estratti "I cinocefali"

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La chiesa si ergeva in cima a una collina piatta, completamente coperta di erbacce. Aveva cinque cupole, ma di quelle minori erano rimaste solo le basi cubiche agli angoli del corpo principale, mentre la cupola maggiore, nera e piena di buchi, conservava il tamburo vuoto, attraversato da sottili fessure. Il campanile a tenda sembrava un osso spolpato. Pareva ci fossero stati dei tentativi di preservare il luogo di culto: le finestre e il portone erano chiusi con cura da travi inchiodate. I rami di enormi tigli crescevano tutt’intorno, stringendosi alle mura della chiesa. Oltre l’ansa del Kerženec si levava il fumo di un tramonto torbato. Una luce innaturale, malata, tingeva il fogliame dei tigli e i ciuffi di erbacce di bluastro, quasi fossero alieni venuti da Venere. Un tempo imbiancata ma ormai scrostata, la chiesa appariva ora purpurea, come un pezzo di carne. – Non possiamo avvicinarci di più? – Guger si guardò intorno. – Be’, cento metri a piedi li puoi pure fare – lo rimproverò Valerij. – Devo tendere il cavo, mica fare una passeggiata. Scesero dal pulmino e si avviarono verso la chiesa, inciampando in detriti invisibili in mezzo alle erbacce. Nella parete di assi che chiudeva il portale era stata praticata un’apertura, ora chiusa da un lucchetto appeso a occhielli arrugginiti. – E adesso? Dove troviamo la chiave? – chiese scoraggiato Valerij.


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