Genova Impresa 2023 n.3

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editoriale

EMILIO CARMAGNANI

Il ruolo dei Giovani

l’intervista

RICCARDO

DI STEFANO

Competitività e competenze

prima / dopo

GENOVA IMPRESA Bimestrale Confindustria Genova N. 3 / 2023

Editore AUSIND

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SO MMAR I O

Emilio Carmagnani

Riccardo Di Stefano

4 editoriale IL RUOLO DEI GIOVANI di Emilio Carmagnani

6 Confindustria SPORT E GRANDI EVENTI

8 l’intervista COMPETITIVITÀ E COMPETENZE di Piera Ponta

13 prima / dopo

L’ALCHIMIA DEL REFITTING

ACCELERAZIONE DIGITALE di Piera Ponta

SMART COMPANY di Domenico Lombardini

ECORACER di Alessandro Stagni

ELEMENTI PREZIOSI

FLESSIBILI E SOSTENIBILI

BUSINESS 24/7 di Fabrizio Masieri

AMICI PER LA PELLE

BACK (AND BETTER) TO WORK di Debora Manuta e Sonia Zappitelli

34 da Genova a...

AL PASSO COI TEMPI di Matilde Orlando

37 competizione & sviluppo

SOS ACQUA di Piera Ponta

IMPORT EXPORT di Guido Ruggeri

ONDA SU ONDA

SCIENZIATE IMPRENDITRICI

SU MISURA

SOGNO O SON DESTO?

INTELLIGENZA ARTIFICIALE: BENE COMUNE di Andrea Pescino

ABITARE LO SPAZIO di Massimo Morasso

NCC NO LIMITS

62 ESG

LA COSA GIUSTA di Antonio Epifani

GOOD FOOD di Nicola Lucifero

CHECK LIST di Riccardo Parigi

70 Confindustria Imperia

TOYS AND TENDERS di Alessandra Ariano

74 piccola industria

BORSA O FONDI? di Linda Morellini e Paolo Benazzo

81 giovani

DON’T CRACK UNDER PRESSURE di Carolina Candelo

84 comunicazione

PAURA DELL’ALTRO, PAURA DI SÉ di Bruno Mastroianni

86 Fondazione Ansaldo

GENOVA DA INDUSTRIALE A TURISTICA di Matteo Trotta

88 cultura & società INVENZIONI D’ARTE

SOSABRAVO TRA RITO E MITO di Luciano Caprile

95 industria & letteratura I&L di Massimo Morasso

EDITORIALE

Il ruolo dei Giovani

Come Presidente

Imprenditori di Confindustria Genova, sono entrato nel terzo anno del mio mandato e vale la pena ripercorrere le tappe e i temi principali che in questi anni hanno riguardato l’evoluzione del Gruppo.

Il mio programma di attività, presentato a inizio mandato, si fondava su tre assi principali: sostenere l’ecosistema delle startup, offrire occasioni formative di alto livello, favorire una più ampia partecipazione al gruppo. Ora, guardandomi indietro, mi rendo conto che al tempo non avevo ancora colto un altro elemento importante di questa esperienza, che oggi percepisco invece come fondamentale, ossia che l’esperienza dei Giovani Imprenditori deve incentrarsi sul “fare comunità”. Il Gruppo raccoglie infatti persone con background e prospettive simili, ma la messa a fattor comune delle esperienze e delle competenze di ciascuno rappresenta il vero valore aggiunto. Ai componenti si chiede senz’altro di investire parte del proprio tempo per e con il Gruppo, ma non invano. Se all’inizio c’era bisogno di dare impulso per favorire la partecipazione, nel tempo sento di aver trasmesso una nuova mentalità che ha portato al coinvolgimento spontaneo e personale di un più ampio numero di giovani e consolidato il senso di comunità. Mi auguro che, chi raccoglierà il testimone al termine del mio mandato possa proseguire e implementare questo lavoro: più il Gruppo cresce, maggiore è la capacità di farsi portavoce di valori e iniziative.

tanza della partecipazione al Gruppo Giovani è quel lo della formazione: molte delle attività ed esperienze che organizziamo hanno scopi formativi di alto livello, non solo in tema di hard skills ma soprattutto di soft skills. Abbiamo da poco concluso la decima edizione del nostro “Bootcamp”, una due giorni che prevede formazione e team building all’insegna dell’apprendimento e del divertimento che diventano un fortissimo legante per chi vi partecipa. La formazione prende invece il verso opposto quando noi giovani imprenditori cerchiamo di diffondere la cultura d’impresa verso gli studenti universitari, accompagnandoli nel loro percorso di professionalizzazione. In questo filone di attività rientra ad esempio il progetto di Mentoring in collaborazione con l’Università di Genova, nell’ambito del quale alcuni di noi “adottano” uno studente o una studentessa, li affiancano e li coinvolgono nelle proprie realtà aziendali, facendone conoscere concretamente le dinamiche. Questa bellissima esperienza, avviata già prima dell’inizio del mio mandato, è un unicum a livello nazionale, e il numero di Giovani Imprenditori che partecipano all’iniziativa è triplicato negli ultimi anni. Oltre al progetto di Mentoring, che si svolge su base continuativa ed è “ben strutturato”, in questi anni non sono mancate anche altre occasioni, più estemporanee, per relazionarsi con università e studenti, anche dall’estero. Un esempio è l’incontro “peer to

peer” a Genova con gli studenti della Florida International University, con i quali abbiamo anche scoperto qualche similitudine nelle dinamiche economiche di Genova e di Miami, oppure con ragazzi e professionisti provenienti da Columbus (Ohio), inseriti in un programma di scambio con l’estero votato alla multiculturalità e finalizzato all’ampliamento di prospettive ed esperienze. È stato emblematico confrontarmi con un coetaneo americano, non solo per quanto riguarda gli aspetti strettamente professionali ma anche di vita a tutto tondo: sono emersi due mondi diversi! Sempre per promuovere la cultura di impresa portiamo avanti gli “Aperitivi con...”, format che prevede un’intervista “informale” a manager e imprenditori che si distinguono per i propri successi, abilmente condotto da Raoul de Forcade de Il Sole 24 Ore. Si tratta di momenti di scambio e apprendimento utili, in primis, a noi Giovani Imprenditori, ma aperti anche alla cittadinanza e in particolare agli studenti. Contribuiscono alla diffusione della cultura d’impresa attraverso l’esempio di persone che hanno il “sacro fuoco” dell’imprenditorialità. La rassegna ha fatto emergere, tra l’altro, una sorta di tendenza all’understatement da parte degli imprenditori “più tipicamente genovesi”, che in alcuni casi hanno raccontato la propria storia eccezionale come qualcosa di totalmente normale. In questi casi, la percezione dell’importanza dei successi professionali raggiunti sembrava quasi più forte nella platea che stava ascoltando piuttosto che nel protagonista di tali traguardi. In altri casi, invece, abbiamo dovuto mettere degli argini all’estro di alcuni imprenditori intervistati. Anche queste sfumature e diffe-

renze fanno parte delle tipicità del territorio e, come ascoltatori, ci pone di fronte alla sfida di cogliere e apprezzare le diverse sensibilità. Come accennavo, oltre alla formazione e alla diffusione della cultura d’impresa, nel Gruppo è forte la voglia di restituire qualcosa al proprio territorio, sposando progetti di sostenibilità su cui possiamo dare il nostro contributo come imprenditori. Uno di questi riguarda la lotta allo spreco alimentare, per il quale abbiamo lavorato insieme a diversi stakeholder, tra cui la rete Ricibo, e che, dopo una lunga gestazione, ha portato anche alla creazione di un tavolo per l’adozione di una food policy a livello comunale, a cui anche noi partecipiamo in rappresentanza del mondo delle imprese. Più in generale, a livello “territoriale”, l’impegno dei Giovani Imprenditori agisce su tre piani: il primo è la città di Genova, il secondo è la rete regionale, il terzo è il sistema nazionale.

A livello locale, come presidente del Gruppo Giovani ho avuto l’opportunità di partecipare al Consiglio di Presidenza di Confindustria Genova, che è un tavolo da cui un giovane può senz’altro imparare molto. Poter accedere e partecipare a tavoli di lavoro o di confronto con imprenditori e manager affermati è un’occasione per crescere, e un plus davvero importante che si accompagna alla mia carica.

Dal punto di vista nazionale, purtroppo, la poca disponibilità di tempo e gli impegni lavorativi mi hanno permesso di partecipare meno di quanto mi sarebbe piaciuto fare, ma ho comunque avuto modo di apprezzare la ricchezza di spunti e di stimoli che si respirano nell’ambiente, oltre alla possibilità di creare contatti e legami su ampia scala. Uno dei buoni propositi che intendo perseguire da qui alla fine del mio mandato è quello di essere più presente sul piano nazionale e, a seguire, di trasferire la mia esperienza a chi mi succederà nel portare avanti questi assi.

Ritengo che la rete nazionale dei Giovani Imprenditori abbia grandi potenzialità: la nostra generazione non ha avuto bisogno di combattere una battaglia, siamo stati fortunati e il benessere ci ha un po’ impigrito da questo punto di vista, ma oggi sono tanti i temi su cui urge un impegno, e su cui il Gruppo può intervenire per portare avanti un’istanza. Ci apprestiamo anche a introdurre la modifica al regolamento del Gruppo secondo cui i prossimi mandati avranno durata di quattro anni, invece che tre. Chi verrà dopo di me avrà più tempo per addentrarsi nei processi e strutturare nuovi progetti e credo sia un bene, perché tre anni passano troppo velocemente.

Sono certo che al termine del mio mandato qualcuno della squadra vorrà raccogliere il testimone e che questo passaggio avverrà in modo naturale. È indice dell’ottima salute e vivacità del Gruppo, ed è un valore anche per l’Associazione in generale, che in questi anni ci ha dato sempre maggiore fiducia e ha supportato i nostri progetti. Infine, rivolgendomi alle aziende, ci tengo a sottolineare quanto l’iscrizione di un giovane promettente al Gruppo debba essere vista come un “premio” per la persona e un vantaggio per l’impresa stessa, con benefici importanti in termini di connessioni e competenze.●

Emilio Carmagnani è Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Genova

CONFINDUSTRIA

e GRANDI EVENTI SPORT

Il Gruppo tecnico di Confindustria ha fatto tappa a Genova per incontrare imprese e istituzioni della città alla vigilia del Grand Finale di Ocean Race e in vista di Genova Capitale Europea dello Sport 2024.

Espressione di socializzazione, integrazione e partecipazione collettiva, lo sport è tante cose ed esperienze in una. Vuol dire ricreazione e divertimento, pratica amatoriale, professionismo, passione, volontariato, benessere e salute, e può diventare, come ovvio, anche spettacolo. Negli ultimi anni ha assunto forti connotazioni di business, a vari livelli, e sta diventando uno degli strumenti-principe di un marketing territoriale all’altezza dei tempi. Per chi li ospita, i grandi eventi sportivi rappresentano un’occasione unica per stimolare processi di “place branding” e di metamorfosi del territorio. Consentono di acquisire o aumentare competitività in termini di attrazione turistica, contribuendo in modo che può risultare rilevante all’andamento evolutivo e allo sviluppo economico di un luogo, rafforzandone l’immagine e l’identità. Nei migliori dei casi, possono dare perfino un impulso decisivo a un opportuno rinnovamento infrastrutturale, fungendo da facilitatori di progetti virtuosi di riqualificazione urbana. Del connubio fra sport e Genova e della loro relazione con i decisori politici e i diversi attori del “saperfare” impresa turistico-culturale in Liguria si è discusso lunedì 12 giugno, a Palazzo Ambrogio di Negro, sede della Fondazione Garrone. L’occasione che ha dato il la al confronto, l’incontro con la nostra città del Gruppo Tecnico Sport e Grandi Eventi di Confindustria, coordinato da Lorraine Berton, presidente di

Confindustria Belluno-Dolomiti. Il Gruppo, che risponde alla delega del vicepresidente Alberto Marenghi su Organizzazione, Sviluppo e Marketing e riunisce i rappresentanti di 30 aziende di tutti i settori, si è costituito nel 2019 con l’obiettivo di fare dei grandi eventi un’occasione di sviluppo e di crescita per il sistema delle imprese e, più in generale, per i territori.

La scelta del nostro capoluogo come sede della prima riunione “itinerante” del Gruppo è stata suggerita alla Berton da Daniela Boccadoro Ameri, componente dello stesso Gruppo, ed è stata particolarmente apprezzata dal Sindaco Marco Bucci e dall’assessore al Turismo e allo Sport Alessandra Bianchi che, insieme alla Boccadoro Ameri e alla vicepresidente di Confindustria Genova Nicoletta Viziano, hanno accolto gli imprenditori ospiti.

Momenti topici dell’iniziativa, sono stati il lancio dell’idea della stipula di un protocollo d’intesa fra Genova e la Fondazione Milano-Cortina (l’ente deputato all’organizzazione e alla promozione degli eventi sportivi e culturali relativi allo svolgimento dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali del 2026) e, soprattutto, la presentazione del palinsesto che traccia le linee principali di quello che, nei prossimi mesi, è destinato a diventare il programma definitivo di Genova Capitale europea dello Sport 2024.

Le manifestazioni attese o allo studio in vista di que-

sto nuovo, impegnativo appuntamento sono centinaia. Non tutte, naturalmente, a carattere agonistico, in coerenza con il modello-Genova che è stato proposto, anni fa, nel progetto di candidatura ed è risultato vincente, nell’ottobre del 2019, in sede di valutazione dell’associazione no-profit ACES Europe. Al di là del suo aspetto agonistico, tale modello rappresenta una concezione dello sport a 360 gradi, come fenomeno sociale fondato su integrità, solidarietà, rispetto dei diritti umani, inclusione sociale, fair play, prevenzione e tutela della salute.

Nell’insieme, stando alla relazione dell’assessore Bianchi saranno ben 23 le discipline e 21 le federazioni coinvolte, con oltre 30 attività sostenute direttamente da Genova 2024 (più di una ogni due settimane). Fra gli eventi internazionali, spiccano i Mondiali di canottaggio (a Genova Prà)

e di danza sportiva (al Palafiumara), e gli Europei di judo (sempre al Palafiumara). A emergere invece nei nazionali, la Final Four di Supercoppa di pallavolo, sia maschile sia femminile (ancora al Palafiumara), e i campionati italiani a squadre di scherma (al Padiglione Nouvel). Grande attrattività ha il cosiddetto “Progetto Azzurri”, per il quale nell’annus mirabilis 2024 sono previste a Genova delle partite delle Nazionali di calcio e basket, maschile e femminile, e delle Nazionali di pallamano e pallanuoto. Alle tante, anzi, tantissime, performance sportive disseminate nell’area metropolitana, nel palinsesto si affiancano numerose attività collaterali, spesso di taglio più tradizionalmente “culturale”, dai congressi tematici alle mostre. Particolarmente rilevante, e stuzzicante, la mostra delle Società Centenarie in programmazione a Palazzo Ducale a inizio anno, fra gennaio e febbraio, che permetterà di dare risalto ad alcune delle realtà (dallo Yacht Club Italiano al Tennis Club Genova...) che hanno fatto la storia dello sport a Genova. I grandi eventi sportivi che la nostra città sta accogliendo (Ocean Race, in questi giorni) e accoglierà nei prossimi anni - Genova Capitale europea dello Sport e, subito dopo, nel 2025, il Campionato europeo di Scherma, del quale Beppe Costa presiede il Comitato organizzatore - possono essere una leva importante per catalizzare grandi investimenti pubblici e privati. L’auspicio è che si colga appieno l’occasione per mettere in moto e sostenere con profitto un networking di sistema, in grado di coinvolgere tutti gli stakeholder, imprese del territorio comprese.●

Al 52º convegno nazionale dei Giovani Imprenditori focus sulla nuova frontiera dello sviluppo, l’Industria 5.0.

Competitività e competenze

“ L’Europa inizia a capire sempre meno le reali intenzioni dell’Italia sul PNRR”

“ Confindustria lavora da sempre per favorire l’ingresso dei giovani in azienda e la loro occupabilità”

“ L’impresa è diventata olistica e la produttività si può generare potenzialmente ovunque”

Riccardo Di Stefano

La capacità di competere di un Paese dipende - anchedalle competenze che sa mettere in campo: è il tema intorno al quale si sviluppa l’intervista al presidente degli under 40 di Confindustria, Riccardo Di Stefano. L’appuntamento di Rapallo di quest’anno è l’ultimo del suo mandato ed è l’occasione per lanciare un “alert” sull’attuazione del PNRR, dal quale dipende la crescita del Pil dei prossimi tre anni, sulla necessità di far sentire con più forza la voce dell’Italia in Europa, su una maggiore attenzione all’attrazione di talenti.

Al centro del dibattito politico - e non solo - di questi ultimi mesi c’è il PNRR, o meglio, la capacità o meno di realizzare i progetti ricompresi nel Piano entro il 30 giugno 2026, A oggi non sembra ci siano grandi margini di trattativa per quanto riguarda un’eventuale proroga dei termini, mentre la Commissione appare

più “morbida” su una possibile revisione del Piano. Quale può essere il contributo delle imprese in questa delicata fase di verifica degli obiettivi?

La situazione di stallo che si è creata attorno al PNRR preoccupa, se consideriamo che due terzi della crescita attesa del Pil tra 2023 e 2026 sono appesi a questo strumento. Per questo è necessario ogni sforzo per non perdere le risorse a disposizione e, se è questo il momento di una sua revisione, di trasformare le risorse non utilizzabili in incentivi alle imprese per investimenti produttivi, magari anche negli stessi territori in cui erano state previste. Con lo stesso modello dei crediti di imposta come industria 4.0. È una grande occasione di modernizzazione ed è imprescindibile realizzare tutti gli investimenti, soprattutto nelle aree con più divari e nei settori più sfidanti. Di sicuro le imprese avrebbero tempi attuativi rapidi, in termini non solo di risultato ma di lavoro e coesione sociale. Scegliamo la via degli investimenti da realizzare attraverso le imprese. Ricordiamoci che sono risorse a debito, è impensabile spenderle male. E non perdiamo altro tempo. Ne abbiamo perso troppo e l’Europa inizia a capire sempre meno le reali intenzioni dell’Italia sul PNRR. È ovvio che indirizzare le risorse nei settori del futuro come il digitale e la transizione green sarebbe auspicabile ma va colta ogni occasione di realizzare tutti gli investimenti, come ad esempio le infrastrutture, che dovrebbero rendere questo paese più moderno e competitivo. E poi non ci dobbiamo dimenticare le riforme che sembrano ferme al palo. Perdere la spinta riformista dei primi mesi del PNRR come sta accadendo sarebbe una sconfitta per il paese.

BusinessEurope, la “confindustria” europea alla quale aderisce anche la nostra organizzazione, ha chiesto una politica europea per la competitività. Che idee hanno i Giovani Imprenditori a questo riguardo?

L’Europa è un vaso di coccio tra vasi di ferro. Nessun paese europeo da solo può fronteggiare le sfide imposte da due giganti contrapposti come Cina e Usa, quindi per noi la dimensione a cui dobbiamo guardare è l’Europa, siamo europeisti da sempre ma convinti che serva un nuovo modello più collaborativo e solidale. Stiamo assistendo a

una accelerazione dirigista da parte della Commissione Europea sul fronte della transizione ambientale. E mi riferisco alle recenti normative europee che senza dubbio ci hanno danneggiato, packaging e automotive, per fare due esempi. Abbiamo bisogno di una Italia forte in Europa, che sostenga la nostra industria e le filiere strategiche e le accompagni con politiche graduali e “neutrali” tra i diversi paesi. Questo sarà cruciale anche nelle prossime elezioni europee, tra un anno.

Quello in corso è stato proclamato “l’anno europeo delle competenze”, iniziativa che ha lo scopo di sensibilizzare istituzioni, parti sociali, imprese e lavoratori dell’Ue a investire nella formazione, sia per superare il mismatch tra domanda e offerta sia per affrontare le transizioni (digitale, energetica, ambientale...) in atto. A suo parere, quali misure sarebbe necessario mettere in campo per una maggiore - e più rapidasintonizzazione tra le parti in causa?

Confindustria lavora da sempre per favorire l’ingresso dei giovani in azienda e per migliorare la loro occupabilità che si realizza attraverso la formazione di competenze specifiche. Competenze che sono in continuo aggiornamento anche per cercare di sfruttare appieno le sfide digitali e ambientali che sono solo all’inizio e che imporranno grandi trasformazioni. Qualsiasi piano di politica industriale non può prescindere da un’attenta valutazione dei lavoratori e delle competenze. Its, formazione tecnica, dottorati innovativi, tirocini aziendali, discipline STEAM (Scienza Tecnologia Ingegneria Arte Matematica, ndr) sono ambiti in cui le imprese giocano un ruolo da protagoniste. Il PNRR stanzia circa 30 miliardi per scuola, università e ricerca, di cui più di undici per legare formazione e aziende. Non sprechiamo questa opportunità. Da noi il mismatch è ancora enorme: gli ultimi dati resi disponibili da Unioncamere certificano una nuova crescita della difficoltà di reperimento di personale, che è passata dal 38,6% dello scorso anno al 45,6% di gennaio 2023, pari a circa 230mila assunzioni.

Secondo il Report FragilItalia “I giovani generazione Z e il lavoro”, presentato a fine aprile a cura di Area Studi Legacoop e Ipsos, flessibilità e tempo libero sono i criteri principali in base ai quali i giovani tra i 18 e i 24 anni valutano le opportunità di lavoro - che, nella loro scala di valori, occupa la sesta posizione dopo famiglia, amicizia, amore, divertimento e cultura. Cosa ne pensa?

Il mondo del lavoro sta profondamente cambiando e le sfide imposte dalle transizioni, in particolar modo quella digitale, daranno un impulso ancora maggiore a questo fenomeno. La pandemia ha solo accelerato alcune tendenze che noi giovani imprenditori già iniziavamo a osservare nelle nostre aziende e che è nostro dovere intercettare e sostenere per non perdere i migliori talenti e favorire l’ingresso di nuovi giovani. Questo biennio ha reso le imprese più ampie, inclusive e flessibili. Non sono scomparsi gli uffici, si sono semplicemente diffusi. L’impresa è diventata olistica e la produttività si può generare potenzialmente ovunque. È una bella sfida per tutti. Cambiano le modalità senza cambiare l’obiettivo: produrre, crescere, ottenere risultati positivi.●

prima / dopo

risorse umane n organizzazione

industria n marketing n sostenibilità

Amico & Co., società genovese, è cantiere leader in Europa e tra i primi 3 al mondo nel settore delle riparazioni e ristrutturazioni dei mega yacht; una reputazione internazionale, confermata dal fatto che il 95% dei clienti che scelgono la società genovese è di provenienza estera. Sono oltre 110 i progetti eseguiti in media ogni anno, con una capacità ricettiva che consente di ospitare contemporaneamente fino a 35 unità ai lavori. Lavori che comprendono la manutenzione, la riparazione e la ristrutturazione di maxi e mega yacht dai 20 ai 140 metri di lunghezza: solo negli ultimi tre anni, i due terzi dei progetti hanno interessato unità tra i 60 e i 110 metri di lunghezza. Nel cantiere di Amico & Co grandi e grandissime imbarcazioni vengono accolte e “curate” sulla base delle precise esigenze di ciascuna. Gli interventi sono estremamente diversificati e vanno dalla regolare manutenzione, alle riparazioni, fino a progetti di ristrutturazione totale o parziale, alla fine dei quali gli Yacht escono cambiati di aspetto, colore, struttura, arredi, stile. «Il refitting è una specie di alchimia, che richiede numerosi ingredienti, e se c’è il minimo squilibrio nel know-how, nella gestione o persino nell’incapacità di trovare un buon tagliatore di marmo, la magia va persa. Un refit di successo combina le tradizionali competenze di costruzione navale con un’abilità nel risolvere i problemi che si ottiene solo con l’esperienza - dichiara Alberto Amico, Presidente e fondatore di Amico & Co -. La portata del lavoro si espande quasi sempre con il progredire del pro-

getto, per cui è necessario calcolare le numerose variabili tenendo d’occhio i budget e i tempi di produzione». È con questo spirito che ogni giorno si affrontano lavori di qualsiasi grado di complessità, che colpiscono per il talento ingegneristico, la capacità delle maestranze di realizzare le opere e la bellezza del prodotto finito. La specializzazione e l’abilità delle persone sono quindi parte determinante dell’organizzazione produttiva dei cantieri Amico & Co che crede nell’importanza di avere reparti di produzione, personale e capisquadra interni per offrire ai clienti un team composto non solo da project manager di grande esperienza, ma anche da capisquadra e artigiani con tutte le competenze e la supervisione necessarie per realizzare ogni singolo lavoro di refit: dal verniciatore, al carpentiere metallico e del legno, dal meccanico al tecnico informatico, alla progettazione navale, di interni e di impianti, fino ai servizi e a tutte le attività di supporto per gli equipaggi. Degli oltre 3200 progetti realizzati, alcuni sono rimasti nella storia dell’ingegneria navale e nautica, ma tutti si basano sulla preparazione e sulla comunicazione tra il team del cantiere e quello dell’imbarcazione. Quando, ad esempio, nel 2016 Amico & Co si è aggiudicata i lavori di refit di Kiss the Sky - yacht di 170 piedi e 7 pollici (52 metri), progettato da Terence Disdale e varato da Amels nel 2001- con un progetto che prevedeva il rifacimento di tutti gli interni e l’aggiunta di circa 9 piedi a poppa, aumentando la lunghezza complessiva a poco più di 180 piedi (55 metri), per gestire il fattore tempo, il can-

nella preparazione del team.
Alberto Amico Bruno Guglielmini

tiere ha inviato un team in Florida per condurre uno studio di fattibilità prima che il cliente firmasse il contratto di refit. L’intervento ha richiesto anche la totale riprogettazione degli interni affidati a uno studio di architettura italiano, Luca Dini Design, che ha adottato un processo di lavoro dove la fase di progettazione era contemporanea a quelle di scelta dei prodotti e dei materiali. «La parte più impegnativa di un refit come questo è gestire contemporaneamente l’allestimento degli interni e i lavori di ingegneria pesante», spiega Daniele Di Giampaolo, direttore tecnico e commerciale di Amico & Co.

Tra le tante storie affascinanti che si possono raccontare in Amico & Co, il progetto eseguito sul PY Queen Miri (precedentemente conosciuto come Delma) è la più importante commessa di refit realizzata da Amico & Co ed è uno dei più grandi progetti di questo genere mai effettuati su uno yacht. La vastità e complessità dell’intervento, interamente compiuto all’interno dell’allora nuovo bacino di carenaggio del Cantiere, ha richiesto un management team dedicato di 10 Technical Manager e ha comportato una presenza media a bordo di circa 200 addetti, con punte fino a 400 di personale specializzato. Dalla modernizzazione e riprogettazione degli impianti all’aggiunta di nuovi elementi, dalla rivisitazione dell’estetica esterna e interna all’allungamento dello scafo e delle sovrastrutture, il progetto è stato realizzato nel tempo record di 16 mesi. Più recentemente, con l’aumento della consapevolezza dell’importanza dell’impatto ambientale da parte degli armatori, stanno crescendo le richieste di “retrofit”. Si tratta di vere “trasformazioni” che riguardano il ventre della nave: l’introduzione di motorizzazioni moderne più efficienti, talvolta combinate con propulsioni “ibride” alimentate da batterie, nuove tecnologie negli impianti di bordo, fino al miglioramento della gestione dell’efficienza energetica di bordo. Nel corso degli ultimi anni, l’attività di refit di Amico & Co si è ampliata comprendendo anche servizi tecnici e servizi di accoglienza e ospitalità, non solo nei confronti delle imbarcazioni, ma anche degli equipaggi, sia a bordo sia a terra. Un impegno che beneficia della presenza sul territorio di professionalità di alto livello in settori limitrofi e complementari e che ha contribuito a consolidare un comparto di eccellenza.●

Un impianto fotovoltaico e il primo Report di sostenibilità

Con l’entrata in funzione del nuovo impianto fotovoltaico installato in loco, Amico & Co produrrà da fonte rinnovabile il 53% dell’energia utilizzata per l’attività produttiva, pari a 1 megawatt. «L’impianto costituisce un passo ulteriore sul percorso di sostenibilità che da sempre - dice Bruno Guglielmini, Amministratore delegato Amico & Co Spa - caratterizza la politica di investimenti infrastrutturali dell’Azienda, che dal 2005 è certificata ISO 14001. Le lavorazioni avvengono in prevalenza in ambienti confinati (capannoni, bacino coperto), che consentono la captazione e l’abbattimento delle emissioni, e l’intera area produttiva è servita da un sistema di raccolta e depurazione delle acque reflue. Dal 2007 sono state progressivamente elettrificate tutte le banchine, sia in Cantiere che in Waterfront Marina, il che consente di soddisfare il fabbisogno energetico di tutte le imbarcazioni senza che queste debbano ricorrere ai propri generatori diesel. La sostenibilità caratterizza anche le due ultime infrastrutture produttive realizzate dall’azienda: lo Shiplift, sistema di alaggio, varo e movimentazione di unità fino a 95 metri di lunghezza realizzato nel 2019, è totalmente elettrificato con zero emissioni in situ. Nel 2022, uno degli slot di lavorazione a terra è stato attrezzato con un innovativo sistema di ponteggiatura modulare coperto, con un duplice vantaggio: i ponteggi sono fissi e non devono essere noleggiati di volta in volta (riduzione dei trasporti su gomma), i tamponamenti di copertura sono riutilizzabili e non mono-uso (riduzione dei rifiuti)». Oggi Amico & Co fa un ulteriore passo verso la realizzazione della fabbrica pulita, contribuendo alla creazione di un ecosistema perfettamente compatibile con la città, capace di generare valore e ricchezza sul territorio. Amico & Co ha pubblicato a giugno 2023 il primo Report di sostenibilità redatto volontariamente secondo le linee guida del Global Reporting Initiative (GRI), che mira a fornire un quadro trasparente delle performance aziendali e degli obiettivi futuri.n

ACCELERAZIONE

Digitale

Al RINA si studia l’introduzione di un “copilota intelligente” che si faccia carico del lavoro meno qualificante, lasciando più spazio alla creatività. Ce ne parla Claudia Filippone, Responsabile Risorse umane e Relazioni istituzionali del Gruppo.

Claudia Filippone

Secondo i dati di una ricerca condotta nel 2022 dalla Fondazione Studi dei Consulenti del lavoro, il 61% degli italiani afferma che negli ultimi anni il proprio lavoro è cambiato per effetto dell’innovazione digitale e tecnologica: il 42,9% in parte, il 18,1% in modo sostanziale; una transizione che la pandemia da Covid ha accelerato e che il RINA - tra le realtà più reattive nel coglierne le opportunità sotto l’aspetto organizzativo e in termini di competitività - ha declinato in un obiettivo di miglioramento continuo. Per il Gruppo guidato da Ugo Salerno, attrezzarsi affinché lo smart working “imposto” dall’emergenza sanitaria fosse davvero “smart” e non semplice “telelavoro” è stato solo il primo passo di un ambizioso percorso di digitalizzazione mirato a efficientare i processi e liberare tempo per il pensiero creativo. «In RINA - racconta Claudia Filippone, Responsabile delle Risorse Umane e delle Relazioni istituzionali - stiamo costituendo un gruppo di lavoro con competenze IT e HR per il monitoraggio dei processi aziendali, per capire come renderli più efficienti attraverso l’affiancamento di un “copilota” intelligente. Entro la fine del 2023 abbiamo previsto l’introduzione dell’intelligenza artificiale a supporto dell’esecuzione di alcuni passaggi “standard” dei processi di erogazione del servizio, come l’analisi documentale; entro il 2024 contiamo di delegare agli algoritmi una parte più ampia di questi processi e nell’arco di un paio di anni, se il quadro normativo lo consentirà, sarà l’intelligenza artificiale a stabilire l’adesione o meno del soggetto esaminato agli standard di qualità». Secondo il World Economic Forum, circa il 40% dei lavoratori al mondo dovrà riqualificarsi in base al livello di digitalizzazione che impatterà sul proprio ruolo in azienda: «A mio parere - commenta Filippone -, non sarà l’età a determinare il successo o meno del riposizionamento dei singoli lavoratori, ma la capacità di ciascuno di rimodulare il proprio rapporto con la tecnologia. Si tratterà, perché tutto vada per il meglio, di trovare il giusto equilibrio tra esperienza e flessibilità. Del resto, già oggi l’“onboarding” dei neo assunti in RINA è completamente digitale; le aziende, di qualunque dimensione, dovranno prevedere programmi di formazione continua e in questo l’intelligenza artificiale, con i suoi coach virtuali, potrà offrire un contributo concreto. Come Gruppo ci siamo candidati per essere tra le 600 organizzazioni che Microsoft doterà di un Teams “potenziato” con funzioni che consentono, per esempio, l’estrazione di un abstract da un testo e la sua elaborazione in un power point: un altro strumento utile ad alleggerirci di incombenze spesso di scarsa soddisfazione, lasciandoci più tempo per lo sviluppo di nuovi progetti». Non c’è dubbio che ricomprendere all’interno della propria offerta contrattuale la possibilità di lavorare in modalità smart, secondo una logica orientata agli obiettivi, con flessibilità di luogo e di orario, contribuisca ad aumentare la capacità delle aziende di attrarre talenti, ma non è la panacea né per arginare la “fuga di cervelli” né, più in generale, per reperire profili qualificati. «Il punto è - osserva la top manager di RINA - riuscire a sintonizzarci con i giovani per far scattare la scintilla in chi sta cercando lavoro: io credo sia una questione di linguaggio, dobbiamo imparare a parlare la loro lingua. Un recente studio di EY sulla sostenibilità

digitale dei giovani italiani (oltre che di Spagna, Francia, Germania e Polonia) ha rilevato, tra l’altro, i loro comportamenti sui social, ricavando informazioni preziose per le imprese che vogliano promuovere politiche di attrazione mirate». Altrettanto importante, a questo fine, è il rapporto con l’università. «Negli Stati Uniti, le cosiddette “big four” della consulenza (Deloitte, Ey, Kpmg e Pwc, ndr) raccolgono i dati dalle università nel mondo, li confrontano con le job description delle posizioni aziendali aperte, li intrecciano con i trend di mercato e quindi delineano le competenze emergenti. Aziende e università - conclude Claudia Filippone - potrebbero partire da qui per programmare, secondo criteri con basi “scientifiche”, corsi di studio in grado di formare le professionalità necessarie. A vantaggio tanto delle aziende, quanto degli stessi atenei, che guadagnerebbero posizioni nelle classifiche che ne valutano la capacità di offrire più possibilità e prospettive di lavoro».●

SMART WORKING

Lo smart working è uno degli effetti della diffusione delle tecnologie nei processi organizzativi aziendali. Nel 2022 in Italia il lavoro da remoto continua a essere utilizzato in modo consistente, ma in misura minore rispetto al 2021. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, i lavoratori da remoto oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nelle Pubbliche Amministrazioni e nelle PMI, mentre si rileva una leggera, ma costante crescita nelle grandi imprese. Quest’ultime contano circa metà degli smart worker complessivi (1,84 milioni). Per il 2023 si prevede un lieve aumento fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di smart working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico. Lo smart working è realtà nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), con una media di 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello. Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI, in cui lo smart working è passato dal 53% al 48% delle aziende, per una media di circa 4,5 giorni al mese.

Si stima che un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmi in media circa 1.000 euro l’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto; nella stessa ipotesi, tuttavia, l’aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere per 400 euro l’anno, riducendo così il risparmio annuo complessivo a 600 euro. Lo smart working produce una riduzione dei costi ancor più significativa per le aziende, che possono ottimizzare l’utilizzo degli spazi con un risparmio potenziale fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore.n

Smart

Nuove modalità di intendere e organizzare il lavoro, a beneficio dell’azienda e dei dipendenti: l’esperienza di ASTW

COMPANY

Nel nostro paese fa fatica a farsi strada la “smart company”. Con tale termine possiamo indicare un’azienda che contempli stili gestionali e lavorativi elastici, e che contemperi produttività e bilanciamento tra vita privata e vita professionale dei dipendenti. Come noto, la stragrande maggioranza delle nostre aziende è costituita da micro e piccole imprese (sotto i venti addetti), spesso operanti in settori tradizionali a più o meno alta intensità di lavoro manuale. È pertanto sin da subito importante distinguere, ai fini limitati del presente contributo, due scenari “macro”: quello delle aziende di servizi ad alta intensità di manodopera; e quello delle aziende di servizi a minore intensità manuale e a più alto “apporto intellettuale”. In questo contributo mi concentrerò su quest’ultime, in quanto è molto difficilmente adottabile uno stile lavorativo “smart” in piccole aziende come quelle operanti nel settore della ricezione (ristoranti, bar e alberghi), per tacere di quelle nel settore manifatturiero. Ovviamente, in seno a un’azienda di dimensioni maggiori il differenziamento e la specializzazione dei ruoli rende possibile, almeno per parte delle maestranze, adottare lo smart working, l’orario elastico o l’orario settimanale ridotto. Nondimeno, qui vorrei riportare un caso particolare (tuttavia generalizzabile ad altri casi simili e, in certa misura, scalabile su scenari di aziende più grandi), ossia quello di una piccola azienda (sotto i venti addetti) operante nel settore dei servizi con apporto intellettuale e che ha adottato stili lavorativi “smart”. Numerosi sono ormai i riscontri aneddotici ma anche quelli

tratti dalle indagini sociologiche che rilevano come per le nuove generazioni (generazione Z e millennials) il lavoro non sia più il “fulcro” della vita. La generazione di persone che furono adulte nell’immediato secondo dopoguerra e la generazione successiva (i cosiddetti “baby boomer”) vissero in un contesto socioeconomico che vide sì una crescita economica che segnò una netta cesura storica tra un’Italia arretrata e un paese che andava finalmente sviluppandosi. Ma il retroterra psicologico di queste generazioni, i loro valori erano pur sempre quelli creatisi all’interno di società frugali, spesso contadine, e i cui stili di consumo erano molto semplici e limitati. È noto come la società di consumo di massa nel nostro paese non si ebbe che dagli anni Ottanta in poi, allorquando l’Italia (nel 1987) fece il cosiddetto “sorpasso” in termini di PIL rispetto a quello britannico, evento che fece diventare l’Italia la sesta potenza economica del mondo. Che le fondamenta di tale “sorpasso” non fossero solide è un fatto che la storia economica ha ormai acclarato ma che non rientra nell’ambito di questo contributo. Nondimeno è utile dire, en passant, che è proprio a partire dagli anni Ottanta che le nuove generazioni di lavoratori di cui ci occupiamo nacquero, maturarono e formarono i loro valori. Se le priorità delle generazioni precedenti erano il lavoro e i figli (negli anni Settata ogni donna in Italia ne aveva, in media, tre), quelle delle nuove generazioni vanno in tutt’altre direzioni o, meglio, sono molto più variegate, e questo grazie agli sviluppi assai positivi avvenuti in seno alla società italiana negli ultimi decenni. In primo luogo, la maggiore

(anche se comparativamente minore rispetto ad altri paesi sviluppati) partecipazione al lavoro e all’istruzione delle donne, ma in generale il ventaglio sempre più ampio di scelte esistenziali e, vorremmo dire, esperienziali tra cui un giovane di oggi può scegliere, che è stato reso possibile da una società sempre più opulenta e globalizzata. Che questo processo indubbiamente positivo abbia avuto anche “esternalità” negative (si pensi alla denatalità e al suo impatto attuale e futuro in termini di crescita economica e sostenibilità del welfare) è altresì fuor di dubbio. Le aziende e gli imprenditori si trovano spesso in difficoltà nell’“inculcare” nei lavoratori la giusta motivazione e, diciamo così (ma senza alcuna retorica paternalistica) la “buona volontà”. Secondo l’esperienza di chi scrive, gli incentivi economici funzionano solo se ben escogitati e solo su certi tipi di “psicologie” (che sospetto essere minoritarie in queste fasce di età) ed è quindi necessario pensare “out of the box”. I valori dell’azienda dovrebbero collimare, per quanto possibile, con quelli dei lavoratori. Ciò non vuol dire cedere a pratiche lavorative non coerenti con la ricerca della produttività e dell’efficienza, ma prendere atto dei valori dei lavoratori i quali, giova ricordarlo, sono la parte pulsante delle aziende. Una volta considerato tutto ciò, è necessario escogitare un set di incentivi che puntino non solo alla premiazione della produttività (che tuttavia, come sopra ricordato, agiscono bene solo su una porzione delle persone) ma che cerchino anche di contemperare le esigenze produttive dell’azienda e le esigenze esistenziali dei lavoratori.

L’esperienza di ASTW, piccola azienda operante nel settore dei servizi linguistici, è positiva. L’azienda ha adottato, da diversi anni, l’orario elastico (entrata e uscita in orari non fissi) e lo smart working ad libitum. Per rendere possibile tutto ciò, è stato necessario utilizzare applicativi informatici e infrastrutture IT (ormai alla portata di tutte le aziende) per monitorare l’attività e la produttività dei dipendenti e per dotare loro di tutti gli strumenti per lavorare da qualunque luogo essi vogliano. I risultati di questo stile lavorativo vanno sia a vantaggio dell’azienda (in termini di produttività) sia a beneficio dei dipendenti (che apprezzano tale stile lavorativo). Inoltre, da diversi mesi ASTW sta adottando sperimentalmente l’orario settimanale ridotto, ossia quattro ore a settimana in meno per tutti i lavoratori assunti a tempo pieno. Con il “caveat” di garantire la continuità del servizio, e quindi con una programmazione attenta della presenza dei lavoratori per ciascun ruolo aziendale, l’azienda registra la conservazione della produttività e, assieme, l’aumento del benessere dei dipendenti.

L’adozione di tecnologie sempre più a buon mercato ma, soprattutto, l’ascolto dei valori e delle esigenze dei dipendenti, lungi dall’essere una moda o, peggio, uno strumento di marketing, rappresentano uno strumento di competitività e di employee retention in un’epoca stretta tra quiet quitting e great resignation.●

Domenico Lombardini è Fondatore e amministratore di ASTW Specialised Translation

La prima sportboat riciclabile al mondo si basa sull’uso di materiali innovativi e performanti, a basso impatto ambientale nella fase di produzione prima e di smaltimento dopo.

Ecoracer è un ambizioso progetto, ideato e sviluppato da Northern Light Compsite, che si pone l’obiettivo di far navigare e regatare la prima flotta di barche completamente riciclabili. Tutto nasce alla fine del 2019, quando tre amici, nonché velisti - Fabio Bignolini, Andrea Paduano e Piernicola Paoletti - decidono di fondare Northern Light Composite, startup innovativa che si occupa di ricerca e sviluppo di materiali compositi sostenibili e riciclabili. La startup con sede a Monfalcone, in Friuli-Venezia Giulia, nasce come spinoff di Northern Light Sailing Team, associazione velica triestina, protagonista da oltre un decennio nelle regate d’altura con svariati successi in ambito internazionale, con all’interno il know-how acquisito durante il percorso di studi universitari anche grazie alla partecipazione alla 1001 Vela Cup, regata dove gli atenei di tutta Italia sviluppano e costruiscono uno skiff con cui poi si sfidano tra le boe. L’idea iniziale dei tre soci fondatori, che ha dato il via al progetto, è stata quella di sviluppare e costruire una barca a vela non solo performante in mare, ma soprattutto rispettosa dell’ambiente e della salute dei dipendenti e collaboratori.

Per capire meglio il perché sia così importante lo sviluppo di compositi sostenibili è necessario fare alcune precisazioni sui materiali utilizzati e le loro caratteristiche. Prendiamo come esempio la nautica da diporto: al giorno d’oggi, la maggior parte delle imbarcazioni vengono prodotte in vetroresina, un materiale composito formato da fibre di vetro e una resina (matrice) termoindurente, che generalmente è a base epossidica o poliestere. Questa combinazione di materiali conferisce alla vetroresina ottime proprietà meccaniche, leggerezza e durabilità essendo al contempo economica e facile da lavorare. Tuttavia, il prezzo da pagare arriva al momento dello smaltimento. A causa della composizione chimica della resina non è possibile separare i due materiali (fibre e matrice) rendendo di fatto ogni manufatto di vetroresina non riciclabile e quindi un rifiuto speciale molto costoso da smaltire. Questo ha fatto sì che migliaia di imbarcazioni venissero abbandonate in cantieri, campi o addirittura affondate pur di non dover pagare per il loro smaltimento. Uno studio del 2011 stima che oltre la metà delle imbarcazioni in vetroresina sia stata abbandonata, con oltre 50.000 tonnellate di rifiuti da smaltire, dato

di Alessandro Stagni

che nell’ultimo decennio non ha fatto altro che crescere. Inoltre, le fibre di vetro, benché economiche, richiedono un elevato dispendio energetico per la loro produzione, che avviene ad alta temperatura. Per dare una soluzione concreta al problema della sostenibilità della vetroresina e dei materiali compositi in generale, Northern Light Composites ha sviluppato un materiale composito innovativo a basso impatto ambientale e riciclabile: rComposite, che sfrutta fibre naturali, in particolare la fibra di lino, e fibre riciclate assieme a una matrice termoplastica. Le fibre di origine vegetale hanno un bassissimo impatto ambientale grazie a due caratteristiche che le contraddistinguono: assorbono CO2 durante il loro ciclo di crescita e richiedono un bassissimo dispendio energetico per la loro realizzazione, poiché si presentano già lunghe e allineate in natura semplificando di molto il processo produttivo. Per quanto riguarda la matrice la scelta è ricaduta sulla resina Elium® che, grazie alle sue caratteristiche chimiche, permette, a fine vita, la separazione dei diversi materiali che formano il composito (contrariamente alle resine termoindurenti), garantendone così il riciclo e riuso dei singoli componenti e generando di fatto un’economia circolare del materiale composito. Al fine di garantire l’intercambiabilità tra la vetroresina e rComposite, si è lavorato molto per ottenere caratteristiche meccaniche equivalenti. Infatti, anche se le fibre vegetali hanno proprietà inferiori a quelle del vetro, risultano anche più leggere, facendo in modo che a parità di peso si ottenga un laminato con proprietà meccaniche specifiche equivalenti. Inoltre, la resistenza a urti è migliorata grazie all’uso della matrice termoplastica. Per quanto riguarda il tema della salute degli operatori si è deciso di utilizzare il processo produttivo dell’infusione sottovuoto che, oltre a garantire migliori proprietà meccaniche del materiale, assicura anche un migliore ambiente di lavoro, privo di emissioni nocive di qualsiasi tipo. Inoltre, le fibre naturali non sono irritanti, quindi possono essere maneggiate senza particolari precauzioni dagli operatori. Dopo aver validato la tecnologia rComposite attraverso il progetto ecoprimus, una deriva a vela per bambini, nel 2021 è stato lanciato il progetto ecoracer, firmato dal progettista d’eccezione Matteo Polli. Questo progetto ha visto il varo del primo prototipo ecoracer25 a fine del 2021. Ecoracer25 è una sportboat di quasi 8 metri che negli ultimi anni ha preso parte a diverse regate, vincendo anche il campionato italiano minialtura 2021, battendo un’intera flotta di barche in vetroresina. L’ottimizzazione e l’evoluzione di ecoracer25 hanno portato alla definizione di ecoracer30OD, varato a fine giugno, a Genova, in occasione dell’arrivo della Ocean Race, dando di fatto inizio alla creazione della prima flotta di barche totalmente riciclabili. Ecoracer30 è una barca a vela di 9 metri, pensata e progettata sia per le regate a compenso che per le regate monotipo. Uno degli obiettivi del progetto ecoracer è infatti la creazione di un circuito di regate internazionale nel Mediterraneo, che vede impiegate barche completamente riciclabili, e che abbia come focus principale temi legati alla sostenibilità. Per il prossimo futuro sono letteralmente in cantiere diversi progetti sia in ambito nautico che non. Uno su tutti è ecofoiler, deriva volante di 3.8 metri, anch’essa costruita con

la tecnologia rComposite, a testimonianza delle sue potenzialità. Un altro aspetto innovativo di ecofoiler è l’utilizzo di stampi ottenuti con tecniche di additive manufacturing (stampa 3D) che, sfruttando la tecnologia Breton Genesi, non solo permette di ottimizzare il processo produttivo dello stampo minimizzando lo spreco di materiale, ma lo stampo stesso può essere riciclato a fine vita tornando a essere materiale per la stampa 3D e impremendo così ulteriore spinta alla sostenibilità dell’intero ciclo produttivo. A dare ulteriore lustro al progetto è la firma di Thomas Tison, progettista di fama internazionale impegnato nell’attuale campagna di Coppa America con Ineos Britannia. Sono stati avviati anche numerosi progetti pilota con aziende in diversi settori, tra cui l’arredamento di interni e cantieri produttori di gommoni, al fine di andare a sostituire le componenti in vetroresina all’interno dei loro prodotti con rComposite, a testimonianza della versatilità di questa tecnologia. Un altro tema che è nel futuro della startup e che abbiamo già iniziato ad approfondire è quello delle pale eoliche, altro settore che fa un uso intensivo della vetroresina con evidenti problematiche di smaltimento, dato che i parchi eolici verranno aggiornati con pale sempre più efficienti ma anche più grandi, generando di conseguenza scarti sempre più difficili da smaltire senza una valida alternativa.●

Alessandro Stagni è Board Member di Northern Light Composites

Elementi

PREZIOSI

Premiato Ariadne, il sistema progettato da Futuredata che permette di tracciare i diversi materiali presenti nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche e di recuperali prima dello smaltimento.

Marisa Parmigiani, Responsabile sostenibilità del Gruppo Unipol-Sai, e Lucio Poma, Capo economista Nomisma, consegnano a Rosario Capponi, socio e fondatore di Futuredata, il primo premio del concorso nazionale “L’Italia che verrà” per la sezione Sostenibilità.

Lo scorso 11 maggio, nella sede di Unipol-Sai di Bologna, la startup genovese Futuredata è stata premiata come prima classificata nella sezione “Sostenibilità” del concorso nazionale “L’Italia che verrà”.

La giuria ha voluto riconoscere all’azienda il merito “Per l’innovativo sistema Ariadne, dedicato al recupero di rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche”.

Infatti, una volta realizzato, il sistema proposto permetterà di selezionare, recuperare e riciclare i numerosi materiali presenti in un’Apparecchiatura Elettrica ed Elettronica (AEE) in maniera molto più efficiente ed efficace di quanto sia stato fatto fino ad ora.

Quando un AEE raggiunge il suo fine vita e diventa un Rifiuto da AEE (RAEE), con le attuali tecniche di trattamento solo 8-10 materiali diversi, su 55-60 che lo costituiscono, sono effettivamente recuperati, tutti gli altri vanno persi per sempre.

Dato che i RAEE rappresentano il rifiuto con il maggior indice di crescita annuale ed è prevedibile che, per assecondare

22 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2023

la transizione ecologica da più parti auspicata, questo fenomeno persisterà ancora a lungo, la loro gestione merita maggiore attenzione.

Pertanto, nell’attuale contesto socio-politico in cui si promuove la sostenibilità e si cerca di unire le forze per contrastare in ogni modo il cambiamento climatico, una tale inefficienza non può essere più sottovalutata.

Dagli ultimi dati pubblicati dall’Agenzia Europea per l’Ambiente emerge che il tasso di utilizzo di materiali riciclati a livello europeo dal 2010 è fermo a livelli intorno al 10 % (10,8 % nel 2010; 11,7% nel 2021) delle materie prime effettivamente utilizzate, ma considerando che questo valore comprende anche i rifiuti da costruzione e demolizione, è evidente che il riciclo di tutti gli altri è a livelli molto più bassi. In più, tali dati non tengono conto della qualità dei materiali riciclati che nel caso dei metalli e delle plastiche rappresenta un elemento fondamentale per qualsiasi considerazione sul piano dell’analisi del problema e delle conseguenti ricadute sulle scelte di policy ambientale.

Nello specifico, l’industria elettrica ed elettronica fa ampio uso di materiali che, a livello europeo, sono stati definiti critici, sia per la scarsa disponibilità in natura sia per le difficoltà di avere approvvigionamenti sicuri nel tempo, dato che la loro produzione dipende dalle situazioni socio-politiche dei paesi che ne sono i maggiori produttori, quali, ad esempio, Cina, Repubblica Popolare del Congo, Brasile, Russia, Kazakistan, Cile ecc.

Inoltre, c’è da constatare che proprio questi materiali sono fra i meno riciclati in assoluto.

Un tasso di riciclo spesso prossimo a zero trova ragione in due fatti principali: la loro presenza nei AEE in quantità molto piccole e nello stato dell’arte dei processi di trattamento dei RAEE.

Il fatto che, in generale, le quantità utilizzate nell’industria elettronica siano nell’ordine di frazioni di milligrammo per ciascun componente - come microchip, condensatori, led ecc. - e che come tali queste sostanze fino a pochi anni fa fossero facilmente reperibili sul mercato, ha dato il senso che un tale regime potesse permanere a lungo senza particolari impatti negativi sia sul mercato delle materie prime che sull’ambiente.

Purtroppo, i fatti recenti hanno smentito tale scenario, che recentemente ha assunto implicazioni molto pesanti per quanto riguarda la realizzazione di componenti elettroniche e altri prodotti industriali tecnologicamente più avanzati.

Allo stesso tempo, gli attuali sistemi di trattamento dei RAEE non permettono il loro recupero in modo adeguato, disperdendo così considerevoli quantità di risorse che, invece, si potrebbero configurare come vere e proprie “miniere” di materiali critici. Allo stato dell’arte, infatti, è facile verificare che i processi di trattamento dei RAEE fanno uso di tecnologie che, se pur avanzate nei mezzi utilizzati, si possono ritenere ancora giustificate solo in presenza di un numero di materiali contenuto e con caratteristiche chimico-fisiche ben distinte fra loro.

Con il progredire della tecnologia i materiali utilizzati sono via via aumentati, tanto che l’industria elettronica oggi ha potuto raggiungere i livelli di prestazioni così alte grazie all’impiego di numerosi elementi chimici diversi, ciascuno

dei quali con le proprie peculiari caratteristiche che, come tali, li ha resi per lo più insostituibili.

Ancora oggi il trattamento dei RAEE passa attraverso la triturazione e la successiva selezione meccanica dei materiali ivi contenuti, ma questo rende tecnicamente difficile ed economicamente insostenibile proprio il recupero di quegli elementi che sono già presenti in piccole percentuali e che durante tale processo si diluiscono ulteriormente. È in questo contesto che si inserisce il progetto Ariadne Data-driven Materiala Recovery System proposto da Futuredata. Ariadne, come il mitico filo che permise a Teseo di uscire con la giovane principessa di Creta dal labirinto dove era segregato Minotauro, permette di tracciare i diversi materiali presenti in ogni singolo AEE.

In tal modo, quando gli AEE registrati sulla piattaforma dovranno essere avviati al riciclo, l’impianto di trattamento dei RAEE potrà sapere dove, quali e quanti sono esattamente i materiali che lo costituiscono e procedere così agevolmente per dare loro una seconda vita.

Il sistema Ariadne si basa su una piattaforma web che raccoglie le informazioni messe a disposizione dai produttori, le elabora e le utilizza per gestire lo smontaggio e la selezione manuale in apposite linee che in tempo reale ricevono le indicazioni per guidare l’operatore nello svolgimento di tali attività.

Tutto ciò è possibile grazie alla digitalizzazione dei processi e all’ampio utilizzo di nuovi strumenti come l’intelligenza artificiale, il machine learning, la blockchain e il riconoscimento ottico dei componenti presenti sulle schede elettroniche. Ariadne è stata sviluppata sia grazie a risorse interne che in collaborazione, tra l’altro, con la società di consulenza informatica a-Sign e con Vega Research Lab, uno spinoff del Dipartimento d’Informatica dell’Università di Genova.

In sintesi, i vantaggi che il sistema offre si possono così brevemente riassumere: maggior numero di elementi critici recuperabili, più qualità e valore dei materiali selezionati, un’industria elettronica a minor impatto ambientale e quindi più sostenibile.

In questo modo si migliora anche la possibilità di utilizzare le risorse presenti nei rifiuti delle grandi metropoli tecnologicamente più avanzate, vere e proprie miniere urbane, e si gettano le basi per avere, nel giro di qualche anno, apparecchi elettronici realizzati con materiali riciclati.

Infine, ma non meno importante, una volta a regime, il sistema avrà la capacità di generare nuova ricchezza riducendo al minimo il consumo di materi prime, per loro stessa natura limitate.

Se si può dire che il rinnovamento dell’industria elettronica in chiave di sostenibilità è appena partito da Genova, è innegabile che il percorso per raggiungere gli obiettivi auspicati è ancora lungo e richiederà un coinvolgimento sempre maggiore da parte di chiunque avrà un ruolo nella produzione, utilizzazione e smaltimento di un AEE.

Perciò, una forte consapevolezza sarà richiesta anche ai consumatori che, con le loro scelte, potranno dare un sostanziale contributo per agevolare la transizione ecologica con l’obiettivo di lasciare alle generazioni future il mondo migliore e più sostenibile.●

Flessibili E SOSTENIBILI

Le nuove macchine utensili riconfigurabili di Profacere, spinoff delle Università di Genova e di Napoli, dal 2018 startup innovativa sotto la guida del presidente Alessandro Bruzzone.

Alessandro Bruzzone

Profacere, startup innovativa costituita nel 2018 da uno spinoff delle Università di Genova e di Napoli, sviluppa un nuovo sistema di macchine utensili riconfigurabili basate sulla modularità di tre elementi comuni a tutte le macchine utensili, ovvero il basamento, il dispositivo per sostenere il semilavorato in lavorazione, il dispositivo per effettuare la lavorazione. Collegando più basamenti tra loro è possibile configurare una linea di lavorazione sulla quale possono essere installati più elementi per sostenere i semilavorati e i dispositivi per effettuare le lavorazioni. «Le macchine utensili convenzionali presenti sul mercato - spiega Alessandro Bruzzone, presidente di Profaceresono progettate per realizzare specifiche lavorazioni: tornitura, fresatura, saldatura, stampa 3D ecc.; ciascuna di esse nasce con caratteristiche stabilite a priori, cioè volume di lavoro e tecnologia. Le nuove macchine utensili riconfigurabili, invece, grazie alla modularità e alla scalabilità, consentono di predisporre la linea di produzione in tempi rapidi sulla base delle lavorazioni richieste di volta in volta, senza dover ricorrere ad altre macchine». La modularità consente inoltre di ridurre il capitale impegnato nella capacità produttiva, poiché i basamenti sono comuni a più tecnologie, e di aumentare il coefficiente di utilizzazione della linea di produzione. «La soluzione modulare che oggi propone Profacere - prosegue Bruzzone - era ricercata fin dagli anni ’70 del secolo scorso. Negli anni ’80, poi, vengono sviluppati i primi Flexible Manufacturing Systems, sistemi di produzione flessibili costituiti da macchine a controllo numerico e carrelli AGV (Automated Guided Vehicles, ndr), proposti sul mercato a prezzi altissimi. L’idea della nostra macchina utensile riconfigurabile ha preso forma quando insegnavo all’Università: durante un corso, avevo assegnato ai ragazzi un tema sulla progettazione di macchine utensili flessibili; il tema non portò nessuna idea rivoluzionaria ma mi diede lo spunto per sviluppare, insieme con un mio tesista (Andrea Godani, vincitore del prestigioso premio Bernardo Nobile nel 2016), il sistema modulare e flessibile che caratterizza le macchine di Profacere. Il basamento è dotato di due cremagliere elicoidali, lungo le quali si spostano due “tavole”: una di esse sostiene il pezzo in lavorazione, l’altra i dispositivi che effettuano la lavorazione specifica; il basamento non cambia, a prescindere dalla tecnologia utilizzata (tornitura, fresatura, saldatura, stampa 3D ecc.) e le tavole possono essere scambiate all’interno della stessa azienda, assicurando la massima flessibilità quasi in tempo reale, ma anche all’interno di un distretto industriale o di una supply chain».

La riconfigurabilità delle macchine utensili di ProFace prefigura nuovi modelli di business nel settore manifatturiero, orientati alla “sharing manufacturing”, con intuibili benefici sotto molteplici aspetti: «Innanzi tutto sotto l’aspetto economico - precisa il prof. Bruzzone -, perché si riduce il capitale immobilizzato in macchinari; sotto l’aspetto ambientale, perché si accorcia la catena di fornitura, e della resilienza, in caso di eventi eccezionali. In generale, l’elemento strategico consiste nella possibilità di cambiare rapidamente il mix di produzione e di reagire, in modo sostenibile, alla variabilità del mercato».● (P.P.)

La produzione manifatturiera prima di Profacere dopo Profacere

Macchine utensili CNC (controllo numerico computerizzato, ndr) per specifiche tecnologie

Volume di lavoro prestabilito all’acquisto

Tecnologia di riferimento unica (asportazione truciolo, saldatura ecc.)

Organizzazione della produzione per reparti

Capitale investito in capacità produttiva elevato

Sistema modulare riconfigurabile per lavorazioni con tecnologie flessibili e scalabili

Volume di lavoro variabile modularmente

Tecnologie di riferimento variabili e modificabili in tempo reale

Organizzazione della produzione per linee flessibili

Capitale investito in capacità produttiva ridotto

Business 24/7

I processi di vendita B2B sono radicalmente cambiati e oggi poggiano sempre più sull’uso di piattaforme digitali. Webvisibility ha ottenuto la certificazione Alibaba.com Expert e supporta le aziende nelle attività di Digital Export in tutto il mondo.

di Fabrizio Masieri

Fino a una decina di anni fa i rappresentanti commerciali di un’azienda avevano il controllo totale del processo di vendita: il primo contatto con gli acquirenti avveniva con telefonate per fissare gli appuntamenti o direttamente presso fiere di settore. Oggi invece è il buyer a gestire attivamente il ciclo d’acquisto, è lui a scegliere quando e dove iniziare a cercare il prodotto/servizio di cui l’azienda ha bisogno e lo fa online. Il contatto con un venditore adesso è il passo finale, ancorché decisivo, del processo.

Sul web si trovano informazioni in abbondanza, i motori di ricerca rendono queste informazioni accessibili a tutti e i Social Media offrono approfondimenti e possibilità di contatti che prima erano disponibili solo in fiere o incontri diretti. Negli ultimi anni abbiamo assistito inoltre alla nascita di marketplace verticali dedicati a settori specifici (Beverage, Cosmesi ecc.) e trasversali per quanto riguarda la tipologia di utenza che li utilizza (B2C e B2B).

Alibaba.com è la piattaforma leader nel commercio digitale B2B che aiuta le PMI a diventare globali, una grande fiera online aperta 24/7 per rendere facile fare affari ovunque nel mondo in tutti i settori merceologici. Con oltre 200 paesi rappresentati, 40 milioni di buyers attivi nel mondo, 340.000 richieste sui prodotti ogni giorno, 19 lingue automaticamente disponibili, Alibaba.com rende possibile il commercio digitale B2B per i seller di tutto il mondo, mettendoli in contatto con nuovi clienti e fornendo gli strumenti necessari per fare business su scala globale.

Le aziende italiane stanno cogliendo l’opportunità digitale con Alibaba.com: nell’ultimo anno la piattaforma ha registrato un incremento del 193% di merchant iscritti, mentre le richieste inviate ad aziende italiane sono aumentate del 473%.

La piattaforma B2B di Alibaba.com offre un’ampia gamma di servizi e strumenti per generare contatti e richieste di offerte da parte di potenziali clienti ovunque nel mondo; Webvisibility ha completato l’iter formativo certificato per aiutare le aziende a gestire adeguatamente la propria presenza all’interno del marketplace, sia per quanto riguarda la presentazione aziendale e dei prodotti, sia per sfruttare al meglio le opportunità in termini di visibilità e di ingaggio dei potenziali clienti. L’attività completa così l’offerta dei servizi di Digital Marketing B2B di Webvisibility, già attiva nei canali Motori di Ricerca e Social Media Marketing su Linkedin.●

Webvisibility nasce nel 2006 come integrazione di competenze di professionisti del marketing e della rete per fornire alle aziende la possibilità di mettersi in contatto diretto con i propri target di riferimento, utilizzando al meglio le capacità del web come strumento di marketing. Specializzata in promozione sul web di prodotti, servizi, marchi e destination, in oltre 15 anni di attività Webvisibility gestisce campagne online di PMI, di player internazionali e di enti istituzionali.n

L’e-commerce è un fenomeno in rapida e continua crescita sia nei paesi avanzati che in quelli emergenti, grazie al progresso digitale e alla diffusione delle tecnologie dell’informazione. In estrema sintesi, negli ultimi 20 anni l’e-commerce si è evoluto da una semplice idea innovativa a un intero comparto che contribuisce in misura significativa all’economia mondiale. (...) Nel 2020 è avvenuto un importante cambiamento: tra smart working, didattica a distanza, acquisti online, fruizione di video e contenuti in streaming, è definitivamente cambiato il ruolo del digitale nelle vite dei consumatori, anche italiani. In questo contesto l’e-commerce ha svolto un ruolo fondamentale e ha avuto un impatto di indubbia rilevanza sociale, con ricadute positive sullo sviluppo futuro del nostro Paese. Anche per questo motivo l’uso del canale digitale può avere un ruolo fondamentale per la crescita delle imprese italiane e della quota di mercato dell’Italia nello scenario internazionale. (...) Similmente al commercio su scala globale, anche in Italia il commercio tra imprese (B2B), sia online che offline, è molto più rilevante degli scambi generati tra imprese e privati (B2C). Le filiere che maggiormente contribuiscono alla generazione del transato B2B sono: il Largo consumo, il Metalmeccanico, l’Automobilistico, le Utility, il Farmaceutico, gli Elettrodomestici, l’Elettronica di consumo e il Tessile-abbigliamento. L’e-commerce B2B generato sul territorio italiano attraverso lo scambio dell’ordine tramite strumenti digitali valeva circa 410 miliardi di euro a fine 2019, con un’incidenza sul transato interno B2B del 19%. Questo valore è in crescita del 14% rispetto all’anno precedente e più che raddoppiato rispetto al 2012, quando l’e-commerce B2B ammontava a circa 200 miliardi. Il 54% dell’ecommerce B2B italiano nel 2019 (circa 228 miliardi di euro) è prodotto da 6 filiere: Automobilistico, che si conferma il settore più digitalizzato in Italia (24%), Largo consumo (19%), Farmaceutico (5%), Tessile e abbigliamento (3%), Elettrodomestici ed Elettronica di consumo (2%) e Materiale elettrico (1%).n

Fonte: Rapporto E-Commerce di ITA - Italian Trade Agency, 2021

Fabrizio Masieri è Partner & Digital Marketing Consultant in Webvisibility Genova Impresa - Maggio / Giugno

Amici

PER LA PELLE

I prodotti di Hug Research Labs sono dermocosmetici innovativi frutto dello studio di un team con background e competenze nei settori medico, farmaceutico, chimico e galenico.

Selena Bozzolasco

Selena Bozzolasco è medico estetico e dirige un poliambulatorio dove esercita la professione; all’attività medica affianca quella di imprenditrice, in quanto socio fondatore e amministratore delegato di Hug Research Labs, azienda di ricerca e sviluppo di prodotti in ambito cosmoceutico, con sede al Great Campus degli Erzelli. «L’idea d’impresa - racconta la d.ssa Bozzolasco - nasce da una profonda amicizia, quella con la d.ssa Daniela Paolucci, esperta in galenica, e dalla passione comune per lo studio di formulazioni specifiche per combattere le problematiche dell’invecchiamento cutaneo e le pseudo-patologie cutanee, individuando soluzioni ad hoc per i pazienti». Tra queste, CTO Complex, un complesso brevettato da Hug Research Labs che esplica la sua azione grazie ai componenti cannabidiolo, terpene e olio ozonizzato.

Quali sono, più in dettaglio, le loro caratteristiche? «Il cannabidiolo - spiega l’AD della società - è una parte non psicotropa della canapa sativa, che ha un’azione importante a livello antiossidante, antinfiammatoria e soprattutto miorilassante; il terpene aiuta a ricreare il fitocomplesso presente nella pianta, quindi il cannabidiolo stesso; l’olio ozonizzato è il prodotto in cui il cannabidiolo viene solubizzato. Quando si parla di prodotti topici, cioè applicati sulla cute, l’importante è la tecnologia con la quale il principio attivo viene lavorato: noi abbiamo scelto di utilizzare l’olio di Neem, che ha proprietà antinfiammatorie, antibatteriche e riparatorie del danno cellulare, e stimola la produzione di nuovo collagene; l’ozono consente al cannabidiolo di penetrare e arrivare al target».

Per verificarne l’efficacia, è stato condotto uno studio doppio “cieco” sul CTO Complex, al quale ha partecipato la stessa d.ssa Bozzolasco: «Su 30 pazienti è stato applicato un placebo su metà del viso e il CTO Complex sull’altra metà. Ovviamente - precisa - né l’operatore né il paziente sapevano quale fosse la parte trattata con il nostro complesso. Dopo sette, dieci e trenta giorni di applicazione, abbiamo osservato un importante aumento della levigatezza e della compattezza cutanea e una riduzione significativa della micro-rugosità cutanea. Ora siamo concentrati sul lancio del complesso come antiage, ma abbiamo pronte formulazioni per contrastare l’acne, la rosacea, la psoriasi, alcuni disturbi ginecologici... E intanto è salita a bordo una nuova socia, Stefania Acquaro, farmacista ed esperta in nutrizione». Con lo scoppio della pandemia, Hug Research Labs ha dovuto rinunciare all’attività di promozione del CTO Complex, che avrebbe dovuto svolgersi principalmente presso le farmacie, e ha aperto un canale di vendita online sul proprio sito. «Il nostro prodotto va “raccontato” - afferma Selena Bozzolasco -. Ora che le farmacie sono tornate a essere luoghi di erogazione di servizi, abbiamo ridefinito il contratto di distribuzione e stiamo organizzando anche una rete medica. La strada è ancora lunga, ma i feedback sono molto positivi. E con un brevetto registrato, oltre che in Italia, in Europa e in Nord America, potremmo cominciare a pensare anche ai mercati internazionali».● (P.P.)

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Conciliare vita privata e lavorativa può essere difficile, soprattutto dopo la nascita di un figlio.

La Luna del Grano

(AND BETTER)

to work

La partecipazione delle donne

lavoro, in Italia, è ancora troppo bassa, nonostante le donne siano più istruite degli uomini (il 59% dei laureati italiani è donna e il voto di laurea femminile è di 2 punti superiore a quello maschile).

Viene naturale chiedersi dove tutto questo patrimonio intellettuale vada a finire e come mai il titolo di studio non diventi funzionale per trovare un lavoro. L’Italia, inoltre, è uno dei Paesi con il più ampio divario occupazionale uomodonna, e il gap aumenta se si confrontano i soli uomini con donne con figli. Uno dei fattori maggiormente discriminanti e impattante, infatti, è proprio il “diventare madre”: nel nostro Paese la responsabilità di cura della casa e la gestione/assistenza dei figli non è bilanciata e ricade ancora quasi esclusivamente sulle donne, che sono il principale caregiver. Basti solo pensare che il 38% delle donne modifica la propria situazione lavorativa per esigenze familiari (ad esempio per accudire un genitore che sta male o anziano), contro il 12% degli uomini. Il 33% delle donne, poi, decide di abbandonare il mondo del lavoro dopo il primo figlio, e la percentuale cresce con l’aumento del numero di figli. Alla base c’è una difficoltà oggettiva a conciliare vita privata e vita lavorativa, soprattutto quando la vita privata coincide quasi totalmente con la cura della famiglia; questo stato di cose continua a penalizzare significativamente le donne ed è anche la ragione per cui molte decidono di abbandonare il lavoro, lavorare part time, accontentarsi di ruoli marginali e di stipendi inferiori a quelli di un uomo, come si rileva dai

del lavoro non può esserci una reale crescita del Paese, e nemmeno un diffuso benessere: molti economisti concordano sul fatto che, se il 60% delle donne in età lavorativa fosse occupato, si otterrebbe un incremento del PIL di 7 punti percentuali.

La Luna del Grano, società benefit di cui siamo cofondatrici, si inserisce proprio in questo “vuoto”, che è sia istituzionale (anche se in questo senso si stanno facendo sforzi senza precedenti con la Missione 5 del PNRR e la Certificazione della Parità di Genere nelle aziende) sia culturale.

Le donne, infatti, dal punto di vista lavorativo subiscono ancora una serie di antichi retaggi. Ad esempio, l’essere in età fertile pesa ancora nella scelta di una candidata donna, dove la maternità viene considerata spesso un costo e una fragilità. Così come è difficile demolire l’immagine della neomamma che rientra a lavoro e non più affidabile e disponibile! Eppure le donne hanno una serie di competenze trasversali, le cosiddette “soft skills” o “power skills”, che durante la maternità si affinano: competenze che forse non compaiono nei CV, ma che se riconosciute e adeguatamente utilizzate in ambito lavorativo si rivelano molto preziose per le aziende. Empatia, fiducia, leadership gentile, capacità di prendere velocemente decisioni e di adeguarsi ai cambiamenti, gestire al meglio le risorse e le finanze ne sono solo alcuni esempi.

La Luna del Grano promuove un cambiamento, una inver-

sione di rotta, accompagnando le donne nel rientro al lavoro dopo la maternità, sostenendole psicologicamente, supportando la loro carriera, “scongiurando” le dimissioni volontarie e aiutando le aziende a gestire questo ritorno in modo sereno.

Attraverso la diffusione di buone prassi e lo smantellamento di alcuni stereotipi si può creare un luogo di lavoro più inclusivo e accogliente, generando sia benessere per la vita lavorativa e privata delle persone e sia valore per l’azienda stessa. Questa è la mission de La Luna del Grano. La strada da fare sicuramente è ancora tanta, ma intraprendere questo percorso è un’urgenza che non può più aspettare. Dal 2008 le nascite in Italia sono diminuite di 176.410 unità (-30,6%), quasi 166mila in meno rispetto al 2008. Si tratta di un fenomeno di rilievo che sta preoccupando e facendo riflettere. Le aziende possono e devono giocare un ruolo molto importante nella sfida della ripresa demografica e dell’empowerment femminile. La chiave del problema sta infatti nella libertà delle donne, che devono essere messe in condizione di poter diventare madri (se lo desiderano) perché “ben accolte” nel loro ambiente di lavoro, senza sentirsi costrette a scegliere tra i figli e la realizzazione professionale. Le imprese devono in primis comprendere che senza figli non c’è futuro e senza una prospettiva di futuro non ci sono neanche sviluppo economico e capacità di innovazione. È necessario quindi supportare la maternità e la paternità in azienda con azioni specifiche e strumenti efficaci di conciliazione vita-lavoro, e non è più sufficiente ridurre queste

azioni a misure “semplicemente” economiche come i servizi defiscalizzati del welfare aziendale.

Un esempio è la recente norma inserita nel Decreto Lavoro del Primo Maggio che prevede l’innalzamento della soglia dei fringe benefit a 1000 euro per lavoratori dipendenti con figli. La norma ha destato rabbia e preoccupazione, non solo perché rischia di essere discriminatoria, ma anche perché sembra ridurre a mero aspetto economico la questione della difficoltà di essere genitori lavoratori oggi in Italia, tema che invece è molto più articolato e va affrontato con uno sforzo comune di tutti gli attori in campo.

Nella direzione giusta vanno piuttosto le recenti misure per promuovere la parità di genere in azienda: la Certificazione di Parità di Genere Uni Pdr 125:2022 e il Codice di Autodisciplina di Imprese Responsabili in favore della maternità lanciato dal ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità Eugenia Roccella.

La prima aiuta a combattere qualunque forma discriminatoria di genere che impedisca una sana inclusione delle donne nei luoghi di lavoro, superando gli stereotipi, creando luoghi di lavoro “sicuri” e inclusivi, contrastando il Gender Pay Gap e favorendo l’occupazione a tutti i livelli, inclusi i ruoli apicali (superando il cosiddetto Glass Ceiling).

La seconda è il più recente strumento di promozione di buone pratiche che un’azienda può adottare per promuovere una cultura favorevole alla maternità, con parental policy specifiche e formazione a tutti i livelli. In questo panorama, La Luna del Grano offre alle aziende servizi specifici per l’ottenimento della Certificazione di Parità di Genere Uni Pdr125:2022 e supportando responsabili delle Risorse Umane e manager con un approccio estremamente consulenziale, multi-disciplinare e taylor made per co-progettare e redigere piani strategici e nuove parental policy.

Tra i servizi più innovativi che propone La Luna del Grano citiamo la piattaforma digitale e multiservizio, che comprende: a) il percorso “Back to work” specifico per il supporto nel rientro a lavoro delle neo-mamme (in 5 step), che coinvolge tutti gli stakeholder dal punto di vista psicologico, di coaching, di welfare familiare e di politiche attive del lavoro; b) l’Academy “Better@work”, con una formazione modulare specifica per l’intera popolazione aziendale e per gli HR su tematiche di cultura aziendale; c) recruitment specifico per le sostituzioni maternità; d) gestione semplificata dei passaggi di consegna attraverso l’utilizzo di specifici modelli e software per mappare le procedure, le responsabilità e le azioni, ottimizzando i processi e snellendo il carico di lavoro.

L’obiettivo de La Luna del Grano è quello di agevolare il cambiamento organizzativo e di mindset che è ormai necessario nei luoghi di lavoro e che porta vantaggi sia per l’azienda stessa (sono ormai ben noti i benefici di una cultura aziendale flessibile: maggior produttività, engagement, retention, diminuzione del turnover), sia per l’intera collettività. Lo facciamo con assoluta concretezza e praticità, partendo dal contesto specifico, incrociando bisogni e offerta e portando soluzioni.

Sonia Zappitelli è CEO e founder de La Luna del Grano
Debora Manuta è cofounder de La Luna del Grano

IN COLLABORAZIONE CON

CON IL SOSTEGNO DI

SI RINGRAZIA

PARTNER ISTITUZIONALE

I CLUB TEMATICI SONO ORGANIZZATI CON IL CONTRIBUTO DI

Al passo coi tempi

Dall’Intelligenza Artificiale alla sostenibilità ambientale, passando per gli elementi di rottura che caratterizzano la “gen z”, Violette Bühler ci offre una panoramica delle sfide che le business school stanno affrontando per formare oggi i manager di domani. Violette Bühler

La rubrica “Da Genova a...” dedica spazio alla visione di giovani che, dopo la formazione a Genova, hanno trovato in altre città italiane ed estere importanti spazi di crescita personale e professionale.

Bilingue fin da quando eri bambina, hai dedicato il tuo percorso di studi alle lingue e alle culture straniere e ora parli fluentemente tedesco, francese e inglese, oltre all’italiano. Ci racconti le tappe più importanti della tua formazione?

L’inclinazione per le lingue straniere e l’apertura verso le altre culture sono tratti che, a livello informale, ho sviluppato sin da bambina, respirandoli in casa, dato che i miei genitori sono rispettivamente di origine tedesca e italiana e in più, ogni anno, in passato trascorrevamo almeno un mese in Svezia, dove tuttora vive parte della famiglia. A livello formale, invece, il mio percorso di formazione interculturale ha preso il via frequentando per tredici anni la scuola germanica ed è proseguito poi con il corso di laurea triennale in Teorie e tecniche della mediazione interlinguistica dell’Università di Genova. Oltre agli insegnamenti di professori davvero molto validi (alcuni hanno lavorato anche come interpreti in Commissione europea), ho trovato particolarmente efficaci due caratteristiche di questo corso di laurea: l’obbligo di frequentare un’alta percentuale di lezio-

ni e di svolgere almeno un semestre di studi in un’università straniera nell’ambito del programma Erasmus. Per fare quest’esperienza all’estero io ho scelto Lille, in Francia, ed è stato sicuramente l’evento che, più di altri, ha dato una direzione ben precisa al mio futuro. Dopo la laurea triennale a Genova, infatti, sono tornata a Lille per frequentare un master dedicato alle “lingue per l’impresa”, molto improntato anche al project management, che ha aggiunto un importante tassello alla mia formazione.

Dove ti ha portato, a livello lavorativo, questa stretta connessione tra project management e conoscenza delle lingue?

Dopo aver concluso gli studi a Lille sono rimasta in Francia e ho iniziato a lavorare, insieme a un professore del master, per un’associazione che si occupa di “serious games” (giochi cognitivi che hanno fini formativi ed educativi) applicati al mondo dei NEET, per aiutarli a riconoscere e valorizzare le loro competenze trasversali. Ho lavorato soprattutto all’adattamento di serious games per supportare i minori detenuti in istituti penitenziari nella preparazione del loro curriculum vitae e di lettere motivazionali, affinché abbiano gli strumenti per inserirsi al meglio nel mondo del lavoro. A seguito di questa prima esperienza, dal 2017 ho iniziato il mio percorso professionale in IÉSEG School of Manage-

ment, una delle business school più conosciute in Francia, classificata sesta nel Paese e 26esima al mondo per il master in management, secondo il Financial Times. All’interno di IÉSEG, sono oggi vice capo di un team dedicato alla gestione e al coordinamento del corpo docenti, a partire dalla fase di recruitment - con campagne ad hoc per attirare i migliori professori e ricercatori, anche dall’estero - fino all’organizzazione di eventi durante il corso dell’anno accademico, per favorire il team building e la coesione tra dipartimenti.

Quali riflessioni e cambiamenti sta affrontando, secondo te, il mondo delle business school?

Il primo grande tema è che oggi, nelle business school e non solo, ci confrontiamo con la cosiddetta “gen z”, cioè la generazione di studenti nati indicativamente tra il 1996 e il 2010. Ci sono molti elementi di rottura con tutte le generazioni che li hanno preceduti e persino con la mia, la “y”, anche se è quella immediatamente precedente. La “gen z” non segue gli schemi che per decenni abbiamo fatto nostri e dato quasi per scontato: alla stabilità preferiscono il dinamismo, puntando su una crescita personale e professionale in continuo movimento. A livello lavorativo sono attirati dal cambiare spesso “sfida”, a patto che si sentano sempre stimolati e possano vedere l’impatto concreto del proprio impegno sulla missione che, di volta in volta, li coinvol-

ge. Ciò che è “statico” è facilmente assimilabile al “noioso”, non a caso tra i “post-Millennials” è sempre più diffuso un canale di video sharing come Tik Tok, in cui si passa in un attimo da un contenuto a un altro. Come business school, istituzione che sta formando oggi i manager e gli imprenditori di domani, riflettiamo anzitutto sul rapporto che una generazione come la “z”, che punta alla velocità e al dinamismo, possa avere con un percorso di studi da 5 anni, come il nostro. Inoltre, lavoriamo per monitorare e aggiornare costantemente gli insegnamenti perché siano coerenti con i bisogni formativi, sia dal punto di vista del metodo di insegnamento e sia a livello di contenuti. Gli stessi professori sono ingaggiati in percorsi di aggiornamento continuo e nella condivisione di best practice. A questo scopo la scuola organizza i “Café pédagogique”, momenti informali in cui i docenti si confrontano in modo piuttosto libero su diverse tematiche inerenti all’insegnamento, condividendo prospettive, analisi e sperimentazioni.

Il 2023 è l’Anno europeo delle competenze per la transizione verde e digitale: che impatti hanno questi due macro-temi sulle vostre attività?

Gli insegnamenti legati al “green” sono centrali nella nostra proposta formativa (da anni abbiamo introdotto corsi come “Green Supply Chain” e “Green Finance”, per fare un esempio), perché figure competenti in questi settori sono sempre più importanti nei business model di oggi, e ancor più lo saranno in quelli di domani. Lo stesso vale per il digitale, tematica che viene affrontata in molti dei nostri insegnamenti. La scuola è alle prese con il digitale anche dal punto di vista dei Generative AI Tools e dall’uso che, tanto professori e ricercatori quanto gli studenti, possono farne. Un esempio recente e particolarmente dibattuto è quello di chatGPT: la filosofia di IÉSEG, in questo caso, non è di vietarne l’uso (si tratta di uno strumento che ormai esiste e non si può ignorare), ma di applicarla in modo costruttivo: per esempio, se agli studenti non possiamo più chiedere di scrivere un essay senza che essi ricorrano a chatGPT, allora possiamo chiedere loro di commentare il testo generato dall’AI indicando eventualmente se, come e perché avrebbero scritto qualcosa di diverso. In questo modo riusciamo a rafforzare e valorizzare le capacità analitiche (e per ora insostituibili!) della singola persona. Il focus sulla singolarità e sulla responsabilità della persona torna anche in tema di CSR: IÉSEG vanta numerose partnership internazionali e favorisce la mobilità degli studenti (per i quali conoscere e confrontarsi con altre realtà all’estero è un grande valore aggiunto), impattando però inevitabilmente sulla carbon footprint. In aggiunta alle attività di sensibilizzazione, suggeriamo ai nostri studenti in mobilità soluzioni per viaggiare a basso impatto, oltre a possibili azioni “compensative” nelle città in cui temporaneamente si trasferiscono (ad esempio attivando collaborazioni con associazioni in loco che operano per l’ambiente e il sociale). Non solo gli studenti, ma anche tutti i dipendenti di IÉSEG sono coinvolti in un “Sustainability Training”, per prendere davvero coscienza dell’impatto che le proprie azioni hanno sull’ambiente. Al di là delle leggi e delle emanazioni “dall’alto”, bisogna sempre arrivare a coinvolgere anche le singole persone, perché sono le singole persone ad agire nel mondo.●

SOS acqua

La siccità non è più una “semplice” emergenza, va affrontata con investimenti tecnologici e sostenibili. Ce ne parla Paola Bertossi, CEO Fisia Italimpianti.

Dal settembre dello scorso anno la genovese Paola Bertossi è CEO di Fisia Italimpianti - Gruppo Webuild, leader mondiale nella progettazione sostenibile e nella realizzazione di impianti per il trattamento delle acque e per la dissalazione.

«Mi sono laureata in ingegneria chimica all’Università di Genova - racconta Paola Bertossi - e qui, nel 1989, ho cominciato a lavorare in Italimpianti, allora fiore all’occhiello dell’industria impiantistica, in particolare in ambito siderurgico e ambientale». A metà degli anni novanta, Italimpianti fu privatizzata: con la fusione tra il ramo di impiantistica ambientale e Fisia (gruppo FIAT) venne costituita Fisia Italimpianti, poi passata al Gru ppo Salini Impregilo, oggi Webuild, mentre il ramo di impiantistica siderurgica venne ceduto alla tedesca Mannesmann-Demag e quindi al gruppo Paul Wurth. «Per 29 anni ho lavorato nel ramo siderurgico primario Paul Wurth, vivendone tutti i cambiamenti e ricoprendo nel tempo diversi incarichi in diverse parti del

mondo, arrivando nel 2012 a conquistare il ruolo di Vice President Project Management. Nel 2018 si è presentata l’occasione di un’esperienza nel settore del Food & Beverage e ho accettato l’offerta di Sidel (Gruppo Tetra Laval) come Vice President Engineering e Project Management Europe & Central Asia, con sede principale a Parma. Un’esperienza molto interessante e utilissima - sottolinea l’ing. Bertossi - in un’azienda e in un mercato con logiche completamente diverse da quelle a cui ero abituata». Ma “il primo amore non si scorda mai” e così, quando qualche anno più tardi riceve la proposta di tornare all’impiantistica come amministratore delegato di Fisia Italimpianti, Bertossi non si lascia sfuggire l’occasione. «L’opportunità che mi è stata offerta era di quelle che non si potevano rifiutareammette, sorridendo-: il progetto di rilancio di Fisia all’interno di un grande gruppo come Webuild era talmente affascinante che a settembre 2022 ho assunto l’incarico». Fisia sviluppa soluzioni tecnologiche e sostenibili per il trat-

COMPETIZIONE & SVILUPPO

di Piera Ponta
Paola Bertossi

tamento delle acque reflue (municipali e di scarichi industriali) e per la dissalazione, ma anche per la valorizzazione energetica dei rifiuti (“waste to energy”). Un mercato in forte crescita. «Lo scenario mondiale 2023-2024 - osserva Bertossi - presenta 11 miliardi di investimenti Capex solo per impianti di dissalazione e altri 220 miliardi, sempre di investimenti Capex, per il trattamento delle acque nel solo mondo delle utilities. In questo contesto si inserisce il piano di sviluppo di Fisia, che oggi vanta un portafoglio di soluzioni tecnologiche di tutto rispetto. Il Middle East è ancora un nostro importante mercato di riferimento per gli impianti di dissalazione, ma ci stiamo rivolgendo anche ad altri mercati, con priorità a quelli dove Webuild già opera, Italia compresa. Tra i progetti più recenti, c’è un impianto di dissalazione in Nord Africa e uno per la costruzione e la gestione dell’impianto di trattamento acque del complesso petrolifero onshore Zuluf in Arabia Saudita. Questo progetto (che ha come cliente finale il gigante petrolifero Aramco) segna l’ingresso di Fisia nel settore Oil & Gas: l’impianto contribuirà all’incremento della produzione di petrolio greggio del giacimento di ZULUF e, per la sua realizzazione, si prevede saranno creati circa 1.500 posti di lavori, tra diretti e terzi». La scarsità di risorse idriche non riguarda più solo certe aree del mondo. Il cambiamento climatico e la siccità che ne consegue richiedono un impegno ancora maggiore nella difesa di un bene prezioso quale è l’acqua. «La scorsa estate l’agricoltura in Italia ha subito danni per 6 miliardi: un dato che conferma l’urgenza di nuovi investimenti per far fronte al problema della siccità. Investimenti che prevedano la realizzazione di dissalatori ma anche di impianti per il riuso delle acque depurate che oggi - precisa l’ing. Bertossi - vengono recuperate solo in percentuale minima, mentre sarebbero sostanzialmente pronte per essere impiegate in ambito agricolo. Per quanto riguarda i dissalatori, poi, noto con piacere che le posizioni contrarie “a prescindere” si stanno un po’ ammorbidendo, anche perché in alcune situazioni rappresentano la soluzione più vantaggiosa al problema della scarsa disponibilità di acqua. In Fisia stiamo lavorando per supe-

rare le criticità legate al consumo energetico, prevedendo l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili, e allo scarico della salamoia in mare, aumentando la diluizione per evitare la concentrazione di salinità e recuperando il sale; guardiamo con interesse all’idea del sindaco di Genova Marco Bucci: un mix di dissalazione e di recupero delle acque reflue da trasferire verso la pianura padana per contrastare l’emergenza idrica in quella zona». La proposta del sindaco Bucci è stata citata anche nel corso della prima riunione della Cabina di regia contro l’emergenza siccità, istituita il 14 aprile scorso dal Decreto Legge “Siccità” (in corso di conversione in legge), e presieduta dal vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. Il compito di accelerare la realizzazione dei progetti indicati dalla Cabina di regia per affrontare la crisi idrica è stato affidato al commissario straordinario Nicola Dell’Acqua. «L’impegno della Cabina di regia - osserva l’AD di Fisia Italimpianti - è focalizzato sull’attuazione di misure specifiche che vanno dalla lotta alle dispersioni idriche all’aumento degli invasi, al riutilizzo delle acque. In aggiunta, il DL introduce importanti semplificazioni nell’iter autorizzativo per la realizzazione degli impianti di desalinizzazione. Va preso atto che la siccità non è più un evento di carattere straordinario e che si deve mettere in campo ogni iniziativa utile a mitigarne gli effetti». Tuttavia, la “diffidenza” italiana nei confronti dei dissalatori è confermata dai numeri: nel nostro paese solo il 4% dell’acqua è prodotta tramite processo di dissalazione, contro - a titolo di esempio - il 56% della Spagna. Come dice il sindaco Bucci, possiamo forse fare a meno dell’“oro nero”, ma non ci può essere vita senza l’“oro blu”. «I soli interventi di manutenzione alla rete idrica - conclude Paola Bertossial fine di ridurre le perdite di acqua sono interventi a lungo termine, in taluni casi non sono neanche fattibili, a meno di non voler paralizzare il paese con migliaia di cantieri; sul breve-medio termine bene puntare sulla digitalizzazione per individuare i guasti e operare in modo puntuale, utilizzare le acque depurate e, dove ci sono le condizioni, costruire impianti di dissalazione».●

Import export

Orientamento e supporto all’internazionalizzazione delle imprese.

di Guido Ruggeri

Esperienza, ampliamento delle competenze e conoscenza diffusa sono ingredienti necessari per realizzare percorsi di successo nel commercio estero.

Nel processo di messa a terra di idee e progetti sono numerosi gli interlocutori che l’impresa deve cercare, valutare e selezionare, sia che si trovi nella veste dell’esportatore sia dell’importatore: è complesso valutare un servizio o un prodotto in termini di costo opportunità quando non si dispone delle informazioni adeguate. Avere un’idea chiara di tutti gli strumenti disponibili, a volte anche gratuiti e di buona qualità, per trovare le soluzioni più efficaci nelle attività di Import-Export aiuta a raggiungere i propri obiettivi con soluzioni semplici, mitigando i rischi.

Hai bisogno di individuare un nuovo mercato? Cerchi potenziali clienti e necessiti di una risorsa che possa gestire tutto il processo commerciale? Desideri rafforzare il tuo percorso di internazionalizzazione?

Per rispondere a queste domande e passare dall’idea al progetto in pochi passaggi, all’interno del Global Transaction Banking di Bper Banca abbiamo creato una rete di Partnership nazionali e internazionali di elevato standing, ognuna selezionata per il proprio campo di eccellenza, per supportare le piccole e medie imprese italiane nell’accelerare il successo del commercio con l’estero. I partner, ingaggiati attraverso accordi di segnalazione dedicati, coprono diverse aree operative, ad esempio: business advisory per trovare nuovi clienti e fornitori ed aprire nuovi mercati; approfondimenti export control: sanzioni, dual use e dogane; digital export per un approccio efficace su Alibaba e LinkedIn; assicurazione e recupero del credito estero; approfondimenti su misure e strumenti di finanza agevolata; incontri per formazione dedicata.

Il nostro obiettivo è sensibilizzare le iniziative e agevolare la formazione di risorse nelle attività di Import-Export, favorendo decisioni più efficienti per essere competitivi a livello globale e creare valore per tutti coloro che desiderano affrontare i cambiamenti del mercato, gestendo ogni situazione con maggiore consapevolezza e padronanza.

Il dialogo con l’impresa è assicurato dal team degli Specialisti Estero, che oggi copre tutto il territorio nazionale sia per ascoltare le necessità e mettere in contatto le aziende con gli interlocutori più indicati, facendo risparmiare tempo e costi di ricerca, sia per promuovere la ricerca, la proposizione e la strutturazione delle operazioni estero merci e di business advisory internazionale. In Liguria in particolare, a fianco della rete di 141 filiali, BPER Banca è attrezzata con due Centri Imprese con oltre 40 addetti che operano in stretto raccordo con gli Specialisti Estero. Il dialogo col mondo dell’impresa è quindi costante grazie alla capillarità della presenza sul territorio che garantisce rapidità ed efficacia nelle risposte alle domande di accompagnamento sui mercati esteri che emergono dal tessuto imprenditoriale. A ciò si aggiunge un’intensa collaborazione con le associazioni di categoria con cui lavoriamo all’organizzazione di incontri informativi e focus che evidenziano le potenzialità di nuovi mercati.

Siamo così riusciti, grazie a questi accurati processi di segnalazione e di formazione, a costruire, insieme ai nostri Partner, molti progetti di internazionalizzazione per le aziende, in linea con le singole esigenze e richieste.

Per maggiori approfondimenti e orientamento è a disposizione il Team BPER Estero: bperestero@bper.it●

Guido Ruggeri è Responsabile BPER Estero & Partnership per l’internazionalizzazione

Onda SU ONDA

e un bilancio 2022 che ha sfiorato i 300 milioni di euro sono tra i risultati più apprezzabili di De Wave, il gruppo guidato da Riccardo Pompili.

De Wave nasce nel 2014 come spinoff della savonese Demont (leader a livello nazionale e internazionale nella costruzione di impianti complessi) per sviluppare l’offerta “chiavi in mano” di impianti di condizionamento e ventilazione per navi da crociera e la fornitura di locali igienici prefabbricati e arredamenti di aree pubbliche. Il business cresce negli anni con l’acquisizione delle società Precetti (specializzata nella progettazione e realizzazione di aree catering e di cabine) e Spencer Contract (operativa nel settore degli allestimenti e arredi navali) e si rafforza ulteriormente con l’arrivo, nel 2021, del fondo californiano Platinum Equity, che riunisce in De Wave i tre brand e nomina Riccardo Pompili, allora AD di Spencer Contract, CEO del Gruppo. Con Pompili, il Gruppo amplia ancora la propria offerta acquisendo, nel corso del 2022, Mobil-Line, azienda toscana attiva nella manifattura di arredamenti navali in legno, e Wingeco, con sede a Genova, che progetta e installa elementi di chiusura e tamponamento in vetro e alluminio per il settore navale e per il settore edile, e infine Tecnavi dal gruppo GIN - Genova Industrie Navali.

«Abbiamo rimodulato il nostro core business, recuperando attività come l’impiantistica e gli arredi, arricchendolo di competenze e investendo in tecnologia, per essere più efficienti e flessibili - spiega Riccardo Pompili -. Ci stiamo proponendo su mercati esteri e in settori di nicchia ai quali

l’azienda non si era mai rivolta. Negli Stati Uniti, per esempio, abbiamo ottenuto un’importante commessa in Louisiana, per l’allestimento di imbarcazioni fluviali, e un’altra in Pennsylvania, per la fornitura di cabine destinate a navi da addestramento per i Cadetti della Marina Militare di Filadelfia».

Una strategia di diversificazione che De Wave sta perseguendo anche nel settore crocieristico, al quale è più storicamente legata: «Gli armatori sono sempre più orientati a formule “chiavi in mano”, attraverso partnership di lunga durata e accordi quadro - osserva il CEO di De Wave -. Le commesse dai cantieri tedeschi e francesi sono in aumento, perché non trovano interlocutori adeguatamente strutturati tra le loro imprese locali. Inoltre, sta crescendo il numero degli armatori che investono nel settore del leisure in mare, ammodernando navi di 10-15 anni, con una linea ancora accettabile, che non sono più redditizie per chi fa mass market ma che possono essere reimpiegate sul mercato delle crociere di nicchia. È finito il tempo dei giganti del mare, la pandemia da Covid ha solo accelerato un processo che era già in atto. Quello dell’“Eugenio Costa”, la grande nave passeggeri per viaggiatori d’élite, è un mercato ormai maturo, che si sta segmentando in nuovi potenziali mercati di interesse. Penso, appunto, al segmento delle navi da crociera piccole e di lusso, che è previsto in grande espansione

Riccardo Pompili

nei prossimi cinque-sei anni, con il coinvolgimento di un indotto di alta qualità. Aziende come la nostra possono agire da general contractor, come “integratori” delle imprese in filiera, ricoprendo un ruolo chiave anche sotto l’aspetto della sostenibilità in senso stretto e, più in generale, della diffusione di una cultura della sostenibilità. Come De Wave, per esempio, ci occupiamo di verificare la fruibilità dei materiali impiegati, di controllarne la tracciabilità, di contenere i consumi energetici anche attraverso l’introduzione di soluzioni tecnologiche innovative». Riguardo alla sostenibilità, Riccardo Pompili ha idee molto chiare: «Il pricing delle banche dipenderà sempre di più dall’adozione di criteri ESG, ma l’attenzione all’ambiente, al ruolo sociale dell’azienda, all’organizzazione deve essere reale». Per Pompili, è anche una questione di “retention”: «Il rispetto e la cura di questi valori oggi fanno la differenza nell’attrazione di talenti, non basta parlarne, bisogna tradurli in azioni concrete. Nella nuova sede di De Wave sono stati ricavati una palestra e un bar, che propone menù “healthy”, e presto sarà pronto anche un campo sportivo polifunzionale. L’obiettivo è creare un ambiente aziendale positivo, dove le persone stanno bene. La maggior parte dei circa 900 dipendenti di De Wave hanno un profilo tecnico: professionalità difficili da trovare. Per questo abbiamo in programma numerose iniziative nel campo della formazione e dell’employer branding, anche grazie al coinvolgimento di una trentina di colleghi che si faranno “ambasciatori” dei valori e dei progetti di sviluppo dell’azienda».● (P.P.)

Bio3DmatriX fornisce prodotti pronti all’uso, specifici per colture neuronali 2D e 3D, adatti a ottenere modelli standardizzati del cervello umano. Una svolta importante a supporto dello studio delle malattie neurodegenerative.

Scienziate imprenditrici

Bio3DmatriX è una startup innovativa del settore life science, che nasce nel 2020 nei laboratori di Biomateriali e Neuroingegneria come spinoff dell’Università di Genova. Il team, declinato interamente al femminile, è composto dalla prof.ssa Laura Pastorino, in qualità di Direttore Scientifico, e dalle bioingegnere Donatella Di Lisa (AD dell’azienda) ed Elena Dellacasa. Come è nata l’azienda e quali sono i suoi progetti di sviluppo ce lo racconta Elena Dellacasa.

D.ssa Dellacasa, come nasce l’idea d’impresa di Bio3DmatriX?

L’idea imprenditoriale prende forma grazie ai sorprendenti risultati sperimentali ottenuti coltivando reti di neuroni, le cellule più numerose del nostro cervello, su un substrato bidimensionale (2D) costituito da un biomateriale polimerico altamente versatile e in grado di migliorarne le performance. Le potenzialità di questo materiale, ricavabile dagli scarti dell’industria alimentare, potrebbero davvero rivoluzionare il mondo dei prodotti attualmente in commercio per colture cellulari. Nel settore della neuroingegneria, vi è però una domanda sempre crescente: sebbene le piattaforme 2D restino utili per studiare processi biologici delle cellule in condizioni di laboratorio altamente controllate, si ha sempre più l’esigenza di superarne i limiti legati all’eccessiva semplificazione della complessità del tessuto neurale. È necessario ottenere un modello standardizzato e sempre più sofisticato del cervello umano, che lo rappresenti sempre più verosimilmente in tutti i suoi aspetti funzionali, e soprattutto quindi nella sua tridimensionalità. Bio3DmatriX

vuole rispondere proprio a questa esigenza, fornendo dei prodotti pronti all’uso, specifici per colture neuronali 2D e 3D, adatti a ottenere modelli standardizzati del cervello umano. Al momento non esistono sul mercato modelli simili, e l’obiettivo dell’azienda è quello di fornire prodotti di alta qualità e altamente affidabili per condurre studi in un vasto range di applicazioni.

A quali applicazioni si riferisce?

Prima fra tutte, ottenere modelli di malattie neurodegenerative, ovvero le malattie del sistema nervoso quali ad esempio Alzheimer, Parkinson, SLA e Demenza senile, che affliggono circa un miliardo di persone in tutto il mondo. Esse portano a un progressivo danneggiamento delle cellule del cervello, fino alla loro completa distruzione. I modelli che Bio3DmatriX fornisce permettono sia di riprodurre e studiare i meccanismi e la progressione di queste malattie, sia di eseguire una valutazione rapida ed efficace di neurotossicità di molecole candidate a diventare farmaci contro queste patologie. Studi recenti hanno stimato che la popolazione over 65 triplicherà entro il 2050, portando a un aumento dell’incidenza di queste patologie, considerando che l’età avanzata rappresenta uno dei maggiori fattori di rischio. D’altra parte, è riconosciuto come il 25% dei nuovi farmaci non superino i trials clinici perché tossici per l’uomo. Per questi motivi, è sempre più fondamentale avere degli strumenti efficaci e affidabili per uno screening rapido ed economico di molecole candidate al trattamento di queste patologie in fase preclinica.

Quale soluzione propone la vostra startup?

Bio3DmatriX propone dei prodotti specifici per colture neuronali 2D e 3D ampiamente validati e altamente competitivi rispetto ai prodotti simili già esistenti sul mercato. Si tratta, in particolare, di due tipi di kit. Un kit per colture cellulari 2D, che consiste in plasticheria da laboratorio (come piastre o fiasche) funzionalizzata con un substrato di biopolimero che favorisce l’adesione e la crescita delle reti neuronali, in alternativa ai materiali non specifici attualmente presenti in commercio. La versatilità di questo biopolimero consente anche di ottenere dei substrati che presentino dei pattern specifici, riproducendo delle geometrie ad hoc che permettono di controllare la crescita della coltura neuronale e meglio investigare la sua interazione con il microambiente circostante o la risposta a stimoli esterni come la somministrazione di farmaci. Il secondo kit è per colture cellulari 3D, la cui principale componente è lo stesso biopolimero del kit 2D, arricchito di componenti bioattive specifiche del cervello, disponibile in diverse configurazioni a seconda dell’applicazione: matrice liquida termosensibile (NeuroGlycoGel) o bioinchiostro per le stampanti 3D (NeuroGlycoInk). I nostri prodotti possono essere competitivi sia in termini di costi che di prestazioni. L’offerta di kit pronti all’uso, per realizzare modelli 2D e 3D basati entrambi sull’utilizzo dello stesso biomateriale, rappresenta infatti un importante aspetto da non sottovalutare in termini di maggiore robustezza e riproducibilità dei risultati sperimentali. In questo modo, infatti, si effettuerebbe un confronto più verosimile tra il comportamen-

to della cellula nelle due configurazioni, eliminando gli artefatti di natura chimica che l’utilizzo di diversi materiali potrebbe introdurre.

Prima ha accennato alla biostampa: può darci qualche informazione in più?

La biostampa costituisce una delle rivoluzioni più importanti nel panorama medico, emergendo come un potente strumento per riuscire a standardizzare i modelli neuronali 3D, in modo rapido, economico e personalizzabile (il nostro bioinchiostro NeuroGlycoInk è adattabile a tutte le biostampanti 3D commerciali, e permette di riprodurre regioni del cervello con specifiche proprietà). Il mercato della biostampa e quello delle colture cellulari 3D sono estesi a livello mondiale. Bio3DmatriX è una realtà ancora molto giovane, ma ha tutte le carte in regola per diventare competitiva all’interno di questi mercati in forte espansione. Il momento giusto è proprio questo, perché a livello mondiale sia il settore della ricerca che quello commerciale stanno iniziando a investire concretamente nello sviluppo di questi modelli.

A chi si rivolge Bio3DmatriX?

I potenziali clienti includono sia laboratori di ricerca di base universitari, sia i centri di ricerca pubblici e privati e le aziende farmaceutiche, che trarrebbero un sicuro beneficio in termini di velocita ̀ e solidità dei risultati, traducibile conseguentemente in un vantaggio economico. Inoltre, questi prodotti possono essere utilizzati sia con cellule animali che con cellule staminali umane. Questo approccio si inserisce nello spirito della direttiva 2010/63/EU e del DL 26/2014 sulla protezione degli animali da laboratorio, promuovendo la riduzione e/o sostituzione della sperimentazione animale, anche per via della crescente consapevolezza di come un modello animale resti una rappresentazione imperfetta di quello che e ̀ il sistema umano.

Il passaggio dal laboratorio di ricerca all’industrializzazione del prodotto non è quasi mai una strada in discesa, ma i presupposti per riuscirci sembrano esserci tutti...

Oggi Bio3DmatriX è forte di numerose pubblicazioni scientifiche e sta lavorando sul consolidamento del proprio portfolio brevettuale. Il feedback da tutte le realtà che hanno iniziato a testare questi prodotti nei propri laboratori è decisamente positivo, quindi il timore non è tanto quello di non incontrare le aspettative del cliente, quanto la difficoltà nell’affrontare la produzione su larga scala e quindi dare inizio all’attività commerciale. I motivi principali sono semplici e spesso accomunano i giovani spinoff universitari: mancanza di fondi e competenze manageriali all’interno del team, col rischio di essere anticipate nella corsa al mercato dalle grandi aziende del settore. Siamo alla ricerca di partner che ci aiutino a realizzare questo importante passo, con un investimento che consenta di condurre ulteriore ricerca e sviluppo per affinare i prodotti offerti e la successiva industrializzazione; in parallelo, poi, ci sono tutti gli aspetti gestionali e di marketing... Insomma, ci occorre qualcuno in grado di darci lo slancio giusto per entrare definitivamente sul mercato.●

Su misura

Le nuove tecnologie sviluppate con il progetto biomedico REALTER consentono di rilevare i sintomi soggettivi dell’ipovisione e di fornire un supporto personalizzato.

Oggigiorno , le persone affette da ipovisione costituiscono una significativa percentuale della popolazione mondiale, con ben 217 milioni di individui secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Gli esperti del settore, come oftalmologi, psicologi, terapisti e altri operatori, sono unanimi nell’affermare che un percorso di riabilitazione è fondamentale per consentire a una persona ipovedente di acquisire strategie compensative che possano migliorare la sua autonomia e, di conseguenza, la qualità della vita.

Per il professor Silvio Paolo Sabatini, professore associato del DIBRIS presso l’Università di Genova e ospite dell’incontro CoffeeTech 177, «il cuore della soluzione risiede nella comprensione delle esperienze soggettive e delle percezioni individuali dei pazienti». La complessità dell’ipovisione, infatti, è legata proprio alla varietà e alla soggettività dei suoi sintomi: ogni individuo può sperimentare questa condizione in modo unico, rendendo essenziale un approccio personalizzato e su misura per fornire un adeguato supporto. Gli strumenti impiegati per la formazione dei terapisti sono ancora artigianali - occhiali sbiancati e sagome di cartone risultano oggetti troppo grossolani se si tiene conto delle possibilità raggiungibili grazie al progresso scientifico e tecnologico dell’ultimo secolo. Viviamo in un’era in cui le nuove tecnologie hanno permesso a più settori (incluso quello

medico) di fare passi da gigante - e mentre i visori per la realtà aumentata vengono ancora largamente associati al mondo dei videogiochi, c’è chi studia nuove soluzioni per il loro utilizzo anche nel campo della salute e del miglioramento della qualità della vita.

«Com’è possibile immaginarci l’impatto sulla qualità della vita delle persone che sono affette da ipovisione? Provare la mancanza di parte del campo visivo attraverso occhiali con sagome o maschere non riproduce esattamente la sensazione che prova un ipovedente - per il semplice fatto che in queste condizioni la maschera o lo schermo posto sulla lente è fisso e non si muove con l’occhio» ha puntualizzato Sabatini nel corso del suo intervento. «La sfida è stata quella di costruire un sistema che in un modo realistico permetta di spostare il deficit visivo in modo contingente con la posizione dello sguardo».

L’approccio innovativo del progetto biomedico REALTER si basa proprio sull’idea che, sperimentando direttamente le difficoltà visive che affrontano i pazienti, i professionisti sanitari saranno in grado di sviluppare strategie e soluzioni efficaci per migliorare la loro condizione. Questo coinvolgimento diretto, con la comprensione profonda dei sintomi e delle sfide che gli ipovedenti devono affrontare quotidianamente, consentirà ai medici di fornire un supporto più efficace e una riabilitazione più mirata.

Silvio Paolo Sabatini

Dopo un impegnativo percorso di ricerca durato 18 mesi, il programma ha raggiunto un risultato significativo: la creazione di un dispositivo indossabile all’avanguardia basato sulla tecnologia Extended Reality (XR) e dotato di un tracciatore oculare. «Come un visore per i videogiochi» spiega Sabatini alla sua platea, cercando di semplificare quella che è una delle tecnologie più all’avanguardia per la creazione di esperienze immersive.

Il dispositivo REALTER sfrutta appieno tutte le possibilità offerte dalla XR: attraverso l’eye-tracker, il dispositivo registra e monitora i movimenti degli occhi, consentendo di rilevare la direzione dello sguardo dell’utente e di utilizzare tali informazioni per interagire con lo stream video, deformando le immagini e simulando in tempo reale le alterazioni delle capacità visive dovute all’ipovisione. Facendo un confronto con gli occhiali sbiancati e le sagome di cartone, si può apprezzare appieno l’innovazione che il dispositivo porta nel campo medico: affidandosi alla tecnologia avanzata REALTER supera le limitazioni tipiche dei vecchi strumenti - consentendo un’esperienza non solo personalizzata e realistica, ma anche in grado di adattarsi alle esigenze specifiche di ciascun paziente.

Le potenzialità di questo progetto però non si sono ancora concluse. «All’inizio il progetto è nato solo per i riabilitatori, che così potessero mettersi nei panni della persona con deficit visivi - ha ricordato Sabatini alla platea del CoffeeTech -. Tuttavia, è in prospettiva l’idea di utilizzare la stessa tecnica per far vedere al paziente a cui viene diagnosticata una patologia di ipovisione non ancora grave quale potrebbe essere l’evoluzione della malattia, in modo tale da anticipare la sua consapevolezza e l’acquisizione delle proprie strategie compensatorie». Ma non è tutto. «Ancora più sfidante è la possibilità di utilizzarlo sui pazienti a supporto della visione residua» spinge il professore, paventando un futuro piuttosto affascinante per il progetto REALTER. Con la possibilità di sviluppare una sorta di “terapia visuomotoria”, si potrebbe pensare di condizionare in tempo reale il segnale visivo - al fine di compensare, almeno in parte, le limitazioni percettive dovute all’ipovisione.

Le potenzialità del visore quindi non si fermano: il prodotto al momento è ancora di nicchia, ma per Sabatini le cose potrebbero cambiare «se si facesse lo step due, cioè pensare di poterlo impiegare anche come strumento diagnostico e assistivo, ampliando così la platea degli utilizzatori». Dopotutto «il sistema è già fruibile, perché completo. È stato già rilasciato all’Istituto Chiossone per testarlo» e con la sua esperienza nel campo dell’assistenza e della riabilitazione delle persone ipovedenti, la fondazione genovese ha svolto un ruolo chiave sia nella validazione che nella sperimentazione clinica del dispositivo REALTER.

Un progetto così ambizioso ha richiesto il coinvolgimento di una grande rete di organizzazioni e istituzioni - come GGallery che (in stretta sinergia con ETT, Gruppo SIGLA e Fos Greentech) ha coordinato gli sforzi per portare avanti questa importante iniziativa. Sono stati preziosi anche i contributi dell’Istituto Italiano di Tecnologia, del dipartimento DIBRIS dell’Università degli Studi di Genova e del sopracitato Istituto Chiossone.

«Il progetto ha funzionato - ha sottolineato il professor Sabatini - perché ha funzionato la collaborazione».●

Sogno o

son desto?

Società leader nella trasformazione digitale e nella realizzazione di ambienti interattivi, allestimenti immersivi con realtà aumentata e virtuale, ETT è fra i supporter di The Ocean Race Genova. Prima del suo arrivo a Genova per la “Grand Finale”, ne ha seguito tutte le tappe con la sua Immersive Room e ha dato vita a un ricco palinsesto di eventi a tema sostenibilità e oceani. Abbiamo parlato di questa nuova esperienza e dello stato di salute dell’azienda con Giovanni Verreschi, che di ETT è Amministratore Delegato.

Per quale ragione una società come la vostra ha deciso di supportare The Ocean Race?

Una delle ragioni per cui siamo sponsor di Ocean Race e perché quest’importante iniziativa riguarda e veicola temi di nostro interesse. La nostra è tutt’altro che una sponsorship “passiva”. Ad Alicante, il porto di partenza della regata, grazie alla competenza di ETT nell’ambito della Blue Economy siamo riusciti a sviluppare opportunità di partecipazione diretta. Antonio Novellino, il nostro responsabile dell’area Ricerca e Sviluppo, ha avuto modo di raccogliere l’interesse sul tema della Carta dei Diritti del Mare. A ogni tappa della gara, perciò, abbiamo finito col trovarci a organizzare degli eventi focalizzati sulla Blue Economy coinvolgendo i nostri partner internazionali di progetto, sviluppando un vero e proprio palinsesto itinerante dedicato. Col tempo, il mare e la sua economia sono diventati asset importanti, per noi. Nelle scorse settimane, nella tenuta presidenziale di Castel Porziano abbiamo partecipato alla cele-

brazione della “Giornata nazionale del Mare”, inaugurata dal ministro Musumeci. Si tratta di un’iniziativa incentrata sulle politiche e le buone pratiche della gestione della res marittima, focalizzata, in particolare, sui temi del monitoraggio e dell’impatto ambientale. In tale occasione, abbiamo avuto l’onore di raccontare alle massime Autorità della Repubblica quello che facciamo per il mare, a livello nazionale ed europeo, e per parlare di cultura del mare intesa come cultura della responsabilità, che consegue al riconoscimento del valore del mare come risorsa.

Il Gruppo ETT è attivo da più di vent’anni nella Pubblica Amministrazione, nei settori della Cultura e del Turismo, delle Industrie, della Comunicazione, della Ricerca e dell’Innovazione. Cos’è, e cosa sta diventando, oggi, ETT?

È una realtà in continua evoluzione. Nel 2019 siamo entrati nel gruppo SCAI di Torino, rappresentando un elemento di sviluppo con 18 milioni di euro di fatturato. In quattro anni abbiamo quasi raddoppiato il nostro volume d’affari, chiudendo il 2022 con 33 milioni. Questo bel risultato lo dobbiamo anche all’acquisizione di nuove attività come Space e Meta, una specializzata nell’archiviazione in ambito culturale, l’altra focalizzata su intelligenza artificiale e linguistica computazionale applicata all’editoria scolastica e che chiudono, così, una sorta di filiera, consentendoci di passare dal fisico al digitale nei settori della comunicazione, della cultura e turismo. Con dei laser scanner ora siamo in grado di traferire in digitale testi, quadri, monumenti, da 2D a 3D: il grande plastico multisensoriale di via di Strada Nuova a Palazzo Rosso è un esempio di ciò che possiamo fare tramite scansione e stampa 3D. Monitoriamo le caratteristiche statiche e dinamiche di un oggetto o un’area, e le loro evoluzioni. Non si tratta di processi che riguardano il solo comparto artistico-culturale. Possiamo monitorare una collina che potrebbe franare, per esempio, piuttosto che un territorio a rischio di alluvione. In campo ambientale abbiamo competenze per fornire ai decisori gli elementi utili per attivare sistemi di allerta, tramite la rilevazione precoce dei dati che identificano potenziali situazioni di pericolo. Intanto,

OCEAN DATA WEEK

Per il Grand Finale di Genova ETT ha organizzato un palinsesto di conference e workshop per promuovere una partecipazione attiva e consapevole alla raccolta dei dati marini, oceanografici e ambientali. Gli eventi si terranno dal 27 al 30 giugno nella Sala ETT all’interno dell’Ocean Live Park di Genova, nel piano ammezzato del Padiglione Blu. In particolare, la mattina di giovedì 29 giugno 2023 dalle ore 10.30 si parlerà di Smart Blue Sustainable Cities, con la prima presentazione pubblica del Progetto RAISE Liguria (Robotics and AI for Socio-Economic empowerment), finanziato dall’Unione Europea - Next Generation EU attraverso il MUR. ETT è Partner di RAISE e opera in tre delle cinque aree di intervento in cui si articola il progetto. ETT chiude così il ciclo di eventi che ha organizzato, tappa dopo tappa, seguendo Ocean Race 2023 nella sua rotta intorno al mondo. Approfondimenti e incontri con esperti hanno raccontato, nel palinsesto a tema sostenibilità, le esperienze internazionali nella gestione di dati complessi per la Blue Economy che vedono collaborare ETT con i principali centri di ricerca sia Europei che Internazionali. Avere proiezioni sempre più accurate e affidabili e mettere in campo i migliori strumenti di gestione risponde alle esigenze connesse ai temi dello sviluppo sostenibile, delle città in continua evoluzione e del cambiamento climatico, anche con il contributo attivo da parte dei cittadini in azioni di citizen science. Per questo ETT sarà presente nell’Ocean Live Park di Genova anche con incontri dedicati ai ragazzi e alle famiglie nel palinsesto di incontri e laboratori nel Padiglione della Sostenibilità. ETT ha realizzato anche la camera immersiva per il Comune di Genova, una grande attrazione che è stata nelle tappe mondiali della regata il principale testimonial del capoluogo e della Liguria, presente anche nell’Ocean Live Park di Genova.●

portiamo avanti la nostra partecipazione alla progettazione europea. Siamo tra i circa 60 fondatori dell’Agenzia EIT (European Institute of Innovation and Technology) Culture & Creativity, costituita ad aprile sotto l’egida dell’Unione Europea. Stanno iniziando a uscire i bandi, nella rete sono coinvolti grandi soggetti e noi siamo tra i cinque italiani a farne parte. Oltre ai 33 milioni di euro siamo arrivati a un ebitda (il “margine operativo lordo”, ndr) intorno al 14,5%, che è un buon risultato con ulteriori previsioni di crescita legate alla spinta che dovrà dare il PNRR. A proposito di PNRR, siamo azienda di riferimento nel progetto RAISE, selezionato dai fondi PNRR per sviluppare l’ecosistema dell’innovazione per la Liguria. A maggio, siamo intervenuti anche al Festival Nazionale dell’Università a Roma, il che dà testimonianza del fatto che stiamo iniziando ad avere una certa visibilità anche dal punto di vista accademico. A Roma ho fatto un’introduzione su realtà estesa, metaverso e gaming, concetti e strumenti del cosiddetto experience design che possono essere importanti anche nel mondo dell’istruzione. Nello stesso evento sono intervenuto inoltre sull’incidenza dell’intelligenza artificiale sull’editoria.

Al di là delle loro straordinarie potenzialità, da più parti si sottolinea la “pericolosità” di alcuni strumenti d’avanguardia sviluppati tramite Intelligenza Artificiale, come i chatbot... Per me, siamo all’inizio di un’epoca nuova. Le innovazioni hanno sempre destato sospetti. Dai tempi della prima Rivoluzione Industriale e dal telaio criticato dai luddisti, stiamo vivendo in un tempo di continua evoluzione tecnologica. Ci muoviamo in un mondo in rapidissima trasformazione, un mondo pieno di innovazioni che, secondo i pessimisti avrebbero dovuto soggiogarci, e che invece, almeno finora, siamo stati capaci di dominare. Penso che potremo sopravvivere anche all’avvento dell’Intelligenza Artificiale, se, come credo, saremo in grado di dare strumenti tecnici e culturali adeguati alle nuove generazioni, che sapranno gestirle e avere meno paura di noi.

Quali sono i vostri prossimi obiettivi? Avete dei nuovi progetti in cantiere?

Di recente, abbiamo coprodotto la Divina Commedia in Realtà Virtuale e siamo arrivati su Rai Play con l’Inferno e il Purgatorio. Finiremo, naturalmente, con il Paradiso, continuando la partnership con Rai Cinema. Superato il Covid e la crisi che ne è seguita, stiamo riprendendo le attività all’estero. Abbiamo tra i 2 e i 3 milioni di attività in Croazia, in Kuwait, in Georgia, e diverse trattative anche negli Emirati Arabi. A livello nazionale, grazie alle risorse messe a disposizione dal bando Borghi finanziato dal PNRR abbiamo appena inaugurato un sistema di videomapping ad Andora. I benefici maggiori a livello progettuale li vedremo negli anni 2024-2026. Stiamo trattando dei progetti con enti importanti per la valorizzazione di reti museali. Abbiamo chiuso il progetto della balena preistorica a Matera, una sala immersiva che racconta la storia della balena Giuliana con tecniche avanzate di grande impatto visivo, con animazione 2D e 3D, compositing e motion graphic. Ma stiamo lavorando anche con il Museo Archeologico di Taranto e con il Museo Nazionale dell’Emigrazione qui a Genova.● (P.P.)

Genova Impresa - Maggio / Giugno

Bene comune Intelligenza Artificiale:

Opportunità (e rischi) di una tecnologia ad altissimo potenziale.

In questi ultimi mesi, una serie di tecnologie che da sempre popolano l’immaginario collettivo e il lavoro di pochi esperti, sono diventate argomento di conversazione e di dibattito serrato. L’intelligenza artificiale (IA) sta esplodendo oggi per una somma di fattori: 1) aumento della potenza di calcolo: le nostre tecnologie informatiche stanno diventando sempre più potenti e veloci, il che ci permette di elaborare enormi quantità di dati in un tempo molto più breve rispetto al passato. È un po’ come passare da un cavallo e un carro a un’auto sportiva; 2) crescita dei dati: viviamo in un’epoca in cui siamo inondati di dati. Ogni volta che usiamo Internet, facciamo acquisti online, usiamo i social media o anche solo quando usiamo i nostri telefoni, stiamo generando dati. Questi dati possono essere utilizzati per “insegnare” alle macchine a compiere determinate attività, come riconoscere le immagini o comprendere il linguaggio naturale; 3) miglioramento degli algoritmi: gli algoritmi sono come le ricette che l’IA utilizza per imparare da dati. Negli ultimi anni, abbiamo sviluppato algoritmi molto più efficaci e potenti. In particolare, gli algoritmi di appren-

dimento profondo stanno guidando molti dei recenti progressi nel campo dell’IA.

Tutto questo ha portato a enormi investimenti e al riconoscimento del valore dell’IA, aziende e governi di tutto il mondo stanno comprendendo questo potenziale e investendo pesantemente nella tecnologia; questo significa che ci sono più risorse e incentivi per sviluppare nuove tecnologie e idee in questo campo, rendendo anche la tecnologia più accessibile e disponibile a tutti coloro che abbiano un semplice computer e una connessione a internet.

L’intelligenza artificiale è al centro della discussione attuale, soprattutto per il suo sviluppo più recente: l’Intelligenza Artificiale Generativa. Questo nuovo tipo di IA si differenzia dall’Intelligenza Artificiale Analitica, la versione precedentemente prevalente: mentre quest’ultima è specializzata nell’analizzare e interpretare i dati, l’IA Generativa porta la tecnologia un passo avanti, essendo in grado di creare autonomamente contenuti, come immagini, voci, video e, più recentemente, linguaggio. Quest’innovazione è emersa da recenti ricerche accademi-

che, evolvendosi con una rapidità e qualità che hanno superato le aspettative. Gli ambiti di applicazione sono vasti: l’IA Generativa può produrre testi in quasi ogni lingua, scrivere codici di programmazione, creare immagini, riprodurre la voce, generare video e modelli 3D. Ma non si ferma qui: può persino concepire nuove strutture molecolari. Indipendentemente dal campo di applicazione, l’elemento comune è la qualità dei risultati. Vari modelli e tecnologie sono impiegati per generare questi contenuti, ma già oggi il livello qualitativo raggiunto è sorprendentemente alto. Non c’è dubbio che l’Intelligenza Artificiale Generativa rappresenti un passo importante verso il futuro dell’IA. L’evoluzione dell’intelligenza artificiale si muove lungo un percorso di progressione costante. Ad esempio, i modelli linguistici su larga scala (Large Language Models, LLM), che sono alla base di ChatGPT, sono stati introdotti già all’inizio del 2020. All’epoca, la loro capacità di generazione di testo era impressionante, tuttavia, come molte altre tecnologie in questo settore, sono stati inizialmente trascurati nonostante fossero già maturi e significativi. Tuttavia, con l’affermarsi di ChatGPT, questa innovazione è diventata una forza dirompente che non può più essere ignorata. Questo cambiamento repentino ha generato una miscela di reazioni tra individui e aziende: da un lato, c’è eccitazione per le possibilità infinite che queste tecnologie offrono, dall’altro, c’è timore, paura e una serie di malintesi. È fondamentale, quindi, aumentare la consapevolezza e la comprensione di queste tecnologie per navigare con sicurezza nel panorama in evoluzione dell’intelligenza artificiale. La domanda principale che possiamo farci è: quanto è utile al bene comune questo insieme di tecnologie?

Nel 2020, uno studio affascinante condotto dal Royal Institute of Technology in Svezia ha cercato di esplorare il potenziale dell’intelligenza artificiale come facilitatore o ostacolo nel raggiungimento dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite.

Dai risultati dello studio è emerso un quadro complesso: l’IA potrebbe avere un impatto sia positivo che negativo sugli SDG. Più precisamente, si è scoperto che l’IA può contribuire positivamente al 79% degli obiettivi ma, allo stesso tempo, potrebbe avere un impatto negativo sul 35% di essi. Questo indica che, in determinati contesti, l’IA può svolgere un ruolo duplice: può essere un potente facilitatore nello sviluppo sostenibile, ma anche un possibile ostacolo. In altre parole, l’IA offre sia opportunità che rischi, sottolineando l’importanza di una gestione consapevole e responsabile di queste tecnologie.

Negli ultimi anni, ho avuto l’opportunità unica di contribuire a diversi progetti che impiegano l’intelligenza artificiale a beneficio della società. Queste esperienze mi hanno permesso di esplorare le potenzialità di una gestione consapevole di queste tecnologie in vari contesti. Nel 2020, ho avuto l’onore di collaborare con l’Unione Africana (AU) e la sua iniziativa per lo sviluppo digitale, Smart Africa. Insieme, abbiamo redatto la “AI Blueprint for Africa”, una sorta di mappa strategica per l’implementazione dell’IA in Africa. Questo progetto mi ha portato a lavorare a stretto contatto con vari governi africani su iniziative concrete per lo sviluppo. Il contesto africano, libero da alcune delle limitazioni impo-

ste da tecnologie e processi già consolidati o da situazioni particolarmente complesse, mi ha offerto l’opportunità di osservare in prima persona l’impatto straordinario che anche progetti relativamente semplici possono avere. Questa esperienza ha rafforzato la mia convinzione nel potenziale dell’IA come forza di cambiamento positivo, quando gestita in modo consapevole e responsabile.

Nella devastata Libia, segnata dalle cicatrici di una guerra civile sanguinosa, abbiamo sfruttato l’intelligenza artificiale per migliorare il sistema di soccorso. Utilizzando un bot operativo su Telegram e WhatsApp, siamo stati in grado di raccogliere segnalazioni dalla popolazione e indirizzarle ai soccorritori sul campo.

Ogni segnalazione raccolta dal bot può essere integrata con informazioni vitali, come la posizione GPS e immagini della situazione di emergenza. Questo metodo non solo fornisce un quadro dettagliato della crisi in tempo reale, ma genera anche una grande quantità di dati accurati che possono essere analizzati successivamente.

L’analisi di questi dati consente di comprendere meglio la dinamica delle emergenze e di fare previsioni per dimensionare adeguatamente le risorse necessarie. Questo approccio basato sui dati aiuta a rispondere efficacemente alle crisi emergenti e a promuovere un ritorno graduale alla normalità civile. In definitiva, questo è un esempio concreto di come l’IA può essere utilizzata per migliorare la vita delle persone, anche nelle circostanze più difficili.

Ho avuto la fortuna di partecipare a una varietà di progetti e iniziative, che spaziano dalla sanità all’agricoltura, dalla transizione energetica alla lotta contro il cambiamento climatico. L’esperienza mi ha insegnato una lezione fondamentale: queste tecnologie rappresentano un’opportunità straordinaria e un valido strumento per affrontare le sfide del futuro.

Riconoscendo il potenziale dell’intelligenza artificiale, diventa imperativo investire strategicamente nel suo sviluppo. Ciò include la creazione di competenze trasversali, la formazione delle nuove generazioni e la promozione di momenti di dialogo e approfondimento. È attraverso queste azioni che possiamo garantire un uso responsabile e positivo di queste tecnologie, guidando il cambiamento invece di subirlo.

Questo mondo in rapida evoluzione avrà un impatto significativo sulla nostra società e sul nostro futuro. È nostro compito assicurare che questo impatto sia positivo, sfruttando le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale per costruire un futuro migliore per tutti.●

Andrea Pescino, socio e fondatore di StratejAI, è stato tra i relatori del convegno “Cultura della formazione. Terzo atto”, organizzato da Confindustria Genova su iniziativa del Tavolo della Cultura della Formazione il 12 giugno scorso.

La registrazione video del convegno è disponibile sul canale YouTube di Confindustria Genova.

Abitare lo Spazio

Il Festival dello Spazio torna a Busalla dal 29 giugno al 2 luglio.

di Massimo Morasso
Franco Malerba

Il Festival dello Spazio di Busalla ritorna puntuale per la sua settima edizione - dal 29 giugno al 2 luglio - e continua a raccontare la straordinaria avventura dell’esplorazione spaziale. Organizzato dall’Associazione Festival dello Spazio in collaborazione con il Comune di Busalla, il Festival è un’occasione unica di incontro per conoscere i protagonisti, i progetti attuali, le opportunità e le prospettive di una delle più affascinanti frontiere della ricerca scientifica e tecnologica e dell’impegno industriale dell’Italia e dell’Europa in questo nuovo settore economico.

Nella quattro-giorni di Villa Borzino, il Festival offre mostre, demo interattive, presentazioni di libri di settore, spettacoli teatrali e altri momenti di interesse ludico, conoscitivo e spettacolare, ma offre soprattutto l’ascolto e l’incontro con i protagonisti dello Spazio attraverso numerose e qualificate conferenze tematiche che coinvolgono relatori dell’ASI, dell’ESA, della NASA, dell’Accademia, della Ricerca e dell’Industria. Capitano e deus ex machina del Festival, il primo astronauta italiano Franco Malerba.

Ingegner Malerba, quale sarà il tema scientifico di questa nuova edizione del Festival?

Il tema scientifico del Festival 2023 sarà “Abitare lo Spazio”. Il programma che abbiamo costruito prende le mosse dall’impegno dell’Amministrazione americana e della NASA del “ritorno alla Luna per restare”, cui molti Paesi, tra cui il nostro, hanno aderito, e segue la traccia della ricerca scientifica in corso verso le prospettive di esplorazione sulla superficie della Luna sulla traccia dei programmi istituzionali e industriali in corso, che coinvolgono il nostro Paese. Il titolo “Abitare lo Spazio” si correla pure alla missione scientifica JUICE, il satellite osservatorio dell’ESA partito per lo Spazio un paio di mesi fa per esplorare alcuni satelliti gioviani “medicei” - Ganimede, Europa, Callisto. Sotto spesse coltri di ghiaccio, questi satelliti ospitano dei veri e propri oceani d’acqua, il che li rende degli ambienti potenzialmente abitabili... in un lontano futuro. La comunità scientifica italiana vi partecipa con alcuni importanti strumenti.

Col tempo, l’architettura del Festival si è consolidata in diverse sessioni ben identificate. Ci sarà anche quest’anno quella che siete soliti dedicare alla cosiddetta “Space Economy”?

Assolutamente sì. Alla sessione sull’Economia dello Spazio, il 30 giugno, interverranno le industrie grandi - come Leonardo, Thales, SITAEL -, le Istituzioni che sostengono questo sviluppo - ESA, Commissione Europea, ASI - e molte PMI e Startup, nazionali e locali, per parlare delle loro iniziative, dei loro progetti. Vi parteciperà in particolare il SIIT con le sue società affiliate. Come nel 2022, stiamo organizzando alcuni panel di discussione “misti” con rappresentanti delle istituzioni nazionali ed europee, delle grandi industrie e delle PMI e Startup. Avremo relatori di assoluto rilievo, fra i quali Franco Ongaro, già direttore di ESA ESTEC e attualmente Chief Technology Officer di Leonardo, e Isabella Poldrugo, della Direzione Spazio e Difesa della Commissione Europea.

Il vostro Festival sembra essere capitato in un momento “magico” del programma spaziale italiano. È così? Si è appena chiuso con un bilancio sfolgorante dell’ASI il quadriennio del presidente Giorgio Saccoccia, un bilancio che mostra una crescita straordinaria di progetti dell’industria italiana e di accordi internazionali a guida italiana. Si può legittimamente attribuire questi successi all’impegno dell’ASI, al livello di qualità tecnologica e imprenditoriale dell’industria italiana, ma c’entra anche la notevole evoluzione delle risorse disponibili. Il budget dell’ASI è triplicato nell’arco di un quadriennio, passando da 800 milioni di euro nel 2018 a 2,3 miliardi di euro nel 2023. A questo dato in progressione si è aggiunto il contributo straordinario di 2,5 miliardi di euro del PNRR, per cui globalmente, nell’arco del quadriennio 18-22 l’ASI ha raccolto finanziamenti per 10,3 miliardi di euro.

Un risultato finanziario così favorevole non potrebbe avere radice in una più autentica percezione da parte della politica governativa dell’importante ruolo nel Paese del settore Spazio?

Per quanto piccolo nel quadro economico globale, in effetti il settore aerospaziale rappresenta un motore della crescita e della proiezione internazionale dell’Italia. Questa significativa raccolta di fondi potrebbe essere stata facilitata anche dalla nuova Governance dell’ASI, che dal 2018 riporta ormai direttamente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, da cui riceve gli indirizzi di strategia attraverso il COMINT (Comitato Interministeriale per le Politiche relative allo Spazio e alla ricerca aerospaziale). Il nuovo posizionamento istituzionale dell’Agenzia, non più ente di ricerca sorvegliato dal MUR come in passato, ma organo di politica economica, fa la sintesi delle esigenze e degli impegni strategici dei diversi ministeri e consente all’ASI un rapporto più diretto con gli obiettivi di politica industriale del Governo. Dal 2018 l’ASI infatti ha lavorato sulla base dei macroobiettivi dettati dai Governi per il nostro Paese - a) sostenere la ricerca e l’innovazione; b) promuovere la crescita economica, lo sviluppo e l’uso di servizi e applicazioni spaziali; c) consolidare e rafforzare il Paese a livello internazionalee con questo mandato ha ottenuto finanziamenti generosi e risultati eccellenti. La sottoscrizione italiana ai programmi dell’ESA è passata dal 12,6% nel triennio 16-19 al 18,2% nel triennio 22-25, a una distanza di qualche decimale dalla

Francia e questo non solo per una questione di soldi, ma perché l’industria spaziale italiana è cresciuta ed è stata capace di raccogliere la sfida di un carico di attività superiore al passato. Nulla si decide ormai in ESA senza una concertazione “a tre” di cui l’Italia fa parte. La prassi del binomio Parigi-Berlino che dava il ritmo a tutte i programmi chiave dell’ESA è storia passata.

Cosa significa, in concreto, questa partecipazione più importante dell’Italia all’ESA?

Riassumendo, comporta il ruolo di primo appaltatore per l’industria italiana della nuova generazione di satelliti di navigazione Galileo, l’acquisizione dello sviluppo di due satelliti per la costellazione di osservazione Copernicus, il sostegno ai programmi del lanciatore VEGA e della navetta Space Rider e molto altro. Altrettanto impressionate è la crescita del programma nazionale, che ha permesso di sostenere la grande industria nel suo posizionamento mondiale, ma ha anche facilitato il decollo di molte piccole e medie industrie, con programmi e progetti di grande visibilità. Da una parte i contratti con Thales Alenia Spazio per satelliti di osservazione e per lo sviluppo un “Residence sulla Luna”, da sviluppare per il programma Artemis della NASA, dall’altra il progetto Space Factory 4.0, finanziato in parti eguali dall’ASI e dall’industria, che all’orizzonte 2026 (tempi imposti del PNRR) deve realizzare in Italia un sistema di fabbriche spaziali “state of the art” interconnesse, attrattivo per la sua qualità ed efficienza per chi da altri paesi desidera esternalizzare produzioni in Italia. Con i fondi PNRR l’ASI intende investire su una nuova tecnologia rivoluzionaria, per essere fra i primi che sapranno gestire il “servizio in orbita”. Si tratta di sviluppare la capacità di intervenire su un satellite, per riparalo, rifornirlo, cambiarne addirittura l’orbita. Questa tecnologia è di interesse largo, anche per altri capitoli di attività spaziali legati alla difesa e alla sorveglianza dello Spazio, attenzionati anche dall’UE.

Quali sono le ricadute di questa crescita straordinaria del settore Spazio in Italia?

La crescita in corso produce una altrettanto straordinaria domanda dell’industria di maestranze qualificate. Anche per questo il Festival dello Spazio fa ogni sforzo per motivare e coinvolgere giovani di “belle speranze” nell’impegno nelle materie STEM, il naturale trampolino verso le professioni dell’ingegneria dello Spazio. Dell’opportunità offerta dalla crescita dell’Italia nel settore Spazio si sono accorte anche le Regioni, che alle imprese e alle startup spaziali stanno dedicando attenzione e risorse, riconoscendo in questo settore una grande promessa del futuro. Un caso emblematico è offerto dalla Regione Piemonte, che sta spostando il suo fuoco di attenzione strategica dall’automotive all’aerospazio e sarà la sede della città dell’aerospazio. Al Festival, nella giornata intitolata all’Economia dello Spazio dedicheremo al tema quattro panel di manager e di funzionari delle istituzioni. Ci sarà, in particolare, un panel di confronto tra Piemonte e Liguria, nel quale saranno coinvolte iniziative piemontesi - il CEIP e l’ESA BIC - e liguri - il SIIT, insieme ad alcune realtà industriali delle due regioni.●

Per info e programma: www.festivaldellospazio.com

no limits NCC

Francesco Righetti

Sulla piattaforma LimoLane, oltre 5400 imprese di noleggio con conducente a disposizione 7 giorni su 7, in Italia e all’estero. Un esempio di successo di transizione digitale raccontato dal CEO Francesco Righetti.

LimoLane è la piattaforma digitale leader di mercato che gestisce le esigenze di mobilità business e leisure di aziende e privati, offrendo un servizio di noleggio con conducente attivo 7 giorni su 7.

La piattaforma ospita anche un marketplace che mette in contatto tra loro oltre 5400 driver NCC attivi in più di 500 città, in Italia e nel mondo.

«Tramite pc o mobile - spiega Francesco Righetti, CEO LimoLane - il cliente può prenotare il proprio servizio di mobilità in modo semplice e rapido, non abbandonando al tempo stesso il supporto dedicato tipico di un servizio di NCC». Per i clienti business, LimoLane permette di gestire la mobilità in ogni suo lusso, dalla prenotazione fino alla rendicontazione delle spese aziendali.

Per gli operatori NCC, la piattaforma consente anche lo scambio di servizi, salvaguardando sempre la privacy dei clienti finali: nel caso in cui un’azienda NCC o un driver fossero momentaneamente sprovvisti di mezzi o avessero difficoltà a prestare il servizio in un’altra città, potranno comunque rispondere alla richiesta del loro cliente coinvol-

gendo un altro operatore della rete, che svolgerà il trasferimento per loro conto.

L’iscrizione alla community NCC di LimoLane - nello specifico l’adesione alla tecnologia di LiMO dedicata ad aziende NCC e driver - è subordinata alla soddisfazione di alcuni requisiti a garanzia della qualità del servizio, come la verifica del parco mezzi e della professionalità degli operatori.

A questo riguardo, si può cogliere l’opportunità di formazione proposta dalla LiMO Academy: nel corso, per esempio, si parla del “codice del driver”, per imparare a rapportarsi e a conquistare la fiducia di top manager, personaggi famosi ecc.; di come avviare la società, partendo dalla normativa che regola il comparto dell’NCC per arrivare alla definizione di un business plan, oltre ad apprendere le tecniche per acquisire e fidelizzare i clienti.

«A fine corso, censite le auto e verificata la presenza di tutti i requisiti - aggiunge Righetti - ogni NCC entra a far parte della LiMO Community e può beneficiare di tutti i vantaggi della piattaforma: in primis, l’accesso a strumenti innovativi a supporto della crescita e della competitività».

Tra le novità di servizi proposte da LimoLane troviamo le “travel experience”, per chi desidera visitare una città o seguire un certo itinerario turistico accompagnato da un driver del luogo.

«La nostra è un’offerta di mobilità capillare e di alto livello - sottolinea Francesco Righetti - rivolta a chi si occupa di accoglienza turistica, ai golf club, ai tour operator specializzati in crociere, alle strutture ricettive e sportive, agli organizzatori di grandi eventi: a Sanremo, per esempio, siamo stati partner di mobilità del Festival della canzone. Per restare in Liguria, sono molti i turisti italiani e stranieri che utilizzano i nostri servizi business durante il periodo lavorativo e poi si affidano a noi per attività nel tempo libero a Genova, alle Cinque Terre, a Rapallo, a Portofino».

Francesco Righetti non ha dubbi: «Il nostro marketplace, il più grande al mondo per numero di NCC iscritti, costituisce una value proposition di altissima qualità, che trova riscontro nel forte trend di crescita della nostra clientela».●

La sfida della crescita aziendale sostenibile si vince insieme con il proprio partner bancario.
di Antonio Epifani

Su questa rivista si sono già avvicendate buone competenze nell’introdurre e illustrare le principali tematiche ESG. Il Global Risk Report 2023, presentato al World Economic Forum, ci conferma che il rischio maggiormente percepito come impattante per le economie sia il fallimento della mitigazione del cambiamento climatico. Le crisi (al plurale...) che stiamo affrontando sono talmente interconnesse da aver meritato il conio di un neologismo, “polycrises”, che ben riassume la situazione. “Unendo i puntini” delle puntate precedenti, possiamo oggi tracciare una sorta di mappa, un disegno complessivo da osservare nella sua interezza per poterci consentire di assumere decisioni e atteggiamenti proattivi. Il cambiamento climatico, dicevamo, ha un suo impatto economico, tangibile e misurabile. Da qui discende la necessità, non più rinviabile, di introdurre nel noto paradigma “rischio-rendimento”, che ha impegnato gli studenti di economia degli ultimi decenni, l’elemento “impatto”. Un imprenditore, un investitore, un intermediario finanziario che non tengano conto di tutte queste tre dimensioni rischiano di effettuare valutazioni incomplete e fuorvianti. Abbiamo compreso che l’inserimento di strumenti di misurazione è indispensabile per far sì che l’impatto sia correttamente considerato. Ancora, abbiamo appreso e interpretato l’adozione dell’Accordo di Parigi del 2015, da cui l’atteggiamento del legislatore europeo che, con l’emanazione della cosiddetta Tassonomia Green e del New Green Deal, ha inteso orientare, come primo obiettivo, i flussi di capitale verso investimenti sostenibili, a riprova che la ricerca dell’equilibrio economico, mitigando il rischio di impatto, è prioritaria nel gestire la sostenibilità integrata (ricorderete senz’altro le 3P - People, Planet, Prosperity - che sottintendono gli obiettivi dello sviluppo sostenibile - SDGs 2030). Un’autorevole opinione (Bankitalia) ha chiarito senza equivoci che la sfida della sostenibilità si vince insieme: Banche e Imprese sono legate nel percorso della transizione ambientale e il primo passo è eliminare, mitigare le asimmetrie informative tra finanziatore e finanziato. Degne di lode le iniziative di Confindustria Genova, con il supporto scientifico di Università di Genova, per diffondere in modo capillare la giusta informazione e fornire i primi strumenti per la corretta implementazione di un percorso ESG. Il ruolo della Banca, è bene chiarirlo, non è dunque di stampo sanzionatorio, come parte della letteratura sembra voler sostenere. In quanto capace di orientare i flussi di investimento, ha al contrario una grande responsabilità nel dare il giusto esempio, cominciando essa stessa a inserire nella propria strategia i criteri ESG che portino all’implementazione della stakeholders economy. L’impegno che UniCredit sta dedicando a un corretto coinvolgimento di tutte le categorie di imprese va in questa precisa direzione. Abbiamo l’ambizione (e la responsabilità) di non lasciare nessuno indietro, di dialogare con tutti i gradi di maturità ESG presenti, incentivando la clientela a un dialogo costruttivo. Il recente accordo con Open-es consente di accompagnare le imprese nella misurazione e nel miglioramento delle proprie performance ESG; la collaborazione con RINA è di aiuto nell’implementazione di soluzioni per la transizione ambientale. Chi non ricorda l’impatto dell’introduzione dei rating creditizi nella relazione banca-cliente? È prioritario avviare con ciascun operatore economico un confronto trasparente e aperto: la Banca pronta a raccogliere le istanze del tessuto imprenditoriale e a proporre soluzioni (prodotti e servizi che valorizzino gli impegni delle aziende); i Clienti disponibili a decidersi nell’introdurre sistemi di misurazione del rischio ESG che completino il già ricco corredo istruttorio di una pratica di credito. Confermo, la sfida si vince insieme, le imprese abbiano fiducia del partner bancario. Siamo pronti a incoraggiare chi intende “fare la cosa giusta”.●

Antonio Epifani è ESG Expert Region Nord Ovest di UniCredit

La disciplina degli ESG lungo tutta la filiera agroalimentare.

La filiera agroalimentare si lega sempre più ai temi della sostenibilità, la quale si sta sviluppando nell’ottica di garantire una governance quanto più attenta ai temi ambientali e di eguaglianza sociale. Su tali questioni, l’Europa ha riposto particolare attenzione considerandoli punto cardine per perseguire gli obiettivi fissati dal legislatore, volti a tutelare maggiormente l’ambiente rendendo così la sua stessa struttura maggiormente green.

L’assunto chiave da cui si è raggiunta la consapevolezza per cui conviene operare un’analisi di tale settore è, da un lato, l’evidenza dell’impatto che questo ha sulle emissioni di gas serra, contribuendo a circa un quarto di quelle prodotte su scala globale, pur tuttavia essendo tra i comparti economici più colpiti dai cambiamenti climatici, e, dall’altro, la necessità di operare su un piano multidisciplinare per raggiungere concretamente gli obiettivi fissati. Quest’ultimi, individuati nel Green Deal europeo, e suoi atti di implementazione quale la strategia From Farm to Fork, concorrono a una moltitudine di target di settore, essendosi distribuiti capillarmente all’interno della struttura legislativa, quale ad esempio l’obiettivo di rendere circolare l’economia europea, rendendo maggiormente sostenibili i prodotti tramite ad esempio delle forti politiche sull’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, responsabilizzando consumatori e operatori del settore, riducendo al contempo gli sprechi derivanti da ambe-

due i livelli di mercato, operando sulla sensibilizzazione al tema della food waste, e incentivando la riduzione della food loss, e offrendo sul mercato prodotti sempre più attenti alla salubrità del consumatore.

Una visione complessa che si traduce, come anticipato, in un quadro normativo articolato sul piano delle fonti normative multilivello (internazionali, europee, nazionale e regionale) e in continua evoluzione, ove occorre individuare le categorie di strumenti regolativi appropriati e valutarne l’efficacia così da non sovrapporre discipline giuridiche esistenti, quanto piuttosto incidere attraverso regole sui processi produttivi e, quindi, anche sulla destinazione degli alimenti. Tale contesto, se rapportato al sistema della filiera agroalimentare, prospetta dal punto di vista giuridico questioni di difficile soluzione, dovendo tenere in considerazione la multidimensionalità del sistema (ambientale, sociale ed economica) e la dimensione globale che caratterizza i flussi commerciali del comparto.

L’attenzione è così da riporre non solo nelle fasi produttive, bensì anche nelle fasi successive che toccano equilibri delicati attinenti alla ripartizione del valore lungo la filiera di modo da garantire un reddito adeguato e condizioni di parità sociale ai protagonisti dei primi anelli della catena, la diffusione di pratiche di marketing e implementazione di etichette trasparenti e responsabili, la riduzione degli sprechi

di Nicola Lucifero

nei luoghi domestici, e la gestione di rapporti di filiera leali e fondati su principi di trasparenza.

In questo articolato e complesso sistema, si è sviluppato il concetto di ESG “Environmental, Social and Governance”, introdotto negli anni ‘90 a sviluppo del concetto della “Triple Bottom Line” da molti conosciuta come la strategia “Persone, Pianeta e Profitti”. Le aziende sono state sempre di più chiamate a doveri di trasparenza sugli impatti ESG delle loro attività produttive e delle iniziative di sostenibilità implementate. Sul tema, è doveroso menzionare la Direttiva (UE) 2022/264, cd. “CSRD” sul reporting di sostenibilità delle imprese, grazie alla quale la rendicontazione di sostenibilità diventa parte integrante della relazione finanziaria della società redatta su base annuale ed inoltre, vengono allineati i processi di produzione dell’informativa ESG e di quella finanziaria. Sebbene quest’ultima si applichi solo a grandi imprese, quotate, di interesse pubblico, o extracomunitarie con un fatturato consistente, il tema è caldo e i dubbi circa l’ambito e le tempistiche di applicazione iniziano a farsi strada all’interno delle aziende. Pertanto, il settore agroalimentare è chiamato oggi più che mai ad affrontare importanti sfide legate alla sostenibilità, quali fenomeni climatici estremi, verso i quali le strategie di resilienza occupano un ruolo centrale, e i cambiamenti sociali, quali l’invecchiamento demografico e le questioni

correlate ai lavoratori del settore. Le imprese che considereranno centrali politiche di governance volte a tutelare queste tematiche saranno quelle che sapranno stare al passo con una competitività sempre più crescente. A tal fine, maggiore attenzione dovrà essere riposta al consumatore finale, il quale, alla ricerca di prodotti sempre più sensibili alle tematiche ambientali e sociali, è costantemente soggetto a pratiche commerciali volte all’informazione su tali aspetti, nella maggioranza dei casi, in maniera poco consapevole e trasparente.

Saranno le aziende quindi a dover scegliere se dotarsi di meccanismi volti all’inserimento di obiettivi legati allo sviluppo sostenibile, magari operando una modifica strutturale del modello societario vincolando così oltre che i soci, anche gli amministratori, o se intervenire direttamente sugli obblighi di comportamento degli amministratori, vincolati a dover considerare profili di sostenibilità tra i compiti loro assegnati. Ad ogni modo, entrambi i modelli di “impresa sostenibile”, ben adattabile alle imprese che operano nel settore agroalimentare, espliciterebbero così l’intento di perseguire tale modello di impresa sostenibile, ponendo così le basi per l’accoglimento del principio di responsabilità sociale dell’attività economica.●

Nicola Lucifero è partner e responsabile del Dipartimento di Diritto Agroalimentare di LCA Studio Legale

Check list

Come valutare il livello di sostenibilità della propria azienda.

Se dovessimo dire qual è la parola del momento nel settore industriale non avremmo dubbi: sostenibilità.

Tema affascinante, non c’è dubbio, e che attira anche le simpatie del mondo ambientalista. Il rischio che si corre, però, è quello che sul tema della sostenibilità si intraprendano dei percorsi che non sempre sono, scusate il gioco di parole, sostenibili.

Ecco perché, forse, è meglio partire dall’inizio e cioè dal concetto di sostenibilità.

Sostenibilità, declinata secondo quello che è diventato un acronimo noto a molti, si scompone in ESG dove E sta per Environment / Ambiente, S sta per Social / Sociale e G per Governance / Gestione Economica.

Quindi, quando si parla di Sostenibilità in generale, e più specificatamente in azienda, è necessario valutare e operare affinché tutte e tre le componenti siano soddisfatte. Non avrebbe senso, infatti, drenare risorse economiche o sociali solo per raggiungere risultati ambientali e, ovviamente, il viceversa.

Inoltre è abbastanza evidente che i tre aspetti - Ambiente, Sociale e Gestione Economica - non sono in parti uguali, ma si differenziano molto, azienda per azienda, a secondo dell’ambito lavorativo in cui ciascuna opera.

Va considerata poi, con estrema attenzione, la Direttiva sul reporting di sostenibilità aziendale della Commissione europea, nota anche con l’acronimo CSRD (Corporate

Sustainability Reporting Directive), e adottata ufficialmente nel 2022. Su questa l’Europa vuole sviluppare le basi della finanza sostenibile.

Quindi, riassumendo le principali direttive europee, abbiamo la Tassonomia Green che si occupa dei principi fondamentali su cosa sia verde e sostenibile, il regolamento SFDR dell’informativa di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari e, infine, la direttiva CSRD rivolta alle imprese. Quali le finalità della direttiva stessa? Dare agli investitori un quadro più completo delle performance di sostenibilità delle aziende rispetto a quanto faceva la direttiva NFRD, ampliandone il campo di applicazione. Si parla di arrivare fino a cinquantamila aziende europee, comprese le piccole e medie imprese.

Certo, è una norma facoltativa, ma chi si tirerà indietro sapendo che rischia di non avere più finanziamenti dalle banche o un danno di reputazione con i propri clienti?

Meglio predisporsi per tempo per soddisfare questa nuova esigenza che sarà vincolante sempre di più nel prossimo futuro.

La domanda se le aziende italiane, e in particolare quelle liguri, siano pronte a questa impellente e irrinunciabile sfida non è banale. Se da un lato c’è ancora all’interno della direttiva CSRD poca chiarezza sui criteri su cui si possono misurare l’impatto ambientale e la società, dall’altra c’è la natura stessa delle PMI che spesso sono composte da un numero

esiguo di persone e, nella maggioranza dei casi, non sono ancora strutturate per affrontare questa nuova sfida. Sfida che va letta in un solo modo: opportunità. Non serve a nulla lamentare aggravi di costi o di impegno lavorativo. Meglio identificare da subito un percorso “sostenibile” per valutare e incrementare la propria Sostenibilità. Proviamo a calarci nel contesto di una piccola impresa familiare, magari altamente specializzata in manutenzione di impianti industriali, composta da una quindicina di persone che gravitano nell’orbita di poche medie o grandi industrie. È molto probabile che, a breve, questa azienda possa ricevere una comunicazione di questo tono: “Al fine di verificare il grado di sostenibilità della nostra supply chain la invitiamo a completare il questionario sulle attività ambientali, sociali e di governance adottate dalla sua impresa”. Possiamo ben immaginare quale possa essere la reazione di un imprenditore che non aveva mai preso in considerazione sino a quel momento questi aspetti della propria attività. Aspetti che, corre il caso di dirlo, fino a non molto tempo fa erano considerati “intangibili”, ovvero sicuramente meno significativi dal punto di vista della solidità finan-

ziaria rispetto a quelli “tangibili” rilevabili dal bilancio economico finanziario. Ma oggi sono proprio gli istituti di credito e le assicurazioni i primi a voler conoscere il livello di sostenibilità di una società prima di erogare prestiti o sottoscrivere nuove polizze.

In uno scenario che cambia, e cambia molto rapidamente, ecco che a fronte di una richiesta che arriva da uno dei primari clienti si deve essere in grado di fornire una risposta esauriente in tempi ragionevolmente brevi. Ma quali strumenti concreti possono aiutare una PMI a una prima valutazione delle proprie performance ambientali? E, soprattutto, quali strumenti a costo zero sono utilizzabili da chiunque, anche senza una specifica specializzazione in merito? Il primo suggerimento è quello di prendersi del tempo per analizzare serenamente, ma anche senza farsi sconti, lo stato attuale della propria azienda rispetto alla Sostenibilità. Si può partire proprio seguendo lo schema dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile definiti dall’ONU all’interno dell’agenda 2030.

Sono obiettivi strategici nell’ambito della valutazione ESG che riprendono 17 macro-temi ulteriormente scomposti in ulteriori sottoinsiemi.

Con un rapido confronto fra ciascun obiettivo e quanto l’azienda sta facendo o si propone di fare, è facile identificare alcuni punti di contatto.

Facciamo qualche esempio pratico.

Obiettivo 4 “Istruzione di qualità”: se l’azienda sta implementando o ha in programma di implementare a breve la formazione, rispetto a quanto già fatto in passato, può segnarlo fra i propri obiettivi ESG; oppure Obiettivo 8 “Lavoro dignitoso e crescita economica”: se l’azienda ha intrapreso un percorso di certificazione, sta implementandolo o aggiornandolo, ecco che può considerare anche questo; e ancora, obiettivo 12 “Consumo e produzione responsabili” e 13 “Lotta contro il cambiamento climatico”: se si è passati dalle bottigliette di plastica a distributori di acqua microfiltrata o a una gestione di raccolta differenziata spinta, abbiamo altri due obiettivi raggiunti.

Fatta questa prima semplice quanto importante analisi interna, il secondo suggerimento è quello di valutare la redazione di un bilancio di sostenibilità.

D’altra parte esiste già una precisa tabella di marcia stabilita dalla Commissione europea su questo aspetto: l’obbligo di redigere e rendere pubblico il bilancio di sostenibilità entrerà in vigore in fasi successive dal 2024 al 2028 e sarà esteso via via a un numero crescente di imprese. E sarà esteso fino al raggiungimento di tutte le PMI che rispettano i requisiti individuati da Bruxelles.

Tradotto, vuol dire che già nel corso di quest’anno alcune aziende hanno dovuto avviare la raccolta dei dati, monitorare le prestazioni e sviluppare le proprie strategie.

La redazione di un Bilancio di Sostenibilità va intesa come un investimento sul futuro, esattamente come se fosse l’acquisto di un nuovo macchinario.

Va affidato a professionisti capaci di tradurre numeri e attività in modo comprensibile, misurabile e credibile per tutti gli shareholder e stakeholder aziendali.

Solo così facendo sarà possibile passare, quasi senza accorgersene, dal parlare di Sostenibilità ad applicarla ogni giorno nella propria attività.●

Toys and Tenders

Successo per la tre-giorni dedicata agli accessori per yacht, organizzata dalla sezione Nautica di Confindustria Imperia.

Barbara Amerio Alessio Marziano

In gergo nautico è chiamata “toys and tenders” e rappresenta la combinazione tra tutti gli strumenti di intrattenimento e divertimento che sempre più vengono richiesti a bordo degli yacht e i mezzi di appoggio alle navi più grandi. Giochi acquatici, piscine, droni sottomarini, acqua scooter, seabike, seabreacher sono esempi di “toys”, mentre gommoni, scialuppe per barche da regata e da turismo, mezzi cabinati e dotati di stiva lo sono di “tenders”. Sono stati questi i protagonisti della prima edizione di “Toys and Tenders”, l’esposizione organizzata da venerdì 14 a domenica 16 aprile 2023, al porto di Cala del Forte di Ventimiglia, dalla sezione Nautica di Confindustria Imperia, che riunisce un network di professionisti sotto il nome di “Yacht Net - Riviera dei Fiori”.

Diciannove gli stand, provenienti da Liguria, Francia e Monaco, che hanno presentato innovativi toys per la nautica e incredibili tenders tra design di lusso e le ultime bizzarrie degli sport acquatici. Particolare attenzione è stata data alla sostenibilità con tenders completamente elettrici e gioielli dell’innovazione dedicati all’aspetto ludico e sportivo del mare alimentati a batteria e collegati a piccoli pannelli solari portatili.

Presenti anche piccoli mezzi e accessori per vivere le soste in rada, servizi nautici e broker, oltre alle eccellenze enogastronomiche della riviera di ponente destinate alle cambuse degli yachts. I molti e selezionati visitatori hanno apprezzato i prodotti degli espositori nella tre giorni di Ventimiglia; tra questi costruttori, progettisti e fornitori di yachts ma anche armatori, professionisti del settore e molti curiosi a dimostrazione di come il settore, nonostante possa essere definito di nicchia, sia in forte espansione e fornisca un valore aggiunto importante al comparto nautico. «Questa prima edizione di “Toys and Tenders” è stata occasione per mettere in relazione comandanti e armatori con le aziende produttrici e distributrici oltre che per avvicinare il grande pubblico» racconta Alessio Marziano, presidente della sezione Nautica di Confindustria Imperia.

La vicinanza alla Costa Azzurra ha permesso il coinvolgimento di espositori e visitatori stranieri, proiettando il “Salotto nautico” in un contesto internazionale, ma, allo stesso tempo, ribadendo la forte rilevanza della Regione, prima in Italia per sviluppo nautico, e con il primato per numero di ormeggi del Ponente ligure. Il porto di Cala del Forte di Ventimiglia è stato un perfetto palcoscenico anche per le diverse iniziative collaterali previste, tra cui l’area “free test” che ha riscosso interesse e partecipazione tra i visitatori, che hanno avuto l’occasione di provare i tenders in

mare aperto e collaudare insoliti yatch toys direttamente in acqua o dalla banchina. Positiva anche l’adesione all’animazione proposta per l’occasione dai ristoranti e bar del Porto che hanno offerto anche intrattenimento con musica dal vivo e un’ampia offerta di specialità culinarie. «Siamo stati molto soddisfatti della riuscita di questo primo appuntamento a Cala del Forte, un evento che ha parlato di turismo, sport, divertimento, sicurezza e salvaguardia del mare, ma anche e soprattutto delle potenzialità che questo territorio può ancora esprimere. Ci auguriamo che “Toys and tenders” possa divenire un appuntamento fisso per la nautica - continua Marziano -. I porti sono degli accessi privilegiati per una clientela di alta gamma che genera un indotto importante non soltanto nelle città costiere, ma anche verso l’entroterra: un’occasione di internalizzazione per le nostre aziende. Questo nuovo evento è stato da molti definito un vero e proprio Salotto Nautico dove si è anche incontrata e rappresentata la potenzialità economica del territorio della provincia di Imperia; ho apprezzato e fatta mia questa definizione che interpreta al meglio lo spirito della manifestazione».

L’inaugurazione dell’evento, che si è svolta alla presenza di numerose autorità civili e militari, si è aperta con i saluti di Alessio Marziano (presidente sezione Nautica Confindustria Imperia), Marco Cornacchia (direttore di Cala del Forte), Samuele De Lucia (già commissario straordinario del comune di Ventimiglia), Giovanni Larizza (comandante dell’ufficio locale marittimo di Ventimiglia), Enrico Lupi (presidente della Camera di Commercio Riviere di Liguria), Paolo Della Pietra (direttore di Confindustria Imperia). Ha chiuso la presentazione Barbara Amerio (presidente di Confindustria Imperia), dando l’inizio ufficiale all’evento.

L’esposizione è stata organizzata dalla sezione Nautica di Confindustria Imperia con l’obiettivo di offrire al mercato della riviera di Ponente e della Costa Azzurra un’occasione per scoprire nuovi prodotti, fare rete con i professionisti del settore, conoscere le ultime tendenze del design e della tecnologia e il singolare ed adrenalinico mondo di cui l’Imperiese è sempre più protagonista.

«Le eccellenze dello yachting del nostro territorio rappresentano un indotto rilevante e sono un importante elemento di traino per l’economia provinciale. Per questo la sezione Nautica ha avviato il progetto “Yatch Net - Riviera dei Fiori”, finalizzato alla valorizzazione di questo settore in espansione» spiega ancora Alessio Marziano. “Yacht Net - Riviera dei Fiori” è un’emanazione di Confindustria Nautica sezione Imperia che rappresenta le industrie e le imprese della nautica da diporto, opera per lo sviluppo del settore nautico, promuove la cultura del mare e lo sviluppo del turismo nautico in Italia. La sezione raduna quindici aziende del settore nautico. “Yacht Net- Riviera dei Fiori” ha esordito con successo lo scorso mese di settembre al “Cannes Yachting Festival”, il più importante appuntamento del settore nautico in Europa. Una decina le aziende presenti, di diverse tipologie tra marine, porti, cantieri navali e servizi in uno stand dedicato nella Luxury Gallery, all’interno dello spazio open gestito dall’Azienda Speciale della Camera di Commercio Riviere di Liguria in partnership con Liguria International.●

Alessandra Ariano è Responsabile ANCE Imperia

PICCOLA INDUSTRIA

Borsa o Fondi?

La crescita delle PMI con capitale in equity.

In uno scenario incerto, nel quale la globalizzazione segna una battuta di arresto, cui si accompagna l’incremento dei costi delle materie prime e dell’energia, in uno scenario di stabile inflazione, unitamente a un accesso al credito bancario sempre più impervio e a una crescente spinta, a livello politico e sociale, verso modalità di esercizio dell’attività economica sempre più vincolate tanto da doveri di attenzione e di salvaguardia delle risorse naturali, dell’ambiente e della dignità umana, quanto dalla necessità di tenersi al passo con la rivoluzione tecnologica rappresentata dalla intelligenza artificiale, anche le PMI italiane sono chiamate a un radicale cambiamento di paradigma. Lo sono perché uno siffatto scenario richiede: investimenti, in risorse, tecnologie e prodotti, che comportano necessità di mezzi finanziari e di dimensioni, patrimoniali ed economiche, non irrilevanti, coniugate all’acquisizione di professionalità, competenze e managerialità che non possono essere rinvenute solo nella ristretta cerchia familiare, che rappresenta il pilastro tradizionale delle PMI italiane, chiamate a impo-

stare il passaggio generazionale cui inesorabilmente le stesse PMI sono destinate.

Ed è all’interno di un tale orizzonte che il primo passo sia quello, per le PMI, di affrancarsi dalla offerta di capitale dal mondo bancario e di andare alla ricerca di canali alternativi di finanza che consentano di superare l’endemica sottocapitalizzazione del sistema industriale del nostro Paese e di preservare le caratteristiche tipiche che hanno fatto delle PMI italiane il motore della crescita dell’intero sistema economico e sociale italiano, oltre che campioni nella competizione a livello internazionale; ossia: flessibilità, proattività, dinamicità e immedesimazione dell’imprenditore (fondatore) con l’impresa stessa. Caratteristiche che, dinanzi allo scenario evocato, se non adeguatamente supportate da una crescita robusta del capitale, oltre che dall’innesto di risorse umane e da un cambiamento tanto nella struttura di governance, quanto negli obiettivi di sostenibilità nel medio-lungo periodo, verosimilmente non paiono più essere capaci di sorreggere ancora le sorti delle PMI.

74 Genova Impresa - Maggio / Giugno 2023
di Linda Morellini e Paolo Benazzo

Irrealistico è infatti immaginare di vincere la sfida di mercati senza adeguata patrimonializzazione, la sola che consente all’impresa di continuare a muoversi (come avvenuto nell’ultimo ventennio) alla ricerca dei costi di approvvigionamento più bassi e nei quali la transizione ecologica e la sostenibilità ESG saranno i nuovi driver del successo. Di qui, qualche riflessione per le PMI su quali possano essere i percorsi nella ricerca di finanza alternativa al debito bancario, con un’attenzione focalizzata sulla crescita attraverso l’Equity e dunque tralasciando forme alternative di acquisizione di capitali a titolo di Debt (si allude a: minibond; invoice lending; direct lending; ICOs e crypto-asset; Crowdfunding e piattaforme di Fintech, questi ultimi due adatti alle startup innovative e non a imprese in stato di (già) avanzata maturazione e prossime invece al (necessario) salto di crescita).

L’attenzione si concentrerà sull’acquisizione di capitali attraverso due opzioni: fondi di private equity e quotazione su mercati regolamentati. La ragione di una siffatta scelta è duplice in quanto si tratta di modalità: (i) che incidono sulla struttura dell’impresa, non solo in termini finanziari, ma anche, di governance, spingendo la PMI a un significativo, mutamento (interno) di paradigma, organizzativo e operativo; (ii) su cui si è concentrata - con particolare riferimento alla quotazione - l’attenzione del legislatore, a livello sia comunitario sia nazionale, con una scelta, netta, a favore della centralità, nel percorso finalizzato a promuovere la crescita delle PMI, dell’ingresso nei mercati di borsa. Quanto all’Unione Europea, con il Listing Act del dicembre 2022, preso atto della circostanza che, nel mercato comunitario, le PMI europee, pur impiegando almeno i due terzi della forza lavoro, creano l’85% dei nuovi posti di lavoro e generando circa i tre quinti della ricchezza europea, nel periodo tra il 2010 e il 2020, solo per il 4% hanno fatto ricorso al mercato dei capitali per finanziarsi, la Commissione Europea ha avviato un processo di modifica legislativa volta a rendere più appetibile la quotazione, con riduzione dei costi, semplificazione delle procedure per l’ingresso sul mercato, razionalizzazione degli obblighi informativi in termini di “informazioni privilegiate” e insider trading nonché armonizzazione delle normative nazionali con specifico riferimento all’ammissibilità di azioni a voto plurimo. Interventi sulla cui scia - il riferimento è ora al legislatore nazionalesi è venuto a porre il recentissimo disegno di legge (“Interventi a sostegno della competitività dei capitali”), con proposte di modifiche normative volte a rendere più efficiente non solo l’accesso, ma anche la permanenza delle imprese sui mercati dei capitali, senza ridurre i presìdi a tutela degli investitori e dell’integrità dei mercati stessi, con l’obiettivo ultimo, di (i) rimuovere i vincoli, normativi all’accesso al mercato da parte delle imprese, segnatamente delle PMI, (ii) introdurre misure che incentivino, la domanda e l’offerta, (iii) canalizzare il risparmio privato verso le imprese attraverso i mercati, assicurando al contempo la tutela degli investitori. In questa direzione vanno, sempre pensando alle PMI, tra le altre, le proposte di modifica contenute nel disegno di legge in parola che prevedono: (i) l’innalzamento della soglia delle PMI sino a società con capitalizzazione inferiore a 1 miliardo di euro; (ii) la dematerializzazione delle quote di PMI, con l’emissione in forma scritturale delle quo-

te standardizzate anche di PMI-s.r.l., con conseguente riduzione di costi ed oneri amministrativi legati all’emissione e al trasferimento delle quote; (iii) la facilitazione delle operazioni di ricapitalizzazione, introducendo, per un periodo sperimentale di due anni, quorum agevolati per l’approvazione delle delibere di aumento di capitale delle società e l’attribuzione (alle s.p.a.) della facoltà di deliberare l’aumento del capitale sociale con esclusione del diritto di opzione nei limiti del 20 per cento del capitale sociale preesistente, anche in assenza di espressa previsione statutaria al riguardo; (iv) la deroga all’articolo 2351, quarto comma, cod. civ., prevedendo l’incremento da tre a dieci del numero di voti da assegnare a ciascuna azione a voto plurimo e dunque garantendo alle società interessate alla quotazione la possibilità di assicurare in capo ai soci fondatori la conservazione di posizioni di potere, al netto della possibile diluizione conseguente all’apertura degli assetti proprietari al mercato (degli investitori). Preoccupazione, quest’ultima, che da sempre ha costituito un possibile ostacolo all’ingresso in borsa per le società a controllo familiare o comunque a ristretta e consolidata partecipazione azionaria.

La domanda da porsi è dunque quella relativa a quale delle due opzioni (fondi di investimento o quotazione in borsa) sia da considerarsi ottimale per una possibile crescita delle PMI italiane, capace di coniugare il rafforzamento delle risorse di capitale e la conservazione delle potenzialità proprie delle PMI. Domanda non certo agevole e forse neppure correttamente posta in questi termini così assoluti e astratti; domanda cui però ci si sente di rispondere - sempre in via generale - nel senso che le due opzioni non dovrebbero essere poste e lette in una statica contrapposizione alternativa, quanto piuttosto utilizzate in una dinamica consequenzialità congiunta. Vale a dire che le due opzioni potrebbero condurre alla metamorfosi e alla crescita delle PMI, in via ottimale, là ove perseguite consequenzialmente, partendo dall’apertura del capitale all’ingresso di fondi di investimento e sfociando poi nell’accesso al mercato di borsa o a sistemi multilaterali di negoziazione (qual è, in Italia, il mercato denominato Euronext Growth Milan che, in estrema sintesi, può essere visto, quale fase prodromica alla quotazione in un mercato regolamentato vero e proprio). Per arrivare a una siffatta conclusione, tuttavia, è bene percorrere in sintesi gli elementi di positività e di criticità propri ai due percorsi.

La quotazione in borsa rappresenta un efficace strumento per realizzare un progetto di crescita dimensionale, oltre che culturale e di visibilità sul mercato per una PMI: essa rappresenta infatti la via per aprire all’ingresso del capitale in società che, in ottica di lungo periodo, intendano finanziare la crescita, incrementare la competitività sui mercati e rafforzare la forza contrattuale, a valle e a monte, dell’intero processo industriale. Dal 2016 ad oggi 262 società quotate hanno raccolto attraverso la quotazione in Borsa quasi 5,6 miliardi di euro da investitori istituzionali per finanziare lo sviluppo. D’altro canto, la quotazione consente altresì all’imprenditore la monetizzazione del proprio successo: se infatti l’ingresso in quotazione (IPO) di norma avviene in forma di OPS (offerta pubblica di sottoscrizione) collocando sul mercato azioni di nuova emissione, non è esclusa la possibilità di un uso congiunto di OPS e di OPV

(ovverosia l’offerta di vendita di una parte della proprietà azionaria mediante il rilascio sul mercato di quote azionarie già esistenti). È però indubbio che l’ingresso in quotazione non è per tutti e impone condizioni, oneri, e mutamenti, sia nella fase di ammissione, sia di permanenza in borsa, particolarmente significativi non solo di natura finanziaria. E così la quotazione: è riservata alle PMI organizzate in forma di s.p.a; richiede, a livello esogeno, la congiuntura economica favorevole e, a livello endogeno, la compatibilità del modello di business, gli obiettivi dei soci, le capacità gestionali, il potenziale di crescita e le prospettive di posizionamento sul mercato, lo stadio del ciclo della vita dell’impresa e il suo track record, la valutazione dell’Enterprise Value; impone costi fissi e variabili rilevanti (ancorché mitigati con il meccanismo dei crediti di imposta); esige un allentamento della natura “familiare” dell’impresa e conseguente condivisione delle politiche di sviluppo e delle scelte strategiche con il mercato; necessita di assetti organizzativi, amministrativi e contabili più complessi, dell’implementazione di nuovi sistemi informativi e operativi, oltre che di regole di corporate governance interna nuove, incidenti su assetti proprietari, esercizio del voto, diritti di controllo dei soci, nomina e composizione del board; segna un momento di radicale, e disruptive, cambiamento per l’imprenditore nel configurare il suo ruolo, il suo potere e i suoi obiettivi rispetto alla sua PMI; un mutamento che, ove non adeguatamente preparato in un contesto aziendale e organizzativo pronto, rischia di esporre l’impresa stessa a spinte

telluriche tanto immediate, quanto esiziali, il tutto in un quadro di assoluta trasparenza verso il mercato, da realizzarsi attraverso un sistema di continua interlocuzione con il mercato, tanto su base periodica attraverso la Relazione annuale sul governo societario e sugli assetti proprietari e le relazioni finanziarie (bilancio annuale e relazione semestrale), quanto in forma episodica in caso di informazioni “price sensitive”. Ecco perché, in via generale, nel contesto delle PMI italiane, può venire in soccorso, per un virtuoso processo di crescita dimensionale, l’apertura del capitale all’ingresso dei fondi di investimento, cui potrà poi fare seguito l’ultimo (e definitivo) salto di crescita con l’ingresso in borsa, una volta raggiunti il consolidamento patrimoniale ed economico e la maturazione organizzativa interna. Rispetto alla quotazione l’accesso ai fondi di investimento i costi e gli oneri finanziari, oltre oi tempi, possono essere più ridotti, così come il mutamento nei paradigmi proprietari e organizzativi, può essere più graduale e, soprattutto, a realizzarsi per vie interne, piuttosto che essere imposto dall’esterno ad opera dalle regole del mercato borsistico. Sarà altresì possibile l’affiancamento di figure manageriali, la progressiva implementazione dei sistemi interni di controllo e di monitoraggio con la previsione di assetti organizzativi adeguati come imposto dalla legge stessa con il nuovo art. 2086, secondo co., cod. civ., capaci di migliorare l’efficienza e l’efficacia stessa dei processi decisionali già esistenti. D’altro canto, spesso i Fondi entrano nel capitale in posizioni di

THE DATE

La Piccola Industria di Confindustria Genova ha il piacere di invitare le imprese associate a una serata di business networking.

minoranza, soprattutto se un siffatto ingresso si inserisce nell’ambito di un progetto industriale da sviluppare con la permanenza sulla tolda di comando dell’imprenditore di riferimento. Di conseguenza, l’ingresso di siffatti investitori professionali nella governance e nella crescita della PMI avverrà in modo meno traumatico attraverso la previsione di diritti di voto limitati e condizionati; presenze solo di minoranza negli organi sociali di governo e di controllo; strumenti finanziari partecipativi a impatto contenuto sulla governance; patti parasociali solo di consultazione e di indirizzo strategico. Il ricorso ai Fondi può essere altresì lo strumento per allargare il network di relazioni, entrare in nuovi mercati e trovare sinergie industriali e commerciali; oltre che per affiancare l’imprenditore nel governo del proprio passaggio generazionale.

Anche nel caso dei Fondi, l’ingresso dei capitali esterni a titolo di equity si traduce nella necessità di adattamenti e aperture nell’organizzazione, nelle politiche gestionali e nelle scelte di bilancio: ma tutto questo avviene, o può essere fatto in modo che avvenga, in modo meno traumatico e in un orizzonte temporale più lungo. Secondo condizioni tali, dunque, da accompagnare la PMI nel suo processo di crescita economica, da un canto, e di maturazione proprietaria e gestionale, dall’altro canto, consolidandone la forza patrimoniale ed economica, ma assicurandone altresì la metamorfosi verso logiche, dinamiche e attitudini necessarie a che le imprese stesse possano evolvere verso grandezze e potenze di fuoco capaci di reggere l’urto dei cambiamenti del mondo esterno.

Non è forse un caso che gli ultimi risultati, che emergono da una ricerca condotta da PwC sulle imprese italiane partecipate dai fondi di private equity, evidenziano come, sul piano economico, queste crescano di più in fatturato e margini operativi e con tassi di incremento dell’occupazione superiori rispetto alla media nazionale. Nel decennio 20102021, si è infatti registrato un incremento medio annuo dei ricavi del 6,5% a fronte del +0,8% del PIL italiano; in termini di EbitDa la crescita è stata del 7,4% mentre il campione di aziende italiane di medie e grandi dimensioni considerato come benchmark è cresciuto dello 0,1%; l’occupazione il tasso di crescita è stato del 6% rispetto allo 0.2% del dato italiano e dello 0% delle aziende prese come benchmark, con una presenza complessiva dei fondi nelle imprese, negli ultimi 5 anni, di un totale di 35 mila società. Un’ultima riflessione con riguardo alle imprese PMI in stato di prossimità alla crisi o già coinvolte in un processo di regolazione della crisi. In questo caso, diversi sono gli strumenti di private equity che possono essere utilizzati nel processo di turnaround di un’impresa al fine di conseguire il riequilibrio economico finanziario e patrimoniale, qualora essa presenti segnali di crisi o di insolvenza reversibile. Senza pretesa di esaustività dei vari strumenti a disposizione ricordiamo quelli più ricorrenti che includono operazioni di spinoff, scissioni, leveraged by out (“LBO”), expansion capital, mezzanini, attribuzione di strumenti finanziari partecipativi (“SFP”). La scelta dello strumento e la strategia di intervento dipendono dallo stato dell’impresa, dagli obiettivi che vogliono essere raggiunti e dalle cause della crisi. Così, ad esempio, qualora l’esigenza sia quella di patrimonializzare l’impresa con la finalità di intensificare la sua pre-

senza sul mercato di riferimento, potrà essere fatto ricorso all’Expansion Capital: l’investitore apporta capitale di rischio e aiuta l’impresa anche attraverso la predisposizione di una nuova struttura organizzativa che affianchi soggetti qualificati all’imprenditore in modo da differenziare proprietà (dell’imprenditore) e gestione (dell’investitore). In questi casi verranno stipulati accordi, anche attraverso patti parasociali, in cui si declinano i meccanismi decisionali sulle scelte strategiche dell’impresa. Raggiunto l’obiettivo concordato tra imprenditore ed investitore, quest’ultimo avrà interesse a disinvestire liquidando la sua partecipazione, mentre il primo ritornerà ad essere socio di riferimento di un’impresa risanata in un contesto di mercato rinnovato. Qualora l’esigenza sia invece quella di natura finanziaria, l’imprenditore potrà avvalersi di investitori che alternativamente, a seconda delle finalità di questi ultimi (i) acquistano obbligazioni convertibili a valori ridotti per poi convertirle una volta recuperato valore, là ove l’ interesse dell’investitore sia quello di ottenere profitto con l’incremento dei multipli di valutazione, oppure (ii) assumono il controllo attraverso l’acquisto di nuove partecipazioni o asset dell’impresa ove l’obiettivo sia invece la crescita degli indicatori economici della società target oppure (iii) concedono finanziamenti (cd. finanziamenti mezzanini) che si pongono come vera e propria alternativa al contratto di finanziamento bancario a medio lungo termine con la differenza che in questi casi: sarà necessaria anche la stipula di un accordo separato tra creditori finanziari; la remunerazione del finanziatore avverrà attraverso il riconoscimento di un interesse da liquidarsi periodicamente per cassa o da capitalizzarsi interamente con rimborso alla scadenza finale della somma mutuata a cui può aggiungersi il cd. “equity kicker” legato alle performance aziendali.

Nel caso in cui l’esigenza sia di natura economica e/o manageriale potrà essere fatto ricorso a un’operazione di LBO in cui si procede all’acquisto della quota di maggioranza della società target in crisi per la sua successiva incorporazione nel veicolo societario appositamente creato.

Ove poi la crisi sia sfociata in grave insolvenza (pur reversibile) è possibile anche prevedere l’acquisto di crediti da parte dell’investitore al quale verranno riconosciuti SFP, ossia strumenti atipici rispetto alle azioni, considerati non parte del capitale sociale e neppure assoggettati alla disciplina dei conferimenti, pur contribuendo, nella maggior parte dei casi, a incrementare il patrimonio sociale, eventualmente dotati anche di diritti patrimoniali o amministrativi e di condizioni agevolate nell’exit.

La competenza nella scelta della modalità ritenuta più opportuna per la risoluzione della crisi, spetta all’organo amministrativo e siffatta decisione dovrà essere assunta in modo diligente in base alle esigenze del caso concreto, secondo un corretto processo decisionale, e in un rapporto di stretta proporzionalità tra sacrificio imposto ai soci e quello imposto ai creditori in coerenza anche con quanto disposto dalla Direttiva UE 2019/1023 (e dunque in una sfera di azione tutelata dalla insindacabilità secondo la c.d. “Business Judgment Rule”).●

Linda Morellini è Partner Studio Legale Giovanardi

Paolo Benazzo è Ordinario di Diritto Commerciale - Of Counsel

Studio Legale Giovanardi

# 10 lascia il segno!

DON’T CRACK UNDER PRESSURE

Gestione dello stress, situazioni critiche e negoziazione sono stati i temi della decima edizione del Bootcamp, il ritiro di formazione “esperienziale” del Gruppo Giovani.

Tra le iniziative più recenti organizzate dal Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Genova, si è svolto, a fine maggio il “Bootcamp” 2023, un “ritiro” di formazione e team building dedicato ai Giovani Imprenditori della Liguria e giunto quest’anno alla decima edizione.

Formazione e team building sono in effetti due temi trasversali su cui si impegna il Gruppo, e il Bootcamp è un’occasione per affrontarli in modo non convenzionale e divertente: il format prevede, nell’arco di due giorni, la “combo” di esperienze in aula e attività outdoor che ricadono sotto uno stesso tema unificante. Quest’anno il fil rouge è stato la gestione dello stress, declinato in particolare sulla velocità con cui prendere decisioni e sulla capacità di condurre efficacemente negoziazioni e interazioni. Il tutto condensato nell’espressione “don’t crack under pressure”, che dava il titolo a questa edizione.

La formazione in aula è stata condotta dal performance trainer di fama europea Emanuele Maria Sacchi, che avevo già avuto modo di conoscere durante un corso di forma-

zione di Confindustria e di cui mi ero professionalmente innamorata. A lui abbiamo chiesto di fornirci strumenti pratici per gestire al meglio situazioni di stress e di conflitto: secondo il suo insegnamento, tutto ruota intorno al carisma, al mondo di impostare le relazioni e di affrontare le situazioni critiche. L’uso dell’espressione “situazioni” non è casuale, perché dà il senso di un momento dinamico in cui ci si può impegnare in prima persona andando dritti al “nodo” critico, mentre al contrario la parola “problema” andrebbe eliminata perché rimanda a qualcosa di statico. Altro spunto semplice ma utile emerso dalla formazione, da applicare tanto nel lavoro quanto nella vita, è quello di riconoscere il valore altrui e comunicare il proprio apprezzamento per gli altri, ma farlo in modo disinteressato, ovvero senza aspettarsi che lo stesso atteggiamento venga adottato dagli altri nei nostri confronti.

Per quanto riguarda l’esperienza outdoor, quest’anno è stata davvero adrenalinica: abbiamo partecipato a un percorso accelerato di guida in pista sul Circuito Tazio Nuvolari di Cervesina, imparando anche tramite un simulatore di guida a lavorare sul sovrasterzo, sul sottosterzo, sulle curve... il tutto ad altissima velocità!

Infine, anche quest’anno lo studio BonelliErede ha sostenuto il Bootcamp e ha contribuito con una interessante testimonianza del partner Daniele Gambirasio sul tema di negoziazione.

Quest’edizione del Bootcamp, come le precedenti, è stata ben partecipata e il Gruppo è rimasto molto soddisfatto dell’esperienza. È un’opportunità da sfruttare al 100% e che non vediamo l’ora di ripetere.●

Le differenze con “l’altro” ci aiutano ad ampliare la prospettiva e riconoscere noi stessi per ciò che siamo. Eppure (o proprio per questo) molte delle nostre abitudini sociali sono basate su omogeneità ed esclusività.

di Bruno Mastroianni

Diversità e inclusione. Due parole che sentiamo ricorrere spesso e che portano con sé la promessa di favorire ambienti sociali e professionali in cui si convive meglio. Ma dobbiamo essere onesti: queste due parole, d’istinto, non ci piacciono. Come esseri umani siamo portati a desiderare quasi il loro contrario.

Pensiamo alla diversità: nella socializzazione tendiamo a cercare l’esatto opposto e cioè l’omogeneità. Circondarsi di persone simili, con cui si condividono linguaggio, abitudini e valori è una delle tendenze più tipiche dell’homo sapiens. Lo stesso vale per l’inclusione: si preferisce l’esclusione. La possibilità di frequentare ambienti esclusivi, non aperti a tutti, ben definiti nei loro elementi identitari, dà sicurezza e fa sentire speciali, fa percepire che si ha un posto significativo nel mondo.

Omogeneità ed esclusione sono due modalità di socializzazione con cui ogni essere umano, in modo istintivo, cerca di trovare un riflesso della sua identità in una schiera di affini e al contempo di tenere a distanza chi in quella cerchia non può rientrare.

È un fenomeno che si registra a tutti i livelli e ha conseguenze concrete sui nostri atti e le nostre parole. Lo si vede in modo evidente nelle discriminazioni di genere. Non solo nella loro versione classica della disparità uomo-donna, ma anche nella difficoltà a includere e considerare le forme di identità di genere ulteriori che non rispettano quella “rassicurante” separazione binaria.

Tutto questo discorso per arrivare alla radice del fenomeno che in fondo è semplice, ma anche contro-intuitiva. Ci verrebbe da pensare, infatti, che l’origine di ogni sessismo, razzismo, omotransfobia e così via, sia la paura dell’altro. E invece è l’esatto contrario: è la paura di sé stessi. Viene spontaneo interpretare la discriminazione come una reazione dovuta a un fattore esterno - l’altro diverso - che minaccia di togliere qualcosa alla solidità di una posizione identitaria. Mentre, se si osserva attentamente, l’uso della differenza per escludere non è un moto che viene dall’esterno, ma un sintomo generato da qualcosa di interno.

«La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e che mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò». Questa citazione dal romanzo “Dune” di Frank Herbert spiega bene come funziona la paura.

Siamo abituati a vedere questa naturale esperienza umana come qualcosa che arriva dall’esterno e ci porta fuori strada rispetto a ciò che desideriamo e vogliamo. Invece è l’esatto contrario: la vera funzione della paura è metterci di fronte a noi stessi, così come siamo, senza sovrastrutture confortanti o orpelli artificiosamente costruiti.

L’incontro con noi stessi reali, nudi e crudi, è la cosa che più vorremmo evitare perché ci costringe a sapere fino in fondo chi siamo. Per questo la diversità ci fa reagire in modo difensivo. Per questo abbiamo costruito sull’omogeneità e l’esclusività molte nostre abitudini sociali: ci permettono di attenuare quel “conosci te stesso” che fin dagli albori del pensiero filosofico è emersa come azione più impegnativa che può compiere l’essere umano. È quando sono di fronte a una differenza dell’altro - che sia di genere, di cultura, di linguaggio, di forma - che sono “costretto” a vedermi per ciò che sono. Finché sono tra simili e ho tenuto fuori tutti gli altri, posso sentirmi più al sicuro affidandomi al riflesso tra affini. È per questo che ambienti eminentemente maschili tendono a tenere fuori il femminile attraverso atti e parole che marcano e ribadiscono costantemente diversità ed esclusione. Modi per evitare sempre la stessa cosa: il timore fondamentale di percepire pienamente sé stessi davanti ai propri limiti. Eppure, come spiega bene la citazione di “Dune”, in questa paura c’è davvero l’opportunità più grande. Chi incontra sé stesso grazie alle differenze, sa dove è e riconosce ciò che gli manca. Fa paura, ma è la dotazione essenziale che getta le basi per ogni scelta davvero libera. «Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo», la frase attribuita ad Archimede si può applicare alla costruzione dell’identità di ogni essere umano: solo se c’è un punto di partenza affidabile si può tracciare un percorso. Lo sguardo crudo su di sé che la paura della differenza schiude è il punto su cui si può fare leva. Senza questo fulcro, ogni scelta, ogni direzione intrapresa subirà l’effetto di una mossa aleatoria, spesso inefficace. Gli sforzi per la parità di genere e per politiche anti-discriminazione rischiano di diventare una specie di messa in scena esteriore atta a farci sentire inclusivi, ma non a farci diventare tali nel profondo del nostro essere. La cura è ripartire dalla base: occorre lasciarsi “calpestare e attraversare” dalla paura della diversità - come spiega Herbert - affinché si arrivi a stare soli davanti a sé stessi. «Aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso», aggiunge lo scrittore. L’incontro con sé stessi non è un guizzo rapido a buon mercato. Richiede la capacità di prestare attenzione profonda (l’occhio interiore) e la pazienza di farla perdurare nel tempo (scrutare il percorso). Due virtù che oggi sono quanto mai necessarie per mantenere il governo umano di una società plasmata dall’accelerazione dei processi tecnologici.

Diversità e inclusione d’istinto non ci piacciono, è vero, ma se le vediamo come attraversamento della paura di sé, si mostrano come la via privilegiata per sapere chi siamo e, di conseguenza, decidere dove vogliamo andare.●

Bruno Mastroianni è filosofo e scrittore

Genova da industriale

Il passaggio dalla grande industrializzazione di inizio ‘900 all’Expo del 1992.

Le prime due rivoluzioni industriali sono passaggi di fondamentale importanza all’interno della storia, che si verificano in un periodo compreso tra la fine del Settecento e la fine del Primo conflitto mondiale. Rappresentano ancora oggi due capisaldi sui quali poggia il progresso della civiltà del nostro tempo; quello che ci sta traghettando, molto velocemente, oltre le frontiere della conoscenza di molteplici campi di applicazione, che variano dalle scienze della vita all’aerospazio, attraverso le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale. Il percorso di industrializzazione, in particolar modo quello riguardante la città di Genova, è assai lungo e articolato e ha comportato non solo molti mutamenti territoriali, ma anche socio-economici. Con l’avvento della terza rivoluzione industriale, avvenuta a ridosso della Seconda guerra mondiale, si apriranno nuovi orizzonti e prospettive, fondamentali per la modernità. Nasce così una nuova dimensione socio-economica e finanziaria, che porta a un netto miglioramento della qualità della vita, anche attraverso l’offerta di nuovi servizi, come ad esempio le telecomunicazioni.

Grandi cambiamenti, per verificarsi, prevedono anche un mutamento di tutto ciò che sta intorno. L’industrializzazione ha mutato il territorio e le persone, oltre che le produzioni e le menti. Il paesaggio urbano del Genovesato resta sostanzialmente immutato fin oltre l’Ottocento, appena scosso nella sua quiete dalla costruzione di qualche strada carrozzabile. Tra Voltri e Nervi esistevano già delle solide concentrazioni di manifatture, ben amalgamate nel territorio: cartiere (Val Cerusa, Leira e Varenna), tessili (Cornigliano, Sampierdarena e Rivarolo), oltre a sporadiche concerie nella Val Bisagno (Marassi, San Fruttuoso) e a Levante (Quarto) dove più tardi sorgeranno attività molitorie e di prodotti alimentari (Sturla, San Martino e Nervi). Sul litorale invece si alternavano cantieri navali, a conduzione ancora artigianale, ad ampie zone di spiaggia libera.

Questi primi edifici industriali si inseriscono negli spazi lasciati vuoti dalle ville, dai poderi e dalla proprietà terriera dell’aristocrazia genovese che continua a dominare l’economia locale ancora per gran parte dell’Ottocento.

Con la nascita della Gio. Ansaldo & C., nel 1853, Sampier-

Veduta aerea dello stabilimento Ansaldo della Fiumara prima e dopo

darena si conferma sito preferenziale per la produzione meccanica e punto d’inizio di un processo di invasione territoriale che, oltre a essere la manifestazione più evidente di una svolta storica nell’economia, deve essere ormai inteso come l’avvio della costruzione fisica della città industriale. I mutamenti nel territorio si susseguono come il propagarsi di un’onda, partita dalla foce del Polcevera. All’alba del nuovo secolo, l’Ansaldo controlla le aree più strategiche per il futuro industriale di Genova, in tre comuni limitrofi del Ponente suburbano. La città inizia ad orbitare attorno alle nuove produzioni industriali, avviate all’interno dei grandi stabilimenti acquistati dall’azienda. Genova sta diventando una grande potenza produttiva, e lo sarà per molti anni. Superate le varie avversità della prima metà del Novecento, come guerre, varie riconversioni produttive aziendali e crisi economiche, la nostra città cambia volto, mantenendo comunque il legame con l’attività industriale.

A Genova lo sviluppo economico del secondo dopoguerra ha seguito, quindi, le linee tracciate nei decenni precedenti, basandosi principalmente sull’industria pesante. Un processo che ha raggiunto il suo punto massimo nel corso degli anni ‘60, caratterizzati dal boom economico, per poi attraversare un’inversione di tendenza nel corso degli anni ‘70, quando le grandi industrie hanno fronteggiato una grave crisi. Quest’ultima, si è intrecciata con una nuova e crescente consapevolezza verso l’ambiente, che era stato sacrificato per la manodopera, attraverso una serie di trasformazioni che si sono rivelate irreversibili.

A partire dagli anni ‘80, questo tema, è entrato invece a far parte dell’agenda delle forze politiche. Gli anni ‘90 sono caratterizzati da profondi cambiamenti nel campo paesaggistico-ambientale, attraverso il differente uso di migliaia di ettari di terreno, tanto nel ponente quanto nella Val Polcevera, che ospita la grande distribuzione.

Questo processo raggiunge il suo culmine 139 anni dopo la fondazione dell’Ansaldo, nel 1992, quando, in occasione dell’Expo Internazionale, Genova conosce grandi rinnovamenti, tra i quali il nuovo Porto Antico, ad opera del grande architetto Renzo Piano. Il tema “Cristoforo Colombo - La nave e il mare”, si collega alla celebrazione del cinquecentenario della colonizzazione europea delle Americhe da parte del navigatore genovese.

Prima del 1992, l’area del Porto di Genova era molto diversa; con la crescita dei traffici portuali nel secondo dopoguerra, le strutture presenti erano diventate inadeguate e le navi iniziarono a spostarsi verso l’area di ponente. Le vecchie banchine del porto iniziarono a essere abbandonate e ad andare incontro al degrado. Si decise di dare un volto nuovo alla città, creando dei nuovi complessi architettonici, che non esaurissero le loro funzioni con la fine della manifestazione. Si pensò infatti a una serie di interventi per far sì che la zona venisse convertita in un centro culturale-turistico e commerciale.

Il primo intervento fu l’abbattimento del muro che divideva l’area portuale dalla città e che non permetteva il collegamento diretto tra i genovesi e il mare, poi si procedette al restauro e al collegamento dei vecchi moli, dove sorsero opere più moderne, anche per l’attrazione turistica come l’isola delle chiatte, la Nave Italia, collegata alla struttura dell’Acquario sul vecchio ponte Spinola, il Bigo che riprende

la struttura delle vecchie gru di carico-scarico merci e la Piazza delle Feste, una tensostruttura pensata per accogliere, appunto, feste, spettacoli ed eventi, che diventa in inverno una grande pista di pattinaggio, costruita sul vecchio Ponte Embriaco.

In generale tutta Genova è interessata da uno spiccato rinnovamento, prima di tutto, culturale. Molti edifici vengono ristrutturati, come palazzo San Giorgio che diverrà sede dell’autorità portuale, palazzo Ducale e il Teatro Carlo Felice, da poco riaperto al pubblico dopo l’ultimazione dei lavori di ristrutturazione post-bombardamenti della Seconda guerra mondiale. I Magazzini del Cotone, anticamente utilizzati per lo stoccaggio delle varie merci, diventeranno centro congressi e ospiteranno la nuova biblioteca Edmondo de Amicis e La Città dei Bambini.

Genova si prepara a diventare una delle capitali italiane della cultura. Anzi, nel 2004 viene addirittura insignita del titolo europeo. Malgrado l’Expo del 1992 non fosse riuscito a raggiungere gli obiettivi che si era prefissato, perché il numero dei visitatori fu molto più modesto rispetto a quello che gli organizzatori si aspettavano, Genova diventa di fatto una città proiettata nella modernità, affacciata sul mare, con quel senso di rispetto e devozione verso quello che è stato. Da grande polo industriale di inizio ‘900 a grande città turistica.●

Veduta aerea del Bigo appena costruito vicino a Ponte Embriaco, 1992
Veduta verso ponente del porto di Genova, fine ’800

CULTURA & SOCIETÀ

Ricordo di Asger Jorn

Il primo maggio di cinquant’anni fa moriva Asger Jorn: era nato a Vejrum, in Danimarca, il 3 marzo 1914. Aveva trascorso gran parte degli ultimi vent’anni ad Albissola, dove era giunto nella primavera del 1954 su suggerimento di Enrico Baj. Jorn si era ammalato di tubercolosi polmonare e quella località di mare, dove avrebbe potuto dedicarsi alla ceramica nell’atelier di Tullio Mazzotti, avrebbe certamente giovato alla sua salute. Inizialmente si stabilirà con la moglie e i bambini in una tenda piantata su un terreno prossimo al torrente Sansobbia che gli aveva concesso Aligi Sassu. Nel corso di quell’estate organizzerà gli incontri internazionali di ceramica a cui interverranno, tra gli altri, artisti del calibro di Karel Appel e Corneille (con cui aveva fondato nel 1948 a Parigi il Gruppo Cobra anche col contributo di Alechinsky, Constant e Dotremont), Enrico Baj, Lucio Fontana, Sebastian Matta ed Emilio Scanavino. Le opere realizzate nell’occasione saranno presentate alla X Triennale di Milano. In seguito potrà permettersi l’acquisto di una casa-studio che trasformerà in una vera opera d’arte disegnando e costruendo l’interno, i pavimenti del giardino, collocando le proprie ceramiche lungo i viali. L’incontro con Pinot Gallizio e Piero Simondo favorirà quindi la nascita a Cosio d’Arroscia, nell’entroterra d’Albenga, dell’Internazionale Situazionista. In un simile clima di fermento culturale e produttivo si innesterà nel 1959 la realizzazione presso la fabbrica San Giorgio di un murale, lungo quasi trenta metri e alto tre, destinato allo Staatgymnasium di Aarhus, in Danimarca. E così correrà la sua invenzione qui e in giro per l’Europa fino alla precoce fine. Da allora riposa in un piccolo cimitero sull’isola svedese di Gotland.● (L.C.)

Si ringrazia per la gentile concessione delle immagini il Museum Jorn https://museumjorn.dk Asger Jorn Enrico Baj, No titel, 1958 | © Donation Jorn, Silkeborg
Asger Jorn, Stalingrad, 1957-1972, 296x492 cm | © Donation Jorn, Silkeborg

CULTURA & SOCIETÀ

Alfredo Sosabravo al Museo Trucco di Albisola Superiore.
di Luciano Caprile

Cuba è un’isola anche artisticamente felice poiché ha assorbito i miti e i riti che hanno attraversato e conquistato i Caraibi e l’America centro-meridionale. Pensiamo a Wifredo Lam, figlio di un cinese e allevato da una sacerdotessa della religione Lucumi, che ha trasferito nelle sue opere certe simbologie suscitate da tale clima. Alfredo Sosabravo, nato come Lam a Sagua La Grande, si è avvalso invece delle memorie azteche e maya per condurre fino ai nostri giorni quel clima magico e misterioso dove il gesto cuce e ricuce anche in termini concreti (le tele accolgono elementi di stoffa inseriti con intendimento pittorico) una giocosa e gioiosa festa di incontri di personaggi e di allusioni narrative.

Sosabravo, sulla scia di Lam, si è recato parecchie volte ad Albissola sperimentando presso le manifatture Mazzotti, San Giorgio e Pierluca il piacere della ceramica su cui riversare questo suo mondo ricco di sorprese compositive dove l’immaginario e la realtà riescono felicemente a convivere proprio come avviene nel mondo dell’infanzia. In questo caso si tratta dell’infanzia di una cultura recuperata e resa viva e vitale dalle continue invenzioni che paiono rinnovarsi a ogni gesto.

Dal 2 giugno al 2 settembre il Museo Manlio Trucco di Albisola Superiore ospita “Sosabravo tra rito e mito”, una mostra di ceramiche del maestro cubano provenienti dai laboratori San Giorgio

Albissola Marina, Ceramiche San Giorgio
Alfredo Sosabravo e Silvana Priametto
Courtesy Giovanni Poggi

e Pierluca e da alcuni collezionisti privati. Nella circostanza egli ha riversato nei piatti, nei vasi e nelle sfere quella sua pirotecnica creatività rinnovandone ogni volta la seduzione. Prendiamo i tondi intitolati “Il gallo della fortuna”, “Farfalla notturna” e “Uomo uccello”, tutti concepiti nel 2002: l’assemblaggio dei frammenti di maiolica fornisce l’essenza compositiva di una fantasia che non conosce limiti espressivi; in altre circostanze sono invece i particolari pittorici a sigillare un volto in cui spiccano occhi depositari di un infinito stupore o a determinare il senso di un intreccio che si coordina con la circolarità che l’accoglie. Invece “Con pàjaros en la cabeza” veniamo catapultati in uno spazio decisamente monocromatico e tridimensionale dove un elemento totemico, dagli immemori rimandi ancestrali e dai rinnovabili spunti giocosi, ci fa comprendere ancora una volta come mistero e sorpresa riescano a promuovere l’incanto di una trascurata e, grazie a lui, rinnovabile infanzia dello spirito.

Così egli sposa e sposta l’infinito di un mondo che ritroviamo nel cuore, che riscopriamo in pensieri depositati al limite dello smarrimento. Così Alfredo Sosabravo, alla soglia dei novantatré anni, riesce ancora a stupirsi e a donarci il suo segreto della stupefazione.●

Alfredo Sosabravo - Piatto Ø cm 54, 2009 - Terracotta smaltata - Donna - Collezione privata
Albissola Marina, Ceramiche San GiorgioAlfredo SosabravoCourtesy
Giovanni Poggi

&L

La giovane casa editrice di Massa propone una visione “olivettiana” del rapporto tra civiltà industriale e mondo della cultura e dell’arte.

Per un lettore di professione ma senza curiosità, quello del binomio letteratura e industria può apparire un tema minore, storicamente rubricato. La letteratura industriale in senso stretto, non è stata, in fondo, che un breve capitolo di una strategia di avvicinamento fra la scrittura “impegnata” e il mondo dell’impresa, culminata nel quinquennio fra il 1961 e il 1965, all’interno di una più ampia dinamica socio-culturale; per la quale, oggi, a sessant’anni di distanza, ci restano a malapena una diecina di grandi o ottimi romanzi, alcuni numeri di un paio di riviste, delle ricerche, delle provocazioni, delle poesie e dei rari poemetti d’avanguardia degni di nota, e poco d’altro. Il tema, tuttavia, è ancora apertissimo e attuale. Come dimostra anche la vitalità dei premi che gli sono dedicati - sia di lungo corso e ormai preclaro curriculum (il Premio Biella Letteratura e Industria, che ha superato le venti edizioni), sia quasi neonati (il Premio Letteratura d’Impresa di Bergamo e Vicenza) ma con tutte le carte in regola per affermarsi con autorevolezza sul proprio territorio e non solo -, l’attenzione che gli riservano delle riviste sensibili alla questione (“Civiltà delle macchine” e la coraggiosa “Lune elettriche”, per esempio) e... almeno anche una casa editrice, che ha sede a Massa e ha un nome letteralmente auto-esplicativo: Industria & Letteratura.

Che il binomio industria-letteratura abbia ancora tanto da dirci, e da farci scoprire, non sorprende. Il confronto fra letteratura e industria è anche un modo intrigante di dire il

INDUSTRIA & LETTERATURA

Genova Impresa - Maggio / Giugno
di Massimo Morasso

dialogo fra politica e industria, fra università e industria, fra consumo e industria, fra società e industria. È un confronto, insomma, fra quasi tutto ciò che tocca nel vivo la nostra esistenza e quanto la orienta e, bene o male, la decide secondo gli schemi della produzione e della distribuzione dei beni. Oggi come ieri, e, probabilmente, anche come domani.

Dopo la prima rivoluzione industriale e le altre che si sono susseguite fino al 2011, quand’è stata coniata l’espressione Industria 4.0 - l’industria fatta per larga parte di computer e internet, per intenderci -, ci stiamo approntando a vivere l’era dell’Industria 5.0, l’industria “sostenibile, umanocentrica e resiliente” com’è stata definita, di recente, in un documento dell’Unione Europea. In un mondo sempre più dominato dalla tecnica e dall’Intelligenza Artificiale, l’assoluta necessità di un esame critico-sociologico e antropologico della realtà industriale è un fatto evidente di per sé. Un fatto, o una “rivelazione”, che sta alla base degli intenti di Industria & Letteratura, o di I&L, come l’editrice viene spesso abbreviata.

Industria & Letteratura è una piccola ma lungimirante e battagliera realtà, nata nel 2015 e decollata a partire dal 2020, che pubblica pochi titoli all’anno, con cura artigianale, mettendo a catalogo opere che sente connesse col presente e con la nostra alta tradizione letteraria. Come si può leggere sul sito www.industrialetteratura.it, il suo scopo è “una modalità dell’esplorare, del provare a vedere lontano, radicati in un passato, che non si declina in nostalgia, e consapevoli dell’oggi, senza farsi sopraffare dalle sue (nostre) miopie, che confondono troppo spesso la spinta continua delle emergenze con la radicalità lenta delle ‘urgenze’, individuali e collettive.”

Fuor di filosofia, I&L è una casa editrice che si rivolge a chi considera la letteratura nella sua relazione quotidiana con le cose del mondo, e che crede che la parola letteraria sia un elemento necessario alla comprensione della realtà e della società che la determina e accoglie. I&L si pone, perciò, come compito primario quello di dare uno spazio nuovo alla parola nata da una profonda e solida ricerca. La letteratura come parola libera è il perno della sua missione. Caratteristica essenziale di ogni libro e di ogni iniziativa culturale del team di I&L è quella di offrire un punto di vista utile, sul mondo e sull’umanità, per la costruzione di una nuova antropologia, centrata su una più consapevole sensibilità ecologica e su una visione convintamente “olivettiana” del rapporto tra civiltà industriale e mondo della cultura e dell’arte.

La casa editrice è diretta da Gabriel Del Sarto, uno fra i più bravi e apprezzati poeti italiani, laureato in Lettere con un master in orientamento, specializzato in counseling, che, oltre che fare l’editore e l’insegnante di lettere in un Istituto Tecnico, svolge attività di orientatore e formatore per enti, agenzie, aziende. La casa editrice, come idea, nacque sulla spinta del suo studio su Adriano Olivetti, appunto, cui Del Sarto dedicò, anni fa, un piccolo spettacolo di narrazione e musica. Anche il nuovo marchio editoriale sulle tracce di Olivetti si misura in un vero e proprio azzardo: tentare di tenere insieme due mondi che vivono vite fin troppo spesso separate, e che sono entrambi necessari e pieni di valori. Giacché l’industria, intesa anche come metonimia di tutto

il mondo produttivo, e della stessa industriosità umana, aveva ai tempi di Olivetti, e ha, forse, ancor più oggi, un disperato bisogno di bellezza, di umanizzazione concreta. La segreteria di I&L è affidata al figlio di Del Sarto, Michele. L’ufficio stampa è seguito da Massimo Salvati insieme a Diletta D’Angelo che segue, con Margherita Coccolo i canali social, mentre l’altro figlio di Del Sarto, Matteo, si occupa della grafica con Alessandro Golfieri. Niccolo ̀ Scaffai dirige la collana “Poetica”, Filippo Davoli la collana “Backstage”, Alessio Biagi la collana “Fabula”, Federico Nobili la collana “Pianeti Erranti” e Martino Baldi la collana “L’invisibile”. Ben presto nasceranno altre collane: una dedicata all’ecologia e spiritualità, sotto la guida di Laura Liberale, una di poesia giovane, seguita da Riccardo Frolloni, e una dedicata proprio all’industria e al mondo delle aziende, diretta da Alessandra Corbetta.

A tre anni dal suo lancio, l’editrice vanta già ottimi titoli riconosciuti dalla critica e apprezzati dal pubblico. Per dirne due, e dare quantomeno il senso della presenza “di qualità” del nuovo marchio nell’agorà di una parola (non soltanto) creativa che punta a farsi strumento di dialogo socio-politico, basta evocare “Quanti” di Flavio Santi - che, primo libro della collana di poesia, si è subito aggiudicato uno dei più prestigiosi premi letterari a livello nazionale, il Premio Viareggio-Rèpaci -, e “La vita vince ancora una volta” di Rosa Matteucci. Per chi non lo sapesse, la Matteucci è una romanziera rinomata, fra i pochi autori italiani a pubblicare con Adelphi, e vive a Genova da anni. Nel 2019 ha partecipato al progetto editoriale “Chiamami Impresa” che l’associazione culturale Contatti portò a compimento nell’ambito di Genova Capitale della Cultura d’Impresa, e l’anno scorso ha collaborato con Industria & Letteratura consegnandole un breve, delicato racconto, quasi una fiaba contemporanea, che Del Sarto & Co. hanno pubblicato con traduzione testo a fronte in ucraino, per poi distribuirlo gratuitamente agli Ucraini residenti e rifugiati in Italia, in segno di accoglienza. È ben vero, quindi, che industria e letteratura possono collaborare con profitto all’affermazione di un’idea di civiltà, e concepire insieme dei gesti capaci di rappresentare segni politici tangibili e (sempre più) opportuni.●

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