Coagulum Report - settembre 2016

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COAGULUM report IL GIORNALE DELLA TROMBOSI ARTERIOSA E VENOSA

EDITORIALE Ictus cerebrale. Le novità dalle ultime Linee Guida ISO-SPREAD

REVIEW Gestione della terapia anticoagulante in occasione di chirurgia o procedure invasive

GUIDELINES Linee guida ISO SPREAD Le novità in prevenzione, diagnosi e cura dell’ictus cerebrale dell’edizione n. 8

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EFFICACIA E SICUREZZA D’IMPIEGO(1,2)

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Senza effetti anticoagulanti(2) Coagulum report - giugno 2016


SOMMARIO

COAGULUMreport

N°7 - Settembre 2016 - Registrazione n. 403 del 19-12-2014 - Trib. Milano Direttore Responsabile Enzo Alessandrini Biondi Comitato Scientifico Pier Luigi Antignani Giuseppe Di Pasquale Augusto Zaninelli

editoriale

Ictus cerebrale. Le novità dalle ultime Linee Guida ISO-SPREAD Augusto Zaninelli

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REVIEW 4 Gestione della terapia anticoagulante in occasione di chirurgia o procedure invasive Giuseppe Di Pasquale, Silvia Zagnoni, Pamela Gallo

GUIDELINES

Linee guida ISO SPREAD Le novità in prevenzione, diagnosi e cura dell’ictus cerebrale dell’edizione n. 8 Gian Franco Gensini, Antonio Carolei e Augusto Zaninelli

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Phlebology

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PROJECT IN PROGRESS

Al via lo studio ERCAF, il primo studio osservazionale SISMED sulla Fibrillazione Atriale Redazione

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NEWS DAL MONDO NAO

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SFIDE ATTUALI NELLA GESTIONE DEL TEV Gualtiero Palareti

NEWS DAI CONGRESSI

International union of angiology congresso mondiale di angiologia lione 5-8 ottobre 2016 Pier Luigi Antignani

Notizie di aggiornamento sui nuovi anticoagulanti orali Redazione

Medifarma Web Edizioni Scientifiche Via Varazze, 2 - 20148 Milano Tel. 02/48102439 ra ©Medifarma Web, settembre 2016 Tutti i diritti di traduzione, adattamento parziale o totale con qualsiasi mezzo (compresi microfilm, copie fotostatiche e xerografiche) sono riservati. Coagulum report - settembre 2016

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Coagulumreport.it è diventato negli ultimi mesi il leader dei portali che si occupano di patologie aterotrombotiche e tromboemboliche.

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E’ online www.coagulumreport.it il Giornale della trombosi arteriosa e venosa Coagulumreport.it è lo strumento multimediale, agile, sempre aggiornato di informazione e facile consultazione per la pratica clinica delle malattie della coagulazione e dei vasi sanguigni Cosa aspetti? Scopri coagulumreport.it 2

Coagulum report - giugno 2015


EDITORIALE

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Ictus cerebrale. Le novità dalle ultime Linee Guida ISO-SPREAD Augusto Zaninelli The ISO-SPREAD Collaborative Group

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e Linee guida dell’ISO-SPREAD (Stroke PRevention and Educational Awareness Diffusion) hanno raggiunto l’edizione numero 8, grazie a un grande lavoro di squadra che dura da 18 anni e un sito web (www.iso-spread. it) che registra moltissimi accessi e contatti ogni giorno. La prima e più importante novità delle linee guida ISO-SPREAD è l’adozione di un criterio metodologico più moderno ed attuale, con il passaggio della classificazione del grado e della forza delle raccomandazioni dal sistema ABCD a quello GRADE, sempre nell’ambito del modello scozzese SIGN, anche se adattato ed applicabile nella realtà del nostro Paese. Le altre novità più significative riguardano la prevenzione, la fase acuta, la terapia chirurgica e la medicina di genere. Nel campo della prevenzione, per quanto riguarda il trattamento farmacologico della prevenzione degli eventi embolici in pazienti affetti da fibrillazione atriale, con i nuovi farmaci anticoagulanti, vi è un aggiornamento con i dati relativi alle precauzioni da assumere nel dosaggio dei NAO, nei pazienti con insufficienza renale cronica. Inoltre, primo in Europa, il gruppo ISO-

SPREAD suggerisce di prendere in considerazione l’uso di aspirina nel paziente con moderato rischio cardiovascolare, tenendo presente anche la concomitante presenza di rischio di sviluppare una neoplasia. La possibilità di determinate procedure endoarteriose in aggiunta o in alternativa alla classica trombolisi è stata discussa con successo, come la possibilità di effettuare trombolisi in pazienti che assumono farmaci anticoagulanti diretti (NAO), seppur con qualche precauzione. La terapia chirurgica ha confermato che tromboendoarterectomia è migliore dello stenting carotideo, eccetto particolari condizioni cliniche, ben definite. Infine, l’area della medicina di genere offre un punto di vista attuale nella gestione globale dell’ictus nelle donne, nel quadro del moderno approccio alla medicina personalizzata e di precisione (precision medicine). Alle novità nel campo delle linee guida italiane di prevenzione e trattamento dell’ictus cerebrale dell’edizione appena pubblicata, che ha la data di luglio 2016, viene dedicato un ampio approfondimento in questo numero di Coagulumreport (Guidelines).

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review FOCUS ON TEV COAGULUMreport

Gestione della terapia anticoagulante in occasione di chirurgia o procedure invasive Giuseppe Di Pasquale, Silvia Zagnoni, Pamela Gallo Unità Operativa di Cardiologia, Ospedale Maggiore, Bologna

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a necessità di una temporanea interruzione della terapia anticoagulante orale (TAO) cronica con warfarin in previsione di procedure invasive o chirurgia è evenienza frequente nei pazienti anticoagulati. Questa si verifica ogni anno in circa il 10% dei pazienti in TAO per qualsiasi indicazione ed in una percentuale ancora maggiore, di circa il 15%, dei pazienti in TAO per l’indicazione fibrillazione atriale (FA) (1). La gestione periprocedurale in questi casi prevede sostanzialmente tre diverse opzioni terapeutiche: 1) non sospensione della TAO; 2) sospensione temporanea della TAO; 3) sospensione temporanea della TAO, di solito cinque giorni prima della procedura elettiva, bridging con eparina [eparina a basso peso molecolare (BPM) a dosi terapeutiche o eparina non frazionata] e ripresa del warfarin dopo la procedura ad emostasi avvenuta. La consuetudine del ricorso al bridging è molto variabile con forti incertezze sulle indicazioni e sul suo regime ottimale. A tale proposito le linee guida dell’American College of Chest Physicians pubblicate nel 2012 raccomandano un approccio individualizzato per l’indicazione al bridging basato sul rischio tromboembolico del paziente e sul rischio periprocedurale di sanguinamento (1). Il grado di questa raccomandazione è tuttavia debole (Livello 2C) in relazione alla mancanza di chiare evidenze provenienti da trial clinici randomizzati di adeguate dimensioni. Recentemente lo studio BRIDGE (2), il primo grande studio randomizzato nei pazienti con FA e pubblicato nel 2015 su New England Journal of Medicine, ha fornito importanti informazioni per la gestione pratica dei pazienti in TAO.

EVIDENZE DISPONIBILI

Siegal et al (3) in una revisione sistematica e metanalisi di 34 studi, dei quali uno solo randomizzato di piccole dimensioni condotti tra il 2001 ed il 2010, avevano cercato di valutare sicurezza ed efficacia dell’anticoagulazione bridging periprocedurale. Le 8

conclusioni di questa review erano quelle di un aumento del rischio di sanguinamenti maggiori di 3.6 volte nei pazienti sottoposti a bridging periprocedurale con eparina, a fronte di un rischio sovrapponibile di eventi tromboembolici rispetto ai pazienti non sottoposti a bridging. Le strategie di bridging negli studi inclusi nella metanalisi erano tuttavia eterogenee ed i confronti non randomizzati, precludendo conclusioni certe sul ruolo dell’anticoagulazione bridging ed eventuali relativi dosaggi e timing di somministrazione (4-7). Risultati concordanti sono stati recentemente documentati anche da un’analisi effettuata all’interno del registro nord-americano ORBIT- AF di pazienti ambulatoriali con FA (8). La bridging therapy con eparina BPM, eparina non frazionata o fondaparinux è stata attuata in circa un quarto dei pazienti sottoposti ad interventi chirurgici o procedure invasive ed è risultata associata ad un’incidenza più elevata, rispetto ai pazienti non sottoposti a bridging, non solo di eventi emorragici ma anche di infarto miocardico, stroke o embolie sistemiche, ospedalizzazione e morte entro 30 giorni. I limiti di questo studio sono ovviamente quelli relativi ai possibili bias di arruolamento e di reporting insiti in ogni registro. Allo scopo di colmare le lacune conoscitive relativamente al ruolo della bridging therapy tra il 2006 e il 2009 sono stati avviati due studi prospettici randomizzati, controllati con placebo, di ampie dimensioni: lo studio BRIDGE (2) che ha incluso pazienti con FA e lo studio PERIOP-2 (9), tuttora in corso, che include pazienti con FA e protesi valvolari meccaniche. Lo studio BRIDGE è uno studio randomizzato, controllato, in doppio cieco finalizzato a testare la non inferiorità della strategia di sospensione del warfarin senza bridging rispetto alla bridging therapy con eparina BPM in pazienti con FA e CHADS2 score ≥1 candidati a interventi chirurgici elettivi o procedure interventistiche. End point primario di efficacia erano gli eventi tromboembolici arteriosi (stroke, ischemico ed emorragico, TIA ed embolia sistemica) a

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trenta giorni dalla procedura; endpoint secondari di efficacia erano l’infarto miocardico acuto, trombosi venosa profonda, embolia polmonare e morte da tutte le cause. End point primario di sicurezza erano i sanguinamenti maggiori a trenta giorni; endpoint secondari di sicurezza i sanguinamenti minori. Il disegno dello studio prevedeva la sospensione del warfarin cinque giorni prima della procedura, iniziando tre giorni prima eparina BPM (Dalteparina 100 UI pro-chilo due volte al giorno) oppure placebo, controllando il giorno prima della procedura l’INR (se ancora > 1,8 veniva somministrata vitamina K). La ripresa della TAO veniva effettuata con eparina BPM (o placebo) dopo 24 ore se il rischio emorragico dell’intervento era basso, a 48-72 ore se il rischio era elevato. Sono stati analizzati i dati provenienti da 1884 pazienti di età media 71.7 anni, di cui 1722 effettivamente sottoposti a procedure interventistiche o chirurgiche programmate (interventi di chirurgia a basso rischio di sanguinamento nell’89% con un 44% di procedure gastroenterologiche). A 30 giorni, l’incidenza di eventi tromboembolici arteriosi nel gruppo bridging therapy è risultata pari allo 0.4%, vs lo 0.3% del gruppo non bridging (p = 0.01 per non inferiorità; p = 0.73 per superiorità). Sanguinamenti maggiori si sono verifi-

cati nel 3.2% dei pazienti sottoposti a bridging therapy e nell’1.3% dei pazienti non bridging (2). Lo studio BRIDGE dimostra che nei pazienti con FA nei quali è necessaria la sospensione della TAO in previsione di intervento chirurgico o procedura interventistica elettiva, la sospensione del warfarin senza bridging con eparina BPM comporta un beneficio clinico netto superiore rispetto alla strategia di bridging, legato in particolare alla riduzione dei sanguinamenti (l’incidenza di emorragie maggiori è risultata 2.5 volte più elevata nei pazienti sottoposti a bridging therapy). Il profilo di rischio tromboembolico dei pazienti arruolati nel trial corrisponde a quello dei pazienti con FA del mondo reale, infatti il CHADS2 score medio di 2.3 è del tutto sovrapponibile al CHADS2 score 2.1 dei pazienti dello studio italiano ATA-AF (10). Un limite dello studio BRIDGE è quello di aver escluso i pazienti con protesi valvolari, ma anche in questi le linee guida ACCP raccomandano il bridging con eparina solo in caso di elevato rischio tromboembolico, come in presenza di protesi valvolari meccaniche in posizione mitralica, protesi aortica di vecchia generazione o associata a FA e nei pazienti con protesi valvolari meccaniche e pregresso tromboembolismo arterioso (1).

Figura 1 A) Metanalisi dell’endpoint: eventi cerebrovascolari (Da Ayoub at al11)

B) Metanalisi dell’endpoint: emorragie maggiori (Da Ayoub at al11)

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review FOCUS ON TEV COAGULUMreport

Recentemente è stata pubblicata una nuova metanalisi che ha compreso anche lo studio BRIDGE oltre a quattro studi osservazionali e un sottostudio del trial RE-LY per un totale di 13.808 pazienti. Da questa analisi emerge come, a 30 giorni, non vi sia una significativa differenza in termini di mortalità ed eventi cerebrovascolari tra la strategia con e senza bridging therapy, mentre nel gruppo senza terapia di bridge vi è una riduzione significativa degli eventi emorragici maggiori (OR: 0,41; p: 0,0006) (Figura 1) (11). L’osservazione di una maggiore incidenza di complicanze della bridging therapy era nota da tempo anche nel contesto del trattamento interventistico delle sindromi coronariche acute, dove si associa ad una più alta incidenza di sanguinamenti periprocedurali (12). Questo dato è stato recentemente confermato dal registro prospettico AFCAS in cui la sospensione della TAO e l’utilizzo di bridging therapy con eparina BPM in pazienti con FA in duplice antiaggregazione aumenta in modo significativo i sanguinamenti e gli eventi cardiovascolari rispetto alla strategia di warfarin non interrotto al momento dell’angioplastica coronarica (13). Analogamente, da una recentissima metanalisi emerge che l’esecuzione di angiografia coronarica (con o senza angioplastica) in corso di TAO non interrotta presenta un profilo di sicurezza maggiore rispetto alla strategia di sospensione, in particolare quando viene effettuata una terapia di bridge con eparina BPM (14). Il bridging con eparina BPM si associa inoltre ad aumentato rischio di sanguinamenti rispetto al warfarin non interrotto in fase periprocedurale nei pazienti sottoposti ad impianto di pacemaker (15,16).

Gestione perioperatoria della TAO con antagonisti della vitamina K

La strategia del bridging è ancora ampiamente praticata in una percentuale di pazienti stimabile in letteratura tra il 25 e il 30% (8,17,19). Vi è inoltre un’ampia variabilità delle indicazioni per il bridging e dei dosaggi di eparina BPM utilizzati (dose terapeutica piena somministrata due volte al giorno; dose “subterapeutica” ridotta del 30%; dose “profilattica” somministrata una volta al giorno). Un approccio individualizzato basato sul rischio tromboembolico del paziente è stato proposto e testato in diversi studi (4,5) dimostrandone fattibilità e sicurezza, ma nella pratica clinica i comportamenti sono guidati più dalle consuetudini che dalla valutazione rischiobeneficio nel singolo paziente. Un’ulteriore difficoltà è legata al fatto che le concen10

trazioni plasmatiche e l’emivita dell’eparina BPM sono fortemente influenzate dalla funzione renale e nei pazienti anziani con FA una disfunzione renale di variabile entità è spesso presente. Analogamente alle indicazioni ACCP (1), le linee guida ESC per la gestione peri-operatoria in chirurgia non cardiaca pubblicate nel 2014 (20) raccomandano l’utilizzo di bridging therapy solo in pazienti ad elevato rischio tromboembolico quali: • Pazienti con FA ad elevato rischio tromboembolico (punteggio CHA2DS2-VASc ≥4) • Pazienti portatori di protesi valvolari meccaniche cardiache; pazienti sottoposti ad intervento di sostituzione valvolare con protesi biologica o plastica mitralica negli ultimi 3 mesi; recente tromboembolismo venoso (entro 3 mesi); trombofilia. Questa indicazione è valida per gli interventi definiti ad alto rischio emorragico, in quanto quelli a basso rischio devono essere effettuati in corso di TAO immodificata o con INR ai limiti inferiori del range terapeutico, strategia che ha dimostrato il miglior rapporto rischio/beneficio. In generale, vi è una maggiore evidenza dell’efficacia e sicurezza nell’uso di eparina BPM, rispetto all’eparina non frazionata, che deve essere somministrata per via sottocutanea e in dose aggiustata in base al peso (100 U/Kg) due volte al giorno, senza necessità di monitoraggio laboratoristico. L’ultima dose di eparina BPM deve essere somministrata entro e non oltre 12 ore prima della procedura, con eventuali aggiustamenti in caso di insufficienza renale (pur non esistendo indicazioni specifiche validate in letteratura). La raccomandazione è di sospendere il trattamento con warfarin 3-5 giorni prima, con frequenti controlli dell’INR, fino al raggiungimento di valori ≤1.5 (limite di sicurezza per la chirurgia ad elevato rischio di sanguinamento) iniziando la terapia con eparina BPM quando l’INR scende sotto 2 (o <2,5 nei pazienti con protesi meccaniche in posizione mitralica o di vecchia generazione). Nel caso si utilizzi eparina non frazionata endovenosa, la terapia deve essere sospesa almeno 4 ore prima della procedura chirurgica. Nel post operatorio l’eparina BPM (o non frazionata) deve essere ripresa alla dose pre-procedurale 1-2 giorni dopo l’intervento, secondo il rischio emorragico e l’emostasi ottenuta. La terapia con warfarin può essere ripresa in prima o seconda giornata post-operatoria – in caso di adeguata emostasi – con una dose di carico pari al 50% in più della dose abituale per due giorni consecutivi, seguita dalla

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Tabella 1 - Interruzione della terapia con NAO in base alla molecola utilizzata, al rischio emorragico dell’intervento e alla funzione renale (DA Hei..et al) (20)

Tabella 2 - Principali studi prospettici con numerosità >200 pazienti che hanno analizzato gli eventi tromboembolici ed emorragici in corso di bridging therapy.

dose di abituale di mantenimento. L’eparina BPM o non frazionata dovrebbe essere continuata fino al raggiungimento di INR terapeutico.

Gestione perioperatoria della TAO con anticoagulanti orali diretti

Attualmente una percentuale crescente di pazienti con FA è trattata con i nuovi anticoagulanti orali (NAO) diretti per i quali non vi è indicazione a bridge con eparina in considerazione dell’emivita plasmatica molto più breve dei NAO rispetto al warfarin e del rapido inizio di azione che consente brevi periodi di interruzione peri-operatoria senza necessità di terapia sostitutiva.

I documenti di consenso per l’utilizzo pratico dei NAO sconsigliano il bridging per i pazienti in trattamento sottoposti a chirurgia o procedure interventistiche elettive (21). Per le procedure in cui è possibile garantire un’emostasi immediata e completa, la terapia può essere ripresa 6-8 ore dopo l’intervento. Lo stesso vale dopo puntura spinale atraumatica / anestesia epidurale o lombare non complicata. Per gli interventi chirurgici ad alto rischio emorragico, tuttavia, la ripresa della terapia anticoagulante entro le prime 48-72 h dopo la procedura può esporre il paziente ad un rischio emorragico che potrebbe risultare superiore al rischio cardioembolico e va pertanto attentamente valutata (20).

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review FOCUS ON TEV COAGULUMreport

La tempistica di sospensione della terapia con NAO deve tenere conto della molecola utilizzata e della funzione renale del paziente come indicato nello schema della guida pratica EHRA sull’uso dei NAO nella FA (Tabella 1) (21). L’applicazione pratica di questo schema nei pazienti in terapia con dabigatran è stato indagato nel registro canadese Periop Dabigatran. L’analisi comprende 541 pazienti sottoposti a procedure interventistiche, di cui il 40% ad elevato rischio emorragico. La sospensione è stata effettuata secondo i valori di clearence della creatinina e senza bridging therapy. L’incidenza di eventi emorragici è risultata bassa (sanguinamenti maggiori: 1,8%; 95% CI: 0,7-3,0%) con un solo evento ischemico transitorio, confermando la riproducibilità del protocollo in termini di sicurezza ed efficacia (18). In un’analisi post-hoc dello studio RE-LY il bridging è risultato più utilizzato durante l’interruzione del warfarin che durante l’interruzione del dabigatran (27.5% vs 15.4%). Con l’interruzione del dabigatran i pazienti sottoposti a bridging hanno avuto più emorragie maggiori rispetto a quelli non sottoposti a bridging (6.5% vs 1.8%, p < 0.001), mentre l’incidenza di eventi tromboembolici non è risultata significativamente diversa (0.6% vs 1.2%, p= 0.16). Con l’interruzione del warfarin i pazienti sottoposti a bridging hanno avuto più emorragie maggiori ri-

BIBLIOGRAFIA 1.

Douketis JD, Spyropoulos AC, Spencer FA, et al for the American College of Chest Physicians. Perioperative management of antithrombotic therapy: antithrombotic therapy and prevention of thrombosis, 9th ed: American College of Chest Physicians evidence-based clinical practice guidelines. Chest 2012;141:e326S-50S 2. Douketis JD, Spyropoulos AC, Kaatz S, et al for the BRIDGE Investigators. Perioperative bridging anticoagulation in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2015;373:823-833. 3. Siegal D, Yudin J, Kaatz S, Douketis JD, Lim W, Spyropoulos AC. Periprocedural heparin bridging in patients receiving vitamin K antagonists: systematic review and meta-analysis of bleeding and thromboembolic rates. Circulation 2012;126:1630-1639. 4. Pengo V, Cucchini U, Denas G et al. Standardized low– molecular-weight heparin bridging regimen in outpatients on oral anticoagulants undergoing invasive procedure or surgery. Circulation 2009;119:2920-2927. 5. Malato A, Saccullo G, Lo Coco L, et al. Patients requiring interruption of long-term oral anticoagulant therapy: the use of fixed sub-therapeutic doses of low-molecular-weight heparin. J Thromb Haemost 2010;8:107– 113. 6. Dunn AS, Spyropoulos AC, Turpie AGG. Bridging therapy in patients on long-term oral anticoagulants who 12

spetto a quelli non sottoposti a bridging (6.8% vs 1.6%, p < 0.001) ed anche una maggiore incidenza di eventi tromboembolici (1.8% vs 0.3%, p = 0.007) (19). Risultati simili sono stati osservati nel registro prospettico di Dresden che ha valutato la gestione peri-interventistica dei NAO in pazienti con FA (82%) o tromboembolismo venoso (18%) della pratica clinica quotidiana (17). Una strategia di bridging con eparina BPM è stata attuata in circa il 30% delle procedure. Il bridging con eparina non ha ridotto gli eventi cardiovascolari, comportando un’incidenza più elevata di complicanze emorragiche maggiori rispetto al non bridging (2.7% vs 0.5%, p = 0.01) (17).

CONCLUSIONI

In caso di chirurgia elettiva o procedure interventistiche in pazienti in TAO la sospensione temporanea della terapia deve essere limitata agli interventi ad alto rischio emorragico. In base alle evidenze disponibili la strategia che prevede l’utilizzo di bridging therapy con eparina BPM si è dimostrata sfavorevole rispetto alla sospensione temporanea della TAO in quanto gravata da una maggiore incidenza di eventi emorragici, senza una significativa riduzione degli eventi tromboembolici. La bridging therapy con eparina deve perciò essere riservata solo ai pazienti ad elevato rischio tromboembolico specificati dalle linee guida ACCP e ESC (1,20). Nei pazienti in terapia con i NAO l’uso di bridging therapy non require surgery: the Prospective Peri-operative Enoxaparin Cohort Trial (PROSPECT). J Thromb Haemost 2007;5:2211–8. 7. Kovacs MJ, Kearon C, Rodger M et al. Single-arm study of bridging therapy with low-molecular-weight heparin for patients at risk of arterial embolism who require temporary interruption of warfarin. Circulation 2004;110:1658-1663. 8. Steinberg BA, Peterson ED, Kim S, et al. Use and outcomes associated with bridging during anticoagulation interruptions in patients with atrial fibrillation: findings from the Outcomes Registry for Better Informed Treatment of Atrial Fibrillation (ORBIT-AF). Circulation 2015;131:488-494 9. Kovacs MJ. PERIOP 2: A safety and effectiveness study of LMWH bridging therapy versus placebo bridging therapy for patients on long term warfarin and require temporary interruption of their warfarin. https://clinicaltrials.gov/ct2/show/NCT00432796 10. Di Pasquale G, Mathieu G, Maggioni AP et al. Current presentation and management of 7148 patients with atrial fibrillation in cardiology and internal medicine hospital centers: the ATA AF study. Int J Cardiol 2013;167:2895-903 11. Ayoub K, Nairooz R, Almomani A et al. Perioperative heparin bridging in atrial fibrillation patients requir-

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GUIDELINES

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Linee guida ISO SPREAD Le novità in prevenzione, diagnosi e cura dell’ictus cerebrale dell’edizione n. 8 Gian Franco Gensini, Antonio Carolei e Augusto Zaninelli “ISO-SPREAD Collaborative Group”

P

er i suoi contenuti e per l’autorevolezza degli Autori, le linee guida SPREAD (Stroke PRevention and Educational Awareness Diffusion), arrivate ormai al 18° anno di produzione, appaiono più che mai saldamente il punto di riferimento italiano, per la prevenzione e la cura dell’ictus cerebrale e delle sue conseguenze (Figura 1). L’importante numero di accessi qualificati al portale www.iso-spread.it, fanno del formato elettronico un successo assodato ed indiscusso. Prima di passare al dettaglio delle principali novità che caratterizzano l’edizione n 8, che riporta la data di stesura del 21 luglio 2016, un ringraziamento doveroso va a tutti coloro che, a vario titolo, hanno contribuito a questo progetto: gli oltre 240 autori; le 46 società scientifiche italiane più 4 associazioni di pazienti, che hanno formalmente aderito al progetto, lo staff di redazione; la segreteria organizzativa, l’editore, e l’azienda Bayer Italia che, con un contributo incondizionato, rinnovato nel corso degli anni, ha permesso di arrivare sino a questo punto.

LE NOVITA’ DELL’EDIZIONE N. 8 Metodologia Il rigore metodologico è sempre stato il principale punto qualificante del progetto, in quanto la classificazione del grado e della forza delle raccomandazioni si basa su regole precise, condivise a livello internazionale. Il gruppo ISO-SPREAD ha deciso di adottare la metodologia SIGN diversi anni fa. Ciò ha consentito di utilizzare il giudizio ponderato, ovvero una valutazione della qualità e della importanza degli studi (e non solo della significatività statistica del risultato), e di introdurre le GPP (Good Practice Point), molto rilevanti in 14

un campo come quello della gestione dell’ictus cerebrale. Il SIGN ha, peraltro, nell’ottobre del 2014, deciso di abbandonare il tradizionale metodo di gradazione delle raccomandazioni (ABCD), in favore del metodo GRADE. Il grado di raccomandazione (nell’approccio “ABCD”) era fortemente correlato al tipo di studio relativo all’argomento in esame, con gli RCT che determinavano la scelta del punteggio più alto. Col passare del tempo, però, molti autori di Linee guida (LG) ed esperti in metodologia si sono resi conto che l’approccio “ABCD” non tiene conto adeguatamente di tutti i fattori che hanno a che fare con le raccomandazioni di una linea guida. Ad esempio, il tipo di studio che supporta una raccomandazione può non riflettere necessariamente l’importanza clinica dell’argomento. In alcune aree, gli RCT sono difficili o impossibili da realizzare per ragioni etiche o pratiche. Per esempio, il settore della diagnosi o la chirurgia sono aree dove gli RCT sono rari, ma che sono estremamente importanti in termini clinici. Un ulteriore problema è rappresentato dal modo di tenere conto delle evidenze che non nascono da RCT; l’approccio tradizionale del SIGN dava la precedenza agli studi caso-controllo e di coorte; in pratica, c’è un’ampia gamma di altri tipi di studio che può risultare più appropriata per specifici problemi. Per riassumere, l’approccio “ABCD” viene considerato come una sorta di “camicia di forza” con la quale è sempre più difficile trovare una appropriata collocazione per tutte le evidenze, man mano che la ricerca e la sua interpretazione divengono più sofisticate; ad esempio, mal si adatta alla classificazione ABCD l’uso delle network

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Il percorso per la formulazione delle raccomandazioni si articola in 6 passaggi: 1. Formulazione del quesito (key question) a cui rispondere (PICO – Pazienti, Intervento, Confronto o Comparatore, Outcome) 2. Ricerca delle evidenze e valutazione attraverso le checklist: checklist per revisioni sistematiche, checklist per studi randomizzati, checklist per studi osservazionali, caso-controllo, eventuali ulteriori checklist riportate sul sito SIGN 3. Tabella delle evidenze che riporta, per ogni articolo scientifico considerato per la “key question”, i dettagli necessari al successivo giudizio ponderato, quali il livello di evidenza dello studio, la descrizione dell’intervento, della popolazione, i risultati, gli eventuali limiti, etc. 4. Giudizio ponderato, che include l’assegnazione del livello di evidenza ai vari sotto-quesiti in cui può essere scomposta la key-question

Figura 1 - La copertina delle linee guida ISO- SPREAD edizione pubblicate a luglio 2016

Ictus cerebrale: linee guida italiane di prevenzione e trattamento - VIII Edizione

meta-analyses o del propensity score. Il SIGN, quindi, dall’anno scorso, ha abbandonato il sistema ABCD ed adottato una variante semplificata del GRADE (riconoscendo l’eccessiva difficoltà dell’approccio completo GRADE), con raccomandazioni “forti” o “condizionali” (quest’ultimo termine tradotto come “deboli” dagli Autori del capitolo). L’interpretazione di questa variante si declina nei seguenti possibili livelli di raccomandazione: • Gli svantaggi sono chiaramente superiori ai possibili benefici: - Raccomandazione forte a sfavore • Gli svantaggi sono probabilmente superiori ai possibili benefici: - Raccomandazione debole a sfavore • Incertezza nel bilanciamento tra benefici e svantaggi: - Raccomandazione per ulteriore ricerca e possibile raccomandazione condizionale per uso nei trials • I possibili benefici sono probabilmente superiori agli svantaggi: - Raccomandazione debole a favore • I possibili benefici sono chiaramente superiori agli svantaggi: - Raccomandazione forte a favore • Miglior pratica raccomandata sulla base dell’esperienza clinica del gruppo che redige le linee guida: A.N.: L.IT.COM.09.2016.1690 - GPP (Buona Pratica Clinica cod. art. 86145856 raccomandata dal gruppo SPREAD)

Ictus cerebrale:

linee guida italiane di prevenzione e trattamento Raccomandazioni e Sintesi Stesura del 21 luglio 2016

Con la collaborazione di: Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA) Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza (SIMEU) Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER) Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie (SIMG) Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) Società Italiana di Neurologia (SIN) Società Italiana di Neonatologia (SIN) Società Italiana di Neurochirurgia (SINch) Società Italiana di NeuroSonologia ed Emodinamica Cerebrale (SINSEC) Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIIARTI) Società Italiana Interdisciplinare per le Cure Primarie (SIICP) Società Italiana per lo Studio della Patologia Carotidea e la Prevenzione dell'Ictus Cerebrale (SIPIC) Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC) Società Italiana di Riabilitazione di Alta Specializzazione (SIRAS) Società Italiana di Riabilitazione Neurologica (SIRN) Società Italiana Sistema 118 (SIS 118) Società Italiana per lo Studio dell'Emostasi e della Trombosi (SISET) Società Nazionale di Aggiornamento per il Medico di Medicina Generale (SNAMID) Scienze Neurologiche Ospedaliere (SNO) Società degli Psicologi dell'Area Neuropsicologica (SPAN) The Italian Stroke Organization (ISO)

Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC) Associazione Italiana Fisioterapisti (AIFI) Associazione Italiana Medici di Famiglia (AIMEF) Associazione Italiana di Neuroradiologia Diagnostica e Interventistica (AINR) Associazione Medici Diabetologi (AMD) Associazione Nazionale Cardiologi Extraospedalieri (ANCE) Associazione Italiana di Neurologia dell’Emergenza Urgenza (ANEU) Associazione Nazionale Dietisti (ANDID) Associazione Nazionale Infermieri Neuroscienze (ANIN) Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) Associazione per la Patologia Cardiovascolare Italiana (APCI) Associazioni Regionali Cardiologi Ambulatoriali (ARCA) Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI) Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG) Federazione Logopedisti Italiani (FLI) Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare (SIAPAV) Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare (SICVE) Società Italiana di Cardiologia (SIC) Società Italiana Cardiologia Ospedalità Accreditata (SICOA) Società Italiana di Diabetologia (SID) Società Italiana di Ecografia Cardiovascolare (SIEC) Società Italiana di Farmacologia (sezione di farmacologia clinica) (SIF) Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG)

e di: Associazione per la Lotta all'Ictus Cerebrale (ALICE) Associazione per la Lotta alla Trombosi (ALT) Cittadinanzattiva Federanziani - Senior Italia

5. Bilancio tra effetti favorevoli e sfavorevoli, qualità dell’evidenza, valori e preferenze (dei pazienti, dei familiari, dei sanitari), costi ed utilizzo delle risorse 6. Stesura del testo della raccomandazione e assegnazione del livello. Le raccomandazioni sono formulate su due livelli: forte e debole. Di norma, una evidenza di alta qualità derivata da studi ben condotti porta ad una raccomandazione forte, ma può accadere che, valutando le differenze tra la popolazione studiata e quella che si presume di trattare, i costi e l’accettabilità da parte dei pazienti, la raccomandazione venga indicata come “debole”. Viceversa, vi possono essere circostanze in cui l’evidenza è tecnicamente modesta, ma non ci sono aspetti negativi o controversi del trattamento e l’importanza clinica dell’argomento è tale da far comunque formulare una raccomandazione

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forte. I punti di buona pratica clinica (GPP) servono a supportare le decisioni degli utilizzatori delle LG, offrendo “consigli” in assenza di evidenze a supporto, ma su questioni ritenute rilevanti per la pratica. Epidemiologia e Diagnosi Non vi sono in questa area sostanziali novità, essendo comunque accertato che l’ictus cerebrale costituisce la seconda causa di morte e la terza causa di disabilità a livello mondiale, e la prima causa di disabilità negli anziani. Nel 35% dei pazienti colpiti da ictus, globalmente considerati, residua una disabilità grave. Sul versante dell’imaging, la TC e la RM con le tecniche di diffusione e perfusione non hanno attualmente dimostrato chiari vantaggi nella selezione dei pazienti potenzialmente eleggibili per la terapia endovascolare. Ulteriori studi randomizzati controllati potranno essere utili per determinare se paradigmi di imaging avanzato con TC (angio-TC e perfusione) e la RM con perfusione e diffusione, comprese la valutazione del core ischemico, la penombra e lo stato dei circoli collaterali, potranno essere da raccomandare nella selezione dei pazienti da sottoporre alla terapia endovascolare entro 6 ore dall’insorgenza dei sintomi e che hanno un ASPECTS ≤ 6 o oltre 6 ore dall’inizio dei sintomi. Prevenzione Le novità da attribuire all’area dei fattori di rischio/ prevenzione primaria, sono sostanzialmente da riferire all’intensità del trattamento dell’ipertensione arteriosa, alla prevenzione dell’ictus cardioembolico con gli anticoagulanti diretti, nella fibrillazione atriale, e all’utilizzo dell’aspirina in prevenzione primaria. Per quanto attiene al trattamento dell’ipertensione arteriosa, le raccomandazioni hanno recepito, in modo critico, i risultati dello studio SPRINT. Lo studio SPRINT ha randomizzato 9361 pazienti con valori di pressione arteriosa sistolica > 130 mmHg e < 180 mmHg ad un target di trattamento antipertensivo inferiore a 120 mmHg (intensivo) o inferiore a 140 mmHg (standard). I criteri di inclusione erano la presenza di almeno un fattore fra malattia cardiovascolare clinica o subclinica, insufficienza renale cronica (filtrato glomerulale stimato fra 20 e 60 mL/min), rischio cardiovascolare a 10 anni > 15% secondo lo score Framingham, età > 75 anni. Tra i criteri di esclusione vi erano la presenza di diabete o pregresso ictus cerebrale. Lo studio è stato in16

terrotto prematuramente per una minore incidenza dell’endpoint primario composito (infarto miocardico, altre sindromi coronariche acute, ictus, morte cardiovascolare e scompenso cardiaco) nel gruppo trattato intensivamente. Tuttavia, tale effetto è stato guidato da una riduzione di morte cardiovascolare e scompenso cardiaco, mentre non è emerso alcun effetto sull’incidenza di ictus. Gravi eventi avversi (ipotensione, sincope, insufficienza renale) erano più frequenti in modo significativo nel gruppo trattato intensivamente. I risultati dello studio SPRINT possono essere rilevanti per la riduzione di eventi cardiovascolari e mortalità, ma non di ictus cerebrale, in pazienti con le caratteristiche cliniche dei soggetti inclusi nel trial, la cui prevalenza è stata stimata dell’8% della popolazione generale e 16% della popolazione di ipertesi trattati. Con riferimento all’utilizzo degli anticoagulanti diretti (NAO), si è adottata una tabella che riassume, sulla scorta degli studi clinici di riferimento, le caratteristiche d’impiego di rivaroxaban con apixan e dabigatran, in caso di insufficienza renale, con un grado classificato come “forte a favore”: Nel paziente con fibrillazione atriale non valvolare e insufficienza renale non grave è raccomandato il dosaggio ridotto di NAO come segue: • rivaroxaban 15 mg una volta al giorno se clearance della creatinina 30-49 ml/min • apixaban 2,5 mg 2 volte al giorno se creatininemia 1,5-2,5 mg/dl (ma clearance della creatinina > 25 ml/min) e almeno uno tra: - età ≥ 80 anni, - peso < 60 Kg mentre, classificata come “debole a favore”, la seconda parte, che recita: • dabigatran 110 mg due volte al giorno se clearance della creatinina 30-49 mL/min e almeno uno tra: - elevato rischio emorragico (HASBLED ≥ 3) - età > 75 anni. Infine, per quanto attiene all’impego dell’aspirina (ASA) a 100 mg, le linee guida ISO-SPREAD, prime in Europa, in una raccomandazione “forte a favore”, enunciano la possibilità che nella decisione di instaurare una terapia con aspirina in prevenzione primaria, si tenga conto anche del rischio di cancro. L’uso di ASA 100 mg al giorno per la prevenzione primaria di eventi cardiovascolari è raccomandato per i soggetti con rischio stimato a 10 anni di eventi cardiovascolari superiore a 10%, nei

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Tabella 1 - Trombolisi endovenosa: Criteri Inclusione Pazienti di ambo i sessi di età ≥ 18 anni Ictus ischemico responsabile di un deficit misurabile di linguaggio, motorio, cognitivo, di sguardo, del visus e/o di neglect Inizio dei sintomi entro 4.5 ore (alla somministrazione di rt-PA) Sintomi presenti per almeno 30 minuti. I sintomi vanno distinti da quelli di un episodio di ischemia generalizzata (cioè una sincope), di una crisi epilettica o di una crisi di emicrania. I pazienti (o un familiare) debbono aver ricevuto informazione sul trattamento e aver dato il consenso all’utilizzo dei loro dati e alle procedure di follow-up

quali il beneficio è ritenuto sufficientemente elevato rispetto al rischio derivante dal trattamento, tenendo anche conto dei possibili benefici addizionali relativi all’effetto protettivo sullo sviluppo di neoplasie. Ictus acuto L’area della fase acuta come principale novità si è concentrata su due aspetti: il dosaggio della trombolisi e le procedure interventistiche, basate sui trattamenti endoarteriosi. I risultati sostanzialmente negativi dello studio ENCHANTED, hanno consentito di rafforzare il messaggio relativo alla necessità di impego della trombolisi al dosaggio universalmente consigliato (0,9 mg/kg), ma la significativa riduzione, in una analisi di sottogruppo prespecificata, relativamente all’outcome funzionale (valutato tenendo conto dei vari gradi della scala Rankin), è risultata favorevole con la bassa dose di r-tPA (0,6 mg/kg) nel gruppo pretrattato con antipiastinici rispetto al gruppo dei non trattati con antiaggreganti (p=0.02), induce a considerare, in questa tipologia di pazienti, l’utilizzo della bassa dose, piuttosto che la non somministrazione in assoluto, della trombolisi. Sul versante del trattamento intrarterioso (i.a.), una revisione sistematica ha valutato i risultati di alcuni studi su trombolisi intrarteriosa o qualunque tipo di trombectomia in pazienti con occlusioni extra e/o intracraniche (MR CLEAN, ESCAPE, EXTEND-IA, SWIFT-PRIME, REVASCAT). I pazienti con occlusione di carotide interna extra-cranica trattati con stenting hanno avuto un tasso più alto di ricanalizzazione (87% vs

48%, p=0.001), di esito clinico favorevole (68% vs 15%, p<0.001) ed un tasso minore di mortalità (18% vs 41%, p=0.048) rispetto ai pazienti trattati con trombolisi i.a. Nel gruppo di pazienti con occlusione tandem, la mortalità è risultata significativamente minore fra i pazienti trattati con trombolisi i.a. rispetto a quelli trattati con qualunque tipo di intervento meccanico dell’occlusione intracranica (0% vs 34%, p=0.002 e 0% vs 33%, p=0.001). Il confronto, tuttavia, non è randomizzato e gli studi sono molto eterogenei, per cui questi risultati non possono tradursi in una indicazione preferenziale ai trattamenti endoarteriosi in pazienti con occlusione di carotide interna extra-cranica. Le tabelle 1, 2, 3 e 4 riassumo i criteri di inclusione e di esclusione assoluta o relativa per la trombolisi endovenosa e il trattamento endoarterioso. Alla fine della discussione, il gruppo di lavoro ha assunto, in tema del trattamento intrarterioso le seguenti determinazioni: Raccomandazione In pazienti eleggibili alla trombolisi e.v., trattamenti di riperfusione endoarteriosi non sono indicati in alternativa a questa Raccomandazione Le tecniche di trombectomia meccanica sono indicate entro 6 ore dall’esordio dei sintomi in pazienti con occlusione di carotide interna intracranica, arteria cerebrale media tratti 1-2, arteria cerebrale anteriore tratto 1, che non rispondono o che non possono essere sottoposti alla trombolisi e.v.

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Tabella 2 - Trombolisi endovenosa: Criteri Assoluti di Esclusione Insorgenza dell’ictus > 4.5 ore Emorragia intracranica alla TAC cerebrale Sospetto clinico di ESA, anche se TAC normale Somministrazione di eparina endovena nelle precedenti 48 ore e aPTT eccedente limite normale superiore del laboratorio Conta piastrinica < 100.000/mm3 * Diatesi emorragica nota Sanguinamento grave in atto o recente Sospetto di emorragia intracranica in atto Endocardite batterica, pericardite Pancreatite acuta Neoplasia con aumentato rischio emorragico Grave epatopatia, compresa insufficienza epatica, cirrosi, ipertensione portale (varici esofagee), epatite attiva Retinopatia emorragica, es in diabetici alterazioni del visus Alto rischio emorragico per comorbidità Recenti (< 10 giorni) massaggio cardiaco esterno traumatico, parto, puntura di vaso sanguigno non comprimibile (es. vena succlavia o giugulare) Malattia ulcerosa del tratto gastroenterico (<3mesi) * l’attuale RCP dell’Actilyse riporta il termine “numero di piastrine molto basso”. In letteratura ci sono pochissimi dati su pazienti trattati con conta piastrinica <100.000 59 che suggeriscono che il trattamento con alteplase possa essere efficace, mantenendo la sicurezza. Tuttavia, non essendo esplicitati i valori in presenza dei quali il trattamento è stato effettuato, tale opzione va valutata con cautela

Raccomandazione Le tecniche di trombectomia meccanica sono indicate entro 6 ore dall’esordio dei sintomi in pazienti con occlusione di arteria vertebrale, basilare o cerebrale posteriore tratto 1, che non rispondono o che non possono essere sottoposti alla trombolisi e.v. Sintesi La trombolisi e.v. in caso di occlusione di arteria carotide interna extra-cranica, come in generale per tutte le occlusioni di grossi tronchi arteriosi, non consente di raggiungere alte percentuali di ricanalizzazione. Sintesi Pazienti con ictus esordito oltre le 4.5 ore possono trarre giovamento da trombectomia meccanica primaria in particolare se iniziata entro 5 ore dall’esordio dei sintomi. In caso di intervallo 18

inizio sintomi-inizio trattamento endoarterioso superiore alle 5 ore, la ricerca di mismatch alla RM DW-PW o alla pTC fornisce informazioni utili alla scelta terapeutica. Sintesi Pazienti con ictus da occlusione di rami arteriosi distali possono trarre giovamento dal ricorso ad agenti trombolitici per via intra-arteriosa. Sintesi Pazienti con ictus ischemico acuto e recente (<14 giorni secondo le linee guida AHA, <3 mesi secondo la licenza EMA) intervento chirurgico maggiore o trauma maggiore, possono trarre giovamento da trombectomia meccanica dopo valutazione clinica e del rischio emorragico. Sintesi Pazienti in terapia anticoagulante orale con far-

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Tabella 3 - Trombolisi endovenosa: Criteri Assoluti di Esclusione Deficit lieve o rapido miglioramento dei sintomi (30 minuti) Ora di insorgenza non nota o ictus presente al risveglio Crisi convulsiva all’esordio dell’ictus Paziente con storia di ictus e diabete concomitante Glicemia < 50 o > 400 mg/dl Pregresso ictus negli ultimi 3 mesi Ipertensione arteriosa grave non controllata Ictus grave clinicamente (es. NIHSS >25) e/o sulla base di adeguate tecniche di neuroimmagini Paziente in terapia anticoagulante orale Paziente in terapia anticoagulante con eparine a basso peso molecolare Storia di patologie del SNC: neoplasia, intervento chirurgico cerebrale o midollare, aneurisma Storia di emorragia intracranica (parenchimale o subaracnoidea) Stato di gravidanza Intervento chirurgico maggiore o grave trauma (< 3 mesi) Tabella 4 - Trattamenti endoarteriosi. Criteri di inclusione Secondari Dopo trombolisi e.v. a dose piena (rescue) in pazienti con occlusione di arteria intracranica (carotide interna, arteria cerebrale media tratti M1-M2, arteria cerebrale anteriore tratti A1, arteria cerebrale posteriore tratti P1, arteria basilare, arteria vertebrale dominante), con/senza concomitante occlusione di arteria extracranica (carotide interna o vertebrale)* Primari Insorgenza dell’ictus > 4.5 ore Intervento chirurgico maggiore o grave trauma recente (< 3 mesi) Paziente in terapia anticoagulante orale con farmaci anti-vit K e con INR > 1.7 Paziente in terapia con anticoagulante orale diretto Paziente in terapia anticoagulante con eparine a basso peso molecolare Neoplasia con aumentato rischio emorragico Storia di emorragia cerebrale o subaracnoidea Grave epatopatia, compresa insufficienza epatica, cirrosi, ipertensione portale (varici esofagee), epatite attiva Retinopatia emorragica Alto rischio emorragico per comorbidità Recenti (< 10 giorni) massaggio cardiaco esterno traumatico, parto, puntura di vaso sanguigno non comprimibile (es. vena succlavia o giugulare) Malattia ulcerosa del tratto gastroenterico (<3mesi) *documentate da EcoDoppler o AngioTC o AngioRM Coagulum report - settembre 2016

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maci aVK con INR >1.7 possono trarre giovamento da trombectomia meccanica, previa valutazione del rapporto rischio/beneficio Sintesi L’intervento endoarterioso meccanico può essere preso in considerazione, previa valutazione del rapporto rischi/benefici, in pazienti trattati con anticoagulanti diretti e con alto rischio di emorragia, definito dai test di laboratorio specifici (o dall’impossibilità della loro esecuzione) e dal tempo dell’ultima assunzione, in quanto non sembra associato a un incremento del rischio di complicanze emorragiche. Sintesi In pazienti in terapia con eparine a basso peso molecolare con qualunque dose prima dell’ictus, la letteratura suggerisce il ricorso intervento endoarterioso meccanico primario. Sintesi Non esistono dati di letteratura su trattamenti endoarterioso in pazienti con: neoplasia con aumentato rischio emorragico; storia di emorragia cerebrale o subaracnoidea; grave epatopatia, compresa insufficienza epatica, cirrosi, ipertensione portale (varici esofagee), epatite attiva; retinopatia emorragica; alto rischio emorragico per comorbidità; recenti (< 10 giorni) massaggio cardiaco esterno traumatico, parto, puntura di vaso sanguigno non comprimibile (es. vena succlavia o giugulare); malattia ulcerosa del tratto gastroenterico (<3mesi). Tuttavia, è ragionevole valutare individualmente il rapporto rischio/benefico di un intervento endoarterioso meccanico che come tale comporta un limitato rischio emorragico. Con riferimento, invece, all’impiego della trombolisi sistemica, il Gruppo ha affrontato, come novità non presente nelle precedenti edizioni, la possibilità di somministrazione della terapia in pazienti con ictus ischemico acuto, in terapia con gli anticoagulanti diretti (DOAC). In questi casi, La letteratura suggerisce la possibilità di prendere in considerazione la trombolisi e.v. in pazienti trattati con DOAC, con verosimile effetto sub terapeutico, evidenziato dalla storia clinica (dose e intervallo temporale dall’ultima assunzione, funzionalità renale) e da test specifici e standardizzati (Tempo di Trombina, Tempo di Ecarina o Hemoclot per il dabigatran, anti-Xa per il rivaroxaban o l’apixaban). Infine, in pazienti con ictus ischemico acuto, l’u20

so degli ultrasuoni per potenziare l’effetto della trombolisi e.v. non è indicato routinariamente. Gli ultrasuoni per potenziare l’effetto della trombolisi e.v sono usati all’interno di studi clinici controllati, con particolare riferimento a pazienti con occlusione dei grossi vasi intracranici. Terapia chirurgica Innanzi tutto, per convenzione derivata dagli studi clinici, una stenosi carotidea si definisce sintomatica se l’ultimo episodio ischemico cerebrale o retinico congruo si è verificato nei 6 mesi precedenti. Sulla base di recenti revisioni degli stessi studi il gruppo ISO-SPREAD ritiene opportuno ridurre tale intervallo a non più di 3 mesi. In caso di stenosi carotidea sintomatica con indicazione chirurgica è indicato considerare il punteggio di rischio di ictus del paziente se trattato con sola terapia medica (e quindi il potenziale beneficio della terapia chirurgica). Nel paziente con elevato punteggio di rischio, ≥4 secondo il modello ricavato dalle revisioni degli studi NASCET ed ECST, il beneficio dell’endoarteriectomia è massimo (NNT 3), mentre nel paziente con basso punteggio di rischio, <4 secondo il suddetto modello, il beneficio è minimo (NNT 100). Il punteggio viene così assegnato: 1 punto per evento cerebrale piuttosto che oculare 1 punto per irregolarità di superficie della placca ateromasica carotidea 1 punto per eventi negli ultimi due mesi 1 punto per ogni decile di stenosi da 70% a 99% -0,5 punto per sesso femminile -0,5 punto per malattia vascolare periferica -0,5 punto per pressione arteriosa sistolica > 180 mmHg Le attuali evidenze sul beneficio dell’endoarteriectomia nella stenosi carotidea asintomatica sottolineano l’importanza di valutare il vantaggio della terapia chirurgica nei confronti della miglior terapia medica. Il rischio di ictus nei pazienti trattati con la miglior terapia medica risulta oggi mediamente inferiore all’1% per anno (cioè inferiore al rischio della procedura chirurgica nell’ACAS e nell’ ACST), pertanto l’intervento non può essere raccomandato di routine, ma indicato solo in pazienti selezionati, e in centri specialistici con documentato rischio perioperatorio di ictus/morte più basso possibile, inferiore a 2% e ancora meglio se inferiore a 1%. Alcuni studi indicano sottogruppi di pazienti a più netto beneficio dall’intervento in quanto

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a maggior rischio di ictus se non operati, quali pazienti con pregressi infarti alla TC encefalo, più alto grado di stenosi carotidea o più rapida progressione di stenosi, presenza di occlusione carotidea controlaterale, morfologia di placca ulcerata o irregolare agli ultrasuoni o all’RM e/o presenza di segnali microembolici omolaterali all’ecodoppler transcranico. Altri studi indicano viceversa sottogruppi di pazienti a più scarso o senza beneficio dall’intervento in quanto a maggior rischio di complicanze se operati. Sono auspicabili quindi altre revisioni sistematiche e ulteriori studi che stratifichino i vari fattori di rischio medico e chirurgico, onde specificare meglio le indicazioni o controindicazioni all’intervento. Per quanto riguarda la scelta del tipo di intervento, fra endoarterectomia classica o stent carotideo, le evidenze hanno finora dimostrato una certa equivalenza o non inferiorità dello stenting carotideo rispetto all’endoarteriectomia solo in centri di eccellenza e sono necessarie ulteriori evidenze, per cui ad oggi è raccomandata di scelta l’endoarteriectomia nella correzione chirurgica della stenosi carotidea. Pertanto, lo stenting carotideo, come alternativa all’endoarteriectomia, dovrebbe essere eseguito solo all’interno di sperimentazioni cliniche controllate o in centri e con operatori a casistica controllata per quanto riguarda il rischio periprocedurale che deve essere per lo meno non superiore a quello dell’endoarteriectomia. Lo stenting carotideo, con adeguato livello di qualità procedurale e appropriata protezione cerebrale, è raccomandato in caso di significativa comorbidità cardiaca e/o polmonare o in condizioni quali la paralisi del nervo laringeo controlaterale, la stenosi ad estensione craniale o claveare, la restenosi, una precedente tracheotomia/ chirurgia/radioterapia al collo. Per convenzione, per importanti comorbidità cardiache si intendono: a) scompenso cardiaco congestizio e/o disfunzione ventricolare sinistra b) intervento cardiochirurgico nelle sei settimane precedenti c) infarto miocardico nelle quattro settimane precedenti d) angina instabile In caso di stenosi carotidea asintomatica l’endoarteriectomia, comportando un beneficio modesto rispetto alla miglior terapia medica, è indicata nel paziente che è considerato “a rischio” se trattato solo con terapia medica e che presenta quindi almeno una di queste condizioni:

pregresso infarto anche silente alla TC/RM encefalo, placca vulnerabile o ulcerata o a rapida crescita, stenosi pre-occlusiva, stenosi tra 70-80% (metodo NASCET) con occlusione della carotide controlaterale o con presenza all’ecodoppler transcranico di segnali microembolici omolaterali. È invece indicata la sola miglior terapia medica nel paziente con aspettativa di vita inferiore a quella presunta per ottenere il beneficio dall’endoarteriectomia, quale il paziente ultraottantenne o con diabete insulino-dipendente o cardiopatia grave o broncopatia grave o insufficienza renale cronica in trattamento dialitico. Riabilitazione e continuità dell’assistenza Questo gruppo di lavoro ha ristrutturato nella precedente edizione i testi e le raccomandazioni, non presentando, quindi, in questa versione, particolari novità. La dimostrazione del razionale di efficacia di nuovi approcci riabilitativi sviluppati alla luce delle attuali conoscenze sui meccanismi di neuroplasticità è uno dei principali argomenti su cui si sta concentrando la ricerca relativa alla riabilitazione dell’ictus. Sulla scorta delle ampliate conoscenze dei meccanismi neurobiologici della plasticità cerebrale vengono attualmente privilegiati approcci che avvalorano l’intensità, la ripetitività, la significatività di un esercizio e la stimolazione multisensoriale. La realizzazione di questi presupposti avviene: - mediante esecuzione reiterata, supportata da strumenti robotici; - mediante un’esaltazione dell’informazione sensoriale di ritorno, prodotta da sistemi in realtà virtuale; - mediante la realizzazione di un ambiente arricchito. Nutrizione e ictus Questa area di lavoro, in modo trasversale, contribuisce con raccomandazioni di competenza, all’interno delle altre aree. Con riferimento alla prevenzione, viene ribadito il ruolo di un corretto stile alimentare, per la riduzione dei fattori di rischio influenzati da approcci alimentari inadeguati, per tipologia e caratteristiche caloriche. Per quanto riguarda il capitolo dell’ictus acuto, il gruppo sottolinea come la valutazione dello stato di nutrizione e l’intervento nutrizionale sono indicati come componente fondamentale dei protocolli diagnostici-terapeutici dell’ictus, sia in fase acuta che durante il periodo di riabilitazione. Con riferimento alla fase riabilitativa, poi, gli

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obiettivi nutrizionali durante il periodo di riabilitazione del paziente affetto da ictus sono finalizzati alla prevenzione e alla correzione di un eventuale stato di malnutrizione per eccesso o per difetto. L’impostazione del trattamento nutrizionale del paziente affetto da ictus in fase riabilitativa richiede lo studio preliminare della deglutizione, l’esecuzione di protocolli diagnostici per la valutazione dello stato nutrizionale e del rischio nutrizionale, nonché l’attivazione di procedure per garantire un’adeguata gestione nutrizionale del paziente durante il ricovero. La copertura dei fabbisogni va raggiunta gradualmente, specie se il soggetto ha affrontato un lungo periodo di digiuno e presenta uno stato nutrizionale compromesso. Complicanze psico-cognitive Viene ribadito che nei pazienti con depressione, una buona risposta al trattamento antidepressivo è associata a maggiore indipendenza a 12 settimane. Un trattamento antidepressivo può influenzare positivamente il recupero funzionale, ma non annullare l’impatto sfavorevole della depressione post-ictus sullo stesso. I pazienti con depressione post-ictus non trattati con antidepressivi presentano una prognosi riabilitativa peggiore rispetto a quelli trattati. Ictus pediatrico, giovanile e da cause rare L’ictus ischemico perinatale include eventi cerebrovascolari ischemici di tipo arterioso o venoso che insorgono tra la 20.a settimana di vita fetale ed il 28° giorno di vita post-natale. L’ictus è definito come neonatale quando le manifestazioni cliniche compaiono dalla nascita fino a 28 giorni di vita. L’ictus si considera fetale quando le lesioni vascolari vengono rilevate attraverso ecografie fetali in gravidanza fino al momento del parto. L’eziologia delle lesioni vascolari in tali epoche della vita è complessa e multifattoriale ed include fattori di rischio materni, intrapartum e neonatali mentre la patogenesi è riconducibile alla interruzione del flusso ematico cerebrale conseguente a trombosi o embolizzazione arteriosa o venosa. In età pediatrica e giovanile l’ictus cardioembolico rappresenta uno dei meccanismi più importanti. Rispetto all’adulto tuttavia lo spettro delle condizioni cardio-emboliche è differente in quanto sono meno rilevanti le turbe del ritmo e le patologie valvolari mentre assumono maggior rilievo le cardiopatie congenite, i difetti del setto interatriale quali il forame ovale pervio, l’aneurisma del setto e rare condizioni cardioemboliche quali il mixoma, il fibroelastoma endocardico e la tasca atriale. 22

L’eziologia dell’emorragia cerebrale, poi, nei soggetti giovani è più eterogenea rispetto a quella dei soggetti in età adulta e anziana; in particolare, svolgono un ruolo importante le malformazioni vascolari, le coagulopatie e l’abuso di sostanze quali la cocaina e le amine simpaticomimetiche. La prognosi è migliore di quella degli anziani, senza sostanziali differenze di genere. La gravità dei sintomi all’esordio, la presenza di emorragia intraventricolare, di idrocefalo e di focolai emorragici multipli sono predittori di mortalità nel soggetto giovane. Ruolo della ricerca nell’ictus Questo gruppo di lavoro ha continuato a proporre uno sguardo al futuro, che nelle prossime edizioni potrebbero diventare delle raccomandazioni, sia sul versante della farmacologia clinica, sia su quello della diagnostica e delle procedure interventistiche. Medicina di Genere Si tratta di un’area totalmente nuova e, per certi versi, innovativa, nella realizzazione di una linea guida. La patologia cerebrovascolare presenta un’elevata prevalenza nel genere femminile con peculiarità relative sia ai fattori di rischio che alle manifestazioni cliniche e agli esiti. Essa rappresenta una delle principali cause di morbidità e mortalità nella donna, tanto che le statistiche internazionali classificano l’ictus come la quinta causa di morte nel sesso maschile, ma la terza nel sesso femminile. Le proiezioni demografiche per il 2030 prevedono che circa il 20% della popolazione sarà rappresentato da soggetti di età superiore ai 65 anni con maggiore rappresentatività delle donne, in funzione dell’aspettativa di vita maggiore. Se consideriamo che circa la metà dei soggetti colpiti da ictus sopravvive con gradi variabili di deficit funzionale e/o cognitivo, è possibile prevedere che ci sarà un numero significativamente superiore di donne con esiti di evento cerebrovascolare rispetto agli uomini, con i prevedibili risvolti anche in termini di costi socio-sanitari. Nonostante ciò, molti aspetti del rapporto fra patologia cerebrovascolare e genere femminile sono tuttora sottostimati. I fattori di rischio vascolari presentano specificità di genere riconosciute e ben caratterizzate; le donne hanno spesso sintomi di presentazione di patologia cerebrovascolare non specifici e giungono più tardivamente all’attenzione medica rispetto agli uomini, fattori che contribuirebbero ad una minore probabilità di accesso a trattamenti ri-

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Figura 2 - Confronto delle raccomandazioni in tema di prevenzione primaria con misure non farmacologiche di ISO-SPREAD/ The American Heart Association/American Stroke Association (AHA/ ASA) e The European Stroke Organisation (ESO).

perfusivi in acuto. Differenze di genere sono presenti anche per quanto concerne la scelta e la risposta alle terapie di prevenzione primaria e secondaria. I risultati degli studi clinici sui farmaci cardiovascolari sono applicati nella pratica clinica indipendentemente dal genere, nonostante le donne siano numericamente sotto-rappresentate nella ricerca clinica e non sempre nel disegno degli studi sia prevista l’analisi per la differenza di genere. È importante che la comunità scientifica rivolga maggiore e dedicata attenzione alle differenze di genere nella patologia cerebrovascolare promuovendo lo sviluppo di programmi di ricerca e iniziative di servizi e percorsi che definiscano la medicina centrata sul paziente. L’attenzione alla medicina di precisione e personalizzata rappresenta la chiave di volta per contribuire a colmare il gap di conoscenza sulle differenze di genere nella prevenzione cardiovascolare, favorire l’uso appropriato dei farmaci, promuovere la ricerca clinica e il miglioramento generale del sistema salute con beneficio complessivo nella prospettiva della salute di genere.

Analisi e confronto con le altre linee guida In questo capitolo si sono messe a confronto alcune raccomandazioni delle linee guida ISOSPREAD con quelle contenute nelle due piu importanti e recenti linee guida di riferimento internazionali, vale a dire quelle edite dalla American Heart Association/American Stroke Association e quelle redatte da the European Stroke Organisation. Le raccomandazioni sono state selezionate nell’ambito della gestione della fase acuta dell’ictus e in alcuni aspetti di prevenzione delle recidive. Il gruppo di lavoro ha prodotto una serie di tabelle comparative, che evidenziano come le linee guida ISO-SPREAD siano molto più esplicative e descrittive delle motivazioni alla base delle varie sintesi e raccomandazione, rispetto alle altre. La Figura 2 evidenzia un esempio riferito alle raccomandazioni in tema di prevenzione primaria con misure non farmacologiche di ISO-SPREAD, rispetto a the American Heart Association/American Stroke Association e the European Stroke Organisation.

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GUIDELINES

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Processi gestionali basati sull’evidenza L’organizzazione assistenziale per processi consiste nell’applicazione di un sistema in ambito organizzativo, che presuppone una esplicita identificazione del processo stesso e delle sue componenti, delle interazioni tra di essi, nonché delle loro modalità di gestione. Il maggiore vantaggio è quello di garantire il governo della continuità assistenziale controllandone la qualità, l’efficacia e l’efficienza. Uno dei problemi principali di tutte le linee guida è l’implementazione sul territorio nella pratica clinica, in altre parole, la difficoltà a tradurre in azioni pratiche e atti medici competenti, le varie raccomandazioni. Le ragioni di queste difficoltà sono molteplici e vanno dalla scarsità dell’informazione, della formazione e dell’aggiornamento, alla oggettiva impossibilità di applicazione per mancanza di mezzi o di risorse, sino alla non condivisione delle raccomandazioni stesse per disaccordo o scelte differenti. Le linee guida ISO-SPREAD, per la diffusione e per le chiare prese di posizione dei suoi Autori anche in situazioni di aree grigie e aspetti controversi, sicuramente si posizionano fra quelle più applicabili nel lavoro quotidiano del Medico e di altre Figure Professionali che si occupano e dedicano il loro lavoro e la loro missione alla prevenzione della malattia cerebrovascolare e alla cura dei malati di ictus.

Bibliografia di riferimento

Gensini GF, Carolei A, Zaninelli A (Editors): Ictus Cerebrale – linee guida italiane di prevenzione e trattamento. 21 luglio 2016. http://www.isospread.it/index.php?azione=capitoli#end

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RINGRAZIAMENTI

La 8.a Edizione di SPREAD è stata realizzata grazie ad un contributo incondizionato di Bayer Italia.

SUMMARY

The ISO-SPREAD Collaborative Group reached the 8th Edition, after along 17 years teamwork. Its web site (www.iso-spread.it) is accessed in many contacts every day. The most important significant change is the change of methodology, with the transition of the recommendations grading from the ABCD to GRADE. The other big news was related to the prevention, the acute phase, the surgical therapy and the gender medicine. In the prevention field, the pharmacological treatment of atrial fibrillation by new anticoagulant drugs was update with the data regarding renal impairment. Furthermore, fist in Europe, the ISO-SPREAD group suggest to consider aspirin use in mild CV risk, refer also to the cancer risk. The possibility of given endoartery procedures, adding the classic thrombolysis was successfully discusses, as well as the possibility of give thrombolysis in patient taking direct anticoagulant drugs. The surgical therapy confirmed that thromboendoarterectomy is better than carotid stenting, except in particular clinical condition. Finally, the gender medicine area, offers a current view of the global management of stroke in women, in the framework of modern approach to the precision medicine.

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APPENDICE - Elenco delle Società Scientifiche aderenti al progetto SPREAD

Ictus cerebrale:

Raccomandazioni e Sintesi

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linee guida italiane di prevenzione e trattamento

Raccomandazioni e Sintesi Stesura del 21 luglio 2016 Con la collaborazione di: Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC)

Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG)

Associazione Italiana Fisioterapisti (AIFI)

Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA)

Associazione Italiana Medici di Famiglia (AIMEF)

Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza (SIMEU)

Associazione Italiana di Neuroradiologia Diagnostica e Interventistica (AINR)

Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER)

Associazione Medici Diabetologi (AMD)

Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie (SIMG)

Associazione Nazionale Cardiologi Extraospedalieri (ANCE)

Società Italiana di Medicina Interna (SIMI)

Associazione Italiana di Neurologia dell’Emergenza Urgenza (ANEU)

Società Italiana di Neurologia (SIN)

Associazione Nazionale Dietisti (ANDID)

Società Italiana di Neurochirurgia (SINch)

Associazione Nazionale Infermieri Neuroscienze (ANIN)

Società Italiana di NeuroSonologia ed Emodinamica Cerebrale (SINSEC)

Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) Associazione per la Patologia Cardiovascolare Italiana (APCI) Associazioni Regionali Cardiologi Ambulatoriali (ARCA) Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI)

Società Italiana di Neonatologia (SIN)

Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIIARTI) Società Italiana Interdisciplinare per le Cure Primarie (SIICP)

Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG)

Società Italiana per lo Studio della Patologia Carotidea e la Prevenzione dell’Ictus Cerebrale (SIPIC)

Federazione Logopedisti Italiani (FLI)

Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC)

Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE)

Società Italiana di Riabilitazione di Alta Specializzazione (SIRAS)

Società Italiana di Angiologia e Patologia Vascolare (SIAPAV) Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare (SICVE)

Società Italiana di Riabilitazione Neurologica (SIRN)

Società Italiana di Cardiologia (SIC)

Società Italiana per lo Studio dell’Emostasi e della Trombosi (SISET)

Società Italiana Cardiologia Ospedalità Accreditata (SICOA) Società Italiana di Diabetologia (SID) Società Italiana di Ecografia Cardiovascolare (SIEC) Società Italiana di Farmacologia (sezione di farmacologia clinica) (SIF)

Società Italiana Sistema 118 (SIS 118)

Società Nazionale di Aggiornamento per il Medico di Medicina Generale (SNAMID) Scienze Neurologiche Ospedaliere (SNO) Società degli Psicologi dell’Area Neuropsicologica (SPAN) The Italian Stroke Organization (ISO)

e di: Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale (ALICE) Associazione per la Lotta alla Trombosi (ALT) Cittadinanzattiva Federanziani - Senior Italia Coagulum report - settembre 2016

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GUIDELINES

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Raccomandazioni e Sintesi

AUTORI

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Autori

Hanno collaborato alla stesura di queste linee guida i seguenti esperti:

Complicanze psico-cognitive e comportamentali dell’ictus Micieli G, Appollonio I, Bottini G, Cavallini A, Consoli D, Del Sette M, Di Piero V, Ferrarese C, Gandolfo C, Pantoni L, Paolucci S, Pasotti F, Pezzella FR, Scarpini E, Sgoifo A, Sterzi R, Zarcone D

Coordinatore Gensini GF

Co-coordinatore

Nutrizione e ictus Strazzullo P, Biffi B, Cairella G, Casini A, Garbagnati F, Gensini GF, Giacco R, Iacoviello L, Luisi MLE, Pinto A, Rendina D, Sabino P, Salvia A, Sandri G, Savini I, Scalfi L, Scognamiglio U

Il Presidente pro tempore ISO - Carolei A

Vice-coordinatore Zaninelli A

Struttura e metodologia; Introduzione Ricci S, Mazzoli T, Padiglioni C, Patoia L, Quaglini S, Reboldi G Basi epidemiologiche ed inquadramento diagnostico Gandolfo C, Baracchini C, Bastianello S, Beghi E, Beltramello A, Bruno C, Carletti M, Carolei A, Cerrato P, Ciccone A, Del Sette M, Federico F, Finocchi C, Giugni E, Malferrari G, Meneghetti G, Ottonello GA, Pantano P, Sacco S, Strano S Ictus pediatrico, giovanile e da cause rare Cerrato P, Agostini M, Agostoni EC, Burlina A, Del Sette M, Magoni M, Mazzucco S, Molinari AC, Motto C, Musolino R, Nencini P, Pantoni L, Perrone S, Pezzini A, Prisco D, Ramenghi L, Rasura M, Sacco S, Saracco P, Sterzi R, Suppiej A, Toso V

Ricerca Prisco D, Ageno W, Appollonio I, Bastianello S, Beghi E, Beretta S, Bovi P, Bucci M, Cairella G, Cerbai E, Cipollone F, Coccia M, Ferrarese C, Grifoni E, Limbucci N, Marcucci R, Mazzucco S, Meneghetti G, Mugelli A, Pappadà GB, Parenti A, Pellegrini GD, Pezzella FR, Pezzini A, Raimondi L, Sartiani L, Setacci C, Sofi F, Zamboni M Bioetica e tutela del cittadino Gensini GF, Ciccone A, Zaninelli A Processi gestionali basati sull’evidenza ed economia sanitaria Inzitari D, Agostoni EC, Arba F, Consoli D, Micieli G, Piccardi B, Ricci S

Fattori di rischio, prevenzione primaria Sterzi R, Abbate R, Anticoli S, Barba G, Cairella G, Candido R, Carolei A, Cipollone F, Ferri C, Giorda CB, Guidetti D, Lettino M, Mancuso M, Marini C, Mugelli A, Neri G, Nobili L, Pezzella FR, Sacco S, Santilli I, Stramba-Badiale M, Vidale S

Analisi e confronto con altre Linee Guida Carolei A, Borghi C, Caso V, Del Sette M, Degan D, Desideri G, Paciaroni M, Tiseo C

Ictus acuto Toni D, Agostoni EC, Bergui M, Bovi P, Carlucci G, Caso V, Cavallini A, Cenciarelli S, Cerrato P, Ciccone A, Consoli A, Consoli D, Corti G, Guidetti D, Inzitari D, Limbucci N, Lorenzano S, Mangiafico S, Micieli G, Prisco D, Provinciali L, Re G, Ricci S, Serrati C, Toso V, Vallone S, Zaninelli A, Zini A

Medicina di Genere Abbate R, Acciaresi M, Anticoli S, Caso V, Giugni E, Paciaroni M, Pezzella FR, Pezzini A, Sacco S, Santalucia P, Sessa M, Stramba-Badiale M, Vadalà R, Zedde ML

Prevenzione secondaria Toso V, Baracchini C, Bottacchi EF, Bovi P, Chiodo Grandi F, Cimminiello C, Coccheri S, Contursi V, Dentali F, Gensini GF, Melis M, Paciaroni M, Stramba-Badiale M, Turinese E, Zedde ML

Gruppo di Editing e di Revisione Metodologica dei testi Gensini GF, Alderighi C, Consoli A, Padiglioni C, Rasoini R, Ricci S, Zaninelli A

Terapia chirurgica Lanza G, Castelli P, Cremonesi A, Lorenzano S, Novali C, Pratesi C, Ricci S, Santalucia P, Setacci C, Speziale F Trattamento riabilitativo e continuità dell’assistenza Provinciali L, Bottini G, Cappa S, Ceravolo MG, Coccia M, Consolmagno P, Corea F, Di Bari M, Flosi C, Frediani R, Gandolfi M, Masotti G, Mezzarobba S, Paolucci S, Pasotti F, Salina M, Smania N, Stramba-Badiale M, Zampolini M, Zaninelli A

Ringraziamenti Il contributo alla revisione dei Dottori Galati F, Degan D, Tiseo C e Ornello R è stato grandemente apprezzato Segreteria Organizzativa Regia Congressi srl Via A. Cesalpino 5/B - 50134 Firenze Tel.: +39 055 795421 - Fax: +39 055 7954280 E-mail: info@regiacongressi.it

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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion Ictus cerebrale: Linee guida italiane di prevenzione e trattamento

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Phlebology

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Sfide attuali nella gestione del TEV Gualtiero Palareti Malattie Cardiovascolari, Università di Bologna

Pazienti affetti da una trombosi venosa profonda degli arti inferiori (TVP) e/o da embolia polmonare (EP), che nel loro insieme costituiscono il cosiddetto tromboembolismo venoso (TEV), necessitano assolutamente di terapia anticoagulante, al fine di curare la patologia acuta, evitare l’estensione del processo trombotico, l’evenienza di EP potenzialmente fatali, e recidive precoci della trombosi. Questo trattamento iniziale e di “breve termine” è raccomandato dalle più recenti lineeguida internazionali (ACCP, Chest, 1) per una durata di 3 mesi e non meno. Secondo studi recenti analizzati nel lavoro di Kearon e coll. 1, un periodo inferiore è associato ad un maggior rischio di recidiva, mentre un periodo superiore deve essere valutato secondo il rapporto rischio emorragico e beneficio protettivo. In effetti, il trattamento anticoagulante può essere indicato anche per un periodo di “lungo termine”, in quanto il rischio di recidiva può essere persistente nel tempo ed elevato in alcune tipologie di eventi tromboembolici e in relazione alle caratteristiche dei pazienti. Dopo un primo TEV, il rischio di recidiva è elevato nei primi 3-6 mesi, ma può persistere anche più a lungo. Studi prospettici hanno dimostrato un’incidenza cumulativa di TEV del 17.5%, 24.6% and 30.3% dopo rispettivamente 2, 5 e 8 anni 2, e del 12.9% e 30.4% a 1 e 10 anni rispettivamente in un altro studio (3). La terapia anticoagulante, con qualsiasi tipo di farmaco sia condotta, è altamente efficace nel ridurre il rischio di recidiva, ma il suo effetto protettivo persiste solo durante il trattamento, mentre dopo la sua sospensione – qualsiasi sia stata la durata della terapia – il rischio di recidiva risale ancora (4-7). Ciò implica che non vi è vantaggio a decidere un trattamento limitato nel tempo, anche se superiore a 3-6 mesi. L’alternativa consiste quindi nel decidere tra un periodo limitato a 3-6 mesi di anticoagulazione (terapia iniziale e di “breve termine”) oppure un

trattamento “esteso”, detto anche “indefinito”.

Come deve essere inteso il trattamento “esteso” (o “indefinito”)

Per trattamento esteso si intende quando la terapia anticoagulante venga prescritta senza predefinire il momento della sua interruzione (qualsiasi sia la durata). Il trattamento esteso deve però prevedere l’effettuazione di controlli periodici (almeno annuali) di ciascun paziente, al fine di valutare l’evoluzione del suo specifico e attuale rapporto rischio-beneficio che giustifichi la prosecuzione dell’anticoagulazione. La valutazione periodica deve prevedere la ricognizione delle condizioni generali del paziente, del suo rischio emorragico, della presenza delle condizioni che sono alla base di una buona e sicura terapia anticoagulante. In sostanza, trascorso il periodo iniziale e quello di breve termine del trattamento anticoagulante (3-6 mesi) ciascun paziente deve ricevere una valutazione che determini il suo rischio di recidiva tromboembolica e quello di comparsa di emorragie, tenendo presente che, mentre il rischio di recidiva diminuisce con il passare del tempo, quello di emorragie associate alla terapia anticoagulante è sostanzialmente persistente nel tempo. La sottocommissione per il controllo della anticoagulazione della ISTH (International Society on Thrombosis and Haemostasis) ha fissato al 5% annuo e al 15% a 5 anni i limiti di rischio rTEV, al di sotto dei quali non è considerata giustificabile l’estensione della terapia anticoagulante.

COme valutare il rischio individuale di recidiva trombotica

La presenza di fattori scatenanti in occasione del primo evento di TEV o invece la sua natura idiopatica (“unprovoked” secondo la dizione delle linee-guida dell’ACCP) è un fattore di grande rilevanza per valutare il rischio di recidiva. Secon-

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Phlebology

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Tabella 1 - Fattori di rischio per la recidiva di tromboembolismo venoso dopo un primo evento (tratta da Palareti G. Scientifica 2012) A) Correlati all’evento trombotico Evento non provocato Evento associato a fattore transitorio non chirurgico TVP prossimale (specie ilio-femorale) rispetto a TVP distale Embolia polmonare Persistenza di residuo trombotico venoso B) Correlati al paziente Maschi Cancro attivo Sindrome da anticorpi antifosfolipidi D-dimeri aumentati dopo sospensione dell’anticoagulazione Alterazioni trombofiliche congenite Sicura famigliarità Gravidanza e puerperio Terapia ormonale Obesità Presenza di filtro cavale Policitemia e trombocitemia essenziale (specie se in associazione a mutazione V617F del JAK2) Aumento della pressione arteriosa polmonare Insufficienza cardiaca (NYHA 3 o 4) (ricavata - con modifiche - da: Palareti 38)

do la meta-analisi di Iorio e coll. (8), l’incidenza di recidive a 5 anni in caso di TEV provocato da intervento chirurgico (fattore di rischio maggiore) è bassa e intorno al 3%; il rischio è più alto (intorno al 15%) in caso di un evento provocato da fattore transitorio, ma non chirurgico (ad esempio: terapia estrogenica, gravidanza, trauma alle gambe, volo per > 8 ore, ecc). L’incidenza più elevata di recidiva (intorno al 30%) si registra in occasione di eventi non-provocati (detti anche idiopatici) (9, 10) o associati a cancro (11). Anche il tipo e la sede del primo TEV hanno rilevanza per quanto riguarda il rischio di recidiva. In caso di TVP distale isolata il rischio è la metà di quello di TVP prossimali o EP (12); un secondo evento non provocato ha un rischio del 50% maggiore di quello di un primo evento non provocato (13), 28

(14). Secondo alcuni autori (15) recidive sono più frequenti dopo una EP; vi è comunque accordo unanime sul fatto che dopo una prima EP vi sia più rischio di una nuova EP come recidiva piuttosto che una TVP (12, 15). Alcune caratteristiche dei pazienti rappresentano rilevanti fattori di rischio per recidiva di TEV (Tabella 1). Sebbene la ragione di questo non sia ancora stata evidenziata, vi è unanime consenso sul fatto che i maschi abbiano un rischio superiore alle femmine (16). È stato dimostrato che dopo un TEV idiopatico i maschi hanno oltre 2 volte il rischio di recidiva rispetto alle femmine, mentre questa differenza scompare se si considerano le TEV “provocate” (17). Livelli aumentati di D-dimero registrati dopo un periodo di circa un mese di sospensione della te-

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Tabella 2 - Fattori di rischio emorragico durante terapia anticoagulante (tratta da Kearon et al. 1) Età > 65 a Età > 75 a Precedenti emorragie Cancro Cancro con presenza di metastasi Insufficienza renale Insufficienza epatica Piastrinopenia Pregresso ictus Diabete Anemia Terapia antiaggregante piastrinica Scadente controllo dell’anticoagulazione Comorbidità e riduzione delle capacità funzionali Recente chirurgia Frequenti cadute Abuso di bevande alcoliche Farmaci antinfiammatori non-steroidei Secondo gli autori, l’assenza di questi fattori è associata a un rischio emorragico basso (0,8% per anno); la presenza di un fattore a un rischio moderato (1,6% per anno) e quella di 2 o più fattori a un rischio elevato (=> 6,5% per anno)

rapia anticoagulante in soggetti con precedente TEV (idiopatica o dopo fattori di rischio lievi) sono associati ad un incremento del rischio di recidiva ed è stato dimostrato il vantaggio di riprendere l’anticoagulazione in questi pazienti (18, 19). Segnalo che la più recente edizione delle lineeguida ACCP (1) propongono il sesso maschile e la positività del D-dimero come rilevanti fattori di rischio da tener particolarmente presenti per la decisione terapeutica. L’età ha certamente un valore importante per l’insorgenza del primo TEV, ma è incerto il suo ruolo nel determinare il rischio di recidiva, con solo alcuni studi positivi per un aumento del rischio (3, 9, 20), mentre altri studi hanno dato esito negativo (13, 21, 22), e alcuni hanno addirittura visto una relazione negativa (23). Sin dal 2002 è stata segnalata la presenza di una relazione tra persistenza di residuo trombotico venoso (RTV) nelle vene profonde degli arti inferiori e rischio di recidiva trombotica (24, 25). Alcuni studi hanno confermato il valore predittivo del RTV (26, 27), ma non tutti (28-30). Due studi

randomizzati hanno confermato il ruolo predittivo del RTV (31, 32), e alcune review sistematiche hanno concluso con risultati non sempre omogenei (33-35). Alcune, rare alterazioni trombofiliche, quali il deficit di Antitrombina, Proteina C e Proteina S, sono state dimostrate essere associate ad un più alto rischio di recidiva trombotica (2), come pure la presenza di omozigosi o di doppia eterozigosi del fattore V Leiden e della mutazione G20210A della protrombina (36, 37).

Come valutare il rischio individuale di emorragia in corso di terapia anticoagulante Per quanto riguarda la decisione di interrompere l’anticoagulazione dopo 3 mesi dall’evento acuto o proseguirla per un trattamento esteso le più recenti linee-guida dell’ACCP (1) raccomandano di riferirsi alla presenza o meno di fattori di rischio per emorragia (Tabella 2), sulla cui base il rischio emorragico può essere categorizzato in baso (assenza di fattori), moderato (presenza di

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Phlebology

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un fattore), o alto (presenza di 2 o più fattori), ai quali corrisponde una stima di rischio di eventi emorragici maggiori di 0,8; 1,6 e =/> 6.5% per anno, rispettivamente. Da questo lungo elenco è facile comprendere che numerose condizioni cliniche, frequenti nella popolazione generale specie negli anziani, sconsigliano un trattamento anticoagulante esteso. In particolare, appare rilevante sottolineare che, secondo la lista dei fattori di rischio proposta e lo score collegato, l’età più avanzata (> 75 anni), costituisce già di per sé una situazione a più alto rischio emorragico e quindi un’evidente controindicazione ad un trattamento anticoagulante esteso dopo un primo episodio di TEV anche se non provocato.

CONCLUSIONI

Dopo un primo evento di TEV ogni paziente deve essere trattato con terapia anticoagulante per

non meno di 3 mesi (terapia iniziale e di breve termine). Al termine di questo periodo ciascun paziente deve essere valutato per: a) il rischio trombotico, influenzato sia dalla tipologia (provocata o idiopatica) e sede dell’evento stesso, che dalle caratteristiche personali e cliniche del paziente (vedi Tabella 1); b) per il rischio emorragico prevedibile in corso di terapia anticoagulante (vedi Tabella 2). Nel caso in cui il rischio trombotico sia moderato-alto e quello emorragico non sia elevato, al paziente deve essere suggerita una terapia anticoagulante estesa a tempo indefinito, con controllo periodico per verificare il rapporto rischio-beneficio dell’anticoagulazione. Se il rischio trombotico è basso o quello emorragico alto il trattamento anticoagulante per soli 3 mesi (personalmente preferirei tra 3 e 6 mesi secondo i casi) sarà da preferire.

BIBLIOGRAFIA 1. 2. 3.

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9.

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Kearon C, Akl EA, Ornelas J, et al. Antithrombotic Therapy for VTE Disease: CHEST Guideline and Expert Panel Report. Chest 2016;149:315-52. Prandoni P, Lensing AWA, Cogo A, et al. The long-term clinical course of acute deep venous thrombosis. Ann Intern Med 1996;125:1-7. Heit JA, Mohr DN, Silverstein MD, Petterson TM, Ofallon WM, Melton LJ. Predictors of recurrence after deep vein thrombosis and pulmonary embolism - A populationbased cohort study. Arch Intern Med 2000;160:761-8. Pinede L, Ninet J, Duhaut P, et al. Comparison of 3 and 6 months of oral anticoagulant therapy after a first episode of proximal deep vein thrombosis or pulmonary embolism and comparison of 6 and 12 weeks of therapy after isolated calf deep vein thrombosis. Circulation 2001;103:2453-60. Agnelli G, Prandoni P, Santamaria MG, et al. Three months versus one year of oral anticoagulant therapy for idiopathic deep venous thrombosis. N Engl J Med 2001;345:165-9. Agnelli G, Prandoni P, Becattini C, et al. Extended oral anticoagulant therapy after a first episode of pulmonary embolism. Ann Intern Med 2003;139:19-25. Couturaud F, Sanchez O, Pernod G, et al. Six Months vs Extended Oral Anticoagulation After a First Episode of Pulmonary Embolism: The PADIS-PE Randomized Clinical Trial. JAMA 2015;314:31-40. Iorio A, Kearon C, Filippucci E, et al. Risk of recurrence after a first episode of symptomatic venous thromboembolism provoked by a transient risk factor: a systematic review. Arch Intern Med 2010;170:1710-6. Prandoni P, Noventa F, Ghirarduzzi A, et al. The risk of recurrent venous thromboembolism after discontinuing anticoagulation in patients with acute proximal deep vein thrombosis or pulmonary embolism. A prospective cohort study in 1,626 patients. Haematologica the He-

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NEWS DAI CONGRESSI COAGULUMreport

International union of angiology congresso mondiale di angiologia Lione 5-8 ottobre 2016 Pier Luigi Antignani

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atologia vascolare senza confini. Questo è il motto del congresso mondiale di angiologia che si svolgerà a Lione nei primi di ottobre. Più di 2000 delegati provenienti da tutto il mondo daranno vita a un evento di alto livello scientifico. Tutti gli aspetti della patologia vascolare dal punto di vista clinico, diagnostico e terapeutico sono occasione di confronto e approfondimento. Di particolare interesse saranno i “lunch symposia” sul tromboembolismo venoso e la sua gestione supportati dalle principali aziende del settore, come: • Oral anticoagulants treatment of patients with Venous Thromboembolism: What challenges everyday? (Alliance BMS-PFIZER), • Quoi de neuf dans la MTEV? (BAYER PHARMACEUTICALS), • A pulmonary embolism can hide a chronic thromboembolic pulmonary hypertension (MSD FRANCE), • Prevention of recurrent VTE : What’s new ? (ALFA WASSERMANN), • VTED : when to use LMVH ? … What else ? (LEO PHARMA), • Which place for a new direct oral anticoagulant? DAIICHI-SANKYO. I vari relatori faranno emergere le problematiche legate ai diversi farmaci utilizzati nel trattamento del TEV e le modalità di risoluzione delle stesse in un alto livello scientifico e un notevole interesse per la pratica clinica. Numerosi gli interventi da parte dei colleghi italiani con una importante rappresentanza nei differenti simposi. Sempre nel corso del congresso mondiale di Lione verranno consegnati i diplomi di accreditamento per i centri vascolari: al centro di chirurgia vascolare di Siena, diretta da Carlo Setacci, e il 32

FINAL PROGRAM / PROGRAMME FINAL

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centro di chirurgia vascolare di Cosenza, diretta da Francesco Intrieri. I centri sono stati visitati da una commissione internazionale presieduta da Fabrizio Benedetti Valentini, coordinatore della commissione per l’accreditamento dei centri vascolari della International Union of Angiology (IUA), che ha valutato i reparti e la corrispondenza degli stessi con gli standard prescritti dalla stessa IUA. I centri infatti devono dimostrare di svolgere una attività a 360 gradi nell’ambito dell’angiologia, della chirurgia vascolare e della radiologia interventistica ed esser quindi in grado di prendere in carico il paziente vascolare effettuando tutto ciò che necessita al singolo caso.

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Eccellenza italiana

Sempre nel corso del Congresso mondiale di Lione verranno consegnati: un premio alla ricerca a Sergio De Marchi (eccellenza italiana già premiata al congresso della società italiana di Medicina Vascolare) e i diplomi di accreditamento per i centri vascolari. Nel corso del Congresso della Società Europea di Medicina Vascolare, che si è svolto a maggio a Roma, è stato assegnato un riconoscimento particolarmente prestigioso per la ricerca di maggior originalità e interesse scientifico all’UOC di Angiologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, diretta dal Enrico Arosio per uno studio effettuato in collaborazione con l’Unità Operativa Complessa Laboratorio Analisi, diretta da Giuseppe Lippi. Questa ricerca, presentata da Sergio De Marchi, responsabile per il Veneto dei corsi teorico-pratici di EcocolorDoppler vascolare per la Società Italiana di Diagnostica Vascolare e membro del

Consiglio Direttivo della sezione Triveneto della Società Italiana per lo Studio dell’Arteriosclerosi, evidenzia alcuni aspetti particolarmente interessanti relativi agli effetti protettivi dell’esercizio fisico sui danni determinati dalla malattia vascolare aterosclerotica nei confronti delle cellule del sangue. Nell’Unità di Arosio vengono trattate sia le patologie vascolari dovute all’aterosclerosi, che continuano a rappresentare la maggior causa di mortalità e di invalidità anche in Italia, sia le malattie da tromboembolismo venoso come la trombosi venosa profonda (TVP) e superficiale (TVS) che, se non diagnosticate e trattate adeguatamente, possono associarsi a embolia polmonare e risultare fatali anche in giovane età. Anche in questo caso il Centro è uno dei pochi che possano garantire la gestione completa del paziente dal momento in cui viene inviato per il sospetto di trombosi. Si provvede infatti all’inquadramento diagnostico, alla prescrizione della più adatta terapia, compreso l’eventuale impiego dei nuovi farmaci anticoagulanti orali che non richiedono esami di laboratorio per il controllo, e all’esecuzione delle visite successive per prevenire eventuali recidive.

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Project in progress COAGULUMreport

Al via lo studio ERCAF, il primo studio osservazionale SISMED sulla Fibrillazione Atriale

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Intervista a Gabriele Catena presidente nazionale SISMED (Società Italiana Scienze Mediche). A cura della redazione

a fibrillazione atriale è la più comune aritmia nella pratica clinica. Diversi studi inerenti il vasto mondo scientifico, che per anni si è occupato dell’impatto clinico-terapeutico (farmacologico e non) di tale aritmia, hanno mostrato dati interessanti, ma non risolutivi, inerenti aspetti epidemiologici, clinici, e di scelta farmacologica, sia nella gestione complessiva del paziente, sia della strategia di controllo del ritmo e della frequenza ventricolare. Esistono importanti lavori scientifici internazionali, riguardanti le complicanze secondarie all’uso dei farmaci antiaritmici, l’aderenza terapeutica, l’impatto economico della gestione ambulatoriale/ospedaliera, la frequenza delle recidive dopo cardioversione di tali pazienti, ecc, ma a tutt’oggi mancano dati forti ed attuali in tal senso riguardanti lo scenario italiano. Inoltre, la FA è riscontrabile in circa il 2% della popolazione, con una prevalenza in netto incremento in rapporto all’invecchiamento della popolazione. A tale proposito giova sottolineare, come, il profilo epidemiologico della FA è largamente incompleto, in quanto una proporzione importante degli episodi e dei pazienti possono essere asintomatici. Non è lontano dalla realtà stimare che fino al 40% dei pazienti che presentano una FA può non avere sintomi, risultando l’aritmia clinicamente silente, con possibilità di diagnosi solo occasionale (durante controlli clinici periodici, in occasione di misurazione della pressione, in occasione di ECG eseguiti per vari motivi) o in occasione di una complicanza trombo embolica come uno stroke o un TIA. In Italia si stima una incidenza della F.A. nel FA superiore al 5% nei pazienti over 65 anni e superiore al 10% nei pazienti over 75 anni. Attualmente circa 500.000 sono i pazienti in FA, con una progressione di circa 60.000 nuovi casi ogni anno. Nel 2050 si prevede un raddoppio di tali numeri. In questo clima di rinnovato entusiasmo, rispetto allo studio di tale patologia, si inserisce un progetto interessante ed ambizioso, quale quello

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enunciato dallo studio ERCAF (Efficacy of the Rhythm Control in Atrial Fibrillation patients). Per conoscere meglio questa ricerca, abbiamo rivolto alcune domande a Gabriele Catena, Presidente SISMED (Società Italiana Scienze Mediche) e coordinatore nazionale dello studio. Qual è il significato di tale ricerca? Cosa vuole dimostrare lo studio? ERCAF study è uno studio prospettico osservazionale multicentrico italiano finalizzato alla valutazione “real life” dell’efficacia della strategia di controllo del ritmo in pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA) parossistica e persistente. Si propone di valutare la prevenzione delle recidive di FA in termini di Tempo alla prima recidiva (survival analysis). La quantificazione del numero delle recidive sintomatiche ed asintomatiche nel follow up (burden aritmico) e la quantificazione di accessi in Pronto Soccorso ed ospedalizzazioni per FA. Oltre a questi aspetti primari della ricerca ci sono gli altri obiettivi che si prefigge lo studio ERCAF? Lo studio ha anche alcuni endpoints secondari, quali la valutazione degli effetti collaterali aritmici: flutter atriale, aritmie ventricolari, ritardo della conduzione AV (BAV I grado, di II grado tipo 1 e 2, blocchi AV di grado avanzato) ed intraventricolare (BBS, BBDX, blocchi bifascicolari). Inoltre valuteremo gli effetti collaterali non aritmici (intolleranza ai farmaci antiaritmici quali: parestesie linguali e cefalea da flecainide; epatopatie da amiodarone e IC, ipotiroidismo e ipertiroidismo da amiodarone, necessità di terapia sostitutiva con L-Tiroxina e valutazione delle necessità di variazione del dosaggio di questa in funzione della quantità di amiodarone assunta). Valutazione della compliance al farmaco. Valutazione e quantificazione della sospensione del trattamento per ridotta compliance, effetti collaterali aritmici e non aritmici.

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ERCAF Study: Efficacy of the Rhythm Control in Atrial Fibrillation patients (Studio Prospettico Osservazionale Multicentrico Real Life). Dalla collaborazione fra SISMED ed alcuni tra i principali centri aritmologici italiani Comitato Scientifico (ideatore e responsabile della gestione dello studio): Leonardo Calò (Policlinico Casilino, Centro coordinatore) Gabriele Catena, presidente nazionale SISMED (Società Italiana Scienze Mediche); Alessandro Capucci (Cardiologia, Università Tecnica delle Marche, Ancona, Centro Pilota); Giulio Del Gusto, segretario nazionale SISMED; Fiorenzo Gaita (Cardiologia, Dipartimento di Scienze Mediche A.O. Città della Salute e della Scienza di Torino, Centro Pilota) Massimo Grimaldi (Cardiologia, Ospedale F. Miulli di Acquaviva delle Fonti, Bari, Centro Pilota). Centro coordinatore UOC Cardiologia, Policlinico Casilino, Roma (Leonardo Calò) Cattedra di Cardiologia, Università Politecnica delle Marche, Ancona (Alessandro Capucci) Cardiologia, Dipartimento di Scienze Mediche A.O. Città della Salute e della Scienza di Torino (Fiorenzo Gaita) Divisione di Cardiologia, Ospedale F. Miulli di Acquaviva delle Fonti, Bari (MassimoGrimaldi) Cattedra di Cardiologia, Università Degli Studi di Padova (referente C Sarais)

Valutazione della qualità di vita del paziente (influenzata dal numero delle recidive sintomatiche, dalla quantità di compresse assunte per le forme Retard rispetto a quelle con piu’ breve durata di azione) mediante QOL (SF 36, Minnesota, etc). Eventi avversi: mortalità per cause cardiovascolari e non, accidenti cerebrovascolari, ospedaliz-

zazione per scompenso secondario ad episodi di FA. Pazienti portatori di device (PMK ed ILR) nei quali si potrebbero ottenere dati su il reale burden di FA asintomatica. Inoltre saranno valutati gli eventuali eventi avversi (mortalità, accidenti cerebrovascolari, ospedalizzazioni) nei pazienti sintomatici ed asintomatici. Verranno anche valutate le analisi costo-efficacia della strategia di controllo del ritmo nella popolazione studiata. Infine sarà completata l’analisi epidemiologica della popolazione non arruolata nello studio. Sembra presupposti ambiziosi. A questo proposito, ritiene che lo studio possa contribuire ad accrescere le attuali conoscenze? Lo studio ERCAF contribuirà ad aggiungere e potenziare significativamente dati “real life” sulla gestione farmacologica ambulatoriale nella strategia di controllo del ritmo in pazienti affetti da fibrillazione atriale parossistica e persistente. E potrebbe essere un valido supporto all’attività quotidiana, non solo dello specialista, ma anche del Medico di Medicina Generale. In tal senso, quale rilevanza clinica avrà il risultato atteso? L’ottimizzazione della gestione clinica a 360 ° del paziente affetto da fibrillazione atriale. Quali benefici diretti e indiretti ci sarebbero per i pazienti arruolati nello studio? L’analisi dei parametri sopra elencati (come endpoints primari e secondari) provenienti dal Centro Coordinatore e dagli altri centri italiani, che aderiscono allo studio, permetterà una più accurata conoscenza di come ottimizzare la gestione clinico/farmacologica dei nostri pazienti al fine di ridurre le recidive annuali dell’aritmia (comprese gli accessi in Pronto Soccorso e le Ospedalizzazioni) e di migliorare la loro qualità di vita, riducendo gli effetti collaterali che gravano sui farmaci antiaritmici. Quali sono le caratteristiche dei soggetti eleggibili per lo studio? Lo studio può includere pazienti con età > 18 anni affetti da fibrillazione atriale parossistica, persistente e/o long standing persistent con almeno 2 episodi di riacutizzazione negli ultimi 6 mesi, e per i quali vi è indicazione a strategia di controllo del ritmo (come primo approccio e/o

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dopo CV farmacologica o CV elettrica) secondo linee guida ESC 2010-Update 2012. La terapia antiaritmica potrà essere già in atto al momento dell’arruolamento (in tal senso sarà di fondamentale importanza specificare il timing di inizio di tale terapia) oppure dovrà essere somministrata de novo durante tale visita nei pazienti non ancora trattati. Tali pazienti possono essere affetti da cardiopatia strutturale o non (lone atrial fibrillation) Sono inclusi pazienti in terapia cardiologica con farmaci non aritmici (ACE inibitori, sartani, Ca-antagonisti non diidropiridinici, omega 3, statine, ivabradina ecc) e farmaci con effetto sul rallentamento della conduzione nodale AV (diltiazem, verapamil, beta- bloccanti). Qual è la durata dello studio ERCAF? Lo studio prevede una fase di arruolamento di 1 anno e 6 mesi. I pazienti affetti da fibrillazione atriale che presentano i criteri di inclusione sopra elencati verranno sottoposti inizialmente ad una visita di arruolamento allo studio definita T0 durante la quale gli stessi verranno sottoposti a ad una serie di esami routinari (previsti nel protocollo). Data ultima di arruolamento prevista dal protocollo:15/04/2017. La data prevista per la fine dello studio (ultima visita dell’ultimo soggetto) è fissata per il 15/04/2020. Anche nei pazienti non eleggibili verrà compilata con attenzione la CRF di arruolamento, allo scopo di raccogliere il dato che potrebbe essere utilizzato per una eventuale subanalisi delle ca-

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ratteristiche della popolazione esclusa (PE) Quali farmaci antiaritmici sono ammessi nello studio? Non esistono limitazioni all’utilizzo dei farmaci antiaritmici, in particolare potranno essere ammessi flecainide, propafenone, propafenone SR, sotalolo, amiodarone, dronedarone, idrochinidina, ed in particolare, data la novità del suo inserimento nel prontuario nazionale, la flecainide SR (slow release). Personalmente, ritengo che quest’ultimo farmaco, possa essere considerato la vera novità nel settore, e siamo curiosi di valutarne l’impatto sull’evoluzione del quadro clinico. In conclusione, cosa vi attendete in concreto dalla realizzazione di tale studio? Crediamo di poter portare a termine un impegno sicuramente ambizioso (per SISMED) ma anche molto gravoso, siamo convinti che tale studio, oltre ad avere grandi ambizioni, abbia un board scientifico di sicura valenza e, con l’impegno di tutti i Centri Pilota e degli altri ricercatori che coinvolti nello svolgimento del protocollo, i risultati attesi non potranno mancare e saranno un sicuro riferimento, per l’approccio al paziente con fibrillazione atriale e (ci auguriamo) per la nostra cardiologia.

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Con un linguaggio semplice ti insegna concetti che ogni giorno la Scienza ci fornisce, fondamentali per mantenere la nostra salute e per curarla quando scricchiola. Noi abbiamo il diritto di avere queste informazioni. Ictus, Infarto, Embolia polmonare, Trombosi venosa e arteriosa, le malattie cardiovascolari da Trombosi colpiscono il doppio dei tumori, sono evitabili almeno in un caso su tre, molto più evitabili del cancro e altrettanto in un caso su tre possono essere curate con efficacia. Impara a conoscere, curare, guarIre, sapere che cosa fare, rIconoscere I sIntomI e come usare I farmacI. per dedIcare vIta aglI annI e non annI alla vIta.

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Con: il dottor edoardo gronda, Responsabile dell’Unità Operativa di Cardiologia e Ricerca di IRCCS Multimedica

Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari Via Ludovico da Viadana, 5 - 20122 Milano Tel. +39 02 58325028 – alt@trombosi.org

e la dottoressa lIdIa rota, specialista in Ematologia e in malattie cardiovascolari da Trombosi, Presidente di ALT - Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari - Onlus

“Questo progetto fa parte di una campagna continuativa di ALT per la prevenzione delle malattie cardiovascolari da Trombosi ed è stato realizzato grazie al contributo incondizionato di Bayer, ALT ringrazia”. Per saperne di più www.trombosi.org

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NEWS dal MONDO NAO COAGULUMreport

Notizie di aggiornamento sui nuovi anticoagulanti orali A cura della Redazione

Anticoagulanti (NAO) in real life: efficaci come il warfarin, ma con la metà del rischio. ESC 2016 I nuovi anticoagulanti orali (NAO) indicati per la prevenzione dell’ictus in pazienti con fibrillazione atriale hanno la stessa efficacia di warfarin (AVK), ma un rischio dimezzato di causare emorragie. È questo il dato di uno studio presentato nel corso del congresso annuale della European Society of Cardiology in corso a Roma dal 27 al 31 agosto. La fibrillazione atriale, che altera il ritmo cardiaco del 2% della popolazione, più di 10 milioni di europei, nei prossimi 40 anni, secondo le stime, interesserà il triplo delle persone per raggiungere i 25-30 milioni. Chi soffre di fibrillazione atriale aumenta di cinque volte il rischio di ictus. Come è noto l’uso della terapia anticoagulante, riduce il rischio di ictus/stroke, ma aumenta però il rischio di sanguinamenti/emorragie. Il profilo degli anticoagulanti NAO è stato ora confrontato con quello del warfarin in uno studio real life che ha incluso 43.299 pazienti con fibrillazione atriale appartenenti ai registri amministrativi danesi. Il 42% del campione assumeva warfarin, il 29% dabigatran (Pradaxa, Boehringer Ingelheim), il 16% apixaban (Eliquis, BMS/Pfizer)e il 13% rivaroxaban (Xarelto, Bayer). Durante il trattamento si sono verificati 1054 ictus e 261 emorragie intracraniche (le più temute). Dopo un anno di trattamento, i pazienti in terapia con i NAO (dabigatran, apixaban e rivaroxaban) hanno mostrato un rischio di ictus sovrapponibile rispetto a quelli trattati con warfarin (2.0 e 2.5%). A cambiare notevolmente è stata invece la probabilità di incorrere in un’emorragia intracranica era significativamente inferiore: 0,30,4 % per dabigatran e apixaban contro lo 0,6% per quelli in cura con warfarin. Lo studio dimostra che a parità di riduzione del rischio di stroke, dabigatran e apixaban hanno un profilo di sicurezza maggiore rispetto al warfarin nel ridurre, in un anno, i sanguinamenti intracranici. I dati sono particolarmente interessanti perchè sono dal mondo reale che include anche pazienti con più alto rischio di sanguinamento, con malattie del fegato, insufficienza renale cronica, meno rappresentati nei trial. Gli autori auspicano comunque la realizzazione di un trial di vero confronto testa a testa tra i diversi NAO in pazienti con fibrillazione atriale. Fonte Intracranial bleeding over time since oral anticoagulation was initiated VKA: vitamin K antagonist (warfarin). Abstract ESC 2016

Anticoagulante edoxaban (Lixiana) in cardioversione. Studio ENSURE-AF. ESC 2016 Il nuovo anticoagulante orale (NAO) edoxaban (Lixiana) è utile anche nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (FANV) sottoposti a cardioversione elettrica. Questi in sintesi i risultati dello studio ENSURE-AF, presentato a Roma durante una Hot Line Session del Congresso ESC 2016. Il trial ENSURE-AF (EdoxabaN vs. warfarin in subjectS UndeRgoing cardiovErsion of Atrial Fibrillation), ha valutato l’efficacia e la sicurezza di edoxaban in monosomministrazione giornaliera rispetto al trattamento enoxaparina/warfarin in pazienti con FANV e sottoposti a cardioversione elettrica. I soggetti sono stati randomizzati per la somministrazione di edoxaban 60 mg (o una dose ridotta di edoxaban 30 mg per specifici pazienti con insufficienza renale o basso peso corporeo o che assumevano inibitori della glicoproteina P) o di enoxaparina/warfarin ben gestiti (il tempo medio nel range terapeutico è stato del 70,8%) per 38

28-49 giorni. Per l’endpoint composito primario di efficacia (ictus, eventi embolici sistemici, infarto del miocardio e mortalità cardiovascolare), edoxaban ha dimostrato un’incidenza simile rispetto a enoxaparina/warfarin (0,5% vs. 1,0% rispettivamente). La principale differenza tra i gruppi di trattamento è stata determinata dalla mortalità cardiovascolare, con un evento nel gruppo edoxaban e cinque eventi nel gruppo enoxaparina/warfarin (0,1% vs. 0,5%, rispettivamente). Per quanto riguarda l’endpoint composito principale di sicurezza (incidenza di emorragie maggiori ed emorragie non maggiori clinicamente rilevanti, CRNM), gli eventi si sono verificati nell’1,5% dei pazienti nel gruppo edoxaban e nell’1,0% del gruppo enoxaparina/warfarin (OR, 1,48; IC al 95%, da 0,64 a 3,55). La differenza è stata statisticamente non significativa. L’incidenza dell’emorragia maggiore è stata numericamente inferiore nel gruppo edoxaban rispetto al gruppo enoxaparina/warfarin

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(0,3% vs. 0,5%, rispettivamente) (OR: 0,61; IC al 95%, da 0,09 a 3,13). Nello studio non sono stati segnalati casi di emorragia intracranica per nessuno dei due gruppi di trattamento. Nessuna emorragia fatale è stata segnalata nel gruppo edoxaban, mentre vi è stato un caso nel gruppo enoxaparina/warfarin. Il risultato dell’endpoint composito clinico netto (ictus, eventi embolici sistemici, infarto del miocardio, mortalità cardiovascolare ed emorragia maggiore) è stato dello 0,7% nel gruppo edoxaban e dell’1,4% nel gruppo enoxaparina/warfarin (OR=0,50; IC al 95%, da 0,19 a 1,25) durante l’intero periodo di studio. Da segnalare il fatto che il trial, pur non essendo sufficientemente potente per evidenziare differenze statisticamente significative per quanto riguarda gli endpoint di efficacia o sicurezza, ha comunque fornito ulteriori informazioni sull’uso di edoxaban nella cardioversione elettrica della FANV. Lo studio, che ha arruolato 2.199 pazienti di 239 centri clinici in Europa e America settentrionale, è ad oggi il più grande trial clinico su un NAO verso il trattamento standard enoxaparina/ warfarin. Edoxaban in monosomministrazione giornaliera costituisce quindi un’alternativa efficace e sicura al trattamento convenzionale

rappresentato da enoxaparina e warfarin (VKA), consentendo l’esecuzione di una rapida cardioversione con ecocardiogramma per via transesofagea (ETE). Il farmaco ha infatti soddisfatto gli endpoint primari dello studio, con un livello di efficacia e sicurezza comparabile a una somministrazione di enoxaparina/ warfarin per la prevenzione dell’ictus e di altre complicanze tromboemboliche, e ha fatto registrare un’incidenza numericamente inferiore di mortalità cardiovascolare, emorragie gravi ed emorragie fatali. Le ricadute cliniche sono significative per i pazienti non anticoagulati a cui è stata recentemente diagnosticata la FA e che vengono sottoposti a cardioversione. Secondo il protocollo dello studio, a questi pazienti è stata somministrata la terapia con edoxaban, e già due ore dopo l’inizio del trattamento è stato possibile programmare la procedura di cardioversione, con approccio guidato con ecocardiogramma per via transesofagea. Edoxaban, commercializzato da Daiichi Sankyo con il nome di Lixiana, è rimborsato in Italia da settembre. Fonte ENSURE-AF trial edoxoban: a new anticoagulant option before cardioversion. ESC 2016

Fibrillazione. Profilo rischio-beneficio favorevole al NAO rivaroxaban (Xarelto, Bayer) in real life. ESC 2016 Nuovi dati dalla vita reale (real-life) provenienti da molti Paesi promuovono l’impiego di del nuovo anticoagulante orale (NAO) rivaroxaban (Xarelto, Bayer) in pazienti con fibrillazione atriale non-valvolare. I risultati, presentati nel corso del e presentati al Congresso ESC 2016, che si tiene a Roma dal 27 al 31 agosto, riguardano l’impiego dell’inibitore del fattore Xa in Giappone (studio XaPASS), in Svezia (registri nazionali) e in America (REVISIT-US). Il recentissimo studio XaPASS in pazienti con fibrillazione atriale non-valvolare in Giappone su 11.000 soggetti, riconferma basse percentuali sia di ictus, sia di emorragia maggiore con rivaroxaban nella pratica clinica quotidiana. In XaPASS, l’incidenza di evento emorragico di qualsiasi tipo è stata di 4,84 ogni 100 anni-paziente, di cui l’incidenza di emorragia maggiore è stata di 1,02 ogni 100 anni paziente e l’incidenza di emorragia intracranica è stata di 0,43 ogni 100 anni-paziente. L’incidenza dell’endpoint composito di ictus, embolia sistemica o infarto del miocardio è stata di 1,35 ogni 100 anni-paziente mentre l’incidenza di ictus ischemico è stata di 0,90 ogni 100 anni-paziente. I dati sono in linea con risultati dello studio di Fase III J-ROCKET AF che ha registrato una riduzione non significativa del 51% del rischio di ictus ed embolia sistemica non-SNC con rivaroxaban rispetto a warfarin. Lo studio post-marketing sulla sicurezza, basato su Registri nazionali svedesi, in corso di realizzazione, in contesti real-world su un totale di 57.498 pazienti, indicano percentuali analoghe di emorragia maggiore nei pazienti trattati con rivaroxaban vs warfarin (rispettivamente 3,40 contro 3,32 sanguinamenti ogni 100 anni-paziente; HR 0,89; Intervallo di confidenza al 95% di 0,73-1,10), ma percentuali significativamente inferiori di emorragia intracranica nei pazienti trattati con rivaroxaban (rispettivamente 0,62 contro 0,88 sanguinamenti ogni 100 anni-paziente; HR 0,63; Intervallo di confidenza al 95% di 0,40-0,99). I dati sono in linea con ROKET AF. Al Congresso ESC 2016 è stato presentato anche un aggiornamento dello studio REVISIT-US, analisi retrospettiva basata su dati statunitensi del database MarketScan, che ha valutato, in contesto real-life, rivaroxaban, apixaban e dabigatran, ciascuno confrontato con warfarin, in pazienti con fibrillazione atriale non-valvolare. Rivaroxaban era associato a una riduzione non-significativa del 29% di ictus ischemico, accompagnata a una riduzione significativa del 47% di emorragia intracranica rispetto a warfarin. Considerando l’endpoint combinato di emorragia intracranica o ictus ischemico, rivaroxaban ha ottenuto una riduzione significativa del 39% rispetto a warfarin in REVISIT-US. Gli studi su dati reali sono fondamentali per capire come agisce un farmaco nei pazienti trattati nella pratica clinica quotidiana, ma nell’interpretazione dei risultati è necessario ricordare che non tutti gli studi su dati real-life sono uguali. Fonte XaPASS: Evidence of Safety and Effectiveness in Japanese Patients Treated with Rivaroxaban for Stroke Prevention in Atrial Fibrillation under Real-World Clinical Practice. Ikeda T et al. Oral Presentation at ESC Congress 2016.

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NEWS dal MONDO NAO COAGULUMreport

RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1.DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE VESSEL® 250 ULS capsule molli VESSEL® 600 ULS/2 ml soluzione iniettabile 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Capsule molli: Sulodexide ULS 250 Fiale: Sulodexide ULS 600 Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1 3. FORMA FARMACEUTICA Capsule molli. Soluzione iniettabile. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Ulcere venose croniche. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Posologia VESSEL® 250 ULS capsule molli: 1 capsula 2 volte al dì, lontano dai pasti. VESSEL® 600 ULS/2 ml soluzione iniettabile: 1 fiala al dì, per somministrazione intramuscolare o endovenosa. Orientativamente si consiglia di iniziare la terapia con le fiale e, dopo 1520 giorni, proseguire con le capsule per 30-40 giorni. Il ciclo terapeutico completo va ripetuto almeno due volte l’anno. A giudizio del medico, la posologia può essere variata in quantità e frequenza. Popolazione pediatrica La sicurezza e l’efficacia di Sulodexide nei bambini e adolescenti sotto i 18 anni di età non sono state ancora stabilite. 4.3 Controindicazioni Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti elencati al paragrafo 6.1, verso l’eparina e gli eparinoidi. Diatesi e malattie emorragiche. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego VESSEL, per le sue caratteristiche farmaco-tossicologiche, non presenta particolari precauzioni d’uso. Comunque, nei casi in cui sia anche in atto un trattamento con anticoagulanti, è consigliabile controllare periodicamente i parametri emocoagulativi. 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione Sulodexide è una molecola eparino-simile e pertanto può aumentare gli effetti anticoagulanti dell’eparina stessa e degli anticoagulanti orali se somministrato contemporaneamente. Vedere anche paragrafo 6.2. 4.6 Fertilità, gravidanza e allattamento Gravidanza La quantità di dati sull’uso di Sulodexide in donne in gravidanza è limitata (meno di 300 esiti di gravidanza). Gli studi su animali non indicano effetti dannosi diretti o indiretti sulla tossicità riproduttiva (vedere paragrafo 5.3). Come misura precauzionale, è preferibile evitare l’uso di Sulodexide durante la gravidanza. Allattamento Non è noto se Sulodexide, o i suoi metaboliti, vengano escreti nel latte umano o animale. Un rischio per il neonato non può essere escluso. Vessel non deve essere utilizzato durante l’allattamento. Fertilità Gli studi su animali non indicano effetti dannosi diretti o indiretti per quanto riguarda la fertilità maschile e femminile. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari VESSEL non altera o altera in modo trascurabile la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari. 4.8 Effetti indesiderati Sperimentazioni cliniche Le incidenze delle reazioni avverse da farmaco (ADR) associate alla terapia con sulodexide provengono da tre studi clinici condotti su 430 pazienti trattati con dosaggi e durate di trattamento standard. La tabella seguente include le reazioni avverse riportate da studi clinici, elencate secondo la classificazione per sistemi e organi MedDRA (SOC) ed inoltre secondo i Preferred Term in ordine di gravità, ove possibile. Le reazioni avverse sono state suddivise per classi di frequenza secondo la seguente convenzione: molto comune (≥ 1/10); comune (≥ 1/100, < 1/10); non comune (≥ 1/1.000, < 1/100); raro (≥ 1/10.000, < 1/1.000); molto raro (< 1/10.000). Classificazione per si- Comune stemi e organi secondo MedDRA

Non comune

Patologie del sistema nervoso

Cefalea, Perdita di coscienza

Bibliografia: 1. Andreozzi GM. Int Angiol 2014;33:255-62; 2. Vessel. Riassunto delle caratteristiche di prodotto;

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Patologie dell’orecchio e del labirinto

Vertigine

Patologie gastrointestinali

Dolore addominale Emorragia gastrica superiore, Diarrea

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

Eruzione cutanea Eczema, Orticaria

Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione

Sanguinamento in sede di iniezione, Edema periferico

Esperienza post-marketing Durante la commercializzazione di Sulodexide sono stati segnalati altri eventi indesiderati. Non è possibile determinare la frequenza di questi eventi indesiderati poiché i dati derivano da segnalazioni spontanee. Di conseguenza, la frequenza di questi eventi avversi è indicata come “non nota” (non può essere definita in base ai dati disponibili). Capsule molli: Classificazione per sistemi e organi secondo MedDRA

Frequenza non nota

Patologie del sistema emolinfopoietico

Anemia

Disturbi del metabolismo e della nutrizione

Disturbo del metabolismo delle proteine plasmatiche

Patologie gastrointestinali

Epigastralgia, Nausea, Vomito, Melena, Flatulenza, Dispepsia

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

Angioedema, Ecchimosi, Eritema

Patologie dell’apparato riproduttivo e della mammella

Edema Genitale, Eritema genitale, Polimenorrea

Soluzione iniettiva: Classificazione per sistemi e organi secondo MedDRA

Frequenza non nota

Disturbi psichiatrici

Derealizzazione

Patologie del sistema nervoso

Convulsioni, Tremore

Patologie dell’occhio

Disturbo visivo

Patologie cardiache

Palpitazioni

Patologie vascolari

Vampata di calore

Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche

Emottisi

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

Prurito, Porpora, Eritema generalizzato

Patologie renali e urinarie

Stenosi vescicale, Disuria

Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione

Dolore toracico, Dolore, Bruciore in sede di iniezione

Segnalazione delle reazioni avverse La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo l’autorizzazione del medicinale è importante, in quanto permette un monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione: http://www.agenziadelfarmaco.gov.it/responsabili. 4.9 Sovradosaggio L’emorragia è l’unico effetto che può verificarsi con un sovradosaggio. In caso di emorragia è necessario iniettare solfato di protamina (soluzione all’1%) secondo l’utilizzo nelle “emorragie epariniche”. 5. PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE L’attività del Sulodexide si esplica mediante una spiccata azione antitrombotica sia sul versante arterioso che venoso. 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: Sulodexide è classificato tra i farmaci antitrombotici eparinici, codice ATC: B01AB11. Meccanismo d’azione Sulodexide svolge un’azione antitrombotica sia a livello arterioso che venoso attraverso una serie di meccanismi d’azione quali l’inibizione di alcuni fattori coinvolti nella cascata coagulativa, in particolare del fattore X attivato, l’azione fibrinolitica e l’inibizione dell’adesione piastrinica. L’interferenza con la trombina è minima e ciò limita l’azione anticoagulante. Sulodexide, promuovendo la riduzione dei livelli di fibrinogeno, è efficace nel normalizzare l’alterata viscosità del sangue di pazienti con malattie vascolari e rischio trombotico. Inoltre, Sulodexide, attraverso l’attivazione della lipoproteina lipasi è efficace nel normalizzare i livelli lipidici alterati.

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Effetti farmacodinamici Studi specifici hanno mostrato che la somministrazione di Sulodexide non ha effetto anticoagulante.. Efficacia e sicurezza clinica L’attività terapeutica di Sulodexide è stata valutata in pazienti affetti da patologie vascolari con rischio trombotico, sia sul versante arterioso sia venoso. Il farmaco ha dimostrato particolare efficacia in pazienti anziani e in pazienti diabetici. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Assorbimento L’assorbimento, dopo somministrazione orale nell’uomo, studiato con il prodotto marcato, ha mostrato che un primo picco di livello ematico si verifica dopo 2 ore e un secondo tra 4 e 6 ore, dopo di che il farmaco non è più rilevabile nel plasma; esso viene nuovamente rilevato a circa 12 ore e poi rimane costante fino a circa le 48 ore. Il livello ematico costante trovato dopo 12 ore è probabilmente dovuto al lento rilascio del farmaco da parte degli organi di assorbimento e in particolare degli endoteli dei vasi. Metabolismo Il metabolismo è principalmente epatico e l’escrezione principalmente urinaria. Eliminazione Eliminazione urinaria Utilizzando il prodotto marcato, il 55.23% della radioattività somministrata viene escreta con le urine durante le prime 96 ore. Questa eliminazione mostra un picco dopo circa 12 ore, e un valore urinario medio del 17,6% della dose somministrata nell’intervallo 0-24 ore; un secondo picco intorno alla 36a ora con l’eliminazione urinaria del 22% tra 24-48 ore; un terzo picco intorno all’ora 78a con una eliminazione urinaria di circa picco verso la 78° ora ore con l’eliminazione urinaria del 14,9% in un periodo di tempo di 48-96 ore. Dopo 96 ore, la radioattività non è più rilevabile nei campioni raccolti. Eliminazione fecale La radioattività totale recuperata nelle feci è del 23% nelle prime 48 ore, dopo di che nessuna sostanza marcata può essere rilevata. Linearità/ non-linearità Prove farmacologiche eseguite nell’uomo con somministrazione del prodotto per via im ed ev ha mostrato una relazione dose-effetto lineare. 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati preclinici basati su studi convenzionali di sicurezza farmacologica, tossicità a dosi ripetute, genotossicità, e tossicità riproduttiva e dello sviluppo, non rivelano rischi particolari per l’uomo. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti VESSEL® 250 ULS capsule molli Sodio laurilsarcosinato, biossido di silicio, triacetina, gelatina, glicerolo, sodio paraidrossibenzoato di etile, sodio paraidrossibenzoato di propile, biossido di titanio (E 171), ossido di ferro rosso (E 172). VESSEL® 600 ULS/2 ml soluzione iniettabile Sodio cloruro, acqua per preparazioni iniettabili 6.2 Incompatibilità Sulodexide, essendo un polisaccaride acido, se somministrato in associazioni estemporanee può reagire complessandosi con tutte le sostanze basiche. Le sostanze in uso comune incompatibili nelle associazioni estemporanee per fleboclisi, sono: vitamina K, vitamine del complesso B, idrocortisone, jaluronidasi, gluconato di calcio, sali di ammonio quaternario, cloramfenicolo, tetracicline, streptomicina. 6.3 Periodo di validità Capsule molli e soluzione iniettabile: 5 anni. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Conservare a temperatura inferiore a 30°C. 6.5 Natura e contenuto del contenitore VESSEL® 250 ULS capsule molli: scatola di cartone contenente 2 blister da 25 capsule molli cadauno. VESSEL® 600 ULS/2 ml soluzione iniettabile: scatola di cartone contenente vaschetta di polistirolo da 10 fiale di soluzione iniettabile in vetro scuro. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione Nessuna istruzione particolare. Il medicinale non utilizzato e i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO ALFA WASSERMANN S.p.A. Via E. Fermi, n.1 - ALANNO (PE) Via Ragazzi del ‘99, n. 5 - BOLOGNA 8. NUMERO(I) DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO “250 ULS capsule molli” 50 capsule: A.I.C. n° 022629113 “600 ULS/2 ml soluzione iniettabile” 10 fiale da 2 ml: A.I.C. n° 022629101 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE/RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE 09/10/1972 – 01/06/2010 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO 08/09/2015 250 ULS Capsule molli, 50 capsule. Prezzo € 31,50 600 ULS/2 ml Soluzione iniettabile, 10 fiale. Prezzo € 22,75 Medicinale soggetto a prescrizione medica. Classe C

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