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Matteo e il dono strappato via

L’urlo delle vittime del Covid risuona nelle orecchie di chi ancora dice no

Stava seduto nella terza fila a destra, dietro di me. Mai una nota, una parolaccia, mai una cattiveria contro qualcuno. Parlo di Matteo, mio compagno di liceo che pochi mesi fa è morto per colpa del coronavirus.

Lui non aveva fatto in tempo a vaccinarsi.

Era entrato in ospedale con tampone negativo per un’altra malattia, dalla quale si stava rimettendo. Poi il contagio, la febbre, la polmonite grave, l’insufficienza respiratoria, il decesso. Inevitabile domandarmi come sia stato possibile, se tutti i pazienti venivano testati all’ingresso ed erano negativi.

È stato contagiato da un infermiere, da un medico o da un altro sanitario? Non lo sappiamo.

Però Matteo non c’è più. Per questo motivo ogni volta che sento parlare di libertà di scelta, diritti e relativi timori non posso fare a meno di pensare a lui e ricordarmi che la salute è un dono. È un dono di Dio, per chi ci crede. È il frutto dei nostri cromosomi, ma quelli non possiamo sceglierli. È la conseguenza di piccole o grandi decisioni legate alla nostra alimentazione e ai sani stili di vita. Stiamo parlando di un rapporto personale con la salute, dove gli altri sono coinvolti solo parzialmente. Il “mio” infarto, se viene, tocca me, non il cugino con cui ho mangiato la pizza la sera prima. L’ipertensione idem, e c’entra poco il mio vicino di scrivania. In questo dialogo con sé stessi, ciascuno raccoglie ciò che ha seminato o – spesso – ciò che i suoi geni gli hanno impiantato. Ma esiste una dimensione collettiva della salute?

Esistono comportamenti di altre persone che possono influire sul mio benessere fisico?

Sì e sono tanti. Pensiamo al fumo di sigaretta. Prima della legge Sirchia si poteva fumare nei locali pubblici e i non fumatori erano soggetti a tutti i rischi del fumo passivo, come cancro e infarto. Quando la legge fu approvata, ci fu una levata di scudi perché si disse che il divieto era in contrasto con le libertà individuali. E si alzò un coro di giacobini che profetizzavano l’imminente avvento di una nuova dittatura. Sentivamo i dibattiti in televisione e gli esperti sembravano divisi a metà, ma era una finzione dei conduttori per tenere alta la polemica e gli spettatori incollati allo schermo. Gli esperti, i medici, erano tutti da una parte, cioè contro il fumo di tabacco, tranne qualche bastian contrario che ottenne così il suo miserabile momento di gloria, nel difendere l’indifendibile. Oggi siamo grati per quella legge. Abbiamo rivisto polemiche simili in altre circostanze:

• obbligo della cintura di sicurezza

• obbligo del casco

• limiti nell’uso di alcol alla guida

• ora i decreti per arginare l’epidemia.

Quando il bene collettivo si scontra con qualche abitudine personale, si accendono le scintille.

Oggi spopola l’articolo 32 della Costituzione, secondo il quale “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.” Leggendolo superficialmente, l’articolo sembra affermare il diritto dell’individuo. Ma le tre parole “interesse della collettività” ci fanno capire che i padri fondatori non sono stati superficiali.

La salute, ci dice quell’articolo, è un mio diritto, ma esiste un limite a tutti i diritti individuali che è costituito dai diritti della collettività.

Per esempio, esiste il diritto di curarsi e quello di non curarsi. Un individuo può scegliere di trattare il suo cancro con impacchi di misture ritrovate su internet o affidarsi agli oncologi. Possiamo tranquillamente svuotare l’armadietto delle medicine, interrompere tutti i trattamenti e mettere in atto così la più grande protesta immaginabile contro Big Pharma. Ma la libertà dell’individuo ha un limite – ben definito in ogni passo della Costituzione – che è la libertà dell’altro.

In questo caso il diritto a non essere esposto al rischio di contagio. L’ordinamento giuridico prevede (già per altri casi) l’obbligo vaccinale, il divieto di guida in stato di ebrezza, i limiti di velocità, la necessità di requisiti specifici per avere la patente, l’obbligo di pagare le tasse, il divieto di circolazione in alcuni posti, la limitazione alla libertà di opinione in caso di calunnia, minacce o diffamazione, addirittura il reato di epidemia dolosa o colposa (articoli 438 e 452 Codice Penale) per chi contagia volontariamente o per imprudenza gli altri. Questi “conflitti tra libertà” ovviamente non possono essere pensati in astratto, ma devono confrontarsi con la scienza.

Nel caso dei vaccini il dato imprescindibile è che chi si vaccina si infetta in misura molto minore (il 78% in meno) dei non vaccinati e perciò trasmette molto meno il virus ad altri.

Questo è il punto, perché se la cosa riguardasse solo il rischio di finire in rianimazione (il 95% dei ricoverati attualmente è non vaccinato) o di morire (97% dei decessi è tra non vaccinati) “per conto proprio” nulla ci sarebbe da eccepire sulla libertà di scelta. Ma se tu hai il diritto di non vaccinarti, io ho il diritto di non essere contagiato, e lo stesso diritto hanno i miei figli che vanno a scuola o prendono l’autobus. Questa cosa assume ancora più valore se ci ricordiamo che una minoranza di individui non è e non può essere protetta dai vaccini:

• Fragili

• Anziani

• portatori di handicap

• immunodepressi

Che società è quella che non difende i deboli? Perché utilizziamo tutti i diritti del welfare se poi ci barrichiamo dietro egoistiche scelte individuali? Vaccinarsi, secondo me, è uno straordinario atto di altruismo, un dono di salute che possiamo fare agli altri. Rifiutare senza validi motivi il vaccino significa rinunciare a fare il bene che potremmo fare.

Duemila anni fa qualcuno disse: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. I farisei subito tentarono la via della polemica e chiesero: “Ma chi è il mio prossimo?” E allora venne fuori la straordinaria parabola del Samaritano, che ogni tanto andrebbe riletta da credenti e non credenti. A me basta guardare vicino per capire chi è il mio prossimo che posso contagiare. Vorrei soprattutto capire perché e se sia giusto, che il diritto di qualcuno poteva includere anche quello di infettare Matteo, di rubargli il dono della salute e della vita.

Dott. Biagio Tinghino

Dirigente medico ASL Provincia di Monza e Brianza, Responsabile di U.O. Dipendenze

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