Voci - Numero 2 Anno 5 - Amnesty International in Sicilia

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VOcI

Rivista del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson”

DIAMO VOCE AI DIRITTI UMANI

i fatti e le idee

SETTEMBRE 2019

NUMERO 2 - ANNO 5

UOMINI

IN FUGA

«Quando ho acceso la prima candela di Amnesty avevo in mente un vecchio proverbio cinese: “Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità” Questo è oggi il motto per noi di Amnesty» (Peter Benenson)


VOcI VOCI - Rivista del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson” COMITATO DI REDAZIONE Chiara Di Maria Responsabile Circoscrizione Sicilia Amnesty International Italia Giuseppe Provenza Responsabile della Redazione Carmen Cera Direttrice del Centro di Documentazione per la Promozione e l’Educazione alla Tutela dei Diritti Umani “Peter Benenson”

IN QUESTO NUMERO Editoriale: Migrazione 3 di Chiara Di Maria

Le nostre reazioni all’immigrazione

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Emigrazione e squilibri economici

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di Aristide Donadio

di Vincenzo Fazio

Multinazionali, corruzione, povertà e migrazioni

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Mutamenti climatici e fenomeni migratori: non si fugge solo dalle guerre

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Uomini in fuga

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di Marta D’Alia

di Daniela Brignone

di Giuseppe Provenza

Silvia Intravaia Responsabile grafica

TUTTI I GIORNI

COLLABORANO

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Giorgio Beretta, Daniela Brignone, Paola Caridi, Francesco Castracane, Vincenzo Ceruso, Mouhamed Cissé, Carmen Cera, Martina Costa, (Coord. Am. Latina), (Coord. Europa), (Coord. Nord America), Marta D’Alia, Chiara Di Maria, Aristide Donadio, Vincenzo Fazio, Maurizio Gemelli, Liliana Maniscalco, Andrea Pira, Daniela Tomasino, Fulvio Vassallo Paleologo.

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Copertina: © Sea-Watch Org / DSC00111: Sea-Watch 3 - Mission 17 - 19 Days at Sea. Mar Mediterraneo, Gennaio 2019. SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5 - Voci


EDITORIALE di Chiara Di Maria

MIGRAZIONE: “in genere ogni spostamento, definitivo o temporaneo, di gruppi di esseri viventi (uomini o animali) da un territorio ad un altro, da una ad un’altra sede, determinato da ragioni varie, ma essenzialmente per necessità di vita” Questa è la definizione di migrazione trovata in un vecchio vocabolario di lingua italiana della libreria di casa.

Sono banalmente partita da un vocabolario perché credo che per ben comprendere un fenomeno bisogna innanzitutto partire dalla comprensione delle parole che lo identificano. Il fenomeno migratorio quindi, dalla citata definizione, non si qualifica come una situazione emergenziale o eccezionale, ma come un fenomeno assolutamente naturale per gli esseri umani e gli animali la cui causa è essenzialmente legata all’altrettanta naturale propensione dell’essere vivente alla conservazione della propria specie e alla sopravvivenza. Ebbene, l’errore di base in cui spesso oggi si incorre parlando di fenomeno migratorio è quello di demonizzarlo solo perché esiste la percezione che esso possa intaccare gli equilibri di una nazione o più nazioni coinvolte senza però soffermarsi sulla naturalezza dello stesso. Uomini e donne, infatti, migrano proprio per “necessità di vita”: povertà, corruzione delle forze politiche, sfruttamento delle terre e delle materie prime da parte delle multinazionali, cambiamenti climatici, conflitti armati, persecuzioni etniche e di genere. Nessuno lascia la propria casa se non per necessità, perché nessun luogo è migliore della propria casa! Questa è l’idea di casa che è emersa dalle tante storie di migranti raccolte da Amnesty International che tentano di raggiungere l’Europa via terra o via mare: uomini e donne che si muovono per fuggire dai pericoli dei loro paesi di origine perché vogliono vivere, e vogliono farlo al meglio! E, invece, si trovano costretti ad affrontare gli ulteriori pericoli del viaggio legati a rotte e percorsi non sicuri, e all’inospitalità dei porti in cui arrivano.

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E mentre in questi giorni può essere valutato positivamente l’accordo raggiunto a Malta riguardante un meccanismo temporaneo di sbarco delle persone soccorse nel Mediterraneo centrale, a lungo sollecitato dall’organizzazione per i diritti umani, Amnesty International si augura che l’attuazione di questo patto ponga fine all’osceno spettacolo di persone lasciate in mare per settimane a bordo delle navi che le hanno soccorse, in attesa di sapere dove, o persino se, potranno sbarcare. Sebbene riguardi solamente le persone soccorse nel Mediterraneo centrale, l’accordo raggiunto dai ministri degli Interni di Francia, Germania, Italia e Malta e da rappresentanti della presidenza del Consiglio dell’Unione europea e della Commissione europea è il segnale che i leader europei possono iniziare finalmente a gestire l’immigrazione in modo più responsabile e umano. Adesso è fondamentale che molti altri stati membri si uniscano presto all’accordo. Amnesty International continua a chiedere ai governi europei la cessazione della criminalizzazione della solidarietà e degli attacchi al sistema dell’immigrazione e dell’asilo e il contrasto all’odio derivante da un’errata percezione del fenomeno migratorio. Chiediamo al Governo Italiano di rafforzare il dialogo con gli altri leader dell’Unione europea nell’elaborazione di un serio piano riguardante gli sbarchi, la riforma del sistema di Dublino e percorsi sicuri e legali che forniscano alternative alle persone che si imbarcano in viaggi pericolosi; subordinare la cooperazione con la Libia ad alcune condizioni imprescindibili circa il trattamento di migranti e rifugiati; rivedere il sistema introdotto con il Decreto sicurezza in materia di protezione internazionale e avviare politiche di integrazione serie e di ampio respiro, a partire dal pieno reintegro del sistema Sprar. Solo l’integrazione fondata sul rispetto e la valorizzazione della multiculturalità, infatti, può condurre ad una ragionevole gestione del fenomeno migratorio, non certo la paura e l’odio generalizzato.

Chiara Di Maria Responsabile Circoscrizione Sicilia Amnesty International Italia

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Sociologia

LE NOSTRE REAZIONI ALL’IMMIGRAZIONE di Aristide Donadio

Ragazze etiope-israeliane con il volto dipinto a una manifestazione contro il razzismo e la discriminazione. Gerusalemme, Israele 2012 © SEBASTIAN SCHEINER / AP Photo

“L’illuminismo, nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso, ha perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura” M. Horkheimer, T. W. Adorno “Dialettica dell’illuminismo” Cercare di fornire motivazioni etiche e spiegazioni razionali a quanti, dalle singole persone ai grandi raggruppamenti, mostrino atteggiamenti e condotte intolleranti o razziste, è inutile e può addirittura sortire effetti controproducenti, inducendo non certo dei ripensamenti, ma ulteriori difese come la costruzione di nuovi alibi. Erich Fromm 1 sostiene che, per poter aggredire altri esseri umani, sono necessarie due condizioni: deumanizzarli e deresponsabilizzarsi. E’ necessario de-umanizzare le prossime vittime poiché, altrimenti, il percepirle come simili a sé indurrebbe inevitabilmente sentimenti di colpa con tutte le possibili conseguenze, come sintomi psico-somatici ed altro; per evitare l’innesco di percezioni sim 1  -  cfr. E. Fromm, Anatomia delle distruttività umana, Mondadori, Milano, 1978

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patiche va ridotta, se non annullata, la co-specificità, l’idea dell’appartenenza alla stessa specie, e, quindi, allo stesso destino. Per questo motivo Goebbels, responsabile della propaganda nazista, diffuse immagini di due figure, quella di una capra e quella di un ebreo, che lentamente convergevano, sino a indurre nel pubblico la conclusione della somiglianza fra i due e, quindi, della lontananza degli ebrei dalla specie umana. Allo stesso modo si evita di usare il termine, con tutti gli inevitabili rimandi che esso può avere, di -persone- quando ci si riferisce a quanti scappano da guerre, calamità o carestie, preferendo espressioni asettiche, neutre e giuridico-burocratiche come -clandestini-. La de-responsabilizzazione punta invece a ridurre o eliminare la percezione di sé come causa o fonte dell’atto distruttivo. Esempio tipico, almeno fino a non molti anni fa, veniva dato dalla presenza di tre diversi agenti di polizia penitenziaria, che premevano tre diversi pulsanti, ignorando quale dei tre effettivamente avrebbe dato la scossa letale al condannato a morte per sedia elettrica negli U.S.A. Allo stesso modo è possibile non sentirsi in colpa nel determinare il “reato di solidarietà” (favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, nda), come lo definisce Roberto Escobar 2 all’interno di ciò che Mimmo Lucano definisce il “decreto della disumanità” 3 (il  2 - AA.VV, E’ stato il vento, Novanta, Roma, 2019, p. 144  3  -  op. cit., p. 138

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Sociologia

decreto sicurezza, nda) che criminalizza e condanna chi chiede e chi offre aiuto, magari instillando dubbi sull’integrità di chi aiuta o sulle reali necessità di chi scappa, diffondendo immagini di immigrati sorridenti con telefonini a bordo di piscine, oppure convincendo l’opinione pubblica che gli stupri vedano protagonisti gli stessi immigrati, o che siano in corso delle vere e proprie ‘invasioni’ e che a rischio sia la nostra stessa civiltà, il tutto evitando accuratamente di indagare le cause profonde alla base di guerre, calamità e carestie. Lo stesso Escobar 4, docente di filosofia politica dell’Università di Milano, individua nell’affermazione del modello di società dell’homo oeconomicus, per cui non esiste società, relazione o solidarietà se non all’interno della famiglia, e nel dilagare del dogma neoliberista, che vuole il predominio dell’economia capitalista sulla politica, le cause profonde dello sviluppo d’una società totalmente anaffettiva, quindi svuotata di senso; ad analoghe conclusioni, del resto, erano giunti gli esponenti della Scuola di Francoforte 5. E’ necessario, per cogliere le cause profonde dell’intolleranza come di qualsiasi condotta distruttiva o asociale, armarsi di pazienza e tentare di cogliere la logica sottesa alle razionalizzazioni e intellettualizzazioni che, di volta in volta, vengono sviluppate per legittimare comportamenti manifestamente aggressivi. In genere troviamo alla base di una condotta un atteggiamento che rappresenta un orientamento favorevole/sfavorevole verso cose, persone, situazioni. Ma l’atteggiamento è certamente qualcosa di più complesso e attiene al sistema di emozioni, credenze, nozioni che costituiscono parte integrante e fondante della personalità di ogni individuo. Partiamo dalle emozioni. Molto dipende dalla primissime esperienze, dai vissuti che hanno agito da ‘imprinting’ negli atti iniziali della formazione della costituenda personalità, sin dalle prime sensazioni registrate in fase intrauterina. Erik Erikson individua, per ogni fase dello sviluppo psico-sociale dell’individuo, ciò che egli stesso definisce un ‘dilemma’, una sorta di posizione esistenziale in cui collocarsi nel delicato rapporto che l’individuo di volta in volta costruisce con la realtà interna ed esterna a sé. Il dilemma della prima fase, dalla nascita (ma certo molto proviene già da quanto vissuto dal feto nella vita intrauterina 6) e lungo tutto l’arco del primo anno di vita dell’individuo, viene denominato “fiducia-sfiducia”, posizioni che  4  -  cfr. R. Escobar, Il buono del mondo, le ragioni della solidarietà, Il Mulino, Bologna, 2018  5  -  cfr. E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea, Mondadori, Milano, 1995, ma anche, dello stesso autore “Avere o Essere?” e “Fuga dalla libertà”  6  -  Cfr. S. R. Petrosino, Donna e feto, Loffredo, Napoli, 1988

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rappresentano i due poli estremi del continuum di “scelte” in cui trovare la propria collocazione. E’ come se, il feto, prima, e l’infante poi, si chiedesse: è possibile fidarsi dell’universo in cui fluttuo e che mi schiuderà altri campi esistenziali? E’ davvero possibile fidarsi, affidarsi, lasciarsi andare? Che relazione posso costruire con questo possibile prolungamento di me all’interno della diade madre-figlio? E quale incontro/ scontro potrò mai avere con questo primo esemplare di altro da me, che tanto determinerà nei rapporti che avrò con futuri ‘altri-da-me’, con questo -prototipo di Altro- che è mio padre? A partire da questi primi significativi incontri, dalle costellazioni di rapporti ed esperienze e le relative plastiche rappresentazioni psichiche, l’individuo costruisce una sorta di mantra esistenziale che segnerà il senso da dare a se stesso ed all’altro-da-sé. Ciò che Bollnow 7 definisce ‘tonalità emotive’: ‘sonorità’ basse o alte che determineranno la sua visione del mondo, il livello di umore medio e il grado di apertura/chiusura verso il mondo intra/inter individuale. Queste tonalità emotive rappresentano l’humus da cui traggono origine tipologie di ragionamenti che, a ben vedere, non sono altro che razionalizzazioni a posteriori della tonalità emotiva di base. Tonalità bassa-depressione/ chiusura/paura costituiscono in tal modo il contraltare alla tonalità alta-gioia/ apertura/curiosità. Il livello di tonalità quindi precede i ragionamenti e li contrassegna, stabilendo persino la scelta di valori di riferimento: “Gli stati emotivi non solo determinano, ma costituiscono all’origine l’intenzionalità in quanto apertura che rivela l’essere nel mondo” 8, ma anche: “il sentire è sempre intenzionale e dischiude il mondo dei valori [...] l’intelligenza degli atti emotivi consente alla coscienza di percepire le qualità di valore del mondo [...] il sentimento vitale (o tonalità affettiva, nda) non reagisce ma anticipa il valore di eventuali stimoli, rappresentando l’orizzonte di riferimento affettivo in cui vengono percepiti e nel quale si verificano i vissuti [...]” 9. Quindi la qualità dei primi vissuti e dei primi incontri determina il tipo di ‘dilemma’ o di posizione esistenziale di cui ci parla Erikson ma anche, e consequenzialmente, la tonalità emotiva che ciascuno di noi inconsciamente adotta come ‘colonna sonora’ della propria esistenza: cupa e quindi in difesa da un mondo percepito come ostile e minaccioso, o luminosa e quindi protesa verso l’altro e il mondo in genere; i valori positivi o negativi da attribuire all’altro, diversi e migranti inclusi, non sono che il riflesso di questo retroterra. “Le tonalità emotive sono il substrato fondamentale di tutta la  7  -  Cfr. O. F. Bollnow (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano, 2009  8 - V. Costa, Vita emotiva e analisi trascendentale, in V. Melchiorre (a cura di), I luoghi del comprendere, Vita e Pensiero, Milano, 2000, p. 102  9  -  D. Bruzzone, cit. in O. F. Bollnow (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano, 2009, pp. XV-XXIV SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5 - Voci


Sociologia

vita umana, la forma più semplice e originaria in cui la vita percepisce se stessa e diviene cosciente di sé, determina i modi di essere e con-essere che caratterizzano l’esperienza umana. Nella tonalità emotiva, l’esserci diventa autosentimento situazionale che prepara la consapevolezza chiara e distinta della riflessione. Dalla tonalità emotiva dipende la qualità con cui è percepita e rappresentata l’esistenza. [...] L’effetto rivelatore della felicità, a differenza dell’angoscia e delle altre tonalità tristi o depressive, apre alla contemplazione fiduciosa del mondo e degli altri e predispone all’esperienza della propria compiutezza e della perfezione della realtà. [...], per penetrare l’essenza intima delle persone e delle cose è dunque necessaria una disposizione calma e felice, che essendo sicura in se stessa ha anche la tranquillità (capacità, nda) di prendere le cose per ciò che sono.” 10 Già nel 1939 Sartre afferma: “In ogni atteggiamento umano [...] ritroveremo il tutto della realtà umana poiché l’emozione è il tutto della realtà umana che si auto-assume e si ‘dirige commossa’ verso il mondo” 11. Esiste, evidentemente, un’intelligenza delle emozioni, che è altra cosa rispetto all’intelligenza emotiva intesa come alfabetizzazione e controllo. Le emozioni hanno una propria grammatica che ha bisogno di essere riconosciuta e adoperata per potersi dispiegare e per poter liberare creatività costruttiva, energia vitale, essere al servizio dell’autorealizzazione e della generatività. Non riconoscere le emozioni significa non dare loro dignità e senso, negarle significa comprimerle, e deformare le nostre emozioni non può che comportare delle involuzioni, delle deviazioni pericolose per il nostro e altrui benessere. Le emozioni vanno ‘suonate’ e agite, solo in tal modo potremo ritrovare unità ed armonia, solo in tal modo sarà possibile perseguire la sanità in luogo della normalità. Interessanti le analisi di Krishnananda 12 (Thomas Trobe) sul ruolo delle emozioni. Paura, vergogna, shock da trauma emotivo, ferite da abbandono e privazione risultano centrali, se non riconosciute ed elaborate, nella costruzione di corazze caratteriali e falsi Sé che, nel tempo, risultano impenetrabili. Le reazioni a questi vissuti negativi e le strategie che inconsciamente adoperiamo per evitare di imbatterci in essi, condizionano inevitabilmente la nostra vita, impedendo la costruzione di relazioni autentiche con noi stessi e con l’altro in generale: anche qui ritroviamo un passaggio fondamentale per la costruzione del desiderio dell’altro, quindi anche  10  -  D. Bruzzone, cit. in O. F. Bollnow (1956), Le tonalità emotive, Vita e Pensiero, Milano, 2009, pp. XXV-XXXI  11 - J. Sarte, L’immaginazione. Idee per una teoria delle emozioni, Bompiani, Milano, 2004, p. 163  12  -  cfr. Thomas Trobe (Krishnananda) e Gitte Demant Trobe (Amanda), A tu per tu con la paura, Feltrinelli, Milano, 2013

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del diverso e del migrante. E’ infatti indispensabile, afferma Krishnananda, riappropriarsi del proprio Sé emotivo restituendo cittadinanza a paure e vergogne, agli shock emotivi subiti, alle sensazioni corporee, a sentimenti, impulsi e compulsioni, smontando schemi relazionali negativi, smettendo di censurare la nostra creatività, negando comportamenti di dipendenza e riconoscendo tutti quei condizionamenti che ci hanno allontanato dal salutare incontro con noi stessi e con la realtà circostante. Le emozioni sono anche inevitabilmente legate e significate dalle tante rotture, lacerazioni e separazioni, lutti che costellano la nostra esistenza. “Al fondo di ogni vissuto sta una rottura. La vita è un incessante rompersi, anche se abitualmente inavvertito [...] Si mostra qui l’umanità originaria dell’emozione, la falda profonda di ogni emozione propriamente umana. Ci si trova, per essa, presi nella dinamica esistenziale [...] solamente nel patico si esiste”. 13 Il patico, afferma Masullo, è il ‘sentir-si’ che accompagna inevitabilmente ogni vissuto rendendolo un sentire mediante una rappresentazione mentale, la paticità è l’essenza intima di ogni vissuto, coscienza riflessiva autocentrata che qualifica il vissuto, prima ancora di diventare il linguistico -Io- e precedente alle sue determinazioni logico-concettuali. Masullo definisce questo modo di percepire e di percepirsi, di cogliere, anche emotivamente, ciò che mi accade, questo fenomeno della nostra coscienza, l’Arcisenso, qualcosa di difficilmente comunicabile all’esterno. All’autocentramento concorre anche ciò che Masullo definisce “la bruciante inquietudine dell’incontro con l’altro” 14 che sollecita, interpella, innesca un gioco di proiezioni e di vissuti simpatetici o antipatetici. Un incontro in cui ognuno anima del suo sé la percezione dell’altro e nel quale ognuno si sovradetermina individuando sé come l’io e l’altro come tu. Perché l’altro, nel nostro caso il migrante, sia vissuto come opportunità è allora necessario che vi siano adeguate tonalità di base ed un ambiente immediato che dia la stura alle naturali e innate tendenze pro-sociali, ludiche ed alla curiosità, altrimenti il rischio, tutto necrofilo, risiede nello sviluppo di pericolose cristallizzazioni esistenziali nella forma di egocentrismi ed etnocentrismi. Ugo Morelli 15 parla di ‘terrore pacificato’, per indicare quella sorta di autocensura che inconsciamente molti si infliggono per scongiurare il rischio dell’isolamento e della condanna sociale. Ci si adegua a ciò che Fromm definiva ‘patologia della normalità’ evitando di agire e persino pensare in modo dissonante rispetto al pensiero dominante per non subirne le  13 - A. Masullo, L’Arcisenso, Macerata, Quodlibet, 2018, pp. 14,15  14  -  op. cit., p. 16  15  -  cfr. Ugo Morelli, Conflitto, Milano, Meltemi, 2006

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Sociologia

conseguenze. Una finta ‘pace sociale’ ottenuta grazie alle autocensure indotte dai condizionamenti sociali del pensiero unico dominante che fa ritenere che un altro mondo semplicemente non possa esistere. Il post-panopticismo di Bauman è la realtà in cui siamo immersi, per cui non è più necessario vi sia un controllo (solo) esteriore, quel controllo pervasivo di cui narra Foucault 16, non abbiamo più bisogno di fattori correttivi esterni perché siamo manipolati alla nascita, i nostri stessi desideri, come dimostra Recalcati 17, sono stati sostituiti da bisogni indotti e devitalizzati nella loro carica erotica da una società ormai senza più padre, è la stessa specie umana ad uscirne modificata, forse irrimediabilmente 18. Le credenze hanno a che fare con la cultura in cui si è immersi, con i suoi miti e le sue narrazioni. Fromm afferma che le famiglie costituiscono “l’agente psichico della società”, vale a dire il ripetitore naturale di valori e idee dominanti in una determinata società e in un dato periodo storico. La questione drammatica sta nel fatto che il ‘ripetitore’ quasi sempre è del tutto inconsapevole sia della sua funzione vitale che della reale natura e portata di valori e idee che trasmette, con effetti catastrofici sulle vite delle generazioni successive. Non esiste alcuna possibilità di una trasmissione consapevole e critica delle narrazioni dominanti, saltano inesorabilmente tutti i necessari filtri e fattori protettivi rispetto alle inevitabili contraddizioni che società sempre più complesse e anomiche presentano. Genitori sovraccarichi rispetto al venir meno del Welfare, alienati in lavori sempre più precari e frustranti all’interno di costellazioni familiari sempre più traballanti e implodenti, non possono essere all’altezza di un incarico così grave e denso come quello genitoriale e, sempre per riferisi a Fromm, ‘catene nevrotiche generazionali’, si espandono nel corso dei secoli, con effetti perversi nella determinazione delle cittadinanze e delle politiche sociali. Ma anche le nozioni, le informazioni, l’aspetto cognitivo, apparentemente neutrale, risultano viziate dalle considerazioni precedenti. L’euristica cognitiva, la nostra rappresentazione mentale del reale, si basa necessariamente su una serie impressionante di deformazioni e approssimazioni su quanto ci circonda. E non potrebbe essere diversamente, considerando la complessità delle società contemporanee e il numero impressionante di situazioni in cui siamo costretti a fornire valutazioni in tempo reale su quando ci accade intorno. Un serie di ‘si’/’no’ per una sorta di sistema binario in cui siamo costretti a muoverci. Delle vere e

proprie scorciatoie cognitive che, inconsapevolmente, percorriamo e che segnano la qualità delle nostre scelte e della nostra stessa esistenza. A chi ci chiede se sia più ad est Napoli o Venezia non ci pensiamo due volte e rispondiamo ‘Venezia’, mentre Napoli si trova oltre 100 km più ad est di Venezia, perché la nostra euristica cognitiva ci conduce a dei ‘biases’, delle distorsioni o semplificazioni per cui, nella fattispecie, ci rappresentiamo mentalmente la Penisola perpendicolare rispetto all’Africa, mentre è situata diagonalmente. Sono ‘Biases’ anche gli stereotipi e i pregiudizi che tante volte condannano intere categorie di persone o persino intere etnie. La percezione sociale è figlia di queste distorsioni cognitive che, a loro volta s’inseriscono nell’alveo di Sé emotivi immaturi, di agenzie di socializzazione inadeguate o implose e di società necrofile. 19 La manipolazione e il controllo politico-partitico dei media e delle istituzioni stabilisce quali informazioni debbano circolare e quali vadano censurate, telegiornali e agenzie di informazione omologate riferiscono le stesse veline uniformate mentre circolano su scala planetaria format identici di intrattenimento per un pubblico sempre più grossolano e incapace di scelte e consumi critici. Lo stesso pensiero definito ‘scientifico’ appare, ad un’attenta analisi 20 per nulla obiettivo ed affidabile, eppure televisione e scienziati godono della fiducia incondizionata della quasi totalità della popolazione. Persino le istituzioni formative pubbliche sono al servizio degli interessi economicopolitici e del pensiero unico e dell’ideologia iperliberista dominanti. La deriva culturale attuale, che vede nella fuga da guerre e carestie dei migranti (non importa affatto se ‘economici’ o altro) in larga parte determinate proprio dalle politiche e dagli stili di vita occidentali, solo una minaccia o un pericolo, non è che uno dei tanti tristi esiti della situazione psicologica, sociale, politica e culturale sin qui appena tratteggiata. L’Occidente va trasformandosi in una miriade di piccoli fortini assediati il cui destino, nel lungo periodo, non potrà che essere lo stesso delle civiltà che non hanno saputo cogliere i segni del proprio declino ponendovi rimedio quando era ancora possibile farlo.

Aristide Donadio Psicosociologo e docente di Scienze umane presso i licei

16 - cfr. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 2014  17  -  cfr. Massimo Recalcati, Cosa resta del padre?, Milano, Cortina, 2017; idem, L’uomo senza inconscio, Milano, Cortina, 2010  18  -  Qualcosa di analogo ai ‘dispositivi governamentali’ di Agamben riferiti da Valeria Pinto nella sua opera ‘Valutare e punire’ o al ‘Poliziotto nella testa’ di Augusto Boal o, ancora, al concetto di ‘Fuga dalla libertà’, come dal titolo dell’opera, di Erich Fromm

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19 - Eric Fromm, Anatomia della distruttività umana, Milano, Mondadori, 1978  20  -  Horkheimer, La dialettica dell’illuminismo, cfr. pure P. K. Feyerabend, Contro il metodo, Milano, Feltrinelli, 2013 SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5 - Voci


Economia e sviluppo

EMIGRAZIONE E SQUILIBRI ECONOMICI di Vincenzo Fazio

Un bambino fa colazione in una discarica, dove centinaia di persone vivono e si guadagnano da vivere riciclando rifiuti e facendo carbone. Tondo, distretto popolare di Manila, Filippine 9 dicembre 2007 © DARREN WHITESIDE / Reuters

Se c’è qualcosa di positivo nella realtà che stiamo vivendo è che oggi possiamo capire meglio le questioni che ci assillano.

proporzionale all’entità delle differenze tra livelli di retribuzione esistenti tra diverse aree, nonché di altri fattori in massima parte di natura economica.

Emerge con chiarezza che i problemi gravi che ci stanno dianzi sono tutti tra di loro collegati: globalizzazione, disuguaglianze, disoccupazione, miseria diffusa, emigrazione, conflitti tra Cina, Usa, Russia, Europa, Islam e Occidente, ecc., sono tutte questioni interconnesse.

Ma oggi il problema è di natura diversa.

Occorre, quindi, avere una particolare attenzione al mondo nella sua interezza e affrontare tali questioni con una visione globale. Solo così si possono comprendere e risolvere. Veniamo alla questione che si vuole affrontare: esiste una correlazione tra emigrazione e squilibri economici? Indubbiamente si! La teoria economica si è da tempo occupata di tale correlazione ed ha dimostrato anche empiricamente che l’entità del fenomeno migratorio è direttamente Voci - SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5

Le diverse forme di emigrazione, sia quelle all’interno del cosiddetto occidente “sviluppato”, sia quelle epocali tra Africa, Asia ed Europa, oppure tra Messico e Stati Uniti sono di fatto proporzionali alle differenze tra fame e miserie nel mondo. Ma la spiegazione di tale correlazione richiede una spiegazione più ampia. C’entra la globalizzazione che ha spiazzato molta parte dell’economia occidentale, c’entra la tecnologia digitale che rende obsoleta l’attività manifatturiera tradizionale, c’entra l’intelligenza artificiale, che crea nuove opportunità di occupazione ma non in misura tale da compensare quella che nel frattempo si va distruggendo, c’entra la competizione non più tra nazioni ma tra continenti, c‘entrano anche coloro che strumentalizzano le lotte tra religioni, c’entrano perfino coloro che per 8


Economia e sviluppo

guadagnarsi il consenso della parte più debole della popolazione creano illusioni e provocano instabilità politica e avventure pericolose nei paesi di vecchia democrazia. La domanda sul perché si è allargata tanto la differenza tra paesi ricchi (o almeno che appaiono tali) e paesi poveri ha quindi ragione di esistere; ma la risposta è molto complessa e tutti i fenomeni indicati in precedenza fanno parte della risposta. La risposta invero è in parte anche da ricercare nella diffusione dei mezzi di comunicazione. Ma solo in parte, perché sia nel mondo, sia nella parte di esso più sviluppata gli squilibri si sono aggravati in maniera smisurata. Possiamo, comunque, essere tutti d’accordo che la povertà e la miseria sono fenomeni di cui si ha maggiore consapevolezza e che i flussi migratori effettivi e potenziali hanno raggiunto proporzioni epocali. Qual è la risposta che si sta dando? Gli Stati Uniti usano l’arma dei dazi nei confronti del Messico ottenendo una vittoria che è solo apparente perché le migrazioni potenziali restano e, tra l’altro, gli USA non sono affatto immuni da problemi di povertà interna. L’Europa, a parte le vicende controverse sui porti chiusi della politica italiana, resta ancorata di fatto ad una totale assenza di politiche adeguate. La Russia si tiene anch’essa lontana dal problema, impegnandosi in politiche che le possano consentire di riconquistare l’egemonia d’un tempo.

La Cina, da parte sua, persegue i propri interessi economici acquisendo risorse in Africa in cambio di qualche costruzione di infrastrutture a favore di chi le dà la disponibilità di tali risorse, ma con scarse ricadute sul problema della povertà endemica dell’Africa. Resta così irrisolto sia il problema della emigrazione epocale sia della crescita della povertà e della miseria in tutto il mondo. Torniamo al significato che assume l’avere una visione globale del mondo per comprendere ed avviare a soluzione entrambi i problemi di cui sopra. Se Cina, USA, Russia ed Europa invece di competere o meglio confliggere in vista di disastrose finalità di egemonia si rendessero conto che, al punto della storia in cui siamo, i problemi vanno affrontati con una visione comune, perché oggi la patria comune è il mondo nella sua globalità, potrebbero mettere insieme le loro tecnologie, le loro risorse finanziarie e la loro disoccupazione intellettuale per creare lavoro laddove c’è miseria, mortalità precoce e sopraffazione della dignità umana, con vantaggi anche per chi oggi è alla ricerca di una egemonia, ma in realtà è anche lui coinvolto in un destino comune con possibili conseguenze negative per tutti. Guardando le cose in tal modo, anche se può sembrare una utopia, si può capire perché oggi, al punto in cui è arrivata la storia del mondo, la solidarietà è razionalità! Vincenzo Fazio Docente di Economia della Cultura presso l’Università di Palermo Consulente giudiziario del Tribunale di Palermo

Rifugiati bloccati nel campo profughi di Idomeni a causa della chiusura delle frontiere dei paesi confinanti. Idomeni, Grecia, 9 aprile 2016. © ASHLEY WILEY / Foto stock / Getty Images

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Responsabilità sociale

MULTINAZIONALI, CORRUZIONE, POVERTÀ E MIGRAZIONI di Marta D’Alia

Un uomo mostra soldi spicci in valuta CFA in un mercato di Abidjan. In Costa d’Avorio, così come in molti altri paesi dell’area geografica, la mancanza di soldi spicci mette freno alle transizioni quotidiane e incoraggia le popolazioni locali a trovare soluzioni alternative. Abidjan, Costa d’Avorio, 29 marzo 2019 © SIA KAMBOU/AFP/Getty Images

Si sente spesso ripetere il leit motiv “aiutiamoli a casa loro”, riferito ai migranti che scappano da situazioni di povertà diffusa e guerre in numerosi paesi dell’Africa Sub-sahariana, dalla Siria, dallo Yemen e da altri numerosi paesi. Ma pochi si interrogano su come sia possibile trasformare questo modo di dire generalmente vuoto in un esperimento concreto di cooperazione. L’esempio di ciò che può accadere è la Costa d’Avorio, paese che dopo un colpo di stato alla fine degli anni ‘90, ha vissuto una spaccatura del paese letteralmente in due (il Nord e il Sud) per otto lunghi anni in cui la linea di demarcazione al centro del paese è stata controllata dalla Forza Licorne francese. Nel 2010, si sono tenute le prime elezioni democratiche dopo undici anni di empasse e governo di unità nazionale. A seguito di tali elezioni, sono però seguite degli scontri post-elettorali terminati nell’aprile del 2011 quando l’attuale Presidente della Repubblica, Alassane Ouattara, economista stimato a livello internazionale, assume legittimamente la presidenza. Il paese da lui guidato vive sin da quel momento una fase di grande Voci - SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5

espansione economica con un PIL annuo che si è aggirato negli ultimi otto anni intorno alla media annua del +7%. Eppure la Costa d’Avorio è attualmente e già da diversi anni uno dei primi paesi di emigrazione dell’Africa dell’Ovest. Allora la domanda è: perché? Se si analizzano i fenomeni socio-economici ivoriani, è possibile notare un enorme divario tra le condizioni di vita della metropoli Abidjan di una classe media sempre più benestante e tendenzialmente non disposta a migrare, e le condizioni di vita nelle campagne e nella zone più remote del paese, in cui i trafficanti di esseri umani effettuano il recruitment di coloro che diventeranno migranti irregolari, in un percorso che li porterà in Libia prima e solo in caso fortunato, in Europa dopo. E allora se la povertà è un elemento atavico che spinge in tutte le parti del mondo gli esseri umani che ne sono afflitti, a migrare, oggi come nel passato, è pur vero che altre altrettanto rilevanti ragioni possono essere individuate come cause o con-cause del fenomeno migratorio. Tra queste, è indubbio che la corruzione e lo sfruttamento delle terre e delle materie prime da parte di multinazionali abbiano una rilevanza enorme. La responsabilità del 10


Responsabilità sociale

Residenti che camminano sotto i cavi elettrici collegati sopra i tetti in un quartiere di Abidjan. 1 giugno 2019 © SIA KAMBOU/AFP/Getty Images

primo elemento, la corruzione, è a mio avviso da attribuirsi in primo luogo alle classi dirigenti degli stessi paesi di emigrazione, i quali, spesso formati ed educati in Europa o negli Stati Uniti, sono sprezzanti verso l’etica politica e il rispetto della cosa pubblica. Il secondo elemento è in qualche maniera una conseguenza del primo e a sua volta una causa indipendente che fomenta la migrazione illegale. Infatti, le multinazionali dovrebbero essere tenute al rispetto dei principi basilari del corporate social responsibility come elemento di guida dell’azione strategica ed economica della stessa società che tenga conto delle ripercussioni economiche, sociali e ambientali del proprio operato. Dall’altro lato, però, se anche le multinazionali, come è chiaro che sia, spesso disconoscono tali principi guida nella strategia da loro adottata per indirizzare le loro azioni, è pur vero che le azioni prive di scrupoli di tali attori dovrebbero incontrare l’opposizione dei dirigenti nazionali, il cui faro a loro volta dovrebbe essere lo sviluppo sostenibile del proprio paese dal punto di vista sociale ed ambientale. E allora che significa “aiutiamoli a casa loro”? Che contenuto positivo è possibile attribuire a questo concetto che di per sé nasconde la volontà di scrollarsi dalle responsabilità nei confronti di esseri umani che hanno la pecca di sperare in un futuro migliore per loro e le loro famiglie?

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L’aiuto in loco più pertinente in questo contesto è la cooperazione internazionale, non considerata solo nell’accezione della cooperazione umanitaria, seppur importante e necessaria in alcune aree del mondo. L’elaborare strategie per una cooperazione internazionale nei campi della conoscenza, della ricerca e nello sviluppo, nella formazione è ciò che può servire per modificare la percezione di un’intera generazione di giovani dei paesi emergenti. è solo con una società civile più consapevole, meglio istruita e più critica, che molti malcostumi legati alla corruzione e allo sfruttamento possono essere eliminati o quanto meno notevolmente circoscritti. è solo attraverso la formazione di una società civile attenta, che i dirigenti politici dovranno riflettere prima di agire in maniera sconsiderata, svendendo parti del proprio paese, concedendo autorizzazioni impossibili, o accettando compromessi di qualsiasi tipo. E questo circuito positivo è vero nei paesi emergenti come nei paesi occidentali, come l’Italia, ancora oggi afflitta da povertà e corruzione e incapace di valutare la propria classe politica e dirigente. Marta D’Alia Esperta di Diritto Internazionale Umanitario. Assistente giuridico nella promozione degli investimenti di imprese italiane nell’Africa dell’Ovest

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Attualità

MUTAMENTI CLIMATICI E FENOMENI MIGRATORI: NON SI FUGGE SOLO DALLE GUERRE di Daniela Brignone

Colonie di foche in Antartide / Foto per gentile concessione di Franco Guarino

Il circolo Polare Artico è l’inizio di tutto. Un luogo sperduto, dove la lotta per la sopravvivenza è un problema quotidiano, rappresenta il barometro dei cambiamenti climatici, confermando la regola dell’”effetto farfalla” secondo il quale un minimo mutamento in un territorio può provocare grandi devastazioni all’interno di un sistema. Ne è convinto Franco Guarino, esploratore e reporter, autore di imprese audaci e di racconti di viaggio, che ha trascorso lunghi periodi in quell’area ai confini del mondo per studiare la relazione tra migrazioni e cambiamenti climatici, per indagare l’uomo e il suo habitat in rapporto al territorio, ma anche la fauna e le sue migrazioni. È qui che si concentrano le spedizioni organizzate dai vari Paesi, mirate alle ricerche scientifiche sui temi del buco dell’ozono e dell’ambiente marino e atmosferico, atte a percepirne anche le minime variazioni e a valutarne l’impatto sull’ecosistema. Voci - SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5

Kotzebue, Alaska, USA / Foto per gentile concessione di Franco Guarino

Lo scioglimento dei ghiacciai, racconta Guarino, un processo inesorabile ormai avviato da tempo, monitorato costantemente dalla Nasa che ne rileva la deriva, da una parte rende accessibili territori che prima non lo erano, dall’altra provoca conseguenze disastrose causate dall’alterazione delle temperature marine e del sistema delle correnti. Nello stesso tempo, il confluire dell’acqua dolce nel mare ne modifica 12


AttualitĂ

Un iceberg su cui staziona una colonia di foche in Antartide / Foto per gentile concessione di Franco Guarino

Siberia / Foto per gentile concessione di Franco Guarino

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Attualità

Cani da slitta / Foto per gentile concessione di Franco Guarino

Orso polare. Mar glaciale artico / Foto per gentile concessione di Franco Guarino

l’habitat. La liberazione del suolo dai ghiacci innesca conseguentemente una corsa all’utilizzo sfrenato delle materie prime a cui partecipano varie potenze mondiali: terre di nessuno in cui non vige alcun trattato, diventano luoghi di scoperta e di opportunità, teatri di speculazioni e manipolazioni ambientali. La Russia, tra gli altri, per facilitare i trasporti fluviali nei territori emersi dalle nevi siberiane, luoghi incolti e ostili, appronta un sistema di comunicazione attraverso una rete ferroviaria che collega i fiumi dei quali sfrutta l’energia elettrica e le risorse. L’inquinamento, le mutazioni dell’ecosistema, provocati dall’eccessivo sfruttamento e dal conseguente depauperamento dei territori che sfociano in ineluttabili disastri nell’ecosistema, diventano la causa delle nuove migrazioni, dei cosiddetti “rifugiati ambientali”, secondo una definizione coniata dal professore egiziano El-Hinnawi nel 1985. Le geografie mutano lentamente e inesorabilmente di pari passo con i bisogni e le esigenze delle popolazioni per le quali diventa impossibile l’adattamento e inevitabile il cambiamento dei riferimenti vitali. Insieme al Circolo Polare Artico, anche le aree sahariane costituiscono un punto di osservazione fondamentale per lo studio del clima. In questi territori africani, l’avanzare della desertificazione costringe gli abitanti a spostarsi, mutando le proprie abitudini e generando conflitti per assicurarsi gli approvvigionamenti alimentari. Il Kenya, lacerato da guerre tribali per il controllo dell’acqua, è l’esempio di uno scenario destinato ad allargarsi ad altri Paesi. L’Egitto è tra quelli più a rischio in quanto sfrutta le risorse idriche del Nilo, un fiume condiviso da 9 territori ai quali spetta l’utilizzo di determinate percentuali di acqua che saranno sempre meno rispettate con il passare del tempo a causa della crescita demografica incontrollata. Un dominio che Voci - SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5

La tenda di Franco Guarino nel deserto del Sahara / Foto per gentile concessione

Tombe nel deserto. Sahara libico / Foto per gentile concessione di Franco Guarino

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Attualità

Camion carico di migranti nel deserto del Sahara / Foto per gentile concessione di Franco Guarino

coinvolgerà sempre più nazioni, mercificando un bene essenziale per la sopravvivenza che viene così privato delle sue accezioni vitale e simbolica, ridotto a puro business.

che diventa necessaria per difendere il patrimonio e la geografia dei luoghi ormai irrimediabilmente alterati, per preservarne quel pò di purezza e di genuinità che ancora permangono.

Secondo la Banca Mondiale, entro il 2050 si prevede una migrazione di circa 143 milioni di persone causata dai cambiamenti climatici, delle quali più della metà provenienti dal territorio sahariano.

Le spedizioni di Guarino nei luoghi ancora incontaminati, l’incontro con le popolazioni, l’osservazione dei loro usi e costumi, lo hanno introdotto in realtà destinate ad un mutamento dettato dalle nuove esigenze climatiche. Il suo è un resoconto drammatico di ciò che ha vissuto e che ha testimoniato attraverso i reportage per denunciare gli sprechi, i soprusi e le ingiustizie collegati alle migrazioni. Testimonianze che toccano il profondo dell’animo, che raccontano di una manipolazione, quella della natura e dell’uomo, che condurranno alla distruzione del pianeta senza uno sforzo collettivo. Che racconta, altresì, di valori vitali, perché si diffonda la consapevolezza di quanto stiamo perdendo e di ciò che resterà dopo il nostro passaggio.

La velocità del riscaldamento globale e i conseguenti mutamenti hanno già iniziato a destare preoccupazione presso gli organi di governo al punto che, già nel 2015, a Parigi, è stato firmato un accordo al fine di elaborare strategie per limitare gli effetti del surriscaldamento, riducendo le emissioni di gas serra, e per bloccare, a partire dal 2020, l’aumento delle temperature al di sotto dei due gradi. Un accordo ratificato dall’Unione Europea ed entrato in vigore il 4 novembre 2016 al quale hanno aderito 195 paesi del mondo, ad esclusione dell’Italia e della Germania. L’impegno dei governi è notevole perché comporterà una revisione dei settori economici, oltre ad un’assunzione di responsabilità in ordine allo sfruttamento e al degrado. L’attuazione di questi trattati porterà ad una variazione delle abitudini e degli stili di vita della popolazione 15

Daniela Brignone Storica dell’arte e critica

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Approfondimento

UOMINI IN FUGA di Giuseppe Provenza

Rifugiati rohingya si radunano nel campo profughi di Kutupalong in Bangladesh per commemorare il secondo anniversario della crisi del 2017 quando furono costretti a fuggire dalle loro case nello stato del Rakhine in Myanmar per sfuggire a una brutale persecuzione statale. I Rohingya fuggiti in Bangladesh si valuta siano circa 1,2 milioni. KUTUPALONG, COX’S BAZAR, BANGLADESH. 25 agosto 2019 © K M ASAD/LightRocket/Getty Images

Quella in cui viviamo può essere legittimamente definita l’età delle migrazioni, 271 milioni di persone, secondo l’ONU, oggi vivono fuori dal proprio luogo d’origine, il 3,50% della popolazione mondiale. Certamente molto sia in termini assoluti che relativi. Le migrazioni sono un fenomeno fisiologico che si è sempre verificato nella storia dell’umanità. Tuttavia le attuali dimensioni costituiscono un’anomalia che ha certamente cause ed effetti molteplici su cui molto si sta dibattendo sia per comprendere e cercare soluzioni, e quindi in termini positivi, sia per speculare, e quindi in termini negativi. In realtà, dentro quello che spesso viene visto come un unico fenomeno, ne coesistono due che vanno osservati, valutati ed affrontati distintamente: nell’ambito di quei 271 milioni di persone rientrano sia i migranti economici, sia i rifugiati ed i richiedenti asilo. I primi emigrano per scelta, sia pure spessissimo per scelta obbligata, per fuggire dalla povertà. Voci - SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5

I secondi, i richiedenti asilo e coloro a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato, sono invece le persone che l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) chiama i “forcibly displaced people”, letteralmente “persone forzatamente sfollate”. Queste persone, secondo l’UNHCR, al 19 giugno 2019 erano 70,8 milioni. [Fig. 1] Un dato salta subito agli occhi: 41,3 milioni di persone costrette alla fuga, ossia il 58,3%, sono rimaste nel proprio paese (IDP: Internally Displaced People). Si tratta di paesi con terrificanti guerre civili che costituiscono il motivo prevalente di fughe forzate, e di cui spesso l’opinione pubblica mondiale non ha sentore se non in occasione di qualche episodio clamoroso che coinvolge, spesso tragicamente, europei o americani. Questi paesi sono la Colombia, con 7,7 milioni di sfollati interni, la Siria con oltre 6 milioni, la Repubblica Democratica del Congo con 4,4 milioni e l’Iraq con 2,6 milioni a cui si aggiungono, con 16


Approfondimento

Fig. 1 - fonte: https://www.unhcr.org/figures-at-a-glance.html

circa due milioni di sfollati interni ciascuno, in Asia l’Afghanistan (1,8), e lo Yemen (2,0), in Africa il Sudan (2,0), il Sud Sudan (1,9), la Nigeria (1,7), e la Somalia (2,1), e in Europa l’Ucraina (1,8). Queste tragedie, quindi, il più delle volte si consumano all’interno dei paesi di origine. Fanno eccezione i tre casi riportati nel grafico dell’UNHCR con grandi quantità di rifugiati all’estero: Siria con 6,7 milioni, Afghanistan, con 2,7 milioni, e Sud Sudan con 2.3 milioni, a cui va aggiunta la Somalia con 1 milione. In totale coloro che sono fuggiti in altri paesi sono circa 29,4 milioni (25,9 milioni di rifugiati e 3,5 milioni di richiedenti asilo).

La Turchia, con 3,7 milioni di rifugiati dalla Siria, il Pakistan, con 1,4 milioni dall’Afghanistan, l’Uganda, con 1,2 milioni da Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan, il Sudan, con 1,1 milioni dal Sud Sudan, la Germania, con 1,1 milioni da varie origini, a cui va aggiunto il Libano che con il suo milione di rifugiati dalla Siria costituisce un caso particolare in relazione alla propria popolazione di soli 4,5 milioni di persone. I rifugiati in Libano sono quindi oltre il 22% rispetto alla popolazione residente. Un profugo siriano ogni quattro libanesi!

Verso quali paesi in prevalenza? La maggior parte delle persone in fuga si ferma in paesi vicini, il più delle volte confinanti con quelli di origine.

In confronto a queste cifre, appare poca cosa il numero di rifugiati e richiedenti asilo in Italia. In atto l’Italia accoglie circa 170 mila rifugiati, a cui si aggiungono circa 150 mila richiedenti asilo. Una percentuale irrisoria, quindi, rispetto ai sei milioni di immigrati in Italia, quasi totalmente migranti economici.

Dal grafico dell’UNHCR si rileva che i paesi che hanno ospitato il maggior numero di rifugiati sono:

Sempre restando nell’ambito della guerra, va sottolineato che una frequente causa di fuga è

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Approfondimento

Attrezzatura da cucina in campo profughi nel centro di Port au Prince (IDP Camp). Haiti, febbraio 2010 © CLAUDIAD/Foto stock/Getty Images

costituita dalla persecuzione religiosa che si manifesta il più delle volte sotto forma di guerra civile. Le persecuzioni religiose sono una calamità presente in varie parti del mondo. Dalla Repubblica Democratica del Congo, dalla Repubblica Centro Africana, dalla Nigeria, dal Pakistan, centinaia di miglia di persone fuggono da persecuzioni religiose che mettono a repentaglio la loro vita. La Repubblica Centrafricana, ex colonia francese, si trova in permanente stato di guerra civile dopo che nel 2013 il presidente Francois Bozize è stato rovesciato da un gruppo ribelle musulmano, denominato Seleka. Gli abusi di Seleka contro la popolazione cristiana hanno portato alla nascita di gruppi di autodifesa (anti-Balaka) che, a loro volta, si sono macchiati di violenze inaudite. Di tale stato di cose riferisce il rapporto 2017-2018 di Amnesty International. “Tra il 27 e il 30 giugno, almeno 22 persone sono morte quando forze anti-balaka hanno attaccato i quartieri a predominanza musulmana della città di Zemio.” “Il 10 ottobre, almeno 25 persone sono state uccise in una moschea quando gli anti-balaka hanno attaccato la città di Kembe, nella provincia di Basse-Kotto.” Voci - SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5

Guerra quindi fomentata o, probabilmente, mascherata dall’odio per motivi religiosi, da guerra religiosa. In questo caso si tratta dell’antico scontro fra cristiani e musulmani, in altri, come in Siria ed Yemen di guerra interna all’Islam, fra Sciiti e Sunniti. A chi giovano le guerre? Certamente non alle popolazioni locali. Giovano ai pochi capi, o capetti, che riescono a far trionfare le proprie ambizioni di potere, ma giovano soprattutto a chi rifornisce questi gruppi, e le forze armate statali, di armi e munizioni, di mezzi di locomozione, di abbigliamento. Attrezzature certamente non prodotte localmente ma provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti, dove certamente non esiste alcun interesse a far cessare questo stato di cose. Tuttavia le cause di fuga non si esauriscono nelle guerre variamente giustificate. Da varie zone del mondo si fugge per le violenze nei confronti delle donne e l’imposizione di matrimoni forzati. Si veda l’esempio della Nigeria. In proposito sul rapporto Amnesty 2017-2018 si legge: “Donne e ragazze sfollate internamente nel nord-est del paese hanno denunciato di essere state vittime di episodi di violenza legata al genere, come 18


Approfondimento

stupri e forme di sfruttamento sessuale, spesso in cambio di cibo e altri beni di prima necessità, da parte di ufficiali militari e membri della task force civile congiunta.” Da altri paesi si fugge anche per la persecuzione etnica. Un caso limite è rappresentato dal Myanmar, dove è da tempo in atto la persecuzione, da parte dello stato, delle popolazioni rohingya, come si legge in proposito sul rapporto Amnesty 2017-2018: “Lo stato di Rakhine è precipitato nella crisi quando le forze di sicurezza hanno scatenato una campagna di violenze contro la minoranza etnica rohingya a prevalenza musulmana, nella parte settentrionale dello stato, in risposta agli attacchi coordinati compiuti a fine agosto dal gruppo armato Esercito della salvezza dei rohingya di Arakan (Arakan Rohingya Salvation Army – Arsa), contro circa 30 posti di blocco.” I Rohingya fuggiti in Bangladesh si valuta siano circa 1,2 milioni. Altra causa di fuga è l’omofobia. Parecchi paesi, negli ultimi anni, hanno visto fuggire migliaia di persone LGBTI. Si tratta soprattutto del Brasile, della Nigeria, del Camerun, del Bangladesh, del Pakistan, della Cecenia, stato della Federazione Russa. Caso emblematico di persecuzione di una persona LGBTI è stato quello della brasiliana Marielle Franco, difensora di emarginati ed LGBTI, tragicamente uccisa in un agguato nel marzo del 2018. Riguardo alla persecuzione in Brasile di persone LGBTI, il rapporto 2017-2018 di Amnesty così si esprime: “Secondo il Bahia Gay Group, tra il 1° gennaio e il 20 settembre in Brasile sono state uccise 277 persone Lgbti, il numero più alto mai registrato da quando il gruppo aveva iniziato a raccogliere i dati nel 1980. Il 15 febbraio, Dandara dos Santos, una donna transgender, è stata percossa a morte nel quartiere di Bom Jardim, nella città di Fortaleza.” Una persona su 100 nel mondo, dunque, è oggi in fuga per un motivo o per un altro. Se appare, ed è, elevata quella percentuale del 3,50% di persone che emigrano nel mondo, è mostruoso che fra queste un terzo circa fugga forzatamente per salvare la vita! Che l’1% dell’umanità oggi fugga, nel 21° secolo, in un’epoca che qualcuno, illudendosi, giudica civile è decisamente inaccettabile. Eppure non si fa nulla di veramente efficace per modificare questo stato di cose, anzi si fermano e si respingono sia coloro che hanno fatto la scelta di migrare, sia coloro che questa scelta non l’hanno fatta ma sono in fuga per la salvezza della vita propria e dei familiari. 19

Marielle Franco, HRD e consigliera comunale, uccisa il 14 marzo 2018 nel centro di Rio de Janeiro, Brasile. © MÍDIA NINJA

Eppure c’è chi specula e si arricchisce sulla pelle di quelle popolazioni in paesi ex colonie europee, mettendo in atto un vergognoso neo colonialismo, sfruttando economicamente e mantenendo condizioni di sottosviluppo sociale che permettono il divampare di guerre senza senso e di visioni ottuse della vita fondate sull’odio. Come far uscire questi paesi da tali condizioni è l’interrogativo di tutti coloro, che per fortuna sono molti, che hanno a cuore la dignità inviolabile dell’essere umano. Si professa l’autodeterminazione per sostenere che quei paesi debbano crescere da soli e non si debba far nulla per aiutarli. L’interrogativo che nasce spontaneo è se sia possibile che i paesi che oggi sono oppressi e depressi dalle ex potenze coloniali possano realmente liberarsi dalla speculazione di queste ultime, o se ciò sia invece impossibile finché il cambiamento non avvenga nel così detto mondo occidentale che finalmente intraprenda la strada di una reale civiltà basata sul rispetto della dignità di tutti gli uomini, ovunque si trovino. Giuseppe Provenza Membro del Comitato direttivo di Amnesty International Italia Membro del Gruppo Amnesty Italia 233

SETTEMBRE 2019 N.2 / A.5 - Voci


«Io ho un sogno, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue condizioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.» (Martin Luter King – Washington – 28 agosto 1963) www.amnestysicilia.org

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