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gior ni di Cronaca, Politica, Spor t e Cultura

N. 4 anno X - 31 gennaio 2015 - € 1,00 ISSN 1974-2932 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abb. Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, Dr/CBPA - Catania

Ennesima presa in giro di Nunzia Scalzo Pensavamo di essere abituati a tutto e invece ci siamo dovuti ricredere: al Comune di Catania sono inarrivabili e continuano a superare se stessi. La nuova trovata stavolta arriva dall’Amt. Tra le aziende pubbliche dei trasporti quasi completamente a zampe per aria, l’Amt pensa positivo e si dà alle spese pazze. Non si guardi il pelo nell’uovo, ma la trovata di investire 42mila euro per un posto di addetto stampa appare un tantino esagerato. Anzi folle. Se a questo si aggiunge che qualche genio del Comune ha pensato di inserire il bando nella sezione gare invece che in quella dei concorsi, il sospetto che sia stato pensato ad hoc per favorire qualcuno e non garantire le medesime possibilità per tutti gli altri non è più tale: è certezza. Premesso che ogniqualvolta viene assunto un collega è sempre una festa, chiunque esso sia, quello che non si riesce a digerire è la modalità “presa per il culo” cui sono ricorsi al Comune, e fa parecchio schifo questo limonare tra il destinatario di quel posto e l’azienda medesima. Meglio sarebbe stato che il giornalista destinatario del provvedimento fosse stato assunto per chiamata diretta e tutti saremmo stati felici. Ormai siamo tutti grandini e piuttosto disincantati, i giochetti di prestigio non fanno continua a pag 12

Siracusa

Catania

Registro tumori: è caos sui numeri

Strisce blu notturne: il mea culpa della banda Bianco

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G . B u sà

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GENNAIO 2015 - Politica regionale

Per grazia… rifiutata: e in Sicilia l’esem d i Maria de lo s Angeles Ga rcia Totò Cuffaro e la giustizia - Per fortuna c’è il grande Totò... a rendere omaggio alla politica con la “pi” maiuscola. Grazie al suo orgoglioso, altisonante “no”, questa settimana abbiamo un argomento degno di aprire la nostra consueta carrellata settimanale sulla vita delle istituzioni siciliane. Dinanzi allo scintillante squallore del “tira a campare” che caratterizza la vita politica siciliana, l’alto profilo di dignità esibito – dal carcere di Rebibbia - dal più giovane tra gli ex presidenti della Regione Siciliana: Totò Cuffaro, ha affascinato i più. “Non voglio la carità”, ha fatto sapere dalla sua cella Cuffaro, rigettando e cancellando, la richiesta di “grazia” che era stata presentata – evidentemente a sua insaputa - dall’anziana madre attraverso i carabinieri di Raffadali. “Ho saputo quasi per caso – ha raccontato Cuffaro – dell’iniziativa presa da mia madre, poco prima che le sue condizioni di salute si aggravassero. Lei voleva certamente dimostrarmi il suo affetto. Ma io – afferma Totò Cuffaro – son costretto a chiedere che la sua richiesta venga cestinata”. “Potrei accettare – dice l’ex presidente – solo un provvedimento di clemenza che riguardi tutti i detenuti d’Italia. O una vera e propria amnistia. Non posso e non voglio chiedere né accettare la carità di nessuno. Finora ho solo chiesto che fossero rispettati i miei diritti di uomo e di detenuto in “soprannumero”. E non sono stato ascoltato. Rimango in cella dunque, a scontare la mia pena”. Ecco, dinanzi a un gigante Non si può che togliersi il cappello. Anche perché, il resto del “circo” è animato solo da veri e propri campioni di nanismo politico ed etico. Provare per credere. Politica e giustizia L’altro “fatto” che ha agitato la cronaca regionale, durante questa fiacxca settimana, è intimamente legato al rapporto “malato” che esiste tra politica e gisutizia. Ha fatto scalpore infatti, la denuncia di un avvocato palermitano – Enzo Tinaglia – che accusa la politica di avere truccato le carte

C’è chi muore di fame, chi prova a cambiare vita e… chi crede ancora nei valori negati dalla politica: uguaglianza, dignità, coerenza – Crocetta va a Roma per eleggere il capo dello stato e in Sicilia lascia il caos… di un processo in cui l’imputato eccellente sarebbe stato il senatore Giuseppe Lumia, grande amico e ispiratore politico del governatore siciliano, Saro Crocetta. In sintesi, l’avvocato ritiene che Vania Contraffatto, ex procuratore della repubblica, abbia scagionato il senatore Lumia dall’accusa di diffamazione avanzata dal legale, solo per appartenenza politica. Una appartenenza premiata, poi, con la nomina a componente del governo regionale. Una denuncia, un sospetto, che hanno portato l’avvocato a chiedere che il processo in corso sia annullato. Ma i magistrati, si sa, sono una lobby. E il nuovo sostituto procuratore subentrato al posto della Contraffatto, invece di mobilitarsi per accertare la veridicità o meno della segnalazione presentata in aula, ha minacciato di inquisire l’avvocato. E gli avvocati, che non sono da meno, hanno immediatamente proclamato uno sciopero e una assemblea a palazzo di giustizia di Palermo. Provocando uno sconquasso. E lo “scivolone” di Lumia, questa settimana, non è l’ultimo: l’assessora alla sanità aveva appena aperto bocca per annunciare l’atteso varo dei concorsi nel mondo della sanità. Una notizia che sembrava una inversione di tendenza. Peccato che il CGA, il tribunale amministrativo di secondo grado, abbia immediatamente dato un segnale di segno opposto, bloccato la ripartizione dei posti letto che il

governo aveva presentato in pompa magna qualche settimana fa. Un passo avanti e due indietro. Non ce n’è una, che sia una decisione, una delibera, una legge, varata dal governo, che non necessiti almeno di quattro stampelle per continuare non dico a camminare, ma a stare in piedi. Presidente cercasi Che i naviganti della politica vogliano continuare ad andare a mezzo motore, sottocosta, senza rischiare nulla e facendosi trascinare dall’onda di risulta, è fin troppo evidente. Almeno fino alla definizione della prossima scadenza elettorale. All’assemblea regionale, se la memoria non mi “falla”, si deve eleggere, fin dalle scorse europee, un secondo vicepresidente. Un passaggio che è stato rinviato decine di volte, perché i partiti non sono riusciti a trovare uno straccio di accordo. E pare che nessuno, mesi e mesi dopo le elezioni europee, lo sblocco di una situazione certamente paradossale. Del resto neanche le trattative per completare lo scacchiere del nuovo governo regionale sembrano avviate verso un sblocco della situazione che permetta, tra l’altro, di affrontare la discussione sul bilancio. Sul tappeto restano, infatti, problemi ed esigenze politiche che non hanno finora trovato soluzione. Anche perché il governatore finora ha usato lo strumento del “sottogoverno” come una clava, usata per ammansire i suoi amici e colpire i nemici.

Totò Cuffaro e a destra il carcere di Rebibbia Adesso che la situazione meriterebbe un aggiustamento, il governatore non ha tempo. Vuole e deve partecipare al “grande gioco” dell’elezione del presidente della repubblica. Ed è già volato a Roma, insieme agli altri due Grandi Elettori eletti neo costituenti dalla Consulta: Giovanni Ardizzone e Marco Falcone. Il bilancio L’assenza da Palermo dei due principali attori della vita parlamentare e del governo, finirà per bloccare tutto fino all’elezione del Presidente della Repubblica. Adempimento che, come tutti sanno, è tutt’altro che un fatto con tempi e modalità prevedibili. Passeranno settimane, quindi, prima che i meccanismi della politica regionale possano riavviarsi correttamente. E quando accadrà, l’effetto “ a caduta” degli equilibri trovati a Roma, sarà forte anche per le cose di casa nostra. Ma è sempre andata così. Sudditanza e ascarismo sono le uniche costanti storiche della politica nostrana. E non c’è traccia di novità. Intanto, a Palermo, langue l’attività per la definizione del bilancio 2015. E gennaio, il primo dei quattro mesi disponibili, è praticamente volato via. Se la situazione non fosse tragica verrebbe veramente da ridere. Le bocce – e le carte - sono ferme da dicembre, quando l’assessore Alessandro Baccei ha sentito l’esigenza di mandare il suo messaggio politico personale sia al presidente che al governo e al parlamento. Annunciando che la “dipendenza”

da Roma sarebbe stata totale e ufficiale. Il presidente ha mugugnato. Ha organizzato una contro conferenza. Ma non l’ha certo licenziato. Come, coerentemente, sarebbe stato comprensibile. E la stessa permanenza di Baccei in giunta conferma la sua tesi della sudditanza economica e politica del governo regionale. Punto. Che piaccia o no. Altro che rivoluzione… La formazione L’altro bubbone in piena fermentazione è quello della formazione professionale. Dove le novità non sono legate alle decisioni o agli annunci del governo, ma dalle sentenze dei tribunali. La giustizia amministrativa ha infatti più volte censurato l’attività della giunta. Finendo con i congelare le poche risorse disponibili dopo il taglio operato dal governo nazionale. L’incapacità e l’approssimazione dell’assessorato guidato prima da Nella Scilabra e ora da Mariella Lo Bello ha prodotto effetti devastanti: migliaia di persone sono rimaste senza stipendio. E altrettante senza lavoro. L’intero settore è rimasto senza risorse. I corsisti sono rimasti senza attività formative. Il governo ha fatto “shopping” tra le somme non spese. E la Commissione europea finirà con il richiamare a Bruxelles i finanziamenti non utilizzati. Mentre migliaia di persone protestano contro questo massacro sociale, operato sulla pelle dei più deboli. A soli fini di lotta e di prevaricazione politica e partitica.

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GENNAIO 2015 - Politica regionale

empio di coerenza arriva da Totò Cuffaro Etica e politica C’è un tratto, del governo Crocetta, che rimarrà storicamente stigmatizzato. L’assoluta ipocrisia, condita da un ottuso e inedito cinismo. Nessun presidente della Regione, mai, aveva osato gestire il potere con tanta assoluta noncuranza degli interessi pubblici e del bene comune. Nessun presidente della Regione, mai, aveva osato fare le scempiaggini che Crocetta ha fatto, pretendendo di spacciarle come decisioni rivoluzionarie che avrebbero cambiato la vita dei siciliani e moralizzato la vita politica dell’isola. La verità, ormai chiara a tutti, è che il suo cerchio magico, la sua corte

dei miracoli, è zeppa di personaggi che ignorano – o volutamente calpestano – le più elementari regole della logica e del diritto amministrativo e spesso del diritto penale. E non per fare la rivoluzione, ma solo ed esclusivamente per impinguare un bottino di guerra che si chiama potere. Con una voracità famelica di pol-

trone e incarichi che non ha precedenti nella storia politica siciliana. Gli “atti”, i provvedimenti impugnati, annullati, ritirati, modificati, che questa schiera di nominati senza arte né parte (si va dagli assessori studenti ai giudici amministrativi vicesindaci di provincia) ha prodotto e sta producendo, sono un enorme campionario di

ignoranza amministrativa che, per i prossimi anni, sarà la prova provata del passaggio dall’era del diritto violato a quella del diritto ignorato. Una rivoluzione, se volete. Che ha solo peggiorato una situazione che era già – di suo – al limite della decenza e della sopportabilità. La Sicilia sta sopportando che

Crocetta, Lumia e i loro sodali raschino il barile, già vuoto. Sta sopportando che la propria economia passi dalla crisi al collasso. Sta sopportando che il tasso di disoccupazione e quello di inoccupazione schizzino, irraggiungibili, ai vertici delle classifiche non solo italiane, ma europee. Sta sopportando l’ingiuria e l’oltraggio di un saccheggio sistematico operato – perfino – in nome dell’antimafia. Sta sopportando che le “comparse” che abitualmente, da decenni, calcano le scene della politica regionale, accaparrando qualsiasi incarico degno di nota, si siano – adesso – aggregati alla coloratissima e sgangheratissima carovana del megafono. Ex democristiani, ex forzitaliani, ex di tutto, sono stati accolti a braccia aperte dal “Che Guevara de noantri” e stanno rifinendo il saccheggio storico, incredibilmente coperti dal velo dell’antimafia da sofà di cui il governatore possiede e concede l’esclusiva mondiale. Uno spettacolo eticamente indecente. Politicamente insopportabile. E, umanamente, solo censurabile.

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GENNAIO 2015 - Catania

Strisce blu notturne: mea culpa del Comune che ci ripensa d i Giu l ia no Busà Per il momento, pare che giustizia sia stata fatta. Il Comune di Catania, Enzo Bianco in testa, ha sospeso la ridicola misura delle strisce blu notturne, con annessa trasformazione della piazza Carlo Alberto in parcheggio. La pressione dei singoli cittadini, delle associazioni civiche sempre più attive ed influenti in città, e in seconda battuta (nonché in maniera abbastanza strumentale) dell’opposizione, che ha organizzato una raccolta firme molto social friendly e poco puntuale, ha prodotto la marcia indietro da parte dell’autorità cittadina. Finalmente un’ammissione di incapacità, se non altro metodica e programmatica e mascherata da mille parole e giustificazioni. Ma è la prima volta che la giunta guidata da Enzo Bianco ammette di aver fatto una valutazione sbagliata – chiamiamola così – e ritorna sui suoi passi, forse anche spaventata dalla insolita e in effetti inedita reazione da parte della cittadinanza, che prima o poi doveva pur farsi sentire. La sperimentazione del pagamento notturno, scaduta il 22 gennaio, non sarà pertanto prorogata e, dopo Sant’Agata, partirà la rimodulazione del piano che sarà definita in questi giorni. Tali risultati e decisioni sono emersi dalla conferenza dei servizi per affrontare il nodo dei parcheggi in rapporto alla Movida svoltosi nei giorni scorsi a Palazzo degli elefanti, alla presenza tra gli altri, degli assessori alla Viabilità Rosario D’Agata, alla Polizia urbana Marco Consoli, alle Attività produttive An-

gela Mazzola e al Bilancio Giuseppe Girlando. Presenti anche il capo di gabinetto del sindaco Massimo Rosso, il consulente per gli affari istituzionali Francesco Marano, il presidente della Commissione Attività produttive Ludovico Balsamo, alcuni consiglieri comunali, il presidente del Consiglio di quartiere Salvatore Romano, il comandante della Polizia municipale Pietro Belfiore e il suo Vice Stefano Sorbino, Roberto Tudisco ed Elena Malafarina per la Fipet, l’associazione di categoria degli esercenti, i rappresentanti di Sostare eAmt. Assenti le associazioni cittadine che più di tutte si sono mosse in maniera anche costruttiva a tal riguardo, proponendo delle soluzioni alternative – ci arriviamo. Nel corso della riunione – rende noto il Comune – sono state messe sul tappeto indicazioni, idee e proposte emerse in queste settimane di sperimentazione: dalla considerazione positiva che il contrasto ai parcheggiatori abusivi è cresciuto (anche qui è la questione metodologica a non convincere, ndr), al confronto per l’individuazione delle aree di parcheggio più idonee, dalla richiesta di rimodulare il percorso del Movida bus fino a fargli toccare, per esempio, l’area del parcheggio Sanzio, alla possibilità di estendere fino a notte il servizio del Brt che collega Catania con il parcheggio Due

obelischi. L’intenzione dell’amministrazione – ci fanno sapere – è comunque quella di favorire quanto più possibile l’uso dei mezzi pubblici. Si è parlato anche della riduzione del costo del ticket notturno per il parcheggio e di questo si continuerà a discutere nei prossimi giorni. La contromisura è stata positivamente accolta soprattutto dai giovani, che più di altri hanno subito la assurda tariffazione notturna. Manlio si dice “soddisfatto della nuova decisione, dato che pagare questa ulteriore tassa di due euro era diventato insostenibile e inoltre non sussisteva una motivazione valida per farlo”; Salvo, studente di Economia, gli fa eco, sottolineando che “nei giorni con le strisce blu attive di notte non è diminuita la presenza ossessiva degli abusivi, quindi la misura del Comune era sostanzialmente inutile”; “a meno che non fosse un tentativo per fare cassa” chiosa Giulia, che racconta sbalordita di “giornate in cui ho speso anche cinque euro di strisce blu tra mattina e sera soltanto per andare all’università e prendere una birra con

i miei amici”. Diverso il tono delle istituzioni: costretto dalla contingenza e dal ruolo, l’assessore Rosario D’Agata rinvia la discussione alla prossima “riunione con tutti gli assessori e gli altri soggetti interessati”, facendo poi sapere che “in ogni caso da Sostare abbiamo avuto la notizia che occorreranno dieci giorni per riprogrammare il software dei parcometri”.Riguardo poi alla ratio che ha sotteso a questo pittoresco esperimento, l’assessore parla di “questione etica” e di “modo per tenere lontane le macchine dal centro e tenere a regime anche i dati sull’inquinamento”. Sulla scelta della piazza Carlo Alberto anche D’Agata ammette che “occorre rimodulare l’iniziativa e spostare il parcheggio base del Movida bus più a monte o in altre zone come piazzale Asia”. Di idee alternative la proficua connection creatasi tra le principali associazioni catanesi – Salvaiciclisti e Centrocontemporaneo tra le altre – ne ha presentate diverse. Ecco le principali, che pubblichiamo e ci sentiamo di condividere: mantenimento tariffazione serale notturna per il parcheggio nella zona limitrofa alla Ztl; soppressione del “Movida Bus” in piazza Carlo Alberto ed attivazione dello stesso in piazzale Sanzio, che per l’occasione diventa parcheggio scambiatore con il fine di decongestionare dal traffico e dal par-

cheggio di auto il centro storico e di renderlo più godibile agli avventori di pub e locali; rendere sia il Movida bus che il parcheggio di piazzale Sanzio gratuito in attuazione di un meccanismo di premialità a favore di chi effettui la scelta etica di non spingersi con la propria auto fino al centro storico evitando di inquinare e congestionare piazze ed aree da dedicare più proficuamente al transito di persone piuttosto che di motori; solo in un secondo momento, se i cittadini dimostreranno di voler adottare la buona pratica di lasciare l’auto presso i parcheggi scambiatori, individuare altre aree di parcheggio lontane dal centro storico nelle quali attivare altre navette gratuite dai parcheggi scambiatori individuati; implementare il B prevedendo un servizio fino alle due di notte; trasparenza riguardo i proventi derivanti sia dalla tariffazione notturna delle strisce blu che dalle sanzioni elevate nella occasione; individuazione di progetti specifici da realizzare con una percentuale di essi in attuazione dell’articolo 208 del Codice della Strada che dispone per l’appunto la destinazione di una percentuale dei proventi “per progetti a favore tutela degli utenti deboli della strada quali bambini, anziani, disabili, pedoni e ciclisti”. Dopo aver fatto questo storico passo indietro, ci si dovrebbe aspettare come lieta conclusione che il prossimo tavolo di lavoro e di decisione comunale in merito prenda in considerazione queste proposte, facilmente applicabili e indiscutibilmente concrete nella direzione che il Comune dice di voler perseguire.

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GENNAIO 2015 - Opinione

Consumatori siciliani in caduta libera di Claudio Mec Melchiorre

I consumatori siciliani hanno mediamente un reddito accettabile, secondo le statistiche. Appena un 20 per cento in meno rispetto alla media del reddito nazionale, con circa diciottomila euro a famiglia a disposizione. Il dato va però visto meglio. Sempre in Sicilia, infatti, la ricchezza prodotta si concentra per la metà nel gruppo sociale del 7 per cento dei più ricchi. C’è poi un 15 per cento di persone benestanti. Si arriva così a disegnare una mappa sociale dove circa un milione e duecentomila persone vivono bene, gli altri no. Al netto di ricchissimi e benestanti, al 70 per cento dei siciliani non restano che le briciole, devono vivere con novemila Euro l’anno. In media. Il che significa che c’è un milione dei nostri corregionali che non hanno nemmeno la metà di quella cifra. Va da sé che molti non pagano bollette, tasse, assicurazioni. Spendono solo per l’alloggio, i vestiti, il cibo, le cure indispensabili. Anche così, molti non riescono comunque a vivere. E’ uno scenario da caduta libera. Nella povertà. Indifferenti o ignari di questa situazione reale, i nostri dirigenti di sempre si interrogano. Non sanno che pesci pigliare. Qualche giorno fa, sono andato ad un incontro seminariale organizzato da un pezzo della inamovibile classe dirigente della Sicilia. Li ho sentiti parlare di futuro. Ero piacevolmente sorpreso. Speravo. Tra i presenti, il senatore Pino Firrarello, ancora energico, nonostante la sua presenza nei palazzi del potere sin dalla Prima Repubblica, e il suo non più giovanissimo discepolo, attualmente sottosegretario al ministero dell’Agricoltura,

Giuseppe Castiglione. Come se fossero appena arrivati nell’agone politico, i due transfughi dalla corte berlusconiana, hanno invitato un buon numero di esperti per coltivare progetti e idee. Vietato parlare del passato. Il tema è e resta il futuro. Tra svarioni e vere e proprie filippiche sul nulla, il seminario ha isolato alcune notizie importanti. I costruttori dell’Ance vogliono mettere in sicurezza i palazzi della città costruiti dai loro ascendenti diretti perché costruiti male e senza accorgimenti antisismici, magari incassando la moltiplicazione delle cubature esistenti; un alto dirigente bancario ha rivelato che i primi dieci clienti della sua azienda potrebbero investire subito 1,7 miliardi, ma non lo fanno; altri cinque miliardi potrebbero venire da finanziamenti pubblici con tassi bassissimi che non vengono utilizzati; i fondi comunitari del vecchio programma consentirebbero una spesa di almeno un miliardo, i nuovi fondi valgono otto miliardi. Tutte insieme, queste fonti di investimento sommano 15,7 miliardi più l’edilizia speculativa. Ma sono tutti fermi. Secondo il sottosegretario Castiglione, basterebbe un “se-

gnale dal governo” e tutto d’incanto partirà. Poi ha specificato che questo segnale sarebbe già arrivato. Ma nulla è partito. Il sottoscritto, nell’uditorio, complice la grande fantasia, ha immaginato il nostro Castiglione nei panni di Massimo Meridio che sussurra ai suoi comandanti: “Al mio segnale, scatenate l’inferno”. Ma tutto quello che ho sentito è stato: buon pranzo, ci rivediamo presto. Memore della mia qualifica di consulente executive per aziende, imprese e loro associazioni, oltre che rappresentante dei consumatori, ho cominciato a macinare mentalmente le informazioni ricevute. Ho pensato a quel viadotto della Palermo Agrigento durato appena una settimana, prima di accartocciarsi. Per non cedere al pessimismo, in vena di fantascienza, ho voluto fare un semplice raffronto tra le condizioni di investimento in Sicilia e in Svizzera. Lì, i tassi d’interesse sono negativi. In altre parole, se chiedi soldi in prestito, ne restituisci meno di quanti te ne danno. Non durerà per molto, ma al momento è così. Le tasse in Svizzera sono pesanti, ma costano fino al 30 per cento in meno che in Sicilia, con servizi e tempi certi. Da noi, l’u-

nica certezza è che qualcuno ti fermerà, non sai chi ma qualcuno troverà il modo di non farti lavorare. Il costo delle superfici svizzere è simile al nostro, nonostante loro di terra ne abbiano molta meno. Certo, ora hanno apprezzato la loro moneta di quasi il 20 per cento e le loro esportazioni dovranno soffrire un po’. Ma recupereranno con la forza del loro sistema bancario che di miliardi ne mobilita a centinaia, e laddove il commercio dovesse risentirne, la forza del Franco svizzero terrà tutto a galla. Noi siciliani, inseriti nel sistema Europa, abbiamo finalmente quella svalutazione competitiva dell’Euro che chiedevamo da tempo e che dovrebbe dare fiato alle nostre esportazioni. Ma la parola finanza non sappiamo cosa sia. Esportiamo soprattutto generi alimentari e, se va bene, una nave Fincantieri ogni due anni. La nostra economia è sempre più simile a quella del primo novecento, basata su agricoltura e trasformati. Bassi prezzi, bassi ricavi, alti rischi. Sistema formativo disastroso, attività produttive al palo, indici negativi praticamente in ogni settore, voci di default pubblici che vengono messe sistematicamente a tacere, ma che non influiscono sulla realtà debitoria dei nostri governi locali. A cascata, i diritti dei consumatori e dei cittadini si impoveriscono gravemente. Certo, noi del Mec tuteliamo i cittadini dalle soverchierie, usiamo strumenti tipici e atipici per

farlo, ma sappiamo che il vero problema di tutti è che stiamo implodendo. Con queste riflessioni, ho realizzato che le riunioni del think tank siciliano mi deprimono. Se qualcuno dovesse dire, a questo punto, che il quadro rappresentato è troppo negativo, bene. Vuol dire che è stato addestrato a dovere. Non si ribellerà e non chiederà né lavoro né diritti. Per parte mia, insisto: abbiamo solo bisogno di più mercato, di liberare il lavoro di chi vuol lavorare, di dare regole uguali a tutti, di collegare la Sicilia col Mondo, a cominciare dai luoghi più ricchi del Mediterraneo, puntare sull’autosufficienza per quanto riguarda l’energia e la gestione dei rifiuti e delle acque, costruire vie di trasporto veloci e affidabili, migliorare la qualità della sanità, dell’ambiente, dell’istruzione e della vivibilità. Se i potenti in servizio permanente effettivo creassero piccole squadre capaci di guidarci nei perigliosi mari della realtà, concentrati ognuno in un settore specifico, con obiettivi di miglioramento continuo dei servizi pubblici e privati, aumento dell’offerta di prodotti e servizi, lotta ai monopoli di cui siamo circondati, saremmo ricchi nel giro di tre o quattro anni. Dite che le avete già sentite queste cose? Si, forse è vero, anche se ne dubito. Il punto è che noi per i tre quarti campiamo con meno di diecimila Euro a famiglia. E siamo disillusi. Chi parla nei seminari guadagna venti volte rispetto alla media siciliana e racconta favole alle quali non crede. Ma se non crede al futuro, che ne parla a fare? Restiamo noi, i cittadini ancora attivi: che intendiamo fare? Combattere o perire. O, se va un pochino meglio, spegnersi. Io combatterei. Ma non da solo. E voi, cari lettori?

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GENNAIO 2015 - Giudiziaria

Bilanci preventivi: l’ “Era Scapagnini” ancora sotto processo di Marco Benanti

Nei corridoi, spesso deserti e silenziosi, di Palazzo di Giustizia a Catania si vivono situazioni “kafkiane”, spesso lunghe attese. Per processi che si trascinano per anni, per vicende vecchie, che magari hanno avuto conseguenze, ma i cui effetti, col tempo, si perdono. Una sorta di “castello dorato” dedicato alla lunghezza del processo, tema a lungo sviscerato in tante sedi. Come nel caso del processo per i bilanci preventivi –ritenuti gonfiati- del comune di Catania, gestione Umberto Scapagnini, periodo 2007-2008. Le “ultime” dicono che il processo torna… indietro. Il giudice monocratico Roberto Passalacqua della prima sezione penale del Tribunale ha disposto la regressione del procedimento al Gup. La decisione arriva sulla base di un’ ordinanza della Corte d’Appello che ha accolto l’istanza di ricusazione del gup Giuliana Sammartino, presentata dalla difesa dell’imputato Vincenzo Emanuele, con gli

avvocati Giovanni Rizzuti e Carmelo Galati. Il gup Sammartino si era originariamente occupata dell’udienza preliminare. Per i legali, il giudice Sammartino, il 15 aprile 2013, chiamata a pronunciarsi su una richiesta di incidente probatorio a fronte della consulenza dell’Accusa,

aveva anticipato il giudizio. Restava un dubbio: se la ricusazione si poteva estendere a tutti gli imputati o restare per il solo Emanuele. Il Tribunale ha dichiarato che “l’effetto estensivo deve riconoscersi”. Ad occuparsi della vicenda sarà adesso il gup Sebastiano Fabio Di Giacomo Barbagallo,

il quale stabilirà anche quali atti del processo finora svolti saranno validi. Il processo vede imputati Vincenzo Castorina, Gaetano Tafuri, Luigi Asero, Vincenzo Emanuele, Francesco Caruso, Mario D’Antoni, Francesco Bruno, Carmelo Pricoco e Carmelo Cimellaro. Per l’Accusa

–rappresentata dal Pm Marco Bisogni, che ha sostituito Alessandra Chiavegatti- si sarebbero verificate delle “falsità sostanziali”. E cosa è successo alla ripresa dopo le “feste natalizie”: rinvio di una settimana su istanza di un avvocato. Abbiate fiducia, la giustizia arriverà.

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GENNAIO 2015 - Redazionale

Antiusura: ora anche il conforto di una sentenza di Adele Martinez* Finalmente una sentenza, quella pronunciata dal Tribunale di Enna in data 12 gennaio 2015, che giunge a distanza esatta di due anni dalla discussa sentenza n. 350 /2013 pronunciata dalla Cassazione civile Sez.I, che in modo semplice lineare ed incontrovertibile dilata uno squarcio da tempo già aperto nel panorama giuridico e che vede impegnati a dibattere tutti gli operatori del diritto sulla vexata quaestio dell’usura perpetrata dagli istituti di credito attraverso tutti quei contratti di finanziamento che in maniera più o meno palese registrano l’applicazione di tassi di interesse al di sopra del limite fissato dalla legge. La sentenza n. 25/2015 emessa a seguito di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si snoda attraverso tre passaggi fondamentali nella normativa anti-usura: Il primo muove dal cardine prìncipe che è la legge 108/96, come interpretata in maniera autentica dall’art.1 del d.l. 29 dicembre 2000, n.394, convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio 2001, n.24, con la quale il legislatore ha fissato non solo l’esatta connotazione dell’usura oggettiva ma anche il momento in cui la

stessa prende compiutamente forma cioè il momento della pattuizione, ovvero quando gli interessi vengono promessi o convenuti a qualunque titolo. La sentenza pone quindi l’accento proprio su questo punto: “la natura usuraria dei tassi di interesse va determinata in riferimento al momento della convenzione e non a quello della dazione”. Il secondo si articola attraverso la testuale applicazione dell’art.644 c.p.c, come riformato dalla legge 108/96, analizzando tutti quegli elementi fondamentali ai fini del calcolo del TEG, tasso effettivo globale, ovvero tutte quelle remunerazioni che a qualunque titolo incidono sul costo del finanziamento fatta eccezione di imposte e tasse. Nel caso di specie il magistrato ha giustamente valutato gli interessi convenuti nel contratto quindi anzitutto gli interessi corrispettivi ( 5,22%) e moratori ( 7,22% = 5,22 %+2)

“chiesti in tale misura dall’istituto di credito attraverso il ricorso per decreto ingiuntivo” ha poi applicato fedelmente l’art. 1 della legge 108 del 1996 “che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori”, attraverso la sommatoria dei due tassi (5,22 %+ 7,22%) ha legittimamente considerando parte del TEG, tutte le remunerazioni a prescindere dalla loro funzione giustamente concludendo che gli interessi convenuti, superando il tasso soglia, fissato attraverso le rilevazioni ministeriali nel tasso medio aumentato della

metà, alla data di stipula del contratto, sono usurari!!! Infine il terzo ed ultimo aspetto della pronuncia in esame che rappresenta il coronamento logico, la “ratio legis”, è dato dall’applicazione dell’art.1815 comma 2 c.c., come riformato dalla legge 108/96 : “Se sono convenuti interessi usurari [c.p. 644, 649], la clausola è nulla e non sono dovuti interessi [c.c. 1339, 1419].” Riemerge il fil rouge che percorre tutto l’iter normativo, la tutela voluta dal legislatore contro il reato di usura, che in sede civile trova nell’elemento sanzionatorio della nullità della clausola determinativa di interessi usurari, piena espressione di garantismo degli interessi primari sottesi all’accesso del credito. Questo il vero punto di forza della normativa antiusura, riuscire a colpire attraverso la legge 108/96 tutti gli speculatori, gli aguzzini,

attraverso un deterrente vero, efficace e giusto e nel contempo parzialmente ristoratore di quei disagi determinati ai danni di coloro, privati ed imprenditori, che stretti dalla necessità di accedere al credito subiscono costantemente piegandosi l’ègida delle banche . La sentenza del Tribunale di Enna appare ictu oculi perfettamente allineata al dettato normativo, prende correttamente le distanze dalle inutili e sterili polemiche che hanno caratterizzato l’argomento negli ultimi anni snaturandone persino la ratio legis, violentandola puntualmente in favore sempre e comunque delle banche. Va dritta al cuore del problema ma dimostra anche di avere cuore collocandosi anzi incastonandosi nel particolare momento storico di crisi che vede in ginocchio l’economia del nostro paese. Non rimane che auspicare che l’esatta interpretazione data da questo Tribunale, e che dovrebbe essere anche l’unica, venga finalmente seguita da altri magistrati altrettanto preparati, coerenti e coraggiosi che possano segnare la svolta epocale già intrapresa dalla Cassazione con la sentenza 350/2013. Milazzo lì, 16 gennaio 2015 *avvocato

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GENNAIO 2015 - Giarre

Gli impianti di telefonia mobile: ecco i pericoli di Sebastiano Catalano

Mentre l’emanazione del regolamento comunale sugli impianti di telefonia mobile a Giarre continua a segnare il passo e registra tuttora notevoli intoppi e ritardi burocratici presso gli uffici dell’Amministrazione Municipale (l’atto, infatti, non risulta ancora messo a punto, neppure nella bozza o schema deliberativo, forse per necessità di ulteriori approfondimenti, o per altri ostacoli dell’iter formativo, ovvero per questioni di altra natura) l’opinione pubblica e la cittadinanza osservano con grande perplessità e profonda preoccupazione lo sviluppo degli avvenimenti. Infatti una legge impone a tutti gli Enti locali di dotare il territorio comunale dell’importante strumento del piano edilizio delle frequenze. Dal piano edilizio delle frequenze discendeva l’obbligatorietà della regolamentazione organizzativa degli impianti di telefonia mobile. Se è vero, infatti, che interessi estetici e di tutela del decoro architettonico degli edifici scoraggiano la messa in opera dei ripetitori dei telefonini sulle terrazze condominiali degli stabili, è, in verità, ancor più pressante, importante, urgente, e, soprattutto, preminente, che valutazioni di aggiornati studi medico-scientifici e delibere dell’Oms mettono in correlazione l’insorgere o l’aggravamento di determinate patologie (disturbi del sonno, della pressione arteriosa, depressione, malattie collegate alla struttu-

ra ossea, ortopedia e fisiatria, tumori del cervello, riduzione della capacità muscolare, etc. diffusamente approfonditi nello studio di R. Staglianò, ed. Chiare Lettere, 2012) con il vicino influsso delle radiazioni delle onde elettromagnetiche. D’altro canto, tutta la nostra vita è già diventata una sorta di “dominio” (24 h su 24) di radiazioni di vario genere, dagli impianti di tutela di Banche ed uffici - con cui si viene inevitabilmente a contatto al momento dell’accesso – utenza, ai

sistemi di allarme di immobili ed autovetture: - non è, forse, la nostra stessa esistenza, messa a dura prova, sotto l’influenza di radiazioni di ogni genere, oltre ogni ragionevole limite? Perché non tener conto di tutto questo? Perplessità, quindi, e timori, serpeggiano all’interno dell’opinione pubblica a Giarre. Di quali onde si tratta? Si discute sempre di onde non ionizzanti ad alta frequenza. Come sono esaminate e classificate dell’ Organizzazione

mondiale della sanità? I tecnici dell’Oms le hanno elencate sotto il livello 2B, cioè della possibilità che siano cancerogene. Occorre chiarire, però, che in Medicina, la dose letale di un agente patogeno viene determinata sia dalla quantità dell’agente (nel caso, l’intensità delle onde) sia dal tempo a cui un organismo è sottoposto (24 h su 54); pertanto la pericolosità delle onde elettromagnetiche degli impianti di telefonia mobile, non è ipotetica ma reale.

Va detto che la scala dei valori dell’Oms va da 1 a 3, cioè da innocuo a canceroso . L’Organizzazione nelle sue prescrizioni invita ogni Nazione o ente, a perseguire sempre il principio di precauzione, e questa condotta appare come l’unico modo per minimizzare i rischi per l’uomo. In conclusione, ci si attende, quindi, che il sindaco di Giarre, avendo preso atto dell’allarme provveda a quanto di sua competenza, nel più breve tempo possibile.

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GENNAIO 2015 - Messina

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GENNAIO 2015 - Messina

Il caso genovese turba la politica messinese di Giovanni Frazzica “Si dovrebbe aprire un dibattito serio sul sistema giustizia in Italia e sulla correttezza di alcune norme e di alcune procedure”. Lo dice il segretario provinciale del Pd Basilio Ridolfo commentando l’arresto del parlamentare del Pd Francantonio Genovese avvenuto dopo circa otto mesi di arresti domiciliari a seguito di una sentenza della Cassazione che respingeva un ricorso dei suoi legali. “Sulla vicenda Genovese - prosegue Ridolfo - la linea del Pd nazionale è la prudenza ed è anche la nostra a livello provinciale. Rispettiamo la decisione dei giudici e le sentenze e siamo certi della correttezza di chi decide. Incredibile però che qualche giorno prima al parlamentare del nostro partito siano stati concessi domiciliari meno duri, con la possibilità di comunicare all’esterno, e dopo sia stato arrestato sempre per evitare che potesse comunicare ed inquinare le prove o reiterare il reato. Mi sembra un modo di procedere non logico. Da qui quindi l’importanza dell’analisi di alcune norme per evitare situazioni di questo tipo”. Nino Favazzo, legale dell’on. Genovese, appresa la notizia del respingimemento del ricorso con cui chiedeva la scarcerazione del suo assistito ha subito detto:«Provvedimento non condivisibile». Il legale ha poi diffuso una dichiarazione molto dura sulla vicenda. «Mi limito ad osservare - ha spiegato l’avv. Nino Favazzo - che si tratta di un provvedimento che non appare condivisibile, a tacer d’altro, nella parte in cui non tiene conto proprio delle modifiche disposte dal Gup, quale conseguenza della ritenuta attenuazione del quadro cautelare. Per il resto, è evidente

Nino Favazzo e Francantonio Genovese che il tribunale ha rinunciato a compiere la valutazione richiestagli in termini di “grado ed attualità” delle esigenze e di “idoneità della misura” a farvi fronte, trincerandosi, di fatto, dietro il dato strettamente formale e, peraltro, neanche correttamente richiamato, del giudicato cautelare». Respinta pertanto l’istanza che Favazzo aveva presentato subito dopo il ritorno a Gazzi del parlamentare, il 15 gennaio scorso, i giudici della Prima Sezione penale del Tribunale di Messina, ritenendo “irrilevanti, sotto il profilo della novità, ai fini della modifica del quadro cautelare, le autorizzazioni del gip a specifici spostamenti senza scorta o contatti con terzi, così come la revoca del divieto di comunicazione imposto all’atto della applicazione degli arresti domiciliari con persone diverse da quelle coabitanti con il prevenuto intervenuti nel corso della esecuzione della misura degli arresti domiciliari”.

Inoltre, secondo i Giudici, nessun rilievo assume il decorso del tempo trascorso in regime cautelare. Continuerà ancora per un tempo indefinito la detenzione del parlamentare del Pd, tornato a Gazzi dopo che la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso contro la decisione del Tribunale del Riesame. Il collegio della libertà messinese aveva stabilito, la scorsa estate, che l’onorevole avrebbe dovuto rimanere dietro le sbarre, mentre il Giudice per le indagini preliminari che lo aveva arrestato a maggio, a cinque giorni dall’arrivo a Gazzi, dopo averlo interrogato, gli ha concesso i domiciliari. Domiciliari ai quali è rimasto sin dal 15 maggio 2014. Qualche giorno prima della decisione della Suprema Corte un altro Gup gli aveva concesso la possibilità di comunicare liberamente e incontrare chiunque, seppure sempre e soltanto dal proprio domicilio. Inatteso questo peggioramento

della sua condizione che genera stupore anche tra coloro che sono stati suoi avversari nella vita politica. Stranamente, quelli che sembrano gioire delle sue “disgrazie” sembrano essere proprio i miracoloti, quelli che grazie alla sua potenza hanno acquisito incarichi e prebende e che oggi, cercando magari altri padroni, cercano di mantenere i vecchi privilegi o di dare la scalata a nuove posizioni. Considerato che la nuova legge elettorale non aiuta a ritrovare la strada della buona politica, molti di coloro che vogliono prendere il posto di Genovese in Parlamento, invece di lavorare politicamente, si limitano a cercare un santo in paradiso che possa farli entrare in posizione “utile” in una lista per le nazionali. I leader più noti sono già stati opzionati da tempo (Cardinale, Faraone, Del Rio, Finocchiaro etc.), quindi vanno alla ricerca di santi meno noti, da Marco Zambuto a Roberto

Speranza e negli ultimi giorni stanno salendo anche le quotazioni dell’on. Angelo Attaguile, referente per la Sicilia di Matteo Salvini. La filosofia è che “Parigi val bene una messa” e ci sono certi eroi, certi fedelissimi, che per un posto a Sala d’Ercole e a Montecitorio, farebbero qualsiasi cosa. In questa cornice, scendendo a livelli più bassi, anche i posti nei consigli comunali, gli assessorati, i vertici delle municipalizzate diventano cose importanti, perché una politica priva di tensioni morali e di ideali genera accattonaggio allo stato puro. Questo spiega perché a fronte di una conduzione disastrosa della macchina amministrativa comunale di Messina, non appena i consiglieri comunali del Pd cercano di evidenziarne le carenze, emergono le colombe che inventano regole e attaccano sempre quelli che c’erano prima. La cosa più sconcertante che quelli che a Messina fanno le colombe e a Milazzo fanno i falchi e cercano di aggredire con tutti i mezzi le posizioni residuali di quello che fù l’impero Genovese. Un modo poco eroico di procedere, perché prima erano alla sua corte con ruoli più o meno complementari, oggi con nuove verginità vogliono cambiare il mondo. Forse riusciranno a danneggiare il Pd e la candidatura dell’avv. Giovanni Formica, ma difficilmente riusciranno a diventare, da soli, maggioranza in un comune che da sempre guarda all’area di centro e che riuscirebbe a spingersi verso un centrosinistra moderato con adeguate garanzie e con personalità indipendenti, non chi un nuovo oligarca del Pd vorrebbe mettere sotto la sua protezione.

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Il Paginone segue dalla prima più per noi eppure al Comune di Catania non sembra che la cosa interessi, lì è come se il tempo si fosse fermato a vent’anni fa. Generalmente sono abbastanza tollerante verso tutto e tutti, e con gli anni ho imparato ad alimentare meno diffidenza verso le persone che conosco poco e a dare loro una chance prima di cominciare a nutrire una sana e salvifica diffidenza. Ma i nostri amministratori fanno di tutto per essere considerati geni della presa in giro; lo stesso sindaco appare artificioso e retorico al massimo grado. Un altro che deve piacere a tutti i costi, ma senza alcun elemento di autoironia (vedi le querele rifilate ai giornalisti che non lo ossequiano), senza giocosità, senza gioia, lontano dalla città e dalla gente. Quanto alle altre genialate che escono dalle menti celesti dei pensatori che operano al Comune di Catania si segnalano: la trovata dei parcheggi a pagamento di notte, un esperimento che definire confuso, fuori da ogni logica e soprattutto mal gestito come tante altre cose, è essere generosi, tant’è che è fallito, morto in culla. Altro flop quello che riguarda la ricerca del nuovo direttore generale dell’azienda Sostare: sospesa prima ancora di partire. E della bella trovata di mettere e poi togliere e poi rimettere i new jersey in Corso delle Province? E della raccolta differenziata dei rifiuti promessa sin da subito, poi posticipata a dopo, e ora fissata a data prossima ma non certa? E della promessa di tenere aperti gli asili, mentre invece quelli chiudono? E della nuova Primavera promessa in lungo e in largo? E dell’orto più grande d’Europa strombazzato e annunciato a Librino? Meglio stendere un velo pietoso. A stare zitti si fa più bella figura. Essere poveri ci può stare, qui però il vero problema è che al Comune di Catania sono tutti confusi e con questa andatura a zig zag è facile che ai cittadini venga la nausea e a seguire il voltastomaco. Se a questo si aggiunge che voci di corridoio vogliono che il sindaco sarebbe alla ricerca di qualche nuovo incarico fuori da qui, il quadro è bell’è fatto. Perchè si è candidato allora? In attesa di vedere la prossima puntata di questa infinita telenovela, porgiamo alla nostra amministrazione una bella domanda: vi sembriamo scemi? Così non è. E visto che avete ritirato il provvedimento del parcheggio notturno, potreste avere la generosità di annullare tutte le multe elevate durante le notti del terrore? Non so da voi ma dalle nostre parti si chiama giustizia. E anche senzo del pudore. Attendiamo fiduciosi. Nunzia Scalzo

Italia prestigio zero: i Marò in ostaggio, il risca di Alb er to Car di llo Uno schiaffo dietro l’altro. Non si contano più gli episodi di “incidenti” internazionali dove ad essere coinvolti sono cittadini italiani e dove l’Italia gioca la parte della pecora di fronte al lupo. Mancanza di affidabilità e di leadership internazionale sono problemi atavici per il Bel Paese, problemi per i quali si potrebbero richiamare radici legate alla “frammentaria” origine della nazione italiana e allo spirito spesso e volentieri scarsamente patriottico delle classi dirigenti. E’ vero, l’Italia fa parte del circolo delle Nazioni più potenti e industrializzate del mondo, è nel G8 –almeno nominalmente-, ma resta pur sempre nella memoria collettiva del consesso internazionale come il Paese che alla vigilia della prima guerra mondiale stava al fianco degli imperi centrali, salvo poi decidere di scendere in guerra un anno dopo insieme agli alleati dell’intesa; l’Italia dell’8 settembre 1943 e di un Re fuggito dalla propria Capitale; l’Italia condannata ad essere silente terra di confine tra est e ovest, né più e né meno di una grande portaerei americana nel bel mezzo del mediterraneo. Bisogna altresì notare che la situazione è notevolmente peggiorata con l’avvento della cosiddetta seconda repubblica. Non è assolutamente casuale il fatto che il livello generale della classe dirigente espressa dalla

nostra Nazione sia stato di livello assolutamente mediocre negli ultimi 20 anni, eccezion fatta per pochi, pochissimi casi più unici che rari. Nei giorni scorsi è stato celebrato il quindicesimo anniversario della scomparsa di Bettino Craxi, l’ultimo grande leader della prima repubblica, morto in Tunisia e oggi da molti riabilitato. Perché tirare in ballo Craxi sulla questione del prestigio internazionale dell’Italia? Il leader socialista va considerato e riabilitato certamente per quanto concerne la politica estera data al nostro Paese, una politica di relazioni euro-mediterranee che aveva il chiaro intento di smarcare l’Italia dalla stretta sudditanza americana, aprendo per la nostra Nazione le porte di una prospettiva di leadership nei rapporti tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. In questo senso andarono il rafforzamento dei rapporti con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e l’autonoma politica riguardo alle questioni mediorientali. In questo senso va letta anche la famosa “crisi di Sigonella”, che al di là del più o meno giusto motivo contingente della questione, servì a far capire al governo americano che l’Italia reclamava piena autonomia nella gestione delle proprie relazioni e piena sovranità sul proprio territorio nazionale. Ad ogni modo, dopo i fatti di Sigonella la parabola di

La vignetta di Krancic sul pagamento del riscatto per la Craxi discese molto rapidamente, e non è affatto un mistero il fatto che gli Usa, come si suole dire, “se la legarono al dito”. L’inconsistenza attuale dell’Italia nelle relazioni internazionali, e più specificamente nella gestione dei rapporti con i paesi mediterranei, l’abbiamo potuta tastare con le “primavere arabe” e soprattutto durante l’intervento voluto primariamente dai francesi contro la Libia di Gheddafi. Avevamo un patner strategico che garantiva stabilità ad un Paese ricchissimo di materie prime e adesso non ce l’abbiamo più. Tornando alla più stretta attualità, la vicenda dei pescatori sici-

liani sequestrati dai militari egiziani in acque internazionali non è che l’ultimo di una miriade di casi in cui sono coinvolti italiani che in quanto tali vengono visti come facili capri espiatori per i più disparati soprusi, perpetrati sia da Stati sovrani che da movimenti terroristici o sedicenti tali. Dalla vicenda principe riguardante il vergognoso arresto dei Marò in India (ormai veri e propri ostaggi), passando per l’arresto di Abu Omar da parte di agenti americani su territorio italiano, fino all’assoluzione dei soldati americani per l’omicidio dell’agente del Sismi Nicola Calipari avvenuto in Iraq durante la liberazione di Giuliana Sgrena.

I due pescherecci sequestrati in acque internaz Era da poco scesa la sera del 18 gennaio quando le motopesca Alba Chiara e Jonathan di Siracusa e Riposto sono state sequestrate dalle autorità egiziane. I militari nordafricani saliti a bordo delle due imbarcazioni armi in pugno, senza nessun preavviso e con evidenti intenzioni non riconducibili alla disciplina militare, hanno contestato uno sconfinamento delle imbarcazioni in acque territoriali egiziane. In realtà la Jonathan e l’Alba Chiara si trovavano a 40 miglia dalle coste egiziane, quindi ben lontani dal limite delle 20 miglia sancito dal diritto internazionale. Dopo il cruento abbordaggio con speronamento, i militari egiziani hanno scortato le due imbarcazioni italiane verso il porto di Alessandria. A bordo delle due imbarcazioni c’erano 13 persone. Subito dopo la diffusione della notizia del sequestro la Farnesina ha preso contatti con le autorità egiziane per cercare di arrivare ad una soluzione dello

spiacevole incidente. In un primo momento i membri dell’equipaggio non hanno potuto comunicare né con le autorità italiane, né con le loro famiglie, solo dopo qualche ora, quando il clima si è disteso hanno potuto mettersi in contatto con l’Italia raccontando il grande spavento. Dopo una notte trascorsa ad Alessandria, la mattina del 19 sono ripresi i contatti tra Italia ed Egitto e nel pomeriggio è arrivata la sospirata liberazione delle due imbarcazioni e del loro equipaggio. Questo episodio rappresenta un pericoloso precedente per la sicurezza dei pescatori italiani ed europei? “Li si è sempre potuto pescare –spiega Fabio Micalizzi, presidente Associazione pescatori marittimi professionisti- e poi quando per errore si sconfina, come può capitare sulle coste libiche le autorità ci contattano via radio e noi rientriamo nelle acque di competenza, in questo caso nulla è avvenuto, solamen-

Il comandan te l’avvicinamento dei militari egiziani che sono saliti a bordo commettendo un abuso di potere”. “Siamo stati accostati senza preavviso – racconta telefonica-

mente il comandante della Jonathan, Pasquale Condorelli- con condizioni meteorologiche avverse, mettendoci quindi in serio pericolo, visto che per questo è avvenuto lo scontro tra imbarca-

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iscatto sospetto (ai terroristi siriani?) e lo schiaffo egiziano

to per la liberazione di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, al centro i marò Latorre e Girone e a destra le due ragazze durante il loro rapimento in Siria Gridano vendetta anche i “12 milioni” di riscatto pagati dal governo italiano ai terroristi islamici siriani per il rilascio di due ragazzine andate in Siria senza avvertire le nostre autorità e senza chiarire per quale scopo specifico. Rabbia, tanta rabbia, soprattutto per l’indiretto finanziamento al terrorismo internazionale e per il conseguente pericolo che corrono tutti gli altri italiani che magari lavorano in contesti “caldi” in africa o medioriente. Visti i precedenti è logico che i malintenzionati vedano negli italiani come delle valigie viventi piene di oro. E poi, come dimenticare l’”adorabile” siparietto di Mer-

kel e Sarkozy con scambio di sorrisetti come risposta ad una giornalista che chiedeva se ci fosse da fidarsi delle riforme economiche italiane… Eppure in Europa siamo gli unici fessi a rispettare i rigidi parametri imposti dai trattati capestro sottoscritti negli anni passati dai nostri governanti, non li rispetta la Francia, non li rispetta la Spagna, non li rispetta la Germania, l’Inghilterra molti non li ha neanche sottoscritti. Siamo tra i primi contributori finanziari in Europa, ma da Bruxelles ci rimproverano sui conti pubblici un giorno sì e l’altro pure. Quando va bene a fine anno ci riprendiamo appena le

briciole delle somme messe a disposizione dell’Unione. Siamo tra i primi a correre da una parte all’altra del pianeta quando c’è da allestire una missione umanitaria, con operazioni che costano miliardi di euro e soprattutto molte vite umane. Dal Libano all’ex Iugoslavia all’Afghanistan, i nostri soldati sono un mirabile esempio nella difesa della pace e della sicurezza internazionale. Eppure qual è il risultato? Titoli al veleno sui maggiori giornali internazionali dove restiamo sempre “i soliti italiani”. La verità, tornando alla riflessione sul come si costruisca il rispetto internazionale di una Nazione, è che il prestigio fuori

dalle mura di casa si costruisce giorno per giorno, dimostrando capacità politica, leadership, affidabilità. Esattamente il contrario dello spettacolo che stanno mettendo in scena i nostri illegittimi governi non eletti, deputati e senatori. Dal 2008 l’Italia non ha un Governo che è legittima espressione della volontà popolare, infatti dal 2011 non fanno che susseguirsi i vari Monti, Letta e Renzi, tutti governi nati sotto la regia del dimissionario “Re Giorgio” e quindi compiacenti al consesso dei potentati europei ed extraeuropei che per l’Italia non raccomandano altro che il bastone del rigore. La democra-

zia può attendere, tanto anche se non si vota al governo c’è il Partito Democratico (sic!). Vergogna nella vergogna, il Parlamento italiano, formato da una pletora di nominati è stato eletto con un sistema dichiarato incostituzionale da molti mesi or sono, e però lor signori sono tanto attaccati alla poltrona da leggere la bocciatura della Consulta come un punto a loro vantaggio: fin quando non si cambia la legge elettorale non si torna alle urne, un adagio renzianamente poi tramutato in: si va fino a fine legislatura perché bisogna fare le riforme. Italia prestigio zero, normale che si rida di te.

nazionali: “Speronati e minacciati. Abbiamo avuto paura”

omandante Pasquale Condorelli e a destra un peschereccio in navigazione zioni. Dalla grande nave militare, dopo l’accostamento, sono scesi decine di militari i quali hanno irrotto sulle imbarcazioni armati. Abbiamo avuto paura perché ab-

biamo subito un palese e violento abuso di potere”. Nino Moscuzza, armatore dell’imbarcazione Alba Chiara è rimasto sempre in stretto contatto con i pescatori, i quali hanno

raccontato nei dettagli quanto avventuto durante le fasi del sequestro. Per quanto riguarda la motopesca Jonathan racconta Moscuzza “i militari sono saliti e hanno spaccato tutto, hanno fat-

to dei danni”. Prima di essere rilasciati i due pescherecci hanno subito il sequestro di tutto il pescato, ed anche questo fatto è ritenuto ulteriore prova di un abuso bello e

buono. Una volta liberi gli equipaggi della Jonathan dell’ Alba Chiara non hanno fatto rotta per l’Italia, proseguendo la battuta di pesca: “Le due motopesca hanno affrontato diverse spese –spiega Micalizzi- e specialmente alla luce di quanto accaduto, per loro è importante continuare l’attività. Il rientro a casa? Una battuta di pesca di questo tipo durerà almeno un altro paio di settimane”. La vicenda, comunque, non finisce qui, poiché l’Associazione Pescatori Marittimi Professionali ha annunciato che avanzerà una richiesta di risarcimento. Ammonterebbero infatti a 25.000 euro i danni causati dai militari egiziani a bordo del motopesca Alba Chiara. Ma non solo l’associazione chiederà anche i danni d’immagine e morali, soprattutto per le ore trascorse dagli equipaggi con i mitra puntati contro, senza poter né muoversi né comunicare. A.C.

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GENNAIO 2015 - Siracusa

Illustrato il registro dei tumori, ma i dati d i Rosa To ma rchio La prima cosa che salta agli occhi, l’assenza di un rappresentante istituzionale al salone dell’Ordine dei Medici. E poi l’influenza del fumo di sigaretta nel trend in aumento del tumore polmonare tra le donne che, frattanto, avrebbero cambiato stile di vita, scegliendo di lavorare e non di stare a casa, negli ultimi 30 anni. Si potrebbe accettare, semmai, il dato Asp su un eventuale calo dei tumori dentro le fabbriche, per via della nuova autoregolamentazione delle aziende che dovrebbe essere presa per buona, usata come punto di partenza per poi estendere il metodo su tutto l’ambiente circostante il polo industriale comunque contaminato e da bonificare. Tornando alle grandi assenze. Né il sindaco né un’assessore. Neanche un deputato. C’era però qualche esponente dei Verdi (che non ha preso parola), magari ben camuffato in platea un associato di qualche movimento cittadino in difesa della salute pubblica, ma c’era sicuramente l’ex deputato regionale Pippo Gianni che, oltre ad essere un medico, è stato anche sindaco del comune più industrializzato, Priolo, per parecchi anni e soprattutto firmatario di una legge regionale, quella sull’amianto che preluderebbe allo scontato potenziamento dell’ospedale Muscatello di Augusta. Che, frattanto, sarebbe dovuto divenire polo d’eccellenza per tutti i malati per amianto in Sicilia. Però, stavolta, le perplessità colpiscono sia maggioranza che opposizione. Neanche il sindaco di Siracusa Giancarlo Garozzo, infatti, si sente di condividere quei numeri snocciolati dai vertici Asp in quanto risalgono al 2009, dati dunque non al passo coi tempi e, pertanto, poco aderenti alla realtà. E allora, per esempio, sarà spontaneo chiedersi: quante persone usufruiscono in questa provincia dell’esenzione ticket per patologie tumorali? Sarà una delle istanze che partirà dal banco dell’opposizione del Consiglio comunale all’indomani della presentazione dell’aggiornamento del registro dei tumori della provincia aretusea. Il censimento istituzionale dell’Azienda sanitaria provinciale di Siracusa è come un treno che viaggia con qualche “anno” di ritardo, seppur giustificato, rispetto al vagone che scorre sul binario parallelo, ossia il report aggiornato mensilmente dalla chiesa, dal parroco di Augusta don Pal-

miro Prisutto che di morti per cancro, causato da inquinamento industriale, ne conta ogni ultimo venerdì del mese, durante la messa vespertina, oltre mille. Va da sé che il direttore sanitario di Siracusa, Anselmo Madeddu, ad inizio conferenza ha voluto fare una doverosa premessa: “Il registro tumori dipende direttamente dall’Asp, dalla direzione generale, per mezzo di un’apposita legge regionale 1 del 1997”, gode della massima indipendenza. Oltre tutto, il registro siracusano è collegato al comitato registro tumori di Catania, ed una successiva legge lo vuole nel novero del comitato tecnico scientifico della Sicilia Orientale. Ma dal punto di vista della gestione amministrativa e del personale – ripete Madeddu – il registro dipende solo dalla direzione Asp di Siracusa a garanzia della totale indipendenza dello strumento di ricerca scientifica importantissimo di conoscenza e prevenzione per la provincia di Siracusa. Percepita l’importanza del momento, grazie anche al proliferare di associazioni e comitati cittadini in difesa della qualità della salute e dell’ambiente, il tema è quanto mai assai delicato per un fenomeno che va combattuto in maniera strenua e convinta da tutte le istituzioni. Un momento di approdo, ma più di ripartenza e riflessione ulteriore, come dice il direttore generale Asp Salvatore Brugaletta, che denuncia la mancanza di strumenti idonei negli ospedali per la cura, prevenzione e riabilitazione, ma davanti a prefetto e Forze dell’Ordine, in prima fila, parla di conferme incoraggianti del trend salute-inquinamento industriale. A parte la mancata aderenza all’attualità dei suoi dati, (l’aggiornamento si ferma al 2009) va da sé che il registro dei tumori di Siracusa vanta non pochi meriti, come quello di essere accreditato dal Ministero e dallo Iarc (agenzia internazionale per la ricerca sul cancro). Dal 2007 questi dati vengono pubblicati pure su quello che viene considerato il “Vangelo” del cancro nel mondo. Insomma, quello di Siracusa non è un registro fatto col pallottoliere, specifica il direttore Madeddu che non risparmia giusti meriti al suo staff. “Il suo è un procedimento complesso: schede di ricovero dei pazienti anche di chi è fuori provincia in degenza. Referti di morte, esenzioni ticket, fonti secondarie, le cartelle cliniche, etcc.

C o m prensibile sarà a questo p u n t o quel lasso di tempo di 4, 5 anni utili per aspettare e recuperare atti negli anni successivi. daSDsaRo usti andes versped minciatis Questo “ritardo” b u r o cratico, diremo, si accumula soprattutto eccesso rispetto agli ultimi quatper fare la conta del numero del- tro anni, da 387 casi a 508. Altri le patologie e conseguente tasso comuni hanno spostamenti leggedi incidenza. Cosa diversa avvie- ri se non in diminuzione, in basso ne per la mortalità dove invece i alla classifica, paradossalmente, dati fluiscono giornalmente tra troviamo Augusta che scende del non poche difficoltà: incroci del- 15 per cento, un dato che si attesta le fonti, valutazione della codifica specialmente tra i maschi. Comdei dati, inserimento di questi nei plessivamente si un incremento software, le codifiche topologiche del 3,5 per cento in provincia. Ma e morfologiche. E poi ci sono quei l’incremento massivo si ha ad Aucasi acclarati di cronaca, come gusta specie tra le donne sino al l’inquinamento da mercurio, l’ae- 2009. Un calo c’è e si avverte tra reo militare caduto a Lentini negli gli uomini dal 2006, nelle donne anni Ottanta, l’incidenza delle pa- dopo il 2009. Crescono i tumori tologie tumorali tra i lavoratori re- del colon retto, della prostata tra sidenti rispetto a quelli pendolari, gli uomini mentre diminuiscono non ultima una conoscenza collet- leucemie e cancro ai polmoni. tiva che ha fatto crescere l’atten- Nelle donne in aumento i tumori zione sulla qualità dell’ambiente. al colon retto e alla mammella, E cosi si arriverà ad un aggiorna- tiroide, diminuiscono linfonodi. mento parziale, ma pare obbliga- I tumori del polmone scendono to, con inserimento di dati sino al del 5% tra i maschi negli ultimi 4 2009 per quanto attiene la sfera anni. Al contrario delle donne che delle patologie, e sino al 2013 per sono più mirate perché, a detta del i casi di mortalità. L’atlante ag- direttore Madeddu, più avvezze al giornato si trova in versione digi- fumo di sigaretta rispetto agli uotale sul sito dell’Asp di Siracusa. mini e che fa immaginare che la Veniamo alle novità di questi ul- curva di incidenza crescerà semtimi 4 anni. La zona dove si re- pre di più. gistrano tassi più elevati di inci- C’è, insomma, una fortissima denza tumorale, manco a dirlo, è componente dello stile di vita il quadrilatero (Augusta, Melilli, oltre che ambientale a incidere Priolo e Siracusa) con l’aggiunta sulla variabilità del tasso di incidi Sortino. (465, 4 per 100 mila denza tumorale tra donne e uoabitanti l’anno). “Abbondante- mini. Tutto farebbe presagire a mente al di sotto della media na- un problema di stile di vita e di zionale – fa sapere Madeddu -. alimentazione. Un dato che molMa cosa sta sopra e sotto questa ti ambientalisti cercheranno di media? E’ ancora Augusta ca- confutare: la correlazione con l’ipofila con i suoi 524 casi nuovi potetico inquinamento industrial’anno, seguito da Priolo, Sira- le pare meno forte rispetto alle cusa e Melilli con Lentini. Al di aspettative. Difatti, il tumore alla sotto tutti gli altri comuni, specie prostata tra gli uomini residenti quelli della zona sud e montana. nel quadrilatero, con Sortino in Le donne detengono il tasso della aggiunta, è in crescita del 6%, e in provincia al di sotto della media calo sensibilmente nella zona sud, nazionale. Augusta ha un tasso del ma a causa dell’aumento della età 427, 6 mentre Pachino ha quello media, dunque perché legata alla più basso di tutta la provincia. vecchiaia e non a un fatto ambienSul tasso di incidenza delle patolo- tale”. gie, anche Melilli fa registrare un Tumore alla mammella, per le

quiae soluptassin porunt v

donne, strano a dirsi, a Siracusa la media locale è di 96 al di sotto della media nazionale (126), ed i dati più si registrano proprio a Priolo e Melilli. Insomma, secondo l’Asp, il registro tumori di Siracusa sarebbe perfettamente in linea con quello del Sud Italia, per cui nulla di allarmante! Questo per quanto attiene l’indice delle patologie tumorali. Diamo uno sguardo ora all’atlante della mortalità: la zona dove ci sarebbe maggior concentrazione sempre Priolo ed Augusta, Siracusa ma non Melilli. Ma è un dato in crescita, sfalsato, in quanto riflette l’incidenza di dieci anni fa. Confrontando la media nazionale, i tassi maggiori si avvertono nel quadrilatero siracusano. (Basso trend nella zona sud, + 6 tra gli uomini; +3,5% donne). Appare chiaro che la madre di tutte le opere virtuose è la bonifica. Ma cosa dobbiamo bonificare per prima o dove? “Rispondo come ricercatore – dice il direttore sanitario Madeddu - , il problema maggiore resta quello dei fondali marini. L’acqua, elemento più prezioso dell’essere umano, pertanto il problema è serio e va affrontato di concerto con tutte le istituzioni”. Voi sostenete che la responsabilità dell’inquinamento incide al 4% sulle patologie tumorali? “La provincia siracusana rientra nella media col tasso nazionale, pero ci sono delle aree più esposte. Abbiamo tutti i doveri di intervenire anche se la percentuale fosse dell’1 per cento. Ma non bisogna dimenticare che tutti abbiamo delle responsabilità. Il fumo delle sigarette, l’alcol, l’alimentazione scorretta, da soli formano il 75 per cento del rischio tumori”. Come mai nella provincia di Siracusa non è stato dato seguito alle analisi nel sangue e nelle urine

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ati sono giudicati poco aderenti alla realtà degli studenti del polo industriale, come è stato fatto dal professore Squadrito a Milazzo? “Quella di Milazzo è una indagine che non conosco – risponde Madeddu -. Penso tuttavia sia molto simile a quella che stiamo facendo nel nostro territorio. Ancora non conclusa. Sappiamo che c’è una conferma del 2007 per quanto attiene i nostri fondali marini. Ricordiamo che quella di Milazzo comunque è stata una ricerca cooptata dal Cnr e non solo dall’Asp. E poi Milazzo ha ben altre peculiarità diverse dal territorio siracusano. Va da se che lo studio di biomonitoraggio lo facciamo lo stesso , oltre a quelle che sono le disposizioni dell’azienda. I dati sono in itinere”. Sullo stile di vita, a chi addossare il peso delle responsabilità istituzionale per una corretta educazione sanitaria? “Tutto ciò che attiene allo stile di vita modificabile non solo al singolo attore, ma attraverso una giusta e corretta adozione di politiche sanitarie. Sapete bene quanto sia stato importante l’intervento della Polstrada per la campagna di prevenzione incidenti stradali, nello scoraggiamento dal consumo di alcolici tra i giovani. Non è solo l’azione della sanità ma il sistema politico Italia, il sistema Paese, che emana leggi e strategie”. C’è un trend in diminuzione dell’incidenza tumori in provincia. Più significativo negli uomini che nelle donne. Ma che non coincide con l’area a rischio ambientale del polo industriale in quanto attraversa trasversalmente il centro il nord e il sud della provincia. Abbiamo visto che certi comuni sono nella parte positiva e altri negativa. La correlazione con il polo petrolchimico non è sembrata significativa? “La correlazione non è fortissima – afferma Madeddu - . C’era però un dato che faceva vedere come ad Agusta l’incidenza dei tumori tra i maschi è del 15 per cento, la seconda per diminuzione è Priolo mentre aumenta a Melilli. Capire se un trend che si consoliderà o dato episodico. Un trend negativo pero che tocca maggiormente le donne di Augusta e questo farebbe pensare a qualcosa di diverso dall’inquinamento industriale. Le abitudini al lavoro sono cambiate rispetto a 30 anni fa, quando le donne lavoravano meno rispetto agli uomini. Un dato ancor più interessante è che il tasso negativo si sposti fuori dalle fabbriche in ubiquità per raggiungere l’am-

ll direttore asp Anselmo Madeddu durante il suo intervento e nella pagina a fianco un momento dell’incontro biente circostante contaminato”. Fa specie pure Rosolini che, per alcuni casi di tumore, superava la media nazionale di incidenza patologica. Quali sono i fattori particolari? “Su Rosolini la situazione è assai complessa. Da tempo legata a un forte problema di cattiva gestione dell’edilizia e dell’ambiente, con discariche abusive, anche sotto Palazzolo. Sul caso è intervenuta la magistratura, non si conoscono ancora gli esiti delle indagini. Altra caratteristica, la vicinanza di Rosolini al ragusano. Alcuni elementi epidemiologici sono simili. Il cancro alla mammella registra un elevato trend a Ragusa che fa pendant con Rosolini appunto. Non tutto dunque pare sia legato all’ industria piuttosto ai cicli produttivi della coltivazione, dell’alimentazione (troppi grassi nei cibi in tavola, malattia del benessere)”. Innegabile l’allarme sociale scattato nel 2000 con la scoperta di pesci deformati nel porto di Augusta, le conseguenti inchieste giudiziarie, una maggiore attenzione e allarme che ha portato le industrie a diminuire il loro malcostume, come la sfiaccolata libera degli anni Settanta -Ottanta quando tutte le industrie mandavano in impianto ciò che volevano. Negli ultimi tempi, tra manifestazioni pubbliche e gente che si organizza e scende in piazza in corteo, tutto questo quanto ha inciso nell’autocontrollo delle aziende? “Vi sono diversi aspetti, uno normativo, l’altro scaturisce invece dall’attenzione sociale dimostrata dalla popolazione. La valvola di sicurezza è, paradossalmente il meccanismo di sfiaccolamento. E si tratta di un rischio minore rispetto allo svantaggio di una catastrofe o incidente industriale”.

Che reale impatto sulla salute pubblica? “Alcune sicuramente cancerogene. Ci sono molte sostanze che non sono normate (vedi il forte impatto odorigeno). Non esistono norme che metterebbero soglie come quelle imposte dalla legge del 2010 sugli inquinanti veicolari urbani (benzene, piombo) e che ogni azienda si guarderebbe bene di superare. Devo dare atto al prefetto Gradone di aver dato un impulso non indifferente alla trattazione della tematica ambientale”. Ma i prefetti, come si sa, passano. Bisogna lasciare una traccia per il dopo Gradone. Un tavolo permanente per l’Ambiente come quello dell’immigrazione che ci prende quotidianamente. “Credo molto nel codice di autoregolamentazione delle industrie, – afferma a sua volta il prefetto Armando Gradone -. L’Asp dal canto suo si è assunta la responsabilità di provare ad individuare nella qualità le sostanze prodotte nell’area petrolchimica critiche dal punto di vista non solo olfattivo ma anche di impatto sulla salute pubblica. Individuare quelle priorità di intervento, partendo dalla normativa vigente, su quelle poche sostanze (anidride solforosa, idrocarburi) che i nostri tecnici o scienziati ci indicheranno e da contemplare in una disciplina concordata con tutte le aziende del polo industriale. Chimica, raffineria, discariche, ahime, c’è molto da trattare nel vasto ciclo di produzione. Non vi è dubbio che occorre una maggiore energia e attenzione verso questo settore”. Cosa ha sorpreso di più i tecnici Asp elaborando questi dati? “Obiettivamente non mi aspettavo un calo subito cosi forte nel territorio di Augusta. Mi aspettavo un calo meno forte e più nel tempo.

Preferirei aspettare altri due anni per vedere se il dato si consolida. Inoltre, non mi ha sorpreso il calo in se per se, ma come esso non si verifichi tra le donne”. La sensazione secondo il direttore generale Asp, Salvatore Brugaletta, è che si stia andando incontro a una omogeneizzazione del dato in tutto il territorio. I dati di incidenza testimoniano, forse, alla fine che questa provincia ha saputo reagire con un’attenzione culturale anche in termini di azioni. Un risultato che sicuramente porterà a migliorare anche gli esiti di questi interventi. Magari non totalizzanti, parziali, in tempi immediati. Il fatto che le aziende hanno sviluppato un sistema di monitoraggio, la presenza delle centraline, vuol dire che è stato preteso un cambiamento voluto da tutti, forse manca la magistratura, anche se il procuratore Giordano so che sta sviluppando in queste ore delle inchieste importanti. Sento che si sta sviluppando una sacra alleanza tra cittadini e istituzioni deputate. Il territorio che ha resistito al pericolo sociale dell’immigrazione con un piano di contingenza, saprà adottare azioni importanti anche sul versante ambientale. Un polo oncologico nella città di Augusta sarebbe un regalo per questa provincia, cosi come la necessità di incrementare la Tac Pec all’Umberto Primo di Siracusa ed aprire la radioterapia al Rizzo per impedire viaggi della speranza e migrazioni sanitarie che non si possono più tollerare. Mentre si parla di miglioramento dell’offerta sanitaria, Siracusa perde uno dei pezzi più pregiati, il primario di ortopedia Roberto Varsalona. Non è dato sapere ancora cosa abbia costretto il professore a fare valigie e tornare

a Catania. Certamente il suo reparto difetta di posti letto, servizi, persino strumenti idonei per operare. La perdita di una professionalità alta che Siracusa pagherà anche in termini economici visto che l’utenza seguirà lo specialista a Catania. Sembrerebbe uno smantellamento progressivo dell’ospedale Umberto Primo, sulla stessa scia di quello di Augusta dove mancano i primari nei reparti d’eccellenza. Giusta la provocazione dell’on. Pippo Gianni quando dice: “La zona industriale è in forte contrazione? Per forza, se diminuiscono i malati di tumore è perche mancano i posti di lavoro! Ma, allo stesso tempo, aumentano le morti per tumore perche la sanità siracusana fa poco per eccellere. Manca una capacità gestionale. Mancano cinque anni di report al registro tumori. Il problema salute non è solo legata all’ambiente ma a ciò che respiriamo, ma anche quello che beviamo e mangiamo. Proprio come l’amianto, gli operai lo hanno assorbito 15 anni fa e poi gli è stato diagnosticato il tumore al polmone. Nella zona industriale molti fusti sono stati interrati tra Priolo, Augusta, Melilli e Carlentini sino a Francofonte. Hanno inquinato la falda acquifera e tutte le coltivazioni. L’offerta sanitaria? Radioterapia non c’è ancora, seppur la direzione sanitaria si fregi di possederla. Ogni direttore o commissario che arriva all’Asp di Siracusa si fregia di cose che non ha fatto fermandosi alle chiacchiere. Il fatto è uno: il professore Varsalona è andato via. E non sarà il primo né l’ultimo, purtroppo il capofila di una lunga serie a causa di una incapacità gestionale dei vertici aziendali sanitari che dura da un decennio”.

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GENNAIO 2015 - Attualità

Esplodono le diseguaglianze nel mondo drogato dal liberismo d i Sal vo A rdizzo ne Lo abbiamo già detto molte volte: l’attuale modello di sviluppo fa esplodere le diseguaglianze e dilagare il disagio e la povertà. Lo affermano sempre nuovi rapporti di istituzioni internazionali; ora è Oxfam a stimare, con dovizia di particolari, che, nel 2016, l’1% della popolazione mondiale disporrà di più ricchezze del rimanente 99%; solo quarant’anni fa, negli anni ’70, era il 40% della popolazione più benestante a controllarne il 60%, disegnando una piramide della ricchezza fino ad allora inclusiva, che ammetteva nella sfera del benessere sempre nuove fasce sociali. Da allora molte cose sono mutate, stravolgendo modelli di vita e la struttura stessa della società: inseguendo i dettami d’un liberismo sempre più sfrenato, i cancelli che portano al benessere si sono enormemente ristretti e segmenti sempre più ampi della popolazione ne vengono espulsi. In poche parole, i ricchi divengono sempre più ricchi e sono sempre più numerosi coloro che cadono nel disagio o addirittura nella povertà. A confutare questa realtà che è sotto gli occhi di tutti non ba-

sta sventolare gli aumenti di Pil (ora sempre più miseri e rari): la misura della ricchezza in sé è un metro bugiardo, perché non dice dove essa finisca e come; non serve neppure ad attestare la salute di un’economia, perché un sistema basato su rendita e accumulazione, con la ricchezza concentrata su un segmento minimo della popolazione, è sbilanciato e fragile, soggetto a crisi improvvise che possono farlo crollare, scaricandone il

peso soprattutto sulle fasce più deboli, come sperimentato troppe volte in questi anni. D’altronde, è lo stesso Oxfam a far notare che un sistema economico non può funzionare in presenza d’un simile squilibrio perché, come arcinoto, sono i redditi medio – bassi a stimolare naturalmente i consumi; quelli alti, e ancor di più quelli altissimi, drenano ricchezza per indirizzarla largamente su impieghi diversi dall’acquisto di

beni e servizi (impieghi finanziari, tesaurizzazione, etc.). A parte l’aspetto tecnico, ci sono anche colossali problemi etici collegati a questa situazione, che solo chi è in malafede non coglie: una larga, larghissima fetta dell’umanità patisce duramente, a prescindere dalle proprie capacità, d’essere nata nella famiglia o nello Stato sbagliato. Inoltre, moltissime di quelle enormi ricchezze sono tutt’altro che meritate e meno

ancora guadagnate correttamente; sono tantissimi i Paesi, e non solo del Terzo Mondo, in cui l’apparato del potere è al servizio di lobby, gruppi, famiglie, organizzazioni ristrette, che lo usano a piacimento per i propri interessi. E poi diciamocelo: anche nelle Nazioni più sviluppate la distribuzione e l’accumulo della ricchezza avviene assai più grazie a privilegi, reti di relazioni, scambi e accordi più o meno opachi, che in base al merito o alle competenze. In questa situazione, che è in rapido peggioramento perché è lo stesso sistema economico adottato, lasciato privo d’ogni serio controllo, che determina inevitabilmente la concentrazione della ricchezza in sempre meno mani, a fronte del progressivo impoverimento di una fascia sempre più ampia di popolazione, è la democrazia stessa a divenire una finzione; come ha detto Joseph Stiglitz, è “il governo dell’1%, da parte dell’1%, a favore dell’1%”. C’è solo da sperare che la gente prenda coscienza e determini un’inversione di tendenza, prima che il tanto osannato “Mercato” finisca per divorare se stesso in una colossale crisi definitiva.

La Brigata d’Arte porta “Il Tacchino” in tournée di Fi li ppo R api s ar da Dopo il grande successo riscosso al teatro Martoglio di Belpasso e al Brancati di Catania la Brigata d’Arte ripropone “Il Tacchino” di Georges Feydeau con Guia Jelo, Giovanna Criscuolo, Mauro Amato, Valentina Ferrante, Alessandro Ferrari, Claudia Sangani, Valerio Santi, Salvo Scuderi, Pippo Spampinato e la regia di Mario Sangani. Dopo il debutto, fuori abbonamento, al Martoglio, previsto per domenica 25 gennaio alle ore 18 in turno unico, la commedia girerà in tournée nei mesi di gennaio e febbraio, toccando alcuni dei più importanti centri isolani come Catania, Messina, Siracusa, Enna e Ragusa, per approdare, in chiusura, sabato 21 febbraio, al teatro Nelson Mandela di Misterbianco dove lo spettacolo è in programma nel cartellone 2015. “Il Tacchino” è una delle più riuscite e intrecciate pochades

Un momento della rappresentazione del celebre commediografo francese. Come tante altre della sua vasta produzione, essa è tutta tramata sui complicati tentativi di alcuni borghesi benestanti di evadere dal ménage domestico, spinti da un irresistibile istinto preda-

torio che non deve, però, degenerare nella trasgressione e nel sovvertimento delle regole ma, esaurito il capriccio, rientrare nell’alveo familiare, salvando decoro e onorabilità. L’ inventiva e l’originalità di Feydeau consistono nel frapporre al

soddisfacimento di questi effimeri piaceri continui inciampi, difficoltà, sorprese, sviluppi mirabolanti ma verosimili che costituiscono la sostanza comica del testo e lo guidano, quasi sempre, ad una conclusione che mette tutti d’accordo e, soprattutto, salvaguarda la stabilità dei valori tradizionali col sostegno di una buona dose d’ipocrisia. Per questa edizione, il regista ha operato importanti cambiamenti: intanto trasferisce la vicenda dalla Parigi gaudente e raffinata della Belle Époque ad una Roma più provinciale e sanguigna, poi mette in bocca alla maggior parte dei personaggi quell’italiano dialettale ormai diffusissimo o addirittura il vernacolo catanese, come nel caso dei due anziani coniugi (una irresistibile Guia Jelo ed un bravissimo Pippo Spampinato) in viaggio di noz-

ze d’oro che, dal secondo atto fino alla conclusione della vicenda, irrompono sulla scena coll’irruenza e il fracasso di due schegge impazzite, creando ulteriori divertenti scompigli e complicazioni ad una trama già di per sé intricata. La stagione di Belpasso e Misterbianco proseguirà con due importanti appuntamenti e con un protagonista della scena siciliana: Enrico Guarneri, mattatore assoluto in due capolavori della drammaturgia teatrale. Sabato 14 e domenica 15 marzo al teatro Martoglio di Belpasso andrà in scena “L’uomo, la bestia e la virtù” di Pirandello con Emanuela Muni ed Anna Malvica per la regia di Antonello Capodici. Sabato 21 marzo al teatro Nelson Mandela di Misterbianco sarà presentato, in turno unico, “Il malato immaginario” di Molière per la regia di Guglielmo Ferro.

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GENNAIO 2015 - Spettacolo

L’Altalena di Martoglio, catanesità ed esaltazione della “donna Agatina” d i L ella Ba t t ia t o Si accendono i riflettori su una straordinaria edizione de L’Altalena di Nino Martoglio, genio poliedrico del grande belpassese che debutta al Metropolitan con un cast di rilievo e protagonista indiscusso il sicilianissimo Pippo Pattavina, che ha avuto un ruolo intriso di pura comicità, riadattando la commedia pur mantenendone intatta la struttura narrativa, rielaborata con sapiente regia. Un intreccio a sfondo realistico la rende fresca attuale e divertente, attraverso gag dai ritmi veloci, ricostruzioni storiche e partiture esilaranti, per essere offerte a un folto pubblico che l’ha apprezzata con continui e lunghi applausi, ma anche lunghe risate esplosive. La trama della commedia è incentrata sulla lotta tra il barbiere Neli e il fratellastro Mariddu per il possesso della “barberia” e del cuore delle bella Agatina. Come in tutte le commedie di Martoglio, nel cui solco mosse i primi passi Luigi Pirandello, c’è un aspetto

folclorico e mitologico rilevante. L’autore infatti nella sua ricognizione di usi, costumi, linguaggio e contesti politici e sociali recupera la memoria storica del tempo in cui fa interagire i personaggi. Il regista rende omaggio alla sicilianità e a un autore che fu anche instancabile promotore culturale e scopritore di talenti che avrebbero fatto poi Pippo Pattavina la storia del teatro siciliano da Giovanni Grasso ad Angelo Musco, un’antesignana per quei tempi si da Umberto Spadaro a Rosina An- ribella, sta qui la sua modernità, selmi; una nuova e straordinaria una rielaborazione che si gioca sui avventura per Pattavina nel segno ritmi, sulle situazioni ma sopratdell’arguzia e dello spirito inesau- tutto sulla modernità, ricordiamo ribile, caratteristiche precise che che sono già trascorsi novant’anni. hanno distinto il nostro autore. Il Ho voluto sottolineare questi moregista vuole sottolineare in questa menti per sublimare e suggellare edizione l’evoluzione della donna l’importanza della femminilità, fil e sottolinea “la donna Agatina è rouge di questa edizione. Recito

questo testo felice, da tanti anni e adesso sono qui con questa compagnia straordinaria. L’attore non solo recita ma modulandosi con il linguaggio è come se vibrasse un partitura musicale con melodie. Dopo sessant’anni di teatro è piacevole lavorare con attori di livello”, e ricorda con tanto entusiasmo che Pirandello chiedeva consigli a Martoglio. Una pièce che ha offerto un itinerario originale graffiante nell’universo di personaggi con una ricca galleria non solo di macchiette, ambienti e situazioni popolari, ma anche di uomini in carne e ossa, tali e quali a coloro in cui ci si imbatte nella vita reale offrendo agli spettatori una delle più esaltanti pagine teatrali della nostra isola, per far conoscere anche ai giovani il mondo cantato da Martoglio e la ricchezza della lingua siciliana e il regista ha introdotto anche terminologie linguistiche argute “bottista, seggista”, cercando di unire il siciliano autentico di Martoglio che racchiude una ricchezza culturale antropologica, in sinergia con la

nostra lingua, un mix tra classico velato di modernità che ha creato puro divertimento e gioioso gioco scenico. Il regista è riuscito a riportare in scena l’esuberante vis comica profusa nei personaggi dallo scilinguagnolo infarcito di spropositi linguistici, alle spassose trovate con virtuosismi scenici e verbali, divertendo il pubblico che risponde con l’applauso alla russa.

Il cast

L’Altalena (Voculanzicula) di Nino Martoglio con Pippo Pattavina (Nino), Carmelo Cannavò (Neli), Cosimo Coltraro (Pitirro), Raffaella Bella (Agatina), Claudia Bazzano (za’ Sara), Santo Santonocito (‘Gnazio), Raniela Ragonese (Flavia), Ramona Polizzi (Nunziata), Santo Pennisi (avventore). Regia Pippo Pattavina Scene Salvo Mangiagli; costumi Riccardo Cappello

Pittura di Giovanna Marraro al palazzo della Cultura di Catania Al Palazzo della Cultura di Catania è stata inaugurata la personale di Giovanna Marraro nella sala refettorio con al partecipazione dell’assessore Orazio Licandro e l’attrice Guia Jelo, che ha evidenziato l’espressione dell’io, nella solitudine della natura e nella frammentazione; sottolineando “i paesaggi sono luoghi onirici surreali dalle forme indefinite e a volte geometrizzanti campite da un’espressione scintillante di colori, immagini spesso con vibranti tocchi di rosso che vivacizzano la visione conferendole dinamicità. Presente un folto pubblico, tra artisti estimatori che hanno apprezzato la mostra che rimarrà aperta sino al 25 gennaio. Protagonista nelle pitture di Giovanna Marraro, oltre l’espressione del suo essere donna siciliana, madre è il paesaggio figurativo metafora dell’interiorità dell’uomo in tutte le sue sfaccettature che cerca di comunicare le sue emozioni e i suoi pensieri, specchi dell’anima, in un’angoscia esistenziale, dove i colori accesi e sofisticati esprimono la speranza: una inquietudine interiore, mista a desiderio di cambiamento, miglioramento, trasformazione. Queste trasformazioni appaiono esplicite, se si accetta la sfida di cercare il legame possibile tra il

Jelo Marraro con Frazzetto e Licandro. A destra con il sindaco Bianco questo, ovvero la soggettività più intima, e l’andare al di fuori del questo, nell’esterno che visione e desiderio ci propongono come meta e come limite. Nella sua pittura estatico-paesaggistica (Turner, Monet), si nota la dicotomia odierna tra soggettività estetiche e le esperienze che si frantumano come cipria, e bisogna trovare un equilibrio, sia pure onirico, nell’Aperto, contenitore di tensioni e conflitti che si perdono tra oblii e felicità nel paesaggio. Lì vediamo perfettamente e limpidamente come non mai e, tuttavia, non li vediamo già più, perduti – felicemente immemorabilmente perduti – nel paesaggio “ (Agamben). Dal gestualismo al segnismo, le sue cellule cromatiche giocano con il colore, fra luci e ombre

cercando equilibrio che Handke chiamava “mondo interno dell’esterno dell’interno”. Fil rouge delle sue opere è il colore, metaxy, colore in divenire, pathos che dona alle scene impalpabili intimità. La pittrice nell’eseguire i suoi lavori privilegia tecniche che portano al raggiungimento di esiti totalmente differenti, ma conferiscono all’immagine pittorica toni tenui, rarefatti, di intensa poesia e lirismo, ma spesso nella sua non-forma le immagini acquistano una maggior volumetria e i toni si caricano di intensità cromatica. Di conseguenza, parlando con Giovanna Marraro si possono ascoltare frasi come “questo quadro mi spaventa” o “questo quadro mi entusiasma”. Giovanna Marraro, siciliana, vive e opera a Catania, inizia il suo

percorso nella pittura a 17 anni; il suocero, appassionato d’arte, le fa scattare la molla, presto abbandonerà la sfera figurativa per abbracciare quella propriamente informale di cui è grande esponente l’americano Jackson Pollock, seguendo un suo percorso ispirato all’action painting (informale gestuale). Frequenta gli studi d’arte dei maestri Nona e Mustica per apprendere la tecnica. A 25 anni è già pittrice e intorno ai 40 arriva l’affermazione nazionale con mostre a Roma, Palermo, Firenze, Prato, Catania e Spoleto (dove vince un ambito premio, partecipando a una vernissage collettiva sul tema: Marilyn Monroe, con la sua creazione olio su tela Luce). Fondamentale, nella sua carriera, l’incontro con Renato Guttuso

che la spronerà e appoggerà a lungo per farla proseguire. L’artista è presto conosciuta negli ambienti culturali e alla sua arte si interessano scrittori come Carlo Laurenzi, il regista Giorgio Strelher, Fortunato Grosso, Salvatore Quasimodo e Ruggero Jacobbi che le dedica alcuni versi in un sonetto: Come nella piana. L’ultima sua mostra risale al 2006 a Catania, dove viene recensita, amichevolmente, dal critico d’arte Vittorio Sgarbi il quale scrive: “forme senza forma, e nell’informe il desiderio della forma”. Nei disegni e nei suoi dipinti si possono notare gli elementi le suggestioni della transavanguardia italiana, un ritorno alla figurazione in chiave espressionista e surreale, con una lettura trasfigurata dell’interiorità dell’individuo e l’inserimento di elementi surreali, che tendono a rompere i legami logici di una normale rappresentazione, caricandola di pathos. Insomma Marraro esprime, in un certo senso, nelle sue immagini il dramma dell’uomo moderno: la proiezione e l’incapacità di realizzarsi in un’armonia serena e feconda con tutto ciò che gli sta intorno. L.B.

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La pagina delle rubriche Napolitano e i fatti d’Ungheria del 1956 di Maurizio Ballistreri

Si è molto discusso nei nove anni di Napolitano al Quirinale circa le tendenze generate alla “presidenzializzazione della figura del Capo dello Stato”, e molto meno sul suo ruolo nella sinistra riformista europea. Giorgio Napolitano è stato uno dei dirigenti a partire dal 1953, anno del suo ingresso in Parlamento, più autorevoli del partito comunista, ricoprendo incarichi strategici, come quello di “Ministro degli esteri” di Botteghe Oscure, nei fatti l’uomo dei rapporti con l’Unione Sovietica e i “partiti fratelli” del Patto di Varsavia. Sulle posizioni di Giorgio Amendola, di cultura laica formatosi avendo presente il liberalismo crociano, Napolitano alla vigilia del collasso del comunismo sovietico tentò di portare il Pci all’incontro con il socialismo liberale di Bettino Craxi, evolvendo verso posizioni del socialismo democratico europeo e di aperto atlantismo. In questo quadro è maturata nel 2006 una sua dichiarazione piena di onestà intellettuale: “Sui fatti d’Ungheria, sulla rivoluzione e sulla repressione aveva ragione Nenni”, con il riconoscimento della giustezza della posizione dei socialisti nel 1956

Da

contro l’invasione sovietica, avallata dal partito comunista in Italia. All’epoca la tragedia di Budapest seguiva i disordini in Polonia, che portarono alla liquidazione della vecchia guardia stalinista e all’ascesa di Gomulka, e nasceva sull’onda delle speranze animate da Kruscev al XX congresso del Pcus, con due fasi. La prima, dal 23 ottobre al 3 novembre 1956, con la rivolta popolare, l’invasione dei carri armati dalla stella rossa e l’avvento di Imre Nagy al posto di Geroe alla guida di un governo democratico, in attesa del ritiro delle truppe sovietiche, l’instaurazione del pluralismo politico e la dichiarazione di neutralità del Paese. La seconda, a partire dal 4 novembre, con una nuova invasione detta “operazioneciclone”, la liquidazione della rivoluzione, l’arresto di Nagy e la “normalizzazione” del nuovo premier Kadar voluta dal Pcus sul sangue versato dai patrioti ungheresi. In quei giorni l’Unità a sostegno delle posizioni filosovietiche di Togliatti e di tutto il gruppo dirigente del Pci (che aveva costretto il leader comunista della Cgil Giuseppe Di Vittorio a ritrattare l’entusiastica adesione alla rivoluzione ungherese), scriveva: “l’altro ieri notte è stato messo in atto a Budapest un putsch controrivoluzionario. Si è trattato di un attacco armato contro i gangli vitali della capitale ungherese – chiaramente rivolto a rovesciare con la violenza il regime di democrazia popolare, il governo legittimo, l’assetto sociale e politico del Paese”. A sua volta, Nenni, che, a seguito degli avvenimenti ungheresi rompeva il patto di unità d’azione con i comunisti e preparava, con il congresso di Venezia del 1957, l’alleanza di centrosinistra e l’unificazione con la social-

democrazia di Saragat, invece, sulle colonne dell’Avanti! parla di aiutare i lavoratori ungheresi a “spezzare gli schemi della dittatura in forme autentiche di democrazia e libertà”. Le parole di Napolitano, che all’epoca affermò che l’Urss “porta la pace nel mondo”, hanno costituito la presa d’atto da parte degli eredi del Pci, trasformatosi dopo il crollo del Muro di Berlino in Pds, poi in Ds, quindi in Pd con il tenue richiamo al socialismo europeo, della tragedia provocata dal totalitarismo comunismo, con il giusto apprezzamento della lungimiranza delle posizioni del Psi nel ‘56, dalle quali si originò la svolta autonomista socialista che segnerà un filo rosso che da Nenni arriva sino al riformismo di Craxi. Ciò che manca ancora da parte degli ex-comunisti è il riconoscimento delle conseguenze su tutta la sinistra italiana degli errori politici e ideologici compiuti dal Pci nel 1956 ma anche dopo e che pesano ancora oggi. All’epoca infatti, ribadendo il filosovietismo, Togliatti potenziò la forza dell’apparato ideologico del partito, anche rilanciando l’uso della categoria dell’«egemonia» culturale gramsciana, costringendo molti intellettuali non più «organici» il cosiddetto «Gruppo dei 101» guidato dal futuro ministro socialista Antonio Giolitti, a uscire dal Pci, bloccando di conseguenza qualsiasi rinnovamento del partito. E, probabilmente, questo riconoscimento sarà quello più difficile da ottenere, sopravvivendo, in qualche misura, quella che un socialista «eretico» come Riccardo Lombardi definiva «inveterata mentalità comunista, secondo cui il partito, tutto sommato non sbaglia mai». Si spera che gli ex comunisti facciano tesoro delle parole di Napolitano.

(C’è ressa ai botteghini..) Prenotarsi il suicidio di Enzo Trantino Gli analisti sostengono che il contrasto essere/avere, debba essere sostituito in essere/sembrare. Non è teoria suggestiva, essendo vecchia di oltre un secolo. Noi siciliani dobbiamo convenire su una certezza verificata: dopo Luigi Pirandello è difficile che qualcuno scopra “novità”. E’ modesta cosa, infatti, spaccare in due i comportamenti (quello che si è e quello che si sembra) quando esiste la filosofia del quotidiano in “Uno, nessuno, centomila”, opera universale per l’anatomia del cuore degli uomini. Non più “uno” (essere), “più di uno” (apparire cioè diverso da quello che si è), e, infine, moltiplicarsi (“centomila”) o smaterializzarsi (“nessuno”). L’umanità è di regola palcoscenico girevole: agiscono caratteristi con molte parti in commedia, che, umiliando la bellezza della coerenza, la irridono sdoppiandosi in molti ruoli per frastornare, ingannare, offendere. La Chiesa, ricorrendo all’immagine del “nicodemismo” limitava i danni a Nicodemo, che andava di notte a trovare Gesù e di giorno i sacerdoti del Sinedrio. Poi il concetto fu vilipeso dalla politica, perché non si aspettava il sole del giorno e il buio della notte per contraddirsi, smentirsi, cambiare connotati ai comportamenti. Si andava oltre il cronometro… Si assisteva, si assiste, a un processo di accelerazioni, detto dalle “transumanze”, tale da perdere di vista facce e confini, nobilitando il personaggio di Stendhal (Fabrizio), che con continui volteggi si rifugiava nella incolpevole labirintite. Destra, sinistra, centro: espressioni ammuffite relegate in soffitta dagli autori, cinici, ruffiani e miserabili, con ricorso attualizzato alle definizioni proprie per i ruoli sportivi, orgogliosi delle loro astute vergogne. Ora, a mettere in moto, la nostra morale delle certezze, interviene Papa Francesco e, usando gentilezza, sferza: “la malattia del moralismo”, figura prestata dal Vangelo per la compagnia di giro che sulle piazze recita “la vita attiva e quella contemplativa”, cioè il vissuto di Maddalena e Marta, donne delle “Scritture”. Perciò il termine: “martelliano” (da Marta). Santo Padre, parole al vento, “perle ai porci”, come scolpivano poeti e scrittori dell’antica Roma. Ora i costumi si rinnovano con i neologismi, i nuovi termini che non indicano percorsi nuovi, ma antichi vizi peggiorati con spavalda ostentazione. Si autopromuovono: sono quelli che “sanno vivere”, “nemici dei fessi”, “quelli di successo”. Così l’uomo si esercita nelle capriole al confine del baratro. E l’imbecille riesce a mostrarsi contento, prenotandosi il suicidio.

la foto della

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Armonie barocche nella Badia di S. Agata d i Aldo M a t t ina Prosegue nella recuperata Monumentale Chiesa della Badia di S. Agata la Prima stagione concertistica di musica classica e sacra “In Cordis Jubilo” da parte del Coro Lirico Siciliano diretto da Francesco Costa, in collaborazione con l’Arcidiocesi di Catania. L’ultimo concerto presentato, Armonie barocche, spaziava in un arco temporale di due secoli attraversando eterogenee composizioni affidate a diversi organici ed offrendo un interessante quadro del repertorio barocco comprensivo delle sue premesse rinascimentali. Al chitarrista Agatino Scuderi era affidato l’incipit con una interessante e virtuosistica “Suite in sol minore” di quel Francesco Corbetta, gran virtuoso alla corte di Luigi XIV nella splendida

Francia del Seicento; era poi la volta di due celebri arie dei più grandi maestri del barocco internazionale, Antonio Vivaldi (‘Sposa son disprezzata’ da Bajazet) e Georg Friedrich Haendel (‘Lascia ch’io pianga’ dal Rinaldo) interpretate con proprietà stilistica e partecipazione emotiva rispettivamente dal mezzosoprano Serena Cravana e dal sopranista Alberto Munafò. Dopo un’ulteriore, prezioso, intervento solistico del chitarrista Scuderi con alcune trascrizioni delle Sonate clavicembalistiche di Domenico Scarlatti, il concerto ha raggiunto il culmine con due suggestive pagine corali, le quali hanno visto impegnato il Coro Lirico Siciliano (diviso in due sezioni contrapposte) diretto con passione e raffinatezza da Francesco Costa mentre l’organista Paolo Cipolla e la contrabbassista Patrizia Privitera re-

Alcuni momenti della serata alizzavano il basso continuo: la prima del ‘veneziano’ Agostino Steffani era una “Psalmodia Vespertina volans octo plenis vocibus concidenda” per doppio coro e basso continuo, la seconda del polifonista spagnolo Tomas Luis De Victoria, una delle più straordinarie voci del Rinascimento internazionale, “Alma Redemptoris Mater”, per coro a otto voci

battenti e basso continuo, opera di straordinario magistero compositivo che ha coinvolto il numeroso pubblico intervenuto al raffinato intrattenimento.

Good people a Boston passando dal verde Dello scrittore americano David Lindsay-Abaire (nativo di Boston nel 1969) si sa poco dalle nostre parti, come scrive lo stesso Roberto Andò nel presentare il suo ultimo lavoro teatrale, Good People, rappresentato al Teatro Verga nella traduzione dello stesso Andò (che cura anche la regia dello spettacolo) e di Marco Perisse. Ma se la biografia resta avvolta nella riservatezza, i suoi testi parlano a gran voce. Evidentemente Lindsay-Abaire con la scrittura ci sa fare; lo dimostra il blasone del Premio Pulitzer per il teatro, ottenuto nel 2007 per Rabbit Hole da cui è stato tratto un film con Nicole Kidman; così come parlano per lui un lavoro teatrale molto popolare negli Stati Uniti, Fuddy Meers, ed una serie di sceneggiature cinematografiche di successo che lo connotano come uno dei più richiesti sceneggiatori in circolazione. La lista sarebbe lunga, basta ricordare, oltre al già citato “Rabbit Hole”, “Inkheart – la leggenda di cuore d’inchiostro” del 2009 (con Brendan Fraser, Helen Mirren e Jennifer Connelly) e “The Family Fang”, l’ultima sua creatura non ancora uscita negli schermi ma presentata in anteprima lo scorso anno a Cannes (ancora con Nicole Kidman e con Christopher Walken). Good People è ambientato a Boston ma potrebbe raffigurare

Luca Lazzareschi, Esther Elisha e Michela Cescon (Ph Salvatore Pastore, Ag Cubo) una qualsiasi altra città dell’Occidente globalizzato e fagocitato dalla società capitalistica, dove le più diverse stratificazioni sociali convivono a breve distanza, specchio di una civiltà lacerata in cui le profonde differenze di status sono all’ordine del giorno fino a costituire la normalità, nell’indifferenza dei più. E’ la descrizione cronachistica, ancor più che verista, di uno scontro di classe che la società moderna, lungi dall’aver lenito in nome della giustizia sociale e della distribuzione del benessere (che pure la democrazia tanto decanta), ha accentuato nel nome delle ‘necessità’ dell’economia e della finanza, creando di fatto le mostruose disparità oggi sotto gli occhi di tutti. Lindsay-Abaire è bravo a raccontare-descrivere il re-incontroscontro fra Margaret e Mike, nati

e cresciuti nello stesso sobborgo povero di Boston, cui la vita ha riservato destini completamente contrapposti: una vita umile e rassegnata nella quasi povertà per Margaret (Margie), costretta a fare i conti con le bollette, con l’affitto, con la figlia disabile che la costringe a giungere spesso in ritardo al lavoro ed essere conseguentemente e impietosamente licenziata (ma dove sono la solidarietà americana ed il welfare?). Destino diverso per Mike il quale ha avuto la determinazione/fortuna/possibilità di fuggire dal quartiere natale e di conquistarsi lo status sociale di dottore benestante, dallo studio ben avviato, con tanto di bella casa e di bella moglie. Quando Margie superando il proprio orgoglio si rivolge a Mike (sua antica e breve fiamma per il quale, forse, sente ancora qualcosa)

per essere aiutata a trovare un lavoro, esplodono tutte le contraddizioni tra le condizioni del presente e quelle di un passato che l’uomo cerca di rifiutare: i due mondi attuali non potranno più incontrarsi e Margie e Mike (dopo un confronto che potrebbe essere drammatico se non fosse stemperato da un sano disincanto e da una leggera e sottile ironia) torneranno alla loro vita. La forza della piece sta tutta nella leggerezza e nell’equilibrio della narrazione, scevra da scivolamenti melodrammatici o da pistolotti moralistici; è quasi la distaccata osservazione di uno scorcio di vita reale. Ne risalta così ancor di più la carica critica nei confronti di una Società inamovibile nelle proprie ingiustizie e nel proprio cinismo, quella in cui tutti viviamo. Michela Cescon è una Margie

di straordinario impatto proprio per la naturalezza con cui da voce ad un personaggio credibile nelle sue debolezze, nelle sue debolezze, senza mai rinunciare alla dignità e perfino all’ottimismo ed all’allegrezza; Luca Lazzareschi, dal canto suo, dipinge con variegata espressività il personaggio dell’americano ‘fatto da sé’, cui riesce difficile accettare il confronto con un passato che, pur riaffiorante con qualche nostalgia, viene ostinatamente ricusato. Accurata e partecipe anche l’interpretazione di Loredana Solfizi, Roberta Sferzi, Nicola Nocella ed Esther Elisha. Le due scene, ideate da Gianni Carluccio, ben rappresentano la realtà dei due mondi messi a confronto; semplici ed efficaci i costumi di Ursula Patzak e le musiche di Carlo Boccadoro. Coproduzione Teatro Stabile di Catania, Napoli teatro festival e Zachar produzioni. Infine, ma non ultima, naturalmente, la regia di Roberto Andò (da un progetto di Michela Cescon. A lui va il merito di aver proposto e fatto conoscere anche in Italia una voce importante ed interessante come quella dell’americano di origini irlandesi David Lindsay-Abaire perché è giusto, come sottoscritto dallo stesso regista, rappresentare autori che vivono la contemporaneità. Una scelta encomiabile. A.M.

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Anna Bolena inaugura con affanno la stagione lirica del Bellini d i Al d o M a t t ina C’è una contraddizione di fondo nella programmazione del teatro Massimo ‘Bellini’ ed appare in tutta evidenza fin dallo spettacolo inaugurale della stagione lirica 2015. Falcidiato negli ultimi anni dai tagli regionali imposti dalla crisi (!?1?), privato a lungo di fondamentali posizioni apicali, artistiche, tecniche e amministrative (Maestro del coro, Capo ufficio stampa, Direttore artistico a singhiozzo, ecc…) ma anche ridimensionato per il blocco delle assunzioni di stagionali, il teatro è andato avanti soprattutto per l’abnegazione dei lavoratori rimasti, con una componente di ‘volontariato obbligato’ che ha di fatto ridotto al minimo quelli che una volta passavano come ‘diritti inalienabili alla dignità del lavoro retribuito’. Con tutto ciò il teatro è andato pervicacemente avanti mostrando una vitalità ed una capacità di resistenza che solo la grande professionalità interna potuto mantenere. Si sono fatti spettacoli, di concertistica e di lirica che, tutto sommato, hanno mantenuto un livello artistico più che dignitoso. Ma attenzione, è rimasta pur sempre una situazione di emergenza, nell’attesa e nella speranza che si potesse ripristinare un’attività in linea con la grande e prestigiosa storia del teatro. Il rischio è che la capacità di autoconservazione minima possa essere scambiato per ‘normalità’ e che passi il messaggio che tutto ciò che si fa è comunque un grande evento, con l’ausilio di una comunicazione mediatica fin troppo compiacente. Così si giunge all’assuefazione e si giustifica l’atteggiamento di una certa politica, la quale può arrivare ad affermare: “se nonostante i tagli il teatro riesce a produrre eventi spettacolari, allora va bene lo stesso”. Non è così! Bisogna avere un minimo di critica obiettività e ammettere che il Bellini non ha più il riconoscimento di un tempo (neanche tanto tempo fa) perché minori sono gli esiti artistici nonostante le grandi potenzialità. Fa male dover esprimere queste perplessità e anche un po’ di rabbia, ma sarebbe peggio nascondere la testa come gli struzzi per non guardare ciò che accade. E torniamo alla contraddizione di cui si diceva all’inizio. Nella programmazione della stagione lirica figurano titoli di tradizionale programmazione come la pucciniana Bohème o come il rossiniano Turco in Italia ma anche

Nelle foto alcuni momenti dello spettacolo altri più complessi, come Samson et Dalila di Saint-Saëns, che un tempo non avrebbero intimorito il nostro teatro ma che oggi mettono a dura prova le sue possibilità; a partire proprio dal titolo inaugurale, Anna Bolena di Donizetti, encomiabile per una inaugurazione di spessore, sol che la si possa realizzare come si deve. Non sarà un caso se quest’opera, ritornata in repertorio dopo la mitica ripresa della Callas alla Scala nel 1957 (Gavazzeni direttore, Visconti regista, Benoit scenografo e costumista), ha conosciuto sì molte rappresentazioni ma solo quando ha potuto contare su cast di indiscusso spessore, tale è la complessità della scrittura vocale ed il rilievo della concezione drammaturgica. In effetti Anna Bolena è opera centrale nel percorso creativo del compositore bergamasco, con il fondamentale contributo librettistico di Felice Romani, segnando lo sganciamento definitivo dalla tradizione rossiniana ed aprendo la strada a nuove conquiste drammaturgiche segnate dalla temperie romantica, avviando fra l’altro una virtuosa competizione con il nostro Bellini. Detto questo stiamo proprio sottolineando come l’opera in questione non possa certo essere

realizzata con poche prove, oltre tutto inficiate da incertezze organizzative (scene realizzate con difficoltà, coro improvvisamente abbandonato a se stesso…) e con interpreti che non siano perfettamente adatti e maturi per personaggi che farebbero preoccupare chiunque. La prima delusione proviene proprio dall’allestimento. Le scene di Francesco Scandale, moderne e minimaliste (si ha il sospetto che mancasse qualcosa), mostravano sullo sfondo una specie di ascensore illuminato da cui i personaggi entravano ed uscivano accedevando ad una passerella che nella seconda scena viene sollevata diventando una specie di ponte levatoio che incombe sui cantanti. Due tavolini continuamente trascinati con effetto comparsa/scomparsa rappresentano l’unico elemento scenico e costringono i personaggi ad una eccessiva staticità. Sono immagini fuori dal tempo che, nelle intenzioni del regista, Marco Carniti, dovrebbero esaltare l’universalità dei personaggi, secondo una visione quasi shakespeariana, ma in contrasto, però, con i costumi vistosamente ‘temporizzati in sfolgorante decoro rinascimentale. D’altra parte nemmeno sul

piano musicale lo spettacolo è riuscito ad innalzarsi al di sopra di una dignitosa routine, concertato dalla pur attenta bacchetta di Antonio Pirolli senza particolari raffinatezza e con un coro rimasto piuttosto in ombra, anche sul piano scenico. Responsabilità non da poco hanno avuto anche i cantanti, travolti in verità anche dal pressapochismo dell’insieme e chiamati forse ad una prova più grande di loro. Rachele Stanisci rivestiva il titolo del ruolo con tanta buona volontà ma i suoi pur pregevoli mezzi vocali non erano comunque sufficientemente

pronti a dare la sufficiente autorevolezza interpretativa richiesta dal personaggio. La parte richiede, infatti, una primadonna all’apice della propria carriera. Più a suo agio, stilisticamente, vocalmente e interpretativamente, la Giovanna Seymour di José Maria Lo Monaco, assai musicale e dal nobile fraseggio. Dario Russo era un Enrico VIII scenicamente imponente, ma un po’ statico e dalle risorse vocali non del tutto adeguate. Giulio Pelligra appariva piuttosto impacciato nelle vesti tenorili di Percy, disomogeneo nel registro e stilisticamente inappropiato; il mezzosoprano Nidia Palacios era un gracile Smeton en travesti ed Emanuele Cordaro un grigio Lord Rocheford; Giuseppe Costanzo un buon pertichino (Hervey, uffiziale del Re). Lo spettacolo si è rivelato, in definitiva, più pretenzioso che riuscito; un titolo sicuramente appropiato per una inaugurazione di rispetto ma che, evidentemente, il Bellini non riesce oggi a sostenere come avrebbe potuto agevolmente fare un tempo (e la mente va all’unica precedente rappresentazione, quella del ’79 diretta da Armando Gatto con una Ricciarelli all’apice della sua carriera, Bruna Baglioni e Umberto Grilli, regia di Filippo Crivelli). Applausi di cortesia da parte di un pubblico pur sempre affezionato ma che attende tempi migliori.

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Il libro della settimana La comunità nicolosita nel periodo post-bellico raccontata da Salvatore Moschetto “Nicolosi dopo la seconda guerra mondiale” di Salvatore Moschetto (Tipolitografia F.lli Chiesa, Nicolosi, 2014) è un libro scritto da un testimone della vita della cittadina etnea, nella quale ha trascorso buona parte della sua vita vivendo di persona le vicende post-belliche con i problemi della ripresa e della ricostruzione dalla macerie della guerra, dello sviluppo degli anni 50-60 che ha trasformato il vecchio modello di vita sul piano economico, civile e della qualità della vita fino a giungere ai tempi attuali nei quali pesa una grave crisi che potrebbe indurre alla depressione e alla rinuncia viste le difficoltà nel trovare lavoro in una società tecnologica e virtuale. Se è vero che l’intento dell’autore è soprattutto quello di trasmettere ai giovani nicolositi la consapevolezza del passato perché non disperdano il patrimonio di conoscenze, di esperienze, di arte e cultura in genere, come viene ribadito da Salvatore Sambataro nella presentazione e dallo stesso Moschetto nell’introduzione, tuttavia la lettura del testo risulta interessante ed istruttiva anche per chi non è residente in questa bella località etnea, ma la conosce soltanto perché è stato attratto dal richiamo turistico dell’Etna o dal desiderio di trovare un luogo sereno lontano dal caos della vita metropolitana. Concordiamo con l’autore nel ritenere che “una comunità che non ha memoria storica è come se non fosse mai esistita. Ed è senza futuro” e comprendiamo come il descrivere e il raccontare le vicende filtrate dalla viva memoria costituisca “un atto d’amore” di un figlio di questa terra siciliana. Sfogliando il volume, scritto sempre con linguaggio chiaro e scorrevole e con l’uso di una terminologia che non disdegna i richiami a termini ed espressioni dialettali, scopriamo un mondo ricco di valori civili e umani anche perché l’autore mostra grande attenzione al contesto non solo economico-sociale, ma anche politico e istituzionale, collocando in tal modo i fatti locali in una dimensione più ampia in modo da fornire

Vincenzo Vinciullo - L’Assemblea regionale siciliana ha approvato l’Ordine del giorno sulla soppressione del Consiglio di Giustizia Amministrativa, con la fine delle nomine di giudici non togati. “Giusto quest’ultimo punto” – dice Spartacus – ma la soppressione del CGA è un nuovo colpo alla pericolante Autonomia Speciale siciliana”! 2 – anti-autonomista!

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Marco Falcone - “L’incontro tra il sottosegretario Graziano Delrio e il presidente Crocetta si è sostanzialmente risolto con un nulla di fatto. Una pacca sulla spalla, molti sorrisi, tanta apparente disponibilità, ma nessun impegno concreto per la Sicilia”. Questo il commento del capogruppo di Forza Italia all’Ars, Marco Falcone. “Al di là delle rassicurazioni di facciata – ha aggiunto Falcone – alla Sicilia servono provvedimenti concreti che rimuovano ingiustizie divenute insopportabili, come la maggiore compartecipazione sanitaria che da noi è la più alta d’Italia, nonché il gettito fiscale maturato nel nostro territorio, ma riscosso fuori”. 6 – tristi verità…..

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Renato Brunetta – A Spartacus l’ex socialista di sinistra, convertitosi al berlusconismo, autoproclamatosi “economista da Premio Nobel” (???), non piace proprio. Troppo polemico: sembra uno di quei cani mignon, come il Chihuahua, che abbaiano come dobermann! Al tempo dell’ex Cavaliere prono a Renzi, indomito Brunetta minaccia ha minacciato il premier Renzi: «Sarà guerra, prima del Quirinale si andrà ai materassi», e ancora, «Renzi fannullone, perché aspetta il 20 febbraio per fare i decreti fiscali che gli italiani aspettano e blocca il Parlamento per due riforme del tutto inutili?» 6 – coraggioso (e antipatico!)

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Greta Ramelli/Vanessa Marzullo – A Spartacus non piace il “politicamente corretto” e dice che le due cooperanti rilasciate non potevano che essere rapite al primo minuto della loro missione in Siria, con quelle facce lì, al cui cospetto Gianni e Pinotto sembrano Einstein! E poi, quella dichiarazione (poi declinata come “Bufala”) sul “sesso consenziente con i rapitori” e le amicizie pericolose per portare kit di soccorso ai miliziani della fratellanza musulmana, la lettera per l’adoratore di Bin Laden e la telefonata in cui ammettono: “siamo con i rivoltosi, non siamo neutrali”. 1 – rispediamole in Siria e facciamoci restituire i soldi del riscatto!!!!

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Sergio Cofferati – Spartacus dice che sono giusti gli strali di Cofferati contro la finta democrazia delle primarie e del Pd. Ma all’ex sindacalista della Cgil dall’aspetto e dall’eloquio decisamente “retrò”, una domanda è d’obbligo: chi lo ha scelto per essere eletto eurodeputato? 3 – democratico, a giorni alterni…!

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di S par tacus

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I nostri voti

un quadro generale di riferimento. Molto dettagliata la descrizione della ripresa delle attività economiche dopo la guerra e soprattutto dello sviluppo dell’agricoltura, alla quale vengono dedicate delle pagine ricche di informazioni socio-economiche, limpide nell’individuazione e descrizione dei mutamenti legati al modello consumistico e tecnologico,con i gradevoli risvolti del vissuto individuale e collettivo. Seguono le pagine sull’edilizia, l’artigianato, il turismo e il commercio. Il capitolo terzo è riservato ai cambiamenti della società civile, all’associazionismo (specialmente cattolico), alla politica e al sindacato, alla cultura e alla scuola. Prima di procedere Moschetto si ferma per richiamare la sua personale esperienza scolastica, i sacrifici personali e della famiglia per poter proseguire gli studi fino alla laurea in Economia e Commercio, alla vincita dei concorsi e l’assunzione nella Pubblica Amministrazione con il raggiungimento del livello di dirigente superiore. Dopo questa parentesi personale, l’autore racconta delle altre fonti della cultura, dalla musica al cinema e alla televisione e cambiamenti prodotto nel modello di vita in ambito locale, dedica inoltre una speciale attenzione alla chiesa nicolosita e alle feste religiose. Molto gustosa la parte finale sulle tradizioni popolari e il folklore. Il capitolo IV è dedicato alla famiglia, usi, costumi e attività prevalenti, molto simili a quelli di tutta l’area etnea, con una nota a parte sul rito della panificazione di una volta, descritto con attenzione ed amore. L’autore non manca di citare la pietra lavica e il basalto dell’Etna e accenna alle questioni aperte a proposito delle attività economiche e produttive all’interno del Parco dell’Etna, Le considerazioni conclusive sono riservate ad alcune proposte idonee per il superamento della crisi attuale, soprattutto tramite il riordino e la semplificazione dell’amministrazione centrale e periferica. Un libro che costituisce un prezioso documento per capire da dove veniamo e in quale direzione potremmo muoverci per guardare al futuro con speranza.

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Giochi matematici a cura di M a ssi m i l i a n o C a l a n d r i n o

Potenze

Michele è alle prese con il numero 2007^2007 (2007 elevato a 2007). Qual è la cifra delle unitá del suddetto numero?

Equazioni

Siano a,b e c le soluzioni della seguente equazione. X^3 -3x^2 – 18x + 40 = 0. Sapendo che ab = 10, calcolare c(a + b).

La funivia

Tre funivie partono contemporaneamente da una stessa stazione sciistica. La prima compie il tragitto di andata e ritorno in 15 minuti, la seconda in 18 minuti, la terza in 20. Dopo quanti minuti partiranno di nuovo insieme?

Soluzioni dei giochi pubblicati sullo scorso numero Numero a sei cifre: 243542; Somme: A = 9, B = 1, C = 8; La corsa campestre: Cristina = 480 metri

Il film consigliato

Le soluzioni sul prossimo numero

La finestra sul mondo

Exodus

Io non sono Charlie, ma credo nel rispetto reciproco

Un film di Ridley Scott. Con Christian Bale, Joel Edgerton, John Turturro, Aaron Paul, Ben Mendelsohn.

di Danila Intelisano

Cominciamo dalla conclusione: La dedica finale di Exodus - Dei e Re (“For my borther, Tony Scott”) avrà spento alcune delle risate che la critica statunitense sembra aver dedicato all’ultimo film di Ridley Scott e interpretato da Christian Bale, e forse spiegato qualcosa della apparente confusione nel taglio di questo kolossal biblico dalle diverse anime e interpretazioni. Raccontare la fuga degli ebrei dall’Egitto del faraone Ramsete, sotto la guida di Mosè (figura che meriterebbe davvero un approfondimento meno fantasioso, essendo tanto Rav ebraico quanto Profeta islamico) inevitabilmente riporta alla mente le nozioni acquisite da tutti in età prescolare e fissa delle aspettative creando il primo ostacolo alla trattazione: dare al pubblico quello che cerca o raccontargli qualcosa che non sa? Difficile, in ogni caso. Ancora di piu’ se si evitano entrambe le strade - come fa Scott - restando in bilico tra due diverse possibilità: la trasposizione cinematografica del libro dell’Esodo e la narrazione del lungo viaggio del ‘Popolo eletto’ verso la Terra Promessa. La confusione suddetta è a questo punto inevitabile, e ogni elemento ulteriore inserito nello svolgimento non aiuta a dissiparla. Un inizio scomposto e - tutto sommato - interlocutorio e una conclusione troppo rapida e insoddisfacente rischiano di far dimenticare alcuni buoni momenti della storia, comunque troppo lunga e obbligata a mostrare momenti clou come le famose piaghe (forse troppo accelerate, ma non senza senso) e la ‘negoziazione’ dello stesso Mosè con il suo Creatore (per la quale probabilmente si potevano trovare modalita’ meno ingenue). Ed è inutile concentrarsi sull’etnia degli attori utilizzati da Hollywood o sulla spettacolarizzazione degli eventi, visto che stiamo parlando di un Kolossal e che questo è cio’ che volevamo pagando il biglietto. In fondo, gli strali della critica possono puntarsi altrove… Per esempio su una provocatoria (comunque interessante, e accennata dallo stesso Bale in alcune interviste) lettura della figura centrale del protagonista come ‘Combattente per la libertà’ pronto a ogni tipo di azione, anche letale e di guerriglia, per fiaccare le resistenze del nemico in casa propria. In fondo quella messa in scena da Scott - e qui in effetti la confusione iniziale trova finalmente una qualche spiegazione - è una storia di fratelli. A piu’ livelli. Nello scontro (dalla conclusione in qualche modo inattesa) tra Mosè e Ramsete, nella scoperta di Aronne e nell’accettazione di un popolo di figli di uno stesso padre…

L’amico Cosmo è uno di quegli uomini che hanno il talento di coniugare: libertà, moderazione, ironia e rispetto. E ci siamo chiesti se davvero la satira per esprimere libertà e ilarità deve essere forzatamente blasfema. Passeranno decenni prima che l’uomo impari ad esprimere le proprie idee senza impugnare le armi per uccidere o senza dissacrare i valori e la fede altrui. Ogni espressione che tende a prevaricare, non può creare nulla di libero. Una morte violenta è sempre dolorosa, ma questo non significa che renda gli uomini più giusti. Dove non vi è rispetto, non vi è mai espressione di una giusta libertà e, dunque, una cosa è essere uomini liberi, altra cosa é offendere, attraverso l’abuso della libertà, una razza, una etnia, una fede o un’idea diversa dalla nostra. Non creiamo modelli da falsi miti! Una per tutte e per tutti: La vignetta del Charlie, abbondantemente specializzato nella profanazione, che ritrae la nostra Santissima Trinità in atteggiamento omosessuale, è vergognosa! Nasce da una perversione di libertà che non fa certamente ridere. La Francia, e non solo, si è mobilitata giustamente, ma è legittimo chiedersi se siamo capaci di indignarci altrettanto quando viene messo alla berlina nostro Padre, e con Lui i valori sacri di cui ci siamo nutriti, proprio per imparare a rispettare la libertà altrui. Viene da chiedersi se, dopo l’esaltazione emotiva, ognuno saprà fare uso dei tragici eventi per considerarsi uomo capace di essere veramente libero e di opporsi ad un giornale che oggi, e non ieri, é supportato da milioni di vendite, ma che dovrebbe, invece, provocare una indignazione civile, ma determinata. Manifestiamo! Siamo deboli e prestiamo maggiormente il fianco a nemici che usano il pretesto religioso per annientarci e prevaricarci, anche a causa della pusillanimità in cui viviamo. Lottiamo alla cieca per le cose e non per le persone. Per prevaricarci e non per esprimerci. Per aderire alla massa, ma non per ciò in cui crediamo. E allora non siamo liberi.

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