industria nautica da diporto che si è confermata un settore solido e reattivo - ha dichiarato Saverio Cecchi, Presidente di Confindustria Nautica -. Nel 2022, il fatturato globale del settore è cresciuto del 20%, superando i 7 miliardi di euro. L’Italia è il primo produttore al mondo di barche sopra i 24 metri, primo nelle unità pneumatiche sopra i 10 metri, primo negli accessori. È, inoltre, primo esportatore mondiale di barche con una quota dell’88%, in particolare nel segmento superyacht».
Un settore che con la sua eccellenza contribuisce all’economia del nostro Paese e che ha ricevuto in questa edizione un’attenzione senza eguali: il 63º Salone Nautico Internazionale di Genova ha visto la visita del Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni e di sette Ministri dei dicasteri di riferimento.
«Il Salone Nautico rappresenta per Confindustria Nautica un forte strumento di politica industriale, luogo di confronto sui temi strategici per il consolidamento della competitività della nostra industria - ha sottolineato Marina Stella, Direttore Generale di Confindustria Nautica -. Il Salone è
inoltre contenitore di formazione con il programma dei convegni FORUM23 che quest’anno si è fregiato del patrocinio della Commissione europea, e veicolo per affermare il Made in Italy con il progetto Italian StartUp realizzato in collaborazione con ICE Agenzia. Grazie al supporto dell’Agenzia è stato inoltre rafforzato il programma di incoming che ha portato a Genova i più importanti operatori del settore e della stampa estera specializzata, provenienti da ben 35 differenti Paesi di tutti i cinque Continenti. Un Salone che dà visibilità a quanto di meglio e innovativo la nautica internazionale propone con la quarta edizione dei Design Innovation Awards, la cui Giuria internazionale ha premiato, in una serata dedicata presso Palazzo della Borsa a Genova, innovazione, sostenibilità e proiezione verso il futuro delle aziende».
Futuro che espositori e visitatori hanno apprezzato e compreso grazie al progress dei lavori del nuovo Waterfront di Levante che, anche se non ancora completato, ha dato modo di sperimentare l’assoluta potenzialità di quello che presto sarà l’hub nautico per eccellenza a livello internazionale. Grazie alla stretta collaborazione tra pubblico e privato, infatti, il progetto disegnato da Renzo Piano consentirà al Salone Nautico Internazionale di Genova di diventare il primo quartiere espositivo al mondo espressamente progettato per la nautica da diporto. Un unicum nel panorama mondiale delle manifestazioni di settore, capace di coniu-
L’ISOLA CHE ORA C’È
Waterfront di Levante, il più importante progetto di rigenerazione urbana avvenuto negli ultimi 40 anni a Genova e uno dei più importanti in Italia, è situato in una delle zone che storicamente sono da sempre iconiche e rappresentative per i genovesi, essendo la prosecuzione del Porto Antico. Proprio dalla mano di Renzo Piano, che firmò allora quel progetto, è nato un masterplan che rivoluziona l’immagine della città ed offre un nuovo stile di vita.
Renzo Piano disse: «Stiamo realizzando uno spazio da vivere a impatto zero. Questo progetto punta sull’urbanità del luogo, che si ottiene vivendolo. Ci saranno persone che lavoreranno e abiteranno qui. Questo è molto importante perché l’urbanità è legata a un mix di funzioni che deve far vivere l’area 24 ore al giorno». Questo concetto è ciò che lega fortemente i lotti che verranno realizzati. Innovare mantenendo l’intrinseca natura dell’edificio è stato il principio con cui è stata affrontata la riqualificazione del Palasport, che si offrirà alla città come una moderna arena sportiva, ma vivibile quotidianamente nel suo anello retail che diventerà il nuovo polo commerciale genovese.
Le residenze, due edifici chiamati “Scafi” proprio perché ricordano due navi trasparenti circondate dal mare. Verrà realizzato un nuovo concetto abitativo per Genova, dove moderni appartamenti godono di una posizione privilegiata sulla natura e al contempo offrono ai loro fruitori le amenities più innovative dell’abitare, quali spazi comuni per lavorare, incontrarsi, giocare con i bambini.
Il nuovo lotto, anch’esso affacciato sui canali, all’interno delle cui trasparenze sarà contenuto un mix di funzioni, tra le quali uffici e un Laboratorio delle Idee che servirà da incubatore per start-up emergenti.
E infine, a completare verso ponente l’affaccio sui canali, prenderà forma un edificio moderno e flessibile, al cui interno nascerà il polo dell’ospitalità più all’avanguardia di Genova.
La cura e l’attenzione per l’ambiente vengono espressi nell’adozione di tecnologie innovative messe al servizio di quest’opera architettonica senza precedenti, progettata secondo l’approccio NZEB (Nearly Zero Energy Building) e con la prima certificazione LEED di residenze in Liguria, al fine di rispettare la biodiversità del luogo. n
gare un’esposizione multispecialista con una location all’avanguardia.
«La forza, caratteristica e unicità del Salone Nautico Internazionale di Genova - dichiara Alessandro Campagna, Direttore Commerciale de I Saloni Nautici - è quella di saper rappresentare e soddisfare le aspettative di ogni amante del mare. Un Salone “multispecialista” perché l’ampiezza e la profondità di prodotto esposto per singole categorie lo fanno diventare 5 saloni in uno. La 63esima edizione è stata caratterizzata dalla grande trasformazione della location, incastonata all’interno del progetto virtuoso del Waterfront di Levante firmato da Renzo Piano, che non rappresenta più solamente il luogo dove si svolge il Salone Nautico, ma sta diventando un asset per nuove soluzioni espositive, per ampliamento degli spazi disponibili, per i servizi ai visitatori e espositori con l’obiettivo di divenire un luogo sempre più spettacolare ed emozionante».
Il 2024 sarà l’anno del completamento dei lavori, della svolta che candida il Salone Nautico di Genova a diventare il primo salone nautico al mondo. Le date sono già fissate: a Genova dal 19 al 24 settembre 2024.●
C’è l’azienda agricola biologica Biodiversamente, avviata nel 2018 da Federico Guadalupi nella piccolissima borgata di Glori, a Montalto Carpasio, in provincia di Imperia: qui, su terreni recuperati da terrazzamenti incolti e abbandonati, si coltiva e trasforma lavanda. C’è Boschi Vivi, che a Urbe (SV) gestisce un servizio cimiteriale di interramento delle ceneri nel bosco, contribuendo alla salvaguardia ambientale e alla tutela del territorio. C’è Altavia, primo birrificio agricolo della Liguria, costituito nel 2016 nell’immediato entroterra savonese dall’iniziativa di Giorgio Masio, che “coltiva” birra a partire dalle materie prime del
20 Genova Impresa - Settembre / Ottobre 2023
di Paola Iacona
territorio dei monti liguri. Ci sono poi progetti imprenditoriali che sull’Appennino ligure non sono ancora nati ma sono pronti a vedere la luce, come l’agriturismo e centro didattico-ricreativo ecosostenibile Lupo Rosso che Alexander Kundrat vuole sviluppare a partire dal B&B di famiglia, a Ognio, in alta Val Fontanabuona, oppure le box a sorpresa Cammin facendo, con cui la savonese Lucia Bruno, di Albisola Superiore, vuol far scoprire la natura e la cultura dei borghi italiani, all’insegna del turismo lento. Sono solo alcuni esempi, nello specifico localizzati in Liguria, delle idee imprenditoriali che Fondazione Edoardo Garrone aiuta a germogliare su tutto il territorio nazionale con il campus di incubazione e accelerazione ReStartApp, attivato nel 2014 e oggi parte del più ampio Progetto Appennino, che mette i giovani al centro della riqualificazione e della valorizzazione delle aree interne del nostro Paese. «ReStartApp è partito una decina di anni fa, ma l’idea risale a molto tempo prima, a una visione di mio padre, Riccardo Garrone, che aveva intuito le potenzialità dell’Appennino quando ancora la sensibilità per le aree interne non era diffusa come oggi - ricorda Alessandro Garrone, presidente di Fondazione Edoardo Garrone -. Con l’intento di trasferire le nostre esperienze di famiglia imprenditoriale alle piccole imprese montane, in questi anni abbiamo lavorato con i ragazzi e capito che c’è un mondo di istituzioni, di fondazioni private, di giovani che vogliono impegnarsi sull’Appennino. Noi facciamo la nostra parte, investendo risorse importanti, ma anche cercando di fare rete e di stimolare altri soggetti. Ci vuole tempo e impegno, ma i risultati li stiamo vedendo e monitorando».
In poco meno di 10 anni, con un investimento complessivo di circa 4 milioni di euro, Fondazione Garrone ha promosso 12 edizioni dei Campus per i futuri imprenditori della montagna, coinvolgendo in tutto 150 partecipanti under 40 provenienti da tutta Italia e contribuendo concretamente all’avvio di 56 imprese, dalla Val d’Aosta alla Sicilia. Numeri a cui si aggiunge un ulteriore interessante dato quantitativo: l’analisi dello SROI (Social Return On Investment), effettuata nel 2020, ha infatti stimato un ritorno sociale pari a 1,22 per ogni euro investito. I dati quantitativi, però, non bastano a dare piena rappresentazione agli impatti generati sui territori. Fondazione Edoardo Garrone ha quindi deciso di realizzare lo studio “Percorsi di crescita sostenibile delle imprese rigenerative”, condotto in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, per definire un modello di crescita imprenditoriale delle aree interne, con particolare riferimento proprio alla loro relazione con il territorio. Ne risulta che le giovani imprese delle aree interne sono intrinsecamente imprese rigenerative: attività complesse e ricche, culturalmente e naturalmente radicate, condotte in modo sostenibile con profondo rispetto per il territorio. Per queste imprese la crescita è un percorso di radicamento, di cui la creazione di valore economico è un mezzo per perseguire obiettivi di sostenibilità locale, economica, sociale e ambientale. Sono imprese che nel tempo creano un complesso legame di reciprocità con i propri luoghi, alla ricerca di un bilanciamento tra la solidità del progetto imprenditoriale e il benessere del territorio, di cui si sentono responsabili e che si impegnano a valorizzare. Insediamento, radicamen-
to e attivazione sono quindi tre fasi di un percorso di crescita, che si pone come obiettivo ultimo la rigenerazione sistemica. Il percorso imprenditoriale è infatti il mezzo attraverso cui ricostruire ecosistemi naturali degradati e ridare senso alla comunità, contribuendo alla capacità del luogo di autodeterminarsi, attrarre persone e risorse, gemmare professionalità e iniziative, migliorando il benessere della comunità. Per Fondazione Garrone questi risultati si traducono in un impegno per supportare l’imprenditorialità generativa orientato in due direzioni: da un lato valorizzando le specificità dei territori come leva per favorire l’imprenditorialità nelle aree interne, dall’altro sostenendo con pazienza e continuità le imprese montane, adattando gli strumenti tradizionali alle peculiarità del fare impresa nelle aree interne. «Nel nostro approccio alla filantropia strategica abbiamo sempre dato grande importanza all’efficacia e alla sostenibilità dei risultati; identificare chiari ambiti di intervento e cambiamento, monitorare ogni fase e ogni aspetto dei processi e valutare gli impatti sono tutte pratiche che ci permettono di comprendere a fondo l’effettiva generatività dei nostri progetti e di migliorare costantemente il nostro lavoro - spiega Francesca Campora, direttore generale di Fondazione Edoardo Garrone -. Per noi la valutazione d’impatto supera, da sempre, la logica della mera rendicontazione e diventa strumento fondamentale di comprensione del contesto, dei beneficiari e delle relazioni più o meno evidenti tra diversi fattori coinvolti nelle nostre attività e quindi di continua rielaborazione ed evoluzione. Un essenziale strumento di indirizzo strategico, per garantire il migliore utilizzo delle risorse, secondo gli obiettivi da raggiungere e i cambiamenti da realizzare, e per definire nuove traiettorie di sviluppo».
E mentre si sta avviando alla conclusione l’edizione 2023 di Progetto Appennino, realizzata sull’Appennino ligure, nel cuore del Parco del Beigua, in collaborazione con un partenariato guidato da Fondazione Compagnia di San Paolo - con il campus ReStartApp, che sta affiancando 7 giovani aspiranti imprenditori nella realizzazione dei loro progetti, e i percorsi di accelerazione e creazione di reti per le imprese locali “Vitamine in Azienda” e “Imprese e in Rete”, che stanno coinvolgendo complessivamente 22 aziende - Fondazione Edoardo Garrone è già alla ricerca del territorio appenninico che ospiterà l’edizione 2024.●
Per maggiori informazioni: www.fondazionegarrone.it
terra / mare
Nei mari DEL MONDO
Intuito, coraggio, solidità aziendale sono gli ingredienti della crescita di Seac Sub. Un successo che l’AD Daniele Arata amministra con cura.
A San Colombano Certenoli, in Val Fontanabuona, Seac Sub, tra le aziende di attrezzatura subacquea più affermate al mondo, continua il suo percorso di crescita: in termini di spazi, con l’acquisizione di un nuovo capannone adiacente al sito produttivo “storico”, di personale e di fatturato.
Daniele Arata, amministratore delegato e figlio di Marco Arata, fondatore dell’azienda, nel 1971, con Attilio Rapallini, presenta con orgoglio i risultati raggiunti - non senza il contributo dell’esperienza e dell’intuito imprenditoriale della “vecchia” generazione - e guarda al futuro tenendo i piedi ben piantati a terra.
Quali sono oggi i numeri più significativi di Seac Sub? Cominciamo dalla struttura: siamo in 60 dipendenti, ma se calcoliamo anche gli agenti di commercio arriviamo a un centinaio. Dopo l‘acquisizione e la completa ristrutturazione di un capannone accanto allo stabilimento esistente, oggi Seac Sub si sviluppa su un’area di oltre 10mila mq. L’investimento si è reso necessario perché nel 2019 abbiamo avviato un progetto di reshoring della produzione, riportando in Italia lo stampaggio delle pinne, delle maschere,
del telaio e dell’impugnatura dei fucile, dell’erogatore, e avevamo bisogno di spazio. Su questo capannone abbiamo montato un nuovissimo impianto fotovoltaico che ci fornisce l’energia necessaria alla produzione: come recita il nostro payoff, oggi “we produce with the sun”. È stata una iniziativa molto concreta in un’ottica di sostenibilità ambientale, alla quale tutto il nostro mercato di riferimento è molto attento, e di sostenibilità del business, in considerazione dell’aumento del prezzo del kilowattora in coincidenza con l’aumento dell’attività di stampaggio. Per quanto riguarda il fatturato, prendendo a riferimento il 2019, anno pre Covid, siamo cresciuti di oltre il 50% e se non siamo andati oltre è perché abbiamo preferito essere cauti. Non vogliamo fare i gradini di corsa e arrivare con il fiatone.
Può dirci qualcosa di più riguardo al progetto di reshoring in corso?
L’obiettivo del progetto è acquisire la maggiore autonomia produttiva possibile, soprattutto rispetto alla Cina. Se penso al periodo del Covid - e del post Covid -, ne siamo ancora più convinti. Produrre qui significa anche non dover dipendere da terzi per la spedizione dei prodotti ai clienti: la
gestione in proprio della logistica è un vantaggio competitivo importante. E poi c’è il “made in Italy”, produrre da sé, in “casa” propria: un asset di cui noi Italiani non sempre percepiamo il valore fino in fondo.
Quali sono i mercati di riferimento di Seac Sub?
Esportiamo in oltre 100 paesi del mondo, ma il primo mercato rimane l’Europa con grande attenzione all’Italia, dove siamo più forti e conosciuti, ma stiamo crescendo bene anche in Germania e in Spagna. Sia in Germania che in Spagna abbiamo assunto personale locale per avere un rapporto più diretto con i clienti. Siamo molto soddisfatti anche della nostra filiale negli Stati Uniti, operativa dal 2012. All’inizio non è stato facile: mentalità diversa, l’oceano di mezzo... ora, però, abbiamo ingranato e gli USA sono diventati il nostro secondo mercato; nel frattempo stiamo lavorando per rafforzarci in Australia e in Asia. Va detto che, negli ultimi tre anni, il nostro settore ha vissuto grossi cambiamenti nella domanda: quando è scoppiata la pandemia e durante il lockdown non si potevano praticare sport in gruppo, tutti si dedicavano alla pesca in apnea e la subacquea ne ha sofferto; poi l’attenzione si è spostata sul-
lo snorkeling e sul nuoto... Nonostante le incertezze siamo riusciti comunque a crescere perché, grazie a una solida patrimonializzazione, abbiamo potuto fare scorta di materiale e prodotti, così da essere sempre pronti a soddisfare le richieste dei clienti. In questo mio padre ha avuto un intuito particolare: io ero scettico, non ne vedevo il motivo, ma alla fine ha avuto ragione lui.
Come state affrontando la transizione digitale e quale impatto ha sui processi aziendali?
Seac Sub è un’azienda molto focalizzata sul rapporto personale, pertanto siamo stati molto attenti nell’introdurre la digitalizzazione nei nostri processi. Per esempio, è stato molto apprezzato il sistema di certificazione online dei corsi tecnici di manutenzione, così come è innegabile la comodità di gestire gli ordini da pc. Fermo restando che la relazione diretta con il cliente rimane un caposaldo, è anche vero che non tutti amano ricevere in modo assiduo la visita del rappresentante. Con la digitalizzazione si perde un po’ il contatto umano, ma trovare il giusto equilibrio è possibile, soprattutto quando per noi parla anche la qualità dei nostri prodotti.● (P.P.)
Nel Waterfront di Levante, in zona Foce, sorgerà un polmone verde di 20mila mq.
Sotto la regia dello Studio Piano,
Il nuovo parco di Piazzale Kennedy si inserisce nell’ampio disegno di Renzo Piano per il waterfront cittadino ed è un tassello importante per la città: uno spazio pubblico che vuole unire piazza Rossetti e il quartiere della foce con le aree di ponente, valorizzando l’asse di viale Brigate Partigiane che ritroverà, verso mare, la visuale aperta dell’orizzonte marino. Un’occasione per riqualificare un’area, oggi in stato di degrado, offrendo uno spazio di pubblica utilità - il parco stesso - e di servizi, come il parcheggio interrato che garantirà accessibilità e fruizione delle aree a genovesi e non. L’intervento riguarderà una superficie di circa 55mila metri quadri all’interno dei quali il parco occuperà uno spazio di circa 20mila metri quadri il cui disegno tripartito prevede una fitta alberatura che lascia spazio, nella parte centrale, a un campo libero, una sorta di radura lineare. All’esterno sono previsti filari di palme che, scorrendo paralleli alla linea di costa, lo connettono a levante e a ponente. Un luogo aperto e accessibile, collegato alla città grazie a una serie di ampie aperture, tra cui il varco principale in asse con piazza Rossetti, e quelli verso est e ovest. Gli accessi presenti verso il mare permetteranno invece di raggiungere la nuova passeggiata adiacente alla spiaggia. Un pol-
mone verde per Genova, che completerà la cintura verde prevista nelle aree del Waterfront di Levante, dando vita a un parco urbano da 150mila metri quadrati (15 ettari), 50 dei quali concentrati proprio nel quartiere della Foce. Una progettualità che ha visto scendere in campo numerosi protagonisti, oltre alla regia dello studio dell’architetto Renzo Piano. Nel dettaglio, il progetto di fattibilità tecnico-economica è firmato da S. B. Arch. Associati (capogruppo), Neostudio Architetti Associati, SEM ingegneri associati con Omega Engineering, geologo A. Vigo e arch. M. Mori. Il progetto definitivo e quello esecutivo sono di SibillAssociati (capogruppo), PRD Ingegneri Riuniti, Studio Tecnico Pizzorni, dott. agronomo Paola Spagnolli, ing. E. Musso, Studio Associato Delucchi & Maldotti, arch. F. Salvarani, Smartargets, Tandem. Le imprese appaltatrici sono C.S.I. Consorzio Stabile per le Infrastrutture (mandante) e CMCI. «Nel Novecento la Foce e il suo fronte mare sono stati oggetto di significative trasformazioni che hanno cambiato ciclicamente il rapporto dei suoi spazi con la città, restituendoci, negli ultimi decenni, una superficie “opaca”, un vuoto con potenzialità ampliamente sottovalutate - sottolinea Riccardo Miselli, socio di Neostudio Architetti Associati e coor-
di Isabella Rhode
Stefano Sibilla Riccardo Miselli
By Massimo Tonon per SibillAssociati srl
dinatore del gruppo di progettisti - Oggi, interpretando una visione d’insieme e traducendola in un disegno di paesaggio di ampio respiro, viene restituita alla città una vera e propria cerniera urbana che, oltre a proporsi come un parco sul mare straordinario e accessibile a tutti, si connette e dialoga con gli spazi circostanti. Ci auguriamo che questo ambizioso progetto avvii processi di trasformazione che vadano oltre i suoi confini, estendendosi anche a levante, conquistando le aree ricomprese tra qui e Puntavagno e a nord nel quartiere stesso, innescando processi diffusi e facendo ritrovare ai suoi viali, ora interrotti, un orizzonte di grande naturalità e dallo spiccato carattere mediterraneo», conclude Miselli.
In linea con il concept generale, il disegno di insieme si compone, dunque, di un grande boulevard centrale, compreso e definito tra le fasce alberate parallele al corso Marconi, delle piazze di ingresso alle due estremità e dei raccordi trasversali che connettono il parco al sistema urbano fronte mare, unitamente all’ambito porticato attorno al vuoto di Piazza Rossetti. Il sistema trasversale di accesso e di connessione che dalla città si inoltra nel parco fino a raggiungere la spiaggia si apre come ampio varco in asse con piazza Rossetti con cui ne rafforza la relazione anche nell’attraversare il tracciato di corso Marconi. Le aree verdi poggiano per la quasi totalità su terrapieno e sono tutte caratterizzate da una ricca vegetazione arborea, composta di specie resistenti al clima marino e con spiccate peculiarità di tipo ornamentale, scelte in modo da attenuare la monotonia del viale alberato. A corredo e arricchimento di tale sistemazione, due filari di palme che “segnano” i percorsi lineari pubblici: il primo a monte, parallelo a corso Marconi, il secondo, lungo il bordo, lato mare. La parte centrale è così definita da una serie di filari alberati, ad alto fusto, lungo il quale la linearità del bordo subisce piccole variazioni di contrappunto, estroflessioni o interruzioni. Il grande spazio centrale identifica uno spazio polifunzio-
nale, flessibile e da configurare sulla base delle necessità e il cui bordo subisce piccole variazioni qualificando una serie di spazi di sosta attrezzati con sedute, circoscritti e impreziositi da vegetazione di misura più contenuta. Una serie di “isole” ottenute con arredi configurano diversi assetti, tra cui la possibilità di ottenere un campo libero da 24 mt per 200 di lunghezza garantendo di fatto la possibilità di organizzare all’interno di questo spazio eventi temporanei di vario genere. Il parcheggio pubblico interrato da 200 posti corrisponde alla porzione centrale del parco.
L’accesso carrabile avverrà dalla nuova viabilità d’accesso al waterfront mentre l’uscita sarà in corso Marconi, quest’ultimo riqualificato per accogliere e valorizzare, all’interno di un disegno unitario, il trasporto pubblico cittadino, confermando oltre le linee tradizionali un capolinea dei nuovi assi di forza cittadini.
«Il parco di Piazzale Kennedy è un progetto in linea con i tempi - precisa Stefano Sibilla, presidente di SibillAssociati e capogruppo del raggruppamento di progettisti - che sviluppa le necessità e risolve, almeno localmente, le criticità di una città contemporanea come Genova ovvero l’esigenza di pregio e bellezza degli spazi pubblici, fattori essenziali per la qualità della vita nostra e dei nostri figli. Inoltre si coniuga con l’esigenza di abbattimento della CO2 e di contrasto ai cambiamenti climatici mediante l’eliminazione dell’attuale isola di calore e la depermeabilizzazione di un’area oggi interamente impermeabile. Abbiamo completato il progetto definitivo e stiamo sviluppando il progetto esecutivo in tempi veramente brevi anche grazie alla metodologia BIM (Building Information Modelling) che ci consente la progettazione in 3D e il controllo in tempo reale di scelte e processi. La progettazione - conclude Sibilla - sta recependo le modifiche richieste dagli enti preposti alle autorizzazioni e, in collaborazione con gli Uffici del Comune di Genova, sta portando a compimento un’opera importante per Genova cui siamo fieri aver contribuito».●
By Massimo Tonon per SibillAssociati srl
di Vincenzo Cellario Serventi
Mobilità SOSTENIBILE
Il ruolo del Mobility Manager nella ricerca di soluzioni ottimali nello spostamento casa-lavoro dei dipendenti per ridurre l’uso del mezzo di trasporto privato, a beneficio della sicurezza e dell’ambiente.
A seguito della pandemia da Covid-19, scoppiata all’inizio del 2020, e delle nuove esigenze di gestione della mobilità, il Governo ha ritenuto opportuno rilanciare la figura del responsabile della mobilità aziendale - figura nata alla fine degli anni ’90 - per renderne la presenza ancora più capillare sul territorio. Al fine di favorire il decongestionamento del traffico nelle aree urbane mediante la riduzione dell’uso del mezzo di trasporto privato individuale, il Decreto cd. “rilancio” n. 34/2020 ha previsto che le imprese con singole unità locali con oltre 100 dipendenti siano tenute a redigere annualmente un Piano Spostamenti Casa-Lavoro del personale dipendente mirato alla riduzione dell’uso del mezzo di trasporto privato, nominando un mobility manager con funzioni di supporto alle attività di pianificazione, programmazione e promozione di soluzioni ottimali di mobilità sostenibile dell’azienda. Le finalità della normativa - e quindi le ragioni che stanno alla base del PSCL - sono il conseguimento di benefici per i dipendenti (riduzione costi, riduzione tempi, maggior confort del trasporto, minore rischio incidentalità), per l’azienda (maggiore produttività, regolarità ingressi, migliore immagine aziendale) e per la collettività (riduzione inquinamento, riduzione traffico urbano ed extraurbano, minore incidentalità).
Confindustria Genova, per il tramite della propria società di servizi Ausind Srl, ha predisposto per il terzo anno consecutivo un servizio volto ad affiancare le aziende nella redazione del Piano Spostamenti Casa-Lavoro attraverso un’apposita piattaforma informatica. Per le aziende che ne fanno richiesta, Confindustria Genova-Ausind assume anche il ruolo di mobility manager “esterno”, come consentito dalla normativa vigente. La conoscenza del territorio e il confronto costante con la pubblica amministrazione e con le aziende di Trasporto Pubblico Locale (TPL) sui temi legati alla mobilità hanno consolidato il rapporto dell’Associazione con le aziende associate. Per la redazione dei PSCL del corrente anno 18 grandi aziende, per un totale di oltre 8.000 dipendenti, hanno aderito al servizio di mobility management fornito da Ausind Srl, numeri che hanno consentito a Confindustria Genova di essere riconosciuta dalle istituzioni locali come un interlocutore autorevole sui temi legati alla mobilità urbana ed extraurbana.
Il report dei dati aggregati scaturenti dai 18 PSCL ha evidenziato che il 61% dei dipendenti si è reso disponibile a rinunciare all’utilizzo del mezzo privato a favore del TPL a determinate condizioni, in primis “collegamenti migliori e diretti” e “orari adeguati”. L’alta percentuale di risposte ai questionari sottoposti ai dipendenti dimostrano una sempre
maggiore attenzione dei lavoratori al tema della mobilità, soprattutto in una città “complicata” come Genova.
Per rendere il trasporto pubblico più capillare sul territorio e aumentare la velocità commerciale dei mezzi pubblici, occorre investire sulle frequenze e sugli orari delle linee, garantendo “corsie riservate” e “sedi protette”.
I PSCL evidenziano purtroppo una carenza del servizio pubblico in particolare nei collegamenti con il polo di San Benigno (dove quotidianamente si recano oltre 15.000 dipendenti) e il polo industriale/retail di Campi, motivo per il quale l’utilizzo del mezzo privato è di gran lunga prevalente per recarsi al lavoro. A oggi la fermata FS di Via di Francia è sottoutilizzata anche a causa dei lavori sul nodo ferroviario genovese che limitano il transito dei treni.
L’attività di Confindustria Genova non si limita alla redazione dei PSCL ma anche all’analisi dei dati che ne scaturiscono, facendosi portavoce delle esigenze di mobilità delle aziende e sostenendole nelle sedi opportune. La finalità della normativa è infatti quella di far emergere i grandi flussi di persone che si spostano nei centri urbani per recarsi al lavoro affinché, oltre alle misure che una singola azienda può porre in atto per agevolare i propri dipendenti, le amministrazioni locali incentivino l’utilizzo del trasporto pubblico locale ovvero di veicoli “green” e della “micromo-
bilità”. Un ulteriore incentivo all’utilizzo del TPL è rappresentato dall’estensione di validità del biglietto integrato FS/AMT oltre i confini del comune di Genova. Questo eviterebbe che, per esempio, un lavoratore di Recco, Busalla o Arenzano fosse costretto a sottoscrivere più abbonamenti per singole tratte ovvero ad acquistare più titoli di viaggio per recarsi al lavoro nel capoluogo ligure o viceversa, ferma restando l’individuazione di fasce di prezzo a seconda della distanza percorsa.
La mobilità e le infrastrutture al servizio della stessa devono essere accessibili e “intelligenti”: l’utilizzo della tecnologia è una condizione essenziale per rendere il trasporto urbano più efficiente, sostenibile e “smart”. L’infomobilità garantisce una migliore pianificazione nella gestione dei trasporti, sia di merci che di persone e, in definitiva, l’individuazione del miglior mezzo di trasporto per raggiungere la propria destinazione con benefici e vantaggi sia di performance (tempi e comfort) sia di sostenibilità ed economicità. Occorre pertanto sfruttare al meglio le potenzialità che la tecnologia offre e concentrare le informazioni in un unico sistema che consenta di monitorare in tempo reale le offerte di trasporto esistenti e offra al cittadino la possibilità di effettuare consapevolmente la scelta ritenuta migliore in temini di tempi/costi per recarsi alla destinazione finale.●
di nome
e DI FATTO
su misura per le esigenze dei clienti e nel rispetto dell’ambiente. Intervista all’AD Alberto Repetto.
Alberto Repetto Marco Gandolfi
Syntonia, partner di Arval Italia, è una società commerciale di noleggio auto a lungo termine, fondata nel 2009 da Marco Gandolfi (presidente) e da Alberto Repetto (amministratore delegato). Precursori del noleggio a lungo termine in Liguria, con la Nolauto Genova System NGS, Gandolfi e Repetto hanno messo a frutto le competenze maturate nel settore e raccolto attorno a loro professionisti di provata esperienza per proporre un servizio che ha, tra i suoi punti di forza, l’assistenza personalizzata al cliente. E i clienti “storici”, abituati a confrontarsi con un interlocutore radicato sul territorio, hanno apprezzato e hanno seguito Gandolfi e Repetto nella nuova iniziativa che, visto il successo, è stata replicata, attraverso l’ampliamento della rete commerciale, in Piemonte, Lombardia, Toscana e, più recentemente, anche in Sardegna. Ne parliamo più in dettaglio con l’AD Alberto Repetto.
Partiamo dal modus operandi di Syntonia, caratterizzato da una presenza “proattiva” sul territorio e dall’interlocuzione diretta con il cliente. Al di là dei servizi caratteristici del noleggio a lungo termine, il nostro impegno è focalizzato nel creare una relazione con i clienti che sia davvero “a valore aggiunto”, offrendo loro un’assistenza personalizzata, con riferimenti diretti sul territorio. Negli ultimi anni, soprattutto nel 2022, la quota di produzione di contratti di noleggio attraverso intermediari ha raggiunto una quota superiore al 40%, a discapito del telesales che invece ha perso 11 punti percentuali, a riprova della crescente tendenza dei clienti a valorizzare la conoscenza del proprio interlocutore. Noi puntiamo sulla capacità di stabilire un rapporto “personale” col cliente: poter spiegare nei dettagli i contenuti economici e di servizio di un’offerta parlando di persona con il cliente - e non attraverso una email - è un segnale importante di trasparenza e ci dà l’occasione di fare chiarezza su quei passaggi meno comprensibili ai non addetti ai lavori, evitando così possibili spiacevoli fraintendimenti in futuro. Per questa ragione abbiamo implementato un nuovo CRM (Customer Relationship Management, ndr) per monitorare costantemente la relazione con i clienti: il loro feedback sulla qualità del nostro servizio e sulla rapidità della nostra risposta alle loro esigenze di mobilità è fondamentale per capire dove dobbiamo correggerci e migliorare. Per questo abbiamo predisposto un percorso di formazione e crescita dei nostri consulenti di vendita per assicurare il massimo livello di competenza per ogni aspetto del noleggio a lungo termine.
Qual è il mercato di riferimento di Syntonia e, più in generale, quali sono le ragioni che spingono aziende e privati verso il noleggio a lungo termine?
Fino al biennio 2015/2016 il nostro mercato di riferimento era principalmente corporate, lavorando soprattutto con imprese di una certa dimensione e facendo leva sulla nostra competenza nella gestione delle flotte aziendali. Da allora abbiamo cominciato a registrare il crescente interesse delle PMI, degli artigiani, dei professionisti fino ad arrivare ai privati: oltre il 12% di produzione di contratti di noleggio oggi riguarda quest’ultimo segmento di clientela. A questo target di mercato abbiamo dedicato un team specifico, che ha modalità, tempi e competenze diverse rispetto a chi segue le aziende. Così come abbiamo specializzazioni differenti per il segmento dei veicoli commerciali e dei veicoli commerciali allestiti. In generale, il settore del noleggio a
lungo termine continua a crescere in maniera molto marcata per una serie di fattori concomitanti. Innanzi tutto perché questo servizio consente alle persone di accedere a una mobilità “più avanzata” rispetto a quella tradizionale e perché il noleggio a lungo termine è, di fatto, una forma di finanziamento particolarmente interessante e flessibile; è un servizio che prevede costi fissi, ma che dà una certa affidabilità a chi ne fa uso, non prevede di solito un investimento iniziale e consente di accedere ad auto nuove con tutti i vantaggi che ne conseguono in termini di sicurezza, di impatto ambientale, di disponibilità di ADAS (Advanced Driver Assistance Systems, ndr) e, aspetto non secondario, il noleggio a lungo termine non pone il problema della rivendita dell’usato. Tra l’altro, il contratto può essere modificato e adattato alle mutate esigenze del cliente, come è successo nel 2020, durante la pandemia, o quando, nel 2021, ci sono stati grossi problemi di disponibilità di autovetture nuove. Oggi il comparto del noleggio a lungo termine immatricola oltre un quarto dei veicoli su strada, con quote sempre più alte di vetture ibride ed elettriche, con evidenti benefici in termini di riduzione delle emissioni.
Quanto ha inciso il rincaro dei carburanti e dell’energia nel noleggio a lungo termine? In che modo il noleggio a lungo termine contribuisce alla transizione ecologica?
Siamo passati da un momento in cui le auto elettriche erano veramente competitivein termini di costo di utilizzo, al sensibile aumento dell’energia elettrica che ha “pareggiato” i costi con le auto termiche... Insomma, un’altalena. Ora che il costo dell’energia elettrica è su livelli accettabili mentre è salito quello dei carburanti, si nota lamaggiore tendenza a passare a una mobilità full electric, che ha ottime prestazioni da tutti i punti di vista: comfort, tenuta di strada, ripresa, velocità, anche se resta il problema della scarsa disponibilità di infrastrutture di ricarica e dei tempi di ricarica (più contenuti ai “supercharger”, presenti in alcune aree, dove in 20-25 minuti si riesce a caricare il 30-40% della batteria). Per quanto riguarda il contributo del noleggio a lungo termine al tema della transizione energetica, basti considerare il ciclo di vita media di un’auto in noleggio a lungo termine - circa 42 mesi - rispetto a quello di un’auto acquistata: quest’ultima ha un’età media superiore ai 12 anni, e oggi il 50% di questi veicoli sono ante Euro 5. In generale, nel comparto del noleggio, il ciclo di vita di un’auto va dai 6 mesi ai 4 anni, che fa sì che un’auto nuova immatricolata per l’autonoleggio arrivi prima nel mercato dell’usato rispetto a quanto avviene per le vetture di proprietà, costituendo di fatto un forte boost per lo svecchiamento del parco auto italiano con importanti riflessi positivi sotto il profilo ambientale, di sicurezza dei veicoli e di movimentazione finanziaria.Per quanto riguarda Syntonia, la quota di veicoli elettrici della nostra flotta è superiore alla quota media di mercato; la percentuale di auto a gasolio si sta riducendo rapidamente a vantaggio delle alimentazioni ibrido-benzina: una scelta favorita anche dal fatto che le percorrenze medie si sono ridotte. Il combinato disposto di queste componenti spinge verso soluzioni di alimentazione ibride, una scelta che sta crescendo tantissimo. Abbiamo clientisoprattutto tra le società più grandi e strutturate - che chiedono specificamente di includere veicoli plug-in e full electric nella “car list” aziendale, coerentemente con le loro policy di sostenibilità ambientale.● (P.P.)
di Piera Ponta
TUNED Stay
ex Allievi: tutte le novità dell’Accademia Italiana della Marina Mercantile nell’intervista alla direttrice Paola Vidotto.
«La novità più importante è che la “fanta-Accademia”, come la chiamavamo scherzosamente durante il lockdown, ora sta diventando realtà». Comincia così l’aggiornamento di Paola Vidotto, Direttrice dell’Accademia Italiana della Marina Mercantile, sul “fiore all’occhiello” dell’alta formazione e training nelle aree del marittimo e della logistica. La Direttrice Vidotto fa riferimento a quella che sarà la nuova sede dell’Accademia nel Palazzo Tabarca, in porto, non appena saranno completate le opere di ristrutturazione necessarie a ospitare le attività formative dell’ITS. «Su una superficie di quasi 6mila mq - spiega Paola Vidotto - troveranno posto le aule corsi, i laboratori, l’aula magna, gli uffici e, all’ultimo piano, 14 mini appartamenti per gli studenti, per un totale di una cinquantina di posti letto. Il progetto complessivo (finanziato con fondi del PNRR e del programma PinQua) prevede un investimento di 18 milioni di euro per il recupero dell’edificio, 8 milioni per i simulatori di ultima generazione e 11,8 milioni per i corsi, l’orientamento e le borse di studio. Il tutto diventerà operativo entro la fine del 2025, nel rispetto delle scadenze imposte dal PNRR». La sfida è partita con le gare per l’acquisizione dei nuovi simulatori e con il primo affidamento a Cetena Spa (il centro di ricerca del Gruppo Fincantieri), che costruirà una plancia di 18 metri. «La nostra ambizione - prosegue Vidotto - è di fare dell’Accademia il più avanzato centro di formazione marittimo-portuale del Mediterraneo: un hub pubblico al
servizio di tutti, collocato in una posizione strategica, nel cuore del porto, un punto di riferimento per le aziende, per l’università e per i centri di ricerca. Sono certa che il nuovo impianto di simulazione ci consentirà di portare a Genova attività di formazione che oggi si fanno altrove. Per esempio, la World Maritime University (WMU) con sede a Malmö, in Svezia, userà la nostra struttura per i suoi programmi di training».
Il dialogo tra l’Accademia e i partner di ricerca è costante e mirato a uno scambio di competenze in una logica winwin. «Insieme a Cetena i nostri ragazzi hanno appena costruito un sestante digitale, mentre l’Istituto Italiano di Tecnologia ha sviluppato per noi un piccolo robot per la pulizia delle cisterne; con l’Università di Genova, invece, nell’ambito del corso di laurea di Design del prodotto e della nautica, stiamo lavorando a un progetto per “misurare” le emozioni che i ragazzi provano quando sono al simulatore. La nostra mission - sottolinea Vidotto - è quella di formare delle professionalità tecniche che conoscano le tecnologie e che le utilizzino: queste iniziative ci aiutano a capire dove sta il confine tra noi e la ricerca e, soprattutto, ci aiutano a superarlo con reciproca soddisfazione».
Oggi l’Accademia conta quasi 800 studenti. Il “core business” dell’offerta formativa è rappresentato dai corsi ITS per Allievi ufficiali di coperta e macchina, ma attraverso partnership con importanti realtà industriali e dei servizi si stan-
no consolidando anche i filoni della cantieristica, della logistica, del ferroviario, dell’hôtellerie e della portualità. «Attualmente sono 101 aziende con cui collaboriamo - precisa la Direttrice dell’Accademia - e per alcune di esse sviluppiamo progetti ad hoc con la formula dell’apprendistato di alta formazione, che prevede l’assunzione dei ragazzi con la qualifica di apprendisti durante il periodo dello stage. È una formula che semplifica la vita all’azienda nella gestione degli stage, soprattutto se si devono svolgere all’estero o in navigazione, e allo stesso tempo motiva i ragazzi e li fidelizza nei confronti dell’azienda. Al termine del percorso di studi, l’azienda non ha alcun obbligo e potrà decidere liberamente se assumere oppure no. Tengo a sottolineare, che il tasso di occupazione per i nostri Allievi a sei mesi dal Diploma supera il 95%». Se il coinvolgimento delle aziende non è un problema, qualche pensiero in più lo dà il reclutamento dei ragazzi. Così, Paola Vidotto ha avviato un progetto di divulgazione delle opportunità di studio e di futura occupazione offerte dall’Accademia attraverso una task force di giovanissimi con il compito di rafforzare il rapporto con le scuole. «Oggi la task force è composta da 36 giovani - spiega la direttrice della Fondazione ITS -, molti dei quali sono entrati in Accademia come tesisti e poi sono stati assunti. A breve si uniranno anche un laureando in scienze politiche internazionali, che sta lavorando sul nostro progetto di formazione per il Niger, una laureanda in giornalismo, con una tesi su come i giovani recepiscono le notizie, e una laureanda in economia marittima, impegnata nella revisione di alcune normative del nostro Ministero dei Trasporti e che resterà in Accademia per occuparsi della gestione degli imbarchi. Anche il nostro avvocato è una giovane laureata che ha preparato qui la sua tesi. La task force farà attività di comunicazione nelle scuole, coinvolgerà i ragazzi, li accompagnerà nelle aziende». Analoga opera di divulgazione è in
programma con i docenti: «Abbiamo intenzione di lavorare con i docenti per elaborare progetti calibrati per le singole scuole. Prossimamente - aggiunge Paola Vidotto - incontreremo l’I.I.S. Vittorio Emanuele II/Ruffini e l’Istituto Montale per un piano alternanza scuola-lavoro ad hoc e organizzeremo degli incontri conviviali a Villa Figoli, ad Arenzano, in modo che gli insegnanti possano “toccare con mano” la nostra offerta formativa».
Nella “to-do-list” della Direttrice Vidotto c’è, infine, la costituzione dell’Associazione degli ex allievi dell’Accademia: siamo certi che al nostro prossimo incontro anche questo punto sarà stato smarcato con successo.●
di Carlotta Gualco
Le iniziative del Centro Studi Colombiano per rilanciare la figura del navigatore genovese.
Colombo,
IL SUO MARE, LA SUA CITTÀ
Che senso ha rilanciare, oggi, la figura di Cristoforo Colombo, riprendere lo studio e l’iniziativa culturale sulla sua epoca di navigazioni e “scoperte”?
Non sono bastate le critiche che ormai da decenni bersagliano il Navigatore, identificato come l’iniziatore di una colonizzazione assassina e predatoria, se non addirittura lui stesso un genocida?
La valutazione con gli occhi dell’oggi del passato, soprattutto di alcuni secoli, può indurre clamorosi abbagli e sottrarre energie a cause sacrosante, come la tutela delle minoranze. Eppure, proprio inneggiando a queste rivendicazioni, ancora recentemente, sono state abbattute o precauzionalmente ritirate dalla vista, a cura delle autorità del luogo, statue raffiguranti il Navigatore. Tutt’altro discorso è portare (quando sia possibile) a pari dignità di quello eurocentrico l’angolo visuale delle popolazioni originarie di un Mondo che fu nuovo solo per noi, diffondendo la conoscenza di storia e cultura di quelle civiltà.
Ci sono due assunti generali che non si possono negare.
Il primo è che la “scoperta” dell’America da parte di Colombo (per la corona spagnola) aprì una nuova fase della storia dell’umanità.
Il secondo è che il Genovese, per quanto pensasse di raggiungere le Indie e non terre al momento sconosciute, diede prova di straordinario coraggio e padronanza delle tecniche di navigazione. E per questo ancora oggi la sua città, Genova, può a ben diritto farne un campione della sua vocazione marittima.
L’ammirazione per questo uomo ha unito, a Genova, la sensibilità di due persone molto diverse da più punti di vista, il presidente della Fondazione Casa America ETS Roberto Speciale e il Sindaco di Genova Marco Bucci.
Da questa sintonia, poi condivisa da diverse istituzioni e singoli studiosi in Italia, Spagna, Stati Uniti e America Latina, è nato, nel marzo del 2022, un Centro Studi Colombiano che ha l’obiettivo di fondo di rilanciare l’iniziativa su Colombo e la sua epoca collegandola all’attualità, rivolgendosi a un pubblico tanto specialistico quanto generale. Dallo scorso anno sono state organizzate alcune decine tra conferenze, eventi musicali e gastronomici, progetti e corsi di formazione con le scuole, pubblicazioni; anche un video “emozionale” su Colombo, il suo mare e la sua città (sul sito casamerica.it). Il 6 ottobre scorso, al Salone di Rappresen-
tanza di Palazzo Tursi, sotto l’occhio vigile del Genovese, il Centro ha lanciato una sfida interdisciplinare: uno o più relatori per argomento - storia, arte, letteratura, teatro, cinema e musica, più un focus sugli Stati Uniti - hanno dato il via a una riflessione che, nei nostri intenti, dovrebbe condurre a programmare nuove iniziative.
L’obiettivo più ambizioso? Nel 2026, anniversario della morte del Navigatore, tenere a Genova una grande mostra dedicata a lui e agli altri navigatori della sua epoca.
Che cosa hanno da dirci, oggi, Colombo e gli altri? Ad esempio, riprendendo uno spunto del professor Salomoni alla conferenza del 6 ottobre, che dobbiamo imparare a considerarli una eredità culturale condivisa dell’Europa, al di là di dispute incredibilmente ancor vive sulla “nazionalità” dell’uno o dell’altro, e sul loro valore simbolico a sostegno o condanna di questioni che poco hanno a che fare con quelle epoche lontane.●
Carlotta Gualco è direttrice di Fondazione Casa America ETS e vicepresidente del Centro Studi Colombiano
IN COLLABORAZIONE CON
CON IL SOSTEGNO DI
SI RINGRAZIA
PARTNER ISTITUZIONALE
I CLUB TEMATICI SONO ORGANIZZATI CON IL CONTRIBUTO DI
DA GENOVA A...
L’approfondimento dei fatti di cronaca nera in televisione.
di Matilde Orlando
Guglielmo Mazzola
La rubrica “Da Genova a...” dedica spazio alla visione di giovani che, dopo la formazione a Genova, hanno trovato in altre città italiane ed estere importanti spazi di crescita personale e professionale. Su questo numero della rivista, con Guglielmo Mazzola ci addentriamo nella professione del giornalista di cronaca nera.
Il tuo è un volto noto per chi guarda la televisione, ma facciamo un passo indietro: qual è stato il tuo percorso formativo e quali le tue prime esperienze nel settore del giornalismo?
Dopo il liceo, la mia formazione universitaria a Genova è iniziata alla facoltà di Giurisprudenza ma, anche se gli esami del primo anno sono andati bene, ho iniziato presto a rendermi conto che questo percorso non faceva per me, che non mi stava appassionando. Così ho deciso di virare sul corso di studi in Scienze Politiche e dell’Amministrazione, per il quale, tra l’altro, erano propedeutici molti degli esami che avevo già sostenuto, come diritto pubblico e privato. Nel 2014 ho conseguito la laurea triennale e ho proseguito gli studi con una laurea specialistica in Informazione ed Editoria, sempre all’Università di Genova. Mentre la formazione “pratica” di un giornalista si costruisce soprattutto sul campo e con l’esperienza diretta, sono convinto che il grande merito di questa facoltà dell’Università di Genova sia quello di far appassionare i giovani all’argomento, attraverso un programma ricco di materie intriganti e interessanti. Personalmente, un corso che ricordo come particolarmente stimolante è stato quello tenuto dal professor Mario Bottaro - purtroppo recentemente mancato. Il giornalismo mi è sempre interessato molto, soprattutto applicato al mondo dello sport, tanto che già da bambino ho collezionato qualche prima esperienza in questo campo: a 11 anni ho partecipato alla trasmissione “quasi gol” su Disney Channel, condotta da Marco Cattaneo - che all’epoca era un ragazzo, e oggi è un giornalista molto affermato - e successivamente ho collaborato anche con il Corriere Mercantile, per il quale scrivevo sulla rubrica “Il calcio dei giovani”. Insomma, i primi contatti con il mondo del giornalismo risalgono a tanti anni fa, ma è grazie all’università se questa è diventata davvero la mia professione: durante il biennio specialistico ho svolto uno stage curriculare - previsto nel mio piano di studi - presso l’emittente televisiva Primocanale, ed è stata la conferma che avevo intrapreso la strada giusta per me. Terminato il periodo da stagista, il rapporto con Primocanale, azienda a cui dirò “grazie” in eterno, si è trasformato in una collaborazione vera e propria, durata circa 3 anni, durante i quali ho cercato di carpire i segreti dai giornalisti che ci lavoravano. Ho imparato da tutti loro, soprattutto da Giovanni Porcella, il primo a credere davvero in me, un punto di riferimento umano e professionale. Poi mi è arrivata una proposta davvero interessante, di slancio nazionale, che ho accettato con grande soddisfazione, e nel giro di pochi giorni mi sono trasferito a Milano... Si trattava di Mediaset.
Di cosa ti occupi in Mediaset e come si svolge, al lavoro, la tua giornata tipo?
Sono entrato in Mediaset grazie all’opportunità che mi ha
dato Siria Magri, a cui sono professionalmente molto grato. Ho iniziato lavorando dietro le quinte di “Il terzo indizio”, un programma spinoff di Quarto Grado; mi occupavo di ricerche documentali e di supporto in sala di montaggio. Dopo qualche tempo, però, ha iniziato a mancarmi “la strada”, ossia il lavoro di “inviato” che avevo conosciuto in Primocanale. Così la mia caporedattrice in Mediaset mi ha proposto di affiancare giornalisti esperti nel loro lavoro sul campo e poi, con il tempo, mi sono stati affidati diversi casi di cronaca nera da seguire in prima persona per il programma Quarto Grado, di cui Siria Magri è creatrice e curatrice. La mia giornata tipo, in questo lavoro, è molto variabile: quando seguo un caso fuori da Milano, dove vivo, capita che debba stare via per diversi mesi. Per ottenere una precisa ricostruzione dei fatti occorre interfacciarsi in prima persona con tutte le parti coinvolte - vittime, indagati, avvocati, autorità, PM... -, magari dopo lunghe attese o appostamenti per intercettarli. Le informazioni più importanti, poi, sono quelle che si raccolgono per strada, da fonti affidabili. Un ruolo strategico lo giocano spesso i bar, veri e propri crocevia di incontri e scambi. Quando si capisce di avere a che fare con una persona realmente informata sui fatti - e non un mitomane - bisogna essere bravi a stabilire un rapporto di fiducia. Il giornalista inviato, poi, assume il ruolo del direttore artistico dei servizi di propria competenza, coordinando cameraman e assistenti nella raccolta delle immagini più adatte. Una volta conclusi i servizi sul proprio caso, si sta invece in redazione e in sala di montaggio, coadiuvando il lavoro degli altri giornalisti.
Qual è la tua opinione sul ruolo della televisione rispetto al proliferare di nuovi canali e format di comunicazione?
La moltiplicazione dei canali di comunicazione a cui abbiamo assistito negli ultimi anni - piattaforme di streaming e podcast in primis - ha scompigliato le carte riguardo al ruolo della televisione in Italia, ma solo parzialmente, perché molto spesso i target di pubblico a cui ci si riferisce sono diversi. L’aumento del numero di serie e docuserie dedicate a fatti di cronaca nera è comunque indicativo del fatto che c’è un diffuso interesse per la tematica, anche da parte degli utenti più giovani, che tendenzialmente non seguono i programmi tv ma rappresentano invece il target principale di piattaforme come Netflix e Spotify. Il pubblico di Quarto Grado, per esempio, è composto perlopiù da persone che vanno dai cinquant’anni fino alla tarda età, in maggioranza femminile. C’è un grande interesse da parte degli spettatori, tanto che, quando mi riconoscono per strada, mi fermano per chiedere aggiornamenti sui casi di cronaca. La trasmissione registra circa un milione di telespettatori ogni puntata e un ottimo engagement anche sulla pagina Facebook che, con oltre 500mila like, è sommersa dai commenti del pubblico. In generale, l’insegnamento che ho tratto dalla mia esperienza di giornalista di cronaca nera è che tutto è sempre più complicato di quello che sembra, anche una situazione apparentemente chiara e lineare. In questa professione, quindi, è quanto mai importante essere accurati nella verifica delle informazioni e curiosi nell’andare a fondo delle questioni.●
YEARS
Le celebrazioni per i 20 anni dalla nascita dell’Istituto Italiano di Tecnologia.
Passato, e oltre presente
Nel settembre del 2003 nasceva la Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia, il nuovo centro di ricerca multidisciplinare e ispirato a modelli internazionali, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo del sistema economico nazionale, sostenendo l’eccellenza nella ricerca di base e in quella applicata.
Il 21 settembre scorso, nella sede di Genova, l’Istituto ha aperto le celebrazioni per i 20 anni dalla sua fondazione con il messaggio di augurio da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, letto dal Presidente dell’IIT, Gabriele Galateri di Genola, a cui sono seguiti i saluti istituzionali del Presidente Galateri e del Direttore Scientifico di IIT, Giorgio Metta, e quelli delle autorità locali, nazionali ed europee.
Il ricordo della nascita della Fondazione e dei primi anni di formazione dell’Istituto è stato portato dall’ex Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Letizia Moratti, oggi Presidente della Fondazione E4Impact; dal primo Presidente di IIT Vittorio Grilli, oggi Chairman del Corporate & Investment Bank per l’area Europa, Medio Oriente e Africa, JPMorgan; e dal primo Direttore Scientifico di IIT Roberto Cingolani, oggi Amministratore Delegato di Leonardo. La dimensione internazionale della ricerca scientifica di IIT è stata testimoniata dalla presenza di esponenti di rilievo della comunità scientifica europea e statunitense (dove IIT ha due outstation, una presso il MIT e l’altra ad Harvard): la Presidentessa dell’European Research Council, Maria Leptin; la Direttrice Generale del Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare (EMBL) Edith Heard, il Premio Nobel per la Chimica Martin Chalfie e Tomaso Poggio, appartenente al Center for Brains, Minds and Machines del MIT di Boston, USA. Nell’occasione, è stato presentato il nuovo robot umanoide ergoCub. Emblema della robotica e dell’Intelligenza Artificiale di IIT, due dei settori che posizionano l’Istituto tra i centri di ricerca più avanzati al mondo, il robot ha salutato i numerosi ospiti istituzionali e scientifici presenti in sala, mostrando le sue abilità di movimento. ergoCub è alto 150 cm e pesa 55,7 kg. Il suo nome deriva dall’unione di “ergo”, per indicare il focus sull’ergonomia, e di “Cub”, che richiama il nome dell’umanoide bambino iCub, il quale è stato la piattaforma di riferimento per lo sviluppo del nuovo robot, oltre che simbolo dell’Istituto fino dalla sua nascita. Il nuovo robot è dotato di intelligenza artificiale ed è stato progettato per avere un sistema in grado di valutare, gestire, ridurre e prevenire il rischio fisico dei lavoratori nei contesti industriali e ospedalieri. Frutto della collaborazione tra lo staff di ricerca di IIT e quello di INAIL, ergoCub rappresenta solo una delle ultime pietre miliari dell’Istituto. Durante le celebrazioni, infatti, gli ospiti hanno potuto vedere dal vivo alcune delle altre creazioni dell’Istituto che ne hanno accompagnato la crescita negli anni: il robot umanoide R1, ultimato nel 2016 e concepito per operare in ambienti domestici e professionali; il robot modulabile e configurabile Concert in sviluppo dal 2021 e, infine, FLOAT, un innovativo dispositivo medico robotico per la riabilitazione delle braccia presentato nel 2022. Attualmente lo staff complessivo di IIT conta oltre 2000 persone, più della metà proveniente da oltre 60 paesi nel mondo. L’attività di ricerca, focalizzata su robotica, IA, nuovi materiali e tecnologie per la vita, ha portato a circa 18.000 pubblicazioni scientifiche, 1.294 titoli di brevetti attivi e 33 startup costituite. L’Istituto ha inoltre partecipato a 385 progetti europei, 43 progetti internazionali e 124 progetti nazionali e 177 con fondazioni. I suoi ricercatori e ricercatrici hanno vinto un totale di 61 finanziamenti per la ricerca d’avanguardia da parte del prestigioso ente europeo European Research Council (ERC), posizionandosi tra i primi in Italia.●
Guardando al futuro
di Fabrizio Fabbri
La storia di Ansaldo è la nostra storia. Ansaldo Energia ha raccolto e mantiene nel suo DNA lo spirito imprenditoriale e pionieristico di Gio. Ansaldo, che volle questa impresa centosettant’anni fa, prima ancora che si facesse l’Italia e che contribuì in maniera determinante alla nascita dell’industria italiana. La storia di Ansaldo è una storia fatta di flessibilità, di capacità di adattamento, di difficoltà superate, di sfide raccolte e di ripartenze. Oggi Ansaldo Energia è protagonista di una nuova ripartenza. Abbiamo davanti un periodo in cui le sfide non mancano: l’instabilità geopolitica, la transizione energetica, i mercati che si evolvono, solo per citarne alcune. Con le radici nel nostro passato, siamo pronti a guardare al futuro con determinazione e fiducia. Siamo uno dei pochissimi gruppi al mondo a fare quello che facciamo. Questo è al tempo stesso un motivo di orgoglio e una grande responsabilità nei confronti del Paese. Ansaldo Energia ha innanzitutto i prodotti e le competenze per essere innovativa e competitiva: nel nostro core business, le turbine a gas, abbiamo il nostro prodotto di punta. La GT36, per citare l’ammiraglia della nostra flotta, è una macchina in grado di supportare la transizione energetica, nell’immediato e nel futuro. Con un’altissima flessibilità ed elevate performance, la GT36 brucia gas in maniera estremamente efficiente, contenendo le emissioni e rispondendo alle prime richieste della decarbonizzazione. Ma c’è di più. A oggi la GT36 è in grado di bruciare idrogeno fino al 70%, per arrivare al 100% entro il 2030: questo significa produrre energia a emissioni climalteranti pari
a zero. Senza trascurare la sostenibilità economica: fare un impianto con GT36 oggi, significa non dover prevedere nuovi investimenti nel prossimo futuro anche a fronte di un nuovo carburante. È questa la direzione che stanno prendendo i mercati europei, sui quali puntiamo molti dei nostri sforzi. La nostra esperienza e l’ampia gamma di turbogas che abbiamo a portafoglio ci permette inoltre di affrontare mercati differenti come il Medioriente, l’Africa e il CIS con prodotti collaudati e che sono in grado di fornire le performance di cui i nostri clienti hanno bisogno.
Ma Ansaldo Energia è ancora di più: è un Gruppo. La nostra forza risiede nel saper rispondere con un portafoglio diversificato alla crescente domanda di energia che arriva da tutto il mondo. E vogliamo essere in grado di fornire un’energia sempre più efficiente, sostenibile e accessibile. In questo scenario la molteplicità dell’offerta è un asset strategico per tutto il Paese. Possiamo rispondere a queste nuove domande con Ansaldo Nucleare, che nonostante l’inverno nucleare degli scorsi decenni ha continuato a crescere, a innovarsi, a lavorare sui mercati dove era possibile. Ansaldo Nucleare collabora con EDF, Westinghouse, Rolls Royce, solo per citare alcune aziende strategiche che hanno scelto la competenza e l’innovazione dei nostri ingegneri. Il rinnovato interesse verso l’energia nucleare - necessaria per accompagnare la transizione energetica - trova nel nostro Gruppo una realtà viva e forte, impegnata - unico caso in Italia - su tutti i settori di sviluppo: nuovi prodotti, service, waste management, decommissioning, fusione. E poi con Ansaldo Green
Tech, nata proprio per supportare l’azienda nella transizione energetica e che ha in sé le competenze e l’esperienza di Ansaldo Energia, delle sue persone, della sua innovazione, dei propri studi. Ansaldo Green Tech è in prima linea nello studio e nella realizzazione degli elettrolizzatori, necessari per produrre idrogeno, il carburante del futuro a zero emissioni, e sviluppare tecnologie innovative per accumulare l’energia, passaggio fondamentale per un utilizzo sempre più ampio delle energie rinnovabili.
Tutto questo, unito alle nostre persone e alla comunità che ci sostiene - che comprende istituzioni, fornitori, clienti, stakeholders - ci fa guardare ai prossimi anni con fiducia e determinazione. La nostra forza è la nostra energia, noi siamo l’energia del futuro.●
Fabrizio Fabbri è Amministratore Delegato di Ansaldo Energia
OPENDAY
In occasione dei 170 anni di Ansaldo, Ansaldo Energia ha aperto le porte dello stabilimento ai propri dipendenti, ex dipendenti e alle loro famiglie. Il 30 settembre, quasi 4000 persone hanno varcato i cancelli di Ansaldo Energia per visitarne la fabbrica e l’intera realtà produttiva. È stato un momento di forte coesione e spirito di appartenenza: genitori e figli, nonni e nipoti, ognuno ha avuto modo di raccontare ai propri cari cosa fa e in che modo contribuisce alla crescita di Ansaldo Energia, facendo conoscere una realtà nota nel nome, ma per lo più sconosciuta nella sua produzione. Poter fare esperienza diretta di come sono realizzate le turbine, vedere i grandi macchinari manifatturieri, ascoltare quanta ricerca e tecnologia c’è nel lavoro di ciascuno è stato un momento in cui la grande famiglia degli “ansaldini” si è ritrovata più coesa che mai. La manifestazione si è conclusa con i saluti della Presidente di Ansaldo Energia, Lorenza Franzino, dell’amministratore delegato Fabrizio Fabbri e dell’ex Presidente e Amministratore Delegato, Giuseppe Zampini, i quali hanno ringraziato i presenti per la massiccia e sentita partecipazione sottolineando come, da 170 anni, sono state le persone - con il loro ingegno e il loro lavoro - a far vivere e crescere Ansaldo.●
“ANSALDO, UNA STORIA D’ITALIA”
Il 3 ottobre si è svolto presso i Magazzini del Cotone di Genova l’evento “Ansaldo, una storia d’Italia”, un momento di incontro con clienti, fornitori e istituzioni per celebrare insieme i 170 anni di Ansaldo e riunirsi per discutere del futuro di Ansaldo Energia, della città, della regione e del Paese. Oltre 400 persone si sono ritrovate nell’auditorium del Porto Antico per assistere a tre interessanti talk show. Il primo “Ansaldo Energia, un legame indissolubile” ha visto la partecipazione del Direttore della Fondazione Ansaldo, Lorenzo Fiori, dello storico ed ex sindaco Marco Doria, del Deputato Ilaria Cavo e della Presidente di Ansaldo Energia, Lorenza Franzino. È seguito il dibattito sulle prospettive future per Ansaldo Energia e per la nostra regione: sono intervenuti in videoconferenza il Ministro del made in Italy Adolfo Urso e il sottosegretario Edoardo Rixi. In sala hanno preso la parola il sindaco di Genova, Marco Bucci, il Presidente della regione Liguria, Giovanni Toti e il Presidente di Confindustria Liguria, Giovanni Mondini. L’ultimo dibattito, dedicato alle imprese del territorio, ha visto la partecipazione di Mauro Ferrando, Presidente del Porto Antico, Ugo Salerno, AD e Presidente Rina, Antonio Gozzi, Presidente di Duferco e Federacciai, Augusto Cosulich, Presidente e CEO presso di Fratelli Cosulich Group, Stefano Messina, Presidente del Gruppo Messina e Umberto Risso, Presidente di Confindustria Genova. I dibattiti, particolarmente sentiti e focalizzati sul ruolo che devono avere le imprese nello sviluppo del Paese, sono stati intervallati da momenti di musica estremamente emozionanti, grazie all’orchestra Trillargento e al Coro Mani Bianche e allo straordinario intervento del maestro Giuseppe Gibboni, vincitore del Premio Paganini 2021, che ha portato in sala le note del violino “Sivori”, appartenuto a Niccolò Paganini. Nel concludere l’evento, l’Amministratore Delegato di Ansaldo Energia, Fabrizio Fabbri, ha ringraziato tutti i partecipanti alla serata per la loro presenza e per il supporto dato all’azienda, sottolineando ancora una volta l’impegno del Gruppo nell’assicurare un futuro di energia efficiente, sostenibile e accessibile. Al termine è stato possibile visitare l’area espositiva allestita ai magazzini del Cotone dove erano esposti alcuni tra i pezzi più significativi della produzione di Ansaldo Energia. Dalle palette della turbina a gas GT36 al rotore della microturbina, dai dispositivi di monitoraggio del service al divertore che è parte del progetto di fusione nucleare ITER, questa mostra è stata un’occasione per mostrare a clienti, fornitori e partner cosa realizza Ansaldo Energia e come i suoi prodotti e la sua tecnologia l’abbiano resa una delle quattro aziende più importanti al mondo nel campo della power generation.●
di Elena Visentini
Per i suoi primi 100 anni in Italia, Philips ha invitato un panel di esperti per riflettere sull’importanza delle nuove tecnologie per una sanità sempre più efficiente, connessa e personalizzata.
Un compleanno speciale
Sebbene, in un secolo di vita, poco meno di un lustro la leghi direttamente alla città, attraverso il suo Technology & Innovation Center dedicato all’imaging medicale, Genova ha assunto in breve tempo una posizione centrale nella lunga storia di Philips Italia.
La struttura genovese, un innovativo e moderno centro di competenze capace di gestire le attività del business healthcare IT non solo in Italia, ma in tutta Europa, Medio Oriente ed Africa, è una delle più complete nel mercato dell’imaging medicale, erogando servizi di consulenza e formazione ad oltre 4000 professionisti nelle aree dedicate e offrendo supporto remoto ad oltre 1500 clienti, che producono oltre 132 milioni di esami di imaging diagnostico ogni anno. Non è un caso, dunque, se Philips abbia scelto di celebrare anche a Genova l’anniversario per i suoi cento anni di presenza in Italia.
E per sottolineare l’impegno, immutato in un secolo, a mettere la propria capacità innovativa, tecnologica e la propria visione al servizio dell’ecosistema salute, ha scelto di farlo organizzando un confronto a più voci per discutere come tecnologie, innovazione e digitalizzazione possano aprire la strada a nuovi paradigmi di erogazione delle cure, con l’obiettivo di rendere l’assistenza più efficiente dal punto di visto clinico e operativo e vicina al paziente da un punto di vista territoriale.
All’incontro dal titolo “Innovazione tecnologica e digitalizzazione al servizio del sistema salute” sono intervenuti, insieme ad Andrea Celli, Managing Director di Philips Italia,
Israele e Grecia, Marco Damonte Prioli, Direttore Generale Ospedale Policlinico San Martino, Guido Scorza, Componente del Garante per la protezione dei dati personali, e Antonio Uccelli, Direttore Scientifico IRCCS Ospedale Policlinico San Martino.
È emersa l’importanza di un’innovazione che non sia solamente legata al progresso tecnologico, ma che sia capace di trasferire valore alla comunità, accrescere il benessere collettivo e dei singoli, ed essere rispettosa dei diritti e della dignità delle persone.
L’innovazione, come ha sottolineato Andrea Celli, Managing Director di Philips Italia, Israele e Grecia, deve innanzitutto facilitare l’accesso alle cure e contribuire a portare l’assistenza sanitaria più vicina ai pazienti, con punti di accesso, virtuali e fisici, disponibili anche al di fuori delle mura ospedaliere. Deve aiutare i medici e il personale sanitario a svolgere il loro lavoro in maniera più efficiente ed efficace, accelerando, per esempio, i tempi di un esame diagnostico, abbattere la probabilità di errore, semplificando l’usabilità delle tecnologie, migliorare i flussi di lavoro, così da ridurre lo stress degli operatori sanitari. Tutto questo significa offrire a un maggior numero di persone accessi a cure di qualità e ridurre le lista di attesa degli esami, che in questo momento restano un punto critico dell’assistenza sanitaria.
Gli ospedali del futuro, ha sottolineato Marco Damonte Prioli, Direttore Generale Ospedale Policlinico San Martino, dovranno essere progettati con la consapevolezza che si
tratta di strutture “native digitali” se pensiamo ai dati, ai contenuti digitali che, per esempio, vengono prodotti dalla diagnostica per immagini o al fatto che già oggi la rilevazione di alcuni parametri vitali avviene senza contatto, ma attraverso una rete a onde radio. La digitalizzazione non riguarda più solo i sistemi informativi, ma tutto il “sistema nervoso digitale” di un ospedale. Solo da questa prospettiva sarà possibile elaborare nuovi modelli computazionali e continuare a investire in innovazione, a partire dall’intelligenza artificiale in ambito applicativo. È la sfida che sta cogliendo il progetto del Polo genovese di Erzelli, un centro di ricerca integrato dedicato principalmente ad attività computazionali, ma non solo. Questo centro mira a integrare enti di ricerca, aziende private, tra cui Philips, ed enti regionali nel campo delle scienze della vita e delle neurotecnologie con l’obiettivo di anticipare le esigenze future della sanità nei prossimi dieci e vent’anni. Utilizzando modelli matematici e i dati attuali sarà possibile fornire indirizzi di politica sanitaria per il futuro e creare un modello di integrazione tra ricerca di base e clinica.
L’obiettivo finale, sottolinea Antonio Uccelli, Direttore Scientifico IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, è dar vita a una struttura di ricerca a Genova e nella Regione Liguria che possa competere a livello internazionale e coinvolgere sia il settore pubblico che quello privato per realizzare ambiziose iniziative di innovazione. Quello del rapporto tra tecnologie come l’intelligenza artificiale, la raccolta, la condivisione e l’analisi dei dati, alla base dello sviluppo di nuovi modelli computazionali, chiama in gioco inevitabilmente anche il tema della privacy. Guido Sforza, in qualità di Componente del Garante per la protezione dei dati personali, ha evidenziato come in questo ambito sia necessario superare una visione che spesso tende a mettere in contrapposizione i diversi diritti degli individui, o che tenti addirittura di stabilire a priori una scala gerarchica tra questi, e il progresso in ambito scientifico e sanitario. È indispensabile arrivare a una conciliazione che è la sola strada per assicurare un benessere delle persone che non contempli solo la salute fisica, ma anche il rispetto delle libertà e della dignità umana.
Dal dibattito organizzato da Philips a Genova è emerso chiaramente come tutte queste sfide, per essere vinte, richiedano un approccio aperto e collaborativo in grado di fare sistema coinvolgendo, ciascuno per le sue competenze, pubblico, privato, università e centri di ricerca. I grandi gruppi privati possono e devono imparare a fare squadra, connettere competenze e know-how diversi e complementari, mentre ai decisori istituzionali spetta il compito di semplificare il quadro normativo, snellire le procedure di gara, promuovere nuovi canali di accesso dell’innovazione all’interno del sistema sanitario pubblico. Solo unendo le forze è possibile creare un sistema virtuoso, capace di proiettare finalmente la sanità nel futuro.●
Elena Visentini è Direttore Marketing Philips Italia, Israele e Grecia
di Francesca Sanguineti
Una storia sessant ’anni sessan
Con sede a Genova dal 1963, Carma opera in una nicchia di mercato internazionale fatta di pochissime aziende specializzate in strumenti e attrezzatura per l’industria petrolchimica.
Valeria Catania
Maria Grazia Cardia
LE TAPPE
1963
Nasce come ditta individuale da Anna Maria Marchi.
1976
Diventa s.a.s sotto la guida del marito, Francesco Cardia, laureato in chimica industriale, esperto del settore petrolifero ed ex direttore di uno dei più importanti stabilimenti italiani confluito in ENI.
1997
La figlia Maria Grazia Cardia, dopo aver lavorato a fianco del padre per 24 anni, ne eredita l’enorme esperienza assumendone la gestione completa.
2018
Valeria Catania, terza generazione, entra in azienda dopo diversi anni di professione in ambito legale.n
presso le raffinerie, i depositi e le società petrolifere in generale presso cui Francesco Cardia andava a fare le ispezioni, vedendo questi strumenti e prodotti, iniziarono a richiederli in quanto utili per svolgere anche il loro lavoro». Da questa esigenza è nata la Carma di Anna Maria Marchi - coniuge di Cardia - nel 1963. Grazie ai suoi studi in chimica il dott. Cardia studiò la formula della pasta rilevatrice di acqua, detta anche “pasta rossa”, un reagente che serve per misurare la presenza di acqua nel prodotto, «perché nel serbatoio è sempre presente un po’ d’acqua e occorre misurarla», e ne iniziò la produzione nel laboratorio all’epoca interno all’azienda. Successivamente studiò e realizzò la rotella metrica cosiddetta “CAREL”, una rotella speciale che serve per misurare i liquidi stoccati nei serbatoi. Due articoli indispensabili sul campo: sul nastro della rotella viene spalmato uno strato di pasta rossa che viene calato sul fondo del serbatoio tramite un contrappeso graduato. La reazione della pasta al colore rosso conferma la presenza di acqua.
NUOVE TECNOLOGIE, NUOVE NORMATIVE.
MA CARMA RESTA RIFERIMENTO NEL SETTORE
Negli ultimi anni la tecnologia sta cambiando: le misurazioni effettuate manualmente vengono via via sostituite da misurazioni elettroniche. Tuttavia, l’elettronica è soggetta a guasti, quindi le aziende strutturate mantengono anche uno strumento manuale, che resta una certezza.
Carma è in grado di fornire ai suoi clienti entrambe le tipologie di prodotto: non solo termometri in vetro e strumenti analogici, ma anche termometri elettronici da campo e da laboratorio e densimetri digitali. Carma è infatti rivenditore di una vasta gamma di articoli ed è l’unico distributore autorizzato in Italia della società londinese GH Zeal Ltd, uno dei leader mondiali della termodensimetria in vetro di precisione, e dell’azienda statunitense ThermoProbe Inc. per i termometri elettronici da campo e da laboratorio certificati ATEX (Atmosphere Explosive) per l’uso in luoghi pericolosi. La tecnologia evolve rapidamente in questo settore e così le normative; bisogna aggiornarsi di continuo e monitorare le numerose novità di origine comunitaria e non; ad esempio, «le schede di sicurezza - spiega Valeria Catania, terza
generazione di Carma con un passato alle spalle in ambito legale - vanno aggiornate costantemente. Sostanze che un tempo venivano utilizzate senza particolari limiti e problematiche, oggi sono definite pericolose perché ad esempio ritenute “cancerogene” e quindi occorre prestare attenzione per la tutela della salute dei lavoratori; è così che è nata ad esempio “la pasta rosa”, un reagente con la stessa funzione della “pasta rossa” rilevatrice d’acqua nei liquidi petroliferi, appositamente studiata per andare incontro alle esigenze delle aziende».
CARMA OGGI: UN SETTORE DI NICCHIA DOVE LA PRECISIONE È D’OBBLIGO
A distanza di 60 anni, Carma è ancora punto di riferimento del settore. «Quando aziende private e pubbliche hanno bisogno di tutta la strumentazione per ogni fase della loro attività, si rivolgono a Carma, proprio come nella visione iniziale di mio nonno - prosegue Valeria Catania -; abbiamo un parco clienti molto solido e per così dire “storico”, che ogni anno incrementiamo grazie al buon nome dell’azienda e agli strumenti telematici a nostra disposizione: non solo il sito web, visionato da molti utenti e ispettori, ma anche il MePA, il mercato elettronico della pubblica amministrazione sul quale ci siamo abilitati a operare nel 2019».
QUALE FUTURO
«Nel futuro si vorrebbe esportare di più: soprattutto nei mercati extra UE, dove ci sono ancora grossi margini di sviluppo per il settore petrolchimico. Non solo: a breve i cosiddetti “biocarburanti” e “e-fuel” sostituiranno i carburanti tradizionali; sarà pertanto necessario adeguare la strumentazione ai carburanti di nuova generazione nell’ambito del processo in atto di transizione energetica». Altri sei decenni? Carma ha tutte le carte in regola. Carma è una storia lunga 60 anni, una storia di tre generazioni che hanno saputo evolvere con il mercato mantenendo il ruolo di riferimento nel proprio comparto. La sfida è stare al passo coi tempi in un settore a cavallo tra l’energetico e il chimico in continua e profonda evoluzione.●
www.carmagenovaweb.it
LO STRUMENTO DI PUNTA:
LA ROTELLA METRICA
COSIDDETTA “CAREL”
La rotella metrica cosiddetta. “Carel” è stata ideata e realizzata dal fondatore, Francesco Cardia, per prevenire eventuali conseguenze provocate da cariche elettrostatiche nella misurazione di liquidi infiammabili, stoccati in serbatoi a terra o su navi cisterna. Lo strumento è nato negli anni ‘90 e si è evoluto nel tempo, rispettando alti standard qualitativi, divenendo conforme alla direttiva ATEX e ai suoi aggiornamenti (dir. 2014/34/EU Atmospehere Explosive). La rotella, dotata di nastro metrico centimetrato e millimetrato e di contrappeso fisso, può essere certificata da SGS Italia S.p.A. o dai Laboratori Accreditati di taratura (LAT).n
stella
Il riconoscimento d’eccellenza al Bristol Palace Hotel di Genova.
A Genova c’è una nuova stella: è quella recentemente conquistata dall’Hotel Bristol Palace, la quinta per l’esattezza, a conferma dell’assoluta qualità dell’accoglienza offerta. Il Palazzo, che tanto nella facciata quanto negli interni rimanda ad atmosfere Liberty e d’altri tempi, si trova nella parte alta di via XX Settembre, a due passi da Piazza De Ferrari e dai principali musei e palazzi della città: Teatro Carlo Felice, Palazzo Ducale, palazzi Rolli...
La decisione di “conquistare” la quinta stella, spiega il general manager Giovanni Ferrando, è nata da una consapevolezza maturata nel tempo: «Da anni la nostra struttura rispetta ampiamente tutti i requisiti necessari per il riconoscimento delle cinque stelle e, anzi, abbiamo adottato parametri ancora più stringenti in linea con le regole di hôtellerie internazionali. Inoltre, le caratteristiche delle nostre stanze, la qualità dei servizi offerti, l’architettura del Palazzo e la posizione nel cuore della città hanno fatto sì che il Bristol Palace fosse il candidato ideale per innalzare l’asticella dell’accoglienza di lusso a Genova».
Una scelta di mercato coraggiosa: «Abbiamo valutato attentamente le condizioni macro-economiche della città e della regione - ha proseguito Ferrando - e individuato nel turismo di lusso una sorgente di mercato ancora parzialmente inesplorata a Genova. Oggi, infatti, questo tipo di clientela soggiorna soprattutto in riviera, e per generare la domanda di hotel di lusso anche nel centro cittadino abbiamo deciso di partire anzitutto dall’offerta, candidandoci come location d’eccellenza».
Del resto, il Bristol Palace fa parte del gruppo Duetorrihotels, che gestisce tre hotel già accreditati come cinque stelle e cinque stelle lusso, ospitati in palazzi storici nel cuore delle principali città d’arte italiane: il Grand Hotel Majestic “già Baglioni” di Bologna, il Due Torri Hotel di Verona e l’Hotel Bernini Palace di Firenze, oltre al Santa Barbara, business hotel a San Donato Milanese, e il budget hotel Alga a Milano.
Da anni il Gruppo, il cui slogan è “Benvenuti in Italia”, porta avanti un’opera di restyling del proprio patrimonio immobiliare, valorizzandolo come parte dell’eredità storico-artistica del territorio e partecipando attivamente alla vita culturale delle città d’arte d’Italia in cui è presente, organizzando eventi, iniziative e mostre.
«A completamento dell’offerta del gruppo - spiega Ferrando - non poteva mancare la quinta stella anche a Genova. Rinunceremo, in parte, al turismo di fascia media, ma siamo convinti di voler proseguire nella nostra vocazione per l’accoglienza di lusso».
L’hotel, in effetti, fu aperto a Genova nel 1905 e fin da subito venne scelto come location d’eccellenza per soggiorni ed eventi dell’alta società europea. E lo stesso vale ancora oggi: «È notizia recente la visita del Principe Alberto II di Monaco,
Da sinistra: Giovanni Toti, Giovanni Ferrando, Franco Vanetti, Marco Bucci e Alessandra Bianchi
che più volte ha scelto l’Hotel Bristol Palace per i suoi soggiorni in città» racconta il direttore Ferrando. E il Principe è solo l’ultimo di una lunga serie di importanti ospiti del mondo della politica e della cultura che si sono susseguiti negli anni, come l’Imperatore Hirohito, Yitzhak Rabin, Simon Peres, e Rudolf Nureyev, solo per citarne alcuni. «Le atmosfere Liberty del palazzo, il cui simbolo è il celebre scalone ellittico in marmo bianco, che avrebbe ispirato al regista Alfred Hitchcock, in città per girare “Caccia al ladro”, il motivo della spirale che fa da leit-motiv al film Vertigo - precisa Ferrando -, si integrano con comfort moderni e tecnologie d’avanguardia, che lo rendono una location adatta anche a ospitare importanti feste, eventi, congressi di carattere nazionale e internazionale». Il turismo italiano, attualmente, rappresenta il mercato primario del Bristol Palace, ma il mercato internazionalesoprattutto quello americano - è molto sviluppato e fortemente in crescita.
Oggi, alle 133 camere e suite del Bristol Palace, si aggiunge
anche la nuova Suite presidenziale, fiore all’occhiello dell’Hotel, che in onore della città è stata nominata La Superba. Ampia 170 metri quadri, la stanza si apre su un foyer regale, che dà accesso alle due camere, al salotto e a due bagni entrambi completi di spa di ultima generazione con bagno turco, cromoterapia, aromaterapia, doccia emozionale, calidarium.
Tassello fondamentale dell’accoglienza, poi, è il ristorante Giotto, aperto agli ospiti - e non solo - che vogliano celebrare un’occasione speciale nella sala affrescata in inverno oppure nella grande terrazza all’aperto in estate. Tra collaboratori diretti e indiretti, il Bristol Palace coinvolge una rete di oltre cinquanta professionisti dell’hôtellerie: «Il settore dell’accoglienza e del turismo richiede indubbiamente grandi sacrifici, basti pensare che si lavora soprattutto quando gli altri sono in festa, ma è un mestiere che dà anche grandi soddisfazioni personali ed economiche - conclude Ferrando -. Aver raggiunto la quinta stella sarà uno stimolo, per tutti, per fare sempre meglio».● (M.O.)
di Luigi Bottos
GO 2 FOOD SAVING
La certificazione che valorizza l’impegno delle organizzazioni nella gestione della riduzione degli sprechi alimentari.
Secondo una recente stima della Commissione Europea (MEMO/19 European Commission 5 April 2023) quasi 59 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari (131 kg/abitante) vengono generati ogni anno nell’Unione Europea con il valore di mercato associato stimato a 132 miliardi di euro. Eurostat stima che circa il 10% del cibo messo a disposizione dei consumatori dell’Unione (vendita al dettaglio, servizi di ristorazione e famiglie) sia sprecato.
Lo spreco alimentare si verifica a tutti i livelli della filiera agroalimentare, dalla produzione al consumo, inclusi i settori della ristorazione e distribuzione degli alimenti in cui ha un ruolo di rilievo la grande distribuzione organizzata (GDO) ma, in modo prevalente, nella fase di consumo con un enorme impatto sull’ambiente, rappresentando circa il 7% del totale UE delle emissioni di gas a effetto serra. La lotta allo spreco alimentare comporta benefici in termini ambientali, economici e sociali; nello specifico, riduce l’impatto ambientale della produzione e del consumo di alimenti, aiuta gli agricoltori, le organizzazioni e i consumatori a risparmiare denaro e permette di ridurre il consumo di prodotti alimentari. A tal fine la misurazione è fondamentale, in quanto garantisce una base oggettiva su cui costruire strategie efficienti.
A questo proposito la Commissione Europea ha presentato una proposta di revisione dell’attuale direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/EC), la quale stabilisce che gli Stati membri adottino “misure adeguate per prevenire la produzione di rifiuti alimentari nella produzione primaria, nella trasformazione e nella preparazione, nella vendita al dettaglio e nella distribuzione di alimenti, nei ristoranti e nei servizi di ristorazione, nonché nelle famiglie”.
Intervenendo su tutti gli anelli dalla filiera, l’esecutivo UE fissa per la prima volta obiettivi vincolanti da raggiungere entro il 31 dicembre 2030 per la riduzione degli scarti alimentari, mediante la riduzione del 10% rispetto al 2020 (o rispetto a un anno precedente se lo Stato è in grado di produrre dati affidabili a riguardo) nella produzione di rifiuti alimentari e mediante la riduzione della produzione di rifiuti alimentari pro-capite del 30% sempre rispetto al 2020 nelle fasi finali della catena del valore. Per raggiungere questi target è fondamentale promuovere campagne di informazione e formazione, identificare e affrontare le inefficienze della filiera, stimolare i cambiamenti di comportamento e agevolare i processi di donazione e ridistribuzione del cibo non consumato. Grazie alla sua pluriennale esperienza e all’aggiornamento costante sulle tematiche agroalimentari, RINA - multinazionale di certificazione attiva in più di 70 paesi - ha sviluppato lo standard “GO 2 FOOD SAVING” (GO2FS) in grado di valorizzare, ora e in futuro, il costante impegno nella gestione della riduzione degli sprechi alimentari.
Questo servizio di certificazione consente alle organizzazioni di raggiungere un’efficiente riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari attraverso un approccio responsabile volto a ottimizzare i processi e le risorse, con un conseguente impatto positivo sull’ambiente, sulla società e sull’economia. In linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 e con i principi contenuti nella strategia “From Farm to Fork” che è al centro del Green Deal europeo, lo standard GO2FS è applicabile a tutte le organizzazioni di qualsiasi tipologia e dimensione, pubbliche o private, coinvolte in ogni stadio della filiera agroalimentare. L’adozione dello standard certificativo GO2FS consente a un’organizzazione di individuare indicatori che permettano di gestire le attività e le azioni contro lo spreco alimentare attraverso un’efficace gestione dei processi organizzativi e operativi, migliorando e ottimizzando i processi con conseguenze positive sull’ambiente, sulla società e sull’economia.
Implementare lo standard e farlo certificare da RINA permette alle organizzazioni di comunicare in modo credibile e affidabile agli stakeholder, quindi al mercato, non solo l’impegno ma anche le azioni concrete svolte nella lotta contro lo spreco alimentare.
Per ulteriori informazioni relative allo standard e all’avvio dell’iter di certificazione è possibile contattare Francesca Massone (francesca.massone@rina.org) e Simona Gullace (simona.gullace@rina.org).●
Luigi Bottos è Head of ESG Certification Strategic Centre di RINA
COMPETI ZIONE & SVILUPPO
Soluzione
TEM
Intervista a Renato Quiliquini.
Secondo gli ultimi dati pubblicati da SACE, l’export ligure ha sperimentato una notevole crescita nel corso degli ultimi anni, passando da circa 7 miliardi nel 2020 a oltre 10 miliardi e mezzo nel 2022. Nell’anno in corso, si prevede a livello nazionale un aumento nell’esportazione di beni italiani, sebbene con un ritmo leggermente calante rispetto agli ultimi due anni, e anche le stime per il 2024 si confermano robuste. Con l’export che continua a giocare un ruolo cruciale nell’economia ligure e italiana, l’attenzione di molti imprenditori si sposta verso i Temporary Export Manager (TEM), figure chiave per affiancare l’azienda nel processo di internazionalizzazione attraverso la complessità del mercato globale. Il ruolo di queste figure professionali, altamente specializzate nell’ambito del commercio internazionale, prevede la temporanea assunzione di responsabilità operative e decisionali legate all’export, fornendo una consulenza strategica per massimizzare l’efficienza e la redditività nelle transazioni commerciali oltre i confini nazionali. La consulenza di un TEM in un mercato dell’export in crescita si traduce in una strategia vincente e in opportunità per lo sviluppo aziendale. Ne parliamo con Renato Quiliquini, CEO di SELES divisione di Everap SPA, azienda del Gruppo Umana, che da quasi 40 anni si occupa di sviluppo commerciale in Italia e all’estero con l’accreditamento dell’Agenzia ICE e di SACE. «Lo confermo. Ci sono dati molto incoraggianti sull’export nel 2023, le aziende italiane guardano sempre più all’esportazione, soprattutto verso i Paesi europei» commenta Quiliquini. E continua: «Non solo utilizzando i propri capitali, ma anche grazie ai finanziamenti
Renato Quiliquini
a fondo perduto che lo Stato ha messo a disposizione negli ultimi anni, le imprese hanno trovato un nuovo impulso».
Renato Quiliquini, dal suo punto di vista, quali sono i mercati più dinamici?
I settori di maggior traino sono soprattutto quello alimentare, meccanico e meccatronico, perché contraddistinti dalla produzione Made in Italy. Un segnale chiaro che il prodotto fatto in Italia è ben riconosciuto all’estero. In Europa si guarda con interesse ai prodotti italiani non solo perché belli e ben fatti ma anche per la flessibilità e la velocità di soluzione dei problemi che è tipica delle nostre imprese.
Dove trova spazio in Europa il prodotto italiano?
Soprattutto in Francia, Regno Unito, Spagna, Germania ma non solo. Il prodotto italiano è molto apprezzato in generale, bisogna ovviamente sapere dove e come proporlo. La nostra sensazione è comunque che le aziende italiane ne siano sempre più consapevoli. La grande presenza al Go International di Milano a cui abbiamo partecipato nella prima metà di ottobre ci ha confermato ulteriormente questo trend.
Secondo la sua esperienza, di cosa hanno bisogno le aziende per guardare alla loro internazionalizzazione?
Hanno bisogno di capire come intraprendere il loro nuovo percorso commerciale e a volte, dopo uno studio preliminare, di non temere di cambiare idea sulla destinazione della loro nuova fase. Spesso hanno bisogno di essere affiancate da professionisti qualificati che le accompagnino per
un primo periodo, che a seconda delle esigenze può essere di un anno o anche più, in questa loro nuova avventura commerciale verso l’estero.
Fa riferimento al mondo dei venditori?
Non esattamente. Parliamo di Temporary Export Manager con un expertise qualificato nelle normative commerciali internazionali, negoziazione, strategie di marketing e gestione delle relazioni con clienti e partner commerciali internazionali. Queste figure professionali affiancano l’imprenditore con l’obiettivo di vendere il prodotto del cliente. Certo, si può anche scegliere di inserire nella propria organizzazione degli agenti di commercio che risiedono nei Paesi di riferimento e spesso siamo chiamati a seguire anche questo approccio strategico. Dipende dal punto di partenza dell’azienda. In alcuni casi l’individuazione di agenti è sufficiente a potenziare il business all’estero; in altri, l’imprenditore ha bisogno di un supporto più specializzato sui processi di internazionalizzazione e allora il TEM è solitamente la soluzione più corretta.
Quali sono le caratteristiche di questa particolare figura aziendale?
Come ho detto si tratta di un professionista dell’export e che ha competenze specifiche nel settore che interessa all’azienda. Soprattutto, ha esperienza di più mercati esteri. A partire dall’analisi del mercato di interesse per l’impresa e fino alla gestione del post vendita, dunque, accompagna l’azienda in tutto il suo percorso di sviluppo. Un TEM di
qualità ha anche un grande focus sulla personalizzazione, l’assistenza tecnica e la capacità di comprendere le esigenze specifiche di ciascun cliente. In alcuni casi che abbiamo recentemente seguito il TEM ha collaborato strettamente con i clienti per personalizzare le soluzioni di macchine utensili in base alle loro esigenze di produzione. Inoltre, ha fatto in modo di garantire un servizio di assistenza tecnica impeccabile, dimostrando agli acquirenti esteri che la società era lì per supportarli anche dopo l’acquisto.
Va considerato come un elemento che fa parte dell’organico dell’azienda?
Solo in parte; ovviamente il Temporary Export Manager lavora per l’azienda, ma non è un suo dipendente. Il TEM lavora in sinergia con l’imprenditore, lo affianca e lo supporta, e soprattutto consente outsourcing e la flessibilità necessaria in una fase di cambiamento per l’azienda. Si tratta di una figura strategica per l’export. Una figura esperta, che dopo aver fatto una dettagliata analisi del mercato di riferimento, del target di clientela e anche della concorrenza, svolge azioni di scouting selezionando i potenziali clienti, crea con loro un contatto diretto, affianca l’azienda nella preparazione degli strumenti che servono per presentarsi nel miglior modo possibile e si reca fisicamente agli incontri con i clienti insieme al titolare o a chi si occupa dello sviluppo del commercio all’estero.
Molte aziende sono impegnate spesso in eventi fieristici. Il TEM può essere di supporto?
Le fiere di settore, specialmente quelle internazionali, hanno un’importanza strategica per l’economia di un’azienda, a prescindere dalle dimensioni. Si tratta di momenti fondamentali per rinsaldare i rapporti con i clienti già serviti e per incontrare nuove realtà con cui iniziare a collaborare. Questi eventi rimangono cruciali per le PMI che cercano di espandere la loro base clienti, soprattutto all’estero. Recentemente abbiamo organizzato un seminario dedicato proprio a fornire una guida pratica su come prepararsi e gestire efficacemente tali eventi per massimizzare il successo commerciale nel breve e medio termine. In questi casi un TEM può affiancare l’azienda in eventi fieristici internazionali e non, dando una visione pratica di come amplificare e massimizzare il risultato commerciale, governandone i relativi processi.
In questo modo dunque l’azienda che vuole rivolgersi all’estero ha a disposizione un professionista esterno per il lancio della sua nuova avventura. E dopo?
In seguito l’azienda deciderà il da farsi. Certo, solitamente ogni TEM segue più progetti. Non è un professionista messo a disposizione solo della singola azienda. Tuttavia sicuramente a ognuna delle aziende che ha aiutato a internazionalizzarsi lascerà qualcosa al termine del suo percorso con essa. Chi ha lavorato con questa figura, infatti, nel frattempo si sarà formato, avrà consolidato i propri contatti con clienti e distributori, avrà maturato un know-how e delle abilità tali da poter proseguire con successo lungo la strada intrapresa. La collaborazione con un TEM è in un certo senso un tassello che amplia la stessa cultura di impresa dell’azienda che ne ha potuto sfruttare le caratteristiche.●
Un hub digitale e sostenibile.
Digitale non significa automaticamente “sostenibile”. Dalle server farm ai centri dati fino al dispositivo finale vero e proprio, anche in elettronica e in informatica tutto ha bisogno di molta energia per funzionare. In termini di terawattora, internet consuma all’incirca come la Germania: se fosse uno stato, sarebbe il sesto consumatore di elettricità al mondo. E il trend è in rapida crescita, a causa della nostra ricerca sempre più crescente di dati di ogni tipo. Sempre paragonando il settore ICT a una nazione, si stima che entro il 2025 possa salire al quarto posto per quanto a emissioni di CO2, dietro soltanto a Cina, India e Stati Uniti. A fronte di questa consapevolezza, lavorare in un’ottica di sostenibilità digitale significa mettere in opera delle soluzioni atte alla conciliazione dinamica fra l’innovazione tecnologica e la tutela dell’ambiente. È ciò che fa con competente lungimiranza Gmg Net, una digital agency genovese che ha più di un occhio rivolto al presente e al futuro green, ma vanta oltre vent’anni d’esperienza sul campo. Abbiamo intervistato il CEO & Founder di Gmg Net Luca Busi e la Digital Marketing Manager Deborah Campioni per farci raccontare la loro realtà.
Cos’è Gmg Net?
Riassumendo tanto lavoro e tante competenze in poche parole, direi che Gmg Net è un “digital hub”, dove ogni giorno un team di creativi, web developers, marketers ed esperti di cyber security trasforma in digitale le idee e i pro-
getti dei propri clienti. Con le nostre quattro Business Unit realizziamo l’integrazione di progetti completi e protetti dalle minacce informatiche. Negli ultimi tempi, in particolare, stiamo applicandoci con sempre maggior convinzione nello sviluppo web di siti ed e-commerce sostenibili e alla costruzione di infrastrutture green.
Di che cosa si parla e perché, quando si parla di un sito sostenibile o green?
La navigazione online è legata in gran parte al dispositivo tramite il quale andiamo in rete, ai server sui quali poggiano i siti web e i data center dove server, storage e gruppi di continuità fanno funzionare i sistemi informativi. Un sito web sostenibile o green è un sito che si sostiene su server e data center basati su infrastrutture progettate in modo da ridurre per quanto possibile le emissioni di gas nocivi per l’ambiente. Come ovvio, ci sono molti modi per ridurre l’impatto di un sito, riducendo la sua impronta di carbonio. Il
Luca Busi
Deborah Campioni
primo passo da fare, e forse il più efficace, è passare a un servizio di hosting web ecologico, ovvero una host i cui server sono alimentati da energia rinnovabile. Esistono già moltissime aziende che spiccano per quanto riguarda la gestione green dei propri sistemi. Come Gmg Net siamo molto felici e orgogliosi di poter contare sui server e data center di Seeweb, che ospitano il nostro sito, il nostro blog e i siti web dei nostri clienti. Nata fin dall’inizio della nostra storia, la partnership con Seeweb ci permette di lavorare per limitare al massimo il consumo delle risorse, le nostre e quelle di chi si affida a noi, facendo affidamento su infrastrutture cloud su misura, ad alte performance, sicure, innovative e a ridotto impatto ambientale, garantendo livelli di continuità operativa e sicurezza in linea agli standard più elevati del mercato. Seeweb, infatti, oltre che una delle migliori server farm italiane è anche una realtà che, da molti anni, propone soluzioni cloud sostenibili e responsabili grazie all’utilizzo di energia rinnovabile, alla gestione dei rifiuti a impatto zero e a un modello energetico altamente efficiente.
Nel concreto, come si realizza un sito web green? E come fanno server e data center a diventare sostenibili? Come ho detto prima, i siti sostenibili sono caratterizzati dal fatto che si appoggiano su server e data center green. Ma cosa significa nello specifico? Significa innanzitutto considerare alcuni fattori di progettazione che permettono di ridurre drasticamente le emissioni. Linea guida dei green computing più virtuosi è l’obiettivo dell’utilizzo senza sprechi e dispersioni di energia elettrica rinnovabile al 100%.
Un altro aspetto che può contribuire alla piena sostenibilità è la gestione dei rifiuti: in quest’ambito è importante tendere verso un’alta percentuale di riciclo dei componenti utilizzati, per raggiungere l’obiettivo dell’impatto zero. Da ultimo occorre recuperare e riutilizzare il calore in eccesso, prodotto in ambienti dove lavorano decine e decine di macchine come server, storage e gruppi di continuità.
Deborah Campioni, si è accennato, poco fa, alle Business Units che strutturano Gmg Net. Può darci qualche dettaglio in più?
Oggigiorno il profilo digitale di un’azienda è fortemente sfaccettato. Il sito web non basta: curare la presenza digitale online è un’esigenza sempre più fondamentale per una realtà aziendale all’altezza dei tempi. Di conseguenza, anche il nostro lavoro si è sviluppato, nel tempo, lungo diverse linee operative, e prevede, ormai, l’integrazione di numerose infrastrutture. Per rispondere in modo puntuale ed efficace alle sempre nuove esigenze delle aziende clienti, partiamo sempre da un’analisi del loro profilo offline, per occuparci del design di quello digitale a tutto tondo. Ci siamo strutturati così in quattro Business Units: “Cloud”, “Web Solutions”, “Digital Marketing” e “Cyber Security”. Per loro tramite, proponiamo soluzioni cloud performanti e sicure; creiamo applicazioni personalizzate (da siti vetrina a e-commerce ad applicazioni mobile realizzate su misura) lavorando anche in termini di consulenza e analisi strategica nell’e-commerce, e aiutiamo i nostri clienti a gestire in modo redditizio la vendita online; ci muoviamo al fianco delle aziende per aumentare la visibilità del loro brand, operando a livello di strategie di comunicazione, web marke-
ting, social media, visual identity e SEO; infine, come si dice “last but not least”, ci occupiamo di cyber security, convinti come siamo che la sicurezza di un qualunque sistema informatico aziendale non sia più da considerarsi come un plus: non avere una strategia sulla cyber security significa mettere a serio rischio l’esistenza e il successo di un sito o di un progetto di marketing.
Siete molto focalizzati sulla cyber security e sulla sostenibilità digitale. C’è un minimo comune denominatore che orienta il vostro lavoro in questi due settori? Siamo convinti che la rivoluzione digitale vada portata avanti con dei metodi sicuri e ben collaudati. E crediamo che lo sviluppo della sostenibilità digitale sia una risposta tanto adeguata per quanto necessaria alla pressante domanda di tutela dell’ambiente che sta attraversando, finalmente, la nostra società.● (M.M.)
COMPETIZIONE & SVILUPPO
di Giuseppe Caruso
La crescente consapevolezza che l’impatto dell’attività dell’uomo ha sull’ambiente determina un sempre maggiore interesse dei consumatori per i beni realizzati con materiali ecosostenibili.
I materiali sostenibili ed ecologici, di norma, hanno un ciclo di vita in linea con la salvaguardia del pianeta, determinando effetti positivi sull’ambiente, la società e l’economia.
Dagli scarti dell’industria agroalimentare si possono ricavare filati quali quelli ottenuti dalle arance, tessuti in similpelle vegetale, frutto della lavorazione di funghi, vinaccia e mele, dalle fibre di cellulosa estratte dagli scarti dell’ananas un’alternativa naturale al cuoio, da granuli e agglomerati di mais lettiere per animali domestici. Questi materiali vengono impiegati comunemente nell’industria della moda, del design, delle automotive, del pet food.
In un contesto di particolare attenzione da parte delle aziende e dei consumatori ai temi della sostenibilità, l’Amministrazione doganale e finanziaria si trova sempre più spesso impegnata a dover affrontare richieste, da parte degli operatori, in ordine alla corretta classifica doganale dei beni realizzati con materiali ecosostenibili e alla conseguente applicazione di dazi e aliquote IVA.
Risulta infatti di tutta evidenza come la possibilità di poter applicare un regime daziario o fiscale agevolato ai prodotti commercializzati comporti per le aziende interessate dei vantaggi importanti in termini di acquisizioni di quote di mercato, a scapito di quei competitor che non potranno accedervi per caratteristiche intrinseche di beni funzionalmente analoghi.
Ciò in quanto essendo il consumatore finale a rimanere inciso dal regime fiscale e doganale applicato al bene, è molto probabile, che, quantomeno per prodotti di uso comune, quali ad esempio le lettiere per piccoli animali, la rilevanza in termini di scelta di acquisto possa ricadere sul fattore prezzo al dettaglio.
Questa una delle principali ragioni per cui non passa settimana che l’Agenzia delle Entrate, di concerto con l’Agenzia delle Dogane, sia chiamata a risolvere dubbi degli operatori su quali siano le corrette aliquote da applicare.
L’Ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 24441/ 2023 risulta emblematica di come necessiti una rivisitazione della prassi degli Uffici, enunciando il principio secondo cui l’interprete nell’attribuire una determinata classificazione doganale alle merci, non solo deve individuare caratteristiche e proprietà oggettive delle stesse, alla luce della loro destinazione funzionale, ma anche verificare che la classificazione attribuita sia coerente con il corretto assoggettamento a IVA.
La Suprema Corte, nella fattispecie esaminata, evidenzia che, pur essendo le lettiere per gatti composte prevalentemente da amido di manioca, non possono essere classificate nella voce doganale “prodotti della macinazione, malto, amidi, fecole, inulina, glutine di frumento”, giacché l’amido non viene in rilievo di per se stesso, segnatamente quale prodotto destinato all’alimentazione umana o animale, ma solo in ragione delle funzionalizzazione all’intrinseca destinazione delle lettiere ad assorbire deiezioni e odori, ragion per cui è invece corretta la classificazione
alla voce doganale “Prodotti vegetali non classificati altrove”. Da ciò ne consegue che i beni in questione devono essere assoggettati ad aliquota IVA ordinaria e non agevolata, in quanto la cospicua componente amidacea non attribuisce agli stessi in alcun modo la natura di prodotto alimentare o ingrediente destinato a essere utilizzato nella preparazione di prodotti alimentari.
Il principio enunciato dalla Cassazione nell’Ordinanza in parola ha valenza generale e impatta sulle istruzioni della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 32/2010/E, per l’individuazione della corretta aliquota IVA da applicare alla cessione di beni.
Istruzioni che dispongono un necessario preliminare accertamento tecnico di competenza dell’Agenzia delle Dogane, teso ad acclarare la composizione e la qualificazione merceologica dei singoli prodotti.
Nell’ambito dell’attuazione della delega per la riforma fiscale, che dovrà essere attuata dall’Esecutivo, nei prossimi due anni, con l’obiettivo di semplificare il sistema, migliorare la chiarezza e la conoscibilità delle norme, la certezza dei rapporti giuridici, l’efficienza dell’operato dell’Amministrazione finanziaria, non potrà mancare una riflessione volta a recepire l’indirizzo prospettato dalla Cassazione sulla classificazione delle merci in linea con i sempre nuovi e molteplici materiali ecosostenibili impiegati nei processi produttivi.
A tal proposito il legislatore delegato dovrà intervenire, tenendo in dovuta considerazione, le regole unionali disposte dalla direttiva 2022/542/UE, che impone delle scelte in ordine al numero di aliquote ridotte e alla tipologia di beni e servizi che lo Stato vuole continuare ad agevolare ovvero su cui vuole investire per il futuro.
Gli obiettivi imposti dalla delega sono costituiti sostanzialmente nella omogeneizzazione del trattamento per beni e servizi similari; nella rivisitazione degli elementi di identificazione dei beni e servizi, con un preciso richiamo alla nomenclatura combinata ovvero alla classificazione statistica; nella volontà di agevolare beni e servizi destinati a soddisfare, a livello di consumatori finali, le esigenze di maggiore rilevanza sociale, tra le quali non ultima è quella sempre più percepita di prestare la dovuta attenzione ai beni che hanno un ciclo di vita in linea con la salvaguardia del pianeta.
La delega dovrà dare una risposta certa alla riclassificazione dei beni con aggiornamento della tariffa allegata al Dpr 633/1972.
L’operazione, che farà sostanzialmente riferimento alla nomenclatura combinata doganale, ovvero alla classificazione statistica di beni e servizi, è essenziale in quanto consentirà agli operatori di avere una guida aggiornata dei criteri di identificazione dell’aliquota applicabile alle singole transazioni. Per questo si auspica che il legislatore delegato riesca ad attuare un sistema scevro di eccessive rigidità applicative, in quanto in alcuni casi il riferimento a classificazioni standardizzate non agevola il raggiungimento di finalità, quali quelle sempre più perseguite dalle imprese in ottica di sostenibilità green dei prodotti, che poco si sposano con le classificazioni commerciali e statistiche delle singole operazioni.●
DIGI DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Misurarsi per migliorare
Presentati i risultati dell’indagine di Confindustria Genova e Università di Genova sulla conoscenza e sull’applicazione degli standard di sostenibilità in azienda.
Obiettivo dell’indagine, realizzata da Confindustria Genova in collaborazione con il Dipartimento di Economia e il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Genova, è stato analizzare il grado di conoscenza e di applicazione dei criteri di sostenibilità socioambientale nelle aziende liguri. Il tema della sostenibilità socio-ambientale rappresenta una delle sfide più importanti che le aziende si trovano ad affrontare nell’attuale contesto economico e comporta da parte di queste ultime decisi sforzi di integrazione nella strategia aziendale, talvolta richiedendo di modificare gli attuali modelli di business, nonché notevoli investimenti e competenze specialistiche avanzate. Le aziende ricevono diversi impulsi che le spingono in
tale direzione, in primis da parte delle istituzioni europee che hanno recentemente adottato diversi provvedimenti normativi che si propongono di favorire lo sviluppo di attività economiche compatibili con il raggiungimento di precisi obiettivi di sostenibilità.
Per tali ragioni, risulta di notevole interesse monitorare lo stato dell’arte delle aziende liguri al fine di comprendere se siano consapevoli della rilevanza che i temi ESG (Environmental, Social, Governance) ricoprono nella propria attività, quanto siano già integrati nel modello di business e quali strumenti di rendicontazione di sostenibilità utilizzino.
Gli obiettivi della ricerca sono stati perseguiti attraverso la predisposizione di una survey a cui hanno partecipato 146 aziende liguri. L’analisi delle risposte fornite dalle aziende ha permesso di evidenziare quali azioni siano già state adottate - o tali aziende siano in procinto di adottare - per migliorare la sostenibilità socio-ambientale del proprio business. Particolare attenzione è poi stata rivolta agli strumenti di rendicontazione predisposti dalle aziende per comunicare ai propri stakeholder tali attività e il loro impatto.
I risultati ottenuti forniscono spunti di riflessione interessanti. In primo luogo, si riscontra che le aziende che hanno partecipato al questionario affermano di attribuire importanza ai temi della sostenibilità e dichiarano di aver già sviluppato diverse azioni che favoriscono sia la sostenibilità sociale sia la sostenibilità ambientale del business. Al contrario, si ravvisa al momento un limitato utilizzo degli strumenti di rendicontazione socioambientale, giustificato anche da una dimensione ridotta che caratterizza molte delle aziende incluse nel campione. Ad ogni modo, è possibile supporre che nel prossimo futuro si assisterà a un incremento della pervasività degli strumenti di rendicontazione a causa dei recenti sviluppi normativi e delle richieste provenienti dai partner commerciali. Proprio su questo ultimo aspetto, molte aziende sottolineano di essere intenzionate ad accrescere nel prossimo futuro le richieste di certificazioni di sostenibilità socio-ambientale ai propri fornitori, facendo intuire i riflessi che i provvedimenti normativi avranno sulle catene del valore. I risultati dello studio condotto hanno molteplici implicazioni per le aziende, i finanziatori e le istituzioni. Le evidenze raccolte nel presente rapporto di ricerca mostrano alle aziende la rilevanza che i temi ESG hanno, e soprattutto avranno nel prossimo futuro, nell’ambito dei propri rapporti commerciali e per le azioni di reperimento delle risorse finanziarie. Sulla base delle considerazioni che emergono con riferimento alle aziende di minori dimensioni, è possibile immaginare percorsi di finanziamento ad hoc che le aiutino a sviluppare gli investimenti necessari per implementare strategie di sostenibilità. Da ultimo, la ricerca suggerisce la necessità di un ruolo attivo delle istituzioni presenti sul territorio che possa accrescere le competenze delle aziende, soprattutto di minor dimensioni, favorendo lo sviluppo di attività di formazione o di sostegno al reperimento delle risorse finanziarie necessarie per attuare investimenti sostenibili.●
SOSTENIBILITÀ D’IMPRESA e ESG
Corso di alta formazione 7 - 15 - 21 Novembre 2023
IN COLLABORAZIONE
Martedì 7 novembre
Confindustria Genova
ore 9.30 Saluti
Maria Caterina Chiesa
Vicepresidente Confindustria Genova con delega a Finanza e Internazionalizzazione
Katia Da Ros
Vicepresidente Confindustria per Ambiente, Sostenibilità e Cultura
ore 9.45 Introduzione
Michele Siri
Professore Ordinario, Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Genova
“Misurarsi per migliorare”: presentazione dei risultati dell’Indagine sulla conoscenza e sull’applicazione di criteri ESG in azienda
Elisa Roncagliolo
Ricercatore, Dipartimento di Economia, Università di Genova
Ilaria Ceriana
Dottorando, Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Genova
Giacomo Franceschini
Responsabile Centro Studi, Confindustria Genova
ore 10.15
NE DISCUTONO
Daniela Palumbo
Capo Sede di Genova, Banca d’Italia
Paolo Salza
Chief Risk, ESG & Compliance Officer, RINA
Fabrizio Fabbri
Amministratore Delegato Ansaldo Energia
Maurizio Turci
Direttore Generale Italmatch Chemicals
Francesco Berti Riboli
Amministratore Delegato Villa Montallegro
Giovanni Calvini
Amministratore Delegato Madi Ventura
MODERA
Luca Beltrametti
Professore Ordinario, Dipartimento di Economia, Università di Genova
ore 11.30
Presentazione del programma e introduzione del corso a cura di SDA Bocconi
ore 12.00
Testimonianza aziendale: il percorso di sostenibilità in azienda a cura di SDA Bocconi
ore 13.00 Break
ore 14.00
Il percorso di “decarbonizzazione” delle aziende: misurare e definire le strategie
Adriana Del Borghi
Professore Ordinario, Dipartimento di ingegneria civile, chimica e ambientale e Prorettrice alla Sostenibilità, Università di Genova
Misurazione della propria impronta carbonica (carbon footprint prodotto/organizzazione)
Laura Severino
Head of Decarb & Chain of Custody Product Management, RINA
FOCUS SU
-Il Greenhouse Gas Protocol (GHG)
-La carbon footprint dell’organizzazione e del prodotto
-Come distinguere tra emissioni Scope 1, 2 e 3
-Il calcolo degli Scope 1, 2 e 3: esempi pratici di modelli di valutazione in Excel
ore 17.30 Chiusura dei lavori
Mercoledì 15 novembre
SDA Bocconi
ore 10.00 - 17.00
Le sfide della sostenibilità e il ruolo della Governance
-Strategie di sostenibilità e l’impresa sostenibile
Governance sostenibile: purpose e successo sostenibile
Alessandro Minichilli
Associate Dean for Faculty, Direttore del Corporate Governance Lab e co-Direttore dell’eSG Lab - excellence in Sustainability e Governance per le PMI, SDA Bocconi
Martedì 21 novembre Università di Genova
ore 9.00
Finanza sostenibile
Marco Di Antonio
Professore Ordinario, Dipartimento di Economia, Università di Genova
Stefano Piserà
Professore a contratto, Dipartimento di Economia, Università di Genova
ore 10.30
Rendicontazione esterna
Elisa Roncagliolo
Ricercatore, Dipartimento di Economia, Università di Genova
ore 12.00
Carbon Footprint ed Etichettatura Ambientale
Michela Gallo
Dipartimento di ingegneria civile, chimica e ambientale, Università di Genova
ore 13.00 Break
ore 14.00
Filiera marittima e logistica
Giovanni Satta
Professore Associato, Dipartimento di Economia, Università di Genova
Barbara Amerio
CEO e Sustainability Director, Gruppo Permare
ore 15.30
Scope 3 e value chain
Università di Genova
Anna Campi
Head of Global Procurement, ERG
ore 17.00
Tavola rotonda conclusiva
Fabio Tonelli
Professore Ordinario, Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Università di Genova
Luigi Bottos
Head of ESG Certification Strategic Centre, RINA
Gianluca Gramegna
Head of Environmental, Social & Governance, ERG
Giovanna Zacchi
Head of ESG Strategy, BPER Banca
Francesca Buschiazzo
Chief Risk Officer, Banca Passadore
MODERA
Luca Beltrametti
Professore Ordinario, Dipartimento di Economia, Università di Genova
MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE
La quota di iscrizione al Corso è di euro 500,00 a persona (oltre IVA) e comprende la partecipazione a tutte e tre le giornate. Le iscrizioni saranno gestite dalla società di servizi di Confindustria Genova, Ausind Srl
Per manifestazioni di interesse alla partecipazione e maggiori informazioni le aziende possono rivolgersi a: Piera Ponta pponta@confindustria.ge.it, tel. 010 8338426 - Giuseppe Caruso gcaruso@confindustria.ge.it, tel. 010 8338214
di Luigi Zanti
L’impegno di imprese e banche per l’integrazione dei fattori ESG nei propri modelli di business.
Nel panorama giuridico, economico e sociale, è ormai ampiamente condiviso che tutte le imprese debbano procedere con consapevolezza e decisione a gestire le sfide poste dall’evoluzione verso un’economia sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, oltre che economico. Integrare in modo continuativo e lungimirante i fattori ESG (connessi quindi alla sfera ambientale, sociale e della gestione dell’impresa) nel proprio operare rappresenta una priorità ineludibile per tutti: istituzioni, banche e gli altri soggetti finanziari e imprese non finanziarie di tutti i settori. In questo quadro, crediamo sia utile provare a fare chiarezza su quale può essere il ruolo delle banche e quali gli sforzi richiesti alle imprese.
Le banche svolgono e intendono continuare a svolgere un ruolo da protagonista per orientare i flussi di capitale verso un’economia verde, inclusiva e sostenibile. Va tuttavia chiarito che questa importante funzione deve essere intesa come ruolo di supporto a quello delle istituzioni pubbliche, e non sostitutivo o di supplenza. A tal fine è peraltro necessario assicurare un adeguato coordinamento tra il mondo bancario e le Autorità rilevanti competenti sulla materia. Le banche sono già oggi fortemente impegnate nell’attuazione delle numerose normative e degli orientamenti di vigilanza in materia, che, in parte ancora in fase di definizione, in estrema sintesi richiedono di integrare il profilo ESG nelle
proprie strategie e nella gestione dei rischi. Questo processo dovrebbe però essere sviluppato, e la relativa normativa dovrebbe essere articolata: nel rispetto della natura d’impresa delle banche, che devono generare rendimento e remunerazione per il capitale investito; in presenza di un ambiente regolamentare (complessivo e non solo di settore) favorevole allo sviluppo sostenibile e che abbia standard chiari per orientare le attività economiche delle imprese e i flussi finanziari.
In questo quadro in continuo divenire le banche, che internamente si muovono in termini di continua formazione del personale, non possono essere sole a gestire tutte le diverse sfide che si stanno delineando.
Tra queste, la raccolta dei dati della clientela costituisce al giorno d’oggi l’obiettivo più complesso da affrontare e al tempo stesso inderogabile, sia per l’ambizioso livello di dettaglio richiesto dalle normative per le nuove informazioni, che per la continua assenza di dati affidabili. I dati ESG sono per le banche, infatti, un elemento imprescindibile per valutare il rischio di credito, nell’ambito di nuovi scenari di politica ambientale, nonché rendicontare la propria attività al mercato offrendo soluzioni efficaci alla clientela per sostenerla nei percorsi di transizione più adeguati.
In questo quadro, l’ABI ha rappresentato l’esigenza di rendere accessibili al mondo bancario i dati di natura ammini-
strativa esistenti in campo ambientale ma attualmente indisponibili per le banche, nonché di arricchire con ulteriori informazioni ESG alcune basi dati pubbliche al momento non idonee agli scopi di rendicontazione di sostenibilità di banche e altre imprese. In questo ambito potrebbero essere coinvolti ad esempio interlocutori quali: Enea (per gli APE), Acquirente Unico (per i dati sui consumi energetici e le connesse emissioni di gas serra alteranti), Camere di Commercio (per la geolocalizzazione delle unità produttive) e ISTAT (per vari aspetti tra cui gli investimenti delle imprese per migliorare i propri profili di sostenibilità, articolati per mitigazione e adattamento climatico e per gli altri obiettivi ambientali e sociali).
Rendere disponibili i dati di sostenibilità di natura amministrativa, agevolerebbe sia le banche - che oggi, per adempiere ad alcune delle richieste normative in tema di rendicontazione sulla finanza sostenibile (es. art. 8 del Regolamento Tassonomia, Pillar 3 ESG), acquistano da provider esterni dati in parte stimati e non sempre comparabili -, sia le imprese - che hanno difficoltà a rispondere alle richieste delle diverse banche, assicurazioni e imprese clienti, anch’essi soggetti a obblighi di rendicontazione.
Poter sfruttare fonti di dati pubbliche per raccogliere i principali dati ESG delle imprese, questione trattata anche su tavoli interministeriali, favorirebbe inoltre di massimizzare l’impegno e le iniziative delle banche e dei data provider verso la raccolta e l’utilizzo di informazioni più sofisticate (tra cui, ad esempio, la valutazione dell’allineamento delle attività alla Tassonomia) o predittive (connesse, ad esempio, alla stima del rischio finanziario implicito nelle caratteristiche ESG delle controparti).
Cosa devono fare le imprese? Intanto è necessario un salto di qualità e presa di coscienza della rilevanza dei temi ESG da parte del mondo delle imprese - in particolare le PMIin quanto, tra le altre cose, per le banche è necessario disporre di dati attendibili e comparabili sul profilo di sostenibilità dei clienti, in assenza dei quali, alla luce della disciplina sulla materia, l’accesso al credito potrebbe risultare più oneroso.
Peraltro non sorprende che in molti settori sia stato possibile apprezzare degli interessanti risvolti economici in termini di riduzione dei costi nel momento in cui alcuni processi vengono improntati alla sostenibilità ambientale.
Posto che i dati sul profilo di sostenibilità hanno ormai una valenza importante anche nelle relazioni tra imprese (B2B), e non solo con il mondo finanziario, è fondamentale che queste informazioni siano fornite non solo dalle imprese assoggettate a obblighi di rendicontazione dalla regolamentazione europea, ma anche, su base volontaria, dalle PMI. In questo senso, sarà ovviamente importante agire con la giusta proporzionalità.
Per le banche vi è senza dubbio una spinta, a parità di tutte le altre condizioni, a finanziare imprese che siano già considerabili sostenibili (segmento della finanza sostenibile in senso stretto) o che abbiano adeguati piani di transizione verso migliori performance di sostenibilità sia ambientale che sociale (segmento sempre più attenzionato della cosiddetta finanza di transizione).
In tema di piani di transizione delle imprese, sarebbe inoltre importante approfondire il discorso con le diverse Associa-
zioni di categoria, in relazione alle diverse aree geografiche e climatiche e alle varie filiere produttive, per le evidenti economie di scala e di scopo. Ciò permetterebbe di individuare situazioni accomunate da esigenze finanziarie omogenee, perché innescate da medesime strategie di contrasto al rischio fisico e al rischio di transizione e/o analoghi percorsi di avvicinamento agli standard tecnici individuati dalla Tassonomia verde (la normativa europea che definisce le caratteristiche delle attività ambientalmente sostenibili).
I piani di transizione possono far riferimento ai miglioramenti in termini di riduzione degli impatti sul cambiamento climatico (es. riduzioni emissioni di gas serra alteranti) o sulla biodiversità o sull’inquinamento e il consumo di acqua, ma anche agli sviluppi in termini di economia circolare e di adattamento al cambiamento climatico. Da sottolineare proprio questo ultimo aspetto. È importante investire nella resilienza dei diversi settori nelle diverse aree geografiche agli effetti del cambiamento climatico già in atto e che potrebbero aumentare in futuro (il c.d. rischio fisico), considerando sia eventi cronici (un lento innalzamento della temperatura) che acuti (un tornado).
Al riguardo, la Tassonomia europea fornisce per alcuni segmenti di attività (identificati dai codici Nace) criteri specifici affinché siano considerati sostenibili proprio in relazione all’obiettivo di adattamento al cambiamento climatico. E per le banche, sempre a parità di altre condizioni, potrebbero essere preferibili progetti relativi ad attività allineate a questi criteri, dato che alle banche è chiesto di rendicontare la quota dei finanziamenti per l’appunto in linea con la Tassonomia.
Accanto al rischio fisico, le banche valutano anche i cosiddetti rischi di transizione che, sempre nello studio della Commissione Europea che ho citato, per l’industria Audiovisiva fanno riferimento, per esempio, a nuove regolamentazioni che impattano sulle tecnologie (le regole di Ecodesign), oppure all’impossibilità di continuare a utilizzare mezzi alimentati a diesel in alcuni contesti o alla necessità di non utilizzare prodotti con forte ricorso a materie prime come, per esempio, la plastica. Inutile dire che un’impresa che investe per ridurre tale rischio ha una buona probabilità di incorrere in futuro in problemi e in costi inaspettati e anche questo ha un impatto sulla sua valutazione finanziaria. È evidente, quindi, quanto è cruciale una collaborazione concreta tra banche e imprese, anche per il tramite delle Associazioni di rappresentanza delle stesse negli specifici territori (il rischio fisico in particolare varia molto da zona a zona): per individuare i progetti di investimento in sostenibilità più urgenti ed effettivamente adeguati alle diverse, spesso assai differenziate, condizioni in cui le imprese operano; per ridurre insieme il gap informativo di dati ESG - sia agendo in proprio che sollecitando la disponibilità di fonti dati pubbliche - per poi auspicabilmente evolversi fino a migliorare e ampliare l’offerta di prodotti e i servizi utili per i percorsi di transizione delle imprese; ma anche, e per certi versi soprattutto, per incrementare la consapevolezza delle imprese, e delle PMI in particolare, sull’esigenza di fornire dati ESG alle banche; anche per evitare riflessi sulla concessione del credito.●
Il settore bancario per lo sviluppo di un business sostenibile.
La crescente consapevolezza dell’importanza dei temi ambientali ha da tempo incoraggiato i soggetti economici e produttivi a intraprendere autonomamente percorsi e investimenti per rendere sostenibili le loro attività. A questa presa di coscienza si è aggiunta la pressione - non solo reputazionale - degli investitori, del pubblico e, almeno per quanto riguarda le banche anche dalle autorità di vigilanza, affinché i criteri ESG venissero integrati, in modo molto articolato e dettagliato, nella strutturazione e offerta di prodotti e servizi, nella valutazione dei rischi e, in definitiva, in molti aspetti della vita aziendale. Tali sfide stanno interessando in maniera concreta il settore bancario, influenzandone profondamente la governance, le diverse sfere operative e la visione strategica. Una spinta al cambiamento che, insieme al ricordato proliferare della normativa generale e specifica, ha incoraggiato gli intermediari finanziari ad assumere un ruolo attivo nei confronti degli stakeholder, con l’obiettivo di partecipare concretamente ai molteplici processi che muovono globalmente la transizione verso un’economia che affianchi alla sostenibilità economica quella ambientale e sociale. In questo ampio e sostanzialmente nuovo orizzonte, con riferimento alle banche e sulla base dell’esperienza di Banco BPM, è possibile individuare cinque ambiti di applicazione delle istanze ESG. Il primo è relativo al “Business”, nel quale si identificano il
consolidamento e lo sviluppo di soluzioni, prodotti e servizi di consulenza che supportino la clientela nella transizione verso un’economia sostenibile. Il secondo riguarda l’area “Risk and Credit”, con l’integrazione dei rischi ambientali e climatici all’interno delle politiche creditizie e del framework di gestione dei rischi per accompagnare al meglio la transizione green delle imprese clienti e al tempo stesso rafforzare la metodologia di valutazione creditizia. Il terzo segmento comprende le attività che potrebbero essere rubricate sotto denominazione di “People Strategy” e che sono orientate a promuovere il benessere delle persone e caratterizzate dalla generazione d’una cultura aziendale basata sul rispetto della diversità e sull’inclusione, in un quadro generale di condivisione interna della consapevolezza ESG e formazione sulle tematiche di sostenibilità. Il quarto settore può essere individuato nelle azioni a tutela dell’ambiente, l’“Environment”. In questo campo si esprimono le dirette azioni di contrasto al cambiamento climatico attraverso la riduzione dei consumi e delle emissioni di CO2 con l’obiettivo di raggiungere la carbon neutrality. Esiste, infine, la sfera della “Community” all’interno della quale vengono intraprese le attività di supporto al tessuto sociale del territorio attraverso il sostegno di iniziative e progetti di valore in collaborazione con le amministrazioni pubbliche, istituzioni private e con le realtà del Terzo Settore.
di Corrado Pardi
Le banche hanno in generale identificato e assunto le peculiari responsabilità nell’indirizzare verso la sostenibilità le risorse cognitive ed economiche, sia della clientela sia delle proprie strutture aziendali, operative e di controllo. In particolare, le iniziative di respiro internazionale come la Net Zero Banking Alliance (NZBA) - un’iniziativa delle Nazioni Unite che impegna gli intermediari ad allineare il portafoglio crediti e investimenti al raggiungimento dell’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050 - spingono gli intermediari, tra cui Banco BPM che ha aderito nel 2023, ad attuare un approccio selettivo verso le nuove erogazioni e contestualmente a ridurre le esposizioni verso determinati settori. Banco BPM, per esempio, entro il 2024 ha l’obiettivo di portare a oltre il 65% - si tratta di un obiettivo cumulato - le nuove erogazioni rivolte ai settori green e a basso rischio di transizione e azzerare le proprie esposizioni verso i settori dell’estrazione di carbone fossile, della manifattura di prodotti da altoforno alimentati a carbone e della produzione di energia da carbone. Nel 2023, inoltre, la banca ha identificato 5 settori prioritari per la comunicazione dei target a 18 mesi dall’adesione: Oil & Gas; Power generation; Cement; Automotive; Coal. Sul fronte della valorizzazione del capitale umano, la bussola è fornita dai principi del Global Compact che impegna a promuovere e rispettare i diritti umani universalmente
riconosciuti e a eliminare ogni forma di discriminazione in materia di impiego e professione. Infine, il compito di misurare i progressi compiuti da imprese e istituzioni nel cammino verso la sostenibilità è stato progressivamente assunto da società internazionali, dotate delle indispensabili autonomia, autorevolezza e competenza, che si occupano di assegnare loro delle valutazioni oggettive e confrontabili. Tra queste ricordiamo MSCI, società internazionale chetra le altre attività - assegna rating ESG, e Standard Ethics. In conclusione, è importante ricordare come le sfide ambientali e della sostenibilità rendano necessario definire delle strategie d’insieme che tengano conto delle complessità del sistema in cui la transizione è destinata a prodursi. È altresì fondamentale aver ben presente che non esiste un settore, economico o politico, né un’entità statale o sovranazionale, che possa farsi interamente carico, singolarmente, del governo della transizione né del raggiungimento degli obbiettivi globali di Sostenibilità.
Si tratta di un cammino che dobbiamo intraprendere e percorrere insieme, in modo coordinato e con azioni concrete: solo in questo modo è possibile arrivare a quei traguardi che oggi appaiono minimi e indispensabili, per noi e le future generazioni.●
Corrado Pardi è Responsabile Area Genova - Savona - Imperia, Banco Bpm
Verso un modello di filiera sostenibile.
Il countdown verso il raggiungimento dei 17 obiettivi definiti nell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile (SDG) ha determinato un significativo aumento dell’impegno profuso da enti regolatori, investitori, imprese e consumatori affinché possa essere traguardata la scadenza prevista per il 2030. Si tratta di obiettivi ambiziosi e necessari per garantire un futuro migliore al nostro pianeta, che richiedono però azioni concrete nel presente, domandando a ciascuno di apportare il proprio contributo.
In tale contesto, la direttiva CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) introduce l’obbligo, per un numero crescente di imprese, di rendicontare la propria impronta sostenibile secondo le regole, i requisiti e le modalità definite dalle linee guida europee ESRS (European Sustainability Reporting Standard) predisposte da EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group).
Il mutato quadro normativo comporta notevoli ricadute non solo per le aziende obbligate alla rendicontazione di sostenibilità, ma anche per le imprese facenti parte delle filiere di riferimento. Infatti, il cambiamento necessario per realizzare gli obiettivi internazionali di sviluppo sostenibile si può attuare solo attraverso l’impegno di tutti i soggetti coinvolti nella catena del valore, i cui impatti ESG si uniscono agli impatti diretti prodotti dalle aziende.
Il Report di Sostenibilità di PSA Italy, consultabile sul sito www.psaitaly.com, evidenzia come la sostenibilità per i ter-
minal italiani del gruppo PSA - PSA Genova Pra’ e PSA SECH nel porto di Genova e PSA Venice-Vecon nel porto di Marghera - sia divenuta parte integrante della politica e strategia aziendali, riguardando tutte le attività primarie e di supporto della catena del valore. Infatti, nel 2022, per quanto riguarda le attività primarie, in ambito supply chain e logistica, merita citare l’abbattimento delle emissioni di CO2 - pari all’84% (secondo le stime ricavate tramite la piattaforma EcoTransIT) - del treno Southern Express, che collega Genova a Basilea, rispetto al trasporto su gomma, e il contestuale incremento del 38% di traffici rispetto al 2021, anno in cui PSA Italy è divenuta operatore intermodale a favore del più sostenibile trasporto su rotaia. Il percorso intrapreso è stato, altresì, potenziato grazie all’avvio del treno gemello per Kornwestheim in Germania e all’apertura del nuovo magazzino Pra’ Distripark Europa, che permettono un ulteriore allungamento della catena del valore e l’ampliamento dei servizi offerti. Per quanto riguarda le attività operative, PSA Italy attua politiche di investimento ecosostenibili volte a sostituire progressivamente i mezzi a gasolio con equipment elettrico di ultima generazione, capace di abbattere drasticamente le emissioni e di garantire la giusta ergonomia per i lavoratori. In continuità con gli obiettivi energetici prefissati, PSA Italy utilizza, inoltre, energia rinnovabile, ovvero il 100% di energia elettrica acquistata dai tre terminal proviene da fonti
Genova Impresa - Settembre / Ottobre
di Tiziana Gianuzzi
rinnovabili. Per quanto riguarda le attività di supporto, PSA Italy evidenzia l’impatto positivo alle attività produttive in ambito procurement, contribuendo allo sviluppo dell’imprenditorialità e ricorrendo ove possibile a fornitori locali: nel corso del 2022, il numero totale di fornitori con i quali sono stati intrattenuti rapporti commerciali ammonta a 1.106 soggetti per PSA Italy, 599 coinvolti da PSA Genova Pra’ e PSA SECH e i rimanenti 507 da PSA Venice-Vecon. Il dato relativo alla ricaduta economica dei terminal è pari a 107M di euro spesi in approvvigionamenti, di cui il 67% spesi in Liguria e Veneto, e con un aumento del valore indotto sul territorio del 4% rispetto all’anno precedente. Nell’area risorse umane, PSA Italy, con 993 dipendenti diretti, ha evidenziato un aumento dell’occupazione del 2,2% rispetto al 2021, di cui il 95% residente o domiciliato nelle province di riferimento dei terminal stessi. A questo elemento, significativo e portatore di ricchezza in termini di occupazione e di attenzione al territorio, contribuisce l’impegno nella formazione dei dipendenti, che abbraccia anche e soprattutto le tematiche ESG.
L’innovazione, in particolare, rappresenta un campo di expertise sul quale PSA Italy sta puntando per assecondare il nuovo modello operativo dei terminal, da un lato incoraggiando i dipendenti, tramite campagne dedicate, a proporre idee per rendere sempre più sostenibile la catena del valore, dall’altro collaborando con le istituzioni, in modo da
formare nuove figure altamente specializzate, con competenze su logistica e gestione dei sistemi di trasporto, ma anche Information Technology, informatica, automazione, robotica, integrate con competenze sui processi delle organizzazioni e delle infrastrutture. Le figure così formate costituiranno manodopera specializzata e appetibile per affrontare il cambiamento delle banchine.
La sostenibilità lungo tutta la catena di fornitura rappresenta, quindi, un percorso tracciato che, benché impegnativo, permetterà alle aziende e ai loro stakeholder di fruire anche di una serie di benefici: fra i vantaggi esterni, si cita la possibilità di costruire una migliore reputazione, grazie alla maggior fiducia ricevuta in seguito all’esercizio di trasparenza condotto mediante la rendicontazione di sostenibilità e, fra i vantaggi interni, una maggiore attenzione al controllo dei costi, grazie a una migliore efficienza nei processi di produzione e alla riduzione degli sprechi.
Nella transizione verso un’economia più green le aziende di qualsiasi dimensione, comunque, non saranno lasciate da sole, ma sostenute da un programma di incentivi che prevede la concessione di contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati per progetti che favoriscano il raggiungimento di obiettivi sostenibili nell’ambito del Green New Deal (mimit.gov.it).●
Tiziana Gianuzzi è Sustainability Compliance Coordinator, PSA Italy
EUROPA
Le Confindustrie regionali del Nord Ovest condividono un Desk a Bruxelles per cogliere al meglio e tempestivamente le opportunità offerte alle imprese dai programmi comunitari.
di Leopoldo Da Passano
Lo scorso 26 e 27 settembre una delegazione di imprenditori piemontesi, liguri e valdostani si è recata a Bruxelles per inaugurare l’ufficio della delegazione di Confindustria Piemonte, Confindustria Liguria e Confindustria Valle d’Aosta. Gli uffici del nuovo Desk UE delle tre Confindustrie del Nord Ovest sono ubicati presso gli uffici dell’Unione Europea della Confindustria nazionale in Avenue de la Joyeuse Entreè, a due passi dal Palais du Berlaymont, storica sede della Commissione Europea. Responsabile del Desk è Lapo Bechelli.
Per le nostre aziende il Desk UE si propone come uno stimolo alla conoscenza e alla partecipazione delle imprese associate alle opportunità di finanziamento offerte dai programmi comunitari a gestione diretta e anche come un punto di riferimento per il monitoraggio e l’aggiornamento sui dossier legislativi di primario interesse per il tessuto industriale del nord ovest.
La delegazione era capitanata dai tre presidenti regionali Marco Gai (Piemonte), Giovanni Mondini (Liguria) e Francesco Turato (Valle d’Aosta); presenti anche il presidente di Confindustria Genova, Umberto Risso, il direttore generale Guido Conforti, i vertici delle territoriali piemontesi di Cuneo, Asti, Verbania Cusio Ossola, Biella e Novara Vercelli Val Sesia, nonché alcuni direttori e dirigenti.
Sono state due giornate di intenso lavoro, con una serie di meeting organizzati dai colleghi della Delegazione di Bruxelles, a cui va il nostro ringraziamento per il lavoro svolto e per l’assoluta qualità dei relatori portati al tavolo.
Nella mattinata del 26 settembre ci siamo recati presso gli uffici di Bruxelles delle Regioni Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (la cui sede è dietro il Parlamento Europeo) e sono state tracciate le linee guida di una collaborazione pubblico/privata sui principali dossier che interessano le nostre regioni con particolare riguardo ai programmi Eusalp, Interreg e alle possibilità di collaborazione, anche in materia economica, tra Italia e Francia contenute nell’“Accordo del Quirinale” siglato lo scorso 26 novembre 2021.
Ma è sui temi delle infrastrutture che si sono poste le basi per una sempre più concreta sinergia tra i territori del Nord Ovest, quale la necessità di realizzare una nuova canna del tunnel del Monte Bianco, l’urgenza di terminare i lavori dei collegamenti ferroviari della Torino-Lione e il Terzo Valico ferroviario dei Giovi nonché di considerare alcune aree del Piemonte come possibile piattaforma per alcuni servizi logistici da fornire agli scali di Genova e Savona da parte di aziende manifatturiere.
Nel pomeriggio, presso la sede della delegazione di Confindustria, si sono svolti gli incontri con i funzionari della Commissione Europea.
I lavori sono stati aperti dal direttore degli affari europei di Confindustria Matteo Borsani, seguiti da un intervento di Marco Bresolin, corrispondente UE per il quotidiano La Stampa (“l’Italia vista da Bruxelles”); successivamente focus sul turismo con Valentina Superti, Direttrice della Direzione Generale GROW Ecosystem II Tourism&Proximity (“Le iniziative della commissione Europea a favore del turismo”), Massimo Suardi, Direttore D.G. ECFIN (“La riforma del patto di stabilità e di crescita”) e Mattia Pellegrini Capo Unità D.G. ENV (“La nuova proposta di Regolamento sugli imbal-
laggi”), Luca di Donatantonio, policy officer D.G. REFORM (“La riforma della pubblica amministrazione in Italia e l’impatto sul settore privato”).
In serata, un pranzo di lavoro con gli eurodeputati della circoscrizione del Nord Ovest (Carlo Fidanza del gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, Gianna Gancia del gruppo Identità e Democrazia, Patrizia Toia dell’alleanza Progressista e Socialista e Democratici e Massimiliano Salini del gruppo del Partito Popolare Europeo) e con il rappresentante aggiunto della nostra rappresentanza permanente presso l’Unione Europea, Stefano Verrecchia. Nell’occasione sono stati segnalati alcuni dossier di rilevante importanza per le imprese del Nord Ovest.
Abbiamo potuto constatare che di fronte all’interesse nazionale non esistono barriere ideologiche e che la collaborazione tra parlamentari di gruppi differenti è continua e proficua.
La mattina seguente una rapida visita al Parlamento Europeo (alcune sessioni si tengono a Bruxelles, altre a Strasburgo), cuore pulsante dell’Europa con l’edificio intitolato all’Italiano Altiero Spinelli, dove sono continui i richiami ai tre “padri della patria”, fondatori dell’Europa: Robert Schuman, Konrad Adenaeur e il nostro Alcide De Gasperi. Nel corso della visita, sono stati illustrati i meccanismi di funzionamento del Parlamento: la suddivisione del numero dei parlamentari fra Stati, il lavoro nelle commissioni e in seduta plenaria, i gruppi parlamentari che lo compongono e che attualmente formano la maggioranza (quest’ultima composta dai gruppi dei popolari e da quello dei socialisti). Nel 2024 sono previste le elezioni degli eurodeputati con il rinnovo del parlamento che tuttavia hanno forme di elezioni differenti a seconda degli stati: in Italia e in altri stati con preferenze da raccogliere nei collegi (campagne elettorali quindi dispendiose per tempo da dedicare mentre in altri stati nell’ambito di listini scelti dai partiti e quindi con campagne elettorali più brevi).
Nel pomeriggio, di nuovo in delegazione per un interessante confronto con Umberto Boeri, coordinatore Coreper della Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Unione Europea (la nostra ambasciata presso l’UE), dove ci ha aggiornato sullo stato di alcuni dossier critici per l’Italia, con Nicola De Michelis della D.G. REGIO, dove è stato fatto il punto sui Fondi Strutturali Europei FESR 2021/2027 che riguardano anche la Liguria, sul Fondo di Coesione e sul PNRR, e infine con Leonardo Pinna, della nostra delegazione di Confindustria sui programmi gestiti direttamente dalla Commissione Europea.
È stata una visita molto istruttiva e stimolante, caratterizzata dall’alta qualità dei relatori (anche della nostra delegazione), con un focus sui principali dossier che riguardano le imprese (si tenga conto che il 70% degli atti che hanno effetto sui cittadini e sulle imprese si produce a Bruxelles e solo il 30% ha origine a Roma), ma si è ben compreso che a Bruxelles, per tutelare al meglio gli interessi delle nostre imprese, si debbono ricercare alleanze in altri paesi e con altri organismi come quello che raccoglie le “Confindustrie” di altri stati membri, in primis il MEDEF francese e la BDI tedesca.●
Leopoldo Da Passano è Vice Direttore Confindustria Liguria
B2B MARE LA SPEZIA
La seconda edizione del business-matching per le imprese della filiera della cantieristica, nautica e portualità si terrà il 23 novembre al Terminal crociere della Spezia.
Alla Spezia l’evento “B2B MARE LA SPEZIA” si appresta a vivere la sua seconda edizione il 23 novembre 2023, al Terminal Crociere della città. L’appuntamento di business matching incentrato sull’economia del mare che si è guadagnato una reputazione di successo fin dalla sua inaugurale edizione nel 2022.
Ne parla il Presidente di Confindustria La Spezia, Mario Gerini: «Gli obiettivi prioritari del “B2B MARE LA SPEZIA” sono quelli di valorizzare le potenzialità espresse dal nostro territorio e promuovere la conoscenza fra imprese. Per far questo, abbiamo ritenuto essenziale dare spazio e centralità alla forza del networking per facilitare le possibilità di incontro e aumentare le opportunità di partnership tra imprese. L’idea alla base dell’iniziativa è quella di creare un’opportunità di confronto diretto tra realtà economiche, sia per rispondere alle esigenze dei committenti di uno dei settori merceologici più rappresentativi del nostro territorio, l’economia del mare, sia per favorire il processo di crescita delle micro e piccole imprese appartenenti alla filiera, ampliando le relazioni commerciali o favorendo possibili collaborazioni».
Estremamente significativi i numeri relativi all’edizione 2022 che si è svolta al Terminal Crociere della Spezia: oltre 100
Mario Gerini
aziende aderenti provenienti da oltre 20 province d’Italia per circa 300 appuntamenti organizzati nel corso della giornata. A seguito dei risultati ottenuti con la prima edizione, l’iniziativa si candida a crescere nei prossimi anni, con l’aspirazione di diventare il B2B di riferimento per l’economia del mare della costa tirrenica, trasformandosi in iniziativa nazionale e sovranazionale.
Il presidente Gerini, non ha dubbi sull’importanza strategica di questa iniziativa: «La prima edizione ha decisamente superato le aspettative. Un successo che non ci aspettavamo ma che, consapevolmente, auspicavamo data la forte richiesta di ampliare la catena di fornitura che ci arrivava, e che ancora ci arriva, soprattutto dai grandi cantieri nautici presenti alla Spezia».
Uno degli obiettivi cardine di Confindustria La Spezia, che insieme a CNA La Spezia e Camera di Commercio Riviere di Liguria è organizzatore dell’iniziativa, «è rafforzare e consolidare l’intera filiera dell’economia del mare, con un focus particolare nei settori della cantieristica, nautica e portualità, che rappresentano un’eccellenza del territorio - continua Mario Gerini -. Le principali aziende di questo comparto, tra cui nomi noti come Fincantieri, Sanlorenzo, Baglietto, Italian Sea Group, Ferretti, Valdettaro Group insieme a Inter-
marine, La Spezia Container Terminal e Tarros, sono aziende associate e partecipano attivamente all’evento. Questo testimonia il loro impegno nell’accelerare lo sviluppo di questi settori. In particolare, i cantieri nautici citati hanno un portafoglio ordini importante che occuperà la loro produzione per i prossimi anni. E non dobbiamo dimenticare la successiva esigenza di offrire un qualificato e organizzato servizio di refitting. Questa contingenza positiva rappresenta una grande opportunità di sviluppo per il territorio per tutte le aziende della filiera che trovano alla Spezia le condizioni ottimali per crescere e creare occupazione».
Patrocinato da Regione Liguria, Comune della Spezia, progetto “Miglio Blu - La Spezia per la Nautica” e Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Orientale, “B2B MARE LA SPEZIA” quest’anno si avvale dell’importante collaborazione di Liguria International, che supporterà il progetto su un’apertura a livello internazionale che vedrà concreta realizzazione nelle prossime edizioni.
A oggi, sono invece partner dell’iniziativa: Schneider Electric, CISITA Formazione Superiore, PROMOSTUDI Campus Universitario La Spezia, Associazione Agenti Marittimi La Spezia, Associazione Spedizionieri del Porto La Spezia, ASPEDO (Associazione Spedizionieri Doganali La Spezia) e Zurich Ag. della Spezia.
È proprio grazie a questa nuova collaborazione con Liguria International e alla sinergia con Confindustria Nautica che “B2B MARE LA SPEZIA” è stato promosso al Salone Nautico di Genova appena concluso nell’ambito del forum “Startup imprese blu: innovazione e crescita in Liguria”. Se il Salone di Genova si appresta ad attestarsi come la vetrina del settore più rilevante, La Spezia, senza alcun dubbio, rappresenta il “cuore” operativo della nautica per la produzione di super yacht a livello nazionale. I dati lo confermano: secondo l’XI Rapporto sull’Economia del Mare 2023 di Camera di Commercio Frosinone Latina e Unioncamere, a livello nazionale la provincia della Spezia è al primo posto per incidenza delle imprese dell’economia del mare sul totale delle imprese con 16,3% (seguono Rimini 13,8%, Livorno 13,6% Venezia 12,5% e Trieste 12,1%) e, analizzando il settore specifico, al primo posto nella filiera della cantieristica seguita da Lucca, Massa-Carrara, Gorizia e Genova. Per la provincia della Spezia, un’analisi che è destinata a consolidarsi e, verosimilmente, ad accrescere dato i grandi investimenti che le aziende della cantieristica e del porto hanno in programma per i prossimi anni. Dati che attribuiscono al nostro territorio un ruolo chiave nell’economia del settore e consegnano a Confindustria La Spezia la responsabilità e l’impegno affinché tale ruolo possa trovare sempre le condizioni migliori di sviluppo». Anche quest’anno “B2B MARE LA SPEZIA” mantiene la formula gratuita e verrà promosso su tutto il territorio nazionale grazie alla sinergia con diverse Territoriali di Confindustria e CNA. Partecipare è semplice: basta iscrivere l’azienda a “B2B MARE LA SPEZIA” collegandosi al sito dedicato e a iscrizione completata il logo dell’azienda apparirà pubblicato sul panel delle imprese aderenti; a novembre, con l’apertura del “business matching”, ogni società iscritta, attraverso la piattaforma on line, potrà richiedere e accettare appuntamenti fra tutte le aziende partecipanti e creare in autonomia l’agenda personale degli incontri.●
Qualità, prezzo,
prestazioni
in plastica, Invat si è ampliata con un nuovo, tecnologico stabilimento a Ovada, per aumentare ed efficientare la produzione.
Federico Rossi
Nel 1960, a Campo Ligure, è nata Invat, prima realtà in Italia a realizzare una chiusura in plastica da applicare a pressione sui contenitori in banda stagnata, ossia latte e lattine.
«L’azienda è stata fondata da mio nonno e dal suo primo figlio, mio zio - spiega Federico Rossi, oggi amministratore delegato dell’azienda - con l’obiettivo di produrre tappi in plastica che sostituissero le tradizionali chiusure in metallo utilizzate per le latte di olio lubrificante. Una curiosità è che Invat è nata su input di un’azienda di Genova che produceva proprio queste latte di olio, e che voleva efficientarne il sistema di chiusura. Al tempo, mio nonno aveva già lavorato nel settore della plastica, seppur applicata all’ambito delle tessiture, e ha deciso di impiegare la sua esperienza per specializzarsi nella produzione di tappi».
L’obiettivo di Invat, più nello specifico, era quello di fornire ai confezionatori di oli lubrificanti un sistema di chiusura che avesse una serie di caratteristiche fondamentali: anzitutto doveva essere facile e veloce da applicare - sia manualmente che con automatismi - e molto sicuro, in modo da garantire l’integrità del prodotto sigillato. Inoltre, il sistema di chiusura non doveva essere sporgente rispetto alle latte, per consentire la sovrapposizione degli imballi e, ovviamente, si richiedeva che fosse economicamente conveniente. Non da ultimo, il sistema doveva risultare funzionale anche per l’utilizzatore finale. Una bella sfida, insomma. Il sistema realizzato da Invat è risultato da subito rispondente a tutti i requisiti tanto che, nel giro di pochi anni, si è imposto con successo sul mercato e nel 1965 era già stato adottato dalle più grandi compagnie petrolifere operanti sul mercato nazionale.
Negli anni, poi, l’attività dell’azienda si è ampliata e sono state avviate nuove linee di prodotto: «abbiamo creato nuovi modelli di chiusura rivolti sia ad altri settori merceologici, come gli oli alimentari e i prodotti chimici, sia a contenitori di diverse dimensioni e differente tipologia, come le bottiglie» spiega l’Amministratore Delegato. In ogni caso, per tutte le tipologie di prodotto, l’azienda utilizza sempre materie prime adatte all’uso alimentare, «così non ci confondiamo» scherza Rossi.
Oggi, quindi, Invat produce tappi per contenitori in banda stagnata, per flaconi in Polietilene e per bottiglie in PET. I settori merceologici a cui si rivolge sono quelli relativi a oli lubrificanti, oli commestibili, prodotti chimici. Con l’esperienza capitalizzata in cinquant’anni di attività, e grazie alle “antenne” degli uffici Marketing e Ricerca & Sviluppo, l’azienda si è dimostrata perfettamente in grado di interpretare le diverse esigenze dei clienti, proponendo in tempi rapidi soluzioni originali e funzionali: come spiega Federico Rossi, infatti, «quando implementiamo nuove soluzioni realizziamo gli stampi-pilota nella nostra officina meccanica e siamo in grado di avviare in breve tempo l’esecuzione dei prototipi». Con l’aumento e la diversificazione della produzione, l’azienda è cresciuta sotto tutti i punti di vista: «A fine 2016 - racconta Rossi - ci siamo trasferiti da Campo Ligure a Ovada per questioni di spazio: nella sede precedente non avevamo la possibilità di ampliarci, e in più la logistica era davvero complicata. Dopo una ricerca approfondita, abbiamo acquistato un terreno di grandi dimensioni, nel basso Piemonte, sul quale abbiamo potuto costruire uno stabilimento perfettamente tarato sulle nostre esigenze. A differenza della nostra prima sede, il nuovo stabilimento si sviluppa su un solo piano, e questo è stato un primo, grande passo avanti in termini di organizzazione interna».
Con la costruzione e il trasferimento nel nuovo stabilimento di Ovada, dotato delle migliori tecnologie, Invat ha potuto investire nell’automazione di molte aree di lavoro, come ad esempio il magazzino dei semilavorati, in cui vengono assemblati la maggior parte dei sistemi di chiusura prodotti, come i tappi composti da due o più pezzi. «La tecnologia ha decisamente efficientato il nostro lavoro e ci ha permesso di introdurre un sistema di tracciamento e monitoraggio dei processi che va dall’arrivo della materia prima, alla lavorazione, all’assemblaggio e fino alla distribuzione del prodotto finale. Ma soprattutto, automatizzando i processi di produzione è stato possibile togliere l’incombenza di molti lavori manuali alle persone, per dedicarle ad attività a maggiore valore aggiunto».
E i risultati si vedono, dato che la produttività dell’azienda è notevolmente aumentata.
Oggi il 50% della produzione di Invat è rivolta al settore alimentare, mentre la restante parte si divide tra oli lubrificanti, vernici e solventi. I clienti dell’azienda sono dislocati in tutta Italia e, per circa il 45%, anche all’estero, in particolare in quei Paesi dove è più diffusa la produzione di olio alimentare, come Spagna, Portogallo, Grecia, Nord Africa, Tunisia.
L’azienda riserva la massima attenzione all’evolversi del mercato e della domanda: «Ci stiamo orientando sempre più sulla produzione di tappi per olio alimentare in bottiglia, che è molto più diffuso rispetto all’olio in lattina - spiega l’AD di Invat -. Dal nostro punto di vista, ricorrendo a un gioco di parole, direi che il mercato della banda stagnata è ormai “stagnante”, ossia saturo, maturo, mentre la richiesta di sistemi di chiusura per olio alimentare in bottiglia è in continua crescita. Solo quest’anno stiamo registrando una lieve decelerazione della domanda, dovuta al fatto che la siccità ha purtroppo influito negativamente sulla raccolta di olive».
Attualmente Invat impiega 34 persone, molto formate e in grado di coprire a rotazione diverse mansioni. Dalla sua nascita nel 1960, l’azienda è rimasta nelle mani della famiglia, e i passaggi di testimone tra generazioni sono stati indolori perché operati con preparazione e consapevolezza: «personalmente - spiega Federico Rossi - ho affiancato mio
padre già dal ’98, per cui il passaggio di consegne è stato un processo naturale e maturato nel tempo. Ora mio padre è presidente del Consiglio di Amministrazione dell’azienda e non è più operativo, ma ci dà consigli preziosi. Due cugini gestiscono rispettivamente il reparto commerciale e quello della distribuzione, mentre altri parenti partecipano alla proprietà».
Una recente “creazione” di Invat è un nuovo sistema di chiusura per le bottiglie di olio alimentare, che sta prendendo piede al punto tale che potrebbe essere necessario un ampliamento del capannone per avviarne la produzione “a regime”.
«Un’altra novità - aggiunge l’AD di Invat - è che ci stiamo orientando verso l’utilizzo di presse elettriche, che consentono una maggiore efficienza della produzione e un importante risparmio energetico. E a proposito di energia, abbiamo appena completato la copertura del tetto dello stabilimento con i pannelli solari, grazie ai quali soddisfiamo oltre il 10% dei nostri consumi di azienda energivora».
Invat è una realtà che non manca di iniziativa e di lungimiranza, e che tuttavia non perde di vista l’obiettivo originario con cui è stata fondata: creare sistemi di chiusura facili da utilizzare, sicuri e con un giusto rapporto qualitàprezzo-prestazioni, in grado di soddisfare pienamente i clienti.● (M.O.)
GIOVANI
In questa rubrica di Genova Impresa raccontiamo le storie professionali e aziendali degli Under 40 di Confindustria Genova.
Elevator
di Matilde Orlando
PESTOP
Anis Hafaiedh e Nicholas Diddi, co-fondatori
Anis Hafaiedh e Nicholas Diddi si conoscono dalle superiori; poi, Anis ha proseguito gli studi nel campo delle relazioni internazionali e si è specializzato in marketing management e in global marketing del Made in Italy, mentre Nicholas ha conseguito la laurea magistrale in Digital Humanities e collezionato esperienze lavorative nel campo della progettazione e sviluppo web.
Hanno rispettivamente origini tunisine e tedesche, sono abituati a viaggiare molto spesso e condividono una grande passione per il pesto, che è sempre stato l’alimento base delle loro cene insieme fin da ragazzini.
Tuttavia, al di fuori della Liguria, non sono riusciti a trovare quello che definirebbero “un pesto di qualità”. Perché? In linea generale - raccontano - al di fuori del territorio si trovano sul mercato perlopiù aziende che offrono prodotti di scarsa qualità puntando su prezzi convenienti, che vanno al risparmio sulle materie prime e sostituiscono, per esempio, l’olio d’oliva con quello di girasole, i pinoli con gli anacardi ecc.
Inoltre, a fare la differenza è anche il metodo di produzione: le lame con cui comunemente si produce il pesto in modo meccanico finiscono per riscaldare gli ingredienti e ne causano la perdita delle caratteristiche organolettiche, rendendo il pesto più amaro, meno buono e anche meno invitante alla vista; il pesto ottenuto con il mortaio, invece, evita l’ossidazione del basilico e ne mantiene la massima qualità in termini di essenze, gusti e odori.
Così, nel 2018, Anis Hafaiedh e Nicholas Diddi hanno avuto un’idea imprenditoriale, a cui hanno iniziato a lavorare concretamente verso la fine del 2020. Hanno progettato (con il supporto dell’ingegnere Ivan Rosciano e del suo collaboratore Mauro Trucco) un nuovo modo per produrre il pesto applicando la tecnologia ai metodi tradizionali e, con il macchinario - che hanno brevettato e che sarà pronto nei primi
mesi del 2024 - saranno in grado di automatizzare tutte le fasi del processo di produzione del pesto, dall’inserimento degli ingredienti fino alla pulizia dei mortai.
“Pestop” - questo il nome della startup co-fondata da Anis Hafaiedh e Nicholas Diddi - ha già ricevuto diversi riconoscimenti: per citarne solo alcuni, nel 2021 SMARTcup Liguria ha premiato il progetto nella categoria ICT, e forte di questa vittoria, ha poi partecipato al PNI - Piano Nazionale Innovazione a Roma, e nel 2022 ha vinto un importante bando di Ligurcapital. I co-fondatori di Pestop hanno anche cercato e curato la relazione con investitori privati, ingaggiati nell’aumento di capitale della startup.
I prossimi passi sono la registrazione del marchio - che avverrà con un nuovo nome, che sarà sdoganato nelle prossime settimane insieme al logo, a seguito di un percorso consulenziale sul naming -, la costruzione di un sito di ecommerce di respiro internazionale, l’apertura di una Dark Kitchen/Store per la vendita dei prodotti e l’avvio di attività dedicate alla brand identity di questa giovane realtà che si propone di produrre “il vero pesto della nonna, senza far stancare la nonna”, per farlo conoscere ben oltre il territorio di origine.
Federico Currò
General Manager
Dopo gli studi universitari a Genova, Federico Currò, oggi General Manager di Olasagasti, ha perfezionato la propria formazione orientata al marketing con un master a Londra. Poi, in ambito professionale, si è specializzato nel food - in particolare settore ittico - collezionando lunghe collaborazioni con le principali aziende del territorio. Più in dettaglio, Currò si è occupato per oltre dieci anni di marketing, gestione commerciale ed export per Icat Food e per Generale Conserve, lavorando prima all’interno dell’azienda, poi attraverso la Ferrari Fine Food, agenzia di export alimentare che vanta collaborazioni con alcune delle più importanti realtà del food genovese e non solo, di cui Currò è stato socio per diversi anni, ampliando quindi il suo raggio d’azione anche a diverse categorie di prodotto. Nel luglio 2022, è poi arrivata la chiamata dal Gruppo austriaco Glatz, che dopo aver acquisito la maggioranza della Olasagasti era alla ricerca di un General Manager giovane ma con una consolidata esperienza nel settore ittico, a cui affidare la gestione dell’azienda.
La storia di Olasagasti ha inizio nel 1923, quando Salvatore Orlando, dalla Sicilia, si è trasferito nei Paesi Baschi aprendo due fabbriche per la produzione di pesce conservato e sotto sale. In breve tempo è diventato uno dei principali attori dell’industrializzazione del settore ittico nei Paesi Baschi e ha avviato altre fabbriche lungo la costa basca, e la marca
Orlando si è affermata sempre più sul mercato spagnolo. L’arrivo sul mercato italiano, invece, risale al 1949 con la fondazione della Salvatore Orlando di Genova, trasformata poi in Olasagasti già Salvatore Orlando Srl da Ignazio, figlio di Salvatore, che ha unito il cognome del fondatore con quello della madre basca, Simona Olasagasti.
L’integrazione, nel 2022, di Olasagasti nel gruppo Glatzracconta Currò - è stata ottima: la nuova e la vecchia proprietà hanno trovato importanti valori comuni, dalla filosofia dell’eccellenza all’attenzione per il dettaglio, e hanno posto insieme le basi per la crescita dei marchi Orlando, Olasagasti e Bribon. Entrambe le realtà, poi, vantano una lunga tradizione familiare in cui, oltre al lavoro, viene data grande importanza al valore della persona e dei rapporti umani. Con l’ingresso del nuovo azionista si è mantenuta questa componente positiva, e al tempo stesso si è dato grande impulso alla modernità del contesto e della struttura, con decisi investimenti per la digitalizzazione, l’Information Technology e la gestione dei dati. Ad esempio, è stato interamente rinnovato il parco computer e implementato il sistema di protezione della rete, integrando Olasagasti nel network protetto Glatz per la massima efficienza e sicurezza nella gestione del flusso di informazioni.
A livello di distribuzione, vengono presidiati tutti i canalidalla GDO fino ai rivenditori specializzati - con le diverse linee di prodotto e le vendite si concentrano principalmente nel centro-nord Italia. Nel 2023 il tasso di crescita del fatturato è stato molto alto e le prospettive per il futuro sono importanti, con un business plan ambizioso che punta, entro il 2025, all’ampliamento e al consolidamento delle vendite su tutto il territorio italiano e a una decisa apertura verso i mercati internazionali.●
di Amelia Venegoni
Gli imprenditori che guardano all’espansione del business in nuovi Paesi è bene che si affidino a una figura professionale di marketing di provata esperienza.
Negli anni Ottanta abbiamo assistito a un boom delle agenzie pubblicitarie. Usciti dall’università, molti giovani studenti guardavano al mondo delle agenzie come a un Olimpo da raggiungere, dove tutto lavava più bianco del bianco e fiumi di denaro cadevano in testa ai prezzolati copywriter che per un pay-off banale venivano celebrati come star. Nel ventennio successivo i budget dedicati al marketing hanno cominciato ad assottigliarsi e le aziende committenti a essere da una parte più esigenti e dall’altra più influenzabili da scelte opinabili.
È in questo periodo che Apple spiazza tutti con una campagna pubblicitaria innovativa. La scelta è tanto semplice quanto geniale: Apple diventa un giovane grafico belloccio e easy going e discorre di periferiche e di interfaccia con la sua controparte IBM, rappresentata da un signore un po’ stempiato e cicciottino, non esattamente un partito desiderabile. Il giovane-Apple racconta la propria vincente diversità all’indesiderabile IBM-uomo, che rosica perché si rende conto di non potere competere con tale immaginifica innovazione.
C’è una ragione precisa perché la campagna pubblicitaria di Apple ebbe tanto successo: il brand era stato personificato da un modello di giovane cool, lontano da quello vincente/yuppie degli anni Ottanta. La strategia di Apple si basa sul concetto di “noi e gli altri”, una dicotomia che distingue nettamente la popolazione degli utenti di un Mac rispetto a quella degli utenti PC. Il sistema Apple è chiuso, un sistema operativo che parla con sé stesso e la propria comunità, che si vuole comunicare come migliore di altre. Ed è qui che parte la riflessione sul brand come identità. Jeremy Rifkin in una conferenza in cui presentò il suo libro
“L’era dell’accesso” lo disse chiaramente: voi non vendete un paio di scarpe, voi dovete vendere la sensazione di invincibilità che un adolescente sente nel camminare in mezzo alla strada indossando un paio di Air Jordan, invidiato e osservato dai suoi amici. La scarpa in sé non ha nulla di diverso dalle altre scarpe, tranne generare quella sensazione di invincibilità che caratterizza gli adolescenti e, naturalmente, chiamarsi come un mito del basket.
Con l’avvento di Internet e la velocizzazione della fruizione del brand attraverso nuovi canali di marketing, il marchio si è trasformato in un prisma multi sfaccettato su fronti diversi e ha richiesto una declinazione sempre più marcata, e una segmentazione del target estremamente precisa. Non solo: il brand si è messo a dialogare con i propri consumatori e il codice utilizzato per mantenere e nutrire questo dialogo è diventato sempre più sofisticato.
Nel 2023 la situazione è questa: possiamo raggiungere con la nostra strategia di marketing pubblici estremamente segmentati. Con il programmatic marketing, con investimenti in campagne digitali paid, con il branded content nulla è segreto. Dunque abbiamo tutti gli strumenti per posizionare il nostro brand in Italia e a livello internazionale, con una strategia adeguata, ottimizzando in tempo reale i risultati. Possiamo decidere che una campagna non funziona in tempo reale, guardarci dentro e analizzare con realismo cosa sta andando bene o male e effettuare una decisa sterzata rispetto alla strategia inizialmente adottata.
Eppure quando un’azienda italiana, media o piccola che sia, assurge all’Olimpo dell’internazionalizzazione grazie a un prodotto o un servizio vincente e innovativo, spesso e
volentieri considera il brand come l’ultimo dei problemi. A volte nella strategia commerciale su punta su elementi effettivamente intrinsechi al prodotto di punta: qualità italiana, migliore performance, design accattivante. E si parte con la convinzione che se il prodotto è effettivamente il migliore, il mercato capirà. Ma non sempre migliore, nella mente dei clienti, coincide con la percezione. Modellare la percezione è alla base della strategia di internazionalizzazione di un brand e, per farlo, occorre che chi guida abbia tre caratteristiche: essere realista, umile e empatico. Spesso l’elemento chiave che una PMI sceglie per proporsi all’estero è la propria italianità. Il Made in Italy è certamente una connotazione di brand molto forte, alla quale si è tentati di agganciarsi con forza, anche quando il processo di realizzazione dei propri prodotti a volte poco hanno di italiano. La recente campagna “No grey” di Fiat, nella quale lo stesso Amministratore Delegato dall’incantevole piazzetta di Lerici annuncia di realizzare in futuro solo auto colorate si basa proprio sugli elementi di connotazione di un paese italiano: il colore. Fiat ha dunque deciso di puntare su un elemento fondante il proprio brand, che ricordiamo è l’acronimo di Fabbrica Italiana Automobili Torino. Fiat continua su questa strada, con il recente annuncio di lancio della Fiat Topolino e Fiat 600, volta al recupero della propria tradizione, pur essendo ormai parte della multinazionale Stellantis. Si tratta di un’operazione fondata su elementi già intrinsechi nel marchio Fiat, che vengono ora nuovamente posti in evidenza. Tuttavia il marchio “Made in Italy” è il principale motore della contraffazione. Si stima che nel 2021 il mercato della contraffazione cubava 32 miliardi. Ma ancora più di tale mercato, è l’Italian sounding che contribuisce ancor più ad annacquare il nostra amato brand nazionale: secondo uno studio Ambrosetti, l’Italian sounding, cioè il far percepire come italiano un prodotto che di fatto non lo è, è un mercato da 150 miliardi di euro, 120 dei quali sottratti ai prodotti realmente italiani. Gli esempi sono molteplici, basti pensare a paste fintamente italiane, a questo proposito si legga l’articolo del Sole 24 Ore recentemente pubblicato e le iniziative per contrastare il fenomeno, particolarmente presente nel settore alimentare. Agganciare quindi la propria strategia di internazionalizzazione al “made in Italy” è estremamente rischioso. Nel caso di Stellantis, si tratta solo di un obiettivo di recupero della propria tradizione, già saldamente inserito nella parola “Fiat”. Nel caso di altre aziende, occorre riflettere se tale elemento effettivamente contraddistingue in modo inequivocabile il proprio prodotto e rappresenta uno degli elementi di diversificazione rispetto al mercato in cui si approda. Dunque su cosa puntare nella propria strategia di brand quando si avvia un percorso di internazionalizzazione della propria azienda?
Prima di tutto occorre identificare gli elementi distintivi del proprio brand rispetto alla concorrenza nei mercati di riferimento. Tali elementi a volte sono così visibili e chiari da non potere essere visti se alla base della propria percezione risiedono idee preconcette. Nel processo di identificazione deli elementi distintivi del proprio brand, occorre anche riflettere sul target. Sembra banale, ma spesso non si comprendono appieno le attitudini dei propri buyer e ci si ferma a elementi culturali superficiali e al “sentito dire”. Ma una volta che si sono compresi gli elementi su cui pun-
tare la propria strategia commerciale in nuovi Paesi, occorre non dimenticare di avviare una campagna di marketing in una logica di multicanalità, dove il digitale deve davvero guidare ogni scelta.
Facciamo un esempio concreto: siamo un’azienda che produce pezzi di ricambio di utilitarie. Il nostro target sono i proprietari di medio-grandi officine meccaniche in Svezia. I nostri pezzi di ricambio sono progettati in Italia e prodotti in Romania e godono di caratteristiche uniche: utilizzano materiali di qualità, le componenti sono attentamente progettate, hanno una garanzia quinquennale. I nostri concorrenti producono componenti a prezzo minore ma anche con una qualità bassa e con una garanzia di massimo due anni. Il nostro è un prodotto costoso, l’elemento pricing potrebbe essere un deterrente. Però noi sappiamo che è migliore. Iniziamo a definire schede tecniche molto dettagliate e a produrre flyer e brochure che spediamo in Svezia, dove abbiamo nominato un responsabile commerciale con l’obiettivo di espandere il mercato. Il nostro eroe fa un’analisi del target, estrae la lista delle officine meccaniche sulle quali si intende puntare e comincia il suo giro di perlustrazione. Spende giorni a fissare appuntamenti, andare a visitare le officine, parlare con i responsabili, mostrare il prodotto. Ma dopo mesi, a parte un paio di officine che hanno accettato di avere in conto vendita alcuni pezzi di ricambio, non succede niente. Eppure il vostro prodotto è il migliore! Avete proposto sconti speciali, al limite del guadagno. Niente. Che altro potete fare? Provate a consultare un consulente di marketing, perché la vostra azienda non ha proprio un ufficio dedicato, c’è una ragazza neolaureata che si occupa del sito e di pubblicare qualche foto che ritrae la partecipazione dell’ammini-
Giovedì 16 novembre alle 17.30, presso la sede di Confindustria Genova (via San Vincenzo 2), si terrà la presentazione del saggio “La rotta dei brand”, di Alberto Improda (Presidente del Centro Studi Cross Route Impresa). Con l’Autore dialogheranno Mariangela Mincione , Mincione Edizioni, e Amelia Venegoni , Marsh McLennan Marketing&Communications Director. Saluti di Maria Caterina Chiesa, Vicepresidente Confindustria Genova con delega a Finanza e Internazionalizzazione; modera Paolo Marcesini , Direttore di Italia Circolare.
“La rotta dei brand” è un saggio sul contemporaneo, dove si analizza, tra l’altro l’evoluzione dei brand di fronte a eventi e fenomeni di straordinaria portata, come pandemia e guerre.
Info e conferme di partecipazione: eventi@confindustria.ge.it
stratore delegato a fiere e iniziative confindustriali. Il consulente vi incontra e nel frattempo raccoglie informazioni sulla attuale strategia di marketing che state utilizzando. Per farlo, come prima cosa, accede al vostro sito.
Nella home page del vostro sito c’è una modella con in mano un pezzo di ricambio tra le mani che annuncia: qualità italiana! E in basso, ma proprio in fondo in fondo, c’è un bottone dove è possibile scaricare la brochure dei vostri pezzi di ricambio in italiano. Dopo tre click, con una certa fatica, si arriva alla versione in inglese della brochure. Il consulente di marketing, sconsolato, vi incontra e vi informa che il principale problema è che non avete una strategia di marketing digitale, non siete nemmeno presenti su Google quando qualcuno digita il nome del vostro brand. Inoltre la home page del sito può essere giudicata negativamente da un cliente svedese, perché più che essere letta come sinonimo di italianità, viene vista come rappresentazione di maschilismo, elemento negativo del quale il brand Italia purtroppo è fortemente caratterizzato. Nella vostra testa c’è confusione: perché un meccanico svedese dovrebbe usare Internet quando il vostro venditore è arrivato fin da lui con il prodotto fisico e una splendida brochure in inglese?
In Svezia, con l’avvento di Internet, il paese intendeva digitalizzare completamente la fruizione dei servizi amministrativi degli enti locali e degli ospedali. Per farlo occorreva digitalizzare l’intera popolazione, il che avrebbe impiegato molto tempo, soprattutto per la fetta più anziana. Ma l’occasione era ghiotta per risparmiare soldi e snellire la burocrazia, oltre a offrire un servizio estremamente veloce e efficiente ai cittadini. Dunque il Governo svedese opta per una soluzione drastica: lo switch off. Significa: hai pochi mesi di tempo per imparare a usare i mezzi digitali e dotarti di un buddy che ti aiuti. Mette a disposizione corsi di alfabetizzazione digitale, ma dà un ultimatum preciso alla popolazione. E allo scadere dei termini, tutti gli svedesi hanno completato la propria formazione e sono dunque preparati rispetto all’accesso digitale ai servizi dello Stato e degli Enti locali. Questo significa che il vostro proprietario di officina meccanica di 50 anni circa è più digitalizzato di vostro figlio di 16. E dopo la visita del povero venditore, ha digitato su Google il vostro brand, trovando a fatica il sito aziendale e rimanendo sconcertato dalla figura in home page. Essendo svedese, infatti, ha una cultura profondamente radicata nel rispetto della diversity e rimane sconcertato dalla scelta della modella in home page. Non la capisce. E non capisce perché non comprende il nesso tra una bella ragazza e un pezzo di ricambio. Si tratta chiaramente di un esempio estremo, ma che potrebbe far riflettere. Certamente la maggioranza delle medie imprese italiane hanno un sito Internet e da tempo si sono allontanate dal concetto di “vetrina”. Hanno un proprio profilo Linkedin a magari anche quello aziendale. E magari ci si è spostati dall’assunzione di un junior “smanettone” a una figura mid senior con un po’ di esperienza. Ma ancora si è lontani dall’evoluzione della comunicazione al marketing, specialmente digitale, optando per una logica di brand awareness più che di brand consideration I cicli del marketing, infatti, partono certamente dalla percezione del brand (brand awareness), generata da PR (articoli sui media, post sui social), ma poi si evolvono verso due
step successivi, il secondo dei quali è il brand engagement Una volta percepito il vostro brand, come interagisco con lui? Riprendendo l’esempio di poc’anzi, se si fosse stati alla presenza di un sito ben strutturato, con il prodotto di punta in home page e un rapido click per approfondire le sue caratteristiche, come il proprietario dell’azienda meccanica avrebbe potuto interagire con la mia azienda? Magari cliccando su “Richiedi maggiori informazioni” oppure dettagliando la propria conoscenza di un particolare componente grazie alla sua visualizzazione virtuale. Tutti questi click fanno il brand engagement e sono misurabili. Il nostro venditore in Svezia può sapere in tempo reale che l’officina meccanica visitata due mesi prima ha finalmente trovato il tempo di atterrare sul sito e ha mostrato curiosità rispetto a un pezzo di ricambio. Si tratta di un segnale interessante rilevato automaticamente dal software CRM. In parole povere, il vostro curatore del sito riceve un alert e lo spedisce al venditore in Svezia, che si reca entro 24 ore nell’officina per verificare l’interesse. Ed è qui che avviene il miracolo della terza fase del marketing, il brand consideration: l’officina inizia con un piccolo ordine, poi ne rimane soddisfatto e acquista per l’anno successivo un numero più consistente del vostro prodotto.
Ecco il vostro primo cliente. Ma non ci si ferma qui. Occorre riagganciarsi alla purpose. E ci si informa se sul territorio dove opera il vostro primo fedele cliente esiste un’associazione no profit allineata alla identità di brand. Si decide di investire in una campagna di sensibilizzazione rispetto alla missione della no profit, allineata con quella che avete naturalmente scelto anche in Italia. Si tratta, per esempio, del recupero dell’acciaio impiegato nei pezzi di ricambio usati per produrre gioielli, la vendita dei quali genera una sostanziosa donazione rispetto ad alcune associazioni che sostengono le vittime di nuova povertà. Per il vostro cliente svedese sarete la scelta per il prossimo futuro.
Ma la storia non finisce qui: il passaparola, la continua comunicazione virtuosa della vostra presenza sul mercato svedese, il cascading delle attività svolte in Svezia rivolto all’intera popolazione aziendale e a tutti gli stakeholder (anche i produttori in Romania!) vi aiuterà a essere riconosciuti e apprezzati, Non sarete più solo un’azienda italiana che produce pezzi di ricambio di qualità. Diventerete partner fidati di un progetto di crescita dei vostri clienti e dei vostri dipendenti.
In conclusione, è fondamentale avviare un processo di riflessione che porti a una chiara e condivisa identificazione degli elementi del brand, magari anche capendo quello che non è un brand: non è un #, non è un bel logo, non è uno strillo entusiastico, non è una bella grafica. Un brand è un’identità: è ciò che esprime chi siete, in cosa credete e cosa promettete. E nella vostra strategia di internazionalizzazione equivale al successo del vostro business. L’invito per tutti gli imprenditori che guardano all’espansione del proprio mercato in nuovi Paesi è di investire in una figura professionale di marketing con molti anni di esperienza alle spalle, sia in temporary che in fractional management. Questa persona vi accompagnerà, insieme agli altri responsabili di funzione, verso un processo di evoluzione che saprà stupire e generare valore.●
Amelia Venegoni è Marsh McLennan Marketing&Communications Director
Acciaio
sul mare
Temi caldi della storia economica e sociale italiana.
Genova città aperta da secoli a tutte le vie marittime, chiusa dalle montagne che la obbligano in una ristretta striscia costiera, in cui si impone uno dei più importanti porti del Mediterraneo, «allargare la sottile striscia di riviera che tra le pendici imminenti del monte e la inanità opaca del mare ha potuto accogliere a stento l’intrico delle opere e delle vie, dell’Aurelia e del binario doppio o dei cantieri e degli scali, prendere al mare un poco della sua muta, infinita estensione per averne piattaforma a laminar d’acciaio» così Carlo Emilio Gadda nella rivista Civiltà delle Macchine (n.5) nel 1953 omaggiava l’impresa della Cornigliano S.A. che in quell’anno inaugurava lo stabilimento Oscar Sinigaglia. Qualche anno dopo, nelle pubblicità editoriali dello stabilimento di Cornigliano, in un entusiasmante intreccio di immagini, gli anni d’oro della Repubblica genovese erano legati allo slancio della moderna civiltà industriale, sigillati dal dichiarato intento «Genova torna sui mari con la potenza e il prestigio dei suoi stabilimenti siderurgici» (Genova, Rivista del Comune, 1957).
Entrata in funzione nel 1953, i lavori della nuova acciaieria a ciclo integrale di Cornigliano iniziarono nel 1938 ed erano il risultato di un acceso dibattito sulle prospettive per un piano di autarchia della siderurgia. La siderurgia si era sviluppata in Liguria fin dall’Ottocento, l’acciaio era l’espressione delle ferrovie, dei semilavorati per le industrie, dei monumenti o delle lamiere per le navi da guerra. Sul finire del secolo, sulla scia delle protezioni doganali, nuove ferriere si accostarono a quelle già esistenti della Valle Stura,
si occupavano di siderurgia le grandi famiglie borghesi i Dufour, i Bruzzo e i Tassara. Il legame tra cantieri navali e siderurgia sfociò nella nascita di gruppi integrati verticalmente, dai cantieri Odero Orlando ad Ansaldo che sotto la terza e ultima gestione privata - quella dei Perrone - aprì le proprie fonderie e acciaierie a Campi, con la volontà di controllare tutti i processi produttivi legati alle trasformazioni del materiale ferroso.
La forte espansione economica in età giolittiana legata alla siderurgia raggiunse l’apice durante la Prima guerra mondiale, sarà la fine delle ostilità e il passaggio da una produzione di guerra a una di pace a segnare la decrescita del settore. Nel 1934 con lo scopo di raggruppare e razionalizzare le attività siderurgiche dell’Ansaldo viene fondata la Società Italiana Acciaierie di Cornigliano (Siac), nello stesso anno passa sotto il controllo dell’IRI, l’Istituto per la ricostruzione industriale che, divenuto azionista di maggioranza delle banche in crisi, aveva rilevato le partecipazioni industriali acquisendo così il controllo di alcune fra le maggiori imprese italiane tra cui Ansaldo, Ilva e Terni. L’intervento dell’ente a Genova fu notevole perché forte era la presenza di imprese controllate dalla Banca Commerciale Italiana. Nel 1937 l’Iri, divenuto ente permanente, si struttura in maniera più articolata con società finanziarie di settore e società operative, una presenza dominante nel campo della siderurgia, infatti la Finsider produceva il 45% dell’acciaio e oltre il 70% di ghisa in Italia. Nello stesso anno fu varato il piano autarchico per la siderurgia che fissava il bisogno da
FONDAZIONE ANSALDO
soddisfare a 2,5 milioni di tonnellate d’acciaio grezzo, viene quindi proposto alla Siac l’apertura di un nuovo stabilimento a Genova Cornigliano, in riva al mare. Il maggio dell’anno successivo, nel 1938, durante la visita a Genova, Mussolini posa la prima pietra dell’erigendo impianto a ciclo integrale. Alla vigilia del conflitto il progetto economico autarchico mostrava i limiti e le contraddizioni di fondo, la necessità delle importazioni di materie prime dall’estero rivelava le antinomie dell’autarchia fascista. Se nel 1939 si lavorava ai riempimenti a mare per recuperare lo spazio necessario alla sistemazione dei nuovi impianti, con lo scoppiare delle ostilità le discussioni sulle prospettive del settore passarono in secondo piano e la costruzione dello stabilimento subì notevoli ritardi sia a causa delle distruzioni dovute ai bombardamenti sia perché i tedeschi portarono i macchinari dell’impianto in Germania.
All’indomani della Liberazione fu nominato presidente della Finsider Oscar Sinigaglia, già presidente Ilva dal 1933-1935, nella sua orbita si muovevano importanti dirigenti della siderurgia e giovani reduci dei campi di prigionia come Gian Lupo Osti, protagonista negli anni ‘60 di una nuova stagione di progettualità industriale. Al centro della strategia di rilancio della siderurgia italiana vi era la ripresa del sito a ciclo integrale di Cornigliano, costruito ex novo con fondi provenienti anche dal Piano Marshall, il processo produttivo passava attraverso una meccanizzazione più spinta dei processi di lavorazione con l’obiettivo di alimentare il fabbisogno interno del settore meccanico e competere sui mercati esteri; nella burocrazia fu definito il piano di ricostruzione e razionalizzazione degli stabilimenti siderurgici della Finsider ma più noto come Piano Sinigaglia.
I lavori iniziarono nei primi mesi del 1950, l’opera per la ricostruzione e per l’ampliamento degli impianti rese necessario conquistare al mare un’ulteriore area, furono sacrificati lo storico Castello Raggio ad aprile 1951 e più di una casa lungo il lido originario.
La mole dell’enorme piattaforma fu imposta per tre quarti con opere di tombamento, deponendo dalla terra ferma 4 milioni e mezzo di metri cubi di materiale provenienti dalla collina degli Erzelli, dallo sbancamento e dalle sponde del Polcevera, il restante quarto attraverso opera di dragaggio. A delimitare il perimetro una nuova diga di recinzione lunga circa 830 metri.
L’inaugurazione dello stabilimento industriale fu all’epoca presentata con toni epici, volti a esaltare una tecnologia che aveva rubato al mare quasi 350 mila metri quadrati e che voleva sottolineare la grande impresa del lavoro, una rappresentazione che rimanda alla fatica dei lavoratori chiamati a costruirlo. Nelle cronache dell’epoca, per l’altissimo numero di incidenti avvenuti durante la realizzazione, fu indicato come «cantiere della morte» o «cantiere maledetto». Nelle statistiche complessive prodotte dalla Cornigliano Spa dal 1950-1953 si calcolano 3.948 infortuni e 21 morti sul lavoro. Inoltre i capitali americani influenzarono anche le politiche sociali adottate in fabbrica, fu l’esperimento di un nuovo stile sindacale, la gestione del personale era rappresentata dal nuovo metodo di analisi, di descrizione e valutazione la job evaluation, strumento di gestione della manodopera che traduceva in classi salariali i lavoratori, una valutazione non sulla base della qualifica professionale acquisita nel tempo, ma sulla base del posto occupato. Di fatto la sperimentazione dell’applicazione della job evaluation fu accompagnata da moltissime polemiche, furono le agitazioni dei gruppi operai dei reparti dell’acciaieria e del laminatoio ad avviare la revisione nella struttura salariale e a minare i rigidi criteri nella selezione del personale. Le vicende dello stabilimento offrono un punto di vista privilegiato per indagare non solo gli anni della ricostruzione ma permettono uno specchio più ampio della storia economica e sociale italiana. Se per l’epoca la tecnologia alla base del progetto si mostrava innovativa e all’avanguardia, le criticità del modello di sviluppo si riflettono su un elevato tasso di infortuni e morti sul lavoro, un alto inquinamento e i profondi mutamenti del territorio, temi all’ordine del giorno nell’agenda politica e nel dibattito pubblico che portano a diverse riflessioni sulle ex acciaierie di Cornigliano.●
Supereroi
L’iniziativa di EdiliziAcrobatica per dare gioia e coraggio ai bimbi ricoverati nei reparti pediatrici di tutta Italia.
È stato il primo Spiderman Acrobatico: il primo a sorprendere i piccoli pazienti dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma sbucando all’improvviso da una finestra per donare loro un sorriso e un incoraggiamento. Riccardo Iovino oltre ad essere stato il fondatore di EdiliziAcrobatica Spa è stato il primo Super Eroe di quella che ancora non era diventata un’associazione senza fini di lucro, SEA Supereroi Acrobatici. Lo è stato assieme alla sua socia Anna Marras, ovvero Capitan Marvel, oggi CEO di EdiliziAcrobatica e presidente di SEA che ha fortemente voluto la nascita dei super eroi. Spinti dal pensiero che “Ovunque c’è un bambino che lotta, c’è un supereroe che combatte per la vita”, Anna e Riccardo hanno dato vita a un progetto che ha come missione quella di portare gioia, sollievo e coraggio ai bambini dei reparti pediatrici di tutta Italia. Anna, in particolare, avendo vissuto in prima persona l’angoscia di madre con un figlio ricoverato che lotta per la sopravvivenza, aveva promesso a se stessa che un giorno avrebbe trovato il modo di alleviare il dolore di altre madri e altre famiglie che vivevano ciò che aveva vissuto lei. Così, trovando in Riccardo non solo un socio e un compagno, ma anche un alleato e un cospiratore, ha organizzato la prima calata dei Super Eroi. Era il mese di gennaio del 2016 quando un gruppo di operai di EdiliziAcrobatica ha indossato per la prima volta i costumi da Supereroi e, calandosi dal tetto del nosocomio, ha riempito di stupore gli occhi dei bambini che assistevano increduli dalle loro stanze all’arrivo di Spiderman, Ironman, Hulk, Superman, Batman e Capitan Ame-
rica. L’emozione di quel giorno, intensa e indimenticabile per gli operatori e per tutta l’azienda, è stata fortissima e ha fatto sì che, in breve tempo, si potessero organizzare altre calate di Supereroi in ogni altro ospedale italiano che ne facesse richiesta. Tutto, sempre, a titolo gratuito e assolutamente volontario, per il semplice e sincero piacere che si prova nel vedere lo sguardo di un bambino illuminarsi di gioia e leggere sulle labbra dei suoi genitori quel grazie silenzioso per l’attimo di spensieratezza condiviso. In questi anni i Supereroi hanno fatto decine di calate, dal Nord al Sud del Paese, facendo tappa, tra l’altro, al Gaslini di Genova, al Meyer di Firenze, all’Ospedale dei Bambini di Palermo, al Sant’Orsola di Bologna, al Salesi di Ancona e al San Paolo di Milano. Un impegno portato avanti dallo staff dell’azienda nei momenti liberi, nelle pause di lavoro, nelle giornate di festa: un impegno in cui si è riversato l’entusiasmo di tutti e che, piano piano, è diventato sempre più costante. Così, allo scopo di slegare l’azione dei super eroi dal marchio dell’azienda, che nel frattempo si era anche quotata su due mercati azionari, Anna Marras ha deciso di far fare al progetto un ulteriore passo in avanti, dandogli un’identità propria e definita... non più ‘acrobatica’. Dopo mesi di lavoro e incontri, è quindi nata l’associazione senza fini di lucro “SEA Supereroi Acrobatici”, di cui la stessa Anna è presidente e che si impegna ad accogliere tutte le richieste di intervento dei Supereroi da parte di ospedali, case di cura, residenze per anziani e associazioni di volontariato. «Quello che desideriamo trasmettere con forza è un mes-
saggio di incoraggiamento e di speranza ai bambini e alle loro famiglie - racconta Anna -. Vogliamo che sentano nascere dentro di loro quella forza che hanno i loro supereroi preferiti, che si sentano invincibili proprio nel momento più difficile della loro vita. Per ogni bambino che incontriamo, che salutiamo dalla finestra o che abbracciamo in reparto, il messaggio che condividiamo è uno solo: “tu sei un supereroe! Non mollare!”. Non sappiamo chi di questi bambini ce la farà, a volte non lo sanno neanche i medici che li hanno in cura, ma sappiamo che il sorriso che vediamo aprirsi sui loro volti è un piccolo passo verso una serenità e una normalità che hanno momentaneamente perduto. In questi anni abbiamo incontrato centinaia di bambini e di genitori, con alcuni siamo anche rimasti in contatto e abbiamo conosciuto l’esito della patologia che li aveva portati in ospedale. Tantissimi, per fortuna, ce l’hanno fatta e oggi i loro genitori ci mandano le loro foto con i capelli ricresciuti e le guanciotte rosa. Altri non sono riusciti a vincere sulla loro malattia e il loro ricordo, il ricordo del giorno in cui hanno sorriso con noi, ci hanno dato il 5, sicuri di farcela, è quello che, almeno in parte, ci conforta. Perché per noi ogni bambino che lotta contro la malattia è un supereroe, a prescindere dall’esito che avrà la sua battaglia. Il nostro compito è solo ricordarglielo per un momento, alleggerendo il peso che porta sulle spalle».●
Grazie alla nascita di SEA, oggi è possibile sostenere il “lavoro” dei Supereroi con delle donazioni sull’IBAN: IT41R0503401426000000030000. Il denaro raccolto verrà usato per acquistare regali e sorprese e favorire iniziative benefiche rivolte ai bambini ricoverati. Responsabile Comunicazione SEA Supereroi Acrobatici Deborah Dirani - ufficiostampa@ediliziacrobatica.com contatti@supereroiacrobatici.com - cell. 393 8911364
CITTÀ GENOVA narra
Alessandro Rivali
Parole d’autore in spazi di bellezza.
Appena spenti i riflettori su Book Pride, per gli appassionati genovesi di letteratura e nobile orgoglio “culturale” resta accesa la piccola, preziosa luce portata in città della seconda edizione di GENOVAnarra. Ideata dall’Associazione Culturale Contatti, la stessa che propone da anni gli Hemingway Days e Storie di Porto, GENOVAnarra è una rassegna (non soltanto) letteraria che fa incontrare scrittori liguri (e non) di chiara fama e luoghi di pregio attivi nell’ambito della produzione culturale locale: musei, biblioteche, dimore storiche e, da quest’anno, perfino parchi romantici. Il claim promozionale dell’iniziativa è “Parole d’autore in spazi di bellezza” e riassume con ligustica economia di mezzi quello che è l’obiettivo principale degli organizzatori. Per i quali GENOVAnarra è, prima di tutto, un luogo di visibilizzazione e compartecipazione pubblica di produttori di contenuti culturali - il circolo virtuoso che stringe gli autori chiamati a raccontarsi alle sedi che si svelano ai loro pubbliciche valgono come espressioni qualificanti e distintive della nostra città, anche in termini di autoconsapevolezza identitaria (e, in questo senso, di ciò che oggi si definisce con la formula anglo-italiana di “marketing territoriale”). Gli appuntamenti in programma danno vita a un inedito focus sulla narrativa ligure di oggi, e consentono ai luoghi dove si fa davvero cultura a Genova di raccontarsi in forme nuove, dentro a un progetto di comunicazione coordinato. Nell’anno di Genova Capitale della Cultura del Libro, l’iniziativa prevede sei incontri fra ottobre e dicembre, in sei
sedi diverse. Altissimo, il livello degli autori coinvolti e delle proposte editoriali che GENOVA narra 2023 consente di avvicinare, in contesti di grande suggestione.
A inaugurare la rassegna, giovedì 5 ottobre, nella deliziosa Biblioteca Brocchi di Genova-Nervi è stata Rosa Matteucci, orvietana di nascita ma da oltre vent’anni genovese d’adozione. Stimata, fin dalle sue prime prove, fra le scrittrici più notevoli nel panorama italiano contemporaneo da intellettuali e critici del calibro di Roberto Calasso, Carlo Fruttero e Goffredo Fofi, vincitrice del premio Bagutta e Grinzane Cavour col suo libro d’esordio Lourdes (Adelphi 1998), sempre per Adelphi la Matteucci ha dato alle stampe Libera la Karenina che è in te (2003), Cuore di mamma (2006), premio Grinzane Cavour e Premio Napoli, e Costellazione Familiare (2016), il suo romanzo più recente. A Nervi, con veemente auto-ironia la Matteucci ha parlato in margine al suo La vita vince ancora una volta (Industria & Letteratura 2022), un breve, delicato racconto, quasi una fiaba contemporanea, con testo a fronte in ucraino: una “particolarità” di questa preziosa pubblicazione è che l’autrice e gli editori hanno deciso di comune accordo di distribuirlo gratuitamente agli ucraini residenti e rifugiati in Italia, in segno di accoglienza. Il secondo incontro di GENOVAnarra è stato quello con Marco Buticchi, che il 12 ottobre nella sala lignea del Museo di Storia Naturale Giacomo Doria ha parlato intorno a L’oro degli dei (Longanesi 2023), un movimentato romanzo nel quale il Maestro italiano dell’avventura porta
la sua “mitica” coppia Oswald Breil-Sara Terracini sulle tracce della Grande Storia e le sue ombre, in un viaggio fra la Grecia di Peride e Fidia, l’Europa funestata dallo strapotere delle truppe napoleoniche e quella del 2025 ormai alle porte. Il libro, freschissimo di stampa, è uscito il 10 ottobre e l’incontro genovese ha avuto l’eccezionalità di essere stato una “prima nazionale assoluta”.
Subito a seguire, l’agenda di GENOVA narra prevede gli incontri con Alessandro Rivali (giovedì 26 ottobre al Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Villetta Di Negro), Claudio Pozzani, neo-eletto ambasciatore di Genova nel mondo (giovedì 9 novembre al Museo Biblioteca dell’Attore, via del Seminario 10), Guido Conforti (giovedì 23 novembre al Galata Museo del Mare, Calata Ansaldo De Mari 1) e, dulcis in fundo, Raffaella Romagnolo ed Elisabetta Fontana,
IL PROSSIMO INCONTRO
Giovedì 26 ottobre a partire dalle 18.00 il Museo Chiossone di Villetta Di Negro ospiterà Alessandro Rivali. L’occasione è molto ghiotta, perché si tratta della prima presentazione a Genova del romanzo d’esordio di un ancor giovane autore genovese (ha 45 anni) che si sta affermando nell’editoria che conta ma... da Milano, la Capitale del libro non soltanto 2023, dove lo scrittore si è trasferito dopo il liceo. Per dire della rapida, luminosa “carriera” editoriale di Rivali, poeta noto e apprezzato da tempo nel bel mondo di nicchia di chi si occupa della scrittura in versi, basta segnalare che è già direttore editoriale delle edizioni Ares, e ha già pubblicato un libro nella più prestigiosa delle collane di poesia che si fanno in Italia, Lo Specchio Mondadori - dove è uscito, due anni fa, con La terra di Caino, vincendo, fra l’altro, il Premio Dessì e il Premio Lerici Pea Golfo dei Poeti. Per una volta propheta in patria, nell’incontro di GENOVAnarra Rivali dialogherà con Barbara Garassino a partire da Il mio nome nel vento. Storia della famiglia Moncalvi (Mondadori 2023). Si tratta di un libro-epopea che attraversa gli eventi più tragici del Novecento tramite le vicende avventurose di una famiglia che poi tanto immaginaria non è, poiché Rivali ha riportato qui alla luce la storia di suo padre e di suo nonno. Il romanzo è infatti frutto di una ricostruzione basata su documenti privati della famiglia Rivali, a cui l’autore si è ispirato per creare i fittizi Moncalvi. Sullo sfondo, un decennio di Storia fin troppo vera, cruenta e cruciale per l’Europa: Il mio nome nel vento inizia nel 1936, in una Barcellona che brucia all’inizio della guerra civile spagnola, e continua con l’arrivo della Seconda guerra mondiale in Italia.. ●
Torna il Silver Economy Forum: il primo evento in Italia dedicato al mondo degli over 60 si svolgerà il 14, 15 e 16 novembre 2023 a Genova, a Palazzo della Meridiana, e il 24 novembre a Roma.
Il titolo e filo conduttore di questa edizione, #LIFE, pone al centro il miglioramento della qualità della vita della popolazione silver, focalizzandosi sulla ricerca di nuove possibilità per la popolazione “over-anta” per vivere bene e a lungo. Una preziosa occasione di confronto sarà quella offerta alle imprese nello spazio riservato agli incontri B2B per cogliere nuove opportunità di business e partnership in un settore che, secondo le stime, incide tra il 16,6 ed il 19,7% del Pil italiano, vale a dire tra i 297 e i 350 miliardi di euro.
“La salute incontra il cittadino” è, invece, il programma di appuntamenti che per tutti i tre giorni genovesi del Silver Economy Forum 2023 offrirà al pubblico la possibilità di effettuare gratuitamente test di controllo e frequentare corsi di primo soccorso realizzati in collaborazione con la Croce Rossa Italiana e altri partner dell’iniziativa. Altra novità di questa edizione è l’Hackathon realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Genova, che vedrà gli studenti di diversi dipartimenti dell’Ateneo affrontarsi in una sfida per la creazione di progetti innovativi a favore della Silver Age.● Info: www.silvereconomyforum.it
vincitrici rispettivamente della prima edizione del Premio Campiello Natura e del Campiello Giovani, a Villa Doria Centurione e Villa Durazzo Pallavicini, in quel di GenovaPegli. A chi, non si sa mai, di fronte alle biografie delle ultime due ospiti pensasse di poter obiettare che né la Romagnolo (che è di Casale Monferrato) né la Fontana (ventunenne di Como) sono autrici “liguri”, occorre ricordare che il legame di GENOVAnarra con il Premio Campiello non è affatto casuale. Il Campiello, infatti, ha una forte radice genovese, poiché a inventarlo e svilupparlo fu Mario Valeri Manera, industriale e Presidente di Confindustria Venezia di lungo mandato, che era nato proprio a Genova nel 1921. Gli incontri con Conforti e con le vincitrici dei più “freschi” Premi Campiello saranno rivolti in prevalenza a un pubblico giovane, composto dai ragazzi di scuole secondarie superiori. Ciò, a testimoniare anche concretamente l’attitudine di GENOVAnarra a farsi strumento di formazione civica, oltre che estetica. Come già lo scorso anno, la rassegna è sostenuta dall’Amministrazione comunale e da Confindustria Genova attraverso le sue attività di co-branding. Gli incontri sono a ingresso libero, fino a esaurimento posti.● (R.M.R.)
Il programma completo si trova su genovanarra.it. Info: contatti763@gmail.com
LA CITTÀ
La città e l’architettura sono potenti strumenti di espressione civica; l’immaginazione il più straordinario mezzo creativo. Simonetta Cenci e Alfonso Femia, Atelier(s) Alfonso Femia, hanno aderito al progetto SOUx, Scuola di architettura per bambine e bambini, per la città di Genova, sviluppando un programma che mette a sistema la città, l’architettura, l’educazione civica e la capacità di immaginare, a misura di bambino.
Questa scelta fa parte di un percorso di ricerca e osservazione, che Alfonso Femia e Simonetta Cenci hanno messo a punto, nel corso di quasi trent’anni di attività, parallelo alla pratica professionale, che la arricchisce di contenuti fondamentali per creare empatia tra architetture e persone e per riaffermare la relazione con il territorio.
SOUx Genova contribuisce ad alimentare questa visione, ancora più significativa perché proietta la capacità immaginativa dell’infanzia nel pragmatico mondo dell’architettura. Diceva il grande maestro Claudio Abbado “Non si deve insegnare la musica ai bambini per farli diventare grandi musicisti, ma perché imparino ad ascoltare e, di conseguenza, ad essere ascoltati”.
Così è, ancora di più, per l’architettura: camminiamo nelle strade delle nostre città senza vedere e senza sapere e, dunque, senza amare. La mancanza di conoscenza degli oggetti urbani spegne l’interesse, nega l’aspirazione alla condivisione e alla relazione negli spazi pubblici, sopisce il desiderio di essere cittadini, parte attiva dei luoghi e delle comunità.
COSA SIGNIFICA SOU?
Non è un acronimo, come si potrebbe pensare, ma il nome dell’architetto giapponese Sou Fujimoto, docente alle università di Tokyo, di Kyoto e di Minato (Keio University) e vincitore di numerosi premi per i suoi progetti. Cresciuto sull’isola giapponese di Hokkaido, Fujimoto ha sviluppato fin dall’infanzia un forte interesse per il mondo della natura. L’aspirazione a un “futuro primitivo” è la sua filosofia progettuale.●
PROMOTORI, PATROCINI E SPONSOR
La Scuola di architettura per bambine e bambini SOUx Genova è un progetto coordinato da Atelier(s) Alfonso Femia, 500x100 società benefit, dalle associazioni culturali InsidetheWhale e Abilità&Dignità. Ha ottenuto il patrocinio di Regione Liguria, Comune di Genova, Università di Genova, Dipartimento Architettura e DesignUniversità di Genova, Ordine degli Architetti e Fondazione per l’Architettura di Genova e Ordine degli Ingegneri di Genova. È sostenuto da Gruppo Spinelli, San Giorgio Seigen, Attilio Carmagnani “AC” S.p.A., Favini.●
Simonetta Cenci Alfonso Femia
È un vuoto formativo che difficilmente viene colmato dalla scuola. E nonostante la ricchissima offerta di potenziamento extra scolastico dalle lingue straniere, alle attività sportiva e altre abilità sicuramente utili allo sviluppo della persona (scuole di teatro, di circo, di musica, d’arte...), l’insegnamento civico sulla propria città e sull’architettura (trasferibile, come metodo, a uno scenario senza confini) non ha una sua specifica rilevanza. Simonetta Cenci, direttore generale degli Atelier(s), con un passato recente di assessore all’urbanistica di Genova (Giunta Comunale 2017-2022), profonda conoscitrice della città, delle sue dinamiche e delle trasformazioni in atto, ha intrapreso lo sviluppo della Scuola di architettura con la volontà di stimolare senso di appartenenza, attitudine a vedere e immaginare nei bambini, piccoli cittadini.
L’architetto Cenci, che è direttore della Scuola, è coadiuvata da un team di professionisti con i quali condivide sensibilità e obiettivi: i genovesi Teresa Musetti, insegnante con scuola formazione psicoanalista modello Tavistock di Londra presso AIPPI di Milano; Enrico Martino e Carola Picasso, architetti, direttori di progetto in Atelier(s) Alfonso Femia, Francesca Fassio, esperta per la diversity, Nora Bruzzone, architetto sui temi dell’urbanistica e della città e Daniela Bergallo, per gli aspetti organizzativi e amministrativi.
Per sostenere i contenuti del corso, interfacciando l’architettura, la città, l’arte, è stata coinvolta Ilaria Di Meo, artista senese di fama nazionale che, attraverso le sue opere, racconta affascinanti storie di animali, pesci, piante, stimolando curiosità e stupore.
«Il progetto SOUx Genova sarà un’esperienza straordinaria. Noi ci impegneremo per trasferire racconti, storie, strumenti per far amare e stimolare l’immaginazione prima di tutto e poi per progettare, ma sono certa che i bambini ci restituiranno in misura decuplicata un arricchimento di visioni, impressioni, sogni. Impareremo dai loro occhi a guardare in modo diverso la nostra bellissima città», ha dichiarato Simonetta Cenci. Quali saranno i temi del corso? A partire dal linguaggio, dalle parole dell’architettura, passaggio fondamentale per trasmettere i concetti, il corso fornirà gli strumenti per imparare a riconoscere gli elementi della città; osservare (dimensioni, proporzioni, punti di vista); riconoscere le relazioni tra arte e architettura; comprendere cosa sia il design; conoscere i materiali per fare l’architettura; utilizzare la fotografia come analisi del contesto; comprendere la relazione tra l’architettura e gli elementi naturali, acqua e verde, gli oggetti e la luce; capire i flussi di mobilità e come funzionano strade e piazze e i luoghi pubblici di raccordo. Saranno dedicati incontri agli elementi di rappresentazione grafica, design della comunicazione e alla parte narrativa, il racconto dell’architettura. L’attività sarà affiancata da laboratori e finalizzata a un progetto (messo a punto dai bambini) sul Parco Villetta di Negro, nel centro della città. Secondo Alfonso Femia, fondatore e presidente di Atelier(s) Alfonso Femia, «Le bambine e i bambini devono diventare adulti consapevoli sul piano della relazione, dello spazio e degli oggetti, capaci di riconoscere e scegliere in termini attivi, non di subire decisioni talvolta incongruenti alle esigenze della propria città. Non vogliamo che assumano il nostro punto di vista ma intendiamo stimolare la curiosità, il senso di esplorazione e scoperta. Dentro e fuori, sopra e sotto, le mille opportunità degli sguardi alternativi per liberare creatività e immaginazione».●
Un incontrofelice
di Luciano Caprile
Ricordo di Italo Calvino.
Marzo 1981. L’atrio dell’antico palazzo situato nel centro storico di Roma mi accoglie con una sontuosa passiera che si snoda lungo i tre piani delle strette scale fino all’abitazione di Italo Calvino, da poco ritornato in Italia dopo una lunga permanenza parigina. Mi fermo un attimo a prendere fiato al termine della ripida salita. Oltre la porta mi attende uno degli autori preferiti di cui apprezzo l’invenzione creativa, il piacere della sperimentazione e la scorrevolezza narrativa: ho appena finito di leggere “Se una notte d’inverno un viaggiatore”. (Sono trascorsi quarantadue anni da quel giorno e sembra ieri, come succede ai piacevoli ricordi che, nel riproporsi, si ammantano di respiri poetici che accrescono e temperano la nostalgia di un evento. E la data del 15 ottobre, che celebra i cent’anni della sua nascita, tende ad accrescere questi sentimenti che annullano la misura del tempo.)
Ora suono alla porta e mi aprirà: lo vedrò, gli parlerò. Calvino mi appare infatti sulla soglia con una gentilezza e una disponibilità che indirizza felicemente un colloquio capace intanto di smontare una delle mie certezze. Credevo infatti che la felice scorrevolezza della sua narrazione fosse il frutto di un lungo pensiero a cui far seguire un getto di parole capaci di conquistare con fluida immediatezza la pagina bianca. Invece mi spiega con amabile pacatezza che in lui succede quasi il contrario: le frasi sono il frutto di una lunga disamina, di una continua correzione, di una quotidiana fatica costruttiva.
E la Liguria, che ha frequentato a lungo in gioventù, quanto entra nel clima conquistato dai suoi romanzi? E lui: «Mi rivolgo sempre meno alla memoria. Ma credo che ogni tanto sia nelle immagini che nel linguaggio la Liguria torni in ciò che scrivo».
Calvino è un continuo sperimentatore anche dal punto di vista narrativo: “Se una notte d’inverno un viaggiatore” è la prova più recente. Glielo avranno detto in tanti e glielo dico anch’io. Lui sorride con un certo compiacimento: «Ho montato questa macchina complicata che è seguita dai lettori con divertimento. Ogni volta che scrivo un libro cerco sempre di fare qualcosa di nuovo». E per rincorrere il piacere della sperimentazione ha dedicato racconti anche ad alcuni artisti contemporanei entrando magicamente nel loro universo creativo. Ad esempio per Valerio Adami ha scritto “Quattro favole di Esopo” dove in alcuni momenti la penna sembra anticipare il pensiero come avviene per certi disegni di questo celebrato pittore; per Enrico Baj si è inventato invece un “Ricevimento al castello di Bardbaj” dove i “generali” e le “dame” del maestro milanese, originati dalla composizione di passamanerie, danno vita a un surreale racconto dove il protagonista finisce per identificarsi con gli elementi che costituiscono la non-essenza dei personaggi: «Un Mercato delle Pulci di dopo la fine del mondo, quando gli oggetti sparpagliati si risolleveranno in figure allucinate e prenderanno il posto degli esseri umani».
Questo era il mondo in continua evoluzione e trasformazione di Italo Calvino, un mondo in cui ci si può perennemente specchiare per recuperare a ogni lettura inalterate seduzioni ed emozioni.●
Consulente, impiegato, dirigente, imprenditore e intellettuale, spesso
Poliedrico Buzzi
Alla fama, si sa, non corrisponde sempre e comunque un’eccellenza di fatto. Esattamente per quanto alla scarsa o scarsissima notorietà, o a un credito importante ma di nicchia, per addetti ai lavori, non corrisponde sempre e comunque un’obiettiva mediocrità. A queste e consimili ovvietà spinge la lettura delle opere del semisconosciuto Giancarlo Buzzi (1929-2015), una figura poliedrica e molto originale nel panorama culturale italiano, che si sbaglierebbe a definire scrittore “minore”, per quanto la sua fortuna critico-storiografica non possa che spingerci, per adesso, a rubricarlo come tale.
Nato a Como da famiglia di ceto impiegatizio, Buzzi si è formato in Italia e (grazie a delle borse di studio) in Francia e negli Stati Uniti, compiendo studi letterari, filologici e sociologici. Dopo la laurea, col transito dai brevi anni del beato ozio accademico ai decenni dell’indaffarato negozio produttivo si è ritrovato a saltabeccare fra industrie e società commerciali di vari settori - il Touring Club Italiano, la Pirelli, la Bassetti, la Olivetti, la Standa... - in ruoli diversissimi. Si è impegnato, con esiti eccellenti, anche nel campo pubblicitario e in quello editoriale, dove ha lavorato per marchi di gran prestigio, come Il Saggiatore, Mondadori e Vallecchi.
Facendo la somma dei suoi ruoli, nelle aziende per cui ha operato è stato quasi tutto: da impiegato a consulente, da dirigente ad amministratore delegato. La multiforme, sempre cangiante articolazione delle sue mansioni professionali lo ha familiarizzato con i principali aspetti della gestione aziendale e del personale: oltre che narratore e studioso della società è diventato così un esperto di pianificazione, di marketing strategico e operativo, di formazione e, forse, soprattutto di comunicazione.
di Massimo Morasso
Intellettuale irrequieto, bizzarro, spesso controcorrente, narratore dal linguaggio appassionato, composito e innovativo, traduttore operoso e versatile, nei primi anni Sessanta Buzzi ha scritto un testo brillantemente anticipatorio ( La tigre domestica, Vallecchi 1964, ripubblicato una decina di anni fa dalle edizioni Hacca) nel quale si è occupato con briosa intelligenza degli aspetti culturali, sociali e politici della pubblicità, preconizzandone il ruolo centrale nella società neocapitalistica del cosiddetto “benessere”. Come saggista, ha scritto parecchi volumi di taglio biografico, su numinosi colleghi scrittori (Grazia Deledda, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Matilde Serao, André Gide e Giovanni Pascoli) e su un paio di eminenti personalità d’interesse storico, nati a oltre 1.800 anni e 7.500 chilometri di distanza l’una dall’altra (Giulio Cesare e Giuseppina Bonaparte).
I suoi due primi romanzi, Il senatore e L’amore mio italiano, sono annoverabili fra i principali del filone di narrativa “industriale” che nel secondo dopoguerra affrontò la problematica dei rapporti fra due realtà - sociale e aziendale - in profondo mutamento. Questi rapporti riguardavano tutti gli aspetti dell’imprenditoria e del contesto comunitario: gli scambi, gli influssi e i condizionamenti reciproci, le coincidenze e le disparità di valori, gli obiettivi delle imprese (limitati al profitto o, appunto, arricchiti dalla consapevolezza di una responsabilità in senso lato politico, che oggi diremmo volentieri “olivettiana”, nei confronti degli ambienti socioculturali - istituzioni e persone - in cui le imprese erano inserite, e sui quali potevano anche grandemente influire).
maggiore di casi, dall’azienda di proprietà e gestione familiare all’anonimia della corporation). Si tratta di un testo ricco di motivazioni libertarie e anti-sistema, ed è uno dei più precoci romanzi italiani che illustrino, con un andamento che ricorda quello tipico di un’avventura picaresca, il tema “industria e letteratura” o “letteratura e neocapitalismo”definizioni che, per la verità, a Buzzi piacevano poco, quantomeno in relazione ai suoi libri, poiché focalizzando gli aspetti sociologici del fatto testuale, finivano per mettere in ombra la prossimità del suo modus scribendi alla letteratura d’interrogazione religiosa, esistenziale ed escatologica, nella quale più volentieri si riconosceva.
Il senatore è un’opera singolare, con più di un retrogusto kafkiano, nella quale viene narrata la vicenda di un giovane dirigente che, non incontrando mai il suo attuale capo, continua paradossalmente ad avere incontri con il fantasma del vecchio fondatore. Il quale, dal canto suo, cerca con angoscia e senza risultato un contatto con suo figlio (in filigrana il discorso narrativo di Buzzi si riferisce a uno degli elementi che più caratterizzarono l’evoluzione dell’imprenditoria nel secondo dopoguerra: il passaggio, in un numero sempre
Ambientato a Ivrea sul finire degli anni Cinquanta, L’amore mio italiano (Mondadori 1963, e poi, più di recente, Avagliano 2014) racconta la storia di due relazioni sentimentali, una coniugale, l’altra adulterina, vissute nell’euforia del boom economico, mettendo in scena il classico triangolo borghese tra un dirigente d’azienda, sua moglie e un’impiegata. Corrosivo e provocante, il romanzo è una riflessione sul “miracolo italiano” e sulle sue promesse di felicità. Soprattutto è un libro con una pronunciata dimensione utopica, filtrata attraverso lo sguardo acuto e lungimirante di un intellettuale difficilmente “incasellabile”, che, in corso di scrittura, stava lavorando per una grande industria, proprio come il suo personaggio principale.
Nei romanzi successivi - Isabella delle acque (un dittico composto da Isabella della grazia e Isabella della stella), L’impazienza di Rigo, lo straordinario Dell’amore - la trattazione di tematiche spirituali sociali e politiche si accompagna a una forte tensione all’innovazione linguistica. Come scrittore, Buzzi si è cimentato anche nella divulgazione storica, scrivendo dei libri sugli etruschi, sui greci in Italia, sulle civiltà del Mediterraneo. Fra le mille cose che ha fatto, al di là del suo curriculum d’autore ha fondato e diretto la rivista di varia cultura Concertino (1992-1996), ha diretto il foglio di comunicazione pubblicitaria Strategia, ed è stato anche imprenditore in proprio; ma anche qui in modo eccentrico per quanto visionario, quando ha aperto La pastaccia, un ristorante di formula avveniristica che ha poi dovuto chiudere i battenti in meno di tre anni.●