Piia Leino Cielo
traduzione di Irene Sorrentino Voland
Titolo originale: Taivas
© Piia Leino 2018
Published originally in Finnish by Schildts & Söderströms
Published by agreement with Helsinki Literary Agency through Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency (PNLA)
© della presente edizione
Voland SRLRoma 2023
Tutti i diritti riservati
Prima edizione: aprile 2023
ISBN978-88-6243-523-9
Giù dalla rupe corse il bambino, fin dalla madre corse, e con fulgido sguardo le disse: ho veduto la terra del cielo.
“Di che parli, piccino mio? Di qual remoto paese dei cieli? Dove hai veduto la terra dei beati? Dimmelo, o mio pargolo dorato.”
Sulla cresta del monte mi sono attardato e, volgendo lo sguardo a nordest, lì l’azzurra brughiera ho veduto, e una pineta al di là di essa.
Oltre le chiome una dolce collina, dalla grazia del sole baciata, sorgeva, e filava erto sulla cima un sentiero sparso di sabbia dorata.
L’ho visto e il cuore mi si è illanguidito, una lacrima la guancia m’ha irrorato, e perché piangessi non ho capito, ma lì la terra del cielo ho veduto.
“Tu erri, figlio mio; nell’alto del cielo eterea torreggia la sala, dove luci brillano e lampade d’oro, e lassù è il seggio di Dio.”
A errar non sono io, essa è lì, ove all’orizzonte remoto il bosco si staglia, laggiù è la dimora dei felici, laggiù è la terra dei beati.
ALEKSIS KIVI, Kaukametsä [Bosco remoto]PARTE 1 GRIGIO
Ogni volta che deve far riposare gli occhi, Akseli osserva la piazza dei mendicanti.
In principio ce n’erano quattrocento, un centinaio su ciascun lato della piazza di Hakaniemi, ma forse alcuni sono ormai morti. I primi che vengono fatti entrare e uscire sono sempre quelli dal lato di via Siltasaarenkatu, e poi gli altri, in senso orario. Gli ultimi in fila non trovano posto dentro il Mercato coperto e allora dormono in piazza, sotto i tendoni arancione stinto e nei cassonetti verdi della spazzatura. A uno di quelli rovesciati su un fianco manca il coperchio, rimpiazzato da una tela cerata a quadretti rossi.
È già aprile, ma i mendicanti sono ancora infagottati in abiti pesanti. Raffiche di tramontana soffiano dal mare e anche Akseli le sente, pur stando in casa. Dal pavimento il gelo gli addenta le caviglie, si arrampica su per il corpo e, come una malinconia, gli conquista la mente.
Fermo davanti alla finestra, Akseli piega il braccio, alza il ginocchio e lo tocca col gomito, poi torna alla posizione di partenza e ripete l’esercizio dall’altro lato. La ginnastica lo ha già sfiancato, ma lui si aggrappa al suono dei numeri, se li ridice nella testa così forte che quasi li sente per davvero: ot-to, no-ve, die-ci.
La chiamano ginnastica per la produttività lavorativa: per nulla piacevole, ma obbligatoria. Abitare un corpo di carne e ossa impone un prezzo da pagare. Secondo le regole di Luce, i muscoli sono cera che plasma la mente e, pertanto, la ginnastica va
presa come un lavoro. Del rapporto tra corpo e mente aveva già parlato più di un secolo fa un famoso corridore, detto “il finlandese volante”, di cui ad Akseli ora sfugge il nome. In ogni caso, quel finlandese doveva sapere la stessa cosa che sa anche lui: il corpo è una zavorra che la mente si trascina dietro. Akseli cambia esercizio: si piega con le braccia in avanti verso il pavimento freddo, poi sale in punta di piedi e si allunga verso il soffitto. Lo schiocco che sente nella schiena è quasi piacevole. Quando in lontananza risuona il primo tuono, i mendicanti sono ancora rannicchiati ai loro posti. In caso di forti piogge, in piazza scatta lo sgombero, ma sembra che le guardie stiano ancora poltrendo contro il muro del Mercato coperto, forse dormono. Sono in due e nella mente di Akseli balena un pensiero: i mendicanti della piazza potrebbero aggredirle, prendere le loro armi, ucciderle. Tuttavia, è chiaro che non accadrà. Chi mai può avere ancora la forza di ribellarsi, e perché?
La pioggia inonda il paesaggio e riscuote le guardie, che si alzano e fanno segno alla massa di poveracci di tirarsi su. Tutti corrono a ripararsi, i goccioloni d’acqua cominciano a picchiettare contro i vetri della finestra, ma Akseli se ne accorge a malapena. Continua a fare i suoi esercizi a un ritmo costante, i pensieri vagano altrove. Una volta i temporali c’erano solo in estate, forse. Akseli non ne è sicuro, ma ricorda quando il campo di avena della bisnonna fu colpito da un fulmine: allora erano eventi rari, elettrizzanti. Adesso la stagione delle piogge ferisce il cielo per oltre sei mesi, e la città rimbomba sotto i suoi squarci, assuefatta.
Akseli va in affanno, sente la testa vuota, il sangue non riesce a stare al passo con l’allenamento. Deve resistere: venti ripetizioni per ogni esercizio. Se non è fisicamente idoneo non può lavorare e, se non lavora, l’università smette di pagargli il viaggio quotidiano di cinque ore su Cielo. E senza Cielo, restano
solo pareti coperte da zanzare morte e un rider che gli porta la spesa una volta alla settimana. Akseli finirebbe a fissare la piazza mangiando porridge di grilli fino alla fine dei suoi giorni, a meno di non trovare il coraggio di aprire la finestra e saltare nel vuoto. E, cadendo da quell’altezza, morirebbe sul colpo o rimarrebbe steso per terra fino a crepare dissanguato?
Akseli si prepara per gli addominali ripiegando un asciugamano sul parquet graffiato, per non sentire il legno sotto la schiena. Nel bel mezzo dell’esercizio, una mosca enorme gli svolazza sulla faccia, confondendo il ritmo e il conteggio, e scatenandogli il panico. Non intende fare una sola ripetizione in più, ma neppure troppe in meno, perché riesce a eseguirne giusto la quantità raccomandata. Frettolosamente, ne fa qualche altra in coda e crolla a terra, vede uno scarafaggio morto nella polvere sotto il letto e ricorda di averlo già visto tante altre volte.
Quando sente le lacrime rigargli le guance, si rende conto di averle avute agli occhi per tutto il tempo. Potrebbe rimanere sul pavimento per il resto della sua vita, rannicchiarsi qui insieme allo scarafaggio, ma su Cielo lo aspettano una pioggerellina dolce, il vento e il cinguettio degli uccelli, e lui non è disposto a rinunciarvi.
Si tira su e, madido di sudore, si siede sulla poltrona, raccoglie gli occhiali da terra e li indossa. Un’ora e mezza, altra ginnastica per la produttività lavorativa, e poi Cielo. Può farcela, certo; deve solo ricordarsi dov’era rimasto.
Lady Gaga esce dalla piscina con indosso una tutina monospalla in pelle e uno strano casco in testa, gioca a carte, muove i fianchi su una sedia a sdraio e guarda intensamente nell’obiettivo, come se invitasse Akseli a unirsi a una partita persa da tempo. Il video musicale procede a una velocità vertiginosa, il ritmo è martellante: Lady Gaga cambia vestiti, posa circondata da carte da gioco, in compagnia di cani di grossa taglia, balla accerchiata da un gruppo di persone e, per tutto il tempo, l’attenzione è solo su di lei, sulla sua tutina lucida e su ciò che Akseli suppone sia seduzione sessuale. A quel tempo, la bellezza femminile veniva enfatizzata con abiti succinti, chiome perfette e molto trucco sul viso, e Lady Gaga ha tutte e tre le cose in abbondanza.
Akseli ha già guardato il video dozzine di volte. Puntualmente, lo trova ripugnante e insopportabile. Com’era tipico in quell’epoca, il filmato cercava di rapire l’interesse dello spettatore con una quantità smodata di stimoli visivi. Solo dopo, quando i mondi virtuali hanno imparato ad attrarre tutti i sensi e a utilizzare il biofeedback, l’input di stimolo si è placato fino ad arrivare a un livello meditativo. Da allora, il benessere rilassante ha sostituito il godimento sfrenato, il diletto ha preso il posto della lussuria.
Nella stanza fredda, Akseli si tira addosso la coperta e cerca di concentrarsi, ma fatica a mettere in riga i pensieri. Sono giorni che guarda video musicali, pellicole e film strani che si chiamavano porno. In alcuni l’azione va dritta al dunque, ma
nella maggior parte si sofferma sul corteggiamento: le donne si imbellettano e gli uomini testano la propria virilità in scene di lotta. In alcuni film, invece, si vedono nascere dei bambini, mentre del loro concepimento si parla ben poco.
Nei materiali di inizio millennio non c’è il benché minimo accenno al futuro. In questi contenuti, le persone trasudano desiderio e gelosia irrazionali, e sono terribilmente indaffarate. Rapporti sessuali a parte, la sola cosa che sembra entusiasmarle è l’accumulo di oggetti. Scarpe e vestiti colorati galvanizzano la componente femminile persino di più della possibilità di avere figli. In una serie di video ambientati a New York, ovviamente prima dello tsunami, ci sono quattro donne che vanno a letto con molti uomini. Eppure, le protagoniste sembrano trarre il massimo del piacere da scarpe chiaramente scomode, al punto che il solo vederle nelle vetrine dei negozi le fa strillare e battere le mani.
Akseli avrebbe già dovuto iniziare a scrivere la sua relazione, ma ha la testa annebbiata. Trova difficilissimo immaginare dove potrebbe incanalarsi oggi il desiderio. Le donne forse abbandonerebbero Cielo e correrebbero per la città, a cercarsi scarpe e vestiti nuovi? O magari vorrebbero un marito, la torta multipiano alla panna e l’abito bianco? E gli uomini, si ammazzerebbero tra di loro? E Akseli, cosa farebbe lui? Vorrebbe accoppiarsi o uccidere, o forse gli piacerebbe conquistare sempre più potere, anche a costo della propria vita?
Una conseguenza del desiderio Akseli crede di saperla: uscirebbe dal suo appartamento e, in tal caso, anche altri potrebbero imitarlo. Una fiumana di gente che inonda le strade, senza averne alcun diritto. Loro forse farebbero qualcosa; ma che cosa, Akseli non riesce proprio a immaginarlo.