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gior ni di Cronaca, Politica, Spor t e Cultura

N. 21 anno X - 30 maggio 2015 - € 1,00 ISSN 1974-2932 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abb. Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, Dr/CBPA - Catania

Il malessere di Nino Milazzo di Nunzia Scalzo La settimana scorsa su queste colonne ci eravamo posti un quesito e avevamo prospettato due possibili soluzioni. Invece quelli dello Stabile di Catania sorprendendo tutti hanno trovato la terza via. Sintetizzo per comodità. Venedì 15 maggio, al teatro Verga di Catania si sarebbe dovuta tenere la presentazione del libro di Rosario Crocetta, presidente della Regione Sicilia, P come poesia e anche come presidente. Si sarebbe dovuta tenere perché in realtà non c’è stata. Ufficialmente è saltata per motivi di salute del presidente dello Stabile Nino Milazzo, ma secondo i bene informati l’incontro è saltato per motivi, presumibilmente, diplomatici. Non si capisce infatti cosa c’entri Milazzo con l’incontro previsto al Verga, visto che Crocetta doveva essere intervistato dal collega Salvo Fallica e non dal presidente. Ma tant’è. Presentazione cancellata e via andare. E si comprende anche perché: sarebbe stato troppo aggiungere alla figura barbina rimediata, anche la figuraccia e la perdita della faccia dei responsabili dell’ente tantopiù che pubblicamente, in numerose conferenze stampa, hanno individuato in Crocetta il responsabile e il carnefice della condizione economica in cui versa l’ente. I paradossi spiegano le cose. E’ noto. E continua a pag 8

Augusta

Catania

Il Consiglio comunale sciolto per mafia

I controlli dei Nas e gli abusivi felici

R. Tomarchio

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Servizi

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Maggio 2015 - Politica regionale

L’incredibile vicenda della Regione all’Expo: “ d i Maria de lo s Angeles Ga rcia Una spesa incredibile - “Abbiamo preventivato una spesa di 6 milioni novecentomila euro. Ma si tratta di fondi europei…” Linda Vancheri è stata sentita in audizione voluta dai cinque stelle in commissione attività produttive, all’assemblea regionale siciliana. L’assessora-funzionaria degli industriali siciliani, sembra non rendersi conto dell’enormità della cifra destinata dal suo assessorato alla partecipazione all’expo. Viene spontaneo chiedersi quante aziende avrebbe potuto concretamente aiutare la regione con sette milioni di euro? Che sono solo una parte dell’investimento complessivo voluto da Saro Crocetta. Ai sette milioni delle attività produttive si devono aggiungere i quattro milioni dell’agricoltura. E non è ancora finita. Il conto finale sarà possibile, forse, solo quando l’assessorato del personale conteggerà le spese necessarie alle missioni a Milano di uno squadrone di assessori, portaborse, portavoce, dirigenti e dipendenti regionali che da quasi un anno “tengono i contatti” con l’expo, e che, fino ad ottobre, bivaccheranno, gioco forza, a Milano. Si parla di dodici, forse tredici milioni di euro. Una cifra da capogiro. Sprecata, come si è visto, in iniziative spropositate, organizzate in maniera quanto meno discutibile. Non lo diciamo – solo – noi. Lo dicono, per fortuna, anche i deputati regionali pentastellati. E probabilmente lo pensa anche il presidente – piddino – della commissione attività produttive del parlamento siciliano, Bruno Marziano, che ha rinviato l’assessora agli esami di riparazione, a giugno in questo caso, per sapere dei risultati raggiunti. Non solo di quelli costosamente “attesi”. Giancarlo Cancellieri, leader siciliano dei cinquestelle, non ha dubbi: “soldi sprecati – ha detto - per occupare spazi assai simili agli antibagni degli autogrill.

I cinque stelle all’attacco dopo l’ispezione ai padiglioni siciliani a Milano - Il sindaco di Ragusa ritira l’adesione del comune e chiede a Crocetta la restituzione dei 7500 euro pagati dal comune: “diffusa l’immagine di una Sicilia perdente” Senza un vero progetto. Senza obiettivi chiari e certi”. Gli fa eco, anche per assonanza politica, il sindaco cinquestelle di Ragusa, che ha ritirato l’adesione del suo comune al Cluster del Mediterraneo. E che ha chiesto al presidente della Regione la restituzione delle somme già anticipate dall’amministrazione comunale per la prenotazione dello spazio. “Non c’è un progetto – afferma -. E da Milano è stata finora diffusa solo una immagine negativa della Sicilia”. Inutile e dannoso, quindi, associare a questa avventura l’immagine del Comune. Che dire? Il ragionamento non fa ua grinza. E da palazzo d’Orleans non s’è udita alcuna replica. Che il “cerchio magico” del governatore stia riscoprendo il gusto della realtà? Difficile pensarlo. Ancora più difficile scriverlo… L’emergenza… ritardata - Già perchè la settimana che ci stiamo lasciando alle spalle è stata caratterizzata da altri due episodi che vanno oltre il ridicolo. Con salti logici e atteggiamenti complessivamente difficili da valutare. Iniziamo dalla vicenda che ha radici più “antiche”: il cedimento del viadotto Himera. La scorsa settimana via abbiamo raccontato dell’assrdo ottimismo del governatore, che pensava alla dichiaraziuone dello stato di emergenza come “toccasana” per la vicenda del collasso del pilone che reggeva il viadotto,

spazzato “oltre” la sua sede da una frana “vecchia” di dodici anni. Ebbene, il governo nazionale si è fatto un po’ pregare, ma poi ha concesso la dichiarazione dello stato di emergenza. Ma l’assurdo sta proprio qui. Nella parola. Come puo’ – ilmpunemente – parlarsi di “emergenza”, in un provvedimento deciso quasi due mesi dopo i fatti? Di che emergenza si tratta, se il governo nazionale ha deciso di destinare 30 milioni a una “bretella” che dovrà essere progettata, appaltata e costruita in tempi che non sono compatibili con i “tre mesi” stimati dal ministro delle infrastrutture, Graziano Del Rio venuto in Sicilia – in aprile - a prenderci per i fondelli? Di che soddisfazione parla il sottosegretario alla pubblica istruzione, Davide Faraone? Ma da lui possiamo certamente aspettarci valutazioni “ritardate”: ha dei tempi della politica, la stessa concezione dei tempi della sua laurea… lenti, moolto lenti. Lentissimi. Evasori e gabellieri - L’altra vicenda in cui il senso del ridicolo è andato “sotto” il tappeto, è la vicenda della grottesca conferenza stampa di Saro Crocetta e Antonio Fiumefreddo, sulla questione dell’evasione fiscale. La Sicilia non ha – putroppo per il nostro governatore/sceriffo – alcuna funzione investigativa. Ma a lui la voglia di fare lo “sbirro” si legge chiara in faccia.

Rosario Crocetta E ad ogni occasione utile denuncia, querela, segnala… Spesso a “vuoto”, è vero. Ma vuoi mettere la soddisfazione? L’idea – galeotta – di sputtanare qualcuno gratis, anche in questa occasione ha certamente ha attraversato i grandi saloni di palazzo d’orleans. Tant’è che in piena conferenza stampa – manco a dirla convocata in maniera ufficiale – Saro non è riuscito a rimanere “nei binari” della riservatezza, a cui Fiumefreddo – che è avvocato – voleva formalmente attenersi. Saro ha a lungo ammmiccato, ha fatto allusioni a “politici”, poi addirittura a “partiti”. Per finire snocciolando, nomi, cognomi e sigle. Alla faccia della riservatezza. E della logica! Scatenando le furibonde reazioni di Rudy Maira, il “politico”. E dell’ex ministro Giampiero D’Alia, segretario regionale dell’Udc, il partito indicato come “evasore”. L’Udc, come spiegato subito dopo, con imbarazzatissimi comunicati stampa, non c’entra nulla. C’entrerebbe – ma è veramente tutto da chiarire – l’ex deputato e capogruppo dell’Udc, Rudy Maira. Che ha contestato all’agenzia delle entrate alcune crtelle esattoriali che gli sarebbero state notificate. Maira spiega che, nel suo caso, la regione sarebbe stata incaricata della riscossione di somme legate a un suo contenzioso privato, che lo vede opposto all’amministrazione fiscale, che gli avrebbe notificato una “cartella pazza”.

Nulla di più. Vicenda vecchia di anni, per cui è in corso un lungo e tortuoso processo dinanzi all’amministrazione fiscale. Pare che la Regione, perchè questa è la sua funzione, sia stata comunque incaricata di reiterare la notifica. Altro che evasione fiscale. E altro che indagini e denuncie. E Maira sventola le denuncie contro tutto e tutti già presentate. “Solo da Gela – dice - mi aspetto rimborsi a sei zeri. Poi ci saranno – afferma – i danni che pagherà il governatore, per le reiterate calunnie che Crocetta ha lanciato contro i suoi partner di governo… Tutte da verificare – afferma il politico nisseno – le competenze della Regione nell’accertamento della verità e – soprattutto - nella divulgazione di pubbliche accuse che rientrano nella privatissima spera di riservatezza che dovrebbere competere a tutti i politici. L’abuso d’ufficio - A occhio e croce, Saro Crocetta e Antonio Fiumefreddo, “esattori” per conto proprio – e quindi portatori di un intresse pubblico limitato, si sarebbero perlomeno vestiti di panni investigativi. Esulando dal loro ruolo e violando la privacy delle persone e delle organizzazioni impropriamente chiamate in causa. Abuso d’ufficio si chiama il reato che – verificate tutte le circostanze – i due avrebbero commesso. Lo stesso ipotizzato dal potentissimo sindacato autonomo Cobas-Codir, nell’esposto firmato dall’organizzazione e indirizzato alla Corte dei Conti e alla Procura della Repubblica. Il sindacato autonomo ritiene che Crocetta non avesse il potere di firmare, con il governo nazionale, un “patto” che priva la regione dei proventi dei ricorsi presentati contro le delibere del Consiglio dei ministri e contro le leggi approvate dal Parlamento, adottate in contrasto con il dettato dello Statuto autonomistico. La sola legge di stabilità priva la regione - scrive il sindacato – degli oltre cinque miliardi di Accise che le aziende petrolife-

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Maggio 2015 - Politica regionale

: “Sette milioni per un antibagno di autogrill”

re avrebbero dovuto pagare alla Sicilia e i siciliani fin qui, anno per anno, cash. E che i siciliani non riceveranno, nonostante una chiarissima pronuncia della Corte Costituzionale, perchè Crocetta vi ha rinunciato in cambio – forse – di 500 milioni di euro, necessari a “pareggiare” il bilancio 2014. Crocetta, dice il Codir, non ne aveva il potere. E chiede alla

Corte dei Conti di recuperare i denari. Alla Procura della repubblica, di sanzionare il comportamento. Le assunzioni “non dovute” E sarebbe abuso d’ufficio anche l’assunzione del personale di sicilia e-servizi, deciso da crocetta e dalla sua giunta, in uno con l’amministratore della società “in house” che dovrebbe curare l’informatizzazione degli uffici

regionali. Ricordate? Saro ne aveva fatto una questione di principio. No alle assunzioni. Liquidazion della soietà che i suoi predecessori – disse – avevano trasormato in uncarrozzone clientelare. Ma tra il dire e i fare c’è di mezzo… e Saro, diventato amico di Antonio Ingroia, che era stato incaricato – appunto – di liquidare la società, cambia idea. Radical-

mente. Trasforma Ingroia in amministratore delegato. Rifinanzia la società che voleva chiudere. Aumenta lo stipendio di Ingroia. E dà, attraverso la giunta, il “via libera” all’assunzione dei dipendenti “regionali”. La pratica era da tempo “giacente” in archivio. Poi l’ha voluta gestire “personalmente” il governatore. E’ tornata in giunta. E le assunzioni “non dovute” del

personale, le avrebbe avallate la giunta. Ecco perchè la. Tutti gli altri Procura indaga. “Sentendo” sia Igroia che Crocetta – a metà giugno - e poi tutti gli ex assessori, alla ricerca di un colpevole… di abuso d’ufficio. Crocetta e Ingroia saranno interrogati, in qualità di “indagati” del reato di abuso d’ufficio. Procedono Dino Petralia e Maria Teresa Maligno.

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Maggio 2015 - Jonica

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Maggio 2015 - Giudiziaria

Appello, seconda udienza per l’ex presidente della Regione Siciliana di Marco Benanti

Processo d’appello a raffaele lombardo: relazione introduttiva, in un’aula vuota. E in anteprima ecco le richieste della difesa dell’ex governatore Relazione introduttiva del giudice Eliana Zumbo (a latere con la collega Anna Maria Gloria Muscarella, nel collegio della terza sezione penale presieduto da Tiziana Carrubba, Pg Gaetano Siscaro) al processo d’appello contro l’ex presidente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo, condannato in primo grado, con il rito abbreviato, il 19 febbraio 2014, a sei anni e otto mesi per concorso esterno in associazione mafiosa dal Gup del Tribunale di Catania Marina Rizza. La seconda udienza del giudizio di secondo grado contro l’ex governatore di Sicilia è servita per ripercorrere, in circa un’ora e mezza, i motivi della condanna e dell’appello presentato dalla Difesa. Aula vuota: il presidente ha fatto allontanare i giornalisti, in

Raffaele Lombardo linea con quanto previsto dal codice, essendo il processo con il rito abbreviato. L’imputato Lombardo non si è opposto, sebbene avesse dichiarato, dopo la sentenza di primo grado, in linea con quanto consente la legge, che avrebbe consentito l’ingresso della stampa in aula. La Difesa era presente con il professore Guido Ziccone e

l’avvocato Alessandro Benedetti: prossima udienza il 16 giugno, alle ore 12, quando, con ogni probabilità, sarà in aula il prof. Franco Coppi, che difenderà Lombardo come annunciato dall’ex governatore nell’udienza del 27 marzo scorso. All’udienza di giugno, ci sarà spazio alle richieste della Difesa. Possiamo anticipare che la Dife-

sa ha chiesto, oltre all’acquisizione di alcuni documenti, l’escussione dei seguenti testi: tutti i soggetti intervenuti alla riunione tenutasi in data 28.07.2008 presso gli uffici del quotidiano “La Sicilia” circa i loro rapporti con l’imputato e sugli argomenti trattati nel suddetto incontro (si tratta della riunione nello studio dell’editore

Mario Ciancio avente ad oggetto una questione tecnico-burocratica riguardante una variante in tema di un centro commerciale nel quartiere Pigno di Catania); l’onorevole Di Guardo Antonino relativamente all’approvazione della variante al prg del Comune di Misterbianco nel caso della vicenda de La Tenutella e più in particolare dei rapporti avuti all’epoca con l’imputato e degli eventuali accordi con lui presi sui lavori del suddetto centro commerciale; il senatore Sudano Domenico relativamente all’approvazione della variante al prg da parte del Comune di Catania nella vicenda del centro commerciale Porte di Catania; l’architetto Sardella relativamente all’approvazione della variante del progetto esecutivo da parte del Comune di Catania del centro commerciale Porte di Catania; l’ingegnere Salvatore D’Urso relativamente all’approvazione dell’iter amministrativo del parcheggio Raffaello Sanzio e più in particolare dei rapporti con l’imputato e dell’eventuali pressioni o suggerimenti da egli ricevuti.

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Maggio 2015 - Opinione

L’Università di Catania e il più antico mestiere del mondo di Claudio Mec Melchiorre Tra i tanti record della ex Milano del Sud, ex capitale della Sicilia Orientale, della agognata capitale del Mediterraneo, c’è quello di avere una delle più antiche università d’Europa, e quindi del Mondo. Avere questo record viene naturale alla Catania dei record e del passato nobilissimo ma sempre sfortunato, per molti aspetti. Al livello regionale, è spesso stata superata dalle altri capitali regionali. Palermo, soprattutto. Al livello storico, è sempre stata dipendente e soggetta da altre vere capitali del Mediterraneo, Barcellona, Siracusa, Tunisi, Roma. E’ vero. Catania è città orgogliosa e capace, nonostante tutto, di ritagliarsi uno spazio ampio di autonomia e di ricchezza. Negli ultimi due decenni questa capacità è andata perduta. Con lei, il sapere accademico. La classifica impietosa della qualità degli atenei d’Europa non classifica Catania. Al livello nazionale, siamo agli ultimi posti. Le facoltà scientifiche sono senza laboratori, dopo lo scandalo mostruoso e avvilente al quale catanesi e siciliani non hanno re-

agito, quello delle morti dei nostri giovanissimi ricercatori. Le facoltà umanistiche sono discrete, ma hanno perso lo smalto e il fasto del passato. Quelle di toga e socio economiche si accontentano della loro perifericità. I sogni vagheggiati di campus ed eccellenze nella partnership pubblico-privata, languono, se non muoiono, sotto il peso dei fallimenti delle imprese, che ormai si riducono a poche attività sopravvissute. In un clima sociale ormai infetto dalla depressione e dallo scoraggiamento, dalla mancanza di ambizione che fa accettare tanto la povertà, quanto la decadenza urbanistica, morale, personale dei catanesi. La mancanza di reazione da parte dei catanesi è la migliore dimostrazione di questo nadir delle nostre capacità di immaginazione sul futuro. Le cattive notizie ci scivolano addosso. I protagonisti degli ultimi gravi scandali della città, ancorché non processati, vivono piuttosto serenamente in città, nessuna riprovazione colpisce chi si è macchiato di reati più o meno gravi. Riprovazione che colpisce invece chi ha il grave demerito

di essere uscito dalla cerchia del privilegio. E’ così che siamo caduti nella nostra entropia. Ora, certo, dovremmo vedere il futuro in modo positivo. Ma una cosa è la positività, un’altra è l’ottusa menzogna a sé stessi. Per pensare ad un luminoso domani, abbiamo bisogno di avere obiettivi, valori, conoscenze. Abbiamo bisogno di una Università viva e solida nella sua elaborazione culturale. Al contrario, Catania vive anche l’Università non come un investimento infrastrutturale, ma come la putìa dove collocare i figli prediletti. Che non sono figli di tutti, ma solo dei più fortunati rampolli cittadini e regionali. Non tutte le nuove leve dell’insegnamento obbediscono a questa triste regola dell’ereditarietà scientifica, ma sono pur sempre molti, se non troppi a diventare punte di lancia del pensiero per sola appartenenza ad una cerchia. Ne risente l’intero sistema educativo che produce ripetizione di lallazioni d’altrove, non accademia nel senso migliore. Il segnale dell’involuzione lo abbiamo avuto più volte. Tempo fa, con quel professore di econo-

mia con nuances da Sorbona che raccontava ancora nel 2000 che la scelta di un’economia a direzione pubblica e specificamente regionale, fosse la migliore. Seguita dalla teoria seminuova che a vincere non è la ricchezza materialmente prodotta, con il terrorizzante acronimo PIL, bensì un indice di felicità che si accoppia malamente con l’ambizione di crescita del benessere, ma con la più consolante scusa per non fare assolutamente nulla, rispetto all’impasse. Crogiolarsi nella decadenza ed esserne felici è il migliore dei modi per votarsi alla povertà e degna conclusione di un ciclo storico, brevissimo, di relativo benessere. Con un Magnifico Rettore che minimizza i risultati delle classifiche degli atenei migliori, un Sindaco che nelle sue uscite pubbliche continua a declamare una città più bella e più ricca che prìa, un Governatore regionale che continua a blaterare di una lotta alla mafia strenua e che ha tra i suoi ispiratori personaggi accusati da più parti di essere organici a pezzi di mafia, con i fondi comunitari che restano fermi nei conti correnti regionali, in attesa di essere re-

stituiti, il sistema Sicilia affonda con la sua cultura fatta di sentito dire, cacofonie e citazioni dotte di chi, viaggiando nelle proprie pozzanghere, vuole far sapere che sa aspirare perfettamente le h di House of Cards. Non studiamo più, infatti, Scienza della Politica o Machiavelli, ma seguiamo le orme di un altro peso massimo della cultura scientifica italiana, quel Matteo Renzi che gioca con le sciabole nello studio di Palazzo Chigi e afferma che il suo partito dovrebbe imparare la politica guardando un serial televisivo. La Sicilia e Catania stanno seguendo il consiglio. Sarà che a gestire la Scuola e l’Università d’Italia c’è, come sottosegretario, un proconsole siciliano, perito chimico, punta di lancia del renzismo appannato, Davide Faraone. Sarà per questo che nella scuola e nell’Università, anziché combattere l’analfabetismo di ritorno, si creano piramidi sociali e di potere e si favorisce la prostituzione intellettuale. A volte, quella materiale di amanti, mariti, mogli e parenti. Dovrebbero tutti essere migliori, per l’arte e la cultura di cui abbiamo bisogno. Ma noi siciliani, l’ambizione di essere migliori, l’abbiamo?

Teatro Metropolitan CATANIA

2014-2015 Alessandro e Gilberto Idonea

“LIOLÀ”

di Luigi Pirandello

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“L’ALTALENA” di Nino Martoglio

Alessandro Idonea e Plinio Milazzo

“MIA NO TUA NEMMENO” di Vincenzo Mulè

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“NON SI SA COME” di Luigi Pirandello

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Teatro Metropolitan Catania

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Maggio 2015 - Gela

Si è insediato il nuovo presidente del Tribunale d i L il iana Bla nco Il Tribunale di Gela ha un nuovo presidente; in verità ce l’ha dall’8 aprile quando è stato assegnato dal ministero di Grazia e Giustizia, ma la cerimonia ufficiale dell’insediamento è avvenuta nell’aula ‘Angelo Moscato’ alla presenza del gota della magistratura siciliana e del presidente della Regione Crocetta. A dare il via al protocollo è stata il giudice Veronica Vaccaro che ha delineato brevemente la figura del magistrato Paolo Fiore, milanese ‘sicilianizzato’ da 20 anni nell’isola, che ha speso una parte consistente della sua vita professionale nella provincia di Caltanissetta e a Gela dove da cinque anni ha ricoperto la carica di presidente della sezione penale e da oggi è presidente del Tribunale. Il primo a salutare l’insediamento del presidente è stato il Governatore della Sicilia, che, in prima battuta ha voluto ricordare l’episodio intimidatorio che ha colpito il giudice Gabriele Paci e la sua famiglia. Poi ha parlato della legalità, di cui il presidio giudiziario di Gela,

Paolo fiore e a destra un momento dell’insediamento è massima espressione. “Fra i 650 collaboratori di giustizia di cui ci si può avvalere – ha detto Crocetta – 150 sono a Gela e non si tratta di pentiti ma di persone che hanno denunciato dando una mano agli inquirenti per stanare il malaffare. E non è un caso che proprio in questi giorni sono stati individuati 800 evasori del fisco per un milione di euro. Non stiamo parlando di artigiani di piccolo taglio ma grandi evasori che depauperano l’erario e questa è una vittoria

non indifferente”. Volto sereno, figura rassicurante ma nello stesso tempo determinata, il presidente Fiore ha accolto l’investitura con un filo di emozione. Con note di ilarità che hanno spezzato piacevolmente il momento solenne, il presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale ha salutato l’insediamento del presidente Fiore considerando la sua nomina la giusta decisione che continuerà l’opera

di ammodernamento iniziata dal presidente uscente Leone e sperando che i tribunali medio piccoli non subiscano tagli visto che rappresentano, insieme alle forze dell’ordine il presidio di legalità, fondamentale per il territorio. E all’Ars in questi giorni è stato presentato un documento finalizzato a scongiurare questo rischio che contiene anche le soluzioni per superare l’empasse economica che stiamo vivendo”. “Il Presidente Fiore – ha detto

il procuratore Lotti – è il naturale prosieguo per l’evoluzione di questo Tribunale che abbiamo visto nascere e maturare a fronte di una realtà complessa qual è quella di Gela, sede di una realtà industriale oggi in fase di trasformazione, con i procedimenti a essa connessi di natura ambientale. Gela è una città in continua evoluzione: abbiamo aperto la nostra attività al territorio e il Tribunale rappresenta la tutela del cittadino”. Poi hanno preso la parola il presidente dell’Ordine degli avvocati Ignazio Emmolo, il procuratore della Corte d’Appello Asaro che lo ha inquadrato fra i giudici ragazzini degli anni 90 e come simbolo di autonomia. Il presidente Fiore, dopo avere ringraziato tutti quanti hanno partecipato alla sua gioia, ha presentato i suoi obiettivi: “tagliare i tempi sulla durata dei contenziosi – ha detto - eliminare i procedimenti pregressi, e dare continuità al processo telematico avviato dal mio predecessore, e poi resistere di fronte alla carenza di personale che rappresenta il problema endemico dei tribunali medio – piccoli.

L’ennesiomo schiaffo alla cultuta gelese Mancano poche decine di euro per pagare i sorveglianti dei musei e partono le proteste e le reazioni. In tema di economia, una mazzata non indifferente per Gela. Ancora una volta Gela e il suo patrimonio storico archeologico ricevono un ennesimo schiaffo da parte delle istituzioni che dovrebbero garantire la fruizione e la valorizzazione dei Beni Culturali, l’ennesima scelta calata su una città che soffre i numeri impietosi di un turismo che cerca di decollare e che sta faticosamente in questi anni trovando la strada giusta nonostante le difficoltà oggettive. A prendere la parola l’associazione Triskelion che si occupa di cultura. “Gela, una città sottovalutata dal governo siciliano per la sua importanza storica e per le meraviglie archeologiche e pae-

saggistiche – scrive il presidente Giuseppe La Spina - con la giusta promozione da parte dell’assessorato regionale, avrebbero potuto inserirsi tra le maggiori città turistiche in Sicilia. Ebbene, dopo la chiusura domenicale forzata delle fortificazioni greche di Caposprano, arriva in settimana, impietosa e ufficiale, la notizia che anche il Museo resterà chiuso la domenica. Attraverso una nota pragmatica e perentoria indirizzata al museo archeologico di Gela si comunica infatti che a causa dei tagli al settore dei BB.CC. (nel caso di Gela parliamo di poche decine di euro) la struttura dovrà chiudere i cancelli, una scelta assurda considerato che il flusso maggiore di visitatori, nel caso di Gela, si ha proprio nel fine settimana e in particolar modo la domeni-

ca. Protestiamo dice il Gruppo archeologico d’Italia per queste nuove direttive, ritenendole a dir poco assurde e offensive, soprattutto in una città che cerca il riscatto attraverso nuove forme di “industria” come ad esempio quella del turismo. Ci sconvolge sapere che molti gruppi che avevano chiesto alla nostra associazione informazioni per visitare Gela, dovranno da adesso cambiare destinazione, non potendo visitare quello che è il simbolo della cultura e della storia di Gela. Chiediamo alle istituzioni locali di fare propria questa protesta, di far sentire ancora più forte il proprio amore per questa città di mare, per la storia che essa racchiude in ogni suo monumento e pietra, consapevoli del peso e della responsabilità che essi come rappresentati di

un popolo hanno nei confronti dei cittadini. Ci sconvolge sapere che le decisioni, vengano da un governo regionale che ha a capo un gelese che dovrebbe battersi e garantire che tutto questo non accada. La cultura non va tagliata, i musei non vanno ridimensionati, le biblioteche non vanno chiuse, un popolo senza memoria è un popolo ignorante che non ha futuro”. Il Museo Archeologico Regionale di Gela e l’Associazione Archeoclub d’Italia hanno preso un’iniziativa l’iniziativa “R - estate al Museo”. L’evento, che verrà presentato si svolgerà al Museo a partire dalla domenica del 21 giugno e terminerà la domenica 12 luglio. L’associazione Archeoclub d’Italia ha dato la disponibilità a collaborare nelle

giornate di domenica all’apertura del museo e la sezione giovani proporrà al pubblico delle attività di divulgazione legate alla fondazione della città e alla nave. Considerate le problematiche legate all’apertura del museo nelle giornate festive, si coglie l’occasione per invitare tutte le associazioni del territorio a voler collaborare, come l’archeoclub, dando disponibilità gratuita, per poter garantire l’apertura al pubblico del museo per le domeniche che seguiranno nel corso della stagione estiva. L’associazione culturale Archeooclub, l’associazione Holiday web srl, animerà il tratto terminale del Corso Vittorio Emanuele prossimo al Museo con attività artistiche e culturali per tutte le domeniche del periodo estivo. L.B.

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Maggio 2015 - Jonica

Giarre, lotta alla mafia per lo sviluppo economico di Augusto Bianchi

“Lotta alla mafia e alla criminalità, criminalità, lo sviluppo dell’area jonico etnea passa per la legalità”, questo il tema di un incontro svoltosi lunedì scorso nel Salone degli Specchi del Comune di Giarre su impulso del Laboratorio Jonico Etneo che ha come Presidente l’ex ministro giarrese Salvo Andò. La discussione si è svolta secondo un approccio plurale tra esponenti politici locali, per LabDem Salvo Vitale, lo stesso Salvo Andò, il segretario cittadino del PD Dario Li Mura, il giornalista Mario Previtera e i Deputati Regionali Ferrnadelli e Raia. Nelle premesse il segretario del PD ha messo in risalto l’esigenza di politiche locali che sortiscano effetti per la riduzione della dispersione scolastica, un maggiore sforzo verso percorsi di formazione e lavoro ,una presenza maggiore

dello stato sociale in quelle aree dove si acuisce la distanza sociale al fine di fornire un’alternativa dello stato di diritto, fondata su educazione, lavoro e wellfare a percorsi criminali che costituisco spesso l’ultima spiaggia in un contesto di grave crisi economica. Andò e Vitale hanno messo in risalto la necessità che le istituzioni e le burocrazie locali vengano sottratte al rischio collusione e Andò citando Croce ha sostenuto che è la politica, la cui moralità è la sua capacità, a dover cambiare, specie laddove come a

Un momento dell’incontro

Mascali si è dimostrato che la collusione è determinata dal riproporsi di personaggi che già in passato erano stati il tramite tra istituzioni e mondo criminale. Impietosa è stata la relazione del giornalista Mario Privitera sui fatti di mafia e criminalità nell’area jonico-

etnea egemonizzata da una famiglia mafiosa, egli ha descritto l’intensa attività di traffico e di produzione di sostanze stupefacenti, gli attentati, l’infiltrazione nel ciclo dei rifiuti con referenti dei clan in servizio in ditte connesse a tale attività, facendo emergere come le ecomafie non sono estranee a questa area. I deputati regionali Raia e Ferrandelli hanno poi pronunciato un chiaro mea culpa per la mancata approvazione di una legge sui rifiuti e hanno ammesso che in un contesto difficilissimo per la finanza degli enti locali siano

divenute quasi impossibili le politiche di prevenzione. Molto duro è stato Ferrandelli verso l’immobilismo del governo Crocetta e della maggioranza all’Ars, tanto da dichiarare di aver presentato una lettera di dimissioni al Segretario Regionale del PD chiedendo che anche gli altri deputati del PD facessero altrettanto. Dai rifiuti alla formazione la Regione Siciliana è ferma al palo, prigioniera delle lobby e dall’attaccamento alla poltrona e resta difficile la battaglia contro la criminalità e la miseria condotta da coraggiosi amministratori e dalle associazioni lasciate sole. La proposta seria che è venuta fuori dall’incontro è quella della individuazioni di politiche e obiettivi comuni tra i paesi dell’area jonico-etnea così da trovare assieme risorse aggiuntive. Dalla sinergia tra i Comuni passa l’ultima frontiera della legalità.

Mascali, Uil-Fpl: “Fare il possibile per salvare il centro sociale” di Giuseppe Leonardi

Qualche giorno fa le rappresentanze Rsu e Rsa Cisl del Comune di Mascali hanno reso delle dichiarazioni mezzo stampa sulle condizioni, a loro dire precarie, dei luoghi di lavoro frequentati dai dipendenti comunali. Subito dopo la Uil-Fpl ha tenuto a precisare che le dichiarazioni della Cisl non sono state rese in un’ottica di unione sindacale, e che pertanto la UilFpl se ne dissocia. Tutta la vicenda iniziata con una nota trasmessa qualche settimana fa alla Commissione Straordinaria del Comune di Mascali ed ad altri Organi provinciali (Prefetto, Asp, Vigili del Fuoco e altri), con la quale i soli rappresentati Rsu ed Rsa del sindacato Cisl hanno inteso rappresentare gravi carenze per la sicurezza e la salute pubblica sui luoghi di lavoro, specificamente presso i locali della sede centrale del Comune e del Centro Sociale. Invero, dette criticità esistono presso questo Comune da oltre un ventennio, ed appare quanto mai inopportuna quanto intempestiva l’iniziativa della sola Cisl, condotta –a dire della UilFpl- spregiudicatamente sia nei

Il centro sociale Karol Wojtyla

tempi che nei modi. Tuttavia, i Commissari dopo aver ricevuto la nota della Cisl hanno organizzato un incontro con tutte le forze sindacali presenti nel Comune (Cisl, Cgil, Uil e Csa), ove hanno ampiamente spiegato di aver già inoltrato le dovute richieste affinché tutte le criticità evidenziate fossero rimosse nel più breve tempo possibile, proprio per garantire la totale sicurezza dei lavoratori e dell’utenza. Il Rappresentante Rsu Uil-Fpl del Comune di Mascali, Paolo Cardillo, ha dichiarato che “da oltre un ventennio esistono delle criticità nei luoghi di lavoro del Comune di Mascali e certamente ciò non è dovuto alla Commissione Straordi-

naria che attualmente regge l’amministrazione, ma che essi provengono soprattutto dal lassismo delle tantissime amministrazioni che si sono susseguite negli anni. Le vecchie amministrazioni –continua Cardillo- hanno sempre trascurato anche la normale manutenzione degli edifici comunali e degli adeguamenti degli impianti. Pertanto, la prepotente e perentoria richiesta delle sole Rsu ed Rsa Cisl ci appare inopportuna e quasi vessatoria nei confronti dei Commissari, che già prima della nota della Cisl avevano intrapreso le giuste azioni atte alla rimozione delle criticità evidenziate successivamente con la nota della Cisl.

Tra le altre cose, la Uil-Fpl ha fatto notare che per quanto riguarda i locali del Centro Sociale, ove insistono importanti servizi (biblioteca, servizi sociali, servizio della pubblica istruzione, sport spettacolo e turismo e sviluppo economico del territorio e delle zone montane-commercio) e del grande Auditorium di oltre trecento posti a sedere, si ravvisa che tale stabile è provvisto del certificato di collaudo statico e del certificato relativo alle norme di cui alla Legge 46/90 e suc-

cessive e di quello relativo alle norme antincendio. Preso atto dell’esistenza dei certificati di cui sopra, la UilFpl ha chiesto alla Commissione Straordinaria di aprire alla fruizione pubblica l’auditorium ai fini affinché questo possa essere fruito da tutta la comunità mascalese, in modo modo particolare dalle scuole e dalle associazioni. Un luogo ove poter svolgere in serenità manifestazioni socio-culturali indispensabili per l’accrescimento sociale e culturale di Mascali.

segue dalla prima anche in questo caso si sono rivelati preziosi. Nino Milazzo ha fiutato l’aria e ha deciso che sarebbe stato meglio scegliere di stare male, tentare di salvare se non le capre, almeno i cavoli… bastava leggere i commenti sui social e ascoltare gli umori e i malumori dei dipendenti del teatro per capire che non era aria. E bisogna dargli atto che ha scelto di fare la cosa giusta. Da giornalista navigato e atipico, forse con un punto di alterigia che non guasta, non ha avanzato pretese e non ha intrecciato filastrocche di scu-

se non richieste. Si è fidato della capacità di giudizio del pubblico, ma un poco non si è fidato, dimostrando comuque autonomia e anche un po’ di estraneità a intimità retoriche grottesche con il pubblico, tipiche di certo giornalismo che vende e si vende. In questo quadro la scelta di presentare il libro della Cancellieri è stato forse un’azzardo, tantopiù che era stato poco bene solo due giorni prima… Ma a un uomo così, una debolezza di fronte a una donna si può anche perdonare. Nunzia Scalzo

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Maggio 2015 - Augusta

Augusta, sciolto per mafia il Consiglio Comunale Augusta, consiglio comunale sciolto per mafia. C’è un atto secondo della vicenda, sempre a firma dell’ex senatore Rino Piscitello che nel comune megarese ha vissuto sette anni. Lui afferma che è l’unico motivo che lo spinge a parlare. Amore per questa città offesa da due anni a questa parte da un commissariamento che, tra l’altro, “non ha brillato per la gestione”. Ma perché questo secondo incontro? Stavolta aperto al pubblico, non solo alla stampa. Sostanzialmente per annunciare due novità: che la relazione d’accesso non è secretata, due che lo studio approfondito sul caso Augusta condotto da Piscitello è diventato oggetto di una interrogazione parlamentare consegnata ai deputati Compagnone e Scavone. Si apre un altro capitolo di un probabile libro: “Augusta ha il diritto di sapere” intanto inciso su un cd. Piscitello non cambia a distanza di due mesi il suo pensiero: “Penso ancora oggi che il Consiglio comunale sia stato sciolto con un meccanismo ingiusto in qualche modo costruito ad arte ed estremamente superficiale. Ho dato molte prove, pubblicate anche sul mio sito, e ne posso fornire altre ancora sulla vicenda che ha del paradosso in quelle 263 pagine della relazione d’accesso in cui si evidenziano diversi fatti errati, raccontando di un clima che c’è ad Augusta partendo da un pregiudizio e scriverci attorno. Proprio come fa uno scrittore quando parte da una tesi”. Un po’ memoria. Lo scioglimento del Consiglio comunale nasce da una nota del Dda di Catania che fa partire subito una inchiesta a carico dell’ex sindaco Massimo Carrubba. La verifica del prefetto Franceschini, le dimissioni del sindaco, e l’interpellan-

Piscitello e a destra la manifestazione Sicilia Nazione za di una commissione d’accesso autrice di quelle famose 263 pagine che verranno trasferite al Prefetto di Siracusa che farà a sua volta una buona sintesi ridimensionando il tutto in una ventina di pagine. La cosa che sorprende non solo Piscitello a questo punto è la velocità dei tempi “burocratici”. Il prefetto nello stesso giorno riceve copia della relazione d’accesso e invia la sua di relazione a distanza di poche ore. A questo punto Augusta deve sapere prima di andare al voto che incombe. Troppo tardi, forse. I cittadini devono sapere perché il Consiglio è stato sciolto e se è vero che il sindaco Carrubba avrebbe incontrato i malavitosi. Perché il cuore dell’atto di scioglimento è proprio quel famoso incontro con Blandino, oggi collaboratore di giustizia. Solo che nel 2014 gli investigatori diranno e firmeranno che si è trattato di un refuso per la coincidenza del nome. Insomma, quel Massimo non sarebbe stato Carrubba. L’interrogazione copiosissima consegnata agli amici Scavone e Compagnone contiene il testo di tutti gli interventi di Piscitel-

lo, la famosa relazione d’accesso non più secretata, oltre alle due note dei carabinieri a proposito dell’incontro di cui sopra. Ora la relazione è pubblica. Perché Piscitello fa tutto questo? “Perché la vita di questa comunità è stata sconvolta ma questa stessa comunità non ha saputo reagire – dice l’ex senatore che il 15 scorso ha esordito con un nuovo movimento Sicilia Nazione rispolverando i suoi sogni indipendentisti lasciati dopo l’esperienza Lombardo – mi sento molto legato a questa città, non è possibile sciogliere un consiglio comunale in questo modo, deliberare atti che segnano per sempre questa comunità e che la mettono ancora oggi a rischio. Un meccanismo che rischia la spirale”. Piscitello non risparmia nemmeno l’attuale triade commissariale. “La commissione straordinaria da alle imprese lavori con appalti fiduciari, con affidamento diretto – dice l’indipendentista – e so per certo che alcune di queste imprese sarebbero molto vicine al Blandino. E poi quella nomina strana dell’arch. Carlo

Cipriani a dirigente del settore urbanistica, non solo venti giorni prima dell’elezione del nuovo sindaco, ma con lo stesso meccanismo di altri tempi. Si nomina un professionista di cui si parla male in ben tre pagine di quelle famose 263”. Si, ma perché Piscitello fa tutto questo proprio in odor di elezioni? “Chiariamo subito, non sostengo nessun candidato. Non voto nemmeno ad Augusta. E non ho interesse in assoluto in campagna elettorale – risponde l’ex senatore che prega di omettere quell’ON davanti al suo cognome – pero chiedo ai sette candidati di seguire il mio esempio, qualcuno devo dire lo ha già fatto, ma non tutti”. Dove incombe tutto questo silenzio? “Soprattutto in fatto di debiti del Comune. Il piano è stato bocciato per ben due volte. I commissari avrebbero dovuto dichiarare il dissesto. E invece. Non hanno dato la possibilità ai cittadini elettori di leggere la pubblicazione dei debiti fuori bilancio del Comune, giusto per capire chi è

il vero autore di questo scempio finanziario. E che la smettano di nominare consulenti!”. Ma allora perché il Consiglio comunale di Augusta è stato sciolto? A chiederselo oltre a Piscitello è stato anche il prefetto Armando Gradone. “Non ho potuto fare a meno di tornare con la mente al caso di Casal di Principe e provare profondo turbamento sui motivi dello scioglimento del civico consesso”. E non finisci qui. In quelle 263 pagine di relazione d’accesso molte persone vengono tirate in ballo per sbaglio o in maniera errata, al punto da far presagire a Piscitello una serie di querele. “L’idea da sradicare che è qui ad Augusta sia stata storicamente la mafia a condizionare le scelte importanti della pubblica gestione – dichiara Piscitello – Chiaro che alcune cose pesano enormemente, qualcuno ha sbagliato e pagherà ma non trovo giusto spendere milioni di euro per anni in intercettazioni telefoniche”. Insomma, cui prodest? Fermo restando che i processi si celebrano in tribunale e che in quella relazione vi sono parecchie sviste, è vero anche che esistono i cosiddetti anticorpi istituzionali. Insomma, tra i grandi assenti c’è proprio quel partito al governo che poi è il PD dell’ex sindaco Carrubba. “Personalmente sono lontano dal centrosinistra dal 2008 – si sgancia subito Rino Piscitello – penso che l’unica cosa che non puoi fare adesso è fischiettare. I partiti hanno fatto tutti un errore gravissimo persino l’opposizione non è entrata veramente nel merito della vicenda. Come se si trattasse di un fatto naturale. Un errore madornale che peserà principalmente sulla città di Augusta”. Rosa Tomarchio

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Maggio 2015 - Agrigento

asdfSedi officta estemquid et oditatem nonsend itatent abo. Ut et d i L il ia na Bla nco asdfEquia prae consequo doluptaest quiaepudipis quia ilistio min poriandis mi, tore ne voluptatet volorit inis am abo. Tatiae. Nequi assinve llitat. Optatur arionsecum rem reiur? Animinias es namet explatusa quo totat. Udipsanis rem et, cusant ut experfe ribusame parum et aliquiae. Et apis erro omnissitem abo. Nequi consequate prem int quodipsa dio is vollorr oreria doluptatio. Et lant quam faces earcit lab in rem dolut est, cusda de volorerum ut quis aut et volupta tiusdae pelescia voluptatibus eatur sequide bitatur, voluptas iliquam ium recaessunt liquist verspe num nus, explabo repudit que exeris volessum quae parum faccaborrore plab ipsae simet occabo. Nate nossequae. Neque eicatur aliatque volorio. Nam fuga. Eped es debitatia peraturis in porpore, qui ullecum re pa nullabo rrovid unt verum eum quatur? Isi cuptate is doluptatem. Lent. Minciatis rectotate exces dolorem laceptatis nulpa explis essequam sus dolupta tionseque derfera ventia nam soloraere non nulla dolupit aut latet, tem. Ut explit illupidicae senisti umquae. Ut fugiam fugia nit magnis ea estiaec tiorem aut faccatem re nos explab intiis sinimet ad molupid quis dolore conectur, quis aut aligentias que peribus aspidel iandese quamusam landa dolupta tectam quia dolorerore num incipsa muscidelis dolupta tiatio omnimus alibea vel magnatur,

asdfasdfasdfasdfsadfsadfas ulparumqui sa si rero et doluptatur si ratem velenist, con nus ra conse volectio blandis min et velles maximaximo offici res rerum lab int. Esciusda dolor simet ipsuntur, offictam ad essit ut lacea con re sumquatem excea doluptatquo magnihici dolo odiatur? Ihici inim harum aliciisquam, sam, vitet volum veribea nestibea velende etum quos sinvenet atem con ene parum fugitibus

vel mos dio corae vollaborum sequi od ulluptinvent et aut volorem exeres dernatinum ipiciendis aut officatia nonsece perchilitis modis estis esedi totas et ut verrorit, secuscia desequi squiatiatque vellaccus perferem repudit atquamenisit ma cum aut dolum estis pe dolupta tatatentia que ella quam vel inihiciis cus imporem estiisti bla am eum fuga. Enet qui dolo volorioris abo. Ut ad quatiaes

ma as solorate volenes aspit a coreicil illaceatur, sus a nihilis veni nonem et dolupta cum re eumquam exerfer epudio vollupicitat que et liquiatus, quame dis rerrorae labo. Oditae eum lam eario. Et veliberio videliqui verum ut rerioritis volupta temquo ommolor itatqui busciis a perem quatin cus ut et de volore plit, consedio in porerionesto con pre nit que et ullaboratium erovita taquia is vollace

raeribus rerorum qui nem. Nem facienda pore venditas de poreprorem inti quae laces aliquat. Explis etur sendandi que et este nitis aut archiligni comnis si archili stibus intur, suntiusdaest expedicat qui odit mintem qui consend andendi tatias volorum quam veliquatest venda pro con repudi bla qui doloritem doloria seque comnihilit hici utent ma voluptat iliatum re parum quistii sciligenis aliquae ne d

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Maggio 2015 - Messina

Patti, grande partecipazione alla conferenza dell’on. Grassi su Aldo Moro d i Giovanni F ra zzica

La sala dell’ex Tribunale, in piazza Mario Sciacca a Patti, era stracolma, in centinaia, provenienti da tutta la provincia, hanno risposto all’invito di Maria Tindara Gullo, parlamentare del Pd nativa di Patti, che ha reso fattibile il convegno sul tema: “Chi e perché ha ucciso Aldo Moro”. Relatore è stato Gero Grassi, vicepresidente del Gruppo Pd alla Camera e componente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Caso Moro. Dopo una breve introduzione da Francesco Scalia, il sindaco di Patti, Mauro Aquino, ha portato ai convegnisti i saluti della città. A seguire è intervenuto il segretario provinciale del Pd, Basilio Ridolfo, che ha ringraziato i due parlamentari democratici per il contributo che danno con il loro impegno alla ricerca della verità su un caso che ha lasciato tracce indelebili nella storia del nostro Paese. Mariella Gullo ha voluto sottolineare le ragioni per cui la figura di Moro deve essere ricordata e “devono essere esplorate tutte le vie che portano a fare chiarezza su quello che è stato il suo infausto destino. Bisogna dare atto Grassi – ha affermato Maria Tindara Gullo - dell’enorme lavoro che sta svolgendo all’interno e fuori dal Parlamento e sostenerlo, come anch’io cerco di fare, in questa sua azione tendente ad aumentare il livello di chiarezza in una vicenda in cui, malgrado i processi e le tante inchieste svolte, esistono fitte coltri di mistero e di disinformazione”. Gero Gras-

Gero Grassi, a sinistra insieme a Ridolfo e Gullo

si ha svolto una relazione con cui in circa un’ora e 30 minuti ha sintetizzato in maniera encomiabile anni di lavoro e di ricerche, considerato che gli incartamenti relativi al caso Moro constano di oltre 2milioni di pagine e certamente lui ha letto quasi tutto, ma ha visto anche foto, filmati, documenti originali e soprattutto ha parlato con tante persone che sapevano e che hanno avuto ruolo in questa complessa vicenda. Una ricostruzione di fatti e avvenimenti dettagliata e minuziosa, nata dal suo lavoro meticoloso e da quello della commissione parlamentare nata per far luce sui tanti misteri che ancor oggi, a distanza di 37 anni dall’uccisione dello statista e che, dopo 5 processi, una commissione Moro, una Commissione P2 e 4 Commissioni per terrorismo e stragi, permango-

no sulla tragica vicenda, sui 55 giorni di prigionia e sulla sua uccisione. Grassi ha citato anche gli antefatti, gli eventi premonitori, cercando sempre di attenersi ai fatti e non alle opinioni, ma soprattutto ai documenti ufficiali. Nel 1974 Henry Kissinger aveva mostrato il suo disappunto per l’apertura al Pci dell’on. Moro fino al punto dal diffidarlo a continuare su quella strada. In quello stesso anno, una bomba ad alto potenziale esplose sul treno espresso “Italicus”, Roma-Monaco di Baviera. Aldo Moro si sarebbe dovuto trovare a bordo di quel treno in quanto doveva raggiungere la famiglia a Bellamonte, ma lo perse poiché venne raggiunto da alcuni funzionari, forse agenti dei servizi, e fatto scendere all’ultimo momento per firmare alcuni documenti. Un poli-

ziotto, adesso in pensione, ha rivelato all’Ansa il contenuto di una lettera scritta da uno dei due misteriosi uomini che sarebbe stato in sella alla Honda presente in via Fani la mattina del 16 marzo ’78. Secondo l’anonimo, nel frattempo deceduto, i due sarebbero stati agenti che rispondevano al colonnello del Sismi Camillo Guglielmi, il loro compito sarebbe stato quello di “proteggere le Br da disturbi di qualsiasi genere”. “Novità sconvolgenti, anche se la politica non vuole occuparsi del caso Moro – sostiene Grassi - i suoi misteri sono destinati a rivelarsi nel corso del tempo. Ora non si potrà più dire che l’agguato di Fani fu il frutto della geometrica potenza delle Brigate Rosse che furono, in realtà, quantomeno osservate e tutelate nei loro propositi. Era del resto scritto negli atti della

Magistratura – prosegue Grassi – che quell’evento non era riconducibile solo alle Br. Lo hanno dichiarato più volte Alberto Franceschini e la vedova del maresciallo Oreste Leonardi. A questo punto abbiamo la responsabilità di raccogliere questa ed altre recenti novità e tentare di ricostruire una nuova versione dei fatti per capire chi ha tramato per ottenere la morte di Aldo Moro. Qualcuno dirà che tutto questo deve essere solo oggetto di attenzione della magistratura. Ebbene noi diciamo che ognuno svolga il proprio ruolo, certamente noi non siamo disponibili a rinunciare al nostro, perché il caso Moro non è un puro fatto criminale, ma un caso politico che ha cambiato il corso degli eventi nel nostro Paese”. E conclude con la considerazione che “la ricerca di verità non servirà purtroppo a riavere tra noi Aldo Moro, ma se riusciremo ad individuare i veri responsabili della sua uccisione, questo contribuirà sicuramente a rendere il nostro Paese una nazione più civile e più democratica, perchè la morte di Aldo Moro non è stato un incidente della storia, Aldo Moro è stato ucciso”.

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Maggio 2015 - Attualità

Il Paginone

Controlli in via Santa Filomena: come se di Gi uli ano B us à

La prassi è ormai consolidata ed è ascrivibile al metodo hegeliano: non più tesi, antitesi e sintesi ma controllo, sanzione e smentita. Così da un po’ di tempo a questa parte a Catania, dove questura e Asp dispongono controlli a tappeto sugli esercizi commerciali e di ristorazione anche dell’hinterland, comminando multe anche salatissime (e in certi casi anche giustissime) alla quasi totalità dei ristoranti ispezionati, i quali poi rispondo immantinente limitando i danni o gridando all’ingiustizia. In mezzo a questo teatrino ci sono gli spettatori, ossia i cittadini, fruitori e consumatori, che non sanno quale campana seguire: le forze dell’ordine fanno il loro lavoro, certo, ma chi controlla i controllori? I locali e i gestori hanno tante tasse e spese cui far fronte nonostante il periodo, certo, su alcune cose andrebbe chiuso un occhio, ma sulla qualità di quanto portato in tavola e

sulla salute di chi consuma c’è poco da scherzare. Ultimo episodio in ordine di tempo il controllo avvenuto nella sempre più frequentata via Santa Filomena, luogo ormai di culto anche per la qualità e la ricercatezza dei locali presenti. Il sopralluogo ha interessato tre locali della via. Per tutte e tre le strutture sono state comminate delle sanzioni per occupazione abusiva di suolo pubblico in eccedenza a quella autorizzata. Per il ristorante “Cuttigghiu” sono state inflitte due multe per un totale di quattromila euro per «gravi violazioni in materia di igiene». Inoltre è scattata l’inibizione dell’uso della cucina e del deposito nella vicina via Diana. Secondo quanto rilevato dalle forze dell’ordine, le condizioni igienico sanitarie non sarebbero state conformi alla normativa sanitaria. Come riportato nel referto «le pareti dei locali cucina risultavano annerite, erano presenti residui

alimentari sul pavimento, sulle attrezzature e sugli impianti». All’interno del deposito «le cui pareti si presentavano con evidenti tracce di muffa e umidità, custodite in un freezer non idoneo, venivano rinvenute e sequestrate carni per complessivi 53 chili e alimenti vari, in pessimo stato di conservazione e o scaduti, ovvero alimenti freschi il cui surgelamento è vietato». Il cibo verrà ulteriormente analizzato dal personale veterinario dell’Asp. Per il titolare è scattata una denuncia in stato di libertà per «commercio o detenzione di sostanze alimentari nocive, inosservanza dei provvedimenti dell’autorità per la mancata installazione della pedana prevista nell’ordinanza sindacale, e collocamento di cose pericolose poiché durante l’attività venivano rinvenute due bombole di gas sulla pubblica via a servizio dei locali cucina». Infine nello

Uno dei paninari d stesso locale dove si trova la dispensa sono stati trovati cittadini stranieri «senza avere preventivamente presentato all’autorità

di pubblica sicurezza dichiarazione di ospitalità». Nel ristorante Filomena-I Polpettari srl è stata comminata una multa da

I controlli dei Nas e gli abusivi felici: Ca d i Fabio Tra cuzzi Nucleo Antisofisticazioni. Per capirci meglio Nas, reparto speciale dei carabinieri. Hanno il compito, spesso ingrato, ce ne rendiamo conto, di vigilare e controllare sullo stato di igiene dei locali pubblici, sulla regolarità delle pratiche, sulla bontà dei prodotti e sul loro stato di conservazione. Hanno in poche parole la responsabilità di garantire la bontà e la regolarità di un servizio pubblico per tutelare chi di quel servizio si serve. E ogni volta che i Nas (e non si capisce perché quasi sempre di venerdì o sabato quando i locali sono pieni. Hanno forse bisogno di pubblico?) entrano in azione e trovano anche la minima eccezione alla norme previste a volte, mi sia consentito, troppo severe e, alcune, incomprensibili, ecco i titolo-

ni sui giornali locali pronti, senza alcuna esitazione, a dare addosso a chi ha, anzi avrebbe, sgarrato mimando la credibilità del locale e di chi lo gestisce e che magari lo ha portato avanti con sacrifici immani oltre che economici. Senza contare la gogna mediatica sui social contro chi quei locali gestisce o ne è proprietario. Ora, non vorremmo essere fraintesi, ben vengano i controlli dei Nas ci mancherebbe, ma forse, ed è il primo di una lunga serie di appunti, appunti?, no meglio osservazioni, che ci permettiamo di fare. Sarebbe auspicabile un po’ più di discrezione quando si effettuano i controlli dando il giusto peso alle presunte irregolarità e, perché no, far sapere anche alla stampa quando si fa visita a un locale e tutto risulta perfettamente a norma. Non è più valida, ormai, l’antica regola giornalistica che sono

le brutte notizie a fare notizia. Noi, sì anche io, oggi più che mai abbiamo un assoluto bisogno di belle notizie. O questa città, passerelle di Bianco a parte, non è in grado di offrirne?. Ma ci chiediamo, e non siamo i soli, come mai i controlli vengano effettuati solo nei locali che si sforzano, a volte è vero non ci riescono del tutto, ad essere a posto con norme di sicurezza, di igiene, pagando tasse (un mare di tasse) suolo pubblico ( e guai a chi sgarra per una sedia o un tavolino in più), mettendo in regola il personale, pagando regolarmente luce e acqua emettendo scontrini, ricevute fiscali o fatture Insomma facendo tutto quello che lo Stato, le regole, la legge ti chiede di fare. A Milo, nei giorni scorsi, si è verificato un episodio che ha dello sconcertante. Un panificio, l’unico panificio del paese etneo, ha

subito un controllo fiscale. Risultato: accertata evasione per 8 euro (si otto avete capito bene) di scontrini non emessi negli ultimi cinque anni di attività. Sanzioni? Seicento euro di multa e chiusura dell’esercizio per dieci giorni.

Ulteriore conferma che abbiamo a che fare, potremmo dire stupidità ma è anche peggio, con uno Stato che si dimostra sempre di nemico di chi lavora e fa sacrifici. E noi avremmo un assoluto bisogno di confrontarci con uno Stato

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e sempre sanzioni e repliche. Dove sta la verità?

paninari della città mille euro per «mancanza di attrezzature e modifica dei luoghi, e anche per quel che concerne l’occupazione di suolo pubblico

eccedente l’autorizzazione comunale concessa». Mistero sul nome della terza struttura, che non è stato comunicato dalle forze dell’ordine. Come da prassi, ecco la sintesi/ replica della titolare del caffè Curtigghiu Emanuela Panke: “Dopo un anno di trepidante attesa e di ansie paragonabili forse al pre-esame di maturità è arrivato il fantomatico blitz anche da noi”. Poi viene al nostro di-

scorso: “Inutile riscrivere come funzioni e quanto vessatorio sia perché oramai lo sapete tutti a memoria, potremmo fare copia e incolla dalle repliche settimanali dei nostri colleghi già controllati”. Prosegue la Panke, sempre confermando la nostra tesi sulla struttura hegeliana dei controlli: “La sera dopo il blitz ci hanno subito tutti raccomandato prima ancora di chiamare l’avvocato di scrivere una replica a quanto sarebbe uscito sui giornali. Non intendevamo farlo ma poi oggi vedendo cosa è apparso ci siamo sentiti in dovere di scrivere qualcosa per chiarezza intellettuale. Prima cosa il locale è regolarmente aperto e non ha mai chiuso regolarmente autorizzato dalla Asp a lavorare perché risultato idoneo, quindi già uno di quelli che chiameremo capi d’accusa è inesatto”. Poi in maniera più accorata: “Evidentemente nessuno di noi è perfetto e su qualcosa avremo peccato di leggerezza, per esempio non obbligare i dipendenti a chiude-

re gli armadietti e non rovinare quanto di pertinenza del loro bagno oppure evitare di congelare quel maledetto petto di pollo che era in abbondanza o il pane della mollica che non volevano buttare”. Anche in questo caso, come in altri controlli (cfr Fratelli la Bufala), la quantità di cibo sequestrato comunicata è parsa davvero esagerata: “53 chili di carne neppure ci entrano nel pozzetto e tra quello che poteva essere sequestrato (due petti di pollo e due chili di macinato comprati freschi) ci sono anche prodotti che arrivano già congelati da fuori Sicilia e regolarmente tracciati, nessuno ci ha chiesto la fattura per dimostrarlo, era troppa la concitazione di individuare il mostro. Prodotti scaduti non ve ne era neppure uno ma è un termine che fa notizia”. Infine il condivisibile ma scivoloso punto di vista secondo il quale c’è chi fa di peggio: “Ieri ho passato il pomeriggio in questura, in sala d’attesa e pensavo sarebbe arrivato in manette

quello che ha preso la borsa di mia mamma a librino qualche mese fa, o la signora che mi ha sciolto con l’acido il tetto della macchina o quello che spaccia all’angolo della strada invece no l’unica indagata del giorno ero io, fa impressione vi assicuro, e quando firmando il verbale ho letto “possesso di sostanze nocive” nell’ingenuità ho detto “ma come? Non c’era nessun detersivo o ddt in cucina” e la risposta è stata che il riferimento era al pollo e al macinato”. Conclude la titolare del caffè Curtigghiu: “Però non mi arrendo e continuo a lavorare e far lavorare persone con onestà, se in qualcosa abbiamo sbagliato ce ne prendiamo la responsabilità ma non accetteremo di incarnare il mostro che distrae dai veri problemi della città così come non hanno fatto gli illustri colleghi colpiti prima di noi”. Abbiamo già visto e sentito ognuna di queste versioni, e tante cose continuano a non tornare. Di chi dobbiamo fidarci?

: Catania è sempre più terra di nessuno

amico. Uno Stato, ci rendiamo conto giorno dopo giorno, che riesce ad essere amico solo con chi è molto furbo. Grandi evasori, truffatori e abusivi. Ecco, veniamo agli abusivi. Questa città, sissignore Catania, mai come oggi

è diventata la città degli abusivi, dei mendicanti accompagnati da bambini per impietosire i passanti, posteggiatori abusivi che si sono divisi ogni angolo, ogni strada, ogni piazza, ogni semaforo della città e prostitute che

ogni sera che passa hanno addosso un pezzo di stoffa in efino a quando non le vedremo completamente nude e, come sempre, indisturbate. Ma andiamo con ordine. Vorremmo sapere da i Nas, come mai non vengono effettuati controlli sui furgoni, veri e propri camion a volte, che hanno invaso la città e trasformati in veri e propri ristoranti con decine di tavolini e sedie sul marciapiede. Solo nel viale Africa, dalla Stazione a piazza Europa, se ne contano ben undici. Quale igiene garantiscono, come conservano la merce, dove prendono la luce,

e l’acqua e il personale che ci lavora è messo in regola? E quanti scontrini emettono. E pagano il suolo pubblico? Insomma amici dei Nas aspettiamo con ansia un controllo a tappeto su questi furgoni ristoranti. Così come ci aspettiamo un intervento, qui i Nas non c’entrano,sui posteggiatori abusivi. Dalle 20 di sera in poi, quando finisce l’effetto strisce blu , se un automobilista ha la sventura di muoversi più volte da un posto all’altro è costretto a pagare due, tre a anche cinque volte il posteggiatore abusivo di quella zona. E l’amministrazione come se ne lava le mani? “Non pagate più i posteggiatori abusivi…”. Ponzio Pilato rispetto a Enzo Bianco era un vero e proprio dilettante. E le prostitute, ormai fino al centro della città, sono ogni giorno più numerose e nude. Sotto gli occhi

tutti, bambini compresi. Possono vederle tutti, quindi anche le forze dell’ordine. O no? Questa è una città allo sbando dove non funziona più nulla. E nulla viene fatto, da chi dovrebbe e potrebbe, per mettere le cose a posto. Il fumo negli occhi che ci arriva dai Nas sui controlli e le conseguenti sanzioni sui locali più alla moda non funziona più. Non impressiona più. Fate davvero vedere, ciascuno seconda le proprie competenze, che volete davvero cambiare il volto di questa città. Altrimenti non vi crederà più nessuno. Anzi, non vi crede più nessuno. E se il vostro modo di fare e di amministrare sarà, come e ora, leggero e approssimativo, spesso inconcludente tutti i catanesi, perchè di Catania parliamo, si sentiranno autorizzati a comportarsi allo stesso modo. E non possono essere criticati.

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Le Supplici di Eschilo secondo Moni Ovadia: trad d i Aldo M a t t ina

Si è aperto al Teatro Greco di Siracusa il cinquantunesimo ciclo di rappresentazioni classiche dell’INDA. Primo titolo: “Le supplici” di Eschilo. Ma sarebbe meglio puntualizzare subito, Le supplici di Eschilo nella visione, adattamento e regia di Moni Ovadia. La tragedia di Eschilo, la più arcaica insieme a “I persiani”, è anche una delle più ‘moderne’ per argomento e svolgimento. Il dramma si apre con un lungo intervento delle 50 figlie di Danao, che costituiscono il coro. Esse sono fuggite con il padre per sottrarsi alle nozze coi 50 cugini egizi, e si sono recate ad Argo a chiedere protezione presso il re Pelasgo. Quest’ultimo rimette la decisione all’assemblea popolare, che decreta all’unanimità di accoglierle: il coro delle fanciulle innalza un canto pieno di gratitudine nei confronti

dell’ospite e della sua città. Nel momento in cui Danao chiede ospitalità a Pelasgo, il re argivo si trova di fronte a due scelte: quella di accogliere le Danaidi, rischiando un conflitto con gli Egizi, e quella di negare loro l’ospitalità, incorrendo nell’ira di Zeus prottetore dei supplici. Mai nella poesia dei primi secoli l’uomo lotta tanto per giungere a una decisione; per la prima volta qualcuno lotta per la responsabilità e per la giustizia, per allontanare il male. Pelasgo deve riflettere per decidere da sè da che parte si trovi l’obbligo maggiore, il diritto: egli non nasconde al coro il proprio imbarazzo dinanzi alla prospettiva di dover rischiare un conflitto inatteso, ma incalzato dal coro delle danaidi con l’argomento che la giustizia è la miglior difesa e che l’ira di Zeus sarebbe terribile, mostra di cedere alla richiesta delle supplici. Ma non può decidere da solo, deve piuttosto chiedere il parere a tutto il popolo.

Il coro incita Pelasgo a decidere da solo, sottolineando la validità totalitaria del voto del solo sovrano, che soppianta e surroga la volontà di tutti gli altri; in ciò le danaidi rivelano di essere portatrici di idee arcaiche, ‘barbariche’ estranee alla nascente prospettiva democratica dei greci. il re rimane della sua idea e si avvia ad affrontare l’Assemblea, convinto che non si possa decidere nulla senza il popolo, giacchè questo gli rinfaccerebbe l’eventuale guerra mossa dagli Egizi. Pelasgo istruisce Danao sul modo in cui presentarsi davanti al popolo, in modo da muoverlo a compassione e riuscire così a persuaderlo. Nella tragedia di Eschilo vi è l’idealizzazione del meccanismo assembleare, il quale conferisce maggiore stabilità alle decisioni, come risulta evidente nel momento in cui un messo di Egitto vuole rapire le Danaidi e Pelasgo lo allontana rifugiandosi e quasi annullandosi nella decisio-

ne del popolo fino a decidere di non rivelare il proprio nome (“Che bisogno c’è che io ti dica il mio nome? Lo saprai col tempo tu e i tuoi sodali”). La giustizia invocata dalle fanciulle nel coro finale sembra ristabilire il diritto alla libera scelta delle Danaidi e quindi l’affermazione delle donne. Tuttavia l’invito delle ancelle a non respingere i doni di Afrodite (Dea dell’Eros) e a non sfidare le leggi di Zeus insinua il sospetto di una colpa e la possibilità di una sorte anche diversa. Non sappiamo

Un momento della rap

come Eschilo avrebbe risolto la questione nei due drammi andati perduti, che costituivano la trilogia, “Gli Egizi” e “Le Danaidi” ma il mito ci viene in soccorso narrando che le Danaidi furono costrette alle

Record di spettatori nelle prime recite. E Palermo assicura: m d i Rosa To ma rchio

Superato il muro dei 10.000 spettatori al termine delle tre “prime” al Teatro Greco. I numeri ufficiali diffusi dalla Fondazione Inda parlano di 10.600 spettatori per Le Supplici, Ifigenia in Aulide e Medea. Oltre mille spettatori in più rispetto ai tre debutti dello scorso anno, quando il botteghino si è fermato a 9.500. A seguire gli spettacoli classici anche diversi “vip”. Su tutti l’attrice Monica Guerritore che ha seguito con particolare attenzione la figlia, Lucia Lavia, in scena al Temenite come protagonista in Ifigenia in Aulide. Spettatore interessato anche lo scrittore, storico e conduttore televisivo Massimo Valerio Manfredi. Avvistati alle “prime” anche l’ex ministro Anna Maria Cancellieri, gli assessori regionali Ettore Leotta (Autonomie Locali) e Giovanni Pizzo (Infrastrutture). Assenti alle prime, invece, Cleo Li Calzi e Antonio Purpura responsabili la prima del Turismo e il secondo dei

Beni Culturali. Quest’ultimo ha già fatto sapere che sarà a Siracusa questo fine settimana. La Li Calzi, invece, non ha ancora definito le date. “Ma l’attenzione e l’interesse del governo regionale e degli uffici del Turismo è alta verso Siracusa e la Fondazione Inda – fa sapere l’assessora regionale –al Turismo - per cui siederà presto tra il pubblico del Teatro Greco di Siracusa. Niente snobismo, Palermo – spiega – conosce e riconosce il valore e la capacità di richiamo dell’evento siracusano”. Archiviate le polemiche delle prime sui vuoti eccellenti nel parterre de rois, come ha reagito il muro umano dei diecimila del Temenite? Intanto, abbandonando per sempre l’idea classica della tragedia greca, con grande rammarico di puristi e nostalgici. Ha proprio ragione il presidente Inda Giancarlo Garozzo quando dice: “Siamo entrati in nuovo ciclo, una nuova era anche per l’Istituto Nazionale Dramma Antico. E torniamo alla doverosa premessa: abban-

doniamo per sempre l’idea del teatro classico. Nessuno, forse, ci riesce più o forse non ha più voglia di farlo. Detto questo, tutte e tre gli spettacoli sono piaciuti. Perchè tutte e tre diversi l’uno dall’altro. E tutte tre recano firme di registi molto ma molto audaci. Perchè non è mica facile tagliare per sempre col passato. Si va verso altri orizzonti, di sperimentazione e contaminazione. Pertanto lodevoli Le Supplici perchè audace la scelta della coppia Moni Ovadia Mario Incudine di recitare e cantare per il 90 per cento dello spettacolo in siciliano. Bella Ifigenia in Aulide di Tiezzi che ha fatto scoprire un nuovo giovane talento del teatro italiano, una bravissima figlia d’arte (e l’essere “figlia di” stavolta non c’entra) Lucia Lavia (a lei potrebbe andare quest’anno il premio della stampa)...intense le musiche di Dalla Monica e Ernani Maletta....ed infine, the last but not least, la più coraggiosa Medea di Magelli con una bravissima Valentina Banci degna erede

della grande signora del Teatro Valeria Moriconi (l’insostituibile Medea degli ultimi tempi)...da premio speciale della critica anche le scene (che mi ricordano tanto l’antica lanterna magica primo rudimento cinematografico, il famoso caleidoscopio il primo tentativo di “catturare l’immagine”. Davvero “rivoluzionaria” la musica di Annecchino che una non la sbaglia mai, intensa martellante New Age con break sonori al sapore di elettronica, e c’era pure il rap. Un bel mix da psicodramma. Peccato però che il regista abbia fatto male i conti con il ruolino di marcia, purtroppo le immagini della morte della moglie di Giasone non si distinguono bene sulla struttura scenica perchè per la luce del sole. Infine, coro superlativo, tutti professionisti, non a caso, hanno dato un senso alla coscienza di Medea. Riguardo gli spettatori che se abbandonavano la cavea prima della fine degli spettacoli, solo un modo per definirli: incivili! Buoni i propositi degli enti

locali sul 51° ciclo. “L’Inda e la città devono collaborare, stringersi attorno in difesa di un avvenimento unico al mondo – dice Walter Pagliaro del Cda – ritrovare l’osmosi, dal canto suo il teatro greco deve vivere di più il territorio e trovare la possibilità di interagire con iniziative collaterali. Puntare alla Scuola “Giusto Monaco”, tra le più importanti realtà accademiche in Sicilia che purtroppo non riceve aiuti ne dalla Regione né dal Comune. Non ha nemmeno una sede propria, i ragazzi sono costretti a lavorare in luoghi non idonei. A rispondere a Walter Pagliaro ci

Un momen

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radito lo spirito della tragedia che convince poco

della rappresentazione

nozze ma uccisero i loro mariti, tutte tranne ipermestra che rispiarmò Linceo dando origine alla stirpe di Eracle. Tutte le altre vennero invece punite da Zeus e sorteggiate in sposa secondo l’ordine d’arrivo

di una corsa. Alla fine è la volontà degli dei a ristabilire volontà ed equilibri, non certo il volere degli uomini, e questo era anche il punto di vista di Eschilo. La scelta reinterpretativa di Ovadia non sembra rispettare più di tanto il pensiero eschileo; piuttosto ne coglie alcuni aspetti strutturali per estremizzare e chiarificare le proprie tesi. La tragedia diventa così esclusivamente il dramma dell’espatrio e dell’accoglienza agli ‘stranieri’ da parte di una comunità (quella di Argo in

questo caso) in cui vige il rispetto e la Democrazia. Il confronto e l’attualizzazione con gli attuali flussi migratori nel Mediterraneo appare in tutta la sua evidenza e, letto così, come un lavoro autonomo e ‘moderno’, raggiunge una potenza espressiva ed una suggestione che hanno impresso allo spettacolo grande fascino e bellezza. Ne risulta uno spettacolo addirittura rivoluzionario che fa leva su una serie di scelte uniche e trasgressive, tutte funzionali all’assunto del regista-interprete-rielaboratore. Innanzi tutto la lingua, o meglio le lingue, visto che il testo è stato tradotto in siciliano ed in greco moderno (da Guido Paduano); la prima lingua è stata scelta da Ovadia per la sua musicalità e perché “la Sicilia è una terra che ha una lunga storia di accoglienza”, la seconda rappresenta invece “un atto politico, un omaggio ad un Paese che ha dato tanto, basti pensare che questa è

la lingua della democrazia, e che invece adesso è abbandonato”. Accoglienza e Democrazia sono le due parole chiave per comprendere il messaggio di Ovadia. Eschilo viene ‘piegato’ ed estremizzato per trasmettere questi due concetti in una chiave moderna che non rinuncia al mito (ma ad un mito etnico-mediterraneo) mediante la lettura in forma di ‘cunto’ siciliano, in cui la musica la fa da padrona. Mario Incudine ha realizzato la musica che ‘invade’ come un musical l’intera tragediacunto; lo stesso compositore cantante si ritaglia la parte di un inedito Eschilo-cantastorie e si circonda di musicisti che utilizzano strumenti antichi (darbuka, bouzouki, mandoloncello, tamburi) contaminandoli con la word music e con le melodie popolari siciliane; tra i collaboratori Kaballà, Antonio Vasta, l’egiziano Faisal Taher e poi l’intero coro pronto a danzare sulle

coreografie di Dario La Ferla, con i sontuosi costumi di Elisa Savi sulle appropriate scene di Gianni Carluccio e la drammaturgia di Margherita Rubino. A tratti viene da ricordare “La barunissa di Carini” ma anche “Jesus Christ Superstar” e la grande tradizione del cunto siciliano con Mimmo Cuticchio in testa. Protagonista assoluto è il coro (integrato dagli allievi dell’Accademia d’arte del dramma antico Giusto Monaco) guidato da una bravissima e convincente Donatella Finocchiaro. Accanto al poliedrico Moni Ovadia, che impersona il re Pelasgo, c’è il saggio Danao di Angelo Tosto ed anche Marco Guerzoni, tonitruante e forsennato araldo degli Egizi, sopra una poderosa macchina-cavallo. Uno spettacolo a tema, sicuramente, ma suggestivo, coinvolgente e realizzato con gran dispiegamento di mezzi dinanzi alla millenaria cavea stracolma di pubblico.

a: massima considerazione per le rappresentazioni di Siracusa

n momento della conferenza

pensa l’assessore al Turismo Cleo Li Calzi: “L’osmosi tra Inda e Regione- Comune deve portare ad altro da ciò che è. Come. Cambiando intanto il sistema, l’Inda ha comunque al pari di altri istituti siciliani una voce in bilancio regionale. Ma è la fondazione Inda che deve presentare un progetto europeo, né la Regione né tanto meno l’ufficio di Bruxelles.

La riforma delle arti e spettacolo in Sicilia rappresenta una valvola di sviluppo invisa dagli enti lirici. Le produzioni culturali sono pagate dall’Europa, tranne la sola linea degli stipendi che è a carico della Regione. L’Inda è tutto ciò che essa produce, a mio modesto avviso è un marchio da utilizzare per creare valore economico”. La parola poi ai registi. Paolo Magelli parla della sua “Medea” di Seneca come un testo rivoluzionario. “Una occasione unica per parlare in un altro modo della donna – dice - ,ma anche della condizione dell’attore che in Italia è insopportabile. Siamo l’unico Paese che produce meno soldi di tutti gli altri. Ecco perché il mio è teatro sociale”. Testo outsider quello di Moni Ovadia e Mario Incudine che firmano “Le Supplici”. “Un grande dono in tutta la mia carriera artistica – dice il regista attore che

indossa il mantello regale di Pelasgo ben curato dalla moglie Elisa Savi – in una cornice straordinaria come il Teatro Greco di Siracusa che mi da la percezione esatta dell’importanza ultima del teatro. Come dice Proietti: “viva il teatro dove tutto è finto ma nulla cela il falso”. Il teatro può mettere l’uomo di fronte alla sua verità. Cosa ho visto qui? Intanto, tanta dedizione, pazienza e disciplina inimmaginabili, sono i giovani (dell’Accademia) il futuro della nostra classe dirigente. E su scuola-culturaricerca che dobbiamo puntare proprio quando c’è crisi. Per uscirne fuori e costruire un nuovo Paese. La cultura costa, ma l’ignoranza molto di più. Un grande plauso dunque agli allievi dell’Accademia, a tutti coloro che hanno lavorato con pazienza a questo spettacolo sotto il tetto cocente di lamiera a 40 gradi. Insieme abbiamo travalicato la dimensione del teatro dando tutti sino all’ultima stilla di energia. Capisco anche le difficoltà degli amministratori – ag-

giunge Ovadia – vorrei che l’Inda diventasse per l’Italia la vera via per uscire fuori dalla crisi”. La più classica delle tre opere è sicuramente Ifigenia in Aulide di Federico Tiezzi che si lascia ispirare dal Cambellotti, anima eterna del Dramma Antico di Siracusa sin dagli albori, nella messinscena e nella scenografia ammiccando sempre e comunque al linguaggio contemporaneo. Con Eschilo un altro tributo alla donna, stavolta di Calcide, attorniata da un red carpet di eroi, famiglie maledette dove si sparla e si maledice. Dove si tenta di tornare alla Polis lasciando per sempre l’individualismo e la stirpe. Vera e propria alzata di scudi per l’Accademia da parte di Enrico Di Luciano, presidente Amici dell’Inda. “Si è detto che la regione ha particolare attenzione per questa scuola, ebbene che se la intesti allora. Invece, nessun contributo per questa riconosciuta attività di formazione d’alto livello che è parte integrante dell’Inda.

Un investimento che sicuramente merita di crescere, a differenza di altre voci scese del 15 per cento nel settore cultura, l’Inda non merita questa diminutio. Vero è che non si tratta di un vero e proprio ente di formazione, ma trovo ingiusto che la Scuola debba continuare a sopravvivere con le sole entrate del botteghino, considerato che l’80% del costo di produzione viene recuperato con lo sbigliettamento rispetto ad altri teatri di cui so che recuperano il 20%”. E per concludere, la polemica sull’utilizzo del teatro greco. Che accusa un processo di degrado innegabile, non a tasso zero. Esiste un modo di mettere a rendita questo sito culturale grandioso ma anche una via di ricerca in accordo col CNR attraverso l’innovazione imprenditoriale. L’usura del teatro è nelle cose. Attorno alla sua immagine si possono costruire eventi di un certo spessore senza richiedere l’uso del teatro stesso. Altrimenti la voce dei NO non sarà lontana.

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Rivalutazione del territorio e della cultura gastronomica d i L e lla Ba t t ia t o

Il convegno dell’Accademia italiana cerimoniale, immagine e comunicazione (Aicic) sul tema “Enogastronomia tra turismo e azienda: accoglienza e ospitalità per la rivalutazione del territorio” si è svolto nella sala conferenze dell’Istituto Alberghiero “Karol Wojtyla” di Catania. Una giornata che ha puntato su recupero dell’utilizzo dei prodotti tradizionali, con l’augurio che l’Expo non sia solo una vetrina ed economia, ma opportunità vera e reale per la salute delle persone, rispettando qualità e gusto; un’iniziativa che rappresenta la vivacità dell’Istituto Alberghiero e cammina sul connubio col turismo, punta sulla formazione degli alunni e all’eccellenza per trasferire il concetto di professionalità, come fare impresa, per creare un circuito di ritorno al territorio in termini occupazionali. Ha aperto i lavori e moderato il dibattito Daniela Di Piazza dirigente Ipsseoa”K.Wojtyla”, che in modo eloquente e incisivo sottolinea “l’evoluzione della nostra scuola è migliorata nel tempo interfacciandosi con l’Italia e l’estero attraverso ambiziosi progetti, una scommessa che ha tracciato un solco per l’Alberghiero che diventa un potenziale per lo sviluppo turistico e la cultura”. Presenti l’assessore alle attività produttive Angela Mazzola in rappresentanza del sindaco di Catania Enzo Bianco, Nino D’Asero deputato regionale “c’è bisogno di una fase nuova e accanto alla crisi economica la necessità di una spinta; il classico contributo è superato, in agricoltura è stato elargito per elimi-

Un momento del convegno

nare coltivazioni (grano, set aside) con risultati negativi: importazione, sofisticazione, intolleranze alimentari”. Giuseppe Castiglione sottosegretario al Ministero delle politiche agricole, ha focalizzato l’appuntamento Expo 2015, “grande occasione per valorizzare risorse ambientali e promozione del turismo, ma anche sicurezza alimentare e tutela del consumatore”. Michela Giuffrida europarlamentare, segretaria commissione agricoltura e sviluppo regionale ha partecipato con un brillante intervento quasi di provocazione per stimolare la crescita dell’uditorio “finanziando frutta e latte nelle scuole, privilegiamo i prodotti locali e sottolinea la sinergia con l’Alberghiero. L’imminente accordo di libero scambio tra Stati europei e Stati Uniti d’America è da non perdere, imitiamo Brainport (porto del cervello), paese povero dell’Olanda”. Hanno relazionato attirando interesse della platea Piergiorgio Tupini presidente Accademia della cultura enogastronomica di Roma,

con un accurato intervento punta su arte, rispetto e professionalità, ma l’obiettivo resta il fascino e l’emozione che il cibo riesce a creare, abbandonando il concetto del protagonismo nei fornelli” conclude con un aforisma “quando l’ornamento è brillante … non confonderlo con la sostanza. Luigi Ciampoli presidente del Consiglio dell’Accademia della cultura enogastronomica di Roma, “viviamo contraddizione tra fame nel mondo, obesità e società criminali che vogliono sostituirsi agli Stati legittimi; dobbiamo rubare noi spazi alla mafia, attraverso la cooperazione tra persone e il “Karol Wojtyla” crea personalità attraverso competenze e lavoro, liberandole dalla sudditanza”. Claudio Pica segretario generale Accademia della cultura enogastronomica di Roma, comunica in modo efficace il suo disappunto per la politica “ragazzi, voi siete parte dell’economia reale, la politica parla e poi scappa; abbiamo realizzato 40.000 gelaterie in Italia e 70.000 nel mondo, un

esempio di come sviluppare l’industria facendo apprezzare e amare il gelato italiano in tutto il mondo, grazie agli ambasciatori gelatieri. Seby Sorbello presidente Associazione provinciale cuochi etnei, spiega la figura del cuoco. Ha concluso i lavori Francesco Raneri, presidente nazionale Accademia italiana cerimoniale, immagine e comunicazione. In modo brillante ha osservato l’enogastronomia è l’unica che non va in crisi e predilige i giovani che stanno affrontando questo percorso di studio, questa è la scuola del futuro; importante immagine accoglienza e ospitalità

carenti in Sicilia. Affronta il tema dell’immagine che si rappresenta attraverso le cinque “v” che danno una marcia in più visibilità, verbalità, vestibilità, vivibilità, vitalità”; rifacendosi al pensiero socratico spiega “l’uomo ogni giorno deve avere umiltà e lavorare con determinazione per creare rapporti di confronto e collaborazione, ma soprattutto passione per il lavoro”. Sono intervenuti Luigi Napoli dirigente scolastico Ip enogastronomia “S. Pugliatti” Taormina: puntare su eccellenza e selezione per avere più qualità; Fabio Fidotta, il console di Grecia Arturo Bizzarro “il cuoco (μάγειρος) è un mago, un illusionista che trasforma la ricchezza della terra in prelibatezze”; Di Paola Nunzio Santi, Console della Lettonia, “la Lettonia sta imparando guardando noi, portiamo arance e cuochi” Chiara Calì console Malta, propone di imitare i politici maltesi. In chiusura Pino Santangelo, segretario nazionale Aicic, ha consegnato le pergamene dell’Accademia che attestano il titolo di socio onorario a Don Stefano Mario Coco, duca di Maira presidente (ct) Ass. Naz.le Arma Cavalleria, Cavalleggeri Catania 22° regg.to, e a Emilia Scalia Alberghiero “K. Wojtyla”.

Hanno collaborato al raffinato ed elegante pranzo dell’Alberghiero “Karol Wojtyla”, insieme agli allievi, i docenti Galati Alfio, Sapienza Giovanni, Leonardo Francesco, Torrisi Orazio, Sergio Perricelli e Carmelo Bucceri che ha coordinato il cerimoniale; gli assistenti Musumeci Giuseppe, Quattrocchi Salvatore, Patanè Katia e Florio Davide. Durante la manifestazione un parterre ricco di dirigenti scolastici, operatori del settore e istituzioni: Pulvirenti Antonino, Capitano di fregata ufficio stampa Maristaeli, Ten. Col. Filippo Scuderi – 62° Reggimento “Sicilia”. Per lo staff di presidenza Accademia Aicic hanno partecipato: Santo Amarù, Antonio Bordi, Pino Santangelo, Gabriella Buffardeci e Daria Ciccia.

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Preziosi ornamenti del passato in mostra al museo A. Salinas di Palermo d i Ros a Sca lzo

Custodito gelosamente dalla splendida isola di Cipro, immenso dono emerso dalle campagne di scavo promosse da Luigi Palma Cesnola, tra il 1865-1872 - quando fu console a Cipro - ed il 18751876 – deputato dal Metropolitan Museum of Art di New York – ospitato dal Museo Archeologico di Aidone, si articola parte del ‘tesoro di Kourion’ proveniente dal Met, costituito da collane in oro con agata incastonata con grani in cornelia e relativo pendente, con estremità desinenti a testa di leone, con pendente centrale ad ampolla; da coppie di orecchini in oro con rosette e pendenti, a disco con pendenti a testa femminile e a cono; una in elettro con lobi e rosette; un orecchino ad elice terminante a testa di leone ed infine una coppia di pendenti in oro con granati e berilli a protome di delfino collocabili tutti tra il V e il I sec. A.C. Il tesoro confluì quindi nella collezione Cesnola, legata indissolubilmente alla nascita del Met - del quale il console fu Direttore fino al 1904 - che acquistandola concepì l’anima delle proprie raccolte artistiche. Data l’ampia distanza cronologica tra i manufatti, appare difficile

Nelle foto alcuni dei monili in mostra al museo

credere, come invece asserì Cesnola, che questi affiorarono da un unico luogo. Plausibilmente i reperti vennero alla luce da differenti tombe a camera presenti sul sito archeologico di Kourion. Non va dimenticato che in età arcaica e classica, era concesso solo alle divinità il privilegio di essere venerate con tali monili, il loro uso personale non era previsto in quanto una serie di leggi, in vigore nella penisola greca, miravano all’assunzione di una condotta comune avversa ad ogni forma di ostentazione. Tra il IV-III sec a.C mutarono le abitudini praticate sino a quel momento, tant’è che dalle sepolture emersero diversi gioielli, prova di una maggiore diffusione in ambi-

to privato. Dal museo archeologico A. Salinas di Palermo giungono invece un diadema femminile in lamina in argento dorato su supporto in rame con rappresentazione di un corteo dionisiaco, da Prizzi (320300 a.C), in principio innestato su una struttura metallica o in stoffa, corredato da nastri passanti tra i fori visibili alle estremità; orecchini ad elice in oro (seconda metà del IV sec-prima metà del III sec a.C) o a protome di antilope con granati e pendente di collana (III-II sec a.C) da San Basilio; pendenti di orecchino a disco (eroti e uccello) in oro (III-II sec a.C.); infine alcune corone, presumibilmente in origine cucite su delle bende in materiale

pregiato, costituite da foglie disposte simmetricamente, di lamina aurea intagliata (III-II sec a.C) da Tindari e Gela. Esigue notizie sono giunte sino a noi circa l’ uso quotidiano di tali monili in quanto i reperti archeologici rinvenuti provengono principalmente da corredi funerari. Sappiamo che tali corone venivano poste sul capo di uo-

mini e donne defunti, identificandone lo status sociale e simboleggiandone i successi delle battaglie condotte in vita. Invero, ci si avvaleva dei suddetti serti al fine di rendere omaggio a uomini illustri in virtù delle loro capacità in ambito politico, militare, sportivo, letterario o durante una cerimonia nuziale.

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Maggio 2015 - Redazionale

Favor debitoris di Gi ovanni Pas tor e

Da più di un anno le banche stanno cercando di incentivare una giurisprudenza (che era molto scarsa) a loro favorevole su alcuni punti chiave dei processi civili e penali per influenzare gli operatori del settore (per dirla con Gramsci: una delle tante manifestazioni dell’egemonia dei poteri forti). Compito delle persone di buona volontà, di qualunque credo politico o fede religiosa, riteniamo debba essere quello di favorire i debitori contro le vessazioni degli istituti bancari, da qui il nome della ns. rubrica: FAVOR DEBITORIS. L’articolo di oggi è la prosecuzione di quello della scorsa settimana “Nexum, la prigionia per debiti: la manomorta immobiliare delle banche” in cui cerchiamo di dare un quadro morale, filosofico e storico dell’usura bancaria, utilizzando alcuni articoli firmati dall’avv. Biagio Riccio e dal dott. Angelo Santoro pubblicati nel libro: “ISTITUTI DISCREDITO” (la S è intenzionale).

“Le XII Tavole consideravano il nexum come fonte di obbligazione contrattuale. Finchè si trattava di obblighi sorgenti da delitti, la prigionia del debitore nulla aveva in sé di eccessivo e di urtante, ma quando si trattava di obblighi sorgenti da un contratto, in modo particolare il mutuo, essa poteva sembrare e sembrò infatti strumento crudele di dominazione della classe più ricca su quella più povera. Noi sappiamo che la questione dei nexi, cioè dei prigionieri per debiti fu una delle più ardenti nella storia antica di Roma e gli scrittori che ce ne parlano ci dicono che l’abolizione del nexum, che era il negozio mediante il quale tale prigionia si costituiva, per opera della Lex Poetelia Papiria venne salutata come una conquista politica e civile ad un tempo (Giovanni Pacchioni Diritto Romano Utet Torino 1910 paragrafo102 pagina 379). Prima della Lex Poetelia Papiria de nexis era questa la condizione del debitore, avvinto dalla schiavitù del debito. Il debitore era considerato addictus, schiavo del suo creditore, il quale in qualità di dominus poteva anche ucciderlo. Come stabilivano le XII Tavole e come ci racconta Aulo Gellio il creditore, riconosciuto tale per l’addictio magistratuale, teneva in caso il proprio condannato debitore incatenato per 60 giorni: veniva alimentato con una parva quantità di farro. Nell’arco dei 60 giorni doveva essere esposto per tre volte ai comitia (comizi) al cospetto del Pretore, in occasione di tre mercati consecutivi (trinundinum da nundinae, mercati così detti, perché si tenevano ogni nono giorno), proclamando pubblicamente anche la somma dovuta. E’ chiaro che questa esposizione ai mercati aveva la funzione di consentire ad eventuali interessati (familiari ed amici o chi voleva procurarsi uno schiavo) di riscattare il prigioniero, pagando il suo debito. Se trascorsi sessanta giorni nessuno lo avesse riscattato, il creditore poteva venderlo trans Tiberim (al di là del Tevere) agli stranieri (peregre) come schiavo, dal momento che un cittadino romano non poteva a Roma divenire tale.

Ma al creditore era consentito, in alternativa, uccidere il debitore, soprattutto nel caso in cui non era appetibile, per l’età avanzata o per cattive condizioni di salute, al mercato degli schiavi, indetto per gli stranieri. Una norma delle XII Tavole prevedeva le modalità dell’uccisione, in caso di pluralità di creditori: una volta squartato il corpo del debitore i pezzi del cadavere andavano divisi tra i medesimi: poteva servire per la concimazione dei campi. Al gesto si conferiva anche natura sacrale: il debitore infatti non doveva beneficiare, perché il suo corpo era frantumato, della vita ultraterrena. “Dopo il terzo mercato si tagli a pezzi. Se taglieranno di più o di meno non si consideri illecito; Tertiis nundinis partis secanto. Si plus minusve secuerunt, ne fraude esto” (passim: Diritto Privato Romano a cura di Andrea Lovato, Salvatore Puliatti, Laura Solidoro Maruotti, Giappichelli Editore 2014 Torino pagine 53 e seguenti). Dopo la riforma del codice di procedura civile la condizione dei debitori non è cambiata: oggi proprio le Banche costituiscono e rappresentano i crudeli creditori. Si è tornati alla schiavitù del debito, alla sua prigionia: si perdono le proprie case, la dignitase l’onore di persona: non si è più titolari di fatto di alcun diritto, di qualche potere. Si degrada nell’oblio della società: si perdono i diritti: sui iuris. E’ conferito agli stessi creditori il diritto di chiedere le assegnazioni delle case e dei beni posti all’asta: dunque accade che la banca non solo è creditrice e perciò avvia il pignoramento, ma una volta che l’asta declassa per sua stessa struttura il bene, sarà la Banca medesima a divenirne aggiudicataria. In tal modo si costruisce una sorta dimanomorta immobiliare: il patrimonio dei debitori si concentra sempre nelle stesse mani, quelle delle Banche, che nel contempo sono creditori ed assegnatari, in barba alla legge sulla trasparenza ed in dispregio del divieto di conflitto di interessi. La spire del serpente così si av-

volge: la Banca riscrive il suo credito in bilancio, defiscalizzandolo e dunque recuperando o non pagando il carico impositivo: nel contempo diventa essa stessa assegnataria di beni immobili, comprati ad un’asta a prezzi ovviamente irrisori e stracciati. Se del caso affida al cliente interessato, futuro compratore, anche la proponibilità di un mutuo. Guadagna sulla povera gente, i debitori, che hanno subito la spoliazione immobiliare, per una legge del più forte: un codice di procedura civile che ha snellito il processo dell’espropriazione immobiliare, oggi più facile e spedito, per l’affidamento delle vendite forzate a notai ed avvocati, asserviti e speculatori, come sciacalli ed avvoltoi intorno alla corruzione di un cadavere. Almeno per tre volte consegue il profitto: Defiscalizzando il credito e beneficiando di una tassazione agevolata. Comprando all’asta il bene immobile pignorato da sé medesima o facendoselo assegnare a prezzi irrisori. Rivendendolo all’offerente, promettendogli anche un mutuo. La carne del debitore è stata tagliata a pezzi: come avveniva nell’antica Roma: perdere i propri beni e restare in una eterna schiavitù. Siamo al cospetto del processo inverso della Lex Poetelia Papiria de nexis. La legge del più forte è una mannaia devastante: la schiavitù del debito ritorna al nexum: il principio del favor debitoris è definitivamente sepolto. Biagio Riccio e Angelo Santoro

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La pagina delle rubriche

(L’Europa incapace di soluzioni) Cameron, la crisi europea: “e adesso pover’uomo?” Il futuro rischia di Maurizio Ballistreri di contare macerie

“Ci sarà un referendum sul nostro futuro in Europa”: così David Cameron, premier conservatore inglese dopo il trionfo alle recenti elezioni politiche oltremanica, che ha confermato la volontà britannica di uscire dall’Unione europea. Prima di lanciare strali contro il presunto neoisolazionismo inglese, che sottenderebbe un progetto di liberoscambio angloamericano, l’Europa, in particolare i paesi dell’euro egemonizzati da Frau Merkel, faranno

bene ad interrogarsi sul deficit politico ed economico dell’attuale costruzione comunitaria, con le gravi conseguenze prodotte dall’austerity sui livelli di vita dei cittadini del Vecchio Continente. Qualche settimana or sono ha ricordato il premio Nobel per l’Economia Paul Krugman come gli Stati Uniti, dopo la drammatica crisi finanziaria globale del 2008, abbiano con decisione utilizzato i paradigmi keynesiani, iniettando liquidità nel sistema e abbassando i tassi di interessi, generando così domanda per consumi e investimenti che ha stimolato l’economia produttiva e i salari. L’Europa invece, legata al dogma monetarista sotteso all’euro, per contenere i deficit statali e i debiti sovrani ha praticato quell’”austerità espansiva” fondata sul teorema, esemplificato dal ministro delle Finanze tedesco Wolfang Schauble, secondo cui l’austerità conduce alla fiducia e quest’ultima genera crescita. Niente di più fallace! Il risultato

è lo strangolamento dell’economia, la disoccupazione dilagante, la caduta del potere d’acquisto, l’aumento delle tasse, la deflazione e la recessione in molti paesi europei, con la crisi greca quale possibile detonatore di un effetto-domino che porterebbe all’implosione non solo dell’euro ma della stessa Unione, come raccontato da un bel film-documentario di Bill Emmot e Annalisa Piras: “The Great European Disaster Movie”. “E adesso pover’uomo” è il titolo di uno splendido romanzo dello scrittore tedesco Hans Fallada, che racconta le vicende di una famiglia media della Germania alla vigilia dell’avvento del nazismo e potrebbe bene adattarsi alle vicende dei cittadini europei, alle prese con lo spettro di un grande crollo delle istituzioni comunitarie e un futuro incerto, segnato da involuzioni nazionalistiche e autoritarie. Per evitare il baratro serve un’Europa politica che investa sullo sviluppo e il lavoro.

Da la foto della

settimana

di Enzo Trantino E i pompieri dissero agli smarriti proprietari della casa: “Il pericolo è finito. Non ci sarà paura: tutto è sotto controllo”. Solo che la paura sarebbe stata inutile in quanto il “controllo su tutto” coincideva con l’inventario delle macerie. Il tutto cioè era il nulla rimasto. Purtroppo si irrobustisce una preoccupazione: ignorando il drammatico deficit di competitività, i responsabili della governance europea si fermano a constatare eventuali piccoli miglioramenti, evitando di indagare sulle cause che hanno determinato origine e sviluppo. Cioè anche la malattia di evidente diagnosi è diventata “rara”, così fornendo alibi agli incapaci, perché i padri insegnavano che “all’impossibile nessuno è tenuto”. Quindi se non c’è cura è inutile prendersela con i medici… curanti… Si ripete la commedia: “non potendo aumentare i salari si è moltiplicato il debito” (lo scrive, senza compiacersene ovviamente, Aldo Cazzullo). Considerare che le pensioni dei quarantenni di oggi “saranno a malapena contributo alla sopravvivenza” non è una realtà congiunturale ma biblica. L’appuntamento non maturerà tra qualche secolo (come avviene per il destino dei ghiacciai), ma tra poco più di due decenni. Quindi senza catastrofismi, sarà apocalisse. Il cittadino medio chiede almeno progetti di soluzioni. Il politico europeo di governo, oramai è un parolaio strabico. Parolaio per le troppe frasi fatte, insulse e protestate dai fatti. Strabico, perché si rivolge sempre a un punto fisso: mamma Germania. Sembra uno schema psichiatrico: innovando Manzoni contiamo solo sulla protezione della “contessa zia”, e, intanto, si bruciano generazioni che, abbandonate a se stesse, deresponsabilizzate persino dalla speranza, si comprano divisa nera con cappuccio d’ordinanza e partono in branco per la grande spedizione, orgogliosi del programma molto costruttivo: “sfasciare tutto” (ultima fermata l’Expo di Milano). (Il mio barbiere, avido di conoscenze, mi chiedeva: “ma i soldi delle trasferte, dell’abbigliamento e dell’armamento chi li versa e a chi? Non sarebbe, una traccia per tagliare la testa al serpente?). Lasciandolo senza soddisfacente risposta, rattrista (socialmente ed esistenzialmente) una amarissima considerazione: nessuno in Europa teme che il futuro, quello prossimo venturo, rischia di contare macerie? Ci consoliamo con i pompieri: “Tutto è sotto controllo?”… Ci fidiamo dell’assicurazione di Renzi al pugnalando Enrico Letta: “stai sereno”?

Liceo statale “G. Lombardo Radice” Via Imperia, 21 - Catania Con l’Europa investiamo nel vostro futuro! 19 Vespri 21.indd 19

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Maggio 2015 - Spettacolo

Quando la danza incontra il mito d i L e lla Ba t t ia t o

Spettacolo toccante racconto di follia che cura, al teatro “Ambasciatori” di Catania, con un nuovo appuntamento carico di echi storici e drammaticità: “La Zattera della Medusa”, terzo appuntamento della Stagione di Danza, avvolto da una musica esponenziale che genera evocativi segnali linguistici, riempiendo tasselli di vita dello spettatore a forma di note, c’è una messe di vibrante parola poetica e poesia mimetica nella danza del regista Claudio Mantegna. Ma di tutto e di tutti, col verso di Ungaretti “Mi illumino di immenso” e da solo sembra essere il manifesto ribaldo e dolente di una composizione spettacolare che vuole essere una tappa di un percorso già fortemente catturante. Alexandre Corréard, ingegnere geografico sopravvissuto al naufragio, per denunciare l’accaduto scrisse il libro “Il naufragio della Medusa”, il resoconto di un naufragio non solo marino ma soprattutto etico. E’ lui a raccontare la vicenda a Théodore Géricault, autore del celebre dipinto “La zattera della Medusa”, e risorge in scena come con visibile complicità per riportare la tragedia durante lo spettacolo. La storia della Zattera sembra trovare negli anni che stiamo vivendo un parallelismo perfetto che la porta a essere letta non come il resoconto di una cronaca del XIX secolo ma come la feroce e visionaria anticipazione del nostro presente che vive

Un momento della rappresentazione

il vento della distruzione. “Ecco la scelta di un’ambientazione scenografica e visiva asettica, come sottolinea il regista Mantegna che lascia spazio alla fantasia dello spettatore, offrendogli l’opportunità di collocare, fisicamente e temporalmente, la storia. Un balletto che mette in forte contrasto la luce del primo atto con la penombra del secondo, il candore della speranza con la carnalità del dramma”. I danzatori in modo accattivante e distante riscrivono gi spazi di un mito per riscoprire l’anima dell’uomo attraverso l’esperienza estetica del sublime, massaggiando la psiche, che diventa immagine una sorta, di materialità Mundus immaginalis attraverso il fil rouge del mistero della vita umana “l’Uomo è

molti” per rieducarsi ad una visione politeistica della vita e dell’anima rispettosa della complessità, così la danza ci riporta all’armonia tra le parti. In questo tempo prezioso della danza che crea una sinfonia poetica, mentre i danzatori accennano pas-dedeux “liquidi” e spesso afflitti dal “nostos” di una comunicazione interrotta. Ecco che l’abile regia di Mantegna li muove “protetti dallo schermo” che ne riconsegna l’anima per farli venire allo scoperto, in un proscenio corale. Atmosfera bretoniana surrealista che lavora sulla “toilette” del gesto, rinomina lo spazio, ne diventa padrone pre-potente in sinergia tra braccia volto e busto del gruppo allegorico danzante. Imposible escriber poemas, e i danzatori si mimetizzano

sempre in maniera eccentrica con aperti interrogativi incontrando il consenso del pubblico, mostrando una storia straordinariamente vitale e al passo con i tempi. Come sottolinea lo spettatore testimone Ivano Testa “l’accaduto ha una tradizione artistico-letteraria; filtrato dall’occhio e dal pennello di Theodore Gericault che ha turbato le nostre coscienze per secoli, sollevato la scrupolosa attenzione dei più illustri storiografi, sino a rinascere oggi mediante l’appropriazione del racconto magistralmente condotta dalla Blueverse. Attingendo non solo agli squarci del dipinto e alle sue genialità prospettiche, ma anche alla cronaca che è testimonianza della crudezza del reale”. Testa ammiratore sperimentale,

nonché innovatore charmant evidenzia “tramite espedienti scenografici avanguardistici - come videoproiezioni 3d, scene multiprospettiche su diversi piani che rasentano l’illusionismo, giochi sonori creati in Dolby Digital Surround e di luci, sino alla frantumazione della quarta parete con l’ingresso dei ballerini in platea”. Una pièce caratterizzata da costumi minimal che esaltano la purezza del nudo, della corporeità plastica e dell’essenzialità, attraverso una scenografia quasi magica, che rende “il mito della Medusa” universale ed immortale. Blueverse si apre all’infinito attraverso il canto dei pianeti nell’irriducibilità della perfezione per ri-mobilitare la cultura e Testa ci orienta con il suo linguaggio danzato esclamando “Il finale chiude la ring composition della trama sapientemente studiata che finisce come inizia: un finale in sordina che induce alla riflessione sulla tragicità del contemporaneo, poiché il mito si riallaccia ai piccoli drammi del quotidiano e si fa viva voce di tutte le Concordie arenate in mare, di tutti i morti emigrati e di ogni superstite disperato divenendo di queste storie paradigma inestinguibile e ricordo protratto in eterno”. Grande evento atteso per il gala di chiusura della stagione di danza 2014-2015 della Blueverse Dance Company, giorno 29 maggio ore 21.00 al teatro Ambasciatori, ospiti d’onore Isabelle Ciaravola ed Hervé Moreau Etoile dell’Opera Parigi.

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Maggio 2015 - Spettacolo

Carmina Burana, il Medioevo riscoperto da Orff d i Al d o Ma t t ina E’ una delle pagine moderne (se tale si può ancora definire una composizione del 1937) più rappresentate. La sua popolarità non è mai venuta meno fin dal suo primo apparire, sia nella sua originaria forma scenica (innumerevoli sono state le coreografie) sia nella più usuale versione sinfonico-corale. Stiamo parlando dei “Carmina Burana” di Carl Orff, dal lunghissimo sottotitolo latino “Cantiones profanae cantoribus….”, eseguiti al Teatro Massimo Bellini quasi a conclusione della stagione sinfonica 2014-15; dell’ultimo concerto, il recital del celebre pianista Kristian Zimerman previsto per il 28 maggio non si hanno, infatti, notizie certe. La celebre composizione del compositore bavarese, ispirata ai canti dei clerici vaganti riportati in un manoscritto medievale dei secoli XI e XII, articolata in 25

numeri divisi in tre parti, prevede un organico di grandi dimensioni che ben si presta alla scrittura ritmicamente accesa, quasi barbarica nella sua veemenza, fatte salve alcune ‘oasi’ di pace destinate alla contemplazione della natura primaverile e agli spasimi d’amore. Orchestra con grande apparato di percussioni, tre solisti di canto, doppio coro (uno di voci bianche) e due pianoforti hanno viste impegnate le masse stabili del Bellini dirette da Alevtina Ioffe, musicista ben nota al pubblico

Alevtina Ioffe catanese per diverse precedenti esibizioni. La Ioffe ha impresso alla sua conduzione una visione quasi ieratica con una dilatazione dei tempi che ci è parsa francamente eccessiva; ne è conseguita

una scansione ritmica perseguita con lucida ostinazione. L’orchestra l’ha naturalmente seguita, e con attenzione, in questa sua visione, magari forzando a volte colori e segnali agogici e sottoponendo il coro (istruito da Ross Craigmile) ad un difficile lavoro sui volumi per evitare di essere sommerso dal torrente sonoro. Anche il Coro di voci bianche ‘Gaudeamus Igitur Concentus’, istruito da Elisa Poidomani, non ha avuto vita facile. Fondamentale e puntuale l’in-

tervento delle tre voci soliste, il baritono Salvatore Todaro, spavaldo, gioioso e ben tornito di suoni nell’esprimere il ‘gaudio’ e i ‘sollazzi’ da osteria, il soprano Manuela Cucuccio che ha risolto con eleganza di fraseggio e sicurezza negli acuti le difficoltà dell’impervia scrittura e il controtenore Riccardo Angelo Strano, il più svantaggiato da una ingrata tessitura che gli impediva di emergere compiutamente, pur mostrando il rigore della formazione belcantistica. I due pianisti, infine, Sebastiano Spina e Paola Selvaggio (almeno immagino, anche se in locandina non sono riportati i loro nomi), posizionati insieme ai professori d’orchestra nel golfo mistico svolgevano con discrezione e professionalità il loro compito. Il pubblico ha tributato grande entusiasmo, per una partitura che colpisce sempre nel segno. Immancabile il bis finale di ‘O Fortuna’.

La Messa di Bellini nella Notte europea dei musei Doppio omaggio a Vincenzo Bellini nella giornata che celebra la “Notte Europea dei Musei”. Nella chiesa di S.Francesco Borgia in via Crociferi è stata presentata la nuovissima “app” per tablet e smartphone che illustra in sette tappe i luoghi catanesi del suo Cigno, dalla casa natale al complesso monumentale fino alla chiesa dove Bellini fu battezzato quella, appunto, di S.Francesco Borgia. L’iniziativa, denominata “Bellini nella città di Bellini” è opera dell’università di Catania in sinergia con la Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di Catania diretta da Fulvio Caffo. Sono stati i tre docenti curatori del progetto ad illustrarla in anteprima al pubblico convenuto: Giovanni Gallo, docente di informatica all’Università di Catania, Maria Rosa De Luca e Graziella Seminara docenti nel dipartimento di scienze umanistiche dello stesso ateneo. Alla fine della presentazione è stata la musica di Bellini a diventare protagonista; è sta-

Due momenti dello spettacolo ta infatti eseguita la ‘Messa in sol minore’ per soli, coro e orchestra. Protagonisti i complessi del teatro Massimo ‘Bellini’ diretti da Giovanni Ferrauto, artista di spicco nell’ambiente musicale catanese, compositore e direttore d’orchestra e di coro, docente di composizione presso il locale conservatorio. I solisti di canto (anch’essi validi artisti della nostra città) erano il soprano Piera Bivona, il contralto Patrizia Perricone, il tenore Filippo Piccolo ed il basso Daniele

Bartolini; maestro del coro Ross Craigmile. Sono quattro le messe di Bellini giunte fino a noi; tra esse quella in sol minore fu scritta probabilmente alla fine del percorso formativo del musicista presso il conservatorio di Napoli (nel 1825) e, come le altre, appartiene al genere delle cosiddette ‘messe di Gloria’, in cui soltanto il Kyrie ed il Gloria dell’Ordinarium venivano musicati. E’ una composizione decisamente più matura dalla precedente in la

minore (composta almeno quattro anni prima), stilisticamente ben definita nella peculiarità del repertorio sacro, pur indulgendo in alcuni numeri al genere teatrale che, di lì a poco avrebbe reso celebre il compositore catanese. Intensa ed emozionante, la direzione di Ferrauto ha impresso una tensione emotiva commovente all’esecuzione, segno di uno scavo profondo della partitura belliniana; orchestra e coro hanno risposto in modo esem-

plare rivelando ancora una volta tutto l’amore che li lega al Cigno catanese. Encomiabile anche la prova dei solisti di canto, a dimostrazione dell’alto livello professionale che la città di Catania esprime nel pur tormentato e bistrattato ambiente musicale. Pubblico entusiasta al termine della prova e richiesta di bis prontamente esaudita con la ripetizione di uno stralcio della Messa, il centrale e culminante terzetto “Qui tollis”. A. M.

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Il libro della settimana Sette racconti ambientati in Sicilia dalla penna di Mariella Di Mauro di Giovanni Vecchio

Antonio Nacca – E’ a proposito di storie allucinanti nello sport italico sentite questa. Antonio Nacca, 92 anni, ex maresciallo della Benemerita, la cui attività sportiva viene stoppata dai giudici: “è troppo vecchio” – ma lui ha una fibra dura: nel 2014 ha battuto tre record del mondo in tre giorni ai campionati master di ancona sugli 800, 1500 e 3000 metri! 7 – un grande! Gianfranco Fini – Ormai l’ex leader di Alleanza Nazionale ed ex vicepremier al tempo di Berlusconi è come Calimero: nessuno lo vuole! Gianfranco Fini ha chiesto la semplice iscrizione alla Fondazione che amministra il patrimonio del suo ex partito, An. Richiesta respinta. La maggioranza degli iscritti lo accusa di “indegnità morale”. 0 – Calimero

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Felice Belloli - Presidente della Lega Nazionale Dilettanti e degno successore di Carlo Tavecchio, in occasione del consiglio direttivo del dipartimento del calcio femminile, ha detto: “Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche...” 0 – inqualificabile e, perciò, da squalificare: a casa!

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Vincenzo De Luca - “Ci sono state candidature inopportune dal punto di vista politico, non ho potuto verificare tutto”, “Quei nomi sono stati messi in una lista marginale alle due di notte del primo maggio. Io non ne sapevo nulla... insomma, non votate i miei impresentabili”. Ormai il candidato alla presidenza della Regione Campania, anche a seguito dell’esilarante imitazione di Maurizio Crozza, sta arrivando ai livelli di…..Antonio Razzi. 3 – comico Gerardo Bevilacqua – E a proposito di comicità sentite questa. È diventato virale in rete un video nel quale il candidato sindaco di Cerignola, Gerardo Bevilacqua, sferra un sonoro ceffone ad un giovane al termine di una cena elettorale in un ristorante. Bevilacqua, non contento dello schiaffo dato, molla al giovane un calcio, afferra una sedia che scaglia prima e lancia dopo contro il malcapitato che cerca inutilmente di evitare i colpi. Sullo sfondo si sentono voci di alcuni presenti che incitano l’aggressore dicendo in dialetto: “Dalle, dalle”. Bevilacqua ha spiegato che la vittima dell’aggressione “ha sbagliato nei miei confronti e di tutta la gente che ieri sera è venuta al ristorante, perché io ho incaricato lui dell’organizzazione della serata con un menù da 15 euro a persona. I soldi se li è messi in tasca lui e la gente non ha mangiato niente...” 1 – comico…e tragico!

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di S par tacus

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Silvio Berlusconi – Parlando ai ragazzi di “Azzurra Libertà“, l’ex Cavaliere ha detto: “Sono molto preoccupato dal futuro che vi aspetta in questo Paese. Ripenso alla mia giovinezza: ho cominciato da piccolissimo, mungendo le mucche in una fattoria di paese...”. C’è poco da dire, è sempre Zelig! 2 – uomo della favole

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I nostri voti

ed impone il suo volere: anche in questo caso è la donna a subirne le conseguenze, anche se gli “sgarbi maschili” vengono lavati persino col sangue. Altro vissuto femminile, fatto di paura e allucinazioni, è quello di Claudia in “La luce di Natale”, che fa scorgere un “matriarcato occulto”. Molto azzeccato l’accostamento tra luce e tenebre, che simboleggia la vita interiore. Profondamente delicato il racconto “L’amore consapevole” che vede come protagonisti un giovane prete, don Luigi, e l’animo sconvolto di Rita. Finalmente, dopo tanta letteratura infarcita di scandalismi e superficialità, l’autrice ci presenta con garbo e rara sensibilità la vicende di un amore “impossibile”, superato dal un senso profondo della missione sacerdotale di aiuto. La catanese Martina dell’omonimo racconto rappresenta la donna “innamorata dell’amore” che non trova nell’uomo un riscontro credibile a questo intenso sentimento. Sinceramente ci ha affascinato l’ultima storia ambientata a Marzamemi, dove Marisa cerca di ritrovare se stessa dopo un’atroce delusione amorosa. Bellissimo il contesto ed efficace l’esito della vicenda tra reale e surreale. L’autrice, nella breve introduzione a questa storia denominata “Non ancora”, si chiede: “Quanto ancora le donne dovranno dare valore a se stesse in nome di un amore sofferto? Amare non significa impossessarsi di un altro per arricchire se stesso, bensì donarsi ad un altro per arricchirlo”. In effetti il leitmotiv di tutta l’opera è la specificità dell’animo femminile, sensibile più che mai ai legami affettivi e tante volte vittima di eccesso di “proiezione” psicologica, che lacera l’anima, oppure bersaglio di ataviche forme di sopraffazione, alle quali cercare un qualche rimedio per sopravvivere.

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“Storie di ordinaria borghesia” di Mariella Di Mauro (Carthago, Acireale 2013) raccoglie sette racconti brevi, ma intensi, della scrittrice e giornalista acese, capaci di lasciare traccia nella memoria del lettore perché in essi, pur nella varietà delle situazioni e dei personaggi, vibra un’umanità concreta fatta di sentimenti mai vaghi perché inseriti in un contesto storico-ambientale, delineato con alcune “pennellate” davvero efficaci. Gli accadimenti sono collocati sempre in Sicilia, seppure in tempi storici diversi, forse perché nell’isola si compendiano in modo paradigmatico nell’ordinarietà i vissuti di una borghesia intesa, come afferma nella prefazione Susanna Basile, a ”mantenere una parvenza di augusta cortesia, in luogo di un’autentica ipocrisia”. Lo sfondo, oltre ad Acireale, annovera di volta in volta Catania, Motta Camastra, Marzamemi, e in tutte queste località si manifestano i luoghi dell’anima, alla ricerca di un’identità autentica, spesso frustrata da una sorte segnata socialmente ed antropologicamente. “La follia del carnevale” è la prima storia che descrive con tocco leggero e convincente un ritorno di fiamma, che è agevolato dal gioco, momento liberatorio rispetto alla “normalità” in agguato. “La ragazza di Vincenzo” ci porta, invece, verso le dimensioni profonde dell’animo femminile, inesorabilmente forse vincolato agli affetti espressi e mortificati. “Nella mente e nel cuore” ci immerge in un dramma, quello della giovane Nunzia, che viene raccontato con rara capacità di toni e caratterizzazioni socio-culturali molto calzanti, che presentano un modello di comportamento d’epoca fortemente maschilista e dominato da chi detiene il potere legale o di fatto in un dato territorio

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Giochi matematici a cura di M a ssi m i l i a n o C a l a n d r i n o

L’acquario mezzo pieno e mezzo vuoto Un acquario pieno di acqua sino al bordo pesa 600 kg. Quando é meta’ vuoto il medesimo acquario pesa 400 kg. Qual é il peso dell’acquario vuoto?

Giorni passati

Che giorno era il 13 Maggio 1647 ?

Trasloco

Giovanni deve fare il trasloco dei mobili dalla vecchia casa alla nuova casa. La ditta A gli garantisce il lavoro in 8 ore. La ditta B e la ditta A, insieme, farebbero il lavoro in 6 ore. Quante ore impiegherebbe la ditta B, da sola, per fare il trasloco?

Soluzioni dei giochi pubblicati sullo scorso numero Virus: 7 giorni; Tredici: 91; Numeri a 3 cifre: 135

Il film consigliato

Le soluzioni sul prossimo numero

La finestra sul mondo

Youth - La giovinezza

E’ tempo di dire basta anche al terrorismo alimentare

Un film di Paolo Sorrentino. Con Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda

di Danila Intelisano

Paolo Sorrentino torna con Youth - La giovinezza, un film altisonante, contemplativo e onirico, ma soprattutto dal respiro rarefatto come mai prima d’ora, a interrogarsi sulle possibili declinazioni che la giovinezza, e insieme con essa la creatività, concepita come stato mentale illibato, vergine e possibilista dell’esistenza, assume per una generazione di donne e uomini colti in diversi periodi della vita. D’altronde di prospettive, in Youth, ce ne sono tante. Quelle più drammaticamente decadenti, specialmente per una questione anagrafica, sono incarnate dal personaggio del direttore d’orchestra Fred Ballinger (Micheal Caine), apatico ottantenne, stanco della vita e forse anche della musica e da Mick Boyle (Harvey Keitel), mentre l’età di mezzo vive negli aforismi di Leda Ballinger (Rachel Weisz) e dell’attore silenzioso e senza nome interpretato da Paul Dano. Attraverso tutti questi caratteri, insieme a molti altri, gli ospiti dell’albergo di lusso che aleggiano come presenze a volte pacificatorie, altre demoniache, altre volte semplicemente come virtuosismi perfettamente riusciti, il regista napoletano costruisce un film nel quale sentimenti come malinconia e contemplazione pervadono non solo i dialoghi e le storie personali dei personaggi, ma anche lo stile visivo e tutto ciò che nel film parla, respira e agisce con un’unica immensa fluidità alla quale ci ha abituato (bene) il regista partenopeo. Probabilmente Youth, più che un’innovazione, rappresenta una consacrazione ferma della mano sorrentiniana, che, trovati i propri punti saldi dal punto di vista registico, sequenze perfettamente girate e magniloquenti, equilibrio dell’elemento carnale con quello squisitamente poetico e tematico, rimpianto e lucidità, amore e morte, creatività e apatia, si prende in questo film post-Oscar anche la possibilità di sperimentare con la fissità dell’ambientazione, e con un argomento, quello prettamente senile, al quale si giustifica tutto, persino un’estrema lentezza. In virtù di un coraggioso tentativo, più che riuscito, di fare l’arte per l’arte, slegandosi da qualunque obbligo narrativo e insieme didattico, come sentiamo ripetere nel film dal laconico Fred Ballinger, un personaggio che avrebbe potuto essere interpretato da Toni Servillo.

Le patate sono cancerogene, ma state tranquilli, solo quelle al forno o fritte, almeno così asserisce una dietologa di fama in un’intervista ad uno dei nostri più famosi quotidiani nazionali. Mezzi di informazione, medici, dietologi, pubblicità, con la regia occulta dei potentati economici, ci invogliano perennemente all’uso o all’emarginazione periodica di alcuni cibi. Sono i buoni samaritani che vogliono salvarci dalle peggiori malattie, indicando i prodotti e i modi di cottura “sani”. Si chiama terrorismo alimentare, che aumenta la debolezza psicologica ed emotiva del consumatore. Ma noi lo sappiamo che siete birichini e, non potendo competere con le caratteristiche organolettiche dei prodotti naturali o con i modi di cottura naturali, avete demonizzato, per esempio, la cottura col forno a legna o l’uso della ricotta in fascella. Una giusta punizione per chi snobba il potere economico delle multinazionali alimentari. E poi, per depistarci e controllarci ancora meglio, avete studiato una divulgazione ossessiva sulle malattie; un bersagliamento continuo sulla vita quotidiana e sulla libertà di vivere e di morire. I miei nonni hanno mangiato patate al forno in abbondanza per una vita e sono vissuti alla grande e molto a lungo, miei cari dietologi che avete messo sotto accusa formaggio, olio di palma e prodotti che ieri andavano alla grande e oggi sprigionano, a vostro dire, sostanze cancerogene micidiali. Siamo tutti potenziali malati o vogliono farcelo credere con una informazione allarmante e minacciosa? Forse si potrebbe sistemare la situazione emulando i saggi nonnini: mangiare un po’ di tutto, persino le buone fritture, ma tutto con parsimonia. E magari, in funzione preventiva antitumorale, non sarebbe male poter evitare di respirare il benzene nell’aria e mangiare qualche hamburger liofilizzato in meno. A proposito, sotto accusa sono anche le melanzane fritte. E allora sapete che vi dico? Io seguo il mio amico Cosmo e domenica, pasta alla Norma con una gustosa coperta di ricotta salata sopra.

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