Anteprima iCEA - Sponton Simulazione

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Anna Sponton • Antonio Iadeluca

LA SIMULAZIONE NELL’INFERMIERISTICA

Metodologie, tecniche e strategie per la didattica

Anna Sponton • Antonio Iadeluca

LA SIMULAZIONE

NELL’INFERMIERISTICA

Metodologie, tecniche e strategie per la didattica

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Realizzazione editoriale: ITG, Torino

Copertina: Luca Ronca

Prima edizione: giugno 2014

Ristampa

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Realizzare un libro è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra loro. L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori. Saremo quindi grati ai lettori che vorranno segnalarceli.

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Stampato da Geca Industrie Grafiche via Via Monferrato 54, San Giuliano Milanese MI per conto della C.E.A. Casa Editrice Ambrosiana viale Romagna 5 - 20089 Rozzano (MI)

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StorIa della SImulazIone: naScIta e SvIluPPo In ambIto InfermIerIStIco 1

Anna Sponton

1.1 Fattori che influenzano l’utilizzo della simulazione alla luce dell’attuale formazione infermieristica italiana 6

2

SImulazIone: obIettIvI, caratterIStIche, vantaggI e SvantaggI

SImulazIone nella formazIone InfermIerIStIca e nella

PratIca ProfeSSIonale: PanoramIca InternazIonale 17 Diego Brambilla

3.1 Le peculiarità della HFS nella formazione infermieristica

3.2 La soddisfazione dello studente

5.5 Scrittura e sperimentazione dello

6.3

P refaz I one

La formazione infermieristica, da una decina di anni circa, sta abbracciando con entusiasmo nuove strategie di apprendimento da affiancare alle tradizionali metodologie didattiche. L’utilizzo della simulazione attraverso Human Patient Simulator (HPS) sta vivendo una rapida espansione, comprovata dal fatto che in alcune realtà infermieristiche internazionali questa metodologia è ben radicata. Questo da una parte è riconducibile alla continue sfide imposte dall’evoluzione del mondo sanitario e dalle richieste di garantire un ambiente di cura sicuro, dall’altra alla necessità di soddisfare le esigenze di apprendimento della generazione in entrata di studenti infermieri. Quando si parla di generazione (o coorte, in senso demografico), si intende un gruppo di persone che ha quale comune denominatore un vissuto, attraverso eventi storici importanti, che ha contribuito a plasmare un insieme di interpretazioni, valori, atteggiamenti di quello specifico gruppo sociale (Bombelli, 2013). Oggi la letteratura anglosassone offre una classificazione dei tratti generazionali in cinque classi, dai tradizionalisti, o veterani, alla generazione 2020, che permette di delineare i tratti specifici della coorte dei giovani infermieri, ovvero la generazione y (23-34 anni), cresciuta nel periodo dell’alfabetizzazione digitale con competenza tecnologica e capacità multitasking.

Partendo da questi assunti, il testo nasce e si sviluppa con l’intento di trattare la simulazione come metodo didattico formativo e non come semplice e riduttivo strumento tecnologico legato all’utilizzo di manichini a media-alta fedeltà, partendo dal quadro teorico di riferimento dell’apprendimento esperienziale di David Kolb che, contestualizzato alla formazione infermieristica, si concretizza nell’attività professionalizzante da una parte e nei laboratori professionali dall’altra.

Per evitare di cadere nell’eterogeneo mondo delle definizioni legate alle diverse tecnologie simulate, questo volume si focalizza sull’utilizzo del Human Patient Simulator e per tale motivo ricorrerà talvolta il termine

paziente anziché assistito, non per riportare alla luce una sorta di paternalismo autoritario quanto per rimanere fedeli alla definizione riconosciuta a livello internazionale.

Rimane assolutamente ferma l’adesione legata alla nuova concettualità della professione infermieristica che ha visto, anche attraverso l’evoluzione del Codice Deontologico, il mutamento non meramente semantico o quantitativo della parola assistito, frutto delle nuove sensibilità etiche e del pluralismo di valori che conduce oggi a considerare lo stesso non tanto una persona generica ma l’uomo concreto, il destinatario dell’assistenza presente di fronte all’infermiere in tutta la sua singolarità.

Gli autori

Maggio 2014

L’icona riportata qui a fianco è utilizzata nel testo per indicare i punti nei quali è consigliata la visione dei video disponibili online su scienzeinfermieristiche.testtube.it, secondo le modalità indicate nella seconda pagina di copertina.

NOTA
S tor I a della SI mulaz I one : na S c I ta e S v I lu PP o I n amb I to I nferm I er IS t I co

Per più di cent’anni i formatori in ambito infermieristico hanno utilizzato la simulazione in senso lato, affiancandola ai sistemi tradizionali di insegnamento, per aumentare l’efficacia di questi ultimi. Da circa un decennio, l’evoluzione riferita alla simulazione ha portato all’utilizzo di simulatori ad alta fedeltà (HPS) la cui popolarità riflette, in modo sempre più manifesto, il bisogno di assicurare agli assistiti un livello di preparazione e competenza, da parte degli studenti, in linea con il profilo professionale. Non vi sono dubbi sul fatto che una parte dell’esperienza formativa richieda del tempo da passare nei contesti di cura; tuttavia, quest’ultima circostanza non può essere uniforme. Durante il corso di studi, i futuri infermieri vivono esperienze in cui il carico assistenziale delle persone assistite e la ridotta possibilità di frequentare le molteplici specialità cliniche limitano la possibilità di mettere in pratica tutte le loro abilità, non garantendo appieno la competenza in tutte le aree.

Ciò nonostante va ricordato che, pur risultando essere argomento di interesse per molte discipline, ancora oggi la simulazione tende a essere considerata un insieme eterogeneo e confuso di metodi dove, in linea generale, si privilegia l’aspetto tecnologico rispetto a quello didattico e/o formativo (Aldrich, 2004).

La simulazione, in senso generale, ha una storia che affonda le proprie radici nel campo militare, coinvolgendo in particolar modo l’ambito aeronautico con il suo precursore Edward Link, il quale nel 1928, credendo esistesse un modo più semplice e sicuro per imparare a volare, acquistò

un Cessna AA e lo trasformò in un prototipo “blue box”, ovvero in un simulatore di volo.

L’approdo della simulazione nel campo sanitario avviene intorno agli anni Settanta e limitatamente a particolari centri universitari, principalmente statunitensi; solo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta tale metodologia si diffonde negli ospedali e nei centri di formazione con un riconosciuto utilizzo, anche in Italia, a partire dal 2000 e un progressivo aumento di centri che la utilizzano e di studi che ne testano efficacia formativa e vantaggi in termini di ricaduta organizzativa.

Calandosi nel contesto della formazione infermieristica, la storia della simulazione può trovare timida traccia in un racconto di Florence Less, infermiera inglese, che nel 1874 (da ricordare che nel 1860 grazie a Florence Nightingale prende avvio la prima scuola per infermiere presso il St Thomas Hospital a Londra) scrisse che ogni scuola infermieristica avrebbe dovuto avere “un manichino meccanico, modelli di gambe e braccia per imparare il bendaggio, uno scheletro articolato, una lavagna, disegni, libri e modelli” (Nehring e Lashely, 2010).

In realtà, il primo manichino meccanico per la formazione infermieristica, a cui venne dato il nome di Mrs Chase, è stato prodotto nel 1911 in America. Tale manichino, fabbricato dalla M.J. Chase Company of Pawtuchet (azienda di bambole), con sede a Rhode Island, era a dimensione naturale, con gomiti e ginocchia articolati. Era stato originariamente pensato da Lauder Sutherland, responsabile della Hartford Hospital Training School, a Harford, nel Connecticut, tra il 1905 e il 1918. Sutherland credeva che questa bambola potesse essere di supporto nelle dimostrazioni in aula e permettesse agli studenti infermieri di sperimentare le loro abilità senza causare possibili disagi agli assistiti. Nel corso degli anni, l’evoluzione del manichino permise l’applicazione di procedure che coinvolgevano uretra, vagina e retto, così come il sito di iniezione nel braccio. La versione maschile e quella del bambino vennero prodotte successivamente; con Mrs Chase la produzione dei manichini continuò fino al 1970 e, nota di colore, la popolarità del manichino assunse portata tale da essere protagonista di uno dei 27 episodi, pubblicati a opera della scrittrice Helen Wells tra il 1943 e il 1968, della serie “Cherry Ames”, storia di una giovane infermiera dell’Illinois, dalla formazione alla sua attività al fronte dove l’eroina risolve problemi e cattura criminali laddove le autorità non riescono a farlo, dimostrando come le donne possono avere successo in ambiti prettamente maschili. I racconti influenzarono la scelta di molte ragazze ad approcciarsi alla professione infermieristica durante l’evento bellico della Seconda guerra mondiale.

I l laborator I o P rofe SSI onale : conte S tual I zzaz I one della

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Diego Brambilla

Ascolto e dimentico. Vedo e ricordo. Faccio e capisco. Confucio

4.1 ll Laboratorio: definizione e declinazioni

Il Laboratorio Professionale introdotto con il Decreto Ministeriale (DM) 270/2004 è una novità nell’ambito della formazione professionale universitaria, ma il solo concetto di laboratorio è depositario di un lungo percorso di contenuti e valori, con radici molto profonde nella nostra cultura.

L’etimologia latina medievale fa derivare il termine laboratorio da laboratorium e da laborare, ovvero dal lavorare e dai luoghi dove lo si faceva. Il denominatore comune del “fare” era il filo conduttore di una società fondata sull’artigianato, sulle piccole attività di bottega dove si producevano manufatti che in alcuni casi celavano, nella loro realizzazione, qualche piccolo segreto, o l’illusione che così fosse, e che si tramandavano da generazione in generazione, come i profumieri francesi del XVIII secolo che attiravano le nobildonne dell’epoca con essenze sempre più ricercate ma delle quali un unico depositario conosceva la composizione creata. Così come i pressoché scomparsi artigiani con i loro manufatti, le tecniche particolari e inventate di alcuni pittori, il liquore o la tisana “miracolosi” dell’erborista/taumaturgo e altri esempi di invenzioni “segrete”, frutto

di tutta una vita di esperienze. Quanto detto anche in tono narrativo, ci rimanda a un’accezione più moderna del laboratorio, dove il “fare” non è più una semplice azione manuale creativa, ma anche il risultato di un sapere finalizzato al materiale, legando anche la progettazione e tutte quelle strutture che permettono una realizzazione pratica con un ben preciso e finalizzato intento. Non si intende l’esclusione del sapere a totale spazio del saper fare, ma la considerazione di tutto in un’unica e grande conoscenza che include concetti, esperienze, capacità motorie, emozionali, riflessive e che si manifestano unicamente tramite una modalità manuale “… Un sapere, …, quello del “saper fare” non appiattito sui concetti della manualità e della motricità, né risolto in quelli della applicazione tecnica e della espressività, bensì capace di usare un pensiero che non discrimina percorsi teorici e percorsi operativi, itinerari dichiarativi e itinerari procedurali, vie teoretiche e vie performative, ma che li pervade e li alimenta tutti…” (Laneve, 2011).

Quello che si vuole evidenziare è l’utilizzo di modalità pratiche per manifestare il sapere tecnico e, perché no, anche un saper essere che si inserisce con l’espressione di quel “sapere tacito” che dipende dalle caratteristiche personali di ciascuno. Questo concetto, che pare etereo se riferito alla materialità, non priva di valore un oggetto in quanto non sostenuto da un background di conoscenze teoriche o maturate con l’esperienza pratica. È cosa nota ciò che ha portato in itinere a considerare il laboratorio con un senso di luogo fisico dove si elaborano e svolgono analisi o ricerche scientifiche, ma anche di struttura attrezzata appositamente dove si trattano pratiche manuali al fine di integrare pensiero e azione, progettazione e realizzazione, con la nascita di un oggetto, un prodotto o una procedura che fisicamente e anche simbolicamente rappresenti tutto ciò che è stato fatto per realizzarlo. Diversamente, in ambito formativo, il laboratorio è stato legato a correnti filosofico-pedagogiche che l’hanno preso in considerazione non sempre in maniera del tutto concordi tra loro, a pari passo con il concetto di apprendimento che, seppur definibile, per esempio da Hilgard, Atkinson e Atkinson, come “ogni modificazione relativamente permanente del comportamento che ha luogo per effetto dell’esperienza”, risente delle diverse correnti psico-pedagogiche che si alternano nel tempo: la comportamentista, la cognitivista, l’ecologica e altre ancora.

La formazione è spesso rimasta legata a un’ottica di Accademismo dove le lezioni frontali o metodiche simili hanno sempre avuto l’importanza predominante con l’attenzione rivolta alle metodologie educative di cui il docente ne era l’unico depositario, lasciando spesso da parte l’opposta

corrente dell’Attivismo dove l’attività didattica viene svolta con la sperimentazione, l’azione, la concretezza, il plasmare.

John Dewey (1949), filosofo attivista, sostiene che l’esperienza plasmi l’individuo, la stessa che modifica quelle già sperimentate e influisce su quelle future, indirizzando la persona a imboccare una strada che consenta la nascita e la crescita di abitudini sicuramente intellettuali ma anche emotive, consentendo di essere pronti ad affrontare tutte le esperienze della vita.

Come sostiene invece Zannini a proposito di formazione, il termine stesso è proprio etimologicamente e realmente legato al dare forma, al plasmare e non esiste nulla di più efficace per esprimere questo pensiero che nel vederlo applicato nel contesto di un laboratorio, dove il “fare” ne è la massima espressione ed è anche il sistema più efficace. La corrente di pensiero ci conduce a vedere un discente partecipe, attivo, protagonista della propria formazione.

Il Prof. Werner Wiater della Facoltà di Filosofia e Scienze sociali dell’Università tedesca di Augsburg ha condotto molti studi sui laboratori didattici e quello che afferma su tale argomento rafforza sempre di più l’efficacia dell’apprendimento basato sull’esperienza. Secondo Wiater, nel laboratorio didattico l’oggetto di lavorazione è l’apprendimento stesso. Ogni studente opera sul proprio apprendimento facendo direttamente esperienze su di sé, mettendo in azione tutte le sue risorse disponibili, al fine di raggiungere la risoluzione di un problema o l’ottenimento di un obiettivo pedagogico. A fronte di ciò, la definizione di Pedagogia di Zannini ci conduce a considerarla come scienza che studia l’Educazione e cosa rappresenta quest’ultima se non la maieutica, il “tirar fuori” dall’individuo tutte le sue risorse al fine di costruire se stesso?

Nella Germania della fine degli anni Settanta, il movimento cosiddetto dei laboratori didattici è alla sua massima espressione. Chi appoggiava questa, per allora, innovazione, considerava l’apprendimento come l’effetto di un percorso di insegnamento in cui il discente sperimentava direttamente delle esperienze. Afferma ancora Wiater (2000): “Vennero creati – prima nelle Università e successivamente anche nelle scuole e nelle istituzioni preposte all’aggiornamento dei docenti – dei laboratori a carattere pedagogico, veri e propri ‘laboratori per l’apprendimento’, luoghi cioè in cui studenti, docenti e alunni potessero sperimentare il loro processo di apprendimento… Il laboratorio didattico tiene conto dei più recenti sviluppi della ricerca sull’apprendimento/insegnamento, che sottolineano la differenza tra l’insegnamento come attività del docente e l’ap-

ISBN 978-88-08-18338-5

prendimento quale attività dell’alunno. In base a ciò l’insegnamento non porta automaticamente e in modo lineare all’apprendimento, la ricezione dell’insegnamento si deve distinguere dal processo di assimilazione di un determinato contenuto disciplinare. Tutto l’apprendimento è un processo di costruzione individuale. La persona apprende in modo attivo, coinvolgendo tutti i sensi, in base a offerte e stimoli didattici che le vengono messi a disposizione o che sono presenti nel suo ambiente di apprendimento. Il successo dell’apprendimento dipende dalla disponibilità e dalla capacità dell’alunno di rapportarsi ai compiti didattici in modo attivo e responsabile”.

La formazione intesa come percorso d’apprendimento di ciascun individuo deve essere in grado di sviluppare le capacità intrinseche del soggetto, predisponendolo a far fronte da solo alle esperienze, alle sfide, alla valorizzazione dell’autonomia, della soggettività, della creatività, del permettere di “imparare a imparare”.

Come afferma ancora Dewey, anche se le origini dell’esperienza risultano fuori dall’individuo, l’esperienza stessa lascia un segno indelebile solo se il lato oggettivo è subordinato a ciò che nasce e si muove all’interno del soggetto.

Anche Novack e Gowin puntano l’attenzione sull’individuo, assicurando che l’apprendimento possa essere più efficace di quanto si pensi se si abbandona il concetto obsoleto che l’apprendimento stesso debba essere definito in un’ottica comportamentista (o in qualsiasi altro substrato delle scienze cognitive) come cambiamento del comportamento, rifiutando qualsiasi implicazione del Sé, di quello che caratterizza una persona in quanto a sentimenti, emozioni, motivazioni ecc. L’esperienza del soggetto comprende anche questi aspetti più “eterei” di sé, che lo completano insieme al pensiero e all’azione. Il coinvolgimento di “tutto” l’individuo permette di ottenere un apprendimento attraverso un cambiamento del significato dell’esperienza formativa, riflettendo su di essa per trovarne da soli altri potenti significati.

Una tipologia di formazione così centrata sul discente non può che essere adatta a tutti quei contesti in cui è proprio l’adulto a essere in formazione avvicinandoci a un concetto di andragogia come teoria dell’apprendimento. Anche il verbo “insegnare”, considerato nella sua valenza etimologica latina di “in signare”, cioè “mostrare”, “spiegare”, “indicare”, “far conoscere”, deve essere inteso come la gestione della conoscenza anche da parte dello studente che diventa manager del proprio apprendimento, attraverso l’uso di capacità meta cognitive.

P

rogettare lo S cenar I o

5.1 Obiettivi formativi rispetto al Core Curriculum, ai Descrittori di Dublino e all’anno di corso

La formazione infermieristica in Italia è stata contraddistinta da un lungo cammino normativo e culturale in costante divenire, fortemente proiettato verso obiettivi in parte già consolidati a livello europeo. In primo luogo, è stato necessario adeguare la struttura del percorso formativo italiano a quello europeo e in questo senso è stato possibile fare tesoro di precedenti esperienze già consolidate in ambito continentale. Esplicativo di questo processo è la serie di titoli di studio che si sono susseguiti negli anni:

• Diploma di Scuola Regionale per Infermieri (DPR 10/1972);

• Diploma Universitario in Scienze Infermieristiche (Legge 341/1990);

• Diploma Universitario in Infermieristica (DM 24/7/1996).

Con la legge 509/1999 il sistema universitario italiano ha adeguato i propri percorsi formativi alle indicazioni contenute nell’European Qualification Framework for the European Higher Educational Area – il cosiddetto “Processo di Bologna” – che stabilisce l’organizzazione dei percorsi in cicli e l’adozione del sistema di crediti European Credit Trasfer System (ECTS) denominati in italiano Crediti Formativi Universitari (C.F.U.) (fig. 5.1).

Nello specifico, per la formazione infermieristica sono previsti 3 cicli:

1. Laurea in Infermieristica (180 C.F.U.), che permette l’accesso ai Master di Primo Livello (60 C.F.U.);

LAUREA IN INFERMIERISTICA

CFU

LAUREA MAGISTRALE

CFU

DOTTORATO DI RICERCA

5.1 Percorso di formazione dell’infermiere secondo DM 270/2004.

2. Laurea Magistrale (120 C.F.U.), che permette l’accesso ai Master di secondo Livello (60 C.F.U.);

3. Dottorato di Ricerca.

Contestualmente inizia il percorso per introdurre la caratterizzazione degli Obiettivi Formativi dei Corsi di Laurea mediante descrittori dei risultati di apprendimento attesi (learning outcome).

Colmata questa lacuna strutturale, è iniziato un processo finalizzato a definire le caratteristiche dei percorsi formativi non più in termini

Figura
MASTER DI PRIMO LIVELLO 60 CFU
MASTER DI SECONDO LIVELLO 60 CFU

quantitativi bensì in termini qualitativi, basato sulla revisione continua dei piani di studio, delle metodologie didattiche e dei criteri di valutazione.

Questo sforzo presenta un duplice obiettivo: da una parte mira a produrre percorsi di formazione in grado di rispondere alle reali esigenze degli studenti che accedono al percorso accademico (cercando di mappare preventivamente le peculiarità che essi dovranno possedere al termine del corso universitario scelto) dall’altra cerca di uniformare la formazione su tutto il territorio nazionale al fine di garantire al cittadino professionisti con pari livello di preparazione.

L’allegato 1 della legge 251/2000 “Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica” definisce gli obiettivi formativi che al termine del percorso il professionista deve possedere.

Strettamente legato alla definizione degli obiettivi formativi è il Core Curriculum , ovvero l’insieme di conoscenze e competenze essenziali che il discente deve possedere alla fine del percorso di formazione. Con la sua definizione, s’intende rimarcare i contorni del profilo professionale dell’infermiere, distinguendolo dalle figure professionali afferenti alle altre classi delle professioni sanitarie. Il medesimo allegato 1 definisce tali obiettivi in termini di competenze che siano immediatamente spendibili in ambito lavorativo. A tale scopo, è fondamentale prevedere, all’interno di questi curricula, periodi dedicati all’attività Formativa Pratica e al Tirocinio Clinico. Questa esigenza, ribadita in termini prescrittivi nel Decreto Legge 270/2004 “Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del ministro dell’Università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509” pone i formatori al centro di una nuova sfida formativa finalizzata a riprogettare percorsi capaci di contenere l’attività didattica formale e frontale a favore delle attività integrative.

Questo paragrafo si prefigge di coadiuvare il formatore nel percorso di cambiamento cercando di fornire indicazioni e spunti di riflessione in merito all’utilizzo dei Simulatori ad Alta Fedeltà nel Corso di Laurea in Infermieristica facendo riferimento agli obiettivi formativi, al Core curriculum, ai Descrittori di Dublino e all’anno di corso degli studenti.

Partendo dagli obiettivi formativi generali e specifici presenti all’interno del Manifesto degli studi dell’Anno Accademico 2013-2014 della Laurea in Infermieristica (Classe L/SNT1) è possibile tracciare quelli che

sono i risultati in termini di conoscenze e competenze che lo studente deve possedere al termine del primo ciclo:

• identificare i bisogni di assistenza infermieristica della persona, della famiglia e della collettività, formulando i relativi obiettivi e gestendoli con autonomia e responsabilità;

• pianificare, gestire e valutare l’intervento assistenziale infermieristico nel rispetto delle differenze culturali, etniche, generazionali e di sesso;

• garantire la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostiche e terapeutiche e verificarne l’efficacia;

• partecipare all’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività e integrare l’assistenza infermieristica nel progetto di cure multidisciplinari;

• agire sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali, avvalendosi, ove necessario, dell’opera del personale di supporto;

• concorrere direttamente all’aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca;

• conoscere i principi bioetici generali, quelli deontologici, giuridici e medico legali della professione e documentare l’assistenza infermieristica erogata;

• conoscere le norme di radioprotezione previste dall’Unione Europea;

• utilizzare almeno una lingua dell’Unione Europea, oltre all’italiano, nell’ambito specifico di competenza e per lo scambio di informazioni generali.

Dunque come predisporre dei laboratori professionalizzanti con l’utilizzo dei simulatori ad alta fedeltà in grado di migliorare la formazione e far raggiungere questi obiettivi formativi agli studenti afferenti ai Corsi di Laurea in Infermieristica? Per rispondere alla domanda si è cercato di tracciare una linea-guida per il formatore che deve progettare dei laboratori, diversificando gli scenari in modo da consentire al discente di rafforzare le conoscenze teoriche ed esercitare il pensiero critico in un contesto protetto e adatto al suo livello di preparazione.

Per apprendere al meglio, il discente deve essere collocato in un setting educativo orientato a rafforzare le sue capacità, a stimolare il suo ragionamento davanti alle problematiche cliniche senza trovarsi a disagio – o peggio frustrato dagli input proposti.

Per favorire questo tipo di percorso è necessario parlare non solo di

obiettivi formativi specifici che devono essere raggiunti per ogni anno di corso, ma anche di apprendimento progressivo: le nozioni apprese durante un anno di corso devono essere la base per comprendere e apprendere quelle dell’anno successivo.

In quest’ottica, ogni sezione di laboratorio deve essere concepita in modo da approfondire le nozioni già consolidate, nel semestre o anno di corso, e declinarle in un contesto che simuli la realtà limitando al massimo il divario tra teoria e prassi.

La volontà di concepire la formazione dei futuri infermieri in questi termini si ritrova nel DM 270/2004 che inserisce il laboratorio professionale all’interno dei Corsi Integrati delle Scienze Infermieristiche (Cliniche I, II, III) eliminando in tal modo la discrezionalità del formatore, che prima poteva scegliere se e quando dedicare parte delle ore di docenza alle attività di laboratorio, delegando al Tirocinio Clinico il compito di stabilire un legame tra “sapere” e “saper fare”. Il formatore ha dunque il compito di minimizzare la dicotomia tra teoria e pratica, riportando in ambito universitario quella “prassi” che erroneamente viene delegata solo agli assistenti di tirocinio – pur se adeguatamente formati.

I laboratori devono diventare un ambiente di apprendimento clinico per la formazione di professionisti riflessivi e non tecnici di disattenzione selettiva (Schon, 1993) che mirano a sviluppare:

• capacità di accertamento al letto della persona assistita;

• comprensione e attuazione di comportamenti deontologicamente corretti;

• orientamento alla progettazione dell’assistenza infermieristica e dell’uso degli strumenti di pianificazione;

• utilizzo di un approccio riflessivo dall’esperienza;

• attivazione di capacità di pensiero critico.

Nell’ottica di migliorare i percorsi formativi, partendo da una mappatura dei risultati attesi, torniamo a soffermarci sui Descrittori di Dublino che hanno lo scopo di definire, in termini generali, le aspettative di apprendimento descrivendo i requisiti che il discente deve possedere alla fine del percorso di formazione, declinandoli come segue:

• Knowledge and Understanding (conoscenza e capacità di comprensione);

• Applying knowledge and understanding (conoscenza e capacità di comprensione applicate);

5.3 Le condizioni e gli eventi

Il modello di realtà non è altro che la descrizione di ciò che si vuole riprodurre durante lo scenario o meglio la presentazione del caso che i partecipanti al laboratorio si troveranno ad affrontare. Una volta stabilito il contesto che si vuole ricreare sulla base degli obiettivi prestabiliti, è necessario procedere con la definizione delle condizioni e degli eventi. Questi costituiscono il corpo centrale della progettazione dello scenario e rappresentano la relazione causa-effetto tra ciò che i discenti mettono in atto durante lo scenario e la modificazione delle condizioni cliniche del simulatore HPS.

Con il termine condizioni si intendono tutte le caratteristiche fisiopatologiche e comportamentali che il simulatore può assumere in modo automatico e indotto da ciò che i discenti mettono in atto durante lo scenario. A esse deve essere dedicata un’apposita sezione, denominata fase dello scenario , in cui vengono riportati i parametri vitali, le caratteristiche del respiro, il tipo di battito e ritmo cardiaco ed eventualmente rumori che il simulatore può emettere (lamenti, tosse, respiro difficoltoso ecc.). Ogni fase deve essere predefinita sulla base di ciò che è stato programmato e ciascuna di esse deve essere consecutiva a quella precedente. Si prenda l’esempio illustrato nel paragrafo precedente sulla sostituzione del catetere vescicale. In questo caso specifico possono essere previste in totale sei fasi. La prima è denominata “in entrata” e può essere considerata trasversale a ogni tipo di scena che si vuole rappresentare, non tanto come caratteristiche delle condizioni, quanto come denominazione; in questa fase il simulatore si presenta nella condizione clinica iniziale in cui è implicita la situazione problematica. Successivamente, una volta diagnosticato il problema nella fase di entrata, i discenti faranno progredire lo scenario secondo le seguenti fasi: “rimozione catetere vescicale”, “preparazione nuova inserzione”, “asepsi”, “inserzione nuovo catetere vescicale” e “sistemazione e comfort”. La progressione da una fase a quella successiva è subordinata alla corretta esecuzione degli interventi previsti. In ognuna di queste fasi devono essere codificate condizioni specifiche proprie della fase in questione. Quindi, se la persona assistita è in globo vescicale, verosimilmente mostrerà un’alterazione dei parametri vitali con addome dolente e non trattabile. Tale condizione permane fino al momento in cui viene risolta l’ostruzione e ripristinato il normale flusso di urina. Pertanto,

nelle prime fasi permarranno condizioni simili fino alla fase “inserzione nuovo catetere vescicale” durante la quale si assisterà a una normalizzazione dei parametri vitali e a una risoluzione della situazione dolorosa. Ovviamente, se non viene attuato un clampaggio intermittente, secondo le evidenze disponibili, del tubo di deflusso dell’urina per impedire il collasso vescicale determinato da un rapido svuotamento, le condizioni del simulatore muteranno verso un malore.

La codifica dei parametri vitali e dei suoni vocali o altre specifiche condizioni viene effettuata sulla base della possibilità del verificarsi di determinati eventi. Gli eventi, cioè ciò che accade nella scena, assumono il ruolo di indicatori della qualità di specifici interventi messi in atto. Se l’intervento è eseguito correttamente, quindi qualitativamente accettabile, può diventare l’evento che fa progredire lo scenario verso la soluzione del problema, se invece vengono commessi errori possono essere previsti specifici eventi con le relative condizioni.

Si faccia l’esempio della seconda fase dello scenario preso in considerazione “rimozione catetere vescicale”. In tale fase è possibile prevedere che i partecipanti all’interno della scena possano rimuovere in maniera errata il cerotto di ancoraggio del catetere oppure il catetere vescicale stesso. In tale evenienza, il simulatore potrebbe rispondere con un lamento, oltreché con urla e agitazione. Si veda la tabella 5.12 per uno schema esemplificativo di quanto fin qui descritto. Nel caso presentato, la condizione di globo vescicale permane anche nella fase successiva che quindi non mostrerà una normalizzazione dei parametri vitali; in realtà, possono essere previsti due eventi specifici: errata rimozione del cerotto o errata rimozione del catetere, i quali daranno origine a una risposta da parte del simulatore.

Gli eventi, quindi, sono rigidamente previsti in fase di progettazione e sono in relazione alle riposte umane generate in conseguenza di una determinata azione messa in campo dai discenti. Pertanto, risulta sufficientemente chiaro come sia necessario provvedere a un elenco dettagliato di tutti gli eventi che possono accadere e porli in relazione a una risposta del simulatore secondo la relazione di causa-effetto.

Come detto in precedenza, gli eventi vengono generati su base qualitativa, in relazione agli interventi messi in atto. Pertanto, parallelamente alle condizioni e agli eventi specifici devono essere previsti una serie di interventi da attuare. Tali interventi possono essere ripresi da una procedura inserita in un protocollo aziendale oppure liberamente scelti sulla base delle evidenze disponibili o linee guida internazionali. Il criterio de-

Tabella 5.12 Le condizioni e gli eventi. “Riposizionamento di un catetere vescicale”.

FASeSTATuS/ASSISTITO FASeSTATuS/ASSISTITO

FC: 110 bpm

PA: 140/90 mmHg

FR: 23 atti/min

Tipo di respiro: normale

SpO2: 97%

T: 36,5 °C

Dolore addominale: NRS 5/10

In entrata

Localizzazione: sovrapubica

Suoni vocali: lamento

Condizione: globo vescicale

FC: 110 bpm

PA: 140/90 mmHg

FR: 23 atti/min

Tipo di respiro: normale

SpO2: 97%

T: 36,5 °C

Dolore addominale: NRS 6/10

Localizzazione: sovrapubica

Suoni vocali: lamento

Condizione: globo vescicale

Evento 1:

Se il cerotto viene rimosso in modo scorretto: lamento

Evento 2:

Se il catetere viene rimosso in modo scorretto: lamento

Fonte: Anna Sponton, Antonio Iadeluca, Sonia Lomuscio.

cisionale utilizzabile per scegliere quali interventi prevedere deve essere necessariamente deciso in relazione agli obiettivi del percorso formativo pianificato. In relazione all’importanza di ogni intervento programmato e sulla qualità con cui questo viene eseguito è possibile prevedere un evento che possa aggravare la situazione clinica della persona assistita, oppure portare verso la risoluzione del problema posto.

Si riprenda l’esempio dell’assistito con riacutizzazione di BPCO. Nella fase “in entrata” la persona assistita si presenta in condizioni cliniche compromesse dal punto di vista cardiorespiratorio: frequenza cardiaca

54 bpm, frequenza respiratoria 25 atti/min, respiro superficiale, saturazione ossigeno 88%, stato di coscienza secondo Glasgow Coma Scale 13/15.

Di fronte a una tale situazione clinica se i partecipanti allo scenario non comprendono quale sia il problema, oppure omettono di auscultare i rumori polmonari ovvero di ricercare altri dati che permettano di diagnosticare il problema, può essere avviato un trend che permetta di simulare il decadimento delle condizioni generali fino ad arrivare all’arresto cardiocircolatorio in un tempo prestabilito. Un trend, infatti, permette di introdurre una condizione che varia in maniera automatica sulla base dello scorrere del tempo, qualora non vengano messi in atto interventi efficaci da parte dei discenti. È chiaro che i parametri vitali non mostrano repentine variazioni ma tale fenomeno si modifica con gradualità nel tempo: per questo motivo, l’introduzione dei trend come condizioni variabili, aumenta la fedeltà della simulazione.

Si prenda l’esempio di un assistito in ossigenoterapia. Se la somministrazione di ossigeno venisse interrotta, la saturazione dell’ossigeno non mostrerà una brusca caduta, ma impiegherà qualche istante in base alla compromissione respiratoria in atto. In questo caso il trend permette di modificare la condizione clinica in base al tempo trascorso, che diventa esso stesso un evento. È utile costruire un gruppo di condizioni variabili riconducibili a eventi che spesso accadono nella pratica clinica, in modo da poterle inserire in ogni scenario si intenda costruire in cui sia previsto il verificarsi di quella condizione.

5.4 Algoritmo di progettazione

Prima di procedere all’inserimento dello scenario in un software di gestione del simulatore è necessario costruire un algoritmo di progettazione. Tale algoritmo permette di presidiare ciascuna fase della scena e quindi stabilire gli snodi decisionali a cui sottoporre i discenti, con i relativi eventi e conseguenti condizioni. In sostanza, tutto ciò che è stato pensato e ideato su carta ora deve essere schematizzato in un flow-chart che permetta di non lasciare nulla al caso e dove sia tutto chiaramente predeterminato.

Innanzitutto, descrivere le condizioni cliniche iniziali, così come illustrate nel paragrafo precedente sulla base del caso che si è deciso di

costruire. In relazione alle condizioni iniziali è necessario codificare gli eventi possibili che possono accadere in quella specifica fase dello scenario. Ogni fase descritta in precedenza avrà una struttura simile per tutto lo scenario denominata frame della simulazione. Una volta decisi gli eventi è necessario collegare a ciascuno di essi una nuova condizione in base alle caratteristiche dell’evento stesso. In questo modo, è possibile visualizzare l’andamento dello scenario in tutti i suoi risvolti. La concatenazione di eventi e condizioni fa progredire lo scenario. Al termine della progettazione è utile prevedere differenti esiti per il caso clinico e quale, fra tutti i percorsi individuati, è quello corretto. La figura 5.4 mostra uno schema esemplificativo circa le differenti possibilità che hanno i partecipanti al laboratorio di simulazione per giungere alla soluzione del problema clinico.

Tale schema però mostra un andamento lineare tra eventi e condizioni. Nella realtà raramente le situazioni cliniche possono seguire un decorso di questo tipo, ma piuttosto assumono caratteristiche più complesse, dipendenti soprattutto dalla complessità della persona assistita e da quella determinata dai quesiti clinici posti. Inoltre è da considerare

Figura 5.4 Algoritmo di progettazione dello scenario.

come il verificarsi di eventi gravi possano portare a un rapido declino delle condizioni del simulatore HPS e quindi deviare dal normale percorso di condizioni previste per giungere a un esito infausto per la vita della persona.

Si pensi a un assistito appena sottoposto a intervento di pneumonectomia destra che mostra segni di edema polmonare post-operatorio. Le condizioni iniziali da impostare possono essere così rappresentate: polmone destro assente, gorgoglii alle basi polmonari, frequenza respiratoria 25 atti/min, respiro superficiale monolaterale, saturazione ossigeno 88% e stato di coscienza secondo Glasgow Coma Scale 13/15.

A questo punto gli eventi che possono essere previsti sono: auscultazione dei rumori respiratori (evento 1), visualizzazione documentazione clinica e infermieristica (evento 2), ottenere una consulenza dal medico (evento 3) e somministrazione di ossigeno terapia ad alti flussi (evento 4). È evidente che sia l’evento 1 sia il 2 non fanno progredire lo scenario, mentre l’evento 3 porta la simulazione a una fase successiva. L’evento 4, somministrazione di ossigenoterapia ad alte dosi, fa momentaneamente progredire lo scenario verso un miglioramento delle condizioni cliniche saltando, di fatto, la consulenza del medico, che però dovrà comunque essere richiesta successivamente. Questo è solo un esempio di come potrebbe essere complicata una situazione reale, ma che deve essere codificata mediante l’algoritmo di simulazione per evitare di omettere passaggi fondamentali che possano cogliere impreparato il tutor che sta controllando la scena (fig. 5.5).

Nella figura 5.5 viene riportato un generico caso con i relativi snodi decisionali. Ogni frame contiene le condizioni che caratterizzano quella fase. Nel frame 0 si ha la situazione di partenza. All’avvio dello scenario, i risvolti possibili sono tre, codificati e predeterminati nei rispettivi eventi. I discenti possono mettere in atto interventi che daranno origine a uno di questi tre eventi. In base all’evento specifico che si verifica lo scenario progredirà in una delle possibili direzioni: verso il frame 1 se si verifica l’evento 1, verso il frame 2 se si verifica l’evento 2, oppure permanere nella condizione di partenza in caso si verificasse l’evento 3. Se lo scenario passa al frame 1, gli eventi che potrebbero verificarsi sono ancora tre, ma uno di questi è un evento tempo. In questo caso i partecipanti devono trovare una soluzione che sia diversa dall’evento 4, perché lo stesso, passando tramite una risposta del simulatore, per esempio un lamento o una frase, ritornerebbe al frame 1. Questa è la condizione di un intervento errato da parte del discente che provoca uno stallo nella

Tipo di paziente: Uomo

3

Figura 5.5 Flow-chart di progettazione: snodi decisionali, eventi e condizioni.

progressione della scena. Tuttavia, se trascorrono 2 minuti oppure si verifica l’evento 5, lo scenario evolve al frame 2 e quindi alla conclusione. In questo modo, si ha la possibilità in fase di progettazione di controllare ogni singolo passaggio e di ripercorrere ciascuna fase verificando l’aderenza con quanto potrebbe accedere nella realtà.

Per comprendere meglio quanto illustrato in precedenza si riprenda l’esempio della persona con BPCO riacutizzata, illustrandolo nei dettagli mediante lo schema dello scenario. Questo caso, quindi, presenta una persona assistita, di 63 anni, in quarta giornata di degenza dopo ricovero per episodio di riacutizzazione della broncopneumopatia cronico ostruttiva (BPCO) stadio Gold 1. Durante le cure igieniche del mattino

P re P araz I one della SI mulaz I one

6.1 Setting del laboratorio di simulazione

Come descritto precedentemente il controller ha un ruolo determinante nel corretto svolgimento della simulazione. Non solo, il raggiungimento degli obiettivi risiede nella corretta disposizione degli spazi. È indispensabile pertanto che il laboratorio di simulazione sia adeguatamente strutturato per fornire il necessario supporto nella gestione dello scenario, in particolar modo è necessaria una separazione dei luoghi sulla base delle diverse fasi che compongono la simulazione. Sostanzialmente, è utile prevedere un luogo per briefing e debriefing, uno per lo svolgimento dello scenario e, infine, la postazione di controllo della scena.

Nella figura 6.1 viene mostrata una esemplificazione di come può essere strutturato il laboratorio. Si può notare la separazione degli spazi sulla base della destinazione d’uso con caratteristiche proprie determinate dalla funzione. Quindi, l’aula briefing e debriefing deve essere strutturata in modo tale da permettere e favorire il confronto tra il controller e i discenti, ma allo stesso tempo deve avere la possibilità di visualizzare il filmato di quanto accaduto durante la simulazione. La disposizione di sedie e tavoli può essere decisa sulla base dello stile di conduzione. All’interno di questo spazio deve essere disponibile un impianto video e stereo per la riproduzione dei filmati e una lavagna sulla quale poter annotare parole chiave o dare indicazioni ai discenti.

L’aula di simulazione è il centro del laboratorio, ma non la parte più importante. Il luogo dove avviene fisicamente la simulazione deve riprodurre fedelmente una camera di degenza, un’unità di terapia intensiva o qualsiasi altro setting previsto dallo scenario. All’interno dell’aula di simulazione, oltre agli arredi e alla strumentazione utile al fine della scena,

LABORATORIO DI SIMULAZIONE

CONTROLLO SCENA

AULA BRIEFING E DEBRIEFING

AULA SIMULAZIONE

saranno predisposte anche delle videocamere in grado di riprendere e registrare tutto ciò che avviene. Caratteristica fondamentale di questo setting è la flessibilità. Infatti, solitamente, la sala di simulazione è modulare e adattabile in modo tale da essere configurata per garantire il massimo realismo sulla base dello scenario.

Infine, la parte nevralgica del laboratorio di simulazione è la postazione di controllo della scena o sala di regia. Questa sezione è fisicamente separata dall’aula dove si svolge lo scenario ma anche dall’aula briefing/debriefing e mantiene il controllo sullo scenario tramite un vetro a specchio che le permette di visualizzare tutto ciò che accade durante la simulazione. La postazione deve essere composta con cura e deve permettere al controller di poter gestire lo scenario in maniera agile e comoda.

Per ottenere un laboratorio di simulazione funzionale non sono necessari importanti interventi strutturali, ma una stanza sufficientemente ampia può essere suddivisa anche mediante pannelli semovibili. In questo caso, il controllo sulla scena in postazione può essere mantenuto grazie all’ausilio

Figura 6.1 La struttura del laboratorio di simulazione.

I m P lementaz I one dello S cenar I o

Antonio Iadeluca

7.1 Introdurre gli studenti alla simulazione: il briefing

Prima di iniziare una sessione di simulazione i partecipanti devono essere adeguatamente informati circa la metodologia che verrà utilizzata. Deve essere chiaro che si è di fronte a una modalità formativa che non è di tipo passivo ma vede coinvolta la persona direttamente, e questa deve essere disposta a “mettersi in gioco” come se stesse realmente operando sul campo. Inoltre, il punto saldo della simulazione risiede nel fatto che all’interno della scena esistono solamente il discente, o i discenti, e il simulatore con le condizioni che poco alla volta si presenteranno. Nessun aiuto o suggerimento verrà fornito dall’esterno, ma l’esito della simulazione dipenderà unicamente dalle risorse messe in campo da chi partecipa allo scenario. Infatti, una volta fornite le indicazioni iniziali e avviata la simulazione nessuno interverrà dall’esterno per fermare, anche solo temporaneamente, lo scenario, se non per l’esaurimento del tempo a disposizione.

Quindi, l’informativa prima della simulazione deve comprendere in primo luogo l’aspetto dell’azione durante lo scenario. Durante la scena, infatti, i partecipanti devono agire come se fossero nella realtà, non cercando suggerimenti dall’esterno ma considerando tutto quello che accade come reale. Si faccia un esempio ipotizzando di sottoporre il discente a uno scenario dove è prevista la sostituzione di un catetere vescicale a permanenza. In fase di progettazione e successivamente di preparazione è stato approntato il simulatore per rendere difficoltosa la rimozione del catetere. Il discente abituato alle esercitazioni con il manichino tradizionale, se non adeguatamente informato durante il briefing, potrebbe considerare tale difficoltà in diversi modi. Ciò che più facilmente potrebbe accadere è che il partecipante sia incline a

pensare che la difficoltà risieda in un limite tecnico del simulatore e quindi legata sostanzialmente al fatto che un manichino in materiale plastico non possa riprodurre fedelmente quelle che sono le caratteristiche anatomiche di una persona assistita. Questo errore di considerazione, rispetto all’esperienza della simulazione, può portare il partecipante a interrompere la procedura durante lo scenario e rivolgersi alla sala di regia per avere informazioni o suggerimenti, quando invece tutto questo era stato ampiamente previsto in fase di progettazione. Pertanto, per evitare misunderstanding durante lo svolgimento della simulazione, i partecipanti non devono conoscere prima le variabili che interverranno durante la scena poiché questo renderebbe nullo l’aspetto formativo, ma devono essere consapevoli che la simulazione vuole riprodurre in un “safe place” eventi e situazioni reali. Il messaggio principale che deve essere fatto comprendere agli studenti è quello secondo il quale ogni variabile che si presenta durante la simulazione è stata prevista in fase di progettazione dello scenario e sottoposta loro “ad arte” per sviluppare le capacità di problem solving e decision making. Come descritto nel paragrafo 3.4, all’interno della simulazione è presente una componente di ansia che inevitabilmente investe i discenti siano essi partecipanti o osservatori della simulazione. Inoltre, all’interno della scena è presente la componente della videoripresa che può influenzare le performance dei partecipanti aumentando di fatto la dimensione ansiosa. Pertanto, nella fase di briefing è buona cosa anticipare ciò che emotivamente si potrà sperimentare durante lo scenario. Per una riflessione guidata può essere utile riferire ai partecipanti che la presenza della telecamera potrebbe essere paragonata alla presenza in camera di degenza di un parente oppure l’occhio stesso della persona assistita che osserva con attenzione ciò che viene effettuato durante la procedura. La videoripresa consente di “fissare” ciò che accade, e questo può generare il timore di essere valutati negativamente durante la fase di debriefing. A questo proposito è sicuramente necessario rassicurare i partecipanti riguardo ciò che avverrà successivamente, sottolineando la natura formativa della valutazione, finalizzata sostanzialmente all’apprendimento e non alla certificazione di competenze acquisite. In estrema sintesi, quindi, tutto ciò che accadrà durante la scena verrà videoregistrato da diverse angolazioni e il materiale ottenuto servirà per effettuare una riflessione su quanto avvenuto durante la simulazione stessa. Dall’esperienza maturata da chi scrive nella conduzione di sessioni di simulazione nell’ambito della formazione infermieristica di base, gli studenti hanno sempre riferito, durante le fasi di debriefing, che la presenza della telecamera e la consapevolezza di

l a valutaz I one della SI mulaz I one

Scopo basilare della valutazione è stimolare la crescita e il miglioramento. Tutte le altre finalità, pur rispettabili, sono solo sfaccettature dello sforzo generale che consiste nel valutare le condizioni presenti come base per migliorare. Una valutazione che non porti a un perfezionamento delle pratiche è sterile (Kempfer H.H. 1955, citato in Knowles M., 1996)

La formazione accademica degli infermieri oggi è più che mai orientata alla responsabilizzazione dello studente contenendo l’attività didattica formale e frontale a favore delle attività integrative e dei laboratori, valorizzando lo studio guidato e individuale e le metodologie di supporto all’autoapprendimento.

L’attività professionalizzante (tirocinio) continua a rappresentare il cuore della preparazione professionale degli studenti dei Corsi di Laurea delle professioni sanitarie, difatti rimane la modalità formativa fondamentale per sviluppare:

• competenze professionali;

• ragionamento diagnostico;

• pensiero critico.

L’applicabilità della formazione implica l’utilizzo effettivo delle conoscenze, delle competenze e dei comportamenti appresi che inevitabilmente devono, nel processo di apprendimento, affrontare anche la fase valutativa.

Riprendendo il concetto di White ed Evan (fig. 8.1) il processo formativo si conclude con la VALUTAZIONE, fase delicata e complessa che coin-

VALUTAZIONE

Esperienza+riflessione = crescita

TEORIA

I fondamenti

LABORATORIO

Sviluppo di abilità pratiche, intellettive e attitudinali prima della pratica sul campo

DEBRIEFING

Un follow-up delle performance degli studenti per comprendere se gli obiettivi clinici sono stati raggiunti.

Verifica del livello della performance

PRATICA CLINICA

Sostenere, osservare, guidare, facilitare, assistere, indagare, ricercare, valutare, istruire

BRIEFING

Dall’inglese to brief, riassumere, dare brevi istruzioni. Trasmettere informazioni in vista dello svolgimento di un determinato compito

volge una pluralità di soggetti, nella quale si misurano, si quantificano, si rendono espliciti i risultati raggiunti confrontandoli con standard o norme di riferimento cercando di rendere oggettivo il cambiamento della persona, in termini di comportamento professionale agito. Il concetto di valutazione, in termini più ampi e contestualizzati alla formazione infermieristica, si riferisce quindi alla misurazione delle conoscenze trasformate in comportamenti e abilità attese insieme alle capacità trasversali quali responsabilità, autonomia, iniziativa, capacità di motivare scientificamente gli interventi messi in atto.

Valutare significa pertanto esprimere un giudizio di valore in merito a dei dati raccolti e alle informazioni disponibili. Il processo di valutazione in linea generale prevede una serie sistematica di azioni:

1. Identificare lo/gli scopo/i della valutazione (a chi è rivolta) (tab. 8.1).

Indipendentemente dallo scopo, l’ambito o il motivo di una valutazione dovrebbe essere chiaro a tutti i soggetti coinvolti.

Figura 8.1 Il ciclo di White ed Evan.

Anna Sponton • Antonio Iadeluca

LA SIMULAZIONE

NELL’INFERMIERISTICA

Metodologie, tecniche e strategie per la didattica SPONTON*SIMUL DIDATTICA INFERM (CEA Q

Questotesto nasce con l’intento di trattare la simulazione come metodo didattico formativo, non come semplice strumento tecnologico legato all’utilizzo di manichini a media-alta fedeltà, partendo dal quadro teorico di riferimento dell’apprendimento esperienziale di David Kolb che, contestualizzato alla formazione infermieristica, si concretizza nell’attività professionalizzante da una parte e nei laboratori professionali dall’altra.

I primi capitoli sono pensati per introdurre l’argomento attraverso il racconto dell’evoluzione storica della simulazione in ambito infermieristico, la presentazione delle potenzialità e dei limiti della metodologia e la descrizione del quadro internazionale. A partire dal capitolo 4 il testo entra nel vivo della trattazione presentando la simulazione quale metodologia a supporto dell’apprendimento e, successivamente, sviluppando argomenti pratici quali la progettazione dello scenario, la preparazione della simulazione, l’implementazione dello scenario e la valutazione finale della simulazione. Il tutto tratto dall’esperienza d’avanguardia che gli autori stanno sviluppando presso la sezione didattica A.O. “Guido Salvini” di Garbagnate Milanese del Corso di Laurea in Infermieristica dell’Università degli Studi di Milano, anche con l’utilizzo di manichini a media-alta fedeltà sviluppati da Laerdal.

Il testo è inoltre corredato da alcuni video disponibili in Internet che mostrano, al fine di illustrare e rendere più chiari gli argomenti trattati, il reale sviluppo di alcune simulazioni implementate dagli autori con i loro studenti.

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