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gior ni di Cronaca, Politica, Spor t e Cultura

N. 17 anno X - 2 maggio 2015 - € 1,00 ISSN 1974-2932 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abb. Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, Dr/CBPA - Catania

Dichiarare guerra ai trafficanti di uomini di Nunzia Scalzo e Fabio Tracuzzi La catastrofe umanitaria che negli ultimi anni ha fatto del Mediterraneo un cimitero d’acqua è conseguenza di politiche europee cieche, becere, irresponsabili, menefreghiste che hanno come obiettivo le chiacchiera fine a se stessa e il cordoglio di circostanza. La grande madre Europa, è tale solo quando ci sono da stilare i budget economici sulla pelle dei sui figli, ma se ne infischia totalmente delle condizioni in cui versano gli Stati (Italia e Grecia) che di essa sono confini. I morti in mare si contano: mille, duemila, tremila non siamo in grado di dare cifre né noi né nessun altro, nessuno è in grado di farlo, mentre si sa che un milione di persone sono pronte a imbarcarsi su mezzi di fortuna e carrette di morte, che pagano prezzi salatissimi e viaggiano in condizioni che neppure per gli animali sono dignitose. Ostinarsi a proteggere questi viaggi e non fare nulla per impedirli è essere complici di scafisti e mercanti di morte. E questo sì si chiama razzismo. Le nazione unite avrebbero scoperto l’uovo di colombo individuando nella possibilità di bombardare le barche vuote ma pronte a partire o ferme nei porti. Come al solito le polemiche si sprecano. Eppure tutti i servizi segreti di Europa, compresi i nostri, sanno perfettamente continua a pag 8

Giarre

Catania

Mancano dalle casse 5 milioni di euro

E Bianco già pensa alla poltrona di Crocetta

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Africa, Sicilia, Europa, cronache del fallimento d d i Maria de lo s Angeles Ga rcia Il mediterraneo mare di morte - Le cronache internazionali di queste ultime settimane hanno cambiato la storia. Il primo trauma irreversibile è stato rappresentato dalla vista, raccapricciante, della onde del Mediterraneo rosse del sangue dei cristiani decapitati sul bagnasciuga africano dai terroristi dell’Isis. Poi, la risacca dei nostri tramonti primaverili ha portato fino a noi l’eco dello strazio e del dolore di centinaia, migliaia di persone inghiottite dalle onde nel disperato tentativo di fuggire da un teatro di guerra, di fame e di terrore. Nulla: non gli stenti del viaggio, o la violenza dei mercanti di vite umane; non la paura del mare che moltissimi non hanno mai visto prima, o la furia delle onde. Non il terrore della morte, né l’incognita di un futuro senza alcuna certezza. Nulla riesce a neanche a rallentare la sempre più imponente migrazione dal sud al nord del mondo. La rivoluzione dei gelsomini, che è scoppiata nel 2010 in Tunisia, ha rapidamente coinvolto Libia, Marocco ed Egitto, ha mandato in frantumi tutti i governi più o meno dittatoriali del nord Africa. Ma ha anche causato lutti, macerie e distruzioni. Una situazione di instabilità politica e sociale che, con un gigantesco effetto “domino”, si è saldata con tutte le situazioni di crisi che caratterizzano tutte le zone confinanti: dallo storico conflitto mediorientale tra israeliani e palestinesi, fino all’esplosiva situazione siriana e alla crisi irakena da una parte. Alla guerriglia di Boku Aram e agli stermini nigeriani dall’altra. Solo per citare le situazioni in cui sono in corso veri e propri conflitti armati. Ma l’Africa è un continente in fiamme. Così come l’intero medio oriente. E buona parte del continente asiatico, dal Caucaso agli Urali. E interi popoli si sono messi in cammino, in cerca di un futuro migliore. Una massa enorme di persone in cammino, su cui la falce della morte miete ogni giorno,

Era un mare di pace, il Mediterraneo, ma all’alba del secondo millennio tutto è cambiato, certificando il crollo di ogni certezza religiosa, ideologica, politica e geografica ogni notte, un enorme raccolto di ignare, indifese, vite umane. Senza risparmiare, anzi colpendo per primi, donne, anziani, bambini. Un orrore. Una mostruosità. Che descrive, senza bisogno di alcun approfondimento, tutta l’inadeguatezza della policy mondiale. Dinanzi a una emergenza sociale, politica, umanitaria di queste dimensioni, nessun livello di rappresentanza è stato all’altezza del suo mandato civile. Vorrei dirlo con parole appropriate e senza lasciare spazio a dubbi: la politica, in tutte le sue espressioni, in questa circostanza sta dimostrando la sua mancanza di civiltà. Senza “se” e senza “ma”. La centralità della Sicilia - Cosa c’entra,comunque, la Sicilia e la politica siciliana in tutto questo? Ai nostri pochi, ma attenti lettori, non sarà sfuggito il fatto che la Sicilia – insieme a Malta, per verità – è esattamente al centro del Mediterraneo. Oggi assistiamo agli sterili strepiti di un governatore, che pur di ottenere un “passaggio” in tv, arriva a chiedere una riunione del Consiglio europeo in Sicilia. Richiesta che nessuno, neanche per un attimo, ha preso in considerazione. Eppure la Sicilia è stata, fino ai nostri giorni, una sorta di pietra miliare su cui le civiltà, tutte le civiltà, nei secoli, hanno lasciato abbondanti tracce del loro passaggio. E da cui, fin dalla notte dei tempi, s’è irradiata la luce, il

faro della civiltà, dell’accoglienza, dell’amicizia tra i popoli. Possibile che ci siamo ridotti ad essere il cimitero dei diseredati del mondo? Le bianche pietre dei templi, dei teatri, delle città, opere degli esuli greci che si sono spinti fin sulle nostre coste per fondare – nella notte dei secoli – le loro prosperose colonie, raccontano altre storie, altre epopee. Molto più nobili e cavalleresche. Le vestigia della presenza romana, maestose e austere, riportano alla memoria i fasti, le ricchezze, l’influenza economica e politica di quello che fu il granaio di Roma. Una influenza economica e politica superata e “coperta”, solo dai segni dell’arrivo, fino alle nostre latitudini, dalla civiltà normanna, che raggiunge il suo culmine durante il regno di Federico secondo, “stupor mundi”, il coltissimo e raffinatissimo l’imperatore che venne istruito, per primo, da un precettore arabo. Il Mediterraneo mare di pace - E accadde proprio nel 1139, all’alba della civiltà moderna, che uno scienziato arabo, Al Idrissi, giunse a Palermo, alla corte di Ruggero secondo il normanno, re di Sicilia Puglia e Calabria. Qui, per il suo signore disegnò il mar Mediterraneo come lo vedeva: al contrario, con le coste dell’Africa in alto, al posto del nord geografico. Con la Sicilia al centro della carta, proprio a raffigurarne graficamente – e con una eleganza culturale raffinatissima - la grandezza politica,

economica, culturale. Passarono i secoli e mentre l’Italia dei Comuni cercava il suo assetto politico e sociale, all’interno del “lago mediterraneo” come gli americani chiamano il nostro mare chiuso tra il canale di Suez, lo stretto dei Dardanelli e quello di Gibilterra, si viveva un’altra epopea, quella dei popoli del Mediterraneo. Qui, al mutamento degli equilibri politici ed economici, mutavano anche i rapporti di forza e si stravolgevano i rapporti economici. Generando, come è superficialmente scritto nei libri di storia, incomprensioni e nuove povertà. Nel tempo, infatti, i collaudati rapporti commerciali che legavano da secoli i popoli della MagnaGrecia, si intrecciarono con nuovi egoismi e grandi avidità, che la storia ufficiale definisce “interessi coloniali”. Accadde così che le rotte storicamente seguite da pescatori e commercianti, cominciarono ad essere attraversate, incrociate, da quelle di guerrieri in armi e dalle scorrerie di pirati, corsari e avventurieri di ogni sorta. Prodromi e postumi di una cultura e di una politica “coloniale” dura a morire. Il processo di Barcellona - Ma la voglia di pace e di cooperazione, alla fine, sembrava prevalere su tutto. Al punto che nel 1995 Javier Solana, all’epoca ministro degli esteri spagnolo, riuscì a riunire, a Barcellona, i capi di stato dei 15 paesi che allora facevano parte dell’Unione europea, insie-

me a 12 capi di governo africani e mediorientali. Per superare fraintendimenti e le incomprensioni che avevano caratterizzato i rapporti internazionali in tutta l’area. Fu l’atto di avvio di quello che è passato alla storia come il processo di Barcellona, che attraverso riunioni annuali, intendeva raggiungere tre precisi obiettivi: uno politico, il raggiungimento di una politica di stabilità e sicurezza; uno economico, con la firma di cacordi bilaterali tra l’unione europea e ogni stato rivierasco per istituire, nel 2010, una zona mediterranea di libero scambio; uno culturale, attraverso la creazione di nuove università “mediterranee” luogo di scambio e di incontro interculturale. Nel 2006 Nikolas Sarkozy vinse le elezioni – a Parigi - e divenne Presidente della Repubblica di Francia, con una campagna elettorale giocata tutta sui temi dell’Euromediterraneo e sulle aspettative di pace e prosperità offerte dalla prospettiva dell’area di libero scambio da attivare nel 2010. E forte di questo successo personale, sarkozy chiese e ottenne per la Francia la presidenza e la sede della Unione per il Mediterraneo, il nuovo organismo sovranazionale a cui l’Unione europea ha affidato il mandato di dar corpo alle politiche euro mediterranee. La guerra “americana” - Peccato che sia stato proprio Nikolas Sarkozy, proprio nel 2010, a dar fuoco alle polveri della rivoluzione araba. A fianco del superpoliziotto mondiale, Barak Obama, premio nobel della pace, Sarkozy ha portato la guerra fino in casa nostra. E’ stato lui – infatti – a dare l’ordine di far fuoco sui palazzi del governo, in Libia, ai suoi potentissimi aerei da combattimento. E’ stato lui a trascinare, con ogni mezzo, in guerra contro la Libia mezza Europa, Italia compresa. Ufficialmente per evitare che l’esercito libico scatenasse la violenza dell’esercito contro la folla disarmata.

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to di una civiltà: il Mediterraneo mare di morte Una scelta che era mirata – si capì immediatamente dopo – a posizionare le multinazionali di stato al controllo dei pozzi di petrolio più ricchi della regione. Per paura, forse, che cadessero in mano agli integralisti islamici. Le cronache della guerra civile che ancora squassa l’Africa settentrionale, senza alcun altro commento, spiegano da sole e con chiarezza, quanto quella scelta fosse militarmente e politicamente sbagliata. E quanto stia pesando sulla storia del nuovo millennio. Altro che area di libero scambio! Altro che pace e sicurezza! Altro che prosperità e cultura! La guerra “americana” di Nikolas Sarkozy è costata milioni di morti. Ha provocato devastazioni apocalittiche. E’ causa del – forse comprensibile – rancore degli integralisti musulmani contro l’Occidente invasore. E’ alla base della furia iconoclasta contro ogni vestigia culturale “estranea” alla storia e alla civiltà araba. E’ stata la miccia che ha fatto detonare il più vasto e sterminato movimento migratorio dell’umanità. E’ diventato uno degli innegabili elementi di decadimento economico e sociale del sud Europa. Che fine ha fatto la politica euro mediterranea? E chi parla più dell’area di libero scambio? Che ne è delle università “mediterranee”? E della pace, dello sviluppo, della cooperazione bilaterale o multilaterale? Nessuno. Anche perché chi avrebbe titolo per prendere parola: Grecia, Italia, Spagna, è sotto il ricatto economico di Germania e Francia che – toh! – sono le uniche ad aver lucrato durante gli anni della crisi della finanza mondiale partita anche quella, guarda caso, dagli Usa. Ecco perché oggi l’Europa si occupa solo di banche, assicurazioni. E anche di trattati di libero scambio sì, ma con gli Stati Uniti. Pensate un pò che caso… Una crisi finanziaria e una guerra hanno cambiato le priorità e gli equilibri dell’economia mondiale. Eppure mi pare di aver sentito parlare di un fenomeno simile: si chiamavano “crisi del 29” e seconda guerra mondiale. I nomi erano diversi, ma gli interpeti erano gli stessi… L’analisi del problema - Per chi, come gli italiani, non è abituato ad alzare la testa e a guardare verso l’orizzonte, è difficile analizzare un problema di queste

proporzioni. A noi viene “naturale” guardare solo all’emergenza. Tentare di cauterizzare la ferita. Senza guardare indietro. E neanche avanti. La ferita, oggi, è costituita dalla incomprensibile, inspiegabile, inarrestabile, tragica morte di migliaia di inermi persone innocenti. Una emorragia che rischia di diventare incontenibile. Papa Francesco, da Lampedusa, appena eletto al soglio pontificio, aveva pur ammonito tutti. Partendo – in ordine inverso – proprio dagli “ultimi”, i siciliani di Lampedusa. Chiamando a rapporto, dinanzi alle proprie responsabilità umane e cristiane, tutti coloro che hanno – a qualsiasi titolo – la possibilità di prendere decisioni, di assumere iniziative. Non si affronta un problema di questo tipo partendo dal suo effetto più eclatante: i naufragi. Occorrono coraggiose e generose scelte di governo. Da parte delle Nazioni Unite. Da parte dei “grandi” del mondo i “Gisette”, i “Gidodici” o quanti che siano. Da parte dell’Unione europea. Da parte del governo italiano. Da parte della regione Siciliana, perché no. Fino ad arrivare al municipio di Lampedusa. Ecco. E’ questa la corretta filiera di responsabilità. Non quella inversa, che parte dalle acque cristalline della spiaggia dei conigli e lì rimane, impantanata nelle sabbie mobili di un dibattito di chi vuole sparare ai scafisti, chi si prepara a un’altra missione milionaria e di chi vuol chiudere i centri di accoglienza. Le responsabilità “multilivello” - Già. Il dibattito a cui assistiamo, non serve proprio a nulla. Anche perché è stato già fatto e ripetuto decine di volte. E comunque sia andata a finire, il fenomeno è rimasto intonso. In qualche occasione ha “ceduto” il governo nazionale, impegnando milioni di euro in attività che non sono servite a nulla. O comunque sono servite a poco, vista la dimensione del fenomeno. In qualche altra occasione hanno ceduto le istituzioni europee, impegnando altri milioni di euro che sono serviti anche a meno. Come le cronache ci raccontano. Da una parte le sofferenze e i rischi dei profughi non diminuiscono, così come la loro incessante pressione verso il “nord”. Dall’altra si agevolano gli scafisti, che ormai “contano” sull’ar-

rivo dei soccorsi in mare. E sincronizzano i “lanci” dei barconi con sempre più persone a bordo e sempre meno benzina nei serbatoi dei barconi. Un rischio crescente che i profughi accettano comunque, contando, così come i loro carnefici, sul puntuale arrivo delle motovedette. Quando l’appuntamento “salta” i morti si contano a centinaia. Non c’è dubbio. Stiamo faticosamente e dispendiosamente tentando di curare una emorragia senza renderci conto che gli strumenti sono inadeguati e – soprattutto – che l’infezione sta per degenerare… Nessuno, proprio nessuno, si è finora reso conto che occorre una “presa di responsabilità” multilivello. A cominciare dall’alto. Gli equilibri internazionali La prima sede in cui si dovrebbe affrontare l’argomento è infatti quella delle nazioni unite. Non c’è dubbio che vanno prese delle iniziative – decise – che incidano positivamente sugli equilibri internazionali di tutta l’area. Il primo problema da affrontare è quello di garantire, in tutte le zone di crisi, sicurezza, cure mediche e provviste alimentari. Basterebbe destinare a questo scopo l’enorme quantità di energia e cibo che ogni giorno si spreca in tutto il mondo. Serve un vero e proprio “piano Marshall” sostenuto e finanziato da tutte le nazioni che hanno lucrato – e stanno lucrando – col traffico di armi, droga e materie prime in Africa e in medio oriente. Per farlo, bastano e avanzano i soldi che gli stessi paesi, ai quattro angoli del mondo, utilizzano ogni anno, per le loro ambizioni belliche. Poi serve una presa di coscienza europea. Al di là delle ipocrisie di circostanza, tutti sanno e pochi dicono che senza la manodopera a basso costo che viene dalle aree di crisi, mezza Europa sarebbe già al collasso produttivo. I villaggi dismessi dagli americani, i camping e i residence requisiti, sembrano la replica in bella copia della vergogna dei campi di concentramento riutilizzati per ospitare gli emigrati “attirati” con l’inganno nelle miniere in Francia, in Belgio, in Germania, dopo la seconda guerra mondiale. Il meccanismo è lo stesso. Arrivano milioni di disperati che hanno l’illusione di migliorare

la loro vita. E che “servono” a garantire un basso costo del lavoro all’industria e all’agricoltura. Finiscono con il lavorare da schiavi per qualche sfruttatore ben organizzato. Mentre qualche furbo diventa milionario alle loro spalle, lucrando sulla loro sofferenza. Un film già visto anche questo. Le reponsabilità “nazionali” Ecco perché anche i governanti “nazionali”, in tutta Europa, ma in Italia soprattutto, dovrebbero fare molta attenzione alle loro scelte. Per non macchiare di sangue le proprie mani. Ma davvero c’è qualcuno che non ha ancora capito che tra scafisti e mafie “locali” c’è una coincidenza di interessi e una complementarietà di funzioni? Tutti sanno – e tutti i migranti confermano – che il loro viaggio costa un sacco di soldi. Solo una parte viene pagata in contanti durante il viaggio, per assicurarsi il “passaggio”. Il “grosso” della cifra deve essere pagato “dopo”, a rate, quando il viaggio è concluso da tempo. E chi si preoccupa di trovare un alloggio e un lavoro a chi arriva? La risposta è semplice: le “mafie”. In Sicilia, soprattutto. Ma anche in Calabria, in Puglia, in Campania: tappe obbligate di un percorso verso il tanto agognato “nord”. Che spalleggiano un certo tipo di impresa, pronta a tutto pur di risparmiare sulla manodopera. Nei campi, nelle filande. Ma anche nelle officine e nei cantieri edili. Di tutta Europa. Tutti sanno – e comprendono – che ogni migrante è tenuto in ostaggio, insieme ai suoi parenti, finchè non ha pagato l’ultima “rata” del suo debito. A “banchieri” che non hanno scrupoli. Nei luoghi di partenza, ma anche in quelli di arrivo. In cui qualcuno si occupa di reclutare i lavoratori e garantire la loro prestazione. Le responsabilità “locali” Matteo Salvini, con i suoi appelli sempre un po’ stonati, dice in fondo cose che a ben guardare sono più sensate di quel che sembrano.Nessuno può mettere in dubbio infatti le macroscopiche ingiustizie sociali determinate dal “rattoppiamo” di Stato rispetto al tema immigrazione. Si spendono centinaia di milioni di euro in appalti e servizi su cui ogni indagine aperta ha scoperto ladrocini e grassazioni. E se anche i soldi fossero spesi con giudizio, nessuno può nega-

re il fatto che – in tempo di crisi – quelle risorse sono comunque sottratte a interventi sociali a beneficio dei cittadini che – in Italia - pagano le tasse e cercano invano una qualsiasi forma di lavoro o di sostentamento. Eppoi c’è il tema “sicurezza”. E’ altrettanto indiscutibile che una gestione tanto farraginosa e approssimativa come quella messa in campo dal Ministero dell’Interno, lasci aperte vistosissime “falle”. C’è un enorme aumento della microcriminalità. Legata alla indiscutibile esigenza di questi disperati, di procurarsi, in ogni modo, quel che loro serve. Hanno sfidato la morte per arrivare. Sono certamente in grado di sfidare la legge italiana pur di procurarsi un qualsiasi livello minimo di benessere. E c’è una impennata del rischio terroristico. La fiammata islamista minaccia esplicitamente i nuovi “crociati”. Addita – con i suoi sanguinari filmati via web la società e la cultura occidentale, con tutti i suoi dogmi. E ha dimostrato di poter raggiungere e colpire ogni tipo di obiettivo “strategico”. E’ accaduto al museo ebreo di Bruxelles. E’ accaduto all’interno della redazione di “Charlie” a Parigi. Che garanzie di sicurezza è in grado di offrire, agli italiani, il ministro Alfano? Il triste scenario del nuovo millennio - Ecco. Questo è il triste scenario che il nuovo millennio ha riservato a noi che abbiamo varcato la soglia della data della fine del mondo così come l’avevano – saggiamente – prevista i Maya. Sì. Il mondo in cui siamo nati e cresciuti è finito. E’scomparso lo spirito dei navigatori greci. Sono state cancellate le vestigia dell’impero romano. Pochi sanno delle meraviglie dell’impero normanno. Ci resta l’impalpabile “grandezza” degli americani alla Obama. La insostenibile leggerezza dei francesi alla Sarkozy. Il dannoso interventismo cooperativistico e paramilitare dei Renzi e degli Alfano. L’inutile, imbarazzante, presenza dei Crocetta. Qualcosa è indiscutibilmente cambiato se pensiamo alla grandezza e all’intelligenza di Federico e di Ruggero secondo, di Al Idrissi e perfino alla visione euro mediterranea di Javier Solana. Siamo lontani anni luce. Spegnete la luce...per favore!

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Fra gli scogli dell’Arenella una bara galleggia di Rosa Tomarchio Saranno sei mesi che quel pezzo di legno fradicio rimane incagliato tra gli scogli dell’Arenella. E’ una delle tante carette del Mediterraneo ha trovato rifugio nell’anfratto che tra qualche giorno sarà affollato da bagnanti. Per il momento, nelle domeniche mattine di primavera, quel barcone sfondato è diventato il trastullo – pericoloso – di molti bambini. Una sorta di Babylandia quella tomba di morti. Quel pezzo di legno sta lì, incastrato nella più biega insensibilità e miopia della classe dirigente, dei governi, da Siracusa, Palermo a Roma-Bruxelles. Quasi a voler prendere per il naso questa parte di Sicilia altamente solidale e, dopo tutto, incolpevole dell’ennesima tragedia in mare. Certo, 800 morti in un sol colpo fanno effetto, anche sui titoli delle nostre pagine di cronaca annunciata, Ma la gravità di un fenomeno senza fine non si misura coi numeri. Dovrebbe suscitare pari indignazione anche due, dieci, 50 morti al giorno, o ogni due, perché questo purtroppo è la triste media. Fatto sta che l’Italia si mobilita, la Sicilia resta sempre più sola e “fossa comune”, e Siracusa nella vicina Augusta, approdo continuo di morti e vivi, si mobilita scendendo in piazza, in silenzio accendo la fiaccola della solidarietà. Non basta. Occorre intervenire, ma in che modo? Con le bombe, col tavolo di mediazione dei potenti? Con lo stop agli sbarchi? O seguitare con l’accoglienza che ormai è notoriamente business? Hanno pagato dai 2mila ai 5mila euro per arrivare sin qui rischiando la propria pelle. Eppure non si sentono fortunati. “Noi rifugiati politici, ospiti del centro accoglienza Sprar di Siracusa

In alto gli scogli dell’Arenella e la barca mai tolta dalle autorità siamo molto addolaorati e tristi per l’incredibile tragedia nel Mediterraneo – esclama in coro un gruppo di immigrati – abbiamo sempre meno speranze per il nostro futuro, siamo stanchi di assistere inermi a queste tragedie incredibili, stragi terribili di famiglie e amici, e di un popolo intero di una terra, la mia

Africa, devastata e che nessuno vuole soccorrere”. A chi affibbiare le responsabilità di questa grande tragedia mondiale? Le colpe ricadranno inesorabilmente non solo sull’arida e spregevole condotta dell’Europa ma anche sulla ipocrisia e sulla ignavia del governo italiano. “Se gli immondi

trafficanti di esseri umani possono continuare a mandare verso l’abisso e la morte migliaia di vite, di bambini, di donne ed uomini, che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni e da condizioni di vita disperate, dice la presidente Arci, Simonetta Cascio - ciò è reso possibile dall’assenza di una politica

umanitaria, di solidarietà e di accoglienza in grado di neutralizzare i meccanismi gestiti da feroci e bestiali bande di criminali. Solo aprendo corridoi umanitari legalizzati, che rendano semplice e possibile l’accoglienza su tutto il territorio europeo dei migranti, si può arrestare il flusso dei “barconi della morte”. L’operazione “Mare Nostrum”, che in una prima fase l’Italia aveva avviato, anche se ancora insufficiente per imprimere una svolta a questo atroce calvario, era servita a salvare migliaia di vite umane, anche grazie all’abnegazione allo straordinario impegno della Marina italiana e di tanti operatori della marineria civile siciliana. La forsennata e cinica scelta di esponenti come Alfano per sostituire questo strumento di soccorso in mare con il sistema europeo Frontex, per responsabilità di Renzi e dell’intero governo, ha rimesso in moto una situazione drammatica. Per chi non lo sapesse, con l’avvento dell’operazione Triton – aggiunge - sono state ridotte a livello infinitesimale sia la presenza di navi che di mezzi di avvistamento e l’attività si è trasformata in puro e semplice pattugliamento a notevole distanza dalle coste di imbarco. Delle vittime che il mare continua a ingoiare sono colpevoli l’Italia e l’Europa. E’ giunto il momento che, se esiste ancora una società civile, si alzi un urlo in grado di lacerare il cinismo di chi ci governa e delle istituzioni europee. Nello stesso tempo occorre isolare nel fango melmoso in cui sguazzano i propagatori di menzogne, di odio e di false paure. Opponiamo una nuova resistenza fatta di cultura, di conoscenza e di umana solidarietà e rimandiamo nei loro angusti recinti tutti coloro che, anche di fronte

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ggiante diventata il divertimento dei bambini a quello che appare sempre di più come un nuovo genocidio, continuano ad agitare fantasmi strumentali o a vivere oscenamente nell’indifferenza. Che risuonino nella coscienza e nell’anima di chi si professa cristiano o cattolico le parole di papa Francesco: “Sono uomini e donne come noi. Fratelli nostri che cercano una vita migliore. Affamati, perseguitati, feriti, sfruttati. Vittime di guerre. Cercano una vita migliore. Cercavano la felicità”. “Questi criminali si sono arricchiti e si continueranno ad arricchire grazie ai sinistri buonisti alla “Palermo è bella” e a questo governo di irresponsabili attenti solo alla poltrona. – dice un altro attivista Arci -. E’ sotto gli occhi di tutti che la folle invasione faccia parte di un preciso commercio di esseri umani ideato dalla mafia libica sul quale lucrano pure i tagliagole dell’Isis”. Secondo alcune stime portate in luce dagli inquirenti, si parlerebbe di un ricavo di un milione di euro a barcone, con tanto di tabelle dove vengono indicati i prezzi per il posto a sedere, acqua, cibo e quant’altro. Tutto sembrerebbe sfuggire persino ai più fitti controlli investigativi, Pare che gli organizzatori si limitano ormai ad una telefonata satellitare, appena fuori dalle acque libiche, perché sanno che il governo manderà la sua Marina ad andare a fare il loro gioco. Se poi, come purtroppo accaduto più volte, il barcone cola a picco e si è ancora in acque libiche, ecco il verificarsi di tragedie che si dovevano e si potevano evitare. Un sistema organizzativo perfetto ma al tempo stesso prevedibile, eppure non si riesce a recepire completamente l’incipit come se ci fosse qualcuno “in alto” a cui in realtà questo commercio

Alcuni momenti della manifestazione di solidarietà per le ultime vittime ha tutto l’interesse che non abbia fine. “I nostri politici fanno solo finta di rivolgersi al resto dell’Europa che ovviamente se ne fotte, - urla un attivista - e proseguono indefessamente nel farci invadere e nel fare morire persone”. È evidente che è un commercio di carne umana. Storie vecchie

secoli fa, di avventure di pirati narrate nei libri per ragazzi, insomma lontanissime nel tempo e nella mentalità. E qualcuno esce dal coro ed azzarda: “Mi chiedo se la mafia lo consenta o ne è complice – dice un volontario di un centro accoglienza che preferisce stare nell’anoninato -. Possibile che un fioren-

te business come questo possa prosperare senza il loro placet? Ma se persino le forze armate americane pare abbiano avuto l’ok allo sbarco in Sicilia, in Italia quindi, da parte dei mafiosi? E la crudeltà dell’affare di certo non li scandalizza ai mafiosi. Forse è vero che la mafia è in gran parte debellata se

si accerta che non c’entra nulla. La politica invece è certo che ci sguazza”. Ci si chiede. Quanti morti ancora ci dovranno essere? “Ancora tanti sino a quando non si decida di accogliere la richiesta dell’apertura di canali di ingresso umanitari, offrendo vie sicure di fuga a chi scappa da guerre e violenze – si legge Ogni minuto perso, accresce responsabilità che ormai sono chiare a tutti. “Chiediamo al governo, in attesa che si arrivi ad un’azione congiunta con l’unione Europea, di ripristinare immediatamente “Mare Nostrum” (contro cui si indirizzano gli strali infuocati dei pulizieri della Marina di Augusta che a fine mese saranno licenziati per mancanza di liquidità, pare che parte dei loro stipendi siano stati utilizzati per finanziare “i banchetti di congedo” di Mare Nostrum) – urla al megafono un giovane studente che sfila al corteo affollato sino in piazza Archimede dove da li a poco verrà inscenato il solito sit in di protesta civile sotto il Palazzo della Prefettura. Al fianco dell’Arci e degli studenti, marciano diversi ospiti dei centri di accoglienza per migranti e associazioni del territorio. Ma anche AccoglieRete onlus, Astrea in memoria di Stefano Biondo, Associazione Papa Francesco, CGIL, Consulta Immigrati del Comune di Siracusa, Emergency gruppo Siracusa, SPRAR Obioma Comunità Solidali, Arciragazzi Zuimama, Sprar Aretusa Accoglienza “Luoghi Comuni”; Legambiente, Libera, Sprar Stella Maris, Forum Terzo Settore di Siracusa, Cooperativa Francisca Martin, Centro Pio La Torre, Agire Solidale, Parrocchia Bosco Minniti, Stonewall GLBTSiracusa.

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La Dia agrigentina scopre una rete di traffi di Franco Castaldo Sono ventiquattro le persone fermate dalla squadra mobile di Agrigento e Palermo su ordine della direzione distrettuale antimafia di Palermo. Tra loro, due sono residenti ad Agrigento. Sono tutti accusati a vario titolo di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Si tratta di Medhanie Yehdego Mered, 34 anni, nato in Eritrea; Ghermay Ermias, nato in Etiopia e residente in Libia, già latitante a seguito di una precedente ordinanza di custodia cautelare; Asghedom Ghermay, 40 anni, detto “Amice”, nato in Eritrea e domiciliato a Catania; Matywos Melles, 48 anni, nato a Asmara (Eritrea) e residente ad Agrigento; Mulubrahan Gurum, 41 anni, nato in Eritrea e domiciliato presso il Cara di Mineo (Catania); Andemeskel Yaried, 26 anni, alias Wedi Keshi¸ nato in Eritrea e già domiciliato presso il Cara di Mineo; Netsereab Goitom, 36 anni, nato in Eritrea e domiciliato presso il Cara di Mineo; Habtom Teklehaimanot, 41 anni, nato in Eritrea, residente a Foggia, ma domiciliato in Catania; Nahome Kerebel Gutama, 31 anni, detto “Nahom”, nato in Eritrea, residente a Lecce, ma domiciliato a Catania; Afomia Eyasu, 34 anni, nata in Eritrea, residente a Santa Elisabetta (Agrigento) e domiciliata a Catania; Munire Ibrahim Omer, 20 anni, detto “Munir”, nato in Eritrea e domiciliato a Catania; Yonas Gebititoys, 27 anni, nato in Eritrea e domiciliato presso il Cara di Mineo; Fitiwi Negash, 61 anni, nato in Eritrea e residente in Catania; Tsegay Berih, 29 anni, nato in Eritea e domiciliato presso il Cara di Mineo; Yonas Redae, 29 anni, nato a Dekamhare (Eritea), già domiciliato presso il Cara di Mineo; Arouna Said Traorè, 25 anni, detto “Rasta”, nato in Costa d’Avorio e residente a Catania; Mohammed Elias, 47 anni, nato in Ghana e domiciliato a Catania; Ibrahima Diallo, 30 anni, nato in Guinea e residente a Catania; Yirga Abrha, 24 anni, nato in Eritrea e domiciliato a Bari; Muktar Hussein, 23 anni, nato in Eritrea e domiciliato a Catania; Andebrahan Tareke, 26 anni, detto “Andat”, nato a Ayekebetsu (Eritrea) e residente a Catania; Efrem Amare, 22 anni, nato in Eritrea e domiciliato a Milano; Micheal Habte Ma-

dege, 34 anni, detto “Miky”, nato in Eritrea e domiciliato a Milano; Mudeser Mahamed Omer, 20 anni, nato in Eritrea, residente a Mascalucia (Catania) e domiciliato a Milano. L’ i n c h i e s t a “Glauco 2” che ha smantellato una organizzazione transnazionale dedita alla tratta di esseri umani ha mostrato come il miliardario business, con basi in Libia e in Italia, abbia avuto nell’agrigentino, Lampedusa per gli sbarchi e i centri di accoglienza per concretizzare il traffico, il proprio epicentro. Ecco cosa scrivono i Pm della Dda di Palermo: “In In alto Asghedom Ghermay e Matywos Melles, sotto Geri Ferrara particolare dalle indagini è emersa la piena partecipazio- grazione di decine di migliaia viene organizzata la logistica ne a dette attività delinquenziali di persone in condizioni spesso per il loro allontanamento dal da parte di tutti gli indagati con disumane. Gli stessi non hanno territorio italiano e raggiungere ruoli e modalità differenziati mostrato alcuna preoccupazione così la meta finale di tali viagmentre sono ancora in corso le del destino finale delle vittime gi, in genere un paese del Nord investigazioni per individuare dei loro traffici che, purtroppo, Europa, in cui il migrante oggli altri componenti del soda- in molti - troppi – casi (spesso getto del traffico raggiunge il lizio e la complessiva rete di tra l’indifferenza generale) han- suo gruppo familiare o amicale. persone che consente, a tutt’og- no perso la vita lungo l’attraver- Le indagini hanno dimostrato gi, la piena operatività in am- samento del deserto, assaltati che il momento fondamentale bito internazionale del gruppo dai predoni o in fondo al mar del progetto criminoso del socriminoso e la sua potenzialità Mediterraneo. dalizio indagato è certamente criminosa. Nello specifico, allo L’indagine ha dimostrato che “l’aggancio” del cliente, tramistato, l’attività investigativa l’organizzazione opera come un te contatto telefonico o de visu, frutto di una attività di indagine vero e proprio network crimina- l’allontanamento dalla struttura svolta, sotto l’egida del servizio le, con diverse cellule operanti di accoglienza (in particolare centrale operativo della polizia nei territori di riferimento, cui le indagini si sono concentradi Stato, congiuntamente dalla vengono attribuiti compiti spe- te sul centro “Villa Sikania” squadra mobile di Agrigento e cifici e determinati al fine di di Siculiana (Ag) e sul Cara di dalla squadra mobile di Palermo organizzare, in prima battuta, i Mineo (Ct)) finalizzato a sot- ha consentito di individuare i viaggi della speranza di miglia- trarre i migranti alla compiuta diversi componenti del sodali- ia e migliaia di uomini, donne e identificazione da parte delle zio operanti sia nel continente bambini dall’Africa verso l’Ita- Autorità amministrative e di africano che in Italia , i quali lia favorendone così l’ingresso polizia italiana, talvolta anche si sono resi responsabili con le e la permanenza clandestina in per mezzo di fughe organizzaloro condotte della illecita mi- Italia; in un secondo momento te dal Centro, o con lo scam-

bio di badge e documenti, e la successiva ospitalità, all’occorrenza, in abitazioni a disposizione dell’organizzazione. Gli indagati, infatti, raccolgono i migranti giunti ad Agrigento e nelle altre province siciliane, organizzandone all’occorrenza l’allontanamento dal centro di accoglienza di Mineo, che a tutt’oggi ospita circa 5000 migranti giunti nei vari sbarchi avvenuti sulle coste siciliane, o da “Villa SiKania”, centro di accoglienza sito a Siculiana (Ag), anche grazie ad una costante elusione, da parte dei componenti del network criminale che si trovano colà, delle disposizioni dei centri di accoglienza, che impongono un elenco aggiornato dei relativi ospiti”. “Sono ancora in corso indagini per verificare se ci sono state complicità dei trafficanti di esseri umani all’interno dei centri di accoglienza di Mineo e di Siculiana”. Lo ha detto il sostituto procuratore di Palermo Geri Ferrara, parlando dei 14 arresti per traffico di esseri umani. Sono diversi i fermati che frequentavano con regolarità il Cara di Mineo, il più grande centro per richiedenti asilo d’Europa, di recente finito nell’occhio del ciclone per l’inchiesta su ‘Mafia Capitale’. Dall’inchiesta di oggi emerge che all’interno del Cara ci sarebbero stati almeno sei tra i terminali dell’organizzazione di trafficanti. “Sono stati individuati movimenti sospetti di immigrati all’interno dei centri di accoglienza di Mineo e di Siculiana - spiega ancora Ferrara - con la possibilità di agganciarli per poi farli fuggire e organizzare il traffico successivo. Ricordiamo, però, che gli ospiti non sono in stato di detenzione e non sono obbligati a starci”. Secondo quanto emerge dall’inchiesta della Dda di Palermo, i trafficanti dopo l’arrivo dei profughi li metterebbero i profughi in contatto con la banda che opera in Italia, a Catania, Agrigento, ma anche Milano e Roma. Un ruolo importante lo avrebbe svolto Asghedom Ghermay, detto “Amice”, che opera in Sicilia, a Catania. Gli inquirenti sostengono che l’uomo tiene i contatti con i trafficanti africani. L’eritreo, con complici nel Centro Cara di Mineo, mette in contatto i profughi con persone che vivono nel Nord Europa. Il tutto in cambio

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afficanti di uomini con basi in tutta la Sicilia

Gli arrestati dell’operazione Glauco di soldi, una cifra che vari dai 250 ai 1.000 euro a persona. Le indagini hanno consentito l’individuazione di una associazione a delinquere transnazionale, operante tra il Centro Africa (Eritrea, Etiopia, Sudan), i paesi del Magrheb (soprattutto la Libia), l’Italia (Lampedusa, Agrigento, Palermo, Catania, Roma, Milano) ed il Nord Europa (Scandinavia, Regno Unito, Olanda e Germania). Il fine era quello di favorire l’immigrazione clandestina nel territorio italiano ed in Europa, commettendo anche reati contro la persona, come – ad esempio – dimostrato dal trattamento inumano cui venivano sottoposti i migranti prima e durante il viaggio. Inoltre è stato dimostrato che l’organizzazione puntava su tre momenti fondamentali: “l’aggancio” del cliente, tramite un contatto telefonico o de visu; l’allontanamento dalla struttura di accoglienza (e, in questo senso, le indagini si sono concentrate sul centro “Villa Sikania” di Siculiana e sul Cara di

Mineo) finalizzato a sottrarre i migranti all’identificazione da parte delle Autorità italiane, talvolta anche per mezzo di fughe organizzate dal Centro o con lo scambio di badge e documenti; e, infine, l’ospitalità, all’occorrenza, in abitazioni a disposizione dell’organizzazione. Gli investigatori hanno puntato la lente d’ingrandimento su Asghedom Ghermay, 40 anni, detto “Amice”, nato in Eritrea ma domiciliato a Catania. Il ruolo del 40enne nell’organizzazione è emerso anche grazie all’attività svolta dall’uomo nel territorio agrigentino. Lo stesso, infatti, aveva tra i suoi sodali Matywos Melles, 48 anni, nato ad Asmara (Eritrea) ma residente in una casa del centro storico di Agrigento, attualmente detenuto, arrestato nel luglio scorso nell’ambito dell’operazione Glauco 1. Gli elementi indiziari a carico del Melles hanno consentito di scoprire il ruolo del 48enne, passato dall’essere un semplice trasportatore di migranti

clandestini, in fuga dai Centri d’accoglienza o in procinto di partire, ad un imprescindibile elemento dell’associazione criminale: era lui, infatti, che provvedeva, insieme ad Asghedom Ghermay, a piazzare altri suoi fedelissimi collaboratori in varie località della Sicilia. Melles, ritenuto quindi un elemento della cellula agrigentina, si preoccupava, tra le altre cose, di “raccogliere” i migranti da tutta la provincia di Agrigento per portarli nei luoghi da cui sarebbero partiti per le destinazioni ambite, secondo le disposizioni impartite, tra gli altri, proprio dal Ghermay. In buona sostanza, Ghermay, personalmente o per mezzo di suoi sodali, come il Melles, “raccoglieva” i migranti giunti nella provincia agrigentina (Agrigento, Favara, Siculiana o Porto Empedocle) e li sposta verso Catania, meglio collegata e da dove è più facile organizzare i viaggi verso il Nord. I poliziotti della Mobile di Agrigento, diretti da Giovanni Minardi e Vin-

cenzo Di Piazza, hanno ascoltato per diversi mesi i cellulari del Ghermay e del Melles. Era l’uno giugno del 2014 quando i due, parlando al telefono, pianificavano l’aggancio di alcuni migranti. Nel corso della telefonata, “Asghedom Ghermay dice al Melles di non ricordare il nome del luogo dove sarebbero arrivati i migranti. L’uomo dice Porto Empedocle. Asghedom dice che Elias non conosce la zona e che loro sono fuori dalla citta di Agrigento. L’uomo che si trova ad Agrigento risponde che se hanno bisogno per entrare ad Agrigento li può

accompagnare lui. Asghedom chiede all’uomo come mai ancora non è andato a Porto Empedocle. L’uomo ribadisce che ancora non sono sbarcati i migranti. Asghedom allora chiede se c’è qualche migrante a Siculiana visto che ci sono tutti i tassisti di Catania che si stanno portando a Siculiana per lavorare. L’uomo dice di no e ribadisce che ancora devono andare a Siculiana, comunque indica la strada ad Asghedom per arrivarci, direzione Trapani 20 chilometri, ma Asghedom dice che non va a Siculiana ma li aspetta a Porto Empedocle”.

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E l’Europa che prezzo pagherà per arrivare a un compromesso? di Claudio Mec Melchiorre

Non è la prima tragedia della migrazione verso l’Europa. Probabilmente non sarà l’ultima. La più grave, fino a questo momento. C’è un fatto indicativo e diverso che deve attirare la nostra attenzione. In Grecia, al largo dell’isola di Rodi, naufraga davvero una barca di migranti. Alcuni muoiono, altri riescono a guadagnare la riva davanti agli occhi stupefatti dei presenti. La differenza rispetto alla tragedia che ha scioccato l’Italia, e in seguito l’Europa, è che è avvenuta sempre quelle cento e più miglia a sud di Lampedusa. Vale a dire all’interno di quel mare che Gheddafi chiamava Golfo della Sirte. Dobbiamo ricordare come avvengono i nostri recuperi che danno vita agli “sbarchi di migranti” in Italia. Una banda di scafisti prepara il viaggio, organizzato da bande militari sulla costa libica, e porta in mare una barca che a stento galleggia. L’imbarcazione viene portata, con l’assistenza di un natante più efficiente, in quella che potremmo chiamare la “fascia di soccorso consueto” che è prossima all’Africa, considerate le distanze. A questo punto, a dispetto dei dispositivi di sicurezza, ai satelliti e ai pattugliamenti per mare e per terra, uno scafista fa una semplice telefonata con un satellitare al numero della capitaneria e comunica la posizione. Dal centro comando, parte l’ordine di recupero e

gli immigrati sbarcano in Italia. Non è contrasto, né gestione dell’immigrazione, è complicità. La tragedia dei 700 morti è dovuta a speronamento, stante l’inadeguatezza dell’attuale dispositivo che prevede che siano i mercantili di passaggio, a raccogliere i disperati. Che sempre pagano per quel passaggio e noi garantiamo agli scafisti il successo dell’operazione. Almeno uno scafista già era passato per il Cara di Mineo e aveva anche il permesso di restare in Italia. Ora, o siamo imbecilli o qualcuno dei nostri comandi politici e militari è corrotto. Non solo la corruzione dei Cara, che dopo una prima fiammata di interesse, credo ormai proceda indisturbata. Qui parliamo di una corruzione di alto livello, nel mercimonio di anime. Lo affermo nella speranza dell’intelligenza agli alti gradi di governo e militari, oppure mi devo rassegnare a credere che siamo governati da imbecilli. E se solo sono il meglio che abbiamo, siamo imbecilli anche noi che dovremmo essere peggio di loro. Una nazione di imbecilli è giusto che sia al suo declino. Ma non credo sia così.

risolto alla radice. Poi bisognerebbe passare alla fase due, certo, e aiutare tutto quelli che hanno davvero bisogno, verificare che non siano terroristi, accertarsi che non abbiano malattie contagiose e nel caso curarli, com’è naturale che sia, così come ci insegna la storia dell’emigrazione

Noi abbiamo intelligenze arrese alla fine della storia propagandata dai marxisti. Siamo al “nessuna ideologia ormai, ci sono solo cose da fare”, che invece è espressione del più bieco conservatorismo di una situazione economica, sociale, politica insostenibile. Qualcosa da fare c’è e il ministruccio Alfano, che già ha inanellato una serie di figuracce che surclassano di molto quelle ricavate dal suo lontano predecessore catanese, finalmente pare volersi spendere in questo senso: interrompere il mercimonio schiavistico, usare le armi per garantirci un’area umanitaria in Libia e organizzare noi gli ingressi in punto di diritto e non di violenza. Siamo in ritardo di molti anni, su questa strada. Un mandato Onu c’era stato, quando la Francia trovò intollerabile che noi avessimo buoni rapporti con Gheddafi per mantenere golosissime concessioni pe-

trolifere. Quel mandato fu sprecato e fu controproducente. Ora, si ricomincia daccapo l’operazione, chiedendo a Obama di darci una mano. Lui ha chiarito che ci darà una mano politica, non militare. Scommettiamo che l’Italia non saprà fare questo passo di logica? E scommettiamo che l’Europa troverà un nuovo compromesso che si baserà sui respingimenti, non sull’accoglienza? E scommettiamo che l’Italia continuerà a disobbedire alla linea comune europea perché gli interessi da tutelare nella tratta degli schiavi sono maggiori della lealtà politica all’Europa, della quale non ce ne importa più un piffero, considerato che siamo caduti nel vuoto intellettuale, politico e di comprensione delle cose più oscuro dell’ultimo secolo? Fare qualcosa, si. Ma qualcosa di serio e operativo. Separando nettamente le nostre mani da quelle dei trafficanti, dei mafiosi, dei combattenti sul campo. Questa nostra pseudo furbizia corrotta sta producendo morti che nemmeno una guerra combattuta, fa. E porta anche a spese inammissibili, in una fase storica in cui il reddito

familiare si è ulteriormente ridotto e porta i due terzi dei siciliani a dover campare con meno di novemila Euro l’anno. A quei siciliani, non si può spiegare che gli immigrati valgono un business da trenta miliardi, finanziati anche da loro che sono costretti a mettere insieme e in modo fantasioso il pranzo con la cena. E non agitate lo straccio del razzismo. Non è con gli immigrati che ce la prendiamo. E’ con voi e con al vostra corruzione che siamo arrabbiati. Strumentalizzate e commerciate i disperati, rubate i nostri soldi, e pensate di metterci gli uni contro gli altri per continuare a farlo. Caro governo, non ci sono ancora prove. Al momento sei composto da innocenti e nessuno ha ancora indagato seriamente su questa faccenda degli ingressi. Sei ancora in tempo ad avere una reazione seria. Noi, a vedere il corpicino di una bimba nel mare con una gonnellina rosa, affogata per il mercimonio umano di cui in un modo o nell’altro ci siamo resi complici, per idiozia o corruzione lo sapremo, presto o tardi, non ci stiamo. Su una cosa seria come la vita umana, gradiremmo serietà. Fate cose giuste e basta bugie. Con quelle, potete riempire i consigli dei ministri, non la realtà. Questo irresponsabile procrastinare, non decidere, usare impropriamente i mezzi navali e i nostri soldi, non si risolve con il Mare Nostrum, ma trasforma il Mediterraneo nel Mare Sepulchrum. Una tomba.

e dell’immigrazione. E’ tempo di smetterla con i falsi moralismi e con le frasi di circostanza, e soprattutto è tempo di smetterla di piangersi addosso e si intervenga seriamente. Accanto al terreno politico-diplomatico, c’è quello di polizia internazionale, il cui fine deve

essere la lotta determinata e inequivoca ai nuovi schiavisti, ai negrieri del nostro tempo, ai trafficanti di esseri umani, tutta gente collegati con i centri del terrore e i signori della guerra, in Libia me non solo in Libia. Su questo punto, è tempo che il Consiglio di sicurezza prenda posizione più

netta e l’adozione di strumenti giuridici e militari più chiari ed efficaci. Il Ruanda e Srebrenica, il Mali, il Congo sono lì a ricordare come quello di omissione sia il peccato più imperdonabile per l’organizzazione preposta al mantenimento della pace e alla difesa dei diritti umani.

Segue dalla prima dove sono, quante sono, di chi sono e quando sono prossime a partire, non certo per pescare, checchè ne dica la Boldrini (per chi non lo sapesse il presidente della Camera dei deputati). Trenta minuti, un’ora la massimo e con l’intervento di droni e motovedette il problema sarebbe

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Provocazione Meloni: “Blocco navale per fermare le stragi” di Alberto Cardillo L’ultima tragedia del mare avvenuta a largo delle coste libiche ci parla ancora centinaia e centinaia di morti tra i migranti. E’ evidente che per evitare altre simili sciagure servono misure radicali e risolutive. Sulla questione è intervenuta con la sua solita schiettezza l’ex ministro Giorgia Meloni, oggi presidente di Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale. “Innanzitutto –dichiara la Meloni- esprimo a nome di Fratelli d’Italia profondo cordoglio per le vittime dell’ennesima tragedia che, con politiche più serie da parte dell’Italia e dell’Ue, si sarebbe potuta evitare. Quando per primi abbiamo chiesto un blocco navale internazionale siamo stati tacciati di essere visionari o, peggio ancora, razzisti. Ora, dall’inviato Onu ad autorevoli esponenti della maggioranza, tutti chiedono la stessa cosa ma si continua a non fare nulla di risolutivo”. Per Giorgia Meloni il problema “sono Renzi e il suo Governo, i quali continuano a non capire o

continuano a mentire deliberatamente. Qualcuno, per pietà degli italiani, spieghi con parole semplici a Matteo Renzi come fare il blocco navale. Fratelli d’Italia lo ripete da mesi: in Libia esiste un governo legittimo riconosciuto dalla comunità internazionale”. Per la leader di Fratelli d’Italia a questo punto non c’è altra soluzione che il blocco navale: “un blocco navale in accordo con questo non è un atto di guerra. Grazie al sostegno al Governo legittimo di Tobruk si può prevedere un blocco navale a ridosso

Giorgia Meloni delle coste libiche, impedire le partenze dei barconi e fermare le morti in mare. Se sembra ancora così complicato da capire –chiosa la Meloni con amaro sarcasmo- siamo disposti a preparare delle semplici slide per il Presidente del Consiglio”. Le responsabilità morali e poli-

tiche di tutti questi lutti, di queste immani tragedie sono solo degli scafisti, o c’è qualcuno in Italia, specie nelle stanze romane dei bottoni, che dovrebbe passarsi la mano sulla coscienza? “Il Governo Renzi dovrebbe essere indagato per il reato di strage colposa –dichiara lapidariamente la giovane ex ministrol’ultima tragedia al largo delle nostre coste è stata causata, infatti, dalla folle e sciagurata politica dei recuperi in mare messa in campo con Mare Nostrum e Triton, che consente agli scafisti di far partire imbarcazioni fati-

scenti e totalmente inadeguate ad affrontare il mare. Ripeto, le uniche soluzioni ragionevolmente percorribili per evitare simili sciagure sono il blocco navale e una missione Ue per verificare direttamente in Africa le richieste di asilo e la distribuzione dei rifugiati nei 28 Stati dell’Unione Europea. Questo sarebbe un modo di affrontare seriamente la questione invece di continuare a dover assistere a queste tragedie perché si è assolutamente incapaci di affrontare il problema”. Insomma, la morale della favola –una favola triste e cupa- è che sia “Mare Nostrum” che “Triton” non hanno fatto altro che alimentare e supportare il business dei venditori di morte, trasformando il mediterraneo in un grande cimitero a cielo aperto. Un “mare mortum”. “Una presa in giro a carico dei contribuenti italiani –conclude Giorgia Meloni- e un “servizio taxi” per gli scafisti che ha provocato e provoca le tragedie di cui purtroppo parliamo in questi giorni”.

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Maggio 2015 - Gela

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lectem simusape mi, nonsene eatamus eos doluptium con ressent. Aximus venem iur? Ducid molorum iderumquo omnis velent. Ictum voluptio issuntet velitas et miliquas di cullaut invel idus rest odi blandip santis nus maioren diorerchit ute et doluptatem ent veni offic te volorunt earum quaectios quo blatur? Ut ditatat. Catem am, sum sae dia doluptio dolorero te nonseque nonsecus. Aligendus et dolupist acerferia parciun dandae venimus et occullaborum ra dolut a doluptate ius. Paribus amendebis et aut plaborrovit, nobisquo cumquam ium fugia nonsequid ut volorenis sedit experci beat officiis nis dolendit ra nihit, veritaes ipit volende mpores eos dolor maio et re modis esciusam vel ium harum sim con pos escil ilit dunt, volore event. Ex essitiaturi beribus dendus dolupti aectem harum fuga. Ur? Quid moluptat. Sequi reprehendae. Eped et aut et facilitibus, ut doluptas modi dolupitatium rehenim nonet id ersperc iiscient repudandant

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Maggio 2015 - Giudiziaria

Pta: al processo di Giarre parla il medico Melchiorre Fidelbo di Marco Benanti E’ arrivato anche il giorno di Melchiorre Fidelbo: medico, professionista, ma anche marito di Anna Finocchiaro. Lui è imputato per truffa aggravata ed abuso d’ufficio, insieme ad Antonio Scavone, Giuseppe Calaciura e Giovanni Puglisi, manager e dirigenti della sanità, nell’ambito del processo per l’affidamento senza gara del sistema di informatizzazione del Pta di Giarre. Davanti ai giudici della terza sezione penale del tribunale di Catania (presidente Rosa Anna Castagnola) il dottore Fidelbo si è difeso per oltre un’ora, cominciando ad elencare competenze, professionalità, specializzazioni ed altro. A fargli domande il Pm Alessandro La Rosa: in aula poche persone, come sempre a Catania. Oltre gli avvocati difensori (Fidelbo è assistito dall’avvocato Pietro Granata) pochi cronisti presenti. Null’altro. Una normale routine, secondo un vecchio

Comunque, costume sotto l’udienza è l’Etna. stata dedicata Chi aveva le interamente a competenze sentire il mespecifiche per dico. i progetti di “Gli aspetti Casa della Sasperimentali lute? A sentire della Casa delFidelbo sicurala Salute – ha mente lui. Ma spiegato Fioltre a questo, delbo - andac’è da sottolivano definiti, neare l’unicità costruendola del progetto sul territorio presentato dalo presso un la società Solospedale, non samb, guidata aveva senso dal medico. costituire un Ricordiamo altra guardia che al centro medica, bisodell’inchiegnava integrasta sfociata re in maniera nel processo L’imputato dottore Fidelbo con la moglie Anna Finocchiaro forte con la c’è la delibera n.1719 del 30 luglio del 2010 secondo l’accusa, sarebbe stata Guardia Medica, la Casa della che ha autorizzato l’Asp di Ca- redatta “senza previo espleta- salute andava posta a fianco del tania a stipulare un convenzione mento di una procedura ad evi- pronto soccorso con strutture con la Solsamb per il Pta di Giar- denza pubblica e comunque in specializzate in grado di gestire re. Una delibera per un appalto violazione del divieto di affidare al meglio le specifiche patologie milionario -poi revocato- che, incarichi di consulenza esterna”. dell’utenza”.

Ha proseguito Fidelbo: “il bando ministeriale della legge Finanziaria 2006 diceva di presentare progetti specifici per garantirsi risorse aggiuntive ministeriali, questo era il punto essenziale, ovvero il cofinanziamento per progetti specifici sarebbe stato consentito a quelle Regioni che avessero presentato progetti specifici coerenti; solo il progetto di Giarre conteneva le caratteristiche sperimentali, nessun altro progetto conteneva queste caratteristiche.” Non ci furono sollecitazioni nei confronti dei funzionari ministeriali e regionali: questa la posizione dell’imputato. Non solo: Fidelbo rimase all’oscuro delle modalità, piuttosto irrituali, con cui il progetto della Solsamb era giunto al ministero. Prossime udienze il 28 aprile e il primo luglio: nella prima sono previsti testi della Difesa, all’inizio dell’estate è prevista la testimonianza dell’ex assessore regionale alla sanità Massimo Russo.

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Maggio 2015 - Catania

Sorrisi e alleanze: la strada di Bianco verso la Regione di Giuliano Busà

Enzo Bianco punta alla Regione. Non lo dice, non se ne parla, apparentemente non è ancora il tempo per pensarci. Invece sia la particolare congiuntura politica che la Regione Siciliana sta vivendo che alcune delle sue mosse sia come sindaco di Catania che come dirigente facente funzioni del Partito democratico, sembrano direzionarlo verso la prossima corsa a Palazzo d’Orleans, che si annuncia particolarmente infuocata data la strage amministrativa in atto. Partendo infatti dal momento storico e politico che la Sicilia sta vivendo, non c’è dubbio che il tempo di Rosario Crocetta come governatore dell’Isola sia ormai agli sgoccioli. Col tempo l’ex sindaco di Gela ha perso tutti gli appoggi, pubblici e privati, e soltanto gli amministratori che nei vari comuni sono stati eletti con il suo movimento sembrano portargli un minimo di riconoscenza e di immutato sostegno. Certo è che la questione del crollo del pilone di Himera, benché apparentemente scollegata all’operato del presidente della Regione, ha definitivamente affossato anche dal punto di vista mediatico la parvenza di malcelata normalità con cui Crocetta stava tentando di ricoprire la propria presidenza. Il problema del default economico e la gestione di emergenze sia a livello macro che micro hanno palesato l’inefficacia della sua avventura da governatore, mettendo a nudo la distanza chilometrica tra an-

nunci fatti a gran voce su giornali e tv anche nazionali e fatti realizzati. Alla figura di Crocetta è legata ovviamente la sorte del suo movimento, il Megafono, che negli ultimi tre anni è passato da ago della bilancia ad approdo sicuro e fertile per clientele ex Mpa a ennesima spiaggia superata e prosciugata. Quella grosse koalition venutasi a costruire attorno al Pd e ingrossatasi a tal punto da inglobare qualsiasi cosa le capitasse attorno, adesso sembra poter fare a meno sia del Megafono che di Crocetta. Questo perché il Partito democratico ha capito per tempo la parabola discendente della gestione crocettiana della Regione e ha deciso di prendere in mano le redini della coalizione-balena, mettendo a repentaglio il nome, il simbolo, la storia seppur breve del partito e il senso di appartenenza che per molti militanti è legato ad una idea di sinistra riformista e progressista. L’ingresso nel Pd siciliano di Articolo 4 e degli ex lombardiani e cuffariani ha definitivamente svelato le carte: al partito democratico interessano poco la storia e l’appartenenza politica, ciò che conta è governare. Sempre, ovunque e quanto più a lungo possibile. A guidare questa transizione che non è riuscita ad essere silenziosa è stato Davide Faraone, che difficilmente

Enzo Bianco

in ottica futura lascerà gli incarichi di governo nazionale che possiede al momento. Ecco che c’entra Enzo Bianco, allora. In questo grande contenitore di voti e potere che il Partito democratico sta creando e che sta vedendo il lento allontanamento dalla posizione di comando di Rosario Crocetta, manca una figura conosciuta, apprezzata anche a livello nazionale e con una buona reputazione sui giornali, che possa risultare credibile non solo per gli elettori ma anche per i tanti interlocutori politici che il Pd si sta costruendo nel tempo. Chi allora se non lui, che questo tipo di gestione allargata del potere l’ha creata e la sta sperimentando al Comune di Catania? Proprio nel capoluogo di cui è sindaco, Bianco è riuscito ad essere eletto al primo turno grazie

alla certosina costruzione di una coalizione gigantesca, che ha accolto senza timori chi cinque anni prima sedeva dall’altra parte e giurava amore eterno al sogno autonomista di Raffaele Lombardo. L’esperimento dal punto di vista prettamente politico ha funzionato: l’opposizione è praticamente inesistente e l’unica dialettica, benché talvolta parecchio feroce, è quella interna, tra le tante anime che convivono in questo grande contenitore che da Palazzo degli Elefanti vuole conquistare anche Palermo. E che Bianco voglia stare attento a fare sempre la mossa giusta, sbagliando il meno possibile sia pubblicamente agli occhi dell’elettorato che politicamente agli occhi dei tanti alleati e potenziali tali, lo si nota da alcuni particolari. Innanzitutto il prossimo rimpasto di giunta. Le poltrone sono il mezzo fisico per tenersi tutti buoni e dalla propria parte, quindi è questo lo strumento grazie al quale è possibile mantenere un equilibrio e adeguarsi alle vicende regionali. Sovrarappresentato il Megafono, che subirà una diminuzione di assessorati – resterà verosimilmente solo Marco Consoli – mentre sembrano in ascesa le quotazioni degli ormai ex Articolo 4. Ma un sindaco per essere tale dovrebbe fare, agire, cambia-

re, disporre. È invece impietoso il confronto tra il famoso programma “Catania10+” col quale Bianco ha vinto le elezioni e le cose effettivamente realizzate. Questo perché il sindaco tende a temporeggiare, ha capito che è più efficace esserci sui giornali, sorridere nelle foto e intestarsi iniziative popolari come il Lungomare Liberato piuttosto che creare qualcosa ex novo, col rischio di scontentare qualcuno. Se ai lettori assidui de La Sicilia questo particolare potrebbe essere sfuggito, lo stesso non si può dire né del Sole24Ore né del mondo dei social. Il primo ha classificato Enzo Bianco addirittura al 48esimo posto nella classifica dei sindaci più apprezzati d’Italia. Il secondo, sulla scia delle dichiarazioni d’intenti spesso più notiziabili che fattibili, ha fatto nascere una pagina Facebook, “Enzo Bianco fa cose”, che canzona in maniera evidente questo modo di fare troppo attento a strappare un titolo di giornale che a realizzare quanto dichiarato. La pagina ha ottenuto un vero e proprio boom di contatti, arrivando in pochissimo tempo a quasi 2000 mi piace. Quasi contestualmente, Enzo Bianco, quello vero, si è fatto fotografare in Comune con la maglietta di Salvaciclisti e il solito sorriso d’ordinanza, promettendo subito dopo la realizzazione di una pista ciclabile da piazza Sciascia a piazza Mancini Battaglia, eliminando gli stalli di sosta e rivoluzionando il lungomare. C’è poco da fare, ha capito l’antifona. E la Regione si avvicina.

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Maggio 2015 - Giarre

Buco di bilancio, si parla di cinque milioni. Dove sono finiti? di Dario Li Mura Da più di una settimana tiene banco la notizia dei circa 5 milioni di debiti del comune di Giarre debiti sino ad ora tenuti meticolosamente nascosti. E la cifra potrebbe variare in eccesso o in difetto, la indefinitezza è indice di quanto confusa sia la situazione. Di questi debiti bisogna stabilire l’esatto ammontare, la natura al fine di distinguere tra debiti fuori bilancio e passività pregresse, il periodo di tempo cui vanno imputati. Senza dubbio però si può affermare che tutte le scritture contabili del comune che dovendo recare tali debiti, mentre ciò non avveniva, restituiscono un quadro finanziario generale falsato. Veridicità e attendibilità sono in vero caratteristiche che i conti di un ente locale dovrebbero avere, non già in ossequio a vuoti formalismi, ma al fine di garantire che il controllo orizzontale, e cioè quello svolto da Revisori dei conti e Corte dei Conti, e il controllo verticale degli elettori possano dare pienezza al sistema di controllo democratico dell’attività dei governanti. Dunque su presupposti falsi si è programmata non solo la mera attività economica del comune, ma anche l’attività politico amministrativa, che per essere effettuata ha altresì bisogno di risorse economiche e sempre su dati falsi sarebbe stato redatto il piano di risanamento pluriennale, indebolendo la complessiva opera di risanamento e rinviando -chissà a quando- l’azione espansiva. Ad onore del vero, i debiti -di cui tanto si dice- farebbero riferimento non già a spese

Il municipio di Giarre impreviste, grandi opere o investimenti, al contrario si tratterebbe di spese ordinarie, bollette energetiche, debiti per il servizio di raccolta dei rifiuti, roba da gestione del buon padre di famiglia. Il fatto che spese ordinarie siano rimaste non pagate deve far temere che l’ente non sia in grado di far fronte alla spesa corrente ovvero che somme previste nei propri capitoli di bilancio siano poi state distratte, o cos’altro? Se è vero che nessuna crisi economica è solo economica, nessun buco riguarda solo i conti, cosa c’è dentro questo buco di circa 5 milioni? C’è la presenza di un’assenza: quella della politica. Una politica che fissa la rotta, indica la strada e progetta azioni, che crea pure il giusto spirito per mettere in opera le scelte che prende, non avrebbe mai lasciato che la situazione sfuggisse così di mano. Se le

amministrazioni che si sono succedute negli ultimi anni avessero alzato la testa e guardato avanti, avrebbero dovuto pensare a come ridurre la spesa energetica attraverso la riconversione progressiva degli impianti di illuminazione con lampade a basso consumo, con l’approvvigionamento da energie alternative, mentre per la spesa in rifiuti si sarebbe dovuto pensare ad un ciclo integrato, con notevole riduzione dei conferimenti in discarica, l’unica via per la riduzione della bolletta dei rifiuti in un comune che -e si capisce che non si tratta di ambientalismi di bandiera- non ha ancora un sistema di raccolta differenziata dei rifiuti. Il tema dei dirigenti e del loro operato non si porrebbe neppure se la politica fosse credibile, se fosse creduta, se fosse ritenuta responsabile, se le si riconoscesse cioè una attitu-

dine a rispondere dei problemi, a trovarne le soluzioni, a dire la verità. E’ questo quello che si dovrebbe chiedere al sindaco di Giarre, assessore al bilancio e ad un’altra infinità di cose, chissà dove trovi il tempo poi. Il progetto di governo di Bonaccorsi è naufragato laddove era iniziato: sui conti, i numeri. Dinnanzi a un fatto di questo tipo il silenzio del sindaco del sindaco sta producendo un rumore fragoroso, quasi quanto una schianto. Il suo celarsi dietro un “l’ho appreso dalla stampa” non fa i conti con il principio di realtà, ragioni di ordine oggettivo, è il sindaco, capo dell’amministrazione e assessore al bilancio, e ragioni soggettive, la storia professionale dell’uomo: per queste ragioni non poteva non sapere. A motivo della necessaria soddisfazione dei creditori di queste “nuove” somme, il bilancio rischia di es-

sere squilibrato e si pronuncia a bassa voce con cicospezione la parola “dissesto”, al di là della capacità evocativa della parola, la sciagura che fa immaginare è già in realtà il presente del comune di Giarre, tra aliquote ai massimi e spesa in servizi resi limitatissima. Il nodo cruciale è che il sindaco ha pensato in un primo momento di salvare Giarre da solo e quando non ci è riuscito ha pensato di salvare se stesso declinando le responsabilità e scaricarle sui dirigenti, dimenticando forse che lui è stato eletto per rispondere dell’andamento del comune. Come il soldato di Vecchioni in Samarcanda cui “parve di vedere una donna vestita di nero (la morte n.d.r.) che lo guardava con occhi cattivi” il sindaco vide lo stato di finanza dell’ente e iniziò la cavalcata tra conti e debiti sperando di fuggire verso la sua Samarcanda, sul suo cavallo -il decennale piano di risanamento-, in realtà come nella leggenda donde deriva la canzone nonha fatto altro che correre verso il proprio destino, “T’aspettavo qui per oggi a Samarcanda/ eri lontanissimo due giorni fa,/ ho temuto che per ascoltar la banda/ non facessi in tempo ad arrivare qua”. Ciò dimostra che nessuno si salva da solo, nessuno salva Giarre da solo. Ci vuole un patto con la città, una assunzione corale di responsabilità di una classe politica locale nuova che si faccia classe dirigente. Don Milani diceva “Ho imparato capito che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è avarizia.” Abbiamo bisognio della politica, ma di quella pulita.

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Maggio 2015 - Messina

A Barcellona cercano la tregua. A Messina Cucinotta se ne va di Giovanni Frazzica Partiamo da Barcellona, dove la surreale lotta per l’assegnazione del simbolo del Pd, dopo la diffida del candidato a sindaco Giovanni Munafò nei confronti del segretario regionale Fausto Raciti, ha fatto irritare molto il segretario organizzativo Antonio Rubino venuto per trovare una soluzione. In precedenza il segretario cittadino del Pd, avv. Francesco Russo, aveva scritto al segretario provinciale Basilio Ridolfo una nota:”Bisogna scongiurare l’assegnazione del simbolo a chicchessia – scriveva Russo - Il partito e’ fratturato in almeno tre pezzi, ognuno verso un sindaco diverso. Non assegnare il simbolo risponde all’esigenza di tutelare il Pd di fronte all’opinione pubblica disorientata. In tali condizioni si premierebbe indebitamente una scelta a dispetto delle altre. E che dire in caso di prevedibile scarso successo, di chi sarebbero le responsabilita’? Tra l’altro non c’e in campo nessun simbolo di altri partiti, ma solo liste civiche. Aggiungi anche che Turrisi nella sua prima uscita in tv ha detto che lui non e’ del Pd. Bisogna pure prendere atto che non vi e’ stata alcuna decisione legittima dei circoli, ma solo fughe in avanti di alcuni. Non resta che tutelare le scelte di tutti e non di alcuni”. Poi si sono riuniti a Barcellona i presidenti dei 4 circoli del Pd alla presenza dello stesso Russo, del segretario provinciale Basilio Ridolfo e del segretario regionale organizzativo Antonio Rubino ed e’ stato chiarito che la volontà’ delle segreterie regiona-

Francesco Russo le e provinciale è quella di mettere a disposizione il simbolo ad un Pd unito in ambito locale. Per questo i rappresentanti dei circoli sono stati esortati a trovare le ragioni dello stare insieme e di pervenire ad una sintesi politica che consenta a tutti di riunirsi sotto il simbolo del Pd. Ma altre nubi incombono sul cielo del Pd. A Messina le dimissioni di Nicola Cucinotta, Pd, da presidente della commissione Bilancio del Comune, hanno creato un terremoto a Palazzo Zanca ed hanno fatto registrare reazioni politiche ufficiali e ufficiose. «Il Pdr esprime attenzione per la scelta del consigliere Cucinotta - dice Salvo Versaci, coordinatore del Pdr Messina - Condividiamo molte delle motivazioni che lo hanno spinto a rinunciare ad un compito molto importante che, per essere svolto al meglio, però doveva essere supportato seriamente dall’organo amministrativo». Alla base di tanta insofferenza nei confronti della linea finan-

Nicola Cucinotta ziaria del Comune c’è stato forse anche il fatto che pure tre ex accorintiani hanno confutato la tesi Signorino-Le Donne secondo cui il piano di riequilibrio rimetterà in moto l’economia dal basso. Il giornalista Antonio Mazzeo ed i consiglieri Nina Lo Presti e Gino Sturniolo hanno tracciato un quadro ben diverso da quello dipinto in questi mesi dalla Giunta Accorinti, secondo cui, il piano decennale di riequilibrio, attualmente al vaglio del Ministero, non è la panacea di tutti i mali, ma un condono alle colpe di quelli che c’erano prima ed uno strumento per saldare i debiti ai grandi gruppi di potere che hanno affossato la città. Mazzeo, Lo Presti e Sturniolo dimostrano che la favola raccontata dalla Giunta Accorinti, secondo cui le risorse del fondo di rotazione finiranno nelle tasche dei cittadini semplici – piccoli commerciani, piccoli fornitori – è falsa. La teoria Signorino-Le Donne per cui il piano di riequilibrio rimetterà in

moto l’economia di Messina dal basso in realtà avrà come unici veri interessati i maxi-creditori e gli ex amministratori, che potrebbero essere chiamati a rispondere del dissesto. Per Antonio Mazzeo l’83% della massa debitoria di Palazzo Zanca verrebbe saldato ai potenti di questa città; a grosse imprese, alcune delle quali con vicende poco chiare alle spalle; alle coop. sociali, che per statuto dovrebbero essere no-profit; a gruppi bancari; e ad avvocati . «Mi sarei aspettato che i debiti con questi creditori venissero messi in discussione da questa amministrazione, visto che in passato la gestione della cosa pubblica non è stata né traspartrente né volta alla buona amministrazione », ha detto Mazzeo nel corso di un incontro alla Casa Rossa, sottolinendo anche il conflitto di interessi dell’assessore all’urbanistica Sergio De Cola, il cui studio di progettazione risulta tra i creditori di Palazzo Zanca, con all’attivo 425mila euro.«Ne

ho parlato spesso con Renato, ma mi ha sempre riposto che De Cola è una brava persona ed onesta, liquidando così una situazione che invece andava affrontata diversamente, anche perché - se a governare ci fossero stati altri - lui avrebbe fatto le barricate». Ma l’Amministrazione si occupa di tutt’altro, vorrebbe far dichiare lo Stretto patrimonio dell’Unesco per bloccare la costruzione del Ponte. Ma i rappresentanti della Rete Civica Fernando Rizzo, Franco Providenti, Giovanni Caminiti, Ettore Gentile e Angelo Papalia insorgono:“Ci auguriamo che gli ispettori dell’Unesco decidano di sospendere la pratica. Sabato mattina era in prima fila Accorinti che, più volte in passato, anche da sindaco, ebbe a dire che il Ponte unirebbe non due coste ma due cosche. Lui insegue le utopie, perché le utopie hanno cambiato la storia. Sabato è stato detto che il Ponte non serve, ma che invece servono opere utili, come il potenziamento dei traghetti con tariffe sociali. Mai una volta che, parlando di utopie, vengano citati anche tempi e costi di realizzazione. Che inseguano pure le utopie. Noi preferiamo inseguire i sogni. Sogniamo che lo Stretto possa vedere il Ponte e le altre infrastrutture finalmente realizzati. Sogniamo le decine di migliaia di posti di lavoro. Sogniamo lo sviluppo che il Ponte produrrà. Questi i nostri sognie lotteremo affinché si realizzino. Facciamo, il Ponte, prima. Risolleviamo questa terra. Dopo, forse, avremo maggiori possibilità, e maggiore interesse, a diventare Patrimonio dell’Umanità”.

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Maggio 2015 - Siracusa

Il caso Pillirina, un vero pasticcio alla siracusana di Rosa Tomarchio Come fa un ente pubblico come la Camera di Commercio, a rappresentare e tutelare un solo imprenditore, anzicchè il mondo produttivo complessivamente? Quali sono questi Sindacati, Associazioni di Categoria e Ordini Professionali, tutti “unanimemente” schierati con Ivan Lo Bello? Evidentemente, il quesito allarmante di Salvo Salerno di Quartieri Fuori dal Comune è stato colto da alcuni piccoli imprenditori, cosicchè il presidente di Confcommercio Sandro Romano ha pensato bene di radunare tutti gli associati, i commercianti e i consorzi in sigle che operano attorno al mondo dell’impresa per “tastare” il polso sul caso Pillirina-villaggio turistico tra gli associati. E cosi ieri sera saletta affollata e partecipata, c’erano anche qualche agente marittimo che da tempo spera in un rilancio concreto del porto turistico, non c’erano gli albergatori di Pippo Rosano trattenuto improvvisamente da altri impegni e impossibilitato a partecipare all’incontro moderato dallo stesso Romano e dal neo direttore regionale della Confcommercio. Intanto, una piccola ma sostanziale rettifica. Il resort Elemata Maddalena- Aman , spiega Peppe Magrì - avrebbe previsto non villette, come qualcuno avrebbe fatto credere, ma “villas” che vuol dire “camera suite”. Suite da sogno, da mille e una notte, da 3500 euro a notte”. Dunque, nessun turista per caso fai da te, nessuna presenza massiccia ed invasiva. Solo gente ricca in cerca di un “atollo” dove potersi ri-

las” in qualche lassare lontano pezzo di paradal caos e dal diso sperduto tran tran giornel mondo. Il naliero. Gente sindaco non disposta a sborha avuto nemsare 3500 euro meno il buon a notte in camsenso, nè la bio di un pezgentilezza, di zo di Paradiso declinare l’inTerrestre, solo vito con qualmare, spiagche buona scugia e cielo. Il sa” - aggiunge ritorno occuMagrì. Chiusa pazionale. A momentaneadetta di Magrì, mente la parensarebbero state tesi Pillirina, impiegate due si è parlato di unità ogni “viltante altre opelas suite”. Per La confcommercio e a destra il villaggio re “ingessate”: un totale di 100 unità lavorative rigorosamente te) sarebbero una cinquantina, il porto turistico di Francesco siracusani. “Noi difendiamo il che sarebbero previsti anche un Caltagirone, vicende giudiziadiritto all’impresa - esordisce a parcheggio ampissimo e un sola- ri a parte, i cui lavori sono stati sua volta Sandro Romano - non rium sul modello Forte Vigliena, bloccati mandando alla malora il principio. Mi auguro che la completamente disponibile per i - dice Romano - ben 22 posti di magistratura si svegli a Siracusa. siracusani. Un gesto di apertura foresteria. Che dire poi dell’ex Non si possono presentare solo di De Gresy alla città. Anche il Spero? La preannunciata condenunce e lasciare il territorio trasporto è stato attenzionato, ferenza dei servizi non viene senza alcuna forma di sviluppo. un pulmino farebbe spola da e convocata da più di un anno. La Sul caso villaggio turistico alla per la città. A bordo potranno città, la sua economia, stanno Pillirina personalmente mi ar- salire anche i siracusani. Altra collassando mentre assistiamo rabbio molto, non sopporto i no apertura....ruffiana? Tutte belle impotenti al tramonto della zona a priori”. In effetti, una doman- intenzioni ormai non più. I verbi industriale - aggiunge il presida sorge spontanea. Ma la città si declinano al passato: scaduti dente Confcommercio che rilaha mai conosciuto il progetto, i termini l’impresa ha chiesto il scia alcuni dati sostanziali: “In le reali intenzioni di di Gresy? risarcimento dei danni (137 mi- Italia sei impianti di raffineria Pare che per avere un plastico lioni di euro) per la mancata re- chiuderanno molto presto perche realizzato da uno dei più famo- alizzazione del villaggio, come è non innovati e poco competitivi si progettisti Aman costerebbe noto, ai 34 ex consiglieri comu- con il mercato asiatico. Qui in al privato qualcosa come 140 nali, sindaco Garozzo compreso. provincia assistiamo poi al taglio mila euro. Sarebbe un bel rega- I tavoli di mediazione sono stati dei treni, alla chiusura della Banlo alla Città di Siracusa, per al- diversi. L’ultimo, col presidente ca d’Italia e lo smacco di essere tri una spesa non opportuna per Aman Resort in persona. Il quale l’unica provincia ad aver pagato il marchese imprenditore. Del pare abbia fatto rientro in patria di più in termini di disoccupazionuovo progetto Elemata Madda- a “mani vuote” ma non prima ne. i senza lavoro nel 2013 erano lena - Aman, una volta avvenuto aver invitato il sindaco di Sira- 39 mila, nel 2014 46 mila. Oltreil divorzio forzato con 4Season. cusa, Giancarlo Garozzo, a fare tutto, Siracusa ha perso circa il si sa che le villas (e non villet- esperienza in una delle sue “vil- 13% dei residenti, i negozi sono

rimasti quelli di sempre, ma sono diminuiti gli acquirenti. L’unica azienda che cresce a dismisura è la Caritas”. Con i commercianti si è posta l’attenzione su altri tipi di “Incompiute”, come il Puc, fermo al 2011, “tre assessori alle attività produttive in meno di tre anni e il Puc rimane al palo” - dice Romano - nonostante sia obbligatorio come il Put, il piano di energia e il controllo delle caldaie”. E poi la formale denuncia diretta al sindaco Giancarlo Garozzo: “Nessuno dei punti programmatici del candidato sindaco Garozzo è stato rispettato o applicato - dice Romano - eppure questo documento Confcommercio è stato sottoscritto dall’attuale sindaco Garozzo nel 2013 che auspica al tempo: una città pulita, accogliente, moderna e solidale, servizi efficienti. Una città, insomma, al passo con gli standard europei. E invece assistiamo oggi al contrario di tutto questo. Fiere allestite in spazi non previsti dalla legge, scelte che venivano decise dal capo di gabinetto del sindaco - dice Romano - una tassa di soggiorno il cui ammontare oggi è di quasi un milione di euro ma di cui si sconosce l’utilizzo. Sino all’ultima tirata d’orecchie al sindaco, quella di Ezechia Paolo Reale, che mette in evidenza un’altra magagna di questa amministrazione, quella dei contributi “camuffati” da patrocini onerosi, ben altra cosa, per un ammontare di 400 mila euro. E ancora, il mistero della pubblicità (secondo il consigliere comunale Castagnino l’affidamento sarebbe “irregolare”) che continua a circolare sui bus navetta di Ortigia”.

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Magio 2015 - Redazionale

Favor debitoris di Gi ovanni Pas tor e

Perchè questo nome della rubrica: Da più di un anno il sito Ex Parte Creditoris sta cercando di incentivare una giurisprudenza (che era molto scarsa) favorevole alle banche su alcuni punti chiave dei processi civili e penali per influenzare gli operatori del settore (per dirla con Gramsci: una delle tante manifestazioni dell’egemonia dei poteri forti). Compito delle persone di buona volontà, di qualunque credo politico o fede religiosa, riteniamo debba essere quello di favorire i debitori contro le vessazioni degli istituti bancari, da qui il nome della ns. rubrica: FAVOR DEBITORIS. L’articolo di oggi è la prosecuzione di quello della scorsa settimana “Dalla ‘razza padrona” alla ‘bancocrazia’ ” in cui cerchiamo di dare un quadro morale, filosofico e storico dell’usura bancaria, utilizzando alcuni articoli firmati dall’avv. Biagio Riccio e dal dott. Angelo Santoro pubblicati nel libro: “ISTITUTI DISCREDITO” (la S è intenzionale).

Dalla ‘razza padrona’ alla ‘bancocrazia’ A seguito del D.P.R. 27.6.1985, n. 350, che dava attuazione alla direttiva 12.12.1977, n. 780/CEE, l’attività di raccolta ed esercizio del credito è oggi svolta in regime tipicamente privatistico, per cui ai dipendenti di tali enti non è attribuibile alcuna qualifica pubblicistica. Le banche oggi sono divenute società di diritto privato, organizzate secondo il modello civilistico per conseguire utili. Il correntista non è più un cliente da curare e da seguire nella sua intrapresa, ma diventa un numero come tanti, indistinguibile nella massa: l’obiettivo della banca è quello di conseguire utili, come una qualsiasi impresa, non più quella di aiutare l’imprenditore, sposare ed organizzare le sue idee, spingere ed alimentare con effetto moltiplicatore gli investimenti. Come un numero o una cosa si tratta il cliente, che deve essere coartato all’adempimento, deve sempre restare nei limiti del fido che gli è stato concesso. Non deve creare problemi, in mancanza va in incaglio per essere spazzato via dal mondo dell’impresa, attraverso il sistema della gogna mediatica della segnalazione alla ‘Centrale rischi’. Ed è quello che è accaduto a tante imprese che non possono più operare, perché le banche sono divenute nemiche. Oltre alla segnalazione alla ‘Centrale rischi’, che rappresenta un impedimento per accedere ad una nuova linea di credito, l’imprenditore che oggi si presenta in banca deve già possedere ricchezze, altrimenti non può essere affidato. Infatti le banche chiedono fideiussioni a tutti i soci dell’impresa e non di rado alle loro mogli, fratelli e sorelle. Si determina quella che viene definita la “potenziale spoliazione patrimoniale”. Va da sé che le fideiussioni ottenute sono

di gran lunga sproporzionate al fido concesso o al mutuo erogato. Ma vi è di più: se l’imprenditore non riesce a rientrare del fido concesso, le escussioni delle fideiussioni si registrano oltre i limiti contrassegnati in contratto. Per esempio a fronte di un fido di euro 100 mila si raccolgono fideiussioni sul piano di un contratto scritto per euro 200 mila, ma chi firma può essere di converso, portatore di ricchezze immobiliari, di maggior valore per esempio euro 600 mila. Avviene dunque che la banca, in caso di inadempimento del debitore principale, quello affidato, dovrebbe accendere ipoteca nei limiti di euro 200 mila sui cespiti dei fideiussori, come da contratto scritto: invece viene pignorata ricchezza immobiliare per euro 600 mila ed oltre. Ma non finisce qui: il sistema con la sua macchina spietata deve coartare l’imprenditore all’adempimento, costringerlo ad ogni costo a rientrare delle sue obbligazioni, impedendo un’esistenza dignitosa alla sua famiglia ed ai suoi figli. Si minaccia dunque il pignoramento dei suoi immobili, concessi in garanzia e quello che è più grave una volta che lo si è subito, si delinea l’angoscia e la paura dello spossessamento e dello sloggio dalla propria abitazione, quella costruita con i risparmi di una vita. Infatti il sistema della riforma dell’espropriazione forzata consente di nominare un custode che impone all’imprenditore o al mutuatario inadempiente di lasciare la casa o l’opificio pignorato o addirittura di stipulare un contratto di affitto: il proprietario della casa o dello stabilimento dovrà pagare un canone locatizio alla procedura che ha av-

viato l’azione pignoratizia, se intende rimanervi. Il povero debitore ben sa che da li a poco quella stessa casa sarà venduta all’incanto e sarà perduta definitivamente. Accade dunque che non solo la banca distrugge, con il sistema della centrale rischi, l’imprenditore che non potrà più neppure ottenere un finanziamento per un acquisto rateale, ma, in caso di sconfinamento ed incaglio della sua posizione, si dischiude a suo discapito il fallimento dell’impresa e la devastante ricaduta del proprio prestigio ed onore nel seno della sua famiglia e della comunità sociale ove egli vive. Gli si provoca il danno esistenziale della perdita di se che nessuno gli potrà più risarcire. Molte sono le imprese che sono cancellate dall’economia reale, fallite e non più riconducibili nell’alveo di una ripresa di iniziative occupazionali. Si semina per questo sistema la disoccupazione e si provocano suicidi, come di fatto è avvenuto. Si ingrossa il sistema bancario che diventa un potere, quello più potente nell’ambito economico: la bancocrazia fatta da imprenditori, quelli della razza padrona contro la Costituzione, l’equità sociale e la dignità dell’uomo. Biagio Riccio ed Angelo Santoro

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Maggio 2015 - Attualità

Il 25 aprile: la Boldrini come Fini, non è festa di Enrico Di Luciano Quando eravamo ragazzini, la notte fra il 24 e il 25 aprile, andavamo in giro per le città a scrivere sui muri: “Italiano, il 25 aprile non è festa per te”. Intendevamo, nella nostra incosciente ingenuità, sottolineare la contrarietà ad una ricorrenza partigiana, nel senso estremo e più negativo di parte, auspicando che in quella giornata si celebrasse una definitiva conciliazione fra tutti gli italiani. Fini, ne sono certo, non partecipò mai a queste “spedizioni notturne”, non perché fosse contrario in linea di principio a quanto intendevamo affermare, ma, piuttosto, perché era noto nel nostro ambiente il suo carattere…pacifico, per usare un eufemismo.

Nel 2009, dopo 64 anni dalla fine del Fascismo, Fini rilasciò sull’argomento un’intervista su “L’Altro”, il giornale di Sansonetti, nella quale l’allora Presidente della Camera si lasciò andare ad affermazioni sul Fascismo che, forse, neppure negli anni bui dell’arco costituzionale e dello scellerato pactum ad escludendum, erano state usate dagli avversari più agguerriti. Fini, dopo anni in cui è stato fascista intransigente, un “duro e puro” -come allora si diceva-, diventava, da buon apostata, il più antifascista degli antifascisti, sottolineando della ricorrenza del 25 aprile l’aspetto più odioso e più rancoro-

Laura Boldrini so, quando anche le più alte cariche dello Stato cominciavano ad imboccare una nuova strada, cioè la via della riconciliazione, che non può prescindere dal ri-

conoscimento della buona fede dei “ragazzi di Salò” che, piaccia o non piaccia, non solo combatterono e morirono per salvare l’onore della Patria, ma, con il loro sacrificio, evitarono la distruzione e lo smantellamento delle grandi industrie de nord, come programmato dai Tedeschi e, quindi, forse inconsapevolmente, contribuirono alla rinascita del Paese nel dopoguerra. Allora affermammo: “Fini, neppure il nuovo 25 aprile non è festa per te!” Oggi Fini, ne sono certo, avrà particolarmente apprezzato l’affermazione della Presidente della Camera, on. Laura Boldrini che, dopo 70 anni dalla fine della guerra civile, con un intervento

vecchio stile, auspica addirittura la cancellazione dell’iscrizione MUSSOLINI DUX dall’obelisco del Foro Italico, opera dell’arch. Costantino Costantini, che solo negli anni bui dell’antifascismo più violento del dopoguerra qualcuno – inutilmente - ebbe l’ardire di proporre. L’on. Boldrini, con la sua proposta, dimostra una straordinaria ingiustificabile incultura e un incredibile disprezzo della storia degni di un ignorante guerrigliero dell’ISIS, e ciò, fra l’altro, nel momento in cui in tutto il mondo scientifico si studia con grande attenzione il Razionalismo italiano. Aspettiamo che questo inadeguato Presidente della Camera proponga anche che venga scalpellato il mosaico di Mario Sironi “L’Italia Corporativa” del Palazzo dei Giornali di Milano!

Suzan F1, quando la lunga conservazione non incide sulla qualità del melone Dopo anni di ricerche e sperimentazione nell’area pugliese, la lucano Fenix e l’israeliana Genesis Seed portano sul mercato italiano ed internazionale un nuovo ibrido di melone denominato Suzan F1, appartenente alla storica tipologia Galia che trova la sua prima costituzione proprio in terra israeliana. “Oggi grazie a Suzan F1 il mercato ha una nuova opportunità. Portare lontano dalle zone di coltivazione un melo-

ne della tipologia galia assicurando la conservabilità senza rinunciare non solo al profumo e all’aroma ma anche alla tipica morbidezza della polpa!”, così dichiara Ivana Marchese, amministratore e direttore commerciale della ditta siciliana, che aggiunge: “una referenza in più da far conoscere ai consumatori italiani, sempre più attenti, la qualità e il sapore che di certo attireranno al banco molti utenti visto il grade-

volissimo profumo che caratterizza questi frutti”. La pianta di Suzan F1 ha una vigoria media ed è molto produttiva. I frutti di pezzatura omogenea hanno una buccia di colore bianco quando sono immaturi per poi virare al tipico colore del galia quando maturi. La forma è leggermente ovale, permettendo così una perfetta sistemazione in box da 6 pezzi (prima categoria commerciale). La buccia chiara consente una

perfetta colorazione dei frutti anche in stagioni primaverili estive difficili in cui invece è più comune trovare alla base di questi rotture di colore (macchie verdi). La cavità placentare è piccola mantenendo così un alto peso specifico dei frutti. Il dott. Loprevite, Responsabile alla ricerca di Fenix aggiunge “La sfida dell’ibridazione di questa varietà di melone è stata proprio quella ottenere un frutto dalla lunga conservabilità

in post raccolta, mantenendo tutte le peculiarità del melone galia: forma, colore della buccia, altissimo grado zuccherino, profumo, serbevolezza e morbidezza della polpa”. Il galia Suzan come il giallo Caracas, ampliano così la gamma meloni che insieme all’offerta di angurie e relativi portinnesti, creano un interessante catalogo di cucurbitacee che la Fenix seeds mette al servizio degli operatori del settore.

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Idonea al Metropolitan: rivive la Commedia dell’arte. Ed è successo d i N unzia Sca lzo Un’ antologia dei canovacci della commedia dell’arte. Questa l’idea partorita da Gilberto Idonea diventata uno esilarante spettacolo di gran successo in scena al teatro Metropolitan di Catania dal titolo “Segue brillantissima farsa”. Uno spettacolo in due atti che ha fatto registrare il sold out per tutte le repliche oltre che per la bravura e l’affiatamento della compagnia, anche per il significato che assume il genere diventato ormai molto raro nei teatri italiani. La commedia dell’arte ha dei predecessori illustri discendendo dai classici della comicità italica ancora prima che fosse illustrata da personaggi come Plauto o Goldoni o Pirandello, ed è anche il genere in cui una miriade di attori si sono cimentanti osservando la realtà umana e ridendoci sopra, coprendo di ridicolo i personaggi in toga o in abito nero, i ricchi ma tirchi, i sicuri di sé ma sbruffoni, onorevoli in apparenza ma pataccari nella sostanza, tutti democraticamente presi di mira e ridicolizzati fino all’inverosimile. Regia e vis comica sono quelle di Idonea, attore rodato in tanti anni

Gilberto Idonea e un momento dello spettacolo sui palcoscenici di tutto il mondo, che rendono vitale, imprevedibile e geniale lo scandire dei momenti scenici. Scene e le luci fanno il resto; i costumi, minimal, sano curati ma senza ossessioni. Lo spettacolo punta sulla qualità interpretativa e dove c’è risalta tutta. Lo stesso Idonea afferma che: “Bisognerebbe dichiarare la commedia dell’arte ‘patrimonio culturale dell’umanità’, o almeno patrimonio culturale d’Italia. Non è una provocazione, ma una realtà. Il meglio dello spirito italico è proprio la sua capacità di ridurre in satira la prosopopea di personaggi che si autoproclamano grandi e che sono ridicoli. La

commedia dell’arte prendeva in giro i Professoroni che ingannano il popolo, i truffatori che fanno pagare a Pantalone le spese dei loro guasti. Le loro risate sono state il fermento vitale della grande crescita della nostra civiltà rinascimentale e ancora prima furono il freno contro lo strapotere dei dittatori romani. La satira nella nostra penisola è un’arte che conta più di duemila anni ed è vitale, sia sui grandi temi che su quelli del vivere quotidiano. Gli Italiani sono pronti a mettersi in scena, a “recitare” davanti a un pubblico straripante, senza neanche il soccorso di un copione, attingendo alle proprie risorse di ingegno e a quella argu-

zia che ci contraddistingue. Ogni volta che invito qualcuno degli spettatori a salire in scena io e il pubblico abbiamo la prova dello spirito dei nostri concittadini (uomini o donne, giovani o no: siamo tutti fratelli d’Italia) e giungo alla conclusione che se gli stessi spettatori si trovassero sbalzati, improvvisamente, a Palazzo Chigi, o alla Farnesina, o a Palazzo Kock, forse farebbero meno errori dei temporanei inquilini e certamente, portati lì dal caso e non da una lotta politica, sarebbero meno disonesti di chi abita in quelle stanze dopo fruttuose compravendite”. Prosegue ancora: “E questi stessi pensieri che ufficialmente non si possono dire

perché politicamente scorrettissimi, nella Commedia dell’Arte si dicono dai tempi di Pulcinella e Pantalone. Le farse che fanno inarcare il sopracciglio agli accademici hanno aiutato gli Italiani a rialzarsi nei momenti delle difficoltà. Anche oggi. Certi show televisivi ne sono la deformazione tecnologica. La farsa, la recita a soggetto, i frizzi e i lazzi dei guitti sono la nostra risorsa”. Originale la scelta di chiamare sul palcoscenico una giovane donna del pubblico e farle interpretare la parte di una donzella innamorata cui tutta la compagnia suggerisce le battute: l’espediente serve a ricordare lo stato in cui lavoravano gli attori tra otto e novecento, che pur di garantirsi un pasto sicuro, coinvolgevano nella recita con loro la figlia del benestante del paese, e dopo averla resa partecipe dello spettacolo, finivano per cenare a casa della prescelta invitati dal padre. Un modo come un altro per tirare a campare in maniera originale; la vita che si aggiunge alla finzione scenica a ricordare che è esistito un tempo in cui la satira sapeva come trovare espedienti efficaci, e soprattutto insegnava a tenere testa a tutti, anche ai dittatori e senza paura.

Teatro Metropolitan CATANIA

2014-2015 Alessandro e Gilberto Idonea

“LIOLÀ”

di Luigi Pirandello

Pippo Pattavina

“L’ALTALENA” di Nino Martoglio

Alessandro Idonea e Plinio Milazzo

“MIA NO TUA NEMMENO” di Vincenzo Mulè

Pino Caruso

“NON SI SA COME” di Luigi Pirandello

Gilberto Idonea

“SEGUE BRILLANTISSIMA FARSA” dalla commedia dell’arte

La prelazione per gli abbonati della stagione 2014-15 scade giovedì 8 maggio

5 SPETTACOLI IN ABBONAMENTO Prezzi: poltronissime € 70 - poltrone € 60 - Distinti € 50

Ridotti over 60, under 18 e universitari: Poltronissime € 60 - Poltrone € 50 - Distinti € 40 Prevendita al botteghino del teatro ore 10/ 13 - 17/20 TURNI: SABATO ORE 17.30 / 21.00 - DOMENICA ORE 17.30 La direzione si riserva il diritto di apportare modifiche al programma

Catania - Via S. Euplio, 21 - Tel. 095 322323 - www.metropolitan.catania.it - info@metropolitan.catania.it -

Teatro Metropolitan Catania

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Maggio 2015 - Rubriche

La pagina delle rubriche Democrazia efficiente o “democratura” di Maurizio Ballistreri

La riforma costituzionale proposta dal governo Renzi e attualmente in discussione al Parlamento trova una delle cause giustificatrici nell’esigenza di rendere efficiente il sistema politico-istituzionale, tagliandone i costi, a partire dalla velocizzazione delle decisioni, saltando le mediazioni nelle assemblee elettive e quelle con i partiti e le forze sociali. Da qui la reductio ad unum delle Camere, con l’abolizione sostanziale del Senato e delle provincie, la riforma elettorale, la riduzione drastica dei poteri (e delle risorse) delle regioni, ma anche, sul piano politico,

Da la foto della

settimana

l’atteggiamento polemico contro l’opposizione interna nel Pd e l’atteggiamento di sufficienza nei confronti delle opposizioni. Scelte che vengono sostenute anche come necessità di uniformarsi alle altre democrazie occidentali più avanzate. Ma i francesi sono appena andati al voto per il rinnovo dei Dipartimenti, l’equivalente delle nostre provincie, e tutti l’hanno ritenuto non solo un importante test politico ma anche una grande prova democratica nel Paese transalpino. E ancora, la Francia ha 22 assemblee regionali elette a suffragio universale ogni 6 anni e il Senato eletto da 150.000 grandi elettori, non vota la fiducia al governo, ma le leggi devono essere approvate da entrambe le camere. Negli Stati Uniti, ritenuti il paradigma dei sistemi istituzionali fondati sulla velocità e l’efficienza, il Senato condivide con il Congresso l’esercizio del potere legislativo; i senatori possono presentare proposte di legge, ad eccezione di quelle in materia tributaria; le leggi devono essere esaminate e approvate da tutte e due le camere e al Senato sono attribuite in via esclusiva la ra-

tifica dei trattati internazionali e l’approvazione delle nomine di molti dirigenti statali e dei giudici federali. E poi, ci sono le camere elettive dei singoli Stati, poiché com’è noto gli Usa sono un’unione federale, le contee (enti intermedi come le nostre provincie) e i municipi, per non parlare dei procuratori distrettuali (l’equivalente dei nostri procuratori capo della Repubblica) e degli sceriffi eletti direttamente dal popolo. Dunque, in Francia e negli Stati Uniti (ma si potrebbero citare altri esempi) nessuno pensa che l’efficienza del sistema istituzionale sia collegata alla semplificazione dei processi politici e democratici. Nelle settimane scorse il direttore della rivista di geopolitica “Limes” Lucio Caracciolo ha parlato dei rischi di involuzione della democrazia a causa di svolte oligarchiche e decisioniste, integrate da massicce dose di populismo, citando il caso della Russia di Putin e coniando un neologismo: la “democratura”, mix tra democrazia e dittatura, con parlamenti che ratificano le decisioni del premier. Il modello per il futuro politico dell’Italia?

(A chi piace essere svergognato?) Il teatro deve morire di Enzo Trantino Come mai uomini saggi, investiti di funzioni pubbliche con riferimento ai teatri di prosa siciliani, organizzino dibattiti per stanare il sonno ebete di governanti senza libri, o quasi, in tutte le età? Mentre il melodramma o il cinema alterano i connotati delle realtà, l’uno per ripetere, in genere, storie note, l’altro per non avere limiti al racconto, l’uno (il melodramma) per ricordare eroi o miserabili del passato, l’altro (il cinema) per consentirsi l’impossibile, inventando trame senza confini, forte di rivoluzioni tecnologiche più veloce dei tempi, il teatro, invece, si consuma a contatto con gente ordinaria, gli spettatori, e ripropone miserie e nobiltà verificabili, nel concreto, sicché ognuno si riconosce nei vari attori, e mobilita emozioni, impasta variabili, corregge e trasforma, perché il teatro è diario a pagine bianche, è spia di virtù, vizi e viltà, irride all’eroismo sino a renderlo comico, alza il livello della risata sino a farla denuncia. Se questo è in sintesi minimale il racconto della “morale”, le conseguenze, a saperle leggere sono devastanti. Chi dovrebbe aiutare a non morire il teatro di prosa? I governanti, i padroni del denaro, quelli del bilancio spesso impiantato sul “tre oro, tre oro”, con carte truccate, e compari attorno al tavolino. Ecco la chiave di lettura. Volete voi uomini saggi che possa piacere l’autonomia della libertà, perché a questo si riduce il palcoscenico, quando i “cantastorie” (nel senso più alto) sono padroni della qualità? Dalla Grecia antica, agli autori romani, alla commedia francese o spagnola (per parlare di immensi vicini di casa) il potere non ha mai temuto le rivoluzioni, ma il ridicolo, i ritratti apparentemente astratti, ma che gridano, spesso, il nome e cognome dei soggetti incorniciati. E se ciò è modesto e vero, volete voi, uomini saggi, che gli astuti malfattori consentano che altri si confessino pubblicamente, per loro delega? Le indignazioni, le promesse, le pubbliche denuncie fanno parte del “copione”: anche lorsignori hanno sentito parlare di quanto scortichi il teatro e costringa a momentanea vergogna. Quindi, la conclusione: “i saltimbanchi crepino, non saremmo noi a fornirgli i mezzi per diffondere le nostre vergogne”. Ci sono, tra i tanti, i pochi presentabili. Ma non contano, sono afoni. Sinceri nella collera, ma impotenti nei rimedi. Così è, se vi pare. (P.s.) Materia diversissima ci impone nostalgia positiva. Ci riferiamo alla recente partita di calcio Parma-Juventus, dove gli ultimi, i derelitti, ha battuto i primi, i campioni. Onore all’orgoglio! Succede raramente, ma succede, che Davide, l’antagonista di Golia, risorga. Questa volta Davide abita a Parma.

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Pensaci Giacomino! Tra apparenza e decoro è l’unico vincitore d i L e lla Ba t t ia t o

Si chiude il sipario sulla quinta stagione di prosa “Turi Ferro”, organizzata dall’associazione culturale Abc per il debutto di Pensaci Giacomino! con la regia di Guglielmo Ferro e un diabolico Enrico Guarneri interpreta il professore Toti affiancato in scena da otto bravi attori, oggetto di fotografia e ritratti nella loro esteriorità più che in un’intima ricreazione del loro essere morale. La commedia è tratta dalla novella omonima pubblicata nel 1910 sul Corriere della Sera ed è stata cucita addosso ad un grande attore siciliano, Angelo Musco. Pirandello, forte della base “drammatica” della novella, crea una pièce che ancor oggi affascina: Toti, professore in una scuola siciliana, ormai settantenne, “piccoletto, con la testa grossa, senza collo, il torso sproporzionato e due gambettine da uccello…” sposa la giovane Lillina (Nadia De Luca) cacciata di casa dal padre, bidello della scuola Cinquemani (Vincenzo Volo), e dalla madre Marianna (Rossana Bonafede) perché incinta di Giacomino (Francesco Maria Attardi), un giovane senza arte né parte che non potrebbe mantenerla; così per ripicca verso lo Stato che lo ha mal pagato, alla sua morte farà godere la pensione alla giovane moglie, ed essendo intelligente e comprensivo, poiché Lillina è innamorata di Giacomino e da lui ha avuto un figlio Ninì (Gianmaria Aprile), lascerà

che questo amore continui, non solo, ma aiuta il giovane a far carriera in una banca, che tuttavia si procura un’altra fidanzata che intende sposare, anche dietro insistenze della sorella Rosaria (Ileana Rigano) e del parroco padre Landolina (Rosario Minardi). Dialoghi incisivi, intrecciati con metafore: Toti dialogando col prete “sono disposto a parlare se lei si toglie i guanti dalla lingua”. Nel finale lo metterà davanti a una scelta: se abbandona Lillina e il bambino, gli procurerà grave imbarazzo di fronte alla nuova fidanzata e pronuncerà la frase “Pensaci Giacomino! Io difendo la mia famiglia”. Molto interessanti e attuali alcune riflessioni “stavo meglio con le mie miserie e la metafora delle foglie secche e le vampate…. Prima ero niente in paese, i soldi sono arrivati come una vampata e sono diventato un gigante… il denaro mi ha portato sfortuna, meglio i denari onesti guadagnati con fatica rispetto a quelli arrivati con facilità”. L’anziano professore calcola con scrupolo la sua vendetta, crea lo scandalo, fa parlare la gente,cerca di rimuovere le trappole della società, co-

Enrico Guarneri in un momento dello spettacolo

stringe i sepolcri imbiancati come Rosaria a correre maldestramente ai ripari, aizzando il perbenismo ecclesiastico e la voglia di “normalità” di Giacomino. Una trama che racchiude abilità letteraria e luccichii discorsivi, il regista riesce a cogliere il ridicolo più che il comico, con l’occhio simpatico dell’uomo artista, attraverso un dialogo serrato che il protagonista colora di una gestualità pirandelliana rispettosa ma risentita, rivoluzionaria nella sua contemporaneità. Dramma della ribellione, fil rouge “il tema dell’ipocrisia che la fa da padrona, chiarisce Guarneri, ci si nasconde dietro la falsa moralità, dietro le maschere che la gente si mette. In questo mare di ipocrisia naviga il professore Toti. Un personaggio disincantato lontano dalle miserie umane. Noi abbiamo

lavorato per “spirandellizzare” il testo per non farne qualcosa di troppo filosofico, siamo minimalisti, lo facciamo scivolare con semplicità, perché altrimenti la gente non ci sta più, non riesce a godere del testo”. “Toti è l’unico che esce vincitore in una guerra nella quale tutti escono sconfitti, come chiarisce il regista Guglielmo Ferro, il più intelligente, quello che sente di

poter scegliere, padrone della propria vita perché fa pensare, perché mette di fronte ognuno di noi alla nostra ridicola apparenza di fantocci impegnati in rituali spogli di ogni significato, decisi da qualcun altro e accettati per comodità”. Calato il sipario Guarneri si rivolge al pubblico abbastanza numeroso abbastanza numeroso ringraziandolo e presenta la nuova stagione teatrale che sarà notevole tra Nancy Brilli, Liliana Sastri e Alessandro Preziosi. La scenografia minima statica raffigura degli specchi, quelli dell’anima che vivono tra maschere ed ipocrisia. La commedia ha avuto molto successo, il protagonista ha fatto della figura del professore una creazione scenica ammirevole per sincerità ed efficacia rappresentativa, che ha entusiasmato la platea. Una conferma dell’amore che il popolo siciliano nutre nei confronti delle opere di uno dei figli più nobili della Sicilia, Pirandello infatti riesce sempre a catturare il pubblico.

Il cast

Pensaci Giacomino! di Luigi Pirandello con Enrico Guarneri (Prof. Toti), Nadia De Luca (Lillina, moglie del Prof. Toti), Francesco Maria Attardi (Giacomino), Mario Opinato (direttore del Ginnasio), Vincenzo Volo (bidello Cinquemani), Rossana Bonafede (Marianna, moglie di Cinquemani), Rosario Minardi (Padre Landolina), Ileana Rigano (Rosaria, sorella di Giacomino), Gianmaria Aprile (Ninì, il bambino) regia Gugliemo Ferro scene Salvo Manciagli, costumi Riccardo Cappello

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Grossi sovrintendente manager al Bellini: accetterà? d i Al d o Ma t t ina A un mese di distanza dall’infelice vicenda Purchia (l’annunciata Sovrintendente che ha preferito ritornare al ‘suo’ teatro S.Carlo di Napoli), il CdA del Teatro Massimo ‘Bellini’ rimedia allo ‘scivolone’ ed annunzia l’avvenuta nomina del nuovo Sovrintendente, il romano Roberto Grossi, carismatica figura di manager dal curriculum di tutto rispetto. Ad annunciarlo è stato il Sindaco di Catania e presidente del Consiglio d’amministrazione del teatro Bellini, Enzo Bianco: “Un manager per fare del Teatro Bellini il centro delle attività culturali non solo della città ma di tutta la Sicilia orientale”. Così ha commentato la designazione unanime di Roberto Grossi come Sovrintendente del Massimo, al termine di una riunione svoltasi nella Sala giunta di Palazzo degli elefanti. “Avevamo parlato -

ha detto Bianco - di un nome di notevole livello, di un’autentica eccellenza. Contiamo molto sulla notevole esperienza di Grossi ma anche sulla vitalità che ha dimostrato nei vari campi della cultura in cui si è cimentato. In un incontro svoltosi di recente a Catania abbiamo potuto toccare con mano anche il suo entusiasmo per questa grande scommessa. L’idea è quella di puntare sulla managerialità per reinventare la gestione del teatro lirico e poterlo così rilanciare facendolo diventare il fulcro delle attività culturali di un ampio territorio come quello della Sicilia orientale, di grande valore turistico anche per l’alto numero di siti Patrimonio dell’Umanità”. Roberto Grossi è Presidente e Segretario Generale di Federculture (l’associazione nazionale degli enti pubblici e privati, istituzioni e aziende operanti nel campo delle politiche e delle attività culturali), di cui è stato tra i

Roberto Grossi fondatori. E’ Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel 2010 costituisce il Comitato delle Orchestre e dei Cori Infantili e Giovanili in Italia - ONLUS - di cui è Presidente. Docente presso l’Università di Firenze del corso di progettazione di arte e spettacolo. E’ stato Vice Presidente della fondazione MAXXI

(Museo di Arte Contemporanea del XXI secolo), Direttore Generale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Consigliere di Amministrazione . Ha realizzato e curato i Rapporti Annuali sulla Cultura: Una strategia per la cultura una strategia per il paese (Il Sole 24 ORE), Cultura e sviluppo. La scelta per salvare l’Italia (24 Ore Cultura), La Cultura serve al presente. Creatività e conoscenza per il benessere sociale e il futuro del paese (Etas LibriRCS), Creatività e produzione culturale. Un Paese tra declino e progresso (Allemandi & c.), La Cultura per un nuovo modello di sviluppo (Allemandi & c.), Cultura tra identità e sviluppo ( Il Sole 24 ORE), Politiche, strategie e strumenti per la cultura (Allemandi & c.) e La valorizzazione del patrimonio culturale per lo sviluppo (TCI). Tra le numerose attività editoriali, ha pubblicato il volume Cantiere cultura con il Sole 24 ORE e Il Finanziamento

della Cultura con CieRre. Un Sovrintendente-Manager, quindi, che già alla sua prima intervista catanese ha indicato alcune linee da portare avanti, in primo luogo “aprire gli orizzonti, rinnovare profondamente il teatro e utilizzare tutte le opportunità che il territorio offre”. Grossi ha parlato anche di reperimento di risorse sia “all’interno dell’ente” sia “dall’Europa e dai privati” e ha poi aggiunto che accanto ad una base fortissima di lirica e sinfonica bisognerà affiancare “nuove espressioni musicali” perché “nel nostro Paese non possiamo accontentarci di essere una vetrina di bellezza, di musica, di cultura. Il problema non è avere una struttura storica, ma far vivere il teatro, produrre cultura. Rischiamo solo di ripetere un repertorio, bisogna rischiare di più”. A Grossi sembra che le idee non manchino. Non resta che aspettare e vedere.

Da Hrabal ad Arriva la solitudine è sempre rumorosa Morto nel 1997 ad 82 anni cadendo da una finestra al quinto piano dell’ospedale di Praga (si era sporto per dare da mangiare ai piccioni), Bohumil Hrabal è l’’altro’ grande scrittore vanto di Praga, accanto a Franz Kafka. In effetti fu nativo di Brno ma Praga divenne ben presto il luogo delle sue allucinate fantasie ed in questa fantastica città dall’atmosfera unica, come ha scritto Paolo Di Stefano Hrabal ha cantato gli emarginati praghesi. Storia tormentata la sua, arricchita da una quantità di esperienze successivamente tradotte in altrettanti testi poetici e letterari: fu preparatore di malto in una fabbrica di birra, imballatore di carta in un macero di libri proibiti dal regime, capostazione, commesso viaggiatore, assicuratore, comparsa teatrale, cameriere e anche gran bevitore e bohemien per disperata vocazione. Fu interprete lui stesso dei mille personaggi di quel mondo folle e drammaticamente farsesco che ha creato con la sua opera riuscendo a fondere insieme, in modo efficace, la poesia piu’ struggente e l’umorismo piu’ scatenato. Tra i suoi testi, noti anche in Italia, fanno spicco ‘Ho servito il re d’Inghilterra’, ‘Treni strettamente sorvegliati’(da cui e’ stato tratto il film omonimo diretto dal regista cecoslovacco Jiri Manzel, vincitore di un pre-

Due momenti dello spettacolo mio Oscar), ‘Una solitudine troppo rumorosa’. Da quest’ultimo racconto il giornalista e scrittore catanese Filippo Arriva ha tratto liberamente una piece teatrale rappresentata alla Sala Musco per la stagione 2014/ del teatro Stabile etneo. A Praga, nelle viscere di un vecchio palazzo, un uomo, Hanta, lavora da 35 anni a una pressa meccanica trasformando libri destinati al macero in parallelepipedi sigillati e armoniosi, morti e vivi a un tempo, perché in ciascuno di essi pulsa un libro che egli vi ha imprigionato, aperto su una frase, un pensiero: sono frammenti di Erasmo e Laozi, di Hölderlin e Kant, del Talmud, di Nietzsche, di Goethe. Professionista per necessità

della distruzione dei libri, Hanta li ricrea incessantemente sotto forma di messaggi simbolici, rinnovando a ogni istante il prodigio del pensiero creativo che sgorga spontaneo al di là e nonostante i modelli canonici della società e della cultura. Ma adesso dall’alto hanno deciso di sostituire la vecchia pressa con altre macchine più moderne e imballatori giovani, efficienti e perfettamente ‘inquadrati’. Ad Hanta non resta che compiere l’ultimo gesto: trasformare se stesso in una balla di carta da consegnare all’umanità come poetico messaggio di bellezza e di pensiero. L’opera di Filippo Arriva ci consegna un messaggio poetico e grottesco cui la regia di Francesco Randazzo, le scene ed i costu-

mi di Dora Argento e i movimenti scenici di Donatella Capraro danno una veste rutilante e dinamica, intessuta sul filo della denuncia graffiante contro il conformismo e l’omologazione della civiltà contemporanea. Stefano Onofri è un Hanta dalle mille voci e dalla variegata espressività (non a caso è anche un apprezzato doppiatore), attorniato da una festosa ed improbabile schiera di personaggi affidata ad altrettanti bravi attori: dalla ‘Piccola Zingara’ Marta Cirello al buffo ‘uomo ciufciuf’ Luca Iacono, dallo ‘Zingaro fotografo’ Plinio Milazzo alla Zingara ‘dalla gonna facile’ Vitalba Andrea; e, ancora, Ludovica Calabrese, Pietro Casano, Loranza Denaro, Luciano Fioretto, Valeria La Bua, mentre le musiche di Ma-

rio Modestini creavano un’atmosfera da cabaret berlinese (quello di Brecht-Weill) e le luci di Franco Buzzanca ‘tagliavano’ la scena fra il grigio del sotterraneo e il ‘ghiaccio’ da discoteca. Al centro campeggiava la coloratissima ed incombente pressa. Il senso di tutto lo troviamo nelle parole dello stesso Hrabal: «La mia Solitudine rumorosa è la logica deduzione di tutto ciò che dentro di me era cresciuto, non ho tentato di scrivere null’altro se non che da noi un’epoca finiva e un’altra cominciava... Si era spezzata un’asse di un’epoca che era durata secoli, e il mio eroe si è trovato nel luogo della rottura ed è stato investito dalle schegge». A.M.

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Aprile 2015 - Rubriche

Il libro della settimana Ricordi santalfiesi di un cittadino d.o.c. di Giovanni Vecchio

Inna Schewtschenko – Durante una conferenza-stampa un’attivista del Gruppo femminista di protesta ucraino Femmen, guidato da Inna Schewtschenko, ha tirato adosso al presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, dei coriandoli, per simboleggiare la protesta contro l’euro, l’austerity e l’Europa dei banchieri. Avanti così! 7 – coraggiosa e coraggiose!!

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Emanule Fiano – In un’intervista televisiva il deputato del Pd Emanuele Fiano afferma apoditticamente: per gli italiani la priorità è la legge elettorale! “Si vero, per gli italiani senza lavoro, senza soldi e allo stremo per l’austerity la priorità è come eleggere (nominare….) quelli dei vitalizi!! 0 – a casa, a casa, subito!! Gunter Grass - Günter Grass è scomparso all’età di 87 anni. Una vita vissuta per buona parte come icona della Germania positiva del dopoguerra, prima come fondatore del “Gruppo ’47”, il primo circolo degli intellettuali postbellici tedeschi, poi con il fortunato romanzo “Il tamburo di latta” del 1959, fino all’incoronazione nel 1999 con il Premio Nobel per la Letteratura e la lunga militanza a fianco della socialdemocrazia tedesca contro l’austerity. 8 – la Germania sociale

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Matteo Orfini - Laura Boldrini ha lanciato la sua ultimissima guerra santa: la scritta “Mussolini dux” sull’obelisco al Foro Italico di Roma. Una scritta che Lady Montecitorio non gradisce affatto, tanto che si è spinta a chiederne la rimozione e cancellare un pezzo di storia. Un comportamento che richiama alla mente quanto fa l’Isis da Ninve a Nimrud e passando per Mosul distruggendo luoghi e monumenti. Un comportamento che, per inciso, non è piaciuto neppure al Pd, che per una singola e paradossale volta si è trovato a difendere Benito Mussolini. Il presidente democratico Matteo Orfini, durante la cerimonia a Montecitorio per il 70esimo anniversario della Resistenza ha detto: “Io la lascerei lì”. 6 – serio

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Antonio Ingroia – E sapete chi all’epoca del processo-Contrada era uno dei pubblici ministeri? Ma il “magistrato anti-mafia” Antonio Ingroia, dall’accento alla “sicilianuzzo” e l’italiano incerto (alla Di Pietro…), che, dopo la “trombatura” alle elezioni politiche, nominato dal “presidente della Regione siciliana anti-mafia” Rosario Crocetta, guadagna come manager della società regionale Sicilia-E Servizi quasi 400 mila euro, alla faccia dei tagli ai dipendenti regionali!! 0 – W la legge sulla responsabilità dei magistrati!

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Bruno Contrada - Bruno Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non “era sufficientemente chiaro”. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani. ‘’Ventitre anni di vita devastati non potrà restituirmeli nessuno. Così come i 10 anni trascorsi in carcere’’. E’ il primo commento di Bruno Contrada. Lo Stato italiano deve versare all’ex numero tre del Sisde 10 mila euro per danni morali (vergogna!!) e i magistrati dell’accusa e giudicanti….? 8 – riabilitato, giustamente!!

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di S par tacus

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I nostri voti

poi a Riposto per l’istituto per geometri: questo è il periodo d’oro delle vere amicizie, che si mantengono nel tempo, tanto che gli ex compagni della scuola superiore, da adulti, periodicamente ancora si incontrano assieme a qualcuno dei loro professori e riscoprono la felicità dello stare insieme, di fare gli stessi scherzi di una volta. Questa fase della vita viene altresì contrassegnata da momenti significativi di socializzazione e di lavoro, come la vendemmia (l’autore si sofferma a descrivere non solo la raccolta dell’uva e i canti che l’accompagnavano, ma anche i “forestieri” che venivano, diretti dai “capi chiurma”, a dar manforte per quel periodo e la sera riempivano la piazza tanto da sembrare una festa. Altri momenti simpatici erano quelli del carnevale con il divertimento che nasceva dal “fari a peddi” o qualche scherzo di cattivo gusto come “’a callà”. In qualche bella pagina vengono riportate le sensazioni meravigliose della caduta della neve. Durante l’estate il paese si riempiva grazie a numerosi villeggianti che trascorrevano nel piccolo paese le loro vacanze. In autunno la commemorazione dei defunti era accompagnata dalla bella tradizione dei doni portati dai parenti morti. La maturità, infine, è quella durante la quale l’autore nota la crisi dell’attività agricola, l’emigrazione, lo spopolamento delle campagne, la scomparsa progressiva della società contadina e di quasi tutti i mestieri artigianali, la sostituzione della coltivazione della vite con l’impianto, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, di noccioleti e frutteti. Non manca la citazione di figure eminenti del luogo come, per citarne qualcuna, il nunzio apostolico mons. Sebastiano Nicotra, mons. Francesco Pelluzza o il generale Salvatore Pennisi, reduce dalla campagna di Russia. Molto sentito anche il ricorso all’aiuto dei Santi fratelli Alfio, Cirino e Filadelfo durante le minacciose colate laviche, soprattutto del 1971. Insomma, quella di Fresta è un’opera, accompagnata da tante foto d’epoca, che ci fa rivivere un mondo che fu, un esempio emblematico di quanto è accaduto non solo a Sant’Alfio, ma nella totalità dei piccoli centri con l’avvento della “modernità”.

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“I miei ricordi santalfiesi” di Salvatore Fresta (Graficaunita, S.Venerina 2015), come preannuncia il titolo, è un libro che contiene i ricordi di un abitante di Sant’Alfio, grazioso comune della provincia di Catania, il cui territorio inizia a 400 metri s.l.m. e arriva alle zone coltivate a 1200 m fino a raggiungere le zone laviche del cratere centrale dell’Etna. Sant’Alfio è noto ai più per l’antico e grandioso “Castagno dei Cento Cavalli” in contrada “Molla”, meta costante di visitatori, dichiarato dall’UNESCO nel 2006 “Monumento messaggero di Pace”. Ma nel libro di memorie di Fresta non ci si sofferma su quanto già noto, bensì si scava nei ricordi e si rievocano personaggi, eventi, emozioni vissuti dall’autore con tale trasporto da lasciare un segno indelebile nella propria vita. Nel contempo si nota un’attenzione speciale alle trasformazioni intervenute e, pur salvando alcuni elementi del mondo attuale, l’autore esprime un giudizio negativo sul modello di vita imperante ai giorni nostri e sui giovani per nulla interessati a conoscere la storia del loro paese o a impegnarsi per recuperare la dimensione sociale della vita. La trattazione, sempre caratterizzata da un linguaggio lineare ed essenziale, frammisto a nomi e soprannomi dialettali, decodificati a piè di pagina, si sviluppa attraverso un linea evolutiva: dai ricordi dell’infanzia a quelli dell’adolescenza e della maturità. Dell’infanzia, la memoria conserva i momenti di vita familiare, la festa patronale con le sue tradizioni, il Natale e la costruzione dei presepi, “’a strina” ovvero la strenna di inizio anno che si chiedeva di casa in casa, qualche evento sismico e soprattutto la figura dell’indimenticabile maestra della scuola elementare, le serate con i compagnetti nella sede dell’Azione Cattolica. La vita del paese scorreva uguale con gli abitanti che si conoscevano tra di loro e si aiutavano a vicenda, tutti contrassegnati da un soprannome, senza il quale era difficile individuare di chi si stesse parlando. Del periodo dell’adolescenza l’autore sottolinea soprattutto il passaggio da Sant’Alfio a Giarre per frequentare la scuola media e

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Aprile 2015 - Rubriche

Giochi matematici a cura di M a ssi m i l i a n o C a l a n d r i n o

Primavera

Anna deve fare pulire il suo giardino perché l’erba è troppo alta. Ha contattato tre giardinieri: Luca, Mario e Andrea. Luca pulirebbe il giardino di Anna in 4 ore. Mario lo pulirebbe in 3 ore, Andrea in 2 ore. Se tutti e tre i giardinieri lavorano insieme, in quanto tempo riescono a pulire il giardino di Anna?

Polinomi

È dato il seguente polinomio. X^4 + X^3 – (25/4)X^2 – (1/4)X + 3/2. Se la somma delle soluzione è -1, quanto vale il loro prodotto?

Differenze

È data la differenza riportata in figura A B 5 9 1 D C 8 B A 1 D C B D = ______________________

1 A A A Trovate i valori delle incognite A, B, C e, non nulli, in modo che la suddetta operazione risulti verificata.

Soluzioni dei giochi pubblicati sullo scorso numero Somme: A = 4, B = 5, C = 7; L’acquario mezzo pieno e mezzo vuoto: 100 kg; numeri a due cifre: 85

Il film consigliato

Le soluzioni sul prossimo numero

La finestra sul mondo

Black sea

La pubblicità nuovo veicolo di messaggi di cambiamento

Un film di Kevin Macdonald. Con Jude Law, Scoot McNairy, Tobias Menzies, Grigoriy Dobrygin, Ben Mendelsohn.

di Danila Intelisano

Sprofondare nel Mar Nero più esoterico per mostrare le aspirazioni e le difficoltà della working class contemporanea. Black Sea di Kevin Macdonald, vincitore dell’ultima edizione del Courmayeur Noir in Festival, è un thriller claustrofobico dove, al tradizionale mistero, si somma una componente sociologica, uno studio approfondito dei caratteri e delle situazioni che lo rendono un’opera molto interessante dal punto di vista dell’innovazione al genere. Sì perché la discesa negli abissi di una ciurma anglo-russa, capitanata dal lupo di mare Robinson (Jude Law) e alla ricerca di un tesoro affondato dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, è pur disfunzionale, violenta, imprevedibile, ma condivide con il resto dell’umanità un desiderio, quello del lavoro e del consolidamento del proprio ruolo pubblico, che la modernità ha trasformato, da diritto essenziale, a sogno sanguinoso per buona parte della classe popolare. Questa è la tensione emotiva che percorre con efficacia Black Sea, dove ogni ottima soluzione registica, sempre serrata, vive dell’enfasi di una sceneggiatura, firmata da Dennis Kelly, che affianca alla singola caratterizzazione dei personaggi, l’intreccio di dinamiche personali e sociali, che trasformano il film, più che in un thriller d’azione, in un complicato nodo psicologico, un noir chiaroscurale che solo l’epilogo finale potrà poi sciogliere. Black Sea è distribuito da Notorious Pictures.

Cambia la società, le regole e la pubblicità. E le ditte ele multinazionali mutano scenari e soddisfano nuove esigenze. A tavola arriva la fidanzata di lei e il fidanzato di lui, insieme all’approvazione e alla condivisione dei genitori che si complimentano per la cenetta precotta. Certo, senza volere giudicare, fa un certo effetto e magari le aziende si stanno organizzando per inserire anche i figli adottivi e completare la nuova famiglia. A cosa serve la pubblicità se non a fare accettare le novità e a plasmare nuove abitudini, come quella proposta da un imbecille di pubblicitario che sostiene come il minestrone surgelato sia più gustoso di quello dell’orto del nonno! Lentamente le aziende filtrano nuovi messaggi che si insinuano nella quotidianità, fino a diventare normalità. Ma, cara pubblicità, lo sgomento resta nei moderati che stanno a guardare e che hanno ben saldi ancora i valori di una famiglia regolare. E va bene che dovete vendere a chi garantisce una forza politica, sociale ed economica non indifferente, ma noi, che non siamo giustizieri, ma abitudinari, siamo legati alle forze della natura e ci teniamo tanto a meravigliarci mentre, voi che vendete lo sapete, l’uomo ci mette poco ad adeguarsi. Nessuno è per la guerra, ma neanche per la violenza psicologica, soprattutto per i bambini, e gli stravolgimenti traumatici sono violenza. Non faremo certo cambiare idea ad alcuno, né allo stato, né al diretto interessato e accogliamo con civiltà i cambiamenti, ma il pudore e la malinconia del tempo andato resterà il nostro più determinato alleato, insieme ai profumi dell’orto del nonno. Mi direte: ma qual’é una possibile verità? Il professore Cosmo è chino sul suo orticello e mi trasmette un solo pensiero. La natura indica, consiglia ed elargisce risorse e l’uomo sceglie. Noi nostalgici osserviamo e lavoriamo per raccogliere i buoni frutti dei nostri buoni semi che, uniti all’ovulo, ci danno più serenità.

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