Vita&Salute WEB 00/21

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RIFLESSIONI

LA MORTE E IL SUO SIGNIFICATO

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Arrivati alla fine, non ci sono più parole di Hanz Gutierrez La società contemporanea ha smarrito gli strumenti per spiegare la morte

La morte e il suo significato si sono sempre situati oltre la portata della comprensione umana. Non solo perché questa irrompe nell’esistenza in modo inaspettato, ma soprattutto perché, anche quando ci troviamo di fronte ad essa e ne sentiamo la vicinanza, eccede sempre i nostri pensieri e il nostro intento di comprenderla. Quindi, più che una “riflessione sulla morte”, oggettiva e precisa, la nostra è sempre e di gran lunga, piuttosto, una “esperienza della morte”. Noi umani la viviamo come situazione ineludibile e travolgente, di fronte alla quale, i nostri pensieri, laici o religiosi, rimangono sempre corti, frammentari e insufficienti.

Non esiste una verità filosofica sulla morte o un’ortodossia della sua comprensione. Sono tutti sospiri, i nostri, pensieri sparsi che non possono entrare a forza in un sistema.

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Di fronte alla morte e alle sue varie comprensioni, devono dunque prevalere il rispetto e l’empatia, l’altro può arrivare a esprimere qualcosa che io non sono stato in grado di pronunciare in modo intelligibile. Siamo al cospetto dell’eccedenza della realtà sul pensiero, della vita sul suo senso, dell’esistenza su ogni dottrina che pretenda di descriverla e collocarla in un ordine comprensibile e definitivo. La morte la si vive in modo diretto quando, in prima persona, si cessa di esistere, è chiaro. Se poi dovesse subentrare in modo repentino e inaspettato, senza prodromi né dilatazioni temporali, questa assume la forma di un istante terribile e conclusivo. Ma, della morte, è soprattutto l’esperienza indiretta quella che accresce maggiormente il dolore e la sofferenza. La morte degli altri, di quelli che ci sono cari. Con loro scompare qualcosa

di “nostro”, una morte nostra, che si sperimenta da vivi e che produce una lacerazione ingovernabile. Una morte in vita. Non è poi necessario che l’altro muoia fisicamente. È sufficiente che la persona amata rischi anche solo di morire perché questa angoscia scatti e ci divori impietosamente dal di dentro. È la mortalità più della morte stessa a destabilizzare ed evidenziare l’incancellabile fragilità e vulnerabilità del nostro essere.

La morte abita proprio al centro della vita. Per fronteggiare questa eventualità permanente e ininterrotta, l’essere umano e le società premoderne hanno foggiato simboli, rituali, parole tali da permettere di pensare e di vivere questa prossimità ineludibile con l’ignoto. Questo lavorio creativo non ha certamente cancellato il dolore e la sofferenza che la morte procura, ma ha comunque permesso di focalizzarne un volto meno buio, aggressivo, estraneo.


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