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gior ni di Cronaca, Politica, Spor t e Cultura

N. 2 anno X - 17 gennaio 2015 - € 1,00 ISSN 1974-2932 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abb. Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, Dr/CBPA - Catania

Neanche i morti hanno pace di Nunzia Scalzo Secondo me Pino Daniele era un grande musicista. Per di più la sua musica mi piace moltissimo. Poi era napoletano, e anche se a me i napoletani non piacciono, lui invece schivo e ombroso com’era mi stava molto simpatico. Premesso ciò, trovo che il comportamenmto di certi fan, penso al genio che si è fatto il selfie con la salma, o ai tanti che hanno quasi inscenato una protesta perché non sono riusciti a entrare nella camera ardente, mi inducono a pensare che ormai siamo alla frutta. Abbiamo smarrito il senso del rispetto per i vivi e, da ora, pare anche per i morti. Alle cerimonie dell’addio si va solo per dare conforto ai vivi, sempre che li si conosca, o per mettersi in ultima fila a ricordare qualcosa che si ècondiviso e che gli altri non sanno. A questa regola sguggono i funerali dei capi di stato o di chi, comunque, rimandi a una battaglia politica capace di evocare nei presenti un senso di appartenenza a una comunità che va oltre la conoscenza personale, ma che comunque è un vincolo forte, una scelta, in certi casi addirittura di vita. Non era questo il caso, anche se Pino era un cantante molto noto. Eppure un cospicuo numero di persone è andato a Roma a reclamare il “diritto” di partecipare al rito. E a chi vi partecipava rinfacciava scompostamente il privilegio. Una cosa vomitevole. Come sempre in questo paese le questioni hanno molti profili, ma in certi casi mostrano solo quello peggiore e più evidente, e non dal punto di vista sociale, politico o addirittura etico. Bensì, purtroppo da quello estetico.

Massacrati! Giuseppe Fava

Politica regionale

Nel ricordo del giornalista ucciso dalla mafia

La calza di Crocetta piena di carbone

Tracuzzi-Luppino pag 6

Servizio

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Carbone, carbone, carbone… due anni di bugie a d i Maria de lo s Angeles Ga rcia L’epifania le feste porta via Già. Le feste sono finite. Nastrini, luci e… palline sono tornati al loro posto, in cantina. E sono arrivati i saldi di fine stagione. Che rivelano la crisi in tutta la sua “rotonda” gravità. Al di là dei numeri e delle statistiche, comprano in giro solo le comitive di turisti che hanno risparmiato sulle spese delle vacanze, comprando i pacchetti “last minute” e riservando i pochi spiccioli rimasti allo shopping di fine stagione. E anche la politica, sia quella nazionale che, soprattutto, quella regionale, sembra pienamente in sintonia con questo clima mesto post festivo. E non sono i postumi delle bollicine di fine anno a rendere il clima sordo, quasi ovattato. La verità è che tutti fanno fatica a dire qualcosa, in un contesto che ha rivelato ormai i propri contorni in tutta la sua drammatica, sconcertante, realtà. E’ arrivato il momento di prendersi delle responsabilità. Il governo dovrebbe, finalmente, spiegare qual è la sua ricetta per uscire dalla terribile crisi finanziaria e politica. Ma i partiti, a cominciare dal pd che è il maggior azionista del governo, appunto, dopo due anni di tensioni interne è al culmine di una crisi esistenziale senza precedenti. E rischia di implodere. L’opposizione, lacerata, dilaniata, dalle tensioni di un dopo-Berlusconi annunciato ma ben lungi dal manifestarsi, è a sua volta stordita dalla estenuante guerra di posizione dai capicorrente che, storicamente, sono ben più numerosi delle stesse correnti interne. Fuori, intanto, nella società, la crisi impazza, nonostante la nuova versione dell’”ottimismo della volontà” che fu caro ai socialisti negli anni ottanta e che è il “refrain” un po’ stonato del potere confindustriale in tutta Italia: forse a loro le cose vanno bene. Ma, così come è accaduto ai socialisti d’epoca, anche i confindustriali doc rischiano di essere spazzati via anche loro

Sembra che il nuovo anno non abbia portato nuove prospettive di prosperità al governo regionale – le casse sono vuote – la crisi del pd è tutt’altro che risolta – sono cambiati gli equilibri a palazzo di giustizia – sembra in affanno perfino il triangolo Crocetta/Lumia/Confindustria – lo strano caso del governo che sembra vincere anche quando perde su tutta la linea… da un fiume in piena. Negli anni ottanta fu il giustizialismo, oggi a rullare sono i tamburi dell’antipolitica. E anche a palazzo di giustizia, a Palermo – e quindi in Sicilia - gli equilibri sembrano cambiati… Il governo, il bilancio e le casse regionali - I commentatori, gli osservatori e perfino i “gufi” hanno, lungo i dodici mesi dell’anno, gioco facile a smerciare per “buone” analisi e previsioni. Che valgono quanto vale la parola e il pensiero di ciascun italiano: uno vale uno, per dirla con Grillo. Ma c’è un momento dell’anno – quello dei bilanci – in cui, per forza di cose, non si può nascondere nulla. In cui le cifre “parlano”: e raccontano con precisione, nel bene e nel male, ciò che la politica ha prodotto e ciò che la produce intende produrre. Nei bilanci c’è scritto tutto. Basta sapere e volere leggere. C’è scritto quanto si è speso l’anno prima per fare qualcosa. E c’è scritto quanto il governo vuol spendere nell’anno che verrà, per fare ogni cosa. Non si può mentire: la cosiddetta “volontà politica” è chiamata alla prova dei fatti. Se la politica afferma di voler sostenere un settore dell’economia, un’attività, un settore sociale, deve dimostrarlo stanziando, nei capitoli di bilancio che riguardano quel settore economico, quella particolare attività o quello specifico settore sociale, le risorse finanziarie sufficienti

a una azione di sostegno. E’ una equazione semplice, quella che trasforma i proclami in realtà. E passa attraverso i bilanci. Ma il governo Crocetta, ai bilanci è allergico. E’ la terza volta che gli capita di passare attraverso questo momento-chiave della vita democratica. E l’insofferenza verso questo elementare esercizio di trasparenza della pubblica amministrazione ha raggiunto vette mai in passato neanche sfiorate. Di solito – secondo le previsioni di legge - il bilancio dovrebbe arrivare all’esame della giunta, nel mese di ottobre di ogni anno, per essere approvato e trasmesso al parlamento regionale. I tempi parlamentari “regolari”, dovrebbero impegnare le commissioni e l’assemblea parlamentare, per una sessantina di giorni. Poi, approvati i documenti finanziari entro il 31 dicembre – termine perentorio fissato dalla legge – servono almeno altri quarantacinque giorni di tempo per la pubblicazione del bilancio sulla gazzetta ufficiale e la “riapertura” delle casse regionali. Di regola, il 20 novembre di ogni anno vengo chiuse le “ragionerie” di ogni amministrazione. Per consentire alla “cassa” i pagamenti già “decretati” entro il 31 dicembre. Quando i bilanci diventano “esecutivi”, le ragionerie possono ricominciare a “decretare” i pagamenti e la “cassa” regionale può ricominciare a pagare i fornitori. E poiché questi passaggi avvengono di solito a partire dal

Il presidente Crocetta 1 gennaio, i governi – per facilitare la vita delle amministrazioni – hanno la possibilità di far funzionare regolarmente le ragionerie e la cassa, attraverso l’esercizio provvisorio: l’autorizzazione a spendere “per dodicesimi” le somme stanziate dal bilancio dell’anno precedente. Per un massimo di quattro mesi, nell’attesa che il nuovo bilancio entri in funzione. Da quando Crocetta è al governo, era il novembre del 2012, questa tempistica teorica è diventata “impossibile”. Tanto impossibile da essere violata, in ogni modo, con ogni mezzo, ogni anno. L’orticaria di Crocetta verso la contabilità pubblica, si è concretizzata quest’anno non solo nell’aver accettato – per la terza volta – l’imposizione di un assessore all’economia da parte del governo nazionale. Ma – soprattutto – nel vorticoso valzer di poltrone alla guida della direzione generale del bilancio. Silurato il dirigente generale portato sugli altari appena due anni fa, tra novembre e dicembre, quella funzione è passata attraverso tre nuovi dirigenti generali. Proprio mentre qualcuno avrebbe dovuto coordinare con mano ferma il riordino dei conti regionali. Poi, all’improvviso, durante l’ultima settimana di dicembre, finalmente un bilancio si è materializzato. Dal nulla. La giunta l’ha approvato, in fretta e furia. Giusto per poter chiedere l’esercizio provvisorio. L’assessore al bilancio, Alessan-

dro Baccei, ne ha crudemente illustrato i contenuti, solo soletto, nella sala stampa dell’Ars. Per ammonire tutti: governo e parlamento. “Bambole non c’è una lira” ha detto in estrema sintesi. “L’unica speranza sta nella benevolenza del governo nazionale. Se non arriveranno soldi da Roma, pagheremo gli stipendi fino a maggio. Poi i denari saranno finiti”. Il bilancio, la partita tra i partiti - Così parlò ZarathustraBaccei, con un linguaggio e una metodologia che – come abbiamo avuto modo di cogliere e sottolineare a caldo – facevano pensare più a una resa dei conti politica che a una vera e propria crisi contabile. E le polemiche, senza veli, tra lo stesso Crocetta e il suo assessore, a cavallo di capodanno, hanno fatto giustizia di quella che era solo una ottimistica previsione. Crocetta infatti, sembra essersi accorto – finalmente – che da due anni il governo nazionale “affama” la Regione, sia attraverso l’inqualificabile operato degli assessori regionali all’economia “inviati” in Sicilia, sia attraverso le “finanziarie” nazionali, zeppe di tagli e storni di somme. Lo stesso Crocetta, lo ricorderete, ha contribuito a questa politica di “strozzo” delle finanze regionali, firmando un accordo di “rinuncia” ad almeno quattro miliardi di euro legati a contenzioso già vinti dalla Regione. In cambio di 500 milioni di euro

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e arrivano al “dunque”: la befana del presidente necessari a pareggiare il bilancio dell’anno scorso e a scongiurare – allora – il commissariamento del governo. Il governo nazionale “promise” il finanziamento, permettendo alla Corte dei Conti di concedere la “parifica” del bilancio. Ma i soldi veri non sono mai arrivati. Il governatore, adesso strilla. Chiede la restituzione del miliardo e mezzo di fondi destinati alle politiche di coesione. Chiede il rispetto dello Statuto autonomistico. Minaccia e strepita. Ma non ottiene risposte. Se non dal proconsole siciliano di Renzi, Faraone. Che annuncia che la linea è quella di Baccei. Prendere o lasciare. E’ chiaro quindi che l’argomento del contendere non è il bilancio. In corso c’è una vera e propria “partita” che in ballo ha una sola cosa: il potere. Il potere di prendere le decisioni che contano in Sicilia. Finora questo potere, dal novembre del 2012, è stato saldamente nelle mani di Crocetta e dei suoi “sponsor”: il senatore Giuseppe Lumia e il leader degli industriali siciliani, Giuseppe Montante. Ma questo schema non va più bene. Sicuramente non va più bene a Faraone e ai renziani siciliani. E le scelte di Renzi a proposito della Sicilia sembrano tutte a favore delle posizioni di Faraone. C’è stato una lunga fase di dialogo. Nel corso della quale Crocetta e Lumia sono sembrati più “renziani” dello stesso Renzi. E’ accaduto al momento del congresso del pd. E’ successo di nuovo durante le europee. E un nuovo equilibrio sembrava aver trovato la sua consacrazione con il varo del governo Crocetta-ter. Ma qualcosa non ha funzionato. E il dialogo è diventato contrasto. Fino al momento del bilancio. Quando tutte le carte sono state messe in tavola. Crocetta, intanto, s’è visto negare l’incarico di commissario per l’emergenza rifiuti. Un incarico a cui teneva molto e a cui sono molto interessati anche gli industriali siciliani. Poi l’assessore ha deciso di esporsi, presentandosi “solo” in conferenza stampa. Un episodio che non ha precedenti nel corso dei primi due “regni” di Crocetta. E il governatore, confermando la sua attuale debolezza, ha smentito il suo assessore, il giorno dopo, in una contro conferenza stampa. Ma non l’ha “licenziato”. Come sarebbe stato

logico aspettarsi in un caso del genere. Il tiro alla fune - Ad approfittare della temporanea defaillance presidenziale, arrivano, con tempismo tutto democristiano, gli uomini dell’Udc. Che hanno visto la possibilità di liberare una casella, quella dell’assessora alla funzione pubblica, Castronovo. E lì hanno puntato con forza. La Castronovo, sicilianissima d’origine. Ma vive a Roma da tempo e pare sia molto vicina a Graziano Delrio, che l’aveva voluta in Sicilia per “aggiustare” la pasticciatissima riforma delle province targata Crocetta. Grazie ai suoi contatti locali, a un buon fiuto e a un caratterino niente male, alla riccioluta assessora sono bastate poche settimane per capire che la sua “barca a Trezza non sarebbe arrivata”, per dirla con Verga. E ha fatto immediatamente dietro-front, non senza spiegare - immaginiamo - l’anomalia siciliana ai suoi referenti romani. E così, mentre si irrigidivano le relazioni interne al Pd, si frastagliavano le posizioni dell’Udc siciliana, a cui la Castronovo era stata “imputata” nella conta delle caselle del potere che conta. E una casella che si libera, secondo la tradizione tardo democristiana, suscita almeno tre ambizioni, difficili da gestire, nella complessa scacchiera del potere politico. E’ accaduto così che il “malessere” della Castronovo abbia tardato quasi un mese a prendere l’inevitabile forma delle dimissioni. Ci sono state trattative, dentro e fuori l’Udc. Per capire come gestire questa nuova “emergenza”. E Crocetta – come sempre accade in circostanze simili – ci ha messo del suo, tentando di scontentare tutti prendendo per sé l’assessorato. Poi è arrivato sulla scena anche il buon Lino Leanza, che ha subito la “scissione” di Articolo 4 per aver “forzato” la segnalazione di un assessore. E che ora afferma di non essere rappresentato all’interno del governo… Aria nuova a palazzo di giustizia - Fin dai tempi del “corvo” che dalla Procura diffondeva lettera anonime zeppe di maldicenze e di particolari inquietanti delle vicende giudiziarie palermitane, il palazzo di giustizia palermitano si è procurato la nomina di “palazzo dei veleni”. Veleni che hanno attraversato la vita politica nazionale. Dalle

guerre per le nomine ai vertici degli uffici, agli sgambetti per la gestione delle inchieste, dai processi più eclatanti alle fughe di notizie, dalle talpe ai conflitti di potere, il palazzaccio della capitale siciliana non si è fatto mancare nulla, meritando in pieno il nomignolo che gli è stato affibbiato. Ma da una settimana. Proprio in coincidenza con la fine di un 2014 che sarà difficile dimenticare, anche il palazzo di giustizia sembra spazzato da una folata di aria nuova. Non foss’altro che per il fatto che il nuovo Procuratore non appartiene a nessuna delle “fazioni” che storicamente si sono affrontate e scontrate a Palermo. Non è un caso che il suo insediamento sia stato accolto con una certa “freddezza” dall’estabishment politico siciliano, abituato a giocare una partita diversa. A confrontarsi con una situazione diversa. Ebbene, a quel che sembra sia dall’esito del voto al Csm che dalle prime dichiarazioni pubbliche, sembra che siamo di fronte a un uomo in grado di dire pane al pane e vino al vino. Senza farsi tirare la giacchetta da una parte o dall’altra. Come sempre accade in queste circostanze, solo il tempo permetterà di capire se l’uomo riuscirà a non farsi condizionare dall’apparato o dalla stanchezza… Fatto sta che, giusto al momento dell’insediamento, è esploso a Palermo uno scandalo che è frettolosamente scomparso dalla cronaca della stampa regionale. E che è denso di implicazioni che investono – in pieno – il governatore, i suoi sponsor e i suoi sostenitori politici più ostinati. Parliamo della lettera, inviata al governatore e resa pubblica da un imprenditore del settore dei rifiuti, con cui – con dieci giorni di anticipo – è stato annunciato l’esito di una gara d’appalto per la gestione di una grande discarica siciliana. L’imprenditore ha spiegato – e ha voluto che la sua spiegazione fosse pubblica – il meccanismo con cui la gara sarebbe stata “addomesticata” dal presidente della commissione d’appalto che, per favorire una ditta vicina al presidente – così è spiegata la vicenda – avrebbe chiesto e ottenuto una promozione. La cosa che appare più grave è che la “promozione” sarebbe stata ottenuta per intercessione dell’imprenditore che

ha poi realmente vinto la gara. La lettera insomma – sebbene sia tutto da verificare - getta una luce inquietante sulla commistione di interessi economici, politica e burocrazia, intorno al governo della “rivoluzione”. Si tratta – lo comprenderete – di un fatto assolutamente dissonante rispetto al contesto che accompagna l’attività del governo regionale. Un fatto e una accusa così eclatanti da meritare una reazione. Una denuncia. Una conferenza stampa o una dichiarazione da parte di Crocetta e dei suoi. E invece, un assordante silenzio è calato sulla vicenda. Sempre a fine anno, sia la Repubblica che il Fatto Quotidiano, hanno pesantemente stigmatizzato il ruolo svolto a Palermo dal senatore Giuseppe Lumia, definito il “senatore della porta accanto” perché, secondo i due quotidiani, avrebbe addirittura la disponibilità di un suo ufficio personale a palazzo d’Orleans, accanto a quello del governatore. Una polemica tutta giocata sulla valutazione della “opportunità” di certi atteggiamenti politici. Ma che ha comunque ha evidenziato l’esistenza di una certa diffusa e qualificata insofferenza verso gli atteggiamenti del cosiddetto “cerchio magico” che ruota attorno al governatore siciliano. Un segnale da non sottovalutare. Soprattutto in considerazione delle simpatie “giudiziarie” di cui godono – per le loro posizioni – i due quotidiani. Gli industriali e il governo double face - In mezzo a questo mare magnum di malessere, qualche giorno fa, mi ha colpito una nota che sembrava uscita da 1984, lo storico film di George Orwell. Marco Venturi, presidente degli industriali del centrosicilia ha infatti dichiarato la sua soddisfazione per lo stanziamento di 17 milioni a favore delle aree industriali di Agrigento, Caltanissetta e Enna, deciso da Alfonso Cicero, attuale presidente dell’Irsap, ente che raggruppa e gestisce le aree industriali siciliane. Ebbene, premesso che spendere denaro pubblico per finanziare reti elettriche, fognanti e cablaggi nelle aree industriali è senza dubbio cosa buona e giusta, non possiamo esimerci dall’osservare un paio di “fatti” che avrebbero – forse – dovuto indurre a maggior cautela, tutte le parti in causa. Intanto mi pare di ricordare che i vertici “provvisori” dell’Ir-

sap siano attualmente in “prorogatio” perché l’assessorato regionale alle attività produttive – retto da una dipendente dell’associazione degli industriali di Caltanissetta – è in ritardo nelle procedure di nomina del consiglio d’amministrazione. E che il presidente dell’Irsap è stato capo di gabinetto di Marco Venturi, quando il presidente degli industriali centro-siciliani è stato proprio assessore regionale all’industria… Ma non si tratta – ahimè – dell’unica notizia che ha colpito la mia attenzione. Avete visto cosa è accaduto ad Antonio Ingroia nella sua funzione di presidente di Sicilia e-servizi, la società che avrebbe dovuto liquidare? E’ stato condannato a riassumere alcuni dipendenti della società che erano stati esclusi dalla recentissima infornata di assunzioni voluta da Crocetta a favore degli ex dipendenti a tempo determinato. Per le assunzioni, vale la pena di ricordare che Ingroia, Crocetta e mezza giunta regionale sono già stati rinviati a giudizio dinanzi alla Corte dei Conti perché a causa del blocco delle assunzioni deciso con una legge regionale voluta da Raffaele Lombardo, nessun nuovo contratto sarebbe stato possibile. Ebbene, Ingroia ha utilizzato la sentenza del tribunale del lavoro per contestare l’inchiesta della Corte dei Conti. Sbagliando tre volte su tre. La prima volta, decidendo di fare delle assunzioni – senza alcuna procedura di concorso - in presenza di una legge che lo vieta. Motivo per cui è accusato di danno erariale. La seconda, escludendo dalle riassunzioni, con criteri che non sono noti, un gruppo di persone che, naturalmente, ha fatto ricorso al tribunale del lavoro. Motivo per cui è stato condannato dal tribunale del lavoro, a rimuovere le cause di discriminazione tra lavoratori che hanno uguali diritti. La terza volta, improvvisandosi comunicatore fai-da-te, alla maniera del suo mentore Saro Crocetta. E provando a usare una condanna subita, come attestato di buona condotta, rispetto a una censura contabile. Due fatti dello stesso segno, gentile dottor Ingroia, si sommano. Non si annullano… è logica matematica. Se può, lo spieghi anche a Saro Crocetta. Grazie.

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Strisce blu notturne: colpiti i giovani e i residenti, affari per gli abusivi d i Giu l ia no Busà Anno nuovo, vita nuova. L’amministrazione comunale catanese ha fornito la sua personalissima versione del famoso adagio. Già a ridosso delle festività natalizie in verità la grande novità targata giunta Bianco aveva fatto breccia sotto l’albero e dentro il portafogli dei catanesi. A Babbo Natale i cittadini etnei avevano domandato una soluzione drastica contro i parcheggiatori abusivi, una nuova gestione del centro storico notturno, un maggiore controllo delle vie fulcro della movida e qualche idea che incentivasse la fruizione eco-sostenibile della città, tenendo alla larga l’esagerato afflusso di automobili, e che fornisse un’ancora di salvataggio per i locali sull’orlo del fallimento, oberati da tasse e dal pericolo sempre vivo delle baby-gang. La risposta è stata peggio del carbone: strisce blu anche di notte, tutti i giorni, weekend incluso. Lo ripetiamo, qualora non si fosse capito bene: strisce blu, con tanto di addetti della Sostare in ronda, anche di notte, fino alle 3 del mattino. La partecipata del Comune è in crisi di liquidità e quindi quale modo migliore di chiudere il 2014 e inaugurare il 2015 se non colpendo le tasche del nutrito popolo di giovani avventori delle sere catanesi? Come quasi tutte le iniziative di questa Giunta, il metodo di entrata in vigore delle nuove misure per il parcheggio è stato una specie di sorpresa: dall’oggi al domani,

quasi in silenzio, senza un benché minimo accenno di concertazione. Ai limiti del ridicolo la situazione venutasi a creare domenica 21 dicembre, la prima con questa brillante novità. I cartelli che annunciano l’estensione notturna del regime di strisce blu è quantomeno ambiguo: alla stessa segnaletica giornaliera è stata aggiunta una barra nella quale si specifica che dalle 21 alle 3 la tariffa unica prevede il pagamento della somma di due euro. Non un cenno, volutamente immaginiamo, data la natura meramente economica dell’operazione, sul fatto che per la fascia notturna non valga il simbolo dei giorni feriali, che pure è nello stesso cartello ed è attivo invece per il giorno, e quindi la novità è estesa anche alla domenica. Non conoscendo la novità e men che meno immaginando questo cervellotico meccanismo arraffa-grana, domenica sera in tantissimi hanno parcheggiato come di consueto nelle vie del centro. Giusto il tempo di una passeggiata e di un drink e al ritorno la spiacevole sorpresa: una sfilza interminabile di verbali, compilati da addetti della Sostare insieme increduli e divertiti, come un bambino dentro un negozio di caramelle tutto per sé. Non bastassero questi trabocchetti e gli inutili tentativi di reclamo – l’ignoranza delle leggi, benché idiote, non è scusata, e sulla striscia degli

orari notturni manca come detto il simbolo dei giorni feriali – anche qualche residente ha trovato questo costoso e inatteso regalo di Natale, andando giustamente su tutte le furie. Da Palazzo degli Elefanti fanno sapere che per i residenti sarà sufficiente ritirare il pass gratuito per evitare l’ennesima sgradita sorpresa ma ancora una volta è la mancanza di metodo e di criterio a fare strabuzzare gli occhi. Perché tutto così, all’improvviso? Qual è l’idea di centro storico che questa giunta, questo sindaco hanno in mente? Oltre infatti all’accanimento orizzontale contro i giovani fruitori della movida e qualche abitante ignaro e bastonato, sono altre due le gravi questioni che è opportuno considerare e che ancora una volta vengono sottovalutate o ignorate. La prima è legata alle difficoltà delle attività del centro storico, che da anni gridano a gran voce cercando vanamente aiuto dalle istituzioni. Oltre al problema

dell’ordine pubblico – le forze dell’ordine sono immobili in piazza Bellini-Teatro Massimo e impiegano troppo tempo per raggiungere eventuali focolai di disordine nelle vie interne – e della sicurezza, questa novità di certo non inverte la tendenza centrifuga che sta portando molti più o meno giovani a preferire altre mete. Insomma, la domanda è ovvia e le risposte sono desolanti. Cui prodest, a chi serve questa geniale innovazione urbana? Alle casse della Sostare, al Comune, e solo a loro. Ma almeno, si dirà, in questo modo viene risolto il problema degli abusivi, giacché la metà buia della giornata e del parcheggio è di loro esclusiva competenza. Ebbene, niente di più sbagliato. Non è certo la presenza degli operatori della Sostare – che ovviamente non appartengono alle cosiddette forze dell’ordine – a scoraggiare chi ha messo radici nella notte catanese, estorcendo denaro da sempre impunemente. E quindi, come coesistono questi due esattori di oboli, uno legale e uno illegale ma accettato da tutti come se lo fosse? Semplice, sommandosi. Mentre infatti l’amministrazione è stata celere ad imporre questa odiosa novità a tutti i cittadini, infischiandosene di comunicare bene, per tempo e correttamente tutti i dettagli e interessandosi anche meno ad eventuali quanto legittimi reclami, nessuno ha

spiegato agli abusivi che adesso chi parcheggia di sera in centro deve dare conto al Comune e non più a loro, per lo meno teoricamente. Nessun problema a sguinzagliare famelici esattori targati Sostare, ma neanche l’ombra di municipale, polizia, carabinieri o esercito per fare sloggiare la bassa manovalanza della mafia catanese. Che di certo non ha nessuna intenzione di lasciare il posto di “lavoro”, così, per opera di carità nei confronti dei poveri avventori, costretti a pagare due euro di base. Loro, gli abusivi, il classico euro lo esigono comunque, e come al solito non vogliono sentire ragioni. “Come do da mangiare ai miei figli sennò?”, chiede qualcuno. E quindi, obolo su obolo, più genialata tutta catanese. Al ritorno del proprietario dell’auto infatti, l’abusivo esige il biglietto del parcheggio delle strisce blu, in modo da poterlo rivendere a qualcun altro (la tariffa come detto è unica e i biglietti dalle 21 alle 3 sono uguali per tutti e costano sempre due euro indipendentemente dalla durata della permanenza), arrotondando così, nel caso qualcuno non volesse sborsare un extra ai due euro “legali”. Le braccia dei catanesi erano già penzoloni lungo i fianchi, si pensava di averle viste tutte. La nostra amministrazione trova però sempre nuovi modi per stupirci in negativo e per comunicarci in ogni modo, senza il minimo ritegno, che chi ci governa non ha davvero minimamente idea di cosa stia facendo.

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Pippo Fava 31 anni dopo: come la storia di un uomo diventa immortale di Fabio Tracuzzi

Un ricordo di Pippo? E come si fa a selezionarne uno e raccontarlo. Sono talmente tanti che non riesco a sceglierne uno. Anche se nella mia mente sono tutti nitidi e ben distinti l’uno dall’altro. Potrei raccontare di come allora,giovane collaboratore de La Siciia, andavo di mattina nella redazione di Espresso Sera dove lui, quasi da solo, faceva quel giornale con una passione giornalistica che era impossibile riscontrare i tutti i suoi coetanei colleghi. E aveva sempre parole di incoraggiamento per noi giovani anche se non facevamo parte della sua redazione. Aveva sempre una sigaretta tra le labbra, esportazioni senza filtro, e un sorriso affascinante in quella sua faccia da saraceno. Oppure la prima volta, ma ero già un giornalista professionista, che andai nella redazione del Giornale del Sud, il nuovo quotidiano catanese che avevano chiamato a dirigere. La sua stanza, la stanza del direttore, era buia lunga e stretta. Solo

Redattori e tipografi del Giornale del sud al primo numero

una piccola lampada sul tavolo e la sua faccia avvolta da una nuvola di fumo delle sue immancabili sigarette e il silenzio rotto solo dal ticchettio della sua inseparabile. Olivetti. Scriveva sempre. E mi disse: facciamo un nuovo giornale, vuoi lavorare con me, Ti metto a dirigere lo sport, Non ci pensai neanche un minuto risposi subito di si rinunciando a un periodo di sostituzioni a La Sicilia preludio di quella che poi sarebbe diventata un’assunzione definitiva nel quotidiano ca-

tanese più prestigioso. E lui fu quasi sorpreso della mia risposta mi disse…”..azzo sei il primo giornalista professionista che accetta di lavorare per me al Giornale del Sud”. E cominciò a parlarmi dei suoi progetti di come voleva il suo giornale . Un vulcano di idee. Era impossibile non stare ad ascoltarlo e il suo entusiasmo era assolutamente contagioso. E più parlava più mi convincevo, se ce ne fosse stato bisogno, che avevo fatto la scelta giusta. E così come decisi subito di accetta-

re la sua proposta, allo stesso tempo decisi subito di lasciare il giornale quando fu licenziato perché non voleva accettare le censure della quanto meno ambigua proprietà del Giornale del Sud. Licenziare un direttore, un qualsiasi direttore è la cosa più semplice che ci sia. Basta dire che è venuto meno il rapporto fiduciario tra proprietà a e direzione e non c’è più nulla da fare. Noi tentammo di lottare, di ribellarci, occupammo la redazione e io, “il fascista più compagno di tutti noi” come scrive Antonio Roccuzzo nel sul libro, guidavo la truppa dei ribelli essendo il rappresentate sindacale . Ma il licenziamento non rientrò e io, unico di tutta la redazione, andai via con Pippo. E una sera a Taormina mi disse che era venuta l’ora di farcelo un giornale dove gli unici padroni eravamo noi. E nacque così Radar la cooperativa di giornalisti che realizzò I Siciliani. L’unica iniziativa editoriale che ha fatto storia in questa città. E Pippo ancora direttore e maestro era il più entusiasta di tutti- Riunio-

ni, discussioni, articoli, conti sballati, cambiali firmate, mai una lira in tasca ma una grande felicità interiore. Quell’ uomo, quel direttore stava creando una generazione di giornalisti nuovi, diversa dalla precedente, una generazione di giornalisti che non stava agli ordini del potere. E per questo ha pagato con la vita. Un altro ricordo? Quel 5 gennaio, maledetto 5 gennaio di 31 anni ero a caasa di un amico. Televisore acceso ma senza che nessuno lo guardasse. Poi cominciano a passare dei sottotitoli…”ussciso dalla mafia a Catania il giornalista Giuseppe Fava”….una due tre volte. E non capivo non credevo non volevo credere. Poi la corsa in ospedale al Garibaldi dove trovai tutti I Siciliani. E tutti piangevano. E piansi anche io, Pippo era stato ucciso. Ma Pippo era diventato con quei colpi di pistola sparati da una mano vigliacca e nascosta un giornalista, un uomo immortale. Pippo continua a vivere ancora nella coscienza di questa città. E la mafia uccidendolo ha perso.

Un ricordo che deve essere consegnato alle nuove generazioni di Daria Luppino

Sono passati 31 anni dal terribile omicidio di Pippo Fava per mano di Cosa Nostra. Catania come lo ricorda? La Catania istituzionale poco e male, la Catania di Fava con alcune manifestazioni tra giorno 4 e 5. E il 5 gennaio, nel giorno dell’attentato al centro culturale Zo, come ogni anno dal 2007, è stato assegnato il premio nazionale Giuseppe Fava al collega Lirio Abbate, inviato de l’Espresso. Protagonisti del dibattito, oltre al premiato, Rosy Bindi, presidente della commissione nazionale antimafia, il vicepresidente della stessa commissione Claudio Fava, figlio del giornalista assassinato e il procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita. La mafia c’è e la corruzione esiste: questo il tema svolto durante la cerimonia di commemorazione dello scrittore e giornalista catanese, dibattito aperto dopo il piacevole ascolto di una lettura di un pezzo de ‘I Siciliani’ dell’1983 scritto proprio da Pippo Fava e con titolo

basso interesse o, forse, scarsa propaganda dell’evento? Mi sono accorta di esser stata una delle pochissime giovani presenti alla commemorazione. Durante la conferenza hanno avuto il microfono solo la Bindi, Ardita, Abbate e il figlio di Fava. Alcune – ma poche - voci cercavano di opporsi, anUn momento al centro Zo della consegna del premio Fava che se invano, con parole, mezze frasi “Sindrome Catania”. Un artico- colano. destinate alla descrizione della lo che quando venne pubblicato “Non si comprende come in mafia ma già sentite e risentite fece, come tanti altri, tremare le questa città ci siano ancora da tanto, troppo tempo oramai. ambienti che hanno forme di Oltre quello di Claudio Fava, mura dei palazzi catanesi. Molto toccanti, come sempre attenzione e di omertà nei con- discorsi sempre uguali, forse del resto, le parole del figlio fronti di queste famiglie, 31 inutili da ripetere perché siamo Claudio nel discorso dedicato anni dopo e questa è una cosa stanchi di ascoltarli. Discorsi a Catania e dove viene sottoli- preoccupante” ha aggiunto. vecchi e vuoti, che potrebbero neato che ancora oggi, 31 anni “La mafia a Catania non co- essere fatti ovunque e in quadopo, sono sempre gli stessi manda più come ad un tempo, lunque circostanza: un polinomi e gli stessi clan che conti- è vero, ma i cittadini ci sono ar- tichese che non si addice alla nuano a rappresentare la mafia rivati con troppo ritardo e tanta commemorazione di un uomo al meglio. E Claudio Fava non pigrizia” conclude così Claudio come Pippo Fava. Abbiamo bisogno, noi giovani sopratsi è certo tirato indietro al mo- Fava. mento di fare i nomi dei capi Scarse presenze e assenti qua- tutto, di parole nuove e non clan e cioè Santapaola ed Er- si del tutto i giovani catanesi: di vecchie logiche, di dialo-

go tra pubblico “muto” e chi è invece dotato di microfono e amplificazione. Basta con le solite conferenze rette solo da chi dall’inizio sta seduto comodamente sul palco con la luce puntata addosso. C’è bisogno di scambio, di confronto, di nuove idee. Nella mia immaginazione c’era una location più grande, un pubblico interessato ancora più numeroso rispetto a quello reale e soprattutto più parole e ricordi in memoria di Pippo Fava, - il premio nazionale in questione mi sembra fosse dedicato a lui o no?- un vero eroe dei nostri tempi che ha perso la vita per aver cercato e per aver detto la verità, come solo altri pochi hanno fatto. Io non ho conosciuto Pippo Fava ma la sua memoria è arrivata fino a me. Adesso bisogna fare in modo che la memoria di quell’uomo arrivi anche alla generazione successiva. E scusate la mia immodestia, ma si tratta del parere di un studentessa liceale, quella intravista al centro culturale Zo il 5 gennaio non mi sembra proprio la strada migliore.

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GENNAIO 2015 - Opinione

Giudiziaria: processo Pta Giarre, procedimento ricco di rinvii di Marco Benanti

Prima delle “feste natalizie” è arrivato un rinvio, un altro ancora nella “storia” di questo processo: se ne riparlerà il 3 febbraio prossimo davanti ai giudici della terza sezione penale del Tribunale di Catania. Il procedimento sul Pta di Giarre sembra ricalcare “film già visti”, con una serie di posticipi: il rinvio a giudizio è arrivato ad ottobre 2012, poi una serie di rinvii. Siamo nel 2015, mai perdere la speranza di un processo che non sia “colpito”… dalla prescrizione. Che, a Catania, quando si tratta di pubblica amministrazione, sembra essere l’esito “di norma” di tanti processi. Sarà solo un’impressione? Accadrà anche stavolta? Staremo a vedere. Sono quattro i rinviatii a giudizio nell’ambito dell’inchiesta sulla procedura amministrativa che aveva portato all’affidamento senza gara dell’appalto per l’informatizzazione del Presidio territoriale di assistenza (Pta) di Giarre, assegnato alla Solsamb srl, socie-

tà guidata da Melchiorre Fidelbo, marito del presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro. Tra loro lo stesso Fidelbo, il manager dell’Asp etnea Antonio Scavone, l’ex direttore amministrativo dell’Azienda sanitaria provinciale di Catania Giuseppe Calaciura, e il direttore amministrativo dell’Asp Giovanni Puglisi. Non luogo a procedere invece per la responsabile del procedimento, Elisabetta Caponetto. I quattro devono rispondere di abuso d’ufficio e di truffa. Così ha deciso, nel 2012, il Gup del Tribunale di Catania Marina Rizza: l’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Michelangelo

Patanè e dal sostituto Alessandro La Rosa, era stata condotta dalla Guardia di Finanza. Inizialmente, la Procura aveva contestato solo il reato di abuso d’ufficio: successivamente, su iniziativa del Gup Rizza, si è aggiunto anche il reato di truffa aggravata. Al centro dell’inchiesta c’è la delibera n.1719 del 30 luglio

del 2010 che ha autorizzato l’Asp di Catania a stipulare un convenzione con la Solsamb per il Pta di Giarre. Una delibera per un appalto milionario -poi revocato- che, secondo l’accusa, sarebbe stata redatta “senza previo espletamento di una procedura ad evidenza pubblica e comunque in violazione del divieto di affidare in-

carichi di consulenza esterna”. Nell’udienza prima delle “feste”, dovevano essere ascoltati i due soci con cui Melchiorre Fidelbo costituì la Solsamb SrL nel settembre del 2007. Non solo questa udienza ma anche quella del 13 gennaio 2015 è saltata, per l’indisponibilità per motivi di lavoro dell’avvocato che difende il dott. Fidelbo, Pietro Nicola Granata. Il 13 gennaio era stato calendarizzato l’esame dell’imputato Giuseppe Calaciura, allora direttore generale dell’Asp 3 di Catania, e di Antonio Scavone, manager dell’Asp 3 sino al 2009 e dal 2013 senatore della Repubblica per il gruppo Gal (Grandi autonomie e libertà). Per queste ragioni, il processo proseguirà il 3 febbraio con l’esame di tre imputati: Melchiorre Fidelbo, Antonio Scavone, Giovanni Puglisi. Il quarto imputato, Giuseppe Calaciura, non si sottoporrà all’esame, “perché già ha reso ampie dichiarazioni” ha dichiarato il suo avvocato, il professore Angelo Pennisi . Buona giustizia a tutti.

Teatro Metropolitan CATANIA

2014-2015 Alessandro e Gilberto Idonea

“LIOLÀ”

di Luigi Pirandello

Pippo Pattavina

“L’ALTALENA” di Nino Martoglio

Alessandro Idonea e Plinio Milazzo

“MIA NO TUA NEMMENO” di Vincenzo Mulè

Pino Caruso

“NON SI SA COME” di Luigi Pirandello

Gilberto Idonea

“SEGUE BRILLANTISSIMA FARSA” dalla commedia dell’arte

La prelazione per gli abbonati della stagione 2014-15 scade giovedì 8 maggio

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Ridotti over 60, under 18 e universitari: Poltronissime € 60 - Poltrone € 50 - Distinti € 40 Prevendita al botteghino del teatro ore 10/ 13 - 17/20 TURNI: SABATO ORE 17.30 / 21.00 - DOMENICA ORE 17.30 La direzione si riserva il diritto di apportare modifiche al programma

Catania - Via S. Euplio, 21 - Tel. 095 322323 - www.metropolitan.catania.it - info@metropolitan.catania.it -

Teatro Metropolitan Catania

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GENNAIO 2015 - Giarre

Giarre e i supplenti dell’amministrazione comunale di Dario Li Mura

I supplenti arrivano quando per qualche ragione i legittimi titolari di un ufficio sono assenti, così avviene a scuola e le supplenze hanno durata variabile, certo è che quelle brevi sono per forza di cose oziose e confusionarie diverso è per quelle che tendono ad insistere su periodi di tempo più lunghi. Quello che più mi colpisce di Giarre è l’assenza dell’amministrazione comunale e a ben vedere della politica da tutti i temi più scottanti, dalla programmazione della vita cittadina, dal miglioramento delle condizioni della città. Ma non voglio essere generico o astratto, tutt’altro, vorrei fare esempi concreti di come il vuoto politico, come qualsiasi vuoto dei decisori, tenda a riempirsi alla meno peggio, solo che, come per le supplenze alla fine torna il titolare, fatta eccezione che per trasformazioni definitive della titolarità del potere. Primo esempio del fatto che a Giarre l’amministrazione è assente e altri suppliscono: il cartellone degli eventi natalizi è stato organizzato dalla Confcommercio. Che i commercianti abbiano cooperato per dar vita a una serie di eventi, che hanno rivitalizzato il centro città, è degno di nota, non solo per il fatto in sé, cioè che abbiano fatto qualcosa, ma perché gli eventi erano diversificati, l’intrattenimento era qualificato, le idee c’erano e pure la realizzazione. Si potrebbe pensare chissà che Natale avremmo

Il municipio di Giarre

avuto se l’amministrazione ci avesse creduto pure, se avesse partecipato, senza far venire a galla più di un difetto nell’ausilio degli eventi e, più d’ogni altra cosa, chissà che Natale avrebbe avuto Giarre con una regia politica e fondi stanziati pari a quelli del cartellone estivo. Non sono stati certo i se a fare la storia, ma la storia del Natale 2014 l’ha fatta la Confcommercio giarrese. Ora è chiaro che se l’amministrazione avesse pianificato degli eventi, con un investimento economico sul Natale, avrebbe dovuto tenere conto di interessi vari, gli interessi di tutta la città, del volontariato, della cultura, dei più svantaggiati, delle frazioni e avrebbe dovuto contemperar-

li questi interessi, cosa che certo non si può chiedere ad una associazione di categoria. Ecco questo è il problema dei supplenti, ciò -sia chiaro- non a detrimento della Confcommercio, ma dei titolari -assenti- del compito di mettere in campo le politiche: gli amministratori pubblici giarresi. Secondo esempio: contratto di quartiere, ovvero la vicenda della demolizione e ricostruzione degli alloggi popolari di via Teatro. Come è noto la stazione appaltante è il comune, molti degli alloggi ormai ultimati sono di dimensioni inferiori ai 45 mq (29/31 mq) e invece di una riqualificazione rischiamo di avere un peggioramento delle condizioni di vita degli inquilini. E’ chiaro

che l’unico che avrebbe dovuto avere interesse e titolarità per sbrogliare la matassa e trovare una soluzione è il Sindaco di Giarre, eppure gli unici che si sono recati a Palermo presso l’Assessorato alle infrastrutture in due diversi incontri (uno organizzato dal PD l’altro dal Sunia), sono stati i legali degli inquilini. Ora, pur ammettendo qualsiasi istanza dovuta alla parcellizzazione degli interessi nelle società moderne, è mai possibile che l’interlocuzione con un Assessorato per una vicenda che interessa la città di Giarre sia rimessa a degli avvocati (che per loro natura hanno mandato privatistico) e non all’interlocuzione di un Sindaco, rappresentante po-

litico, capo dell’amministrazione? Anche i legali come la Confcommercio hanno supplito ad una mancanza, i vuoti di potere non restano scoperti mai abbastanza a lungo, solo che nessun soggetto può sostituirsi in tutto e per tutto alle prerogative e con i poteri di un’Amministrazione Comunale, eccetto un commissario, ma non è questo il caso, tenuto conto che a una deficit di politica non si può far fronte con dei burocrati. Si era pensato che Giarre avesse dovuto guidare un libero consorzio –la cui riforma è in stallo- ma c’è da ringraziare il cielo che ciò non sia avvenuto, con l’inadeguatezza dell’amministrazione comunale nella gestione (per non dire di programmazione e di creazione di politiche) di questioni cittadine saremmo sprofondati nel caos, se solo avessero dovuto far parte della governance dell’ente intermedio. L’ultimo delirio logico l’ho ascoltato quando il sindaco ha argomentato dell’ordinarietà della caduta di cenere vulcanica e ha sostenuto che bisognava rivolgersi e chiedere aiuto al Dipartimento Regionale della Protezione Civile, soggetto che per antonomasia opera in condizioni di calamità, emergenza, straordinarietà. Nello stesso discorso si asseriva che la caduta di cenere fosse fatto ordinario e che bisognava rivolgersi all’agenzia che si occupa di fatti straordinari (sic!). Buon anno e speriamo che al prossimo supplente piaccia Aristotele.

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GENNAIO 2015 - Opinione

Fra elezioni e giochi di potere l’Europa trema di Salvo Ardizzone

Il 2015 sarà un anno di fuoco per la Ue: Grecia, Inghilterra e Spagna andranno al voto e i pronostici promettono esiti che scuoterebbero dalle fondamenta la Ue minacciando di mandare in frantumi l’Euro e l’Eurozona. In quei Paesi i partiti tradizionali, che da destra a sinistra di riconoscono sostanzialmente nelle politiche suicide dettate da Berlino, sono vistosamente in difficoltà: nuove formazioni politiche conquistano crescenti consensi fra la gente, in nome di vie alternative che finalmente sappiano dare risposte a una crisi che continua ad attanagliare il Continente. L’assaggio di ciò che potrebbe accadere s’avverte già: in Grecia si voterà il 25 gennaio; il Premier Samaras, prima che il suo consenso si dissolvesse, ha giocato la carta d’anticipare il voto, ma, secondo i sondaggi, è all’opposizione di Syriza che andrebbe la vittoria. Tsipras, il suo leader, ha dichiarato che non intende uscire dalla Ue né abbandonare l’Euro, ma rimetterà in discussione gli accordi imposti dalla Troika, rinegozierà il debito pubblico e porrà fine alle politiche d’ottusa austerità che hanno letteralmente massacrato la società greca. È convinto che Bruxelles non possa permettersi di perdere Atene, perché i contraccolpi sarebbero devastanti; già ora è bastata la sola prospettiva per affondare le Borse del Continente e mandare a picco la Moneta; è sicuro che la Ue,

pur di evitarlo, sarà costretta a scendere a patti. La risposta non s’è fatta attendere, affidata a “indiscrezioni” pubblicate da Der Spiegel: fonti riservate ma autorevoli avrebbero “rivelato” che il Governo tedesco giudica inevitabile che, se Syriza dovesse vincere le elezioni, la Grecia lasci l’Euro, ma hanno pure “lasciato trapelare” che la cosa non viene considerata allarmante perché la condizione dell’Eurozona è molto migliorata, visto che Portogallo e Irlanda hanno risanato i bilanci (uscendone a pezzi, ma

che importa?), la Bce ha ora gli strumenti e la liquidità necessaria per salvare le banche in difficoltà e il “Meccanismo Europeo di Stabilità” sosterrebbe gli Stati che dovessero vacillare (Italia? Francia?). E’ un messaggio chiarissimo ad Atene, per dire che Berlino non cederebbe alla minaccia e che se la Grecia, dopo essere stata distrutta da politiche assurde, vuole andare per la sua strada, faccia pure. Non solo: strumenti e liquidità faticosamente messi in campo dalla Bce di Draghi a costo di duri scontri contro l’ottusità

dei soliti “falchi” del Nord, con l’intento d’essere usati per lo sviluppo, dovrebbero essere così dirottati in difesa dei bilanci e delle eterne politiche di rigore. Successivamente alle indiscrezioni, portavoce del Governo, politici e la Merkel stessa si sono spesi a rinnegare quanto era circolato, ma ammonendo pesantemente che gli impegni presi da Atene (e da ogni altro Paese membro) devono essere mantenuti e che le politiche di rigore rimarranno comunque. La Cancelliera, il suo ministro dell’Economia Schauble, la BundesBank e il gruppo di potere che le si è cristallizzato intorno hanno il terrore che l’esempio di Atene possa essere seguito domani da Madrid e poi, chissà ?, da Roma o anche da Parigi, decretando la fine delle loro politiche e del loro potere, e intendono tener duro a ogni costo. La Merkel alza la voce anche perché da un canto, attraverso il meccanismo della Bce “Target 2”, ha scaricato sull’Eurozona (cioè su tutti gli altri Pa-

esi che la compongono) circa 500 Mld di crediti difficilmente esigibili che le sue banche avevano con i Paesi a rischio (principalmente Spagna e Grecia); dall’altro ha pompato nel suo sistema creditizio circa 250 Mld di aiuti di stato (alla faccia dei divieti Ue). Adesso, malgrado si renda conto che la vicenda le sarebbe tutt’altro che indolore, Berlino ritiene l’uscita della Grecia dall’Euro non solo “tollerabile”, ma “auspicabile”, perché oltre a togliere di torno il problema Atene, scoraggerebbe altri dal seguirne l’esempio. Inutile perder tempo a giudicare simili comportamenti cinici quanto miopi, resta il fatto che s’annuncia un 2015 tormentato per l’Europa; dopo quelle in Grecia verranno le elezioni in Spagna, con Podemos di Pablo Iglesias in continua ascesa che intende muoversi sulla scia di Syriza. È uno scontro frontale quello che si apparecchia, fra chi ha fin’ora detenuto le leve del potere in Europa, facendone scontare il peso agli altri Paesi, e chi si vuole scuotere questo servaggio che massacra i più deboli. Ad oggi è un Continente intero ad essere assoggettato, stretto nella morsa di dissennate politiche liberiste e ridotto a strumento di interessi di terzi: da Nord, con il crescente strapotere di Berlino, e da oltre Atlantico, col permanere d’un dominio che impone scelte cieche, di cui la contrapposizione con la Russia e le sanzioni conseguenti sono solo l’ultimo episodio.

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GENNAIO 2015 - Agrigento

Il viadotto della vergogna: ora qualcuno paghi d i Franco Ca st a ldo La Procura della Repubblica di Termini Imerese ha ordinato il sequestro negli uffici dell’Anas della documentazione dell’appalto per il viadotto Scorciavacche sulla statale 121 PalermoAgrigento e del tratto di accesso crollato pochi giorni dopo l’inaugurazione. Il provvedimento è stato deciso dal procuratore Alfredo Morvillo e dal sostituto Francesco Gualtieri. I magistrati hanno già incontrato alcuni consulenti che si apprestano a nominare per risalire alle cause del cedimento e stabilire quali materiali e in quante quantità sono stati utilizzati per la costruzione del ponte. Solo dopo saranno decise le operazioni tecniche da eseguire. Se si tratterà di atti “non ripetibili” saranno individuate le persone da iscrivere nel registro degli indagati come adempimento tecnico dovuto in questa fase iniziale dell’inchiesta. L’area interessata al crollo e il viadotto Scorciavacche erano stati già sequestrati. La Regione, intanto, ha deciso di inviare gli ispettori nella zona del viadotto. Lo ha anticipato l’assessore alle Infrastrutture Giovanni Pizzo. “Sembra inverosimile - dice Pizzo - che un’opera appena completata sia oggetto di cedimenti strutturali. Avvieremo insieme con I’Anas una severa ispezione che terrà conto di quanto accaduto, ricercando eventuali responsabilità fra tutte le imprese, appaltatrici e subappaltatrici, a cui sono stati affidati i lavori”. Intanto, con questo messaggio su twitter “Viadotto Scorciavacche, Palermo. Inaugurato il 23 dicembre, crolla in 10 giorni. Ho chiesto a Anas Il nome del responsabile. Pagherà tutto”, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, fa capire le sue intenzioni. “Il viadotto delle Scorciavacche 2, sulla Palermo-Agrigento, inaugurato lo scorso 23 dicembre e costato 13 milioni è crol-

Viadotto Scorciavacche lato - continua il Premier su Facebook -. Solo per una fortunata coincidenza non si è fatto male nessuno, ma questo non cambia di una virgola le colpe dei colpevoli. Ho chiesto a Anas il nome del responsabile: è finito il tempo degli errori che non hanno mal un padre. Pagheranno tutto”. Anche il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, con una nota espone chiaramente il suo punto di vista: “Pagheranno costruttore e controllore. Il crollo del viadotto sulla Palermo-Agrigento, “è un fatto Inaudito e inaccettabile. Ho immediatamente chiesto all’Anas una relazione dettagliata sull’appalto, sui lavori e anche sulla commissione di collaudo. C’è chi l’ha costruito male - prosegue Lupi -, chi non ha controllato che i lavori fossero fatti a dovere e chi ha dato il via libera alla circolazione. Ogni negligenza irresponsabilità in tutto questo non verrà assolutamente giustificata”. L’apertura della variante di “Scorciavacche” era avvenuta il 23 dicembre, con tre mesi di anticipo rispetto ai tempi previsti. Il viadotto rientra nei lavori di ammodernamento dell’Itinerario Palermo-Lercara Friddi sulla statale 121. Il presidente dell’Anas Pietro Ciucci aveva salutato con favore l’inaugurazione anticipata della struttura. Ma oggi alla luce di quanto accaduto Ciucci ha assunto una diversa posizione ribadita durante un sopralluogo, voluto fortemente dallo stesso presidente Anas,

sul luogo del disastro: “Evidentemente c’è stato un errore. Un errore in fase di progettazione o di esecuzione. Noi abbiamo avviato un’inchiesta interna per cercare di trovare i responsabili. Non abbiamo alcuna intenzione di sovrapporci all’inchiesta delle procura di Termini Imerese con cui collaboreremo. Abbiamo immediatamente contestato al Contraente Generale - ha aggiunto Ciucci - il difetto di esecuzione dell’opera e al contempo gli Uffici di Alta Sorveglianza hanno avviato tutti gli accertamenti tecnico contrattuali per la verifica delle cause del dissesto. Al termine dell’inchiesta affidata ad una commissione composta da dirigenti e da un professionista esterno esperto di geotecnica l’Anas proporrà le necessarie azioni legali e procederà al recupero del danno subito”. Ciucci continua: “Sono qui per rendermi conto di quanto è successo ma è chiaro che è successa una cosa che non doveva succedere. È una cosa grave, come ha detto il procuratore di Termini Imerese”. “La strada - ha spiegato Ciucci - verrà ripristinata dalla società che ha eseguito i lavori. Il danno è quantificato in 200 mila euro che sarà tutto a carico dell’impresa che ha eseguito l’opera. Sono stati gli stessi tecnici della ditta e i nostri dell’Anas a capire che stava franando il tratto di strada. Ho disposto la chiusura sapendo che avrei fatto una brutta figura. Ne ero consapevole. Ma si dovevano tutelare

Il tratto di strada crollato sulla Agrigento - Palermo i nostri utenti e non c’è stato alcun tentennamento sulla decisione da prendere”. Sulla possibilità di dimissioni specifica: “Non ho intenzione di dimettermi per quanto successo qui, nei pressi del viadotto Scorciavacche. Il mio mandato è nelle mani del presidente del Consiglio Matteo Renzi e del ministro Maurizio Lupi”. Il viadotto rientra nell’ambito delle opere di ammodernamento dell’itinerario Palermo - Lercara Friddi sulla statale 121. La chiusura del viadotto risale allo scorso 30 dicembre, perché l’Anas ha rilevato dei minimi cedimenti e cautelativamente, per scongiurare rischi all’ utenza, ha vietato il transito. L’Anas ha contestato alla ditta che ha eseguito l’opera il difetto di esecuzione, disponendo l’immediata installazione di un sistema di monitoraggio di tutte le strutture su cui si regge la strada e ordinando di procedere al ripristino della carreggiata nel più breve tempo possibile. L’impresa incriminata è la “Bolognetta scpa”, compresa nel raggruppamento di imprese capeggiato dalla Cmc di Ravenna. “Sembra una barzelletta ma purtroppo è una triste realtà. Inaugurato alla vigilia di Natale, il viadotto Scorciavacche, lungo la Palermo-Agrigento, è crollato a Capodanno”. Così dichiara il deputato nazionale e vicecoordinatore di Forza Italia, Riccardo Gallo, a seguito del crollo e aggiunge: Se è vero come è vero che il buon giorno si vede dal

mattino, le politiche infrastrutturali del governo Renzi, lanciate in pompa magna nello “Sblocca Italia”, sono allora un campanello d’allarme da brivido, metafora dei facili annunci senza fondamento, e quindi destinati al crollo”. Intanto, la società “Bolognetta scpa”, che ha costruito il viadotto Scorciavacche nell’occhio del ciclone dopo il cedimento, replica alle accuse e afferma: “In atto non c’è nessun crollo di viadotti. Si tratta di un cedimento del rilevato stradale in prossimità del nuovo viadotto “Scorciavacche2”, senza che lo stesso nuovo viadotto, recentemente realizzato, sia interessato . Nella nuova viabilità di cantiere, aperta al traffico veicolare il 23 dicembre scorso, si è verificato un cedimento del corpo stradale in rilevato, per una tratta di circa 40 – 50 metri, che ha indotto il Contraente Generale a riportare il traffico sulla Sp 55. E’ dunque accaduto un cedimento del terreno di fondazione del corpo stradale con innesco di uno scivolamento verso valle di parte del rilevato. Si tratta quindi di movimento di roto-traslazione, e il tutto non interessa le nuove opere, che sono i viadotti “Scorciavacche1” e “Scorciavacche2”. E’ pertanto assolutamente errata la notizia del crollo di viadotti che, si ribadisce, non sono interessati dai fenomeni di natura geotecnica che si sono evidenziati, invece, in una limitata tratta del rilevato stradale”.

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GENNAIO 2015 - Messina

Sull’asse Milazzo-Messina la politica diventa calda di Giovanni Frazzica Forte del prestigio acquisito dal ruolo di primo piano che ha avuto nel convegno provinciale dei “Popolari in Movimento”, tenutosi a Milazzo il 27 dicembre, il consigliere del Pd Franco Scicolone apre una polemica squisitamente politica col sindaco Carmelo Pino che ha varato l’appalto per la realizzazione di nuove rotatorie. “Egregio Signor Sindaco, leggo che presto verranno realizzate le rotatorie di San Papino, piazza Roma e via dei Mille, avendone la Sua Giunta aggiudicate le gare – scrive Scicolone - poiché trovo surreale tale “premura”, Le chiedo: ha provato a sentire il parere dei suoi concittadini sulla utilità di tali opere? A poco più di 100 giorni dal rinnovo degli Organi di governo della città, Le sembra opportuno avviare lavori di cui nessuno percepisce la necessità? Mi creda Signor Sindaco, - conclude Scicolone la lunga nota di cui abbiamo riportato solo qualche brano - sarebbe un gesto di buon senso e saggezza politica, qualità assai rara in questi tempi”. In effetti a Milazzo, dove si lavora alacremente alla formazione delle liste, a movimentare la scena politica sono intervenuti per primi i Popolari del Pd, che hanno fatto mobilitato anche l’on. Giovanni Burtone per il loro convegno, seguiti a ruota dai Verdi e dai socialisti. Infatti l’’on. Maurizio Ballistreri, Segretario provinciale del Psi di Messina, ha nominato Barbara La Rosa responsabile politico per la zona di Milazzo, per meglio governare una fase estremamente importante della vita pubblica del comune mamertino, considerata l’imminente scadenza elettorale per il rinnovo del sindaco e del consiglio comu-

Clelia Marano nale. A Messina, dove non sono previste scadenze elettorali, il clima è reso incandescente dalle ultime mosse di Accorinti che ha sostituito il dimissionario Filippo Cucinotta con Elio Conti Nibali, promettendo o minacciando, dipende dai punti di vista, anche un rimpasto di deleghe. Nei giorni che avevano preceduto la ventilata nomina di Conti Nibali alla carica di assessore c’erano state molte polemiche, anche tra i sostenitori della prima ora del sindaco. Ma il rapporto che lega Conti Nibali ad Accorinti va oltre la politica, c’è fra i due un’amicizia che risale a quando entrambi indossavano i calzoni corti e partivano insieme con zaino in spalla e sacco a pelo. Inoltre Elio Conti Nibali è stato al fianco di Accorinti sin dall’inizio della campagna elettorale ed in questi 18 mesi la sua è stata una presenza costante. Ora avrà lo stesso rango di Guido Signorino, Nino Mantineo e Gaetano Cacciola, come lui adepti della Piccola Comunità Nuovi Orizzonti, l’associazione social-religiosa che ha come referente spirituale

con gli elettori. I veri registi, che dobbiamo ringraziare per averci “regalato” anche un’altra memorabile “rivoluzione al contrario” Crocetta Presidente della Regione, continuano a giocare una partita di risiko sulla pelle Elio Conti Nibali Franco Scicolone dei Messinesi. Dall’esperienPadre Scalia, che fù, tra il 2012 da Cucinotta o, per esempio, al- za Providenti fino ad Accorinti, ed il 2013, l’incubatore dove leggerendo di qualche impegno con la sola parentesi dell’Ammiha preso corpo l’idea della can- il “pluri delegato” assessore De nistrazione Genovese (non sapdidatura Accorinti. A ciò si ag- Cola”. E aggiunge Gino Sturnio- piamo se ci siamo capiti!) l’On. giungono i rapporti di parentela lo, consigliere che era stato eletto D’Alia insieme a pochi altri, conche si intrecciano con il capo di nella lista “Cambiamo Messina tinuano a determinare, davanti e gabinetto Silvana Modello, co- dal Basso”: «questa Giunta non dietro le quinte, le sorti di quegnata di Elio Conti Nibali e cu- sta cancellando il passato, come sta disgraziata Città. Il “cerchio gina del vice-sindaco Guido Si- aveva promesso in campagna magico” esiste oggi esattamente gnorino, che alimentano le voci elettorale, sta solo sanando gli come esisteva prima, la differensul cerchio magico che guida il errori compiuti da chi ammini- za, la sola, sta nel fatto che sono Comune in questa fase. Molte le strava nel passato». L’arch. Ales- cambiati alcuni attori della “tracritiche e le polemiche, dentro e sandro Tinaglia, rappresentante gedia” che Messina vive e subifuori il Palazzo. Libero Gioveni, di Reset, già candidato sindaco sce, per l’appunto, da decenni. consigliere Udc, intervenendo carica a testa bassa:”Avevamo In campagna elettorale al primo sulla diatriba tra quelli di ieri e anticipato in campagna eletto- turno, prima, ed al ballottaggio, quelli di oggi dice: “E così av- rale che Renato Accorinti era lo dopo, avevamo più volte anticiviene che “quellidiora” si lascia- “strumento” per la resa dei conti pato quanto oggi sembra essere no scappare validissimi esperti tra Francantonio Genovese e la finalmente di dominio pubblico. che hanno lasciato un segno restante parte dei sistema che Cambiare Messina è tutt’altro davvero positivo in città (come gestisce “scientificamente” il bi- che semplice, per farlo bisogna Clelia Marano nella difficile ge- sogno nella nostra Città – scrive rompere un sistema incancrestione dei migranti e dei minori) Tinaglia - la nomina ad Assesso- nito attraverso una rivoluzione oppure che dopo aver elogiato re di Elio Conti Nibali segna lo culturale. Primo passo da fare è l’operato dell’ex ingegnere capo spartiacque dell’esperienza am- provare a fare rete intorno ad un del Genio Civile Gaetano Sciac- ministrativa accorintiana poiché progetto di sviluppo”. Si preveca, abbandonano l’idea di farlo rappresenta la chiara volontà po- dono a giorni nuove dimissioentrare nella propria squadra di litica di accelerare la frattura con ni di ex sostenitori di Accorinti governo e dotarsi della sua in- il movimento CMDB che aveva che non hanno gradito la scelta discussa competenza, specie in sostenuto il Sindaco e da mesi di Conti Nibali assessore e che si deleghe “bollenti” come quella fa da “grillo parlante” chieden- uniranno a Nina Lo Presti e Gino della protezione civile lasciata do il rispetto degli impegni presi Sturniolo.

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Il Paginone

Sotto attacco dall’Islam, ma l’Italia e l’Occid

di Cla udio Mec Mel chi or r e Una mattina come un’altra, venti collaboratori di un giornaletto chiacchierato ma per molti divertente, vanno in redazione. E’ il Charlie Ebdo, in Francia, nel centro di Parigi. E’ diventato famoso per avere più volte sbeffeggiato gli estremisti islamici. A metà mattinata, due persone, con il capo coperto, armate di kalashnikov scaricano le loro armi e fanno 11 morti e 10 feriti. Tra i morti, due agenti della sicurezza. Gli attentatori hanno urlato che stavano vendicando Maometto. Sarebbe interessante sapere cosa direbbe lui, il profeta, di questa micidiale azione. Ricordate, vero? Se la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna. Espressione di mitezza e di sottomissione alla realtà, agli eventi, alla necessità di portare pace e non guerra. Eppure il mondo islamico da noi è sinonimo di violenza. Stati islamici barbari e violenti, torture non tollerate ma nerbo dei codici penale e civile, donne senza diritti. L’uguaglianza tra gli uomini dichiarata ma non praticata, la forza come strumento di propagazione non tanto di una cultura, ma del potere che, come sempre nella storia, trova nella religione la scusa più forte e più generalmente accettata da molti popoli, per imporre la loro volontà sugli altri. Del perché esistano questo tipo di violenze, a noi interessa poco, nelle nostre città pacifiche e occidentali. In realtà, ci interessa poco il tema. Solo quando accade qualcosa di drammatico l’attenzione si alza. E c’è la reazione immediata: morte all’Islam. Un’amica davanti a queste affermazioni disse: “C’è una differenza sostanziale tra chi pratica l’Islam e chi lo studia per usarlo

come arma.” E’ questa la vera differenza tra terrorismo e religione. Ma noi, cristiani del 2000, non capiamo come la religione possa essere la molla che fa scattare, in una buona parte di una nazione, di meno di cento milioni di persone, su un miliardo di musulmani, l’istinto violento del combattimento. Ma andiamo per gradi. Perché nazione di meno di cento milioni di persone? Tanti sono quelli che sono disposti a combattere in nome dell’Islam in questo modo, anche meno. Non sono gli ignoranti, sono i violenti. Violenti che vogliono il potere, in un’area del Mondo che non ha stati in senso proprio, tranne qualche eccezione che l’Occidente contribuisce a far scomparire, come nei casi di Libia e Iraq. I violenti vogliono il potere massimo nella loro area culturale, per lo più. Il loro obiettivo è la Mecca, innanzi tutto. Per conquistare la Mecca sono disponibili a dichiarare guerra all’Occidente ricco. Anche loro sono schiavi dell’idea che se uno è ricco, è anche un delinquente. Il movente culturale non li spinge a combattere i loro capi, generalmente ricchissimi, ma lo straniero e i suoi alleati, compresi i regnanti dell’Arabia, protettori della Mecca, ortodossi e molto poco democratici. In tempo di guerra, i poveri vivono in uno stato di ebbrezza egalitaria. Combattono e scalano le gerarchie sociali. Uccidono e diventano forti. Si sentono invincibili. Sequestrano uomini ed Allah per la loro smania di potere, di dimostrare che loro sono meglio di quegli straccioni, forse ubriaconi, che hanno infestato le loro tribù. Sono combattenti per la loro libertà, non quella di tutti. In occidente questi discorsi ven-

gono presi come giustificazionismi. Non è così. Un tollerantissimo pensatore occidentale, Karl Popper, disse, a proposito di chi attacca la democrazia, che deve essere combattuto con le stesse armi che lui usa contro di noi, se non peggio. E’ un grido di battaglia democratico, quello di Popper. La raffinatezza di von Clausevitz o di Sun Tzu, gli autori di princìpi guerreschi più letti nel nostro Mondo, sono carinerie, rispetto a quella del pensatore europeo che più ha influenzato il pensiero della fine del 900. Una volta che scatta il meccanismo del conflitto, però, è difficile fermarlo. La logica amico-nemico sovrasta tutto. Rischiamo di trovarci in guerra vera, non quella narrata. Dovremmo evitarlo, per il nostro bene. Il problema è come fare. I francesi in questi giorni si stan-

no interrogando. Dovremmo farlo anche noi. La lentezza di reazione del nostro Paese è emblematica. I francesi, già una settimana fa avevano deciso di dislocare la loro portarerei nucleare nel golfo Persico. Noi non sappiamo dove stiano le nostre navi. Una piccola squadra sta lì, nel mare più caldo del Mondo, ma una fetta importante dovrebbe essere nel Mediterraneo, se diamo retta al sospetto che il traghetto Norman Atlantic non è stato soccorso dai nostri marinai, perché le navi semplicemente non c’erano. Abbiamo agevolato in modo assurdo le migrazioni verso l’Italia in modo che più di una volta il sottoscritto ha definito criminale e complice dei mercanti di uomini che quasi sempre coincidono con i capi degli eserciti islamisti. Solo nell’ultimo anno, più di

centomila disperati sono arrivati sulle nostre coste, accompagnati da noi, dalle nostre navi, che spesso sono andati a prendere questi viaggiatori paganti vicino alle coste africane. Cosa ci sia di nobile nell’andare a ripescare nel mare gente che ha pagato da 800 a cinquemila dollari la traversata omicida, non so. Sarebbe umanitario salvarli dalla fame e dalla morte senza costringerli a trovare migliaia di dollari che non hanno. Per trovarli, questi soldi, uomini e donne si vendono, conoscono qualsiasi tipo di violenza e brutalità. Dopo questa follia che dura più di un anno, vengono “salvati” da noi. Noi, gli stessi che hanno paura degli islamisti che schiavizzano i loro fratelli di religione, ma che con quelli non hanno nulla a che spartire. Ovvio dedurre che in mezzo a

Charlie Hebdo, l’ultima testa da tagliare: d i Al bert o Ca rdillo Il conto di politiche sbagliate lo pagano sempre i più deboli o i più esposti sul campo. I 10 giornalisti e i 2 poliziotti trucidati a seguito dell’attentato di matrice islamica presso la redazione di “Charlie Ebdo” sono martiri di un’Europa codarda, buonista, ipocrita. L’Ancien regime che governa il vecchio continente ha inculcato nella coscienza popolare il timore d’andar contro corrente, la paura d’apparire razzisti, la fobia dell’allarmismo, inducendo al silenzio o alla peggiore pena dello scherno coloro che hanno denunciato la pericolosissima

deriva dell’islamismo armato. Non hanno capito o forse non hanno voluto scientemente capire che l’11 settembre 2001 è iniziata una Crociata alla rovescia. Un abominevole rigurgito della storia che andava affrontato con realismo e determinazione. La Jihad non è folklore, è Guerra Santa. Una guerra che non nasce dall’europeo istinto di conquista di terre e di ricchezze materiali, la loro, quella dei terroristi islamici, è una guerra per la sottomissione delle anime infedeli. Il loro “lavoro” finirà quando la nostra millenaria civiltà sarà sepolta e la nostra libertà annientata. Deve sparire dalla faccia della terra il nostro

infedele modo di vivere e anche di morire, il nostro modo di pregare –o peggio- non pregare, il nostro modo di vivere la vita, i nostri svaghi, le nostre libere passioni. Così indaffarati come siamo nell’inseguire gli effimeri miti artificiali del consumismo e del materialismo, non ci siamo resi conto il nostro nemico è vicino, è in casa, è dentro di noi. Basti pensare che su 3000 uomini in armi tra le fila dell’ISIS ben 600 provengono dal nostro continente. La debacle del pensiero debole, buonista e perbenista. Siamo stati indottrinati alla non opposizione, alla non difesa, all’accomodamento, alla restri-

zione della nostra libertà: dalla rimozione dei simboli della cristianità nei luoghi pubblici fino alla banale ma tremenda paura di viaggiare o trovarsi in luoghi affollati. Ed è, quindi, l’Europa che si taglia da sola la testa prima ancora che le venga tagliata dagli esperti jihadisti. Un esempio per tutti: Facebook, social network di cui ormai in pochi riescono a fare a meno, ha obbligato il giornalista Magdi Cristiano Allam a rimuovere la foto del suo profilo in cui compariva la vignetta di Giorgio Forattini che lo ritraeva nei panni del condannato con la divisa dei detenuti di Guantanamo fatta indossare dai terroristi

islamici dell’Isis alle loro vittime, con l’Ordine dei giornalisti nei panni del boia che diceva: “Questo tribunale dell’Ordine dei giornalisti ti condanna alla decapitazione per islamofobia”. All’origine della vicenda c’è il procedimento disciplinare che l’Ordine dei giornalisti avviò nei confronti di Allam, aderendo e facendo propria l’accusa di islamofobia avanzata dall’avvocato di un’associazione di integralisti islamici. L’accusa, sostanzialmente era quella di criticare l’islam come religione. L’ obiettivo era, quindi, quello di creare un precedente che avrebbe sanzionato chiunque avesse osato criticare l’islam, Allah,

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ccidente tutto continuano a sottovalutare la questione

Da sinistra una copertina di Charlie Hebdo, la censura di Facebook inflitta alla vignetta di Forattini su Magdi Cristiano Allam e un terrorista islamico che uccide un poliziotto inerme centomila disperati, possano esserci diecimila soldati di quell’esercito immondo che dichiara di voler piantare la sua bandiera nera a Roma, a San Pietro. Sono mesi che raccontiamo che gli islamisti hanno Derna, in Libia, e probabilmente controllano anche Tripoli. Di questo, in Italia, non si parla. Si confida nella presenza dell’alleato americano. Lo combattiamo quando vuole costruire il MUOS, infrastruttura per lo spionaggio telematico mondiale, ma lo utilizziamo quando abbiamo bisogno di difesa contro il nemico che non conosciamo. La realtà nostra è una realtà dove si ha paura di tutto. Specie di quello che non conosciamo. Sottovalutiamo tutto quello che non conosciamo e che non sappiamo gestire. Poiché, numeri alla mano, dimostriamo di non sapere gestire nulla, sottovalutiamo tut-

to. Anche i rischi di guerra. Il punto è che non parlando del rischio di guerra, non sappiamo nemmeno di quale guerra. E’ guerra di civiltà? E’ l’Occidente contro un pezzo di Oriente? O è guerra cristiana contro l’Islam? La ragione dice che è guerra dei violenti contro la democrazia. La democrazia è il metodo di governo che ha nella pace e nel rispetto della vita umana il suo fondamento. La democrazia non estingue il conflitto, lo regola al punto da ridurre la violenza fisica a violenza psicologica, a forza, a scontro di interessi. Per combattere la guerra dello pseudo Islam, dobbiamo sapere che la chiave di vittoria è la democrazia, non la religione. Una guerra di religione sarebbe persa in partenza. Dal punto di vista confessionale, noi non siamo più quelli di una volta. Siamo veramente pacifisti e tolleranti.

Non siamo disposti a prendere le armi. Per fortuna. Per salvare le nostre case, i nostri familiari, il nostro modello di vita, anche le televisioni, i supermercati, persino le tasse, siamo capaci di combattere. Chi è il nemico? Il nemico è la violenza, la volontà di distruggere quello che noi consideriamo dignità umana, quindi la democrazia. Per combattere contro i nemici della democrazia, dobbiamo sapere che ci sono molti credenti musulmani che sono come noi e nel conflitto stanno dalla nostra parte. Ma per mettere insieme questo esercito internazionale contro il terrore dei violenti, dobbiamo sapere come unire la squadra combattente per la democrazia. La strada per farlo è il rispetto della democrazia, il ritorno al culto della pace e del rispetto del-

la vita umana. Il combattimento aspro, violento, senza quartiere, dovrà essere animato da questo principio. Dovremo approfittare del conflitto per attirare i popoli oppressi dal medioevo di certo islamismo, dalla nostra parte, e rimettere insieme la cultura monoteista dell’antico testamento, valorizzando da una parte la tolleranza, dall’altra la capacità di difesa e di offesa contro i nemici della libertà e dell’uomo. Cosa stiamo facendo, in questa logica, a casa nostra? Non bene. In Italia stiamo deridendo democrazia e rispetto della vita umana. Troppe volte negli ultimi mesi abbiamo sorpreso i nostri governanti centrali e territoriali con dichiarazioni folli. In nome del pragmatismo, sono stati ridotti gli spazi di democrazia, si sta abolendo una Camera, si sta violentando il sistema elettorale, si continuano a sfornare leggi, o meglio, illegittimi decreti legge, che offendono i deboli e favoriscono i forti. Non è un buon modo per mettere insieme coloro che dovranno difendere la libertà, in una guerra insidiosa che basa la sua strategia sul terrore. Non dobbiamo avere paura. Né di noi stessi, né dell’Islam. Dobbiamo temere e quindi combattere, chi della nostra vita non ama la cosa più importante, la libertà e la dignità. Sono temi che abbiamo trascurato a lungo. Abbiamo parlato troppo spesso di Turchia o Iran nemici dell’Occidente, come si parlerebbe del derby CataniaPalermo. Dobbiamo tornare ai fondamentali del perché stiamo insieme e del perché dobbiamo essere internazionalmente schierati contro il terrorismo, che ora sequestra la religione per trovare le motivazioni del conflitto, come una volta sequestrava gli ideali alti di uguaglianza per distruggere l’individuo, come han-

no fatto nazifascismo e comunismo. Le nostre speranze di vittoria, in questo scontro che si sta preparando, è tutto nella superiorità della forza democratica. Turchia e Iran possono e devono combattere con noi. La nostra capacità di mobilitazione è nella nostra intelligenza di popolo, nel cercare i segni della democrazia negli altri Paesi e nelle altre tradizioni. Ma anche difendere le nostre, di tradizioni. Perdiamo credibilità ogni qual volta consentiamo a chi ha il potere di offendere i nostri diritti e le nostre prerogative. Certo, tutto questo ancora oggi ci sembra lontano. Non vediamo il conflitto profilarsi nel nostro quotidiano, ma l’attentato ad un giornaletto satirico francese è un colpo che l’Europa non può ignorare. Lo schema del conflitto è ormai insinuato. Da questo momento, ci prepariamo a combattere e dobbiamo decidere se vincere. Dal nostro piccolo, dove chiediamo con ancora maggiore forza al nostro sindaco di essere più presente e capace, alla nostra Regione, che non può più permettersi di non affrontare le grandi questioni sociali e di buon governo, al nostro Stato che deve tornare a dire la verità e non trattarci mai più come bambini da tenere all’oscuro. Uniamoci e combattiamo. Ma per la libertà. Non c’è alcuna supremazia possibile tra le religioni, tra le civiltà, si. Sottovalutare il tema, oggi, è sempre più criminale. E chissà se, preparandoci a questo conflitto, riusciremo anche ad evitare il combattimento, fermando le violenze di questo esercito islamico che di Islam non ha nulla. Maometto non ha alcuna paura di una vignetta. Come non ebbe paura di andare alla montagna, con umiltà.

are: quella dell’Europa buonista e codarda Maometto o il Corano. Ebbene alla fine l’Ordine dei giornalisti ha dovuto rimangiarsi tutto, prendendo atto che la critica ad una religione o ideologia è assolutamente legittima. Evidentemente i militanti islamici, i buonisti, i relativisti, i multiculturalisti nostrani che odiano la nostra civiltà dalle radici cristiane, non hanno mollato la presa e hanno proseguito la loro offensiva per imporre la censura ad Allam. Una voce scomoda da eliminare. E Facebook in modo acritico li ha accontentati imponendo la censura, cadendo nel ridicolo perché hanno censurato una vignetta, oltretutto del miglior vignettista

italiano contemporaneo! Popoli giovani che si sostituiscono ai popoli che scelgono la rassegnazione ed il suicidio. Hanno voluto, per schifosi interessi di sfruttamento schiavista della manodopera, far arrivare in Europa eserciti di disperati ed ora i disperati si trasformano in moltissimi casi in rabbiosi, o peggio, in assassini. Così nell’Italia “porto franco” per gli scafisti d’ogni latitudine, la Procura di Palermo, su indicazione dei servizi segreti, indaga “su possibili infiltrazioni di cellule terroristiche dell’Isis tra i profughi sbarcati nei mesi scorsi sulle coste siciliane”, ma si tratta solo di “allarmismo ingiustifi-

cato” dicono i padroni del vapore, e vai col valzer di gente che entra con ogni mezzo nel belpaese. E’ vero che non bisogna mai generalizzare, passando da un estremismo all’altro, ma queste frotte di genti che la nostra marina militare va a recuperare fuori dalle nostre acque territoriali chi sono? Da dove vengono? Cosa vogliono? Sono tutti di pacifico intendimento? Sono domande che si pongono tutti gli Stati del mondo tranne l’Italia. A noi non importa, basta il fatto che a molti “l’accoglienza” faccia fruttare tanti quattrini. Vogliono, schiavi da “accogliere” oggi e da far lavorare nel lungo periodo per obbligare i lavoratori italiani a

ridurre le richieste, rinunciando ad ogni diritto. Tutto questo nel quadro di una Nazione a natalità zero. Ma oggi, tornando all’attualità, è toccato a Parigi, domani chissà. “La Jihad vincerà e distruggerà il mondo che bene o male siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare, a rendere un po’ più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto. E con quello distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale, i nostri valori, i nostri piaceri”. Era questa l’atroce previsione di Oriana Fallaci, ultima voce libera di una cultura italiana ed eu-

ropea non ipocrita e proprio per questo isolata, insultata, trattata da pazza. Forse –speriamo- non finirà così, ma una cosa è certa: l’occidente è in fortissimo ritardo nell’assunzione di una reazione giusta e necessaria all’esponenziale crescita della minaccia islamista. Ed è proprio l’Europa che ha il dovere di reagire per prima, per ragioni storiche, culturali, nonché geografiche, subito! Adesso che l’orrore non arriva più in differita sui nostri scintillanti schermi piatti da un lontano e sconosciuto paese del medio oriente. L’orrore è dietro l’angolo di ogni europeo, di ogni uomo libero.

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Città Giardino a Melilli con finestra su Mafia... capitale? d i Rosa To ma rchio Come si arriva da Mafia Capitale ad una piccola frazione di un paesino della provincia di Siracusa? Si dice che addirittura, che questo piccolo centro di accoglienza gestirebbe due milioni e mezzo l’anno. Città Giardino, benché adiacente al capoluogo aretuseo, fa capo al Comune di Melilli, quest’ultimo a cavallo tra i porti di Siracusa e quello di Augusta. Ad inchiodare lo Sprar sarebbero state le intercettazioni telefoniche del braccio destro di Buzzi, la sua segretaria. E poi il centro di Melilli è stato anche segnalato al Ministero degli Interni per l’assegnazione di contributi cosi come per un secondo centro a Piazza Armerina. Ma la storia di Melilli è molto più lineare, grazie anche a una rivista di 32 pagine dove si fa racconta tutta la storia sul centro accoglienza per mezzo di questa Ericas cooperativa satellite del Consorzio a cui è stata ottenuta l’aggiudicazione dei finanziamenti da parte della Prefettura di Siracusa. Poco da nascondere, insomma. Ed ecco che Siracusa, con l’importanza di MareNostrum di Augusta, da cui le navi partivano ed attraccavano, diventa un punto di eccellenza dell’immigrazione. Oggi c’è una lettera inviata al Prefetto da parte degli operatori della cooperativa “La Zagara” che parlano di 7000 persone che sono state accolte, 7000 storie da raccontare. Ma perchè parlare di business accanto alla solidarietà e alla grande accoglienza? Intanto perché ci sono soldi da gestire per giunta in clima di emergenza. In questi casi non c’è tempo per osservare le procedure della legge italiana: occorre vestire gli ignudi, cibare gli affamati e dare la possibilità di telefonare in patria. L’emergenza nord Africa inizia nel 2011, una emergenza che dura da quattro anni e che, stranamente, non sarebbe mai

Vista panoramica di Città Giardino stata gestita in maniera sempre meno emergenziale e si seguiti secondo una ipotesi di gestire il tutto in via fiduciaria, diretta, senza ostacoli di sorta dettate dalle solite procedure burocratiche. E poi ci sarebbe anche l’intercettazione di Buzzi e dei suoi collaboratori coi capi della cooperativa sociale che dichiarano testualmente: “…questo business rende più della droga!”. Un fenomeno che creò parecchio scompiglio a Città Giardino ancor prima che il prefetto di Siracusa, Armando Gradone, firmasse il nullaosta per l’insediamento del centro di accoglienza. Lo stesso prefetto si recò a Città Giardino per tranquillizzare i residenti. Sin qui non sarebbero state riscontrate delle irregolarità da parte della Prefettura. Va da sé che le città-porto hanno risentito, e risentono ancora, di questa emergenza, specie nelle periferie dove, guarda caso, trovano spazio questi centri che aggravano ulteriormente la situazione dal punto di vista sociale. A confermarlo anche le parole di qualche mese fa dell’assessore ai servizi sociali del Comune di Siracusa, Liddo Schiavo: “….i residenti sono arrabbiatissimi e mal sopportano la permanenza degli immigrati in città…la crisi è tale, i disoccupati sono tanti… se i no-

stri concittadini potessero contare di un pocket money, un tetto ed una coperta al giorno penso che molti problemi sociali si risolverebbero….”. Se Melilli può essere la cartina di tornasole dell’immigrazione “affair”, sicuramente altri centri d’Italia non saranno da meno quando, con l’inizio della bella stagione e degli sbarchi senza fine, questo business riprenderà con un certo vigore. Nonostante i tentavi del governo italiano e libico di arginare in qualche modo il flusso migratorio, e nonostante l’acuirsi della rivoluzione, il problema accoglienza deriva ormai dal fatto che esistono dei mercanti di schiavi, gente caricata dai loro paesi di origine e a cui viene balenata la possibilità di un futuro migliore oltre mare. Ma quanto costa un immigrato al governo italiano o all’Europa? Il pocket money consiste in due euro e mezzo al giorno procapite e dato direttamente in mano al migrante ospite delle strutture. Poi ci sono i soldi che prendono le strutture dal Ministero e dai Comuni. Al contrario, in Germania c’è una organizzazione diversa per cui al migrante arriva molto di più in tasca senza intermediazioni varie e spartizioni di danaro tra mille rivoli, strutture e burocrazia. In base a degli accordi che

il Ministero prende coi Comuni e le Prefetture, il rimborso medio varierebbe dai 30 ai 35 euro. Per i minori non accompagnati sarebbe molto di più, circa 100 euro al giorno, perchè tutelati da convenzioni internazionali, perchè occorre dare loro un alloggio ma anche assicurare un percorso formativo. In sintesi, ci sarebbe un vertice che gestisce un business con più di un lato oscuro. Non ci sarebbero riferimenti diretti alla cooperativa o ai lavoratori. Eccezion fatta per il fatto che la dottoressa Garufi sia arrivata da Roma e che la gestione del centro sia stata affidata alle cooperative intestate a Buzzi. “Siamo del tutto estranei alla vicenda” – si difendono i lavoratori del centro accoglienza di Città Giardino. Ma come è mai possibile che una cooperativa di Roma arrivi in Sicilia? E che avrebbe gestito il caso umano immigrati come un business? Sentirsi citati e messi in un calderone che riguarda altra cosa, fa molto male. Le intercettazioni romane escluderebbero totalmente i lavoratori. “Per noi è stato un duro colpo vedere screditato il nostro lavoro svolto in otto mesi – dice la responsabile della cooperativa “La Zagara” di Città Giardino, Garufi - veniamo stipendiati perché portiamo

avanti dei valori e dei principi, non è semplice fare un lavoro del genere e sentirci tirati in ballo in un discorso business mi sembra eccessivo”. I lavoratori hanno dalla loro parte un testimonial non indifferente, il prefetto di Siracusa Gradone che ha sempre parlato in termini lusinghieri del lavoro da loro svolto nel centro di Città Giardini in questi ultimi mesi di grande emergenza. “Al di là del Prefetto, al nostro fianco sono state tutte le istituzioni, giorno dopo giorno, per otto mesi – dice ancora la portavoce dei lavoratori de La Zagara – e le stesse forze dell’ordine hanno messo in rilievo sempre la nostra trasparenza e correttezza. Pertanto, continueremo a lavorare a testa alta come sempre abbiamo fatto”. Sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti gli otto mesi di immigrazione, non certo i cinque anni precedenti svolti dalla cooperativa. Alla domanda, se il gruppo in questione, La Zagara, farebbe capo a Buzzi? “E’ intestatario del consorzio – risponde la Garufi – ma non certo della nostra cooperativa”. Ripeto, non siamo invischiati in nessun business, noi lavoratori siamo lontani migliaia di anni luce, piuttosto lontani. Abbiamo realmente lavorato con sacrificio, tutti, con delle persone non con delle macchine; dietro ogni sbarco c’è un grossissimo lavoro, non c’entra il business ma risolvere delle emergenze ed ascoltare il dramma del viaggio. Non sono una contabile, ma scorgo realmente delle inesattezze specie quando si tende a paragonare i centri di accoglienza a villaggi turistici o alberghi. E’ veramente triste!”. Attualmente, al centro accoglienza di Città Giardino sono poco più di 70 gli ospiti. In un recente passato, sono stati anche 200 così come disposto dalla Prefettura. I contratti dei lavoratori sarebbero, tra l’altro, in scadenza. Altra spada di Damocle. Altro che business!

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GENNAIO 2015 - Siracusa

No assicurazione? Scordatevi i rimborsi Agricoltore, non sei assicurato contro le gelate? E io non ti pago! Ad intenditor poche parole. Irremovibile “Mamma Europa” che non intende ascoltar storie da chi intende chiedere risarcimento danni a causa del maltempo che ha spazzato via le serre del glorioso pomodorino di Pachino dal marchio doc universale. A questo punto non sarà facile l’opera di convincimento del governo regionale in Commissione a Bruxelles mentre si fa la conta dei danni che ammonterebbero a più di 10 milioni di euro dopo la gelata di Capodanno che ha mandato alla malora le coltivazioni della zona sud della provincia siracusana . Interprete del malessere di centinaia di piccoli imprenditori è l’assessore regionale Nino Caleca con cui è stato fatto il punto sulla quantificazione dei danni a seconda della delimitazione geografica. Caleca fa sapere che la giunta regionale sarebbe ben disposta a proclamare lo stato di calamità per l’agricoltura di Pachino, Portopalo, e pertanto far scattare quelle piccole garanzie a beneficio degli imprenditori messi in ginocchio dall’anomala ondata di maltempo, neve, pioggia e forte vento. Ma senza aver fatto un ragionamento di tipo

Caleca con deputazione e sindaco scientifico prima con il governo nazionale, successivamente con l’Europa. Ovvero, convincere, anzi far capire, che il maltempo dei giorni scorsi è stato un evento eccezionale e che pertanto gli imprenditori non potevano avere i mezzi necessari per far fronte a questo enorme disagio. E poi occorre un programma a lunga gittata. Bisogna ripartire da ciò che è accaduto con interventi strutturali e progetti a breve e medio termine unendo il momento della calamità ad una esigenza complessiva. E’ stato questo il messaggio istituzionale lanciato dall’assessore Caleca ai piccoli e medi imprenditori agricoli l’altro giorno al Palmento di Rudinì a Marzamemi. Nient’altro che un invito a tutti i produttori ad assicurarsi. E di farlo al più presto, in vista di un anno agricolo

Caleca con gli imprenditori di Pachino e a destra le serre

particolarmente difficile in cui le temperature nei prossimi giorni saliranno di molto, intorno ai 20 gradi, ma poi tornerà il freddo e questo sbalzo provocherà danni. Il punto, dunque, è assicurarsi. Un fatto moderno e obbligatorio. Esiste una circolare che prevede una copertura assicurativa dell’80 per cento, ciò da quando la logica del risarcimento è stata bandita dall’Unione Europea. Un messaggio, quello dell’assessore Caleca, che va verso una direzione nuova rispetto al passato. Per la Sicilia, almeno che per metà ignora dell’esistenza di questa circolare, per l’altra metà non la prende nemmeno in considerazione. Da Palermo si mette mano su progetti di medio termine. “Sono convinto che le condizioni di maltempo sono state assolutamente eccezionali – ha

dichiarato Caleca - neve e vento hanno provocato la caduta delle serre. Ma occorre ugualmente fare un primo ragionamento scientifico perché ci sarà l’obiezione da parte dell’Europa che dirà “non ti pago perché tu imprenditore non ti sei assicurato”. Il nostro compito sarà quello di dimostrare a Bruxelles che questi danni non sono assicurabili, vista l’eccezionalità dell’evento”. Quale sarà la ricetta Caleca per la malconcia agricoltura siracusana? Si condensa nei “contratti in rete”, nient’altro che consorzi, gli unici in grado di favorire i rapporti con l’Unione Europea che vieta ormai ogni tipo di assistenza. “Dobbiamo imparare a diventare imprenditori, non ci sono altre vie – esclama l’assessore regionale – se non quello

dell’associazionismo e dei consorzi. Non abbiamo ancora questa mentalità dei contratti di rete ma occorre mettersi insieme per raggiungere obiettivi comuni pur rimanendo nella propria individualità e non rischiando il proprio patrimonio. E quello che intendo applicare in Sicilia, inizierò da Portopalo e Pachino”. Ma nell’era del terzo millennio, in piena era internet, c’è bisogno che qualcuno spieghi in soldoni in cosa consiste e come assicurarsi. E, soprattutto, quanto costa assicurarsi contro le “gelate” e ancora quale assicurazione è disposta a garantire una copertura assicurativa contro eventi purtroppo in forte aumento per via dell’inequivocabile cambiamento climatico anche in Sicilia. Rosa Tomarchio

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Una cena convivio al “Fermi – Eredia” di Catania nel segno della solidarietà di Car lo Maj or ana Gr avi n a Un piccolo, grande gesto di solidarietà, rivolto ai bambini ospiti dell’Istituto San Giuseppe di Catania, una serata speciale quella vissuta con tanta emozione per il menu semplice e genuino. Si è trattato di un segno concreto di vicinanza verso i più bisognosi per impetrare attenzione su di essi e illuminarli di speranza. Sappiamo che il rito della tavola ha un forte valore simbolico e culturale, che trova radici antiche e significati profondi che si legano in modo indissolubile alla storia dell’uomo. La condivisione di un momento come il pranzo o la cena assume connotazioni particolari, il cui senso va ricercato anche nel sostrato del termine “convivio” il quale rimanda etimologicamente a “cum vivere”, vivere insieme. L’istituto d’istruzione superiore Fermi-Eredia di Catania, per iniziativa del preside Alfio Petrone si è fatto promotore di una cena di beneficienza, offerta all’istituto San Giuseppe di Catania a favore dei bambini. Il dirigente sottolinea “la solidarietà arriva dove purtroppo il

Nelle foto alcuni momenti dell’evento pubblico non riesce a coprire. Si cerca di favorire l’inclusione, l’integrazione con la città attraverso lo spirito partecipativo creando anche un ponte per la vita grazie alla cucina che è anche arte, e incontrando la solidarietà genera un connubio prodigioso e produttivo”. Alla realizzazione dell’evento hanno contribuito i docenti Andrea Rugolo, Giuseppe Rapisarda docenti di cucina e Giuseppe Floresta docente di sala bar,

e gli alunni delle classi quarte che con la loro professionalità nel settore hanno dato vita a pietanze e cibi creando una commistione di “sapori” e “colori” della tradizione e regalando un’atmosfera intrisa di note natalizie. L’evento ha rappresentato un momento di incontro e di condivisione, ma anche di riflessione. Il cibo, infatti, costituisce un punto di unione tra noi e “l’altro” e riveste un valore d’iden-

tità sia culturale sia sociale. La commistione di piatti semplici ma legati alla tradizione, e i sapori della terra mescolati alla speranza e alla forza della solidarietà hanno contribuito

a rendere l’evento un’occasione di crescita anche culturale e formativa. Un girotondo di pietanze che ha donato sorrisi ai bambini, veri protagonisti della serata.

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La pagina delle rubriche Job act e art. 18 e i dubbi di costituzionalità di Maurizio Ballistreri

Il commento dell’autorevole giuslavorista Michele Tiraboschi, critico sull’impianto generale del Job Act, fotografa anche la riforma dell’art. 18: “Non convince nemmeno l’intervento sulla flessibilità in uscita risultante dall’introduzione del contratto a tutele crescenti, seppur coerente con la ratio della flessibilizzazione in ingresso. Il nuovo panorama pare delinearsi nel segno di un nuovo dualismo nel mercato del lavoro, che accentua la disparità tra i livelli di tutela tra le generazioni”. Dall’analisi del professor Tiraboschi potrebbe scaturire una conseguenza sul piano legale: in occasione dei primi ricorsi avversi a provvedimenti di licenziamen-

Da la foto della

settimana

to, verrà sollevata la questione di costituzionalità. Infatti, la novella legislativa in materia creerà un “nuovo dualismo” tra lavoratori assunti prima e dopo l’entrata in vigore del decreto delegato che introdurrà la nuova disciplina del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, con un vulnus al principio dell’uguaglianza sostanziale, sancito dal secondo comma dell’art. 3 della Costituzione. Così come un’altra violazione alla stessa norma costituzionale potrebbe derivare dal differente regime in materia di indennizzo in caso di licenziamento illegittimo, a seconda del limite dimensionale, sopra i 15 dipendenti o meno. Sul piano sostanziale poi, opinabile appare la scelta del governo di prevedere l’obbligo di reintegrazione per i licenziamenti disciplinari, solo nel caso in cui si configuri l’“insussistenza positivamente dimostrata del fatto materiale contestato al lavoratore”, attribuendo a tutte le altre ipotesi, come l’insufficienza di prove per violazione di obblighi contrattuali, esclusivamente il diritto all’indennizzo. Inoltre, la delega dovrà chiarire se l’introduzione del licenzia-

mento per “scarso rendimento”, su cui dottrina e giurisprudenza hanno sempre al loro interno evidenziato tendenze niente affatto costanti, può costituire al tempo stesso un motivo oggettivo di licenziamento e/o un motivo di natura disciplinare. E’ evidente che per i nuovi assunti il regime giuridico protettivo in caso di licenziamento illegittimo sarà fortemente depotenziato, con l’obbligo di reintegra in pratica solo per il recesso discriminatorio. C’è chi sostiene che il risultato finale sul piano giuridico sarà il frutto dell’equilibrio tra diverse posizioni culturali presenti nella maggioranza che sostiene il governo, con forse politiche prolabour e forze pro-business e chi, invece, ritiene che si sia in presenza di una chiara scelta di politica del diritto, legata agli interessi del mondo imprenditoriale (in cui si inseriranno le norme sul demansionamento e quelle sui controlli datoriali a distanza con strumenti informatici previsti nel Job Act), finalizzata al superamento del carattere di specialità del diritto del lavoro, inteso come strumento di tutela per la parte più debole del rapporto di lavoro: il dipendente.

(Fermiamo il branco dei vigliacchi) Non si dia tregua alla “pericolosità sociale” di Enzo Trantino I sassi lanciati dai cavalcavia? Le solite barbe finte dissero: sono ragazzi che procedono al buio. E giù una serie di complicate alchimie che finivano per processare i padri latitanti, colpevoli di fare soldi e di trascurare la casa o colpevoli di non avere fortuna, perché …casalinghi (“Chi esce, riesce”, l’accusa); comunque colpevoli. Poi stupri, violenza da esibizione e violenza da viltà, un esercito di vigliacchi invisibili prende alle spalle, sporca, ferisce, uccide, e quindi, spesso marcia nelle strade “contro la violenza”. Figli e padri dei tanti tartufi, degli ipocriti divenuti predicatori del nulla, specialisti in bolle di sapone. Le donne continuano a cadere, senza rumore, come sanno fare solo le donne: il martirio con levità, quasi un dovere. Ora il nuovo “gioco tra amici”: “si scende dall’auto, si prende a pugni e calci il primo passante, e subito si risale e si scappa via soddisfatti”. (Così le relazioni dell’assistentato sociale). Non vi trattengo dal vomito. Prelevo due termini: “si risale” (nelle auto) e si scappa “soddisfatti”. Come può mai risalire un branco di vermi, destinati a sprofondare per loro miserabile natura? E come possono essere soddisfatti di avere usato violenza verso sconosciuti, colpevoli solo di non essere armati, per usare l’istituto naturale e giuridico della legittima difesa? Follia collettiva? Assenza di codici etici? Intossicazione da droga? Nevrosi dell’anonimato? Cuori rognosi? Fermiamoci. Sarebbero diagnosi generiche, che mai raggiungerebbero la spavalderia dei vili, costruita sulle squame dei nuovi serpenti. Arrivano a frotte e subito le citate barbe finte che soloneggiano sull’assenza di lavoro, che, se presente, imporrebbe nuovi percorsi. Lasciateli stare; è solo articolazione di mandibole, sport da decerebrati. Un fondo di verità c’è. Però con opportuni accorgimenti. “Il lavoro redime” (come alcune canaglie scissero sul cancello di un campo di stermino)? Si ponga mano alla modifica legislativa degli articoli 108 (“tendenza a delinquere”) e 203 (“pericolosità sociale”) del codice penale. Non per farli ingrassare in un carcere minorile, ma per provare il lavoro obbligatorio e il rimorso sconosciuto. La ricetta possibile resta ancora la stessa: lo sciroppo della nonna. (O delle “vecchie zie” per compiacere Longanesi). Tornare alle tabelline: onore, decoro, meriti e morale, sfinendosi nella fatica sconosciuta. Termini ammuffiti? Allora, tenetevi la rogna, disse il medico al malato che buttava le medicine nel cesso (con le scuse per la cruda evocazione del termine dell’innocente sanitario…).

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Il paraninfo, successo per l’interpretazione di Enrico Guarneri d i L e lla Ba t t ia t o Il paraninfo, commedia comica dialettale di Luigi Capuana, una novella che compare per la prima volta nel 1903 sul Fanfulla della domenica, rivista letteraria romana di grande spessore culturale, con articoli di Verga, D’Annunzio e De Roberto. Il debutto dell’omonima trasposizione teatrale risale al 1914, presso il teatro Mastrojeni di Messina e oggi proposto al pubblico con grande successo al teatro ABC di Catania. In scena il cast di attori ha divertito il pubblico raccontando la professione di don Pasquale Minnedda, paraninfo interpretato brillantemente da Enrico Guarneri, , protagonista assoluto in un ruolo costruito sulla sua comicità dal regista Antonello Capodici, autore di riuscite macchinazioni teatrali. La storia nota al grande pubblico, però è stata adattata al cast di attori per servire al pubblico un’edizione nuova e brillante. La storia: Pasquale Minnedda, paraninfo per vocazione, è alle prese con l’intreccio di un matrimonio, quello delle sorelle Matamè con il professore Barresi e il tenete Rossi. Non è facile trovare un marito alle due zitelle, non tanto per la bruttezza, cosa superabile dice Pasquale, per il solido patrimonio quanto invece per il grande difetto che affligge e condiziona la vita delle due sorelle, per via del cattivo odore che provocano al solo parlare, le ninfe in questione sono rappresentate da Rossana Bonafede e Federica Bisegna. Una farsa con tante gaffe, che ha del profondo nella misura in cui viene letta in una chiave metaforica che ne fa ritratto divertito ma nello stesso

Da sinistra: Enrico Guarneri, un momento della rappresentazione e a destra l’attore con Antonello Capodici tempo critico della società siciliana del tempo in cui è stata stilata. Da sottolineare l’esilarante e giocosa scena dell’ipotesi del duello e Guarneri col suo piglio di presenza scenica recita “Sugnu siccu ne’ robi … ‘stu duellu non si po’ fari …e poi picciotti vogliamo stare ch’i pedi in terra …si sa dove si nasce e non si sa dove si muore”. “Don Pasquale Minnedda, innamoratissimo della moglie e altrettanto amato, pensa che tutta la popolazione debba godere di questo piacere – spiega Enrico Guarneri – e si adopera affinché ogni donna trovi un marito e viceversa. Per lui è una missione che però rischia di diventare disperata quando crede che il suo fiore all’occhiello sarà maritare due “mostri”, le orribili e taccagne sorelle Matamè”. Tutti i matrimoni che ha combinato gli hanno procurato guai, “perché quando ci sono le spine la gratitudine si tramuta in accuse e lamentele”, ma non sa a cosa sta andando incontro, le situazioni lo travolgono e lo metteranno in un mare di guai, dagli effetti diver-

tenti e riusciti. Seguirà poi un bellissimo video, dove si vede già morto e quasi sdoppiandosi rispecchia la sua vita nei vari percorsi e pensa romantico “Rosa è finita, quanti momenti felici …, guarda quant’è bella la nostra Catania “. E la moglie interpretata in maniera elegante e raffinata da Ileana Rigano già dice “Non c’è cchiù mio marito” … colpo di scena finale ritornano le luci e annunciano l’ingresso del tenente e del professore, in cui si risolve tutto in maniera scanzonata. Un puzzle che si ricompone con armonia paradossistica attraverso la scena finale quando il matrimonio si combina e ognuno ritorna al proprio posto e Don Pasquale riesce a unirli proprio come lui desiderava. Un fil rouge comunicativo unisce la brillante compagnia di attori, con un divertente sguardo sui sentimenti umani, dove trionfa uno spaccato della società provinciale, riscuotendo lunghi e continui applausi da parte del pubblico, con risate assicurate. Ma un personaggio come don

Pasquale si può incontrare? “La storia è immersa in una scenografia fatta di luce per renderla senza tempo – spiega il regista – lasciando intatti i riferimenti linguistici, storici, culturali ma astraendoli da una visione naturalistica. La luce rappresenta una sorta di non luogo ma con molti simboli della sicilianità. Il pubblico di oggi è più abituato ad avere a che fare con l’immagine rispetto a un teatro di 100 anni fa, costruito soprattutto sulla parola. Don Pasquale è un gaffeur di professione, crea pasticci di dimensioni colossali. L’occasione per costruire tante gag su Guarneri, con un tipo di comicità che dalle comiche in bianco e nero arriva sino a Jim Carrey. Enrico ha la sapienza dell’attore del reper-

torio di tradizione ma è un uomo del nostro tempo e gestisce il corpo in modo non naturalistico, ma con un fisico buffo, ingombrante, quasi da clown. Un teatro pop che è un po’ lo slogan della nostra stagione all’ABC – conclude il regista – ovvero pop come linguaggio e scelta di campo; popolare, divertente, brillante, multimediale, ibridato da altri linguaggi, pittorici o musicali. Un teatro che può essere visto, capito e amato dal pubblico”. Con la stessa compagnia Capodici sarà dal 16 dicembre alla Sala Umberto di Roma con Gatta ci cova, poi sarà al Teatro Al Massimo con L’uomo, la bestia, la virtù sempre con Guarneri, infine preparerà un’edizione de Il Magnifico cornuto con Corrado Tedeschi.

Il Paraninfo di Luigi Capuana con Enrico Guarneri, Ileana Rigano, Rossana Bonafede, Federica Bisegna, Rosario Marco Amato, Vincenzo Volo, Filippo Brazzaventre, Pietro Barbaro, Nadia De Luca, Ciccio Abela, Amalia Contarini Regia Antonello Capodici; scene Laboratorio Teatrale ABC; costumi Riccardo Cappello; videomakers Rosario Marco Amato, Pippo Reina; light designer Andrea Chiavaro; sound designer Santo Calvagna

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Capodanno, Veronesi e l’orchestra del Bellini d i Al d o Ma t t ina E’ indubbio, anche a Catania il pubblico di appassionati (e non) attende ogni anno il Concerto di Capodanno. E’ una tradizione irrinunciabile; è bella. Così è stato anche quest’anno, in un clima di festa e con tanto di addobbo: una fila di sterlizie ed un grande albero di Natale sullo sfondo (gentile dono di Banca Generali al Teatro Massimo Bellini in occasione del recital “Il Natale al Bellini” del 23 dicembre). Sul podio Alberto Veronesi ha fatto il suo ritorno al Bellini scegliendo un programma che cercava di mettere d’accordo tutti i gusti, mescolando la tipica tradizione viennese dei valzer di Strauss con il sinfonismo del melodramma italiano. Ecco allora una prima parte dominata dalle note di Bellini e Rossini, rispettivamente le Sinfonie di Norma e Guglielmo Tell, eseguite con particolare impeto; Rossini con ritmo addirittura forsennato; poi si è passato ai valzer e alle polke straussiane con i titoli più popolari: La Sinfonia dal Pipistrello, i valzer di Primavera, dell’Imperatore e Rose del sud, le polke Annen e Sotto tuoni e fulmini. Titoli, beninteso, che nessuno si era preso la briga di preannunciare mancando ancora il libretto di sala; ora se proprio le casse non lo consentono si potrebbe quanto meno ovviare perfino con un misero foglietto fotocopiato; anche se vengono eseguiti brani celeberrimi è giusto citare i titoli e soprat-

In alto il maestro Veronesi durante la direzione e nelle due foto a fianco due momenti del concerto tutto gli Autori; è una questione di rispetto, forse lo meritano; ma evidentemente ci si accontenta di una Cultura sempre più generica e qualunquista; basta sapere che è il Concerto di Capodanno diretto da Veronesi. Al pubblico pare che vada bene anchè così ed infatti il successo è stato assicurato grazie anche all’istrionismo del direttore che ha amplificato tutti gli effetti percussivi, incitando a voce l’orchestra per guidarne l’agogica (piano, più forte…). Sintomatica la breve ‘gag’ inscenata da Veronesi durante l’esecuzione dei previsti bis finali: dopo aver dato l’attacco del celeberrimo Pizzicato polka di Strauss, si è allontanato dal podio per leggere il giornale mentre l’orchestra continuava autonomamente a suonare sotto lo sguardo vigile del violino di spalla Vito

Imperato, a dimostrazione della bravura del complesso, in grado di suonare anche da solo! Noi restiamo dell’opinione che bisognerebbe decidere, una buona volta, quale repertorio utilizzare per il Concerto di Capodanno del Bellini; a Vienna da sempre si eseguono prevalentemente le musiche degli Strauss (e di Suppè, Offenbach…) e il pubblico di tutto il mondo se lo aspetta; a Venezia hanno scelto da un decennio il repertorio del melodramma italiano ed è già una consuetudine acquisita. A Catania nel corso degli anni si è cambiato continuamente realizzando un ibridismo non riconoscibile. La nostra orchestra è in grado di eseguire qualunque repertorio (meglio se con un grande direttore, naturalmente) ma non si è ancora individuata una scelta

che crei aspettativa e stabilizzi la tradizione. La strana commistione finale ha accostato ancora i ‘viennesi’ Bel Danubio blu e la Marcia di Radetzsky all’Inno di Mameli che ha chiuso il concerto. Veronesi ha precisato: “Noi consideriamo eroe nazionale Mameli e non Radetzsky”. Ma, anzichè

attuare questa bonaria ‘par condicio’ non sarebbe stato più semplice cassare una volta per tutte questa mostruosa Marcia di Radetzsky? Invece no, prima si battono le mani a tempo ad incitare inconsapevolmente l’eccidio dei patrioti italiani da parte del feroce feldmaresciallo, poi ci si mette in piedi cantando l’inno nazionale!

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Il libro della settimana Il Nord e il Sud dal 1860 ad oggi in un’opera pregevole dello storico Francesco Barbagallo “La questione italiana. Il Nord e il Sud dal 1860 ad oggi” di Francesco Barbagallo (Laterza, Roma-Bari 2013) è uno di quei libri, purtroppo rari, che aiutano davvero a capire chi siamo, da dove veniamo e dove possiamo andare. Al compimento dei 150 anni dall’unità nazionale italiana, serviva davvero, al di là della retorica, uno studio rigoroso sul piano storico in un momento in cui “da più versanti vengono messe in discussione sia la validità che la prospettiva del processo unitario”. L’autore di quest’opera è Francesco Barbagallo, ordinario di Storia contemporanea nell’Università di Napoli Federico II e dal 1983 direttore della rivista “Studi Storici”. Egli ha al suo attivo decine di pubblicazioni concentrate prevalentemente sulla storia dell’Italia contemporanea e del Mezzogiorno. La lettura del testo consente a chi vi si accosta di seguire l’itinerario della questione meridionale dall’ ”imprevista unità” del 1861 fino ai giorni nostri. Basta scorrere l’indice del volume per rendersi conto di come l’analisi di Barbagallo sia puntuale, nonostante i limiti posti dal numero delle pagine (240). I richiami bibliografici a piè di pagina concorrono, comunque, a fornire le informazioni più dettagliate sui singoli fatti o sugli studi più accreditati. Si parte, dunque, dall’Italia tra declino e risorgimento con una focalizzazione quanto mai opportuna sul Mezzogiorno borbonico nel dibattito storiografico e sull’importanza della politica per il risorgimento dell’Italia. La scoperta della vera realtà del Sud e della rivolta che in essa si manifestò nei confronti di un’annessione penalizzante consente all’autore di mettere in rilievo distanze e divario tra Nord e Sud e la nascita della questione meridionale come questione nazionale. Si concentra su Destra e Sinistra storica e la loro “visione”del Mezzogiorno, sui primi revisionismi, sui meridionalisti di fine Ottocento. Il quarto capitolo esamina il modello italiano di sviluppo e il Mezzogiorno all’inizio del XX secolo soffermandosi sull’industrializzazione al Nord e l’emigrazione al Sud, la legislazione speciale,

Silvio Berlusconi – L’ex Cavaliere deve aver preso in parola il mitico senatore Razzi, magistralmente imitato da Maurizio Crozza, “fatti furbo, fatti una legge tutta tua”. E così, come “i ladri di Pisa”, la notte di Natale, mentre la maggior parte degli italiani era in Chiesa a pregare il Bambinello, il gatto e la volpe concepivano una norma che Pittimbo faceva approvare al suo governo “privato”, che cancellava i reati di Berlusconi. Ma qualcuno, magari guardando Fitto Fitto…. tra le pieghe della legge, ha disvelato il trucchetto….. 5 – furbo, scoperto…..

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Luciana Litizzetto – Ecco un’altra “furbetta”, Luciana Litizzetto, la “feroce” (si fa per dire) fustigatrice dei cattivi costumi (altrui.,,,).“Lucianina”, come la chiama Fazio, è sempre contro i ricchi e le destre, ma possiede due garage e quattro appartamenti a Bosconero, nel Cavanese; un bell’alloggio in centro a Milano; dieci appartamenti, tre garage e due magazzini a Torino. Tra i suoi introiti, i 700 mila euro incassati per due festival di Sanremo, i diritti d’autore dei libri, gli spot con le Coop e Intesa Sanpaolo… 0 – moralista e insopportabile Giovanna Melandri – Lei è l’equivalente al femminile di “Uolter l’americano de’ noantri”. Ma a differenza di Veltroni l’eterea ex ministro Pds-Ds-Pd, che si autodefinisce “economista” (?), l’inglese lo conosce bene, essendo americana di nascita. Ebbene la “reginetta” del politically correct, la “liberal in gonnella”, è una della sinistra al caviale: Giovanna Melandri, in qualità di presidente della Fondazione Maxxi, a fine 2014 ha trovato sotto l’albero anche un bel premio: oltre allo stipendio di 91.500 euro lordi all’anno, anche un bonus sull’andamento dei ricavi fino a una somma di 24 mila euro o ancora di più se l’incremento di biglietti, sponsor e introiti ha superato il 30 per cento. 1 – ma al lavoro (di economista….) quando?

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Matteo Renzi – E a proposito di furbetti Renzi ne ha fatto un’altra delle sue: in vacanza con famiglia al seguito su aereo di Stato. Roba da satrapia orientale alla Kim Jong-un, il “leader supremo” dello “Stato-canaglia” della Corea del Nord, coperta con l’invocazione alla sicurezza imposta. 3 – furbetto, ma non troppo!

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Roberto Benigni – Da una candidata alla presidenza della Repubblica ad uno a premier. Ma come direte voi, non c’è “Pittimbo” Renzi? Si, ma la sinistra che conta, quella al cachemire, si prepara a sostenere per una scalata a Palazzo Chigi Roberto Benigni. Ha tutte le doti giuste: è un comico (come Grillo, Berlusconi e lo stesso Renzi….) e come i comunisti (ex) il cuore a sinistra e il portafoglio a destra, per declamare i 10 comandamenti su Rai 3 (manco a dirlo) si è beccato 4 milioni di euro!! 4 – comunista (ex), ricco e in carriera politica….vedrete!

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Elena Cattaneo – I nomi per la presidenza della Repubblica si sprecano e spesso vengono evocate candidature improbabili. Un nome però, non è ancora venuto fuori. Si tratta di Elena Cattaneo, docente universitaria di Neurologia, nominata da Giorgio Napolitano “Senatrice a vita”. E’ donna, ricercatrice affermata e, soprattutto, …..nel cuore di “Re Giorgio”……. 6 – candidata, dietro le quinte…..

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di S par tacus

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I nostri voti

la prospettiva meridionalistica di Nitti, la libertà al Nord e la repressione al Sud..La quinta parte prende in considerazione il periodo del primo conflitto mondiale, il pensiero di Guido Dorso e Luigi Sturzo, il dopoguerra il fascismo e la “ex questione meridionale”. Molto interessante il sesto capitolo che vede il Mezzogiorno al centro della rinascita nazionale nel secondo dopoguerra: “La centralità del Mezzogiorno nella storia d’Italia unita non è stata un’invenzione dei meridionalisti, tanto meno dei meridionali- afferma l’autore - . Non per caso, il Sud è stato al centro della politica nazionale per tutto il quindicennio del dopoguerra, che ha visto l’Italia emergere dalla disfatta nazionale e ascendere tra i paesi più sviluppati del mondo”. Accanto allo sviluppo c’è lo squilibrio e l’esodo negli anni Cinquanta. Si afferma poi la modernità dei consumi, ma la questione meridionale scompare dalle priorità nell’agenda dei governi. Infine Barbagallo arriva al passaggio del millennio, alla individuazione delle aree depresse, alla stagione dei sindaci e dello sviluppo locale, alla “nuova” programmazione mancata, alle mafie nell’Italia e nel mondo, per approdare al Mezzogiorno attuale con la triste storia dei Fas, alla FIAT che riduce il suo impegno in Italia, alla depressione meridionale, accompagnata dalla globalizzazione dell’economia e della finanza. Nelle conclusioni mette in evidenza che mentre il mondo si sta trasformando velocemente l’Italia romane statica; tuttavia egli individua delle occasioni possibili per il Mezzogiorno e per l’Italia intera: “Oggi il Mediterraneo non è più un mare di retorica, ma è di nuovo al centro dei traffici globali. Quando si tornerà in Italia a condizioni politiche e culturali in grado di progettare e realizzare nuove forme di sviluppo e di progresso civile, si potrà guardare al Mezzogiorno come possibile volano per una ripresa dell’intera società italiana”. La meditazione sui contenuti di questo libro può consentire di acquisire la consapevolezza necessaria per un impegno serio e non velleitario nel contesto attuale della società italiana.

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Giochi matematici a cura di M a ssi m i l i a n o C a l a n d r i n o

L’albero di Natale Quale numero a 6 cifre completa la figura dell’albero di Natale qui rappresentato?

Il mattone

1 1 1 2 1 1 2 1 1 11 1 2 2 1 ? ? ? ? ? ?

Un mattone pesa 1 chilogrammo, più mezzo mattone. Quanto pesa un mattone?

Acquisti

Marisa e Lucia sono andate a fare la spesa. Marisa ha acquistato 4 chili di farina e 3 chili di patate e ha pagato 6 euro. Lucia ha acquistato 1 chilo di farina e 4 chili di patate e ha pagato 7 euro. Quanto è costato un chilo di farina? Quanto è costato un chilo di patate? Soluzioni dei giochi pubblicati sullo scorso numero Somme: A = 6, B = 0, C = 0; E’ Natale! Luisa = 3, Mario = 12, Alessandro = 1, Mario = 12; Shopping: 1 cesta natalizia è costata 9 euro, una bottiglia di vino è costata 18 euro

Il film consigliato

Le soluzioni sul prossimo numero

La finestra sul mondo

American sniper REGIA: Clint Eastwood; con Bradley Cooper, Sienna Miller, Cory Hardrict, Jake McDorman, Navid Negahban, Luke Grimes, Kyle Gallner, Owain Yeoman, Brian Hallisay, Sam Jaeger, Eric Close, Bill Miller La prima domanda potrebbe essere la piu’ banale: come sarebbe stato American Sniper se fosse statoSteven Spielberg a dirigerlo, come inizialmente era stato deciso? Diverso, sicuramente, visto chel’abbandono era stato all’epoca motivato da una forte insoddisfazione per il budget messo a disposizione. E cosi’, niente soldato Ryan bis per la gioia del pubblico di fan di Clint Eastwood che, dopo un lustro non dei piu’ eccezionali della sua carriera (Invictus, Hereafter, J.Edgar, Jersey Boys), torna all’inizio millennio di Iwo Jima e Gran Torino e approfitta della storia vera del texano Chris Kyle, “il cecchino più pericoloso che ci sia mai stato in America” per aver ucciso 160 (forse 255) nemici in Iraq, come Navy Seal. Una “Leggenda” (questo un altro dei nomignoli guadagnati dal soldato) della quale sappiamo tutto, avendo occupato le pagine delle cronache e della sua biografia, ma che offre a Eastwood l’occasione per tornare a parlare di Patria, dovere, famiglia, valori e vita. La retorica a stellee-strisce e’ ovviamente dappertutto e il restringimento dell’ottica, evitando un excursus inutilmente storiografico sul contesto si dedica ad approfondire l’integralismo del protagonista. Dall’educazione familiare alla propaganda di Stato post 11 settembre, Kyle e’ davvero una ‘Leggenda’ - o una ‘Legenda’, utile a comprendere certi aspetti dello sforzo bellico statunitense e dei suoi ‘eroi’ - che il film costruisce rapidamente, contando su stereotipi ben noti e su scene apparentemente innecessarie; entrambi elementi che dettano il ritmo di una messa in scena non nuova al regista e offronodiversi punti di vista sull’integrita’ del nostro eroe. Portato sullo schermo da Bradley Cooper (protagonista e produttore del film, avendo acquistato i diritti della biografia del cecchino con la sua 22nd & Indiana Pictures), sin dalla prima scena lo scopriamo dubbioso, di fronte a difficili scelte morali, che gli eventi traumatici successivi giustificheranno (o ‘hanno giustificato’ per molto tempo). Eppure, lo sappiamo, affidandosi al Grande Vecchio di San Francisco e’raro trovarsi di fronte a personaggi o racconti univoci… Anche Kyle non fa eccezione. L’eroe della guerra al Terrore e’ un texano tutto d’un pezzo, istruito alla difesa dei piu’ deboli e cresciuto a ideologia e nazionalismo, ma sostenuto da convinzioni facili da mettere in crisi. Che questo avvenga o meno, nel film e nella realta’, si avverte forte l’ipotesi di Eastwood e la possibilita’ che la minima crepa nella ricerca di un senso ultimo e superiore possa distruggere tutto.

Piccoli gesti che fanno grandi di Danila Intelisano Uno dei ricordi più belli della nostra vita è il profumo del dolce della mamma, i proverbi della nonna e la mano forte e protettiva del nonno che ti accompagna a scuola. E a sera, il rumore della macchina di papà che rientra a casa e viene a baciarti mentre fai finta di dormire. Ricordi che ti emozionano e accompagnano la crescita e la fortificazione di un individuo, che ti colgono in lacrime e ti fanno sentire vivo nell’anima. Esistevano regole e ruoli e tutto procedeva come madre natura ci consigliava. Le famiglie erano un’istituzione determinante, formativa e responsabile delle sorti della società, in cui piccole anime diventavano grandi incubatrici di responsabilità, moralità, affettività, cultura, coraggio, tolleranza e rispetto. Un uomo chiamato Gesù è sceso in terra attraverso la via più normale, la famiglia, ad intendere l’essenzialità dell’unione, anche se nasci al freddo e al gelo di una stalla. Se i ricordi per i nostri figli saranno il cellulare, i computer, le madri imbellettate e i padri che sganciano i soldi, quale sarà la certezza del loro domani? Cosa li renderà uomini saldi e forti? Quale patrimonio trasmetteranno ai propri figli? I ragazzi di oggi hanno fame di famiglia, di riferimenti e di valori. Hanno bisogno di tradizioni, di dialogo e di certezze, mentre vivono una grande vuoto imposto da nuclei divisi, violenti, assenti e anarchici! La disfunzione inizia, talvolta, dal sogno spezzato tra un uomo e una donna che, durante il loro percorso insieme, approdano, infine, nell’isola dell’intolleranza, dell’estraneità e dell’egoismo, che sono il peggior nemico della serenità dei figli. Cosmo alla tua epoca i figli si baciavano di notte? Si, ma io ho aggiunto alla mia paternità il dialogo. Noi che crediamo nella vita, nella poesia, nel ricordo e nella fiaba. Noi che non vogliamo morire ma ricordare, che non vogliamo dividere ma unire. Noi che non siamo la massa ma la memoria storica del cuore, remiamo controcorrente e alziamo fieri il baluardo della sacralità della famiglia.

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